LA FORZA DI COULOMB LA LEZIONE LA LEGGE 1/R2 Richard Feynman, nel secondo volume delle sue lezioni, nel paragrafo dedicato alla legge di Coulomb, scrive: “Sembra che Benjamin Franklin sia stato il primo ad accorgersi che il campo dentro un involucro conduttore è nullo. Il risultato gli sembrò strano. Quando riferì la sua osservazione a Priestley, questi suggerì che la cosa potesse essere messa in relazione con una legge di quadrato inverso, perché si sapeva che un guscio sferico di materia non produce alcun campo gravitazionale nell’interno. Tuttavia Coulomb non misurò la dipendenza dal quadrato inverso se non 18 anni dopo e la legge di Gauss venne ancora più tardi.” fig.1 - Macchina elettrostatica di Priestley; fig.2 - Schema per la dimostrazione che all’interno di un conduttore gli effetti elettrici sono nulli La misura della forza elettrica da parte di Charles Augustin de Coulomb avvenne nel 1785. Il riferimento alla legge dell’inverso del quadrato di Joseph Priestley si trova nel volume “The history and present state of electricity with original experiments” pubblicato nel 1767. Poche righe a conclusione di un’esperienza in cui si osservava che gli oggetti all’interno di un conduttore carico non sembravano mostrare effetti elettrici. “Possiamo noi non inferire da questo esperimento che l’elettricità è soggetta alla stessa legge della gravitazione, e quindi in accordo ai quadrati delle distanze; poiché si può facilmente dimostrare che nel caso in cui si consideri la terra come un guscio sferico, un corpo al suo interno non sarà attirato da una parte più che dall’altra.” Se si disegna un guscio di spessore trascurabile con una densità di massa uniforme ρ, la forza agente su un corpo posto in un punto P generico al suo interno dovuta alla massa ρdS1 sull’areola 1 è esattamente bilanciata dalla forza dovuta alla massa ρdS 2 della superficie 2 solo quando F è proporzionale a 1/r2. In questo modo nella seconda metà del Settecento si delineò la possibilità di dimostrare che anche la forza tra cariche seguisse la stessa dipendenza dalla distanza della forza di attrazione gravitazionale, semplicemente misurando la carica all’interno di un conduttore con un elettrometro. Il personaggio che realizzò un simile compito nel 1773 fu Henry Cavendish, ma alcune delle sue ricerche settecentesche furono pubblicate solo un secolo dopo grazie a James Clerk Maxwell. fig.3 - Tavola dal lavoro di Cavendish del 1771 sui fenomeni elettrici spiegati nei termini di un fluido elastico Nel 1771, in un’opera prettamente matematica, Henry Cavendish esponeva la teoria di un fluido che doveva spiegare i fenomeni elettrici grazie a leggi di forza dipendenti dalla distanza. Confrontando le stilizzate tavole allegate al lavoro e la classica iconografia della scienza elettrica dimostrativa dell’epoca si ha la sensazione di uno scienziato lontano dalla sensibilità e dagli interessi dei cultori dei fenomeni elettrici. Dopo molti tentativi di misurare la forza elettrica (Stephen Gray, Daniel Bernoulli, John Robinson), solo con Coulomb nel 1785 si avviò una prima valutazione della legge 1/r2 grazie alla sua bilancia di torsione nel caso delle forze tra cariche dello stesso segno. La forza tra cariche opposte era misurata dal francese con un apparato diverso, più vicino a quello impiegato da altri scienziati. Tutte le misure, non particolarmente precise, erano corrette valutando la perdita di carica delle sferette nell’aria. La nuova legge apriva la strada all’elettrostatica quantitativa e affiancava, come abbiamo già ricordato, le ricerche di Volta sui concetti di capacità, carica e tensione. fig.4 - Bilancia di Coulomb del 1785 ; fig.5 - Apparato sperimentale di Coulomb per lo studio della repulsione tra cariche; fig.6 -Tavola di Coulomb che riporta i valori delle misure delle variazioni della carica di un conduttore a contatto con l’aria MAXWELL E CAVENDISH Cavendish, nel tentativo di determinare la legge della forza elettrica in funzione della distanza tra le cariche, si affidò a un apparato descritto minuziosamente nei suoi appunti e disegnato con uno schizzo. Nel seguito sono riportati il frontespizio della pubblicazione postuma delle ricerche sull’elettricità di Cavendish (1879), lo schema del dispositivo realizzato dall’autore, il disegno dell’apparato presente sempre nel libro del 1879 curato da Maxwell. fig.7 - Il frontespizio della stampa del 1879 delle ricerche elettriche di Cavendish curata da Maxwell fig.8 - Schizzo dell’apparato di Cavendish tratto dagli appunti dell’autore; fig.9 - Riproduzione dell’apparato di Cavendish per la misura della carica interna di un conduttore Due calotte conduttrici erano