Systems Biology del ciclo cellulare

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Rendiconti
Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL
Memorie di Scienze Fisiche e Naturali
125° (2007), Vol. XXXI, P. II, t. I, pp. 25-34
LILIA ALBERGHINA*
Systems Biology del ciclo cellulare **
Introduzione
La capacità di crescere e di riprodursi è stata riconosciuta come proprietà
caratteristica dei viventi fin dai primordi degli studi biologici. I primi eventi ad
essere analizzati in cellule eucarioti sono stati quelli della separazione dei cromosomi, che ha preso il nome di mitosi. Solo successivamente ci si rese conto che la
mitosi era solo l’ultimo, in ordine di tempo, degli eventi che portano una cellula
neonata a crescere, a replicare il suo DNA ed in ultimo ad andare incontro ad una
nuova mitosi. La serie ordinata di eventi da una mitosi a quella successiva prese il
nome di ciclo cellulare, diviso in quattro fasi: G1 (così chiamata dalla parola inglese
gap, intervallo), S (durante la quale il DNA viene replicato), G2 (altro intervallo), ed
infine M (mitosi) (fig. 1).
Il ciclo cellulare è fondamentale per i processi di sviluppo e per il mantenimento degli organismi e viene molto studiato anche perché si ritiene che un suo
alterato controllo abbia un ruolo rilevante nella insorgenza delle neoplasie.
Negli ultimi decenni lo studio delle alterazioni molecolari di molti eventi regolativi di cellule normali e trasformate ha cercato di giungere ad una interpretazione
razionale ed unificante della trasformazione neoplastica, si veda ad esempio il bel
libro di R.A. Weinberg [1], senza però ottenere sostanziali passi avanti. Questa
situazione rende difficile, se non impossibile, disegnare farmaci antineoplastici specifici ed efficienti in modo risolutivo per la totalità dei pazienti.
Dato che gli eventi del ciclo cellulare e le sequenze di molti suoi componenti
molecolari appaiono evolutivamente conservati dal lievito all’uomo, ha acquisito un
grande interesse lo studio del ciclo cellulare del lievito Saccharomyces cerevisiae,
* Socio XL. Dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze, Università di Milano-Bicocca,
Piazza della Scienza, 2, 20126 Milano, E-mail: [email protected]
** Relazione tenuta il 12 dicembre 2007 in occasione della seconda assemblea annuale presso la Biblioteca dell’Accademia Nazionale delle Scienze, Scuderie Vecchie di Villa Torlonia, Roma.
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Fig. 1.
organismo modello per gli studi di genetica e di biochimica da molti decenni, dalla
glicolisi al sequenziamento del genoma, realizzato nel 1996.
Uno degli aspetti del controllo del ciclo cellulare in lievito che riveste maggiore importanza è dato dal coordinamento tra crescita e divisione cellulare, che si
realizza primariamente a livello della transizione G1/S, in cui le cellule devono raggiungere una determinata massa cellulare critica (detta Ps) per poter entrare nella
fase di replicazione del DNA. Questo meccanismo di controllo è stato descritto
trenta anni fa, ma fino alle ricerche che vengono qui riferite, non se ne conosceva
il meccanismo molecolare. Un altro aspetto interessante è dato dal fatto che Ps
dipende dalla velocità di crescita esponenziale, essendo il valore di Ps costante a
velocità di crescita bassa o media, per aumentare fino a raddoppiare, per velocità di
crescita elevate.
È in genere la disponibilità di nutrienti che determina la velocità di crescita
esponenziale e quindi il valore di Ps.
Un’analisi della modulazione della dimensione cellulare di popolazioni in crescita esponenziale bilanciata (che è funzione di Ps) eseguita sulla collezione di
deleti di ciascuno dei geni di lievito, ha indicato che un gran numero di prodotti
genici (circa il 15% di 6000 geni di lievito) sono implicati nella regolazione o esecuzione del ciclo cellulare [2]. Essi appartengono alle più diverse categorie, dal
metabolismo alla trasduzione del segnale, dalla biosintesi di ribosomi al sensing o
uptake di nutrienti, dalla modulazione della trascrizione ai componenti attuativi del
ciclo cellulare: cicline, chinasi ciclina dipendenti, inibitori di chinasi ciclina dipendenti, fattori di trascrizione (SBF/MBF), sistemi di degradazione di proteine
(SCF/APC) (fig. 2). È quindi un compito molto arduo quello di ricostruire il com-
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Fig. 2.
plesso network regolativo del ciclo cellulare, anche in un organismo relativamente
semplice come il lievito.
