Antonio Possevino, S.J., Coltura degl’Ingegni (Vicenza, 1598). 115 Antonio Possevino S.J. ANTONIO POSSEVINO S.J. COLTURA DEGL’INGEGNI (1598) Degnità dell’huomo, e doni concedutigli da Dio, onde insieme si comprende il suo fine. Cap. I. “Gli huomini di grande et eccellente ingegno (disse Lattantio) i quali affatto si diedero ad apprender le discipline, tutta la fatica la quale poterono spendere, questa, con avere dispregiate tutte e le publiche e le private attioni, impiegarono in cercare la verità: stimando che era molto più nobile lo investigare et il sapere la ragione delle cose humane e divine, che l’attendere al guadagno de’ beni temporali, o a crescere ne gli honori. Per le quali cose, percioché sono fragili e terrene, et appartengono alla sola coltura del corpo, nissuno migliore, nissuno più giusto può divenire. Erano essi veramente degni della cognitione della verità, la quale di sapere desideravano, e di maniera che questa a tutte le cose anteponevano. Percioché chiara cosa è, che alcuni gittarono via le loro cose familiari, e rinunciarono a tutti i mondani piaceri: accioché ignudi e ispediti seguissero la nuda e sola virtù, di cui il nome e l’auttorità valse tanto appresso loro, che giudicarono in essa consistere il premio del sommo bene”. Ma costoro, se ricevuto avessero maggior lume, quale poscia dal figliuolo di Dio fu a’ suoi donato, non avrebbono collocato nella virtù l’ultimo fine: ma creduto avrebbono che questa era mezo per ascender a più alto 116 Coltura degl’ingegni grado, et a disporsi per non aver in sé impedimenti a ricever quella gratia, per cui si uniscono le menti con Dio, il quale è ogni Bene, et il certissimo fine. E senza dubbio volle Iddio che l’umana natura fusse tale, che sempre desiderasse queste due cose: Religione, & Sapienza; le quali mentre insieme si accoppiassero, partorissero una soda verità, partorita la custodissero, custodita l’apportassero insieme con gli animi al Cielo: quivi poi gustassero quanto di gran lunga, cioè infinitamente, l’abbondanza di quell’eterno convito superava le miche le quali quaggiù n’erano cadute. Dove, affinché non potessimo pretendere impotenza per aspirarvi, e accioché un così grande et honesto desiderio non ci fosse stato indarno conceduto, fece che con un comune consenso in ogni secolo anco i Gentili stessi de’ più savi rendessero co’ fatti proprio testimonio dell’eccellenza delle scienze, e conseguentemente della dignità humana. Così Cicerone chiamò l’huomo animale provido, sagace, moltiplice, acuto, ricordevole, pieno di ragione e di consiglio, e con chiarissima conditione generato dal supremo Dio, con cui (dice) ha principale compagnia per mezo della ragione. Altri lo nominarono Internuncio delle creature di qua giù, familiare alle celesti, Re delle inferiori, investigatore della ragione, lume d’intelligenza, interprete della natura, animale santo, libero, stabile, tramezzo del flusso secolo, sposo et Imeneo del Mondo, minuito poco di grado da gli Angeli. A cui da Dio suo creatore fu data una diritta statura, accioché la mente e la ragione pigliasse la mira là, dove la faccia riguarda; e fu posto in mezzo del Mondo: accioché essendo spettatore di tutte le cose, di tutte andasse ricercando le cagioni, col quale essercitio sempre di bene in meglio si abilitasse. 117 Antonio Possevino S.J. Maestri da Dio dati all’huomo. Cap. II. Però non contenta la sapienza Divina di avere inserito nelle menti humane tutto ciò che detto abbiamo, fece i sensi nel corpo, accioché per mezo loro la scienza delle cose s’infondesse. “Tutti gli huomini (disse Aristotele) naturalmente desiderano di sapere: di che è segno l’amore che portiamo a i sensi, i quali benché non si pongano in uso, gli amiamo nondimeno per loro stessi: e specialmente quello de gli occhi. Così sopra tutti gli altri sensi ci è caro il vedere: poiché fra tutti ci fa conoscere e ci manifesta molte differenze delle cose del Mondo”, in cui avendolo Iddio prima creato, stampò e spiegò come un gran libro: accioché di tante cose, le quali in lui sono, la grandezza, il movimento, la dispositione, la costanza, l’utilità, la bellezza, il concetto, la varietà ci rapisse a maraviglia; e inalzasse anco gli occhi delle persone rozze e fiere per conoscerlo come fattura venuta e ornata dalla mano di una Maestà sublimissima: la quale in lui, come in una eruditissima scuola, riconosciuta fosse. Diede etiandio Maestri invisibili e visibili, accioché continuamente ci dessero indirizzo et in lei ci essercitassero; percioché avendo da principio creato gli Angeli, e questi empiuto di specie divine, come che essi bisogno alcuno non abbiano di discorso, a noi, a i quali e’l discorso e l’arte sono necessari, porgono raggi celesti della verità: e come coloro i quali perpetuamente conversano in quella perenne luce, ci vanno avanti con lumi inestinguibili. Hanno veramente quelle Angeliche menti (così loro dandolo e commandandolo Dio) cura universale di queste cose, e massimamente di quelle, le quali a noi sono necessarie e giovevoli: di modo che girano intorno i Cieli, e 118 Coltura degl’ingegni que’ beni, i quali si dicono naturalmente venirci in questa vita, noi conseguiamo per mezo loro: sì come anco facciamo de’ doni sopranaturali. Oltre ch’essendo a ciascuno di noi assignato uno di essi per custode, e come celeste Procuratore o Ambasciatore, il quale ci fa intorno perpetua residenza e sentinella, rimuove da noi le rie nostre inclinationi, e ci difende da’ Dimoni, e offerisce al tribunale di Dio tutto il bene il quale noi facciamo; prega anco per noi, e si rallegra della nostra conversione con gli altri Angeli, i quali, come disse S. Dionigi, ci purgano, ci illuminano, ci attendono a fare perfetti, intantoché senza loro saremmo scelleratissimi. Non finì in questo la bontà infinita di Dio: percioché, oltre queste guide, ci diede gli huomini per Maestri, tutori, e come Pedagoghi, i quali secondo l’età e capacità nostra ci instruissero1, e con varie scienze, arti, libri, essempi, quanto più si potesse ci rendessero compìti. Però non così tosto ebbe formato Adamo in anima vivente, che subito l’ornò di ogni scienza delle cose naturali, accioché chi aveva ricevuto ogni perfettione nell’età e nel corpo per essere Padre di tutti gli altri, l’avesse parimente nell’anima per essere Maestro di quei che da lui nascessero, e poi di tutte le genti: non essendo ragionevole che chi immediatamente procedeva dalla mano di Dio fosse imperfetto, né andasse come tavola rasa accattando a guisa di noialtri le scienze e nature delle cose: anzi ricevuto avendo da Dio impresse nell’intelletto le specie intelligibili delle cose universali, ricevesse parimente in un medesimo tempo i fantasmi espressi, i quali propria·e distintamente gli rappresentassero gl’individui di qualunque specie, nei quali potesse contemplare senz’alcuno errore la natura delle specie loro; e poich’era stato creato in istato 1 Clem. Alex. Liber de Pedagogo [nota di Possevino]. 119 Antonio Possevino S.J. perfetto, nissuna di quelle scienze gli mancasse, il cibo delle quali è di mirabile contento, e pastura de gli animi. Dalla scuola dunque e traditione di Adamo fu lasciata a’ posteri quella ricca supellettile, la quale di mano in mano discese nelle famiglie che conservarono il culto di Dio a Noé, ad Abraamo, a gli altri Patriarchi, e Profeti. Anzi li Sanedrii, i Concistori, le Sinagoghe, le Scuole andarono di là prendendo tutti quei princìpi veri che ebbero, laonde avvenne, che a quell’odore correndo varie nationi apportassero di là nella Grecia e altrove alcune scintille di quelle ricche gioie della sapienza Divina, la quale, perché riluce in ogni cosa in quanto è vestigio o somiglianza di lei, costrinse anco gl’infideli a riconoscere <in> un certo modo la potenza, la sapienza, la bontà di Dio: sì come a Galeno avvenne nel considerare ogni minuta parte del corpo humano, di che si trattò più a lungo nel trattato nostro della Medicina; et a Seneca, che disse: Appresso di te sta Dio, con teco sta, dentro di te sta: dimora dentro noi altri uno spirito sacrato, il quale osserva l’opre nostre buone, il quale ci tratta della maniera di cui noi lo trattiamo: né certamente può essere alcun buono senza esso; e altrove: Tu ti maravigliasti (dice) che gli huomini vadano a i Dii, maravigliare più ti dèi che Dio venga a gli huomini, e (quel ch’è anco più vicino) che Dio venga ad abitare in loro, conciosiacosaché nissuna cosa buona è senza esso; a Cicerone, che confessò la providenza Divina verso tutte le cose particolari. E in somma a quanti altri, e a quante altre cose furono mostrate da gli antichi, e moderni scrittori. 120