montate su un telaio di legno incernierato in modo da riunire le calotte in un’unica sfera cava. Al suo interno poteva essere disposta e fissata una seconda sfera metallica di raggio inferiore alla prima, comunicante con l’esterno grazie a due manici isolanti che attraversavano il globo cavo. La sfera, di raggio minore, inizialmente era collegata elettricamente alla superficie interna della sfera più grande tramite un corto conduttore che poteva essere rimosso tirando un filo che fuoriusciva all’esterno. L’intenzione dell’esperimento era capire se elettrificando la superficie esterna, quella interna si fosse caricata. La misura dell’eventuale carica residua nel globo più piccolo, una volta rimossa la sfera esterna e il collegamento elettrico tra le due superfici, era osservabile in linea di principio grazie alla divaricazione di una coppia di pendolini elettrici. Il rudimentale elettrometro avrebbe permesso di valutare la legge della forza elettrica. Andiamo con ordine, seguendo la descrizione del procedimento data da Maxwell nel Treatise del 1873. Dopo aver caricato con una bottiglia di Leida le emisfere riunite, Cavendish immediatamente apriva il globo esterno, togliendo, al tempo stesso, con il filo, il collegamento elettrico interno. Allontanava l’involucro esterno e avvicinava “l’elettrometro” alla superficie della sfera più piccola senza ottenere alcuna divaricazione. Ciò non poteva però escludere la presenza di un’eventuale carica, non rilevabile dall’apparato di misura. Per valutare la sensibilità della sua apparecchiatura Cavendish, lavorando adesso sul globo più piccolo, forniva a esso frazioni del valore originario della carica iniziale della bottiglia di Leida. “Trovò così -scriveva Maxwell- che la carica acquistata dalla sfera era inferiore a 1/60 della carica dell’intero apparato poiché se fosse stata superiore, sarebbe stata rilevata dall’elettrometro.” Solo con carica nulla la legge di potenza della forza sarebbe pari a 1/r2. La presenza di una carica residua avrebbe modificato di una piccola quantità q l’esponente, con la forza proporzionale a -2+q. “Egli allora calcolò -continuava Maxwell- il rapporto della carica del globo con quello delle emisfere nell’ipotesi che la repulsione fosse inversamente proporzionale a una potenza della distanza che differiva leggermente da 2 e trovò che questa differenza fosse 1/50, essa avrebbe portato a una carica del globo pari a 1/57 di quella dell’intero apparato, e quindi misurabile dall’elettrometro.” p. 81, J. C. Maxwell, “On the Proof of the Law of the Inverse Square” da A Treatise on Electricity and Magnetism, 1873 L’uso delle frazioni è indice della difficoltà di calcolo. Peraltro Maxwell nella sua trattazione utilizzava il potenziale elettrico delle sfere, mentre Cavendish non padroneggiava, se non in forma embrionale, i fondamenti dell’elettrostatica. Il fattore correttivo della legge di Coulomb secondo l’esperimento settecentesco doveva essere pari a 1/50. In termini odierni l’esponente della legge di forza assumeva il valore 2 con un’incertezza relativa dell’ordine dell’1%. L’esperimento fu ripetuto da Cavendish sostituendo i conduttori di forma sferica anche con dei parallelepipedi, ottenendo risultati confrontabili. Maxwell invece, cento anni dopo, replicò l’esperimento di zero con alcune migliorie impiegando un elettrometro a quadranti di Thomson, capace di rilevare cariche piccolissime rispetto a quella del suo illustre predecessore. Le misure, esplicitate adesso in forma di potenziale dipendente dai due raggi delle sfere, furono pubblicate nel 1873. Nel Cavendish Laboratory la verifica della legge di Coulomb portò Maxwell a una potenza per la funzione 1/rn che poteva essere compresa tra 2-1/21600 e 2+1/21600. Bisognava attendere oltre sessanta anni per migliorare questa valutazione. GLI ESPERIMENTI DEL NOVECENTO Nel 1936 i fisici americani S. J. Plimpton e W. E. Lawton del Worcester Institute diedero un nuovo impulso alla verifica sperimentale della legge di Coulomb alla Cavendish-Maxwell. Invece di impiegare due sfere, il conduttore interno era a forma di calotta. La differenza di potenziale tra i due conduttori era misurata in modo continuo attraverso un voltmetro posto all’interno dell’apparato, osservabile con un telescopio e uno specchio attraverso un piccolo foro praticato nella sfera. La chiusura dell’apertura, con vetro e una soluzione salina, limitava la disomogeneità del potenziale del conduttore esterno. Il potenziale era controllato da una tensione alternata. Dopo aver calibrato il sistema di misura, si osservavano valori del voltmetro interno dell’ordine del milionesimo di volt. La correzione q alla