Negli anni più recenti ci si è resi conto che per meglio comprendere processi
biologici complessi (dal ciclo cellulare al differenziamento, dalla trasformazione
neoplastica al funzionamento del cervello) è indispensabile uscire dall’approccio
riduzionistico, che pure tanto successo ha avuto negli ultimi decenni, ed affrontare
queste tematiche con un approccio «a sistema», cioè considerando il comportamento globale delle molecole interagenti che compongono il processo biologico in
esame. È nata così la «Systems Biology», il nuovo approccio scientifico che utilizza
analisi molecolari e cellulari per costruire modelli matematici dei processi in esame
e quindi attraverso analisi di simulazioni al computer predice dinamiche che vengono poi confrontate con quelle sperimentali in cicli iterativi, fino a disporre di
modelli adeguati (si veda Box 1 per approfondimenti).
I modi di procedere della systems biology ed i primi interessanti risultati su
metabolismo, trasduzione del segnale e circuiti cellulari sono descritti dettagliatamente in [3]. I modelli matematici della systems biology sono di due tipi: bottomup, che partono dai componenti molecolari e costruiscono il network in modo da
dar conto della funzione (esempio tipico la glicolisi, i cui enzimi sono tutti noti da
decenni); top-down, che partono definendo la funzione che viene disassemblata in
«unità operative» o «moduli» interconnessi fra loro secondo i principi funzionali
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descritti dalle scienze ingegneristiche (ad esempio interruttore, soglia, feed back
positivo o negativo, amplificazione, etc.). Si ottiene così un modello a bassa risoluzione (un blueprint) che può venire modellizzato matematicamente e le sue predizioni confrontate con dati sperimentali. Se il blueprint è validato si può procedere
a cicli successivi di analisi molecolare di ciascun modulo, saggiandolo attraverso
diverse perturbazioni genetiche e biochimiche. In questo modo si ricostruiscono i
circuiti regolativi e attuativi che sottendono la funzione in esame [3].
Un primo esempio di modello matematico bottom-up del ciclo cellulare è
stato proposto da Chen et al., utilizzando dati di letteratura [4]. Pur essendo ovviamente interessante come apertura al nuovo, questo modello appare insufficiente a
dar conto della regolazione del ciclo in quanto considera solo poche decine di
specie molecolari, invece delle molte centinaia che sappiamo essere coinvolte; non
prende in esame la localizzazione nucleo/citoplasma che appare centrale nel controllo del ciclo e soprattutto per dar conto della massa cellulare critica (Ps) inserisce assunzioni «ad hoc», non giustificate sperimentalmente.
Un nuovo approccio di Systems Biology al controllo del ciclo cellulare
La linea di ricerca perseguita dal mio laboratorio presso l’Università di
Milano-Bicocca è partita da due considerazioni: dato che i players molecolari del
ciclo cellulare oggi noti sono molto pochi, è più opportuno partire con un approccio top-down; per un efficace approccio di systems biology le attività sperimentali
e quelle matematico/computazionali devono essere strettamente integrate e seguire
una unica progettualità scientifica.
Un modello top-down del ciclo cellulare è stato costruito e validato [5 e 6].
Esso identifica due aree principali di controllo: un cell sizer, a livello della transizione G1/S, che viene proposto coinvolgere cicline, chinasi ciclina dipendenti (Cdk)
ed inibitori delle chinasi ciclina dipendenti (Cki), ed essere modulato dalle condizioni nutrizionali; una modulazione dell’esecuzione della mitosi, data dalla introduzione di ritardi sia alla transizione metafase/anafase, sia alla transizione anafase/
telofase. Questi ritardi compaiono in condizioni di stress, come attivazione di check
points per danno al DNA ed al fuso mitotico, ovvero insorgenza di segnali metabolici conflittuali, come ad esempio inibizione della sintesi proteica e contemporanea stimolazione della via cAMP/PKA [7]. Il modello predice correttamente la
dinamica di una transizione di crescita per shift up e l’insorgenza di un ritardo
nella esecuzione della mitosi durante il transitorio di crescita [5], ritardo che in
precedenza era stato determinato sperimentalmente [8]. Una recente analisi proteomica dello shift up [9] ha confermato l’insorgenza di una stress response durante lo
shift up, dando così prova della correlazione prevista tra insorgenza dello stress e
attuazione di un ritardo nell’uscita dalla mitosi.
Confortati da questi iniziali risultati positivi, si è proceduto ad un’analisi molecolare del modulo «transizione G1/S» per identificare i componenti molecolari del
suo network.
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Dati di letteratura indicavano nella ciclina Cln3 l’attività più a monte della
transizione, essendo pressoché costante la sua concentrazione durante la fase G1,
ma risultando il suo livello considerevolmente più elevato nelle cellule a più velocità di crescita. Dato che l’aumento di massa cellulare durante la fase G1 può essere
anche modesto (nell’ordine del 20%), non sembrava che l’accumulo di Cln3
potesse essere direttamente la base del meccanismo di cell sizer. Si era quindi proposto un meccanismo più sensibile a variazioni di concentrazione, quello a soglia
tra un attivatore, Cln3, ed un inibitore, Far1, il Cki di lievito coinvolto nella risposta ai fattori di coniugazione ed inibitore di tutte le Cln.Cdk. Il coinvolgimento di
Far1 nel controllo del ciclo cellulare mitotico è stato provato da un’accurata indagine sperimentale [10].
Il secondo Cki di lievito, Sic1, era noto entrare a far parte del network di G1/S
come inibitore di Clb5,6.Cdk1 (il complesso di cicline/Cdk che controlla l’inizio
della replicazione del DNA e quindi l’ingresso in fase S). Studi successivi hanno
dimostrato che Sic1 ha anche un ruolo di promozione dell’entrata in fase S in
quanto facilita l’accumulo nucleare di Clb5,6.Cdk1 e che la fonte di carbonio
modula la localizzazione nucleo/citoplasmatica di Sic1 durante la fase G1 [11].
Nelle cellule G1 cresciute in glucosio Sic1 è tutto localizzato nel nucleo, mentre
nelle cellule G1 cresciute in etanolo esso è localizzato sia nel nucleo che nel citoplasma. Questi risultati suggeriscono che la capacità di binding di Sic1 a
Clb5,6.Cdk1 possa essere modulata in funzione del mezzo di crescita [11].
Avendo raccolto dati sufficienti a delineare i nodi principali del network G1/S,
si poteva procedere a costruire il modello matematico corrispondente (fig. 3)
espresso secondo le convenzioni della cinetica chimica, che è stato saggiato per
molte condizioni genetiche e nutrizionali risultando accuratamente consistente con
i dati sperimentali [12].
L’analisi di sensitività portò ad una nuova acquisizione conoscitiva di grandissimo interesse: la massa cellulare critica Ps è una proprietà emergente del network
G1/S che dipende fortemente dalla velocità di crescita.
Un’analisi della struttura del network giustifica questa interessante proprietà,
che finalmente dava una risposta molecolare riguardo una funzione (Ps) nota da
trenta anni. Il network infatti è caratterizzato dal superamento sequenziale di due
soglie a Cki, la prima che coinvolge Far1 e la seconda che coinvolge Sic1. L’intervallo di tempo che intercorre tra il superamento della prima soglia e quello della
seconda è di durata significativa (circa 40 min.), se comparato al tempo di duplicazione in mezzi ricchi (da 90 a 70 min.). Inoltre il rapporto Cln3/Far1 si mantiene
circa costante sia in mezzi poveri che in quelli ricchi [10], di modo che l’attraversamento della prima soglia si realizza per un valore di massa cellulare circa uguale
sia in mezzi poveri che ricchi. Superata la prima soglia le cellule in mezzi ricchi crescono considerevolmente nell’intervallo di tempo prima di raggiungere la seconda
soglia, mentre ovviamente le cellule che crescono in mezzi poveri (tempo di duplicazione di 300 min. in etanolo) durante lo stesso intervallo di tempo crescono
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Fig. 3.
molto meno. Questa struttura del network rende quindi possibile sia il setting di un
cell size, sia la sua modulazione da parte della velocità di crescita [12]. È interessante aggiungere che successivamente è stata riportata [13] un’analisi per single-cell
imaging che ha decomposto la dinamica della transizione G1/S in due moduli: un
primo modulo (che coinvolge Cln3) funziona da cell sizer, un secondo (che coinvolge Cln2) funziona da timer, confermando così in modo indipendente sia la struttura della transizione G1/S da noi proposta sia la durata dell’intervallo di tempo tra
prima e seconda soglia [13].
Una volta definita la struttura del network G1/S ci si può porre una domanda
tipicamente in linea con l’approccio di systems biology: che cosa accade modulando la forza delle interazioni che stanno alla base del funzionamento del network?
Come indicato in Fig. 4 la dinamica del network è determinata da tre coppie
di interattori e noi sappiamo che due sono le forze principali che possono agire: la
legge di azione di massa (che quindi può coinvolgere sia i processi di sintesi e/o di
degradazione delle molecole interagenti, sia la loro localizzazione in comparti utili
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Fig. 4.
o meno all’esecuzione del processo) e la modulazione dell’attività di binding reciproca degli interattori (che molto spesso, in sistemi biologici, dipende da fosforilazione/defosforilazione delle molecole coinvolte).
Si è presa quindi in esame una condizione, la inibizione della via di trasduzione del segnale di TOR, che si sapeva comportare un arresto in fase G1. Si è
andati quindi ad esaminare come variava lo stato dei componenti del network G1/S
in seguito a trattamento con rapamicina, noto inibitore di TOR. Esso causa un
arresto in G1 attraverso azioni su molteplici fronti: inibizione dell’accumulo delle
cicline Cln3, Cln1, Cln2 e Clb5, stimolazione dell’accumulo di Sic1 sia per aumento
della trascrizione del suo mRNA sia per stabilizzazione della corrispondente proteina, che non va più incontro a ubiquitazione e quindi non viene degradata [14].
A questo punto diventa rilevante studiare il meccanismo di ubiquitazione di
Sic1. L’enzima ubiquitinante CDC 34, che fa parte del complesso SCF che degrada
Sic1, è modulato nella sua attività dalla proteina chinasi CK2, studi attualmente in
corso tendono ad identificare il ruolo della fosforilazione di Cdc 34 da CK2 nella
transizione G1/S (15). D’altra parte CK2 era noto da molti anni essere rilevante per
la progressione del ciclo cellulare sia in lievito sia in mammiferi. Studi precedenti
avevano dimostrato che l’inattivazione di CK2 portava all’arresto in G1 con un
accumulo di Sic1 [16], che è substrato di CK2 [17]. La fosforilazione di Sic1 da
CK2 aumenta la sua attività di binding al complesso cicline/Cdk [18].
Anche se molti aspetti richiedono ancora analisi più approfondite per generare
un quadro esaustivo emerge già nettamente l’ipotesi che le segnalazioni cellulari
(vie di TOR e di CK2) modifichino la dinamica della transizione G1/S, portando
fino ad un arresto del ciclo, attraverso cambiamenti della forza delle interazioni tra
differenti players del ciclo cellulare. Queste interazioni vengono modulate sia da
variazioni di concentrazione sia da modifiche dell’attività di binding dipendente da
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fosforilazione delle proteine coinvolte. Inoltre, dato che la dinamica dei circuiti
regolativi cellulari in ultima analisi si fonda sulle modifiche di attività catalitiche che
conseguono ad interazioni sia intermolecolari, come quelle precedentemente ricordate, sia anche intramolecolari [19, 20], la systems biology viene a raccordarsi con la
biologia strutturale, che risulta così approccio essenziale per il disegno di ligandi
specifici capaci di modulare in modo mirato la dinamica del network in esame.
Un altro aspetto molto interessate emerso in precedenza [11] riguardava
le possibilità delle condizioni nutrizionali di modulare la concentrazione di
Clb5,6.Cdk1 all’interno del nucleo. Nasceva quindi la domanda: se e come la
diversa disponibilità di Clb5,6.Cdk1 nel nucleo potesse influenzare la dinamica di
ingresso in fase S. Per affrontare questo tema occorreva costruire un modello matematico del network molecolare coinvolto nell’inizio della replicazione del DNA,
che come è noto in lievito ha origine da circa 200 origini di replicazione diverse. Il
modello è stato da noi sviluppato e saggiato per simulazione raccogliendo interessanti informazioni sul ruolo che le fosforilazioni multiple di alcuni suoi componenti
(Sld2 e Sld3) hanno sulla dinamica della replicazione del DNA [21]. La connessione tra disponibilità di Clb5,6.Cdk1 nel nucleo e l’andamento delle fosforilazioni
multiple giustifica risultati sperimentali presenti in letteratura [22].
Conclusioni e prospettive
I risultati fin qui esposti dimostrano chiaramente le potenzialità dell’approccio
di systems biology per lo studio di fenomeni biologici complessi, quali il ciclo cellulare. La partecipazione del mio gruppo di ricerca al progetto europeo Unicellsys
potrà apportare nei prossimi anni utili sinergie per poter giungere a breve ad una
comprensione globale e dettagliata del controllo e dell’attuazione del ciclo di cellule di lievito. Ricerche in corso nel mio laboratorio indicano che il disegno di base
della transizione G1/S di lievito si mantiene in cellule di mammifero, ma con interessanti novità.
I positivi risultati di queste e di molte altre ricerche di systems biology a livello
internazionale fanno presumere un futuro ampio sviluppo di queste ricerche così
caratteristicamente interdisciplinari, che introducono un cambiamento di paradigma nella ricerca biologica, dopo decenni di fruttuoso approccio riduzionistico.
Si vedano al riguardo due recenti rapporti: della European Science Foundation
(www.esf.org) dal titolo «Systems Biology: a Grand Challenge for Europe» e di
ERA Sys Bio Net (www.erasybio.net) dal titolo «Systems Biology in the European
Research Area», per un quadro di insieme.
Nella scienza, come in economia, quando cambia il paradigma di riferimento è
il momento in cui possono entrare nuovi attori. Ci si augura che la politica della
ricerca del nostro paese (negli anni più recenti particolarmente di basso profilo) sia
capace di cogliere appieno questa opportunità.
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BOX 1
GLOSSARIO
La Systems Biology è un nuovo approccio in cui rilevanti e complessi problemi
biologici vengono affrontati integrando analisi molecolari e cellulari con modelli
matematici e loro analisi computazionale in cicli iterativi, fino a raggiungere una
comprensione adeguata del processo in esame.
La Systems Biology analizza i meccanismi con cui le interazioni dinamiche di
macromolecole danno luogo alle proprietà funzionali delle cellule viventi.
Modularità: i processi cellulari possono venir dissezionati in moduli, cioè subsistemi di molecole interagenti (DNA, RNA, proteine, piccole molecole), che svolgono, in modo sostanzialmente indipendente dal contesto, specifiche funzioni (es.
glicolisi, trasduzione del segnale, etc.). La modularità è organizzata da connettori
globali che legano fra loro moduli diversi e da interazioni che connettono tra loro i
componenti di un singolo modulo.
Proprietà emergente (o system-level) – la funzione di ciascun sistema deriva dalla
interazione dinamica dei vari elementi che compongono il network regolativo e
attuativo che struttura il sistema in esame. È questa una visione delle funzioni biologiche profondamente diversa da quella tradizionale: un gene – una proteina – una
funzione.
Robustezza – i network biologici sono generalmente robusti, cioè sono capaci di
mantenere la loro funzione malgrado perturbazioni interne od esterne.
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