UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Tesi di laurea in FISICA Studio e caratterizzazione di rivelatori a deriva di silicio per applicazioni spaziali, AtmoCube Relatore: Dot.ssa Anna Gregorio Laureanda: Elisa Pinat Anno Accademico 2007 - 2008 Don’t give in without a fight Indice 1 Il progetto AtmoCube 3 2 Generalità sui semiconduttori 5 2.1 La giunzione p-n . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 2.2 La struttura MOS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 3 Rivelatori in silicio 16 3.1 Rivelatori a microstrip di silicio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 3.2 Camere a deriva di silicio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 4 Caratterizzazione statica di una camera a deriva 24 4.1 Caratteristiche I-V e V-V di un rivelatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26 4.2 Analisi dati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 Conclusioni 35 Bibliografia 36 1 Introduzione Questo lavoro di tesi si inserisce nell’ambito del progetto AtmoCube, il Cubesat che sta per essere realizzato dall’Università di Trieste, in collaborazione con l’Istituto di Fisica Nucleare e l’Area di Ricerca. Il progetto AtmoCube nasce con l’intento di rendere direttamente partecipi gli studenti nella realizzazione di un satellite da lanciare in orbita. L’Università di Trieste, con il dipartimento di Fisica, i dipartimenti di Ingegneria Elettronica e delle Telecomunicazioni ed il dipartimento di Ingegneria Meccanica ha aderito al progetto dell’ESA ”Call for CubeSats for the Vega maiden flight”. Atmocube è stato scelto come uno dei sei satelliti che verranno posizionati a bordo di Vega, il nuovo lanciatore europeo costruito in Italia, nel suo volo inaugurale che si realizzerà probabilmente a metà del 2009. Scopo delle misure realizzate nel presente studio è stato la caratterizzazione statica di una serie di rivelatori a deriva di silicio al fine di determinare il migliore disponibile da poter inserire nella strumentazione a bordo del nanosatellite. Nel capitolo 1 si è presentato il progetto AtmoCube nel suo complesso, gli scopi che si prefigge e la strumentazione di cui è composto. Nel capitolo 2 è stata esposta una breve panoramica sulle principali proprietà che caratterizzano i semiconduttori, fondamentali per una comprensione del funzionamento dei rivelatori da analizzare. Nel capitolo 3 si fornisce una panoramica sulle caratteristiche dei principali rivelatori in silicio, soffermandosi in maniera più approfondita sulle camere a deriva. Nel capitolo 4 è riportata l’analisi dei dati sperimentali raccolti, il suo trattamento e le conclusioni a cui si è giunti. 2 Capitolo 1 Il progetto AtmoCube Il progetto AtmoCube nasce dalla volontà di coinvolgere attivamente gli studenti dell’Università di Trieste in una reale missone spaziale, affrontando tutti gli aspetti che ciò comporta, partendo dalla costruzione del satellite stesso fino a terminare con l’outreach. AtmoCube si inserisce in un progetto più ampio dell’ESA, l’Ente Spaziale Europeo, che con l’ ”Educational Payload on Vega Maiden flight” fornisce la possibilità agli studenti di diverse Università europee di lanciare in orbita il loro CubeSat. Sviluppato dal California Polytechnic State University e dall’Università di Stanford, il modello Cubesat propone alle Università interessate il modello costruttivo per un piccolo satellite, in grado d’essere gestito interamente dall’Università stessa, ma soprattutto in grado di essere portato avanti economicamente senza spese eccessive. Lo standard Cubesat è diventato il design di nano-satellite più largamente usato in tutto il mondo, e, a dispetto delle piccole dimensioni e del basso costo di produzione, esso supera le richieste di qualità per portare termine una missione con successo. Anche con AtmoCube si è