Definizione di farmaco innovativo: rivisitazione in un contesto di risorse limitate
Fabiola Del Santo, Dario Maratea, Andrea Messori
Area Vasta Toscana Centro, via Guimaraes 9-11, 59100 Prato
Nel percorso italiano riguardante la definizione di farmaco innovativo, una tappa fondamentale è costituita
dall’algoritmo sviluppato nel 2005 dai farmacologi bolognesi (Motola et al. 2005) e poi ufficialmente
adottato dalla nostra agenzia nazionale sul farmaco (AIFA 2007). Le componenti dell’innovazione
identificate secondo tale approccio sono tre: l’innovazione tecnologica (legata ad esempio alla tecnologia di
rilascio del principio attivo), l’innovazione nel meccanismo d’azione farmacologico (legata alla scoperta di
nuove classi terapeutiche contraddistinte da un nuovo meccanismo d’azione) e l’innovazione terapeutica
(legata principalmente alla dimostrazione di un documentato beneficio incrementale rispetto alle terapie
precedentemente disponibili).
Negli ultimi anni, il frequente ricorso alle valutazioni di costo/efficacia assieme alle recenti ristrettezze
economiche della sanità hanno selezionato l’innovazione terapeutica come il determinante principale o
addirittura unico dell’innovazione mettendo quindi in secondo piano sia l’innovazione tecnologica che
quella farmacologica. Questa tendenza che privilegia l’innovazione terapeutica può essere ricondotta al
crescente affermarsi dell’approccio value-for-money che valorizza economicamente i benefici clinici
(Pearson & Rawlins 2005; Claxton et al. 2008); infatti, secondo il value-for-money, il finanziamento del SSN
viene esplicitamente finalizzato a “pagare” gli interventi che producono salute (beneficio) e quindi ad
acquistare salute (Messori et al. 2003).
In questo contesto, la definizione di farmaco innovativo si semplifica radicalmente e tende a sovrapporsi al
concetto di farmaco sostenuto da un trial di superiorità. Ovviamente deve sempre essere precisato quale
sia la rilevanza clinica dell’end-point su cui si è osservata la dimostrazione di superiorità (preferibilmente un
end-point forte piuttosto che surrogato), ma conta pure valutare (come il citato algoritmo suggeriva di
fare) se quella particolare patologia trova per la prima volta una dimostrazione di beneficio aggiuntivo con
il farmaco in esame oppure se tale farmaco arriva per secondo, terzo, quarto, etc. poiché un primo farmaco
ha già fornito in precedenza la dimostrazione di superiorità nella stessa patologia.
Supponiamo che, per una data indicazione clinica, S sia la terapia standard di riferimento e I1 sia il farmaco
innovativo che per primo completa gli studi registrativi dimostrando un risultato di superiorità. Poiché
questa superiorità di I1 riveste una priorità assoluta, si può ipotizzare il termine di “superiorità assoluta” per
identificarla e per vicariare in qualche modo la definizione usuale ma controversa di farmaco innovativo. E’
implicito che un farmaco sostenuto da prove di “superiorità assoluta” debba essere associato al grado di
maggior rilievo nella scala dell’innovazione; tuttavia, una svolta nella terminologia a favore di vocaboli
nuovi può essere utile per uscire dall’infinita querelle che da molti anni verte sul termine “innovazione”.
Supponiamo che, dopo la dimostrazione che I1 è superiore a S, un secondo farmaco denominato I2 venga
sottoposto ad una o più sperimentazioni controllate nella quali il gruppo di controllo riceve S; supponiamo
infine che anche I2 dimostri un risultato di superiorità verso S in tale sperimentazione clinica. Poiché questo
secondo tipo di superiorità riveste indubbiamente una priorità minore, si può suggerire il termine di
“superiorità me-too” o eventualmente di “superiorità replicata”. E’ implicito che un farmaco sostenuto da
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prove di “superiorità me-too” debba essere associato ad un grado di minor rilievo nella scala
dell’innovazione. Infine un farmaco non supportato da evidenze di superiorità non può, per definizione,
essere considerato innovativo.
Sorge allora il quesito se, in campo regolatorio, il termine “innovativo” serva ancora oppure no.
L’aggettivo “innovativo” ha indubbiamente lo svantaggio di risultare completamente scollegato rispetto alla
terminologia dell’evidence-based medicine; al contrario, il concetto di “studio di superiorità” (a prescindere
dal fatto che esso sia o meno accompagnato da un aggettivo) si collega direttamente alla evidence-based
medicine e perciò si radica decisamente meglio in un ambito scientifico. Va osservato inoltre che il recente
fiorire di studi di non-inferiorità sottolinea l’esigenza di valorizzare adeguatamente i (pochi) studi di
superiorità. Resta inteso che questi ultimi dimostrano una valenza maggiore quando si tratta di I1
(“superiorità assoluta”) e assai minore quando si tratta di I2, I3, I4, etc (“superiorità me-too”). Di qui
l’esigenza di distinguere la prima superiorità dalla seconda.
In quest’ultima distinzione, va evidenziato l’intervallo di tempo che intercorre tra la registrazione di I1 e la
registrazione di I2, (e eventualmente anche di I3, I4, etc) attribuendo a questo parametro la debita
importanza. Infatti se tale intervallo è breve, la differenza tra I1 e I2 assume un rilievo marginale o
addirittura nullo; ad esempio boceprevir e telaprevir, ambedue
proposti in associazione a
interferone+ribavrina nella prima linea di trattamento dell’epatite C, sono stati approvati da FDA
addirittura nella medesima data e possono quindi essere considerati ambedue “innovazione assoluta” ex
aequo. Se invece tale intervallo è molto lungo, la differenza tra innovazione assoluta e innovazione me-too
deve assumere un rilievo molto maggiore; si può ad esempio citare il lungo intervallo intercorso tra
registrazione di etanercept e di infliximab nel 2000 e registrazione di golimumab nel 2010.
Per queste ragioni appare opportuno affiancare al termine “innovazione” e relativo aggettivo anche l’anno
in cui è avvenuta la registrazione dell’indicazione clinica in esame. Riferendoci ancora all’esempio della
prima linea biologica nell’artrite reumatoide, i quattro farmaci biologici a somministrazione s.c. oggi
disponibili possono essere associati alle seguenti classificazioni: etanercept, innovazione assoluta (≈2000);
adalimumab, innovazione me-too (2004); certolizumab, innovazione me-too (2010); golimumab,
innovazione me too (2010).
Un altro punto di controversia è che i trial registrativi riguardanti I2, I3, I4, sono quasi sempre condotti
usando, nelle sperimentazioni cliniche, S come comparator ed evitando i confronti testa a testa con I1 (cioè
i confronti del tipo I2 vs I1, I3 vs I1, etc.). In questo campo per fortuna sta affermandosi la network
metanalisi, o metanalisi a rete, che consente di confrontare in maniera indiretta due farmaci (entrambi
innovativi e destinati alla medesima patologia) che, in studi separati, sono stati ambedue sperimentati
contro un gruppo di controllo trattato con la terapia standard (Caldwell 2005; Fadda et al. 2011) .
Disponendo del trial I1 vs S e del trial I2 vs S, la network meta-analysis permette, sia pure in termini
orientativi, di valutare l’uno contro l’altro I1 vs I2 e cioè di confrontare questi due farmaci in termini di
efficacia. Nella maggioranza dei casi la conclusione di questo confronto statistico indiretto non basato su
uno studio reale è che I1 e I2 non mostrano differenze di efficacia (Passaro et al. 2011; Fadda et al. 2011b);
più raramente la conclusione è che I2 è statisticamente superiore a I1 oppure che I1 è statisticamente
superiore a I2. (Maratea et al. 2011). Ovviamente questi casi di presunta superiorità indiretta di I2 vs I1 o di
I1 vs I2 rappresentano soltanto una estrapolazione statistica e non possono essere considerati come una
dimostrazione conclusiva. A scopo di esemplificazione, la figura 1 mostra una sintesi delle informazioni di
efficacia comparativa sulle terapie di prima linea biologica per l’artrite reumatoide a somministrazione
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sottocutanea (trattamenti B, C, D, E) in confronto con la terapia standard priva di agenti biologici
(trattamento A).
Si osserva che i confronti diretti B vs A, C vs A, D vs A, e E vs A (rappresentati con una linea continua) sono
tutti sostenuti da superiorità; tuttavia, nell’evoluzione storica del trattamento di questa patologia, la
superiorità di etanercept (trattamento B) appare di massimo rilievo (“superiorità assoluta”) mentre la
superiorità “me-too” dei trattamenti C, D e E riveste una valenza minore, pur rappresentando un indiscusso
risultato scientifico. Da notare che i confronti indiretti (valutati grazie alla metanalisi a rete e rappresentati
con una linea tratteggiata) mostrano che, con l’eccezione di un singolo confronto, la dimensione del
beneficio atteso appare sovrapponibile tra le quattro terapie biologiche prese in esame.
La figura mostra soltanto i trattamenti con somministrazione sc (etanercept, adalimumab, certolizumab,
golimumab) per i quali c'è una maggiore esigenza di confronto; l'analisi non mostra i biologici con
somministrazione ev (es. infliximab, abatacept, tocilizumab) sia perchè la presenza di soli 3 farmaci rende
meno importante il confronto a rete sia perchè la somministrazione ev rappresenta un determinante di
scelta che tende a prevaricare le considerazioni di mera efficacia comparativa.
Infine solo il tempo potrà dire in quale misura il termine “innovativo” continuerà ad essere un riferimento
nel quadro regolatorio della farmaceutica e se altri termini riusciranno o meno a trovare un’ampia
condivisione in questo campo.
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Figura 1. Network meta-analysis del trattamento dell’artrite reumatoide con farmaci biologici
somministrati per via sottocutanea. Il grafico riassume i risultati di tutti i confronti diretti ed
indiretti tra i trattamenti di prima linea biologica per l’artrite reumatoide a somministrazione
sottocutanea in confronto con la terapia standard senza agenti biologici. L’endpoint è l’ACR 50% a
24 settimane. I risultati statistici sono presentati come rischio relativo (RR) con intervallo di
confidenza al 95% (IC95%). I valori di RR sono tratti dai seguenti riferimenti: BvA e CvA, Singh et
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Singh et al. J. Rheumatol.2010;37:1096; DvB, EvB, DvC, EvC, e EvD: valori di RR stimati tramite
network meta-analysis.
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