legge di potenza della forza doveva essere minore di 2 10-9. fig.10 - Schema dell’apparato sperimentale di Plimton e Lawton del 1936 La frequenza della tensione sinusoidale utilizzata nell’esperimento era di soli 2 Hz, corrispondente alla frequenza di risonanza caratteristica del voltmetro. In tal modo si cercava di rendere trascurabili gli effetti del rumore nelle misure di potenziale. Dopo oltre trenta anni lo sviluppo dell’elettronica permise un nuovo salto nella valutazione della precisione della legge di Coulomb, con l’utilizzo di amplificatori ad aggancio di fase. Gary D. Cochran con una tesi del 1967 fu il primo a lavorare in questa direzione. Negli anni successivi, tra il 1968 e il 1971, tre diversi gruppi migliorarono la precisione del calcolo di q. Limitandoci all’esperimento di Princeton di D. F. Bartlett, P. E. Goldhager, E. A. Philipps, lo schema di Cavendish era rielaborato con l’utilizzo di cinque sfere concentriche (il gruppo di E. R. Williams, J. E. Faller, H. A. Hill impiegò invece degli icosaedri). Le due sfere più esterne costituivano un primo condensatore separato da un secondo capacitore costituto dalle due più interne. Il conduttore centrale costituiva lo schermo tra i condensatori. Alle sfere più esterne era applicata una differenza di potenziale alternata e si esaminava la tensione interna, in fase con il primo, caratteristica del secondo condensatore; dopo aver inviato all’amplificatore, posto in parallelo al condensatore più interno, un segnale con la stessa frequenza della tensione alternata. fig.11 - Test della legge di Coulomb effettuato nel 1970 nell’Università di Princeton ; fig.12 - Apparato sperimentale del 1971 di Williams, Faller, Hill per la verifica della legge di Coulomb A tale scopo una lampada al neon, alimentata dalla stessa differenza di potenziale alternata, costituiva il segnale luminoso che era convertito da un fotodiodo, posto all’ingresso dell’amplificatore, in corrente elettrica. Oltre a valutare il fattore correttivo inferiore o uguale a 1,3 10-13, Bartlett e collaboratori, nel lavoro Experimental test of Coulomb’s law del 1970, chiarivano un modo diverso di parametrizzare le piccole variazioni della legge di potenza tra cariche. I tre autori scrivevano: “In alternativa, seguendo de Broglie, possiamo pensare di generalizzare le equazioni di Maxwell nel modo più semplice e affascinante. Se il fotone avesse una massa a riposo m piccola diversa da zero, le due cariche si respingerebbero secondo una forza alla Yukawa, derivata dal potenziale U(r)=e-krr-1, dove k=2mc/h è l’inverso della lunghezza Compton del fotone.” In altre parole invece di avere come nel caso elettrostatico un potenziale dipendente solo dall’inverso della distanza tra cariche l’ipotesi di una finitezza della massa del fotone implicherebbe k diverso da zero e la forza tra cariche si modificherebbe nella forma: F=Q1Q2(1/r2+k/r e-kr)/4πε0 La forza tra cariche puntiformi non seguirebbe, accettando l’ipotesi di Louis de Broglie del 1940 di un fotone con massa diversa da zero, le legge dell’inverso del quadrato della distanza, ma presenterebbe un termine correttivo dipendente dalla piccola massa. Sviluppando in serie di potenze U(r) i fisici americani riscrivevano il potenziale nella forma 1/r – k +k2r/2, concludendo che la differenza di potenziale era allora dipendente dal quadrato di k. Di sfuggita indicavano per le loro misure un valore di k inferiore o uguale a 10-8 cm-1. Solo nel gennaio 1971, Williams, Faller e Hill, con l’articolo “New experimental test of Coulomb’s law: a laboratory upper limit on the photon rest mass”, presentavano per la prima volta una tabella di corrispondenza tra il fattore di correzione q alla legge di potenza e la massa a riposo del fotone, sia nel caso delle misure relative alla legge di Coulomb, sia riprendendo le valutazioni di altri autori che analizzavano le modifiche delle leggi dell’elettromagnetismo di Maxwell conseguenti all’introduzione della massa intrinseca del fotone. fig.13 - Tavola riassuntiva dei valori del test della legge di Coulomb e del valore limite della massa di riposo del fotone fino al 1970 fig.14 - Le ricerche recenti sulla massa a riposo del fotone In questo lavoro era ancora più evidente il richiamo alla generalizzazione delle equazioni di Maxwell, in una forma associata al nome di Alexandre Proca. Discuteremo in una prossima lezione in dettaglio la questione della massa del fotone. Qui basti ricordare che oggi gli scienziati cultori dell’argomento sono ridotti a una sparuta minoranza e tracce delle loro ricerche possono essere ritrovate nella rassegna sulla fisica delle particelle sul sito alla voce gamma (γ) mass.