dunque deciso di adottare questo standard. Questo progetto ha un grandissimo interesse educativo, in quanto permette agli studenti coinvolti di vivere da vicino tutte le fasi della progettazione e dello sviluppo di un satellite in miniatura. La grande forza sta nella collaborazione attiva di più dipartimenti dell’Università, che assieme completano le conoscenze per poter affrontare una tale impresa: un team di fisici ed astrofisici, ingegneri delle telecomunicazioni, ingegneri elettronici ed elettrotecnici ed ingegneri meccanici supportati dai relativi docenti e responsabili, garantiscono un buon know how di base in ogni aspetto del progetto. Più in dettaglio AtmoCube risulta essere un satellite con un’anima di alluminio di 10 cm per lato e con una massa inferiore ad 1 kg. Esso rappresenta un sistema innovativo per la misura dello space weather ad un’altitudine al di sopra dei 350 km. In questo caso specifico con space weather si intendono le condizioni dell’atmosfera e magnetosfera terrestre, che sono conseguenza del comportamento del sole, del campo magnetico terrestre stesso, e della posizione del nostro pianeta nel sistema solare. Il ciclo solare con le sue variazioni nel campo magnetico e nel vento influisce profondamente sullo space weather : una sua conoscenza approfondita e modellizzazione può permettere la previsione degli effetti sui satelliti, sulla loro vita in orbita, sulla strumentazione a bordo e sul rientro in atmosfera delle astronavi. Ad esempio la variazione delle condizioni geomagnetiche può indurre ad una variazione nella densità atmosferica, causando una progressiva diminuzione 3 CAPITOLO 1. IL PROGETTO ATMOCUBE 4 Figura 1.1: il disegno e il prototipo di AtmoCube dell’altitudine dell’orbita di un satellite vicino alla terra. Lo strumento scientifico più importante a bordo è un rivelatore e deriva di silicio, che avrà il compito di monitorare il flusso di radiazione incidente, da cui in seguito si ricaverà una mappa globale della radiazione stessa. Assieme alla camera si trovano gli altri due strumenti principali: il GPS ed il magnetometro. Il magnetometro servirà per misurare il campo magnetico locale, mentre il GPS verrà utilizzato sia per associare ad ogni misura la relativa posizione che per stimare la deviazione del stellite dall’orbita stabilita. Parallelamente allo studio di questi strumenti si è svolto tutto il lavoro relativo alla progettazione dell’elettronica di read-out, lo studio dell’antenna, che servirà per garantire le comunicazioni con la stazione a terra, le celle solari e le batterie, che andranno ad alimentare il satellite, ed infine il posizionamento interno dei magneti che serviranno per l’orientazione del sistema. In figura possiamo vedere il disegno tecnico di AtmoCube, ed il prototipo della struttura. Capitolo 2 Generalità sui semiconduttori I semiconduttori sono una classe particolare di materiali che, a temperatura ordinaria (300 K), hanno una resistività intermedia fra i conduttori e gli isolanti. La resistività ρ è l’attitudine intrinseca a ogni materiale ad opporre resistenza al passaggio di carica: minore risulta la resistivià maggiore sarà la capacità di condurre, quindi per i semiconduttori avremo che ρ < ρsemicond < ρisol La resistenza di un dato materiale è legata alla sua resistività della relazione Z l ρ l0 P 0 dl0 R= (l ) 0 P 0 dove l è la lunghezza globale efficace del conduttore, e (l ) l’area della sezione retta del conduttore in corrispondenza della coordinata l’ . Una fondamentale proprietà dei semiconduttori che li distingue ulteriormente dai conduttori e dagli isolanti, sta nel fatto che la loro resistività risulta variabile in funzione della temperatura. Tale proprietà si può spiegare tenendo presente il tipo di legame cui sono sottoposti gli elettroni all’interno del materiale. In un conduttore vi sono circa 1028 elettroni di conduzione (liberi) per m3 e questo pressochè indipendentemente dalla temperatura. Questi elettroni sono in un continuo stato di agitazione termica e possono muoversi anche sotto l’effetto di campi elettrici, dando origine alla conduzione. Al crescere della temperatura aumenta anche l’agitazione termica, che ostacola il loro moto, riducendo la conduttività, che è l’inverso della resistività. La resistività in gran parte dei conduttori dipende dunque dalla temperatura T secondo una legge del tipo ρ ∝ µT η . Questa dipendenza, in intervalli di tempertura specifici per ogni conduttore, è spesso approssimata con un andamento lineare, nel quale si esprime la resistività ρ in funzione della temperatura θ espressa in gradi centigradi, partendo dalla resistività a θ= 20 ◦ C, scrivendo: ρ = ρ20 [1 + α · (θ − 20)] dove α è detto coefficiente termico della resistività. Una prima spiegazione delle proprietà dei semiconduttori può esser data dicendo che in essi gli elettroni di valenza sono legati molto debolmente agli atomi: a temperature basse 5 CAPITOLO 2. GENERALITÀ SUI SEMICONDUTTORI 6 essi si trovano legati come negli isolanti, ma già a temperature ordinarie l’energia termica in gioco è sufficiente a rompere i legami favorendo la conduzione elettrica. L’energia sufficiente per rompere un legame e liberare un elettrone è di 0.75 eV nel germanio, 1.12 eV nel silicio, mentre, per confronto, per gli elettroni di un isolante avremo bisogno di circa 10 eV per liberarne uno. Tuttavia, se si vuole fornire una trattazione più rigorosa, si deve utilizzare il modello a bande di energia nei solidi, che, in breve, risulta essere la soluzione dell’equazione di Schroedinger per gli elettroni inseriti nel potenziale periodico di un solido cristallino. Le bande di energia nei solidi sono un insieme di livelli energetici accessibili o meno dagli elettroni all’interno del reticolo, e principalmente risultano essere due: la banda di valenza e la banda di conduzione. In figura (2.1) possiamo vedere le possibili situazioni delle bande negli isolanti (a), nei semiconduttori (b) e nei conduttori (c,d). Figura 2.1: il modello a bande nei solidi Notiamo che gli isolanti hanno un’elevata energia di gap fra la banda di conduzione e la banda di valenza: ciò fa sı̀ che la densità degli stati occupati nella banda di conduzione sia praticamente nulla. Al contrario, il valore dell’energia di gap dei semiconduttori risulta essere intermedio a quello dei conduttori e degli isolanti: come già detto, a basse temperature la banda di conduzione dei semiconduttori sarà vuota al pari di quella degli isolanti, ma a temperatura ambiente avremo che l’energia di gap diminuisce sino al valore di Eg ≈ 1 eV. Tale valore è facilmente raggiungibile grazie all’agitazione termica, per cui viene a crearsi una concentrazione non trascurabile di elettroni nella banda di conduzione ed analogamente una concentrazione di lacune nella banda di valenza. Nei semiconduttori la conduzione è un processo che non coinvolge solamente gli elettroni, ma anche le lacune, ovvero i ”buchi” lasciati nel reticolo cristallino. La lacuna può essere riempita da un elettrone di un atomo adiacente, dando cosı̀ luogo ad una lacuna traslata: questo processo può essere indirizzato da un campo elettrico, che determina lo spostamento delle lacune in un verso preferenziale, opposto a quello degli elettroni. Un materiale con le caratteristiche sopra descritte si dice dunque semiconduttore intrinseco. In esso la densità di elettroni è uguale alla densità di lacune, e soddisfa alla relazione: CAPITOLO 2. GENERALITÀ SUI SEMICONDUTTORI n = p = ni ∝ exp −Eg KT 7 Per il germanio questo valore è circa 2.4 · 1013 cm−3 a 300 K , con un’energia di gap Eg,Ge ≈ 0.7 eV, mentre per il silicio avremo 1.45 · 1010 cm−3 a 300 K, con Eg,Si ≈ 1.1 eV. Tuttavia è possibile alterare intenzionalmente le proprietà di un semiconduttore intrinseco, svolgendo una pratica di drogaggio del materiale: piccole frazioni di specifiche impurità vengono aggiunte al semiconduttore, a seconda di ciò che si vuole ottenere. Come si è già sottolineato in precedenza, il silicio ed il germanio sono elementi del IV gruppo, quindi hanno entrambi quattro elettroni nella shell di valenza: i semiconduttori di tipo p ed i seiconduttori di tipo n sono ottenuti aggiungendo rispettivamente impurità del III gruppo e del V gruppo. Gli elementi del III gruppo della tavola periodica, come il boro, il gallio o l’indio, hanno tre elettroni di valenza, che combinandosi con i quattro del silicio o del germanio danno una configurazione di legame in cui manca un elettrone per completare l’ottetto di valenza: tale configurazione presenta un eccesso di lacune, le quali sono quindi dette trasportatori maggioritari ed il semiconduttore viene detto di tipo p o accettore. Gli elettroni in questo caso sono detti trasportatori minoritari. Viceversa nel caso di drogaggio con impurità pentavalenti, come l’antimonio, l’arsenico o il fosforo, queste presentano cinque elettroni nella shell di valenza: in questo caso i trasportatori di carica maggioritari sono gli elettroni, il semiconduttore risulta essere di tipo n, altrimenti detto donore, ed i trasportatori minoritari sono le lacune. Nella figura (2.2) possiamo vedere la rappresentazione dei legami nella shell di valenza per i semiconduttori di tipo n (a) e di tipo p (b). Figura 2.2: rappresentazione del legame di valenza nei semiconduttori di tipo n (a) e in quelli di tipo p (b) La statistica che mi permette di trattare un sistema di fermioni quali sono gli elettroni è la statistica di Fermi-Dirac, in base alla quale il numero medio di particelle nel livello energetico k è dato da − µ −1 ) = exp( KT n̄k,F D CAPITOLO 2. GENERALITÀ SUI SEMICONDUTTORI 8 1 e µ è il potenziale chimico. La distribuzione di Fermi mi rappresenta la dove β = KT probabilità di occupazione di un determinato stato. Al limite per T → 0, n̄k,F D diventa una funzione di Heaviside: definendo Ef = µ l’energia di Fermi a T = 0, si ha che n̄k,F D = 0 per ogni µ > EF , mentre n̄k,F D = 1 per ogni µ < Ef . Per un sistema a temperatura non nulla il livello di Fermi è per definizione il livello in cui la probabilità di occupazione è pari ad un mezzo. Utilizzando la statistica di Fermi-Dirac, la densità di elettroni o di lacune in un semiconduttore può essere calcolata nel modo seguente: Ec − Ef n = Nc exp − KT Ef − Ev p = Nv exp − KT dove Nc ed N v sono reali densità di stati sul bordo della banda di conduzione e della banda di valenza, E c , E f , E v sono le energie della banda di conduzione, del livello di Fermi e della banda di valenza, K è la costante di Boltzmann e T la temperatura. In un semiconduttore intrinseco il livello di Fermi sta circa a metà fra la banda di conduzione e la banda di valenza, in quanto (Ec − Ef ) ≈ (Ef − Ev ). In un materiale drogato invece, ad esempio di tipo n, dove n p, si avrà che − (Ec − Ef ) − (Ef − Ev ) ovvero che (Ec − Ef ) (Ef − Ev ) quindi il livello di Fermi è più spostato verso la banda di conduzione. Viceversa si avrà in un semiconduttore drogato p. La densità di carica totale intrinseca di un qualsiasi materiale risulta perciò −E np = n2i = Nc Nv exp KTg Una volta introdotti i portatori di carica nei semiconduttori risulta necessario capire come essi si muovano all’interno del materiale stesso. La quantità che mi descrive la capacità dei portatori di carica di muoversi sotto l’effetto di un campo di elettrico E è la mobilità µ , la quale risulta essere v (2.1) E dove v è la velocità di deriva. Il valore di µ dipende dalla concentrazione di drogaggio all’interno del semiconduttore, per il silicio non drogato questo valore risulta: µn ≈ 1350 cm2 /Vs e µp ≈ 480 cm2 /Vs . Invertendo la formula è possibile notare che la velocità di deriva v è direttamente proporzionale al coefficiente di mobilità µ. La resistività del materiale è legata alla densità dei portatori di carica e alla mobilità dalla relazione µ= CAPITOLO 2. GENERALITÀ SUI SEMICONDUTTORI ρ= 9 1 q (µn n + µh p) dove µn e µh sono rispettivamente le mobilità degli elettroni e delle buche, e q è la carica dell’elettrone. La resistività di un materiale drogato risulta essere più bassa di un semiconduttore intrinseco, in quanto nel primo si ha una maggiore densità di carica. In un semiconduttore in cui le impurità sono uniformemente distribuite, la densità di carica netta per un elemento di volume dV sarà nulla, quindi, chiamate N d ed N a le concentrazioni rispettivamente dei donatori e degli accettori, si avrà che: dq = q (p − n + Nd − Na ) = 0 dV In un materiale di tipo n avremo che al concentrazione di elettroni sarà q 1 2 2 Nd − Na + (Nd − Na ) + 4ni n= 2 analogamente per le buche in materiale di tipo p q 1 2 2 p= Na − Nd + (Na − Nd ) + 4ni 2 Si può vedere che, quando |Nd − Na | ni , le due formule possono essere scritte più semplicemente come n = Nd − Na p = Na − Nd Inoltre, quando in un materiale risulta molto dominante una concentrazione di impurità rispetto all’altra, ad esempio quando si ha Nd Na , la resitività assume la seguente forma ρ= 1 qµNd Se si riprende la formula per la mobilità dei portatori, Eq.(2.1), si vede che in essa compare la velocità di deriva dei portatori stessi. Il trasporto dei portatori di carica nei semiconduttori risulta essere dato da due contributi: la corrente di diffusione e la corrente di deriva. La prima risulta proporzionale al gradiente della densità dei portatori di carica, essendo essa determinata dallo squilibrio degli stessi in zone diverse del semiconduttore. La corrente di diffusione è quindi intrinseca al semiconduttore ed indipendente dalla presenza di un campo elettrico. La corrente di deriva al contrario è lo spostamento delle cariche dovuto alla presenza di un campo elettrico applicato al semiconduttore. Per i semiconduttori di tipo p e per quelli di tipo n avremo che: − → → − → − → − Jn = J n,drif t + J n,dif f = q µn n E + Dn ∇n → − → − → − → − Jp = J p,drif t + J p,dif f = q µp n E + Dp ∇p CAPITOLO 2. GENERALITÀ SUI SEMICONDUTTORI 10 dove D è il coefficiente di diffusione, il quale, in base alle equazioni di Einstein è dato da: Dn = KT µn q Dp = KT µp q Le relazioni di Einstein mettono in relazione le due costanti notevoli che caratterizzano il trasporto dei portatori liberi in un semiconduttore per deriva e diffusione. 2.1 La giunzione p-n L’evoluzione delle tecnologie dei semiconduttori è stata determinata tanto dalle proprietà chimiche dei materiali disponibili, quanto da quelle elettriche. Un’importantissimo passo avanti nello sviluppo dei semiconduttori si è avuto con lo studio della giunzione p-n. Consideriamo dunque due semiconduttori, uno di tipo p, e l’altro di tipo n, ciascuno con concentrazioni di impurità rispettivamente pari a N d e N a , e pensiamo di affiancarli l’uno all’altro, come in figura 2.3. Figura 2.3: la giunzione p-n Al momento della realizzazione della giunzione, gli eccessi iniziali di elettroni e di lacune derminano una corrente transiente diffusiva di elettroni verso il lato p e viceversa per le lacune, corrente che prosegue sino a che la differenza di potenziale che si instaura non bilancia il tutto, in una condizione di equilibrio dinamico, con un residuo e costante scambio di cariche attraverso la giunzione. In prossimità di questa si viene a creare una CAPITOLO 2. GENERALITÀ SUI SEMICONDUTTORI 11 zona di svuotamento, chiamata depletion zone, che mediamente, per una giunzione non polarizzata, presenta uno spessore di 10−6 cm, dove rimangono fisse le cariche dovute agli ioni, positive sul lato n e negative su quello p. La differenza di potenziale che si crea fra il semiconduttore di tipo p e quello di tipo n viene chiamata potenziale built-in, e risulta pari a VBI = KT Na Nd ln 2 q ni Per calcolare il potenziale ed il campo elettrico sulla giuzione p-n si può utilizzare la cosiddetta ”abrupt change approximation”, in base alla quale, considerata la densità di carica spaziale nelle regioni p ed n come −qNa e qNd , si avrà che Nd dn = Na dp dove dn e dp sono gli spessori della zona di svuotamento nel semiconduttore n e p rispettivamente. Si consideri ora l’equazione di Poisson d2 V ρ qNa =− = dx2 dove ρ questa volta è la densità di carica ed la costante dielettrica. Integrando due volte l’espressione e ponendo come condizione al contorno che il potenziale ed il campo elettrico siano nulli quando x = −dp si ottiene che ! d2p x2 qNa V = · + dp x + 2 2 Vediamo in figura 2.4 le distribuzioni della densità di carica ρ, del campo elettrico E e del potenziale V . Possiamo inoltre esprimere il potenziale su entrambi lati della giunzione come Vp = qNa d2p 2 qNd d2n 2 Se sommiamo queste due quantità otteniamo il valore totale della barriera di potenziale sulla giunzione, Vt , ed invertendo le formule possiamo calcolare l’ampiezza dello spessore di svuotamento su entrambi i lati della giunzione come funzione della differenza di potenziale, ottendendo che: v u 2V u t dp = t (2.2) a qNa 1 + N Nd Vn = v u u dn = t 2V t qNd 1 + Na Nd CAPITOLO 2. GENERALITÀ SUI SEMICONDUTTORI 12 Figura 2.4: distribuzioni sull’interfaccia di una giunzione p-n Figura 2.5: polarizzazione diretta, b), e polarizzazione inversa a) di una giunzione p-n Da queste equazioni vediamo come la zona di svuotamento si estenda fra le due regioni della giunzione in proporzione inversa alla concentrazione delle impurità, e grazie a questo fatto è possibile scegliere il materiale in partenza in modo tale da poter avere a piacere una zona di svuotamento pronunciata o più sottile, sia sul lato n che su quello p. A questo punto supponiamo di applicare dall’esterno una differenza di potenziale ai margini della giunzione. Le possibilità sono due: polarizzare direttamente la giunzione, (b), o, viceversa, polarizzarla inversamente (a), Figura 2.5. La polarizzazione diretta avviene quando la tensione applicata ha valore positivo sul lato p: in questo caso la tensione esterna si oppone al potenziale built-in, quindi la barriera di potenziale in prossimità dell’interfaccia è ridotta e si favorisce il passaggio dei portatori maggioritari, ovvero le lacune passeranno dalla parte p alla n, e viceversa per gli elettroni. Si crea quindi una notevole corrente diretta. La polarizzazione inversa determina l’effetto contrario: l’effetto del potenziale applicato sulla giunzione sta nel progressivo svuotamento ulteriore della stessa, esso infatti tenderà ad estrarre lacune dal lato p ed elettroni dal lato n, in un progressivo amplia- CAPITOLO 2. GENERALITÀ SUI SEMICONDUTTORI 13 mento della depletion zone. La zona di svuotamento risulta essere libera da portatori di carica maggioritari, ma in condizioni di equilibrio si generano continuamente al suo interno coppie elettrone-lacuna, che in assenza di una campo elettrico, si ricombinano all’istante. Se tuttavia è presente un campo, come nel caso della polarizzazione inversa, le probabilità che ciascuna coppia creata si ricombini immediatamante diminuiscono. Gli elettroni e le lacune che non si ricombinano si spostano sotto l’influenza del campo elettrico, dando origine ad una piccola corrente inversa, chiamata ”corrente di leakage” o ”dark current”. La giunzione p-n è quindi un diodo, in quanto favorisce il passaggio di corrente solo in un senso. Idealmente la densità di coppie elettrone-lacuna creata termicamente, ovvero l’intensità della corrente, non dovrebbe dipendere dall’intensità della tensione inversa applicata. Tuttavia, aumentando la tensione inversa, si raggiunge il cosiddetto ”breakdown effect”: gli elettroni e le lacune generati termicamente acquisiscono dal potenziale applicato energia sufficiente a produrre nuovi portatori, rimuovendo dai legami elettroni di valenza. Questi a loro volta contribuiscono a creare nuovi portatori, e cosı̀ via, innescando il tipico effetto di breakdown a valanga. Qualora i portatori di carica inizialmente disponibili non riescano ad acquisire sufficiente energia per innescare il processo di moltiplicazione, è possibile innescarlo con un opportuno campo eletrico esterno, secondo il cosiddetto effetto Zener. Figura 2.6: caratteristica tensione-corrente per una giunzione p-n È importante sottolineare che la giunzione p-n risulta essere una struttura indicata alla rivelazione di particelle se si trova nella configurazione di polarizzazione inversa, nella zona precedente al breakdown. In questo modo infatti la zona di svuotamento è aumentata di ampiezza: è infatti questa che permette di raccogliere le cariche che le passano attraverso in modo abbastanza semplice. Idealmente quindi si desidererebbe avere l’intero spessore del semiconduttore di tipo n svuotato dalle cariche, poichè aumentando la profondità della depletion zone si aumenta il segnale che si può raccogliere. Da notare infine che il punto di partenza utilizzato in questa breve trattazione del- CAPITOLO 2. GENERALITÀ SUI SEMICONDUTTORI 14 la giunzione p-n non è del tutto corretto: per crearla infatti non è sufficiene unire due semiconduttori drogati diversamente, in quanto gli spazio che in questo caso si verebbero inevitabilmente a creare risultano sempo troppo grandi se paragonati allo spazio interatomico all’interno del cristallo. Una reale creazione di una giunzione p-n avviene all’interno di uno stesso cristallo, variandone la densità di impurità da una zona all’altra. 2.2 La struttura MOS Con il termine MOS si indica quella struttura composta da metallo-ossido-semiconduttore, come rappresentato in figura (2.7), dove il più comune isolante utilizzato in caso di silicio è l’ossido di silicio SiO2 . Figura 2.7: la struttura MOS La struttura MOS si comporta come un condensatore a facce piane parallele, in cui l’armatura superiore è metallica, mentre quella inferiore è di materiale semiconduttore. Variando la tensione fra metallo e semiconduttore varia la carica immagazzinata all’interno, e ciò provoca una variazione nella conducibilità del semiconduttore. Essa risulta essere differente nei casi in cui il semiconduttore sia di tipo n o di tipo p. Si consideri ora un semiconduttore di tipo p. Si definisce la funzione lavoro qΦ come l’energia necessaria a muovere un elettrone dal livello di Fermi al vuoto. Il livello di Fermi, in accordo con la statistica Fermi-Dirac, è il livello in cui la probabilità di occupazione dello stato stesso è pari un mezzo. A seconda del metallo si avranno diverse funzioni lavoro Φm , cosı̀ come a seconda della concentrazione di impurità all’interno del semiconduttore avremo anche diverse Φs . Se consideriamo come metallo l’alluminio, e come semiconduttore il silicio, avremo che la differenza fra le due funzioni lavoro risulta essere pari a ∼ 0.8 V, Figura 2.8. L’affinità elettronica, qχs , è la differenza di potenziale fra la banda di conduzione e il vuoto. Si consideri all’inizio una situazione ideale in cui le funzioni lavoro nel semiconduttore e nel metallo sono uguali. Se non si applica alla struttura alcuna tensione esterna le buche saranno uniformemente distribuite nel semiconduttore, ed il campo elettrico sarà zero ovunque. Se si applica una tensione negativa al metallo le buche saranno attratte all’interfaccia semiconduttore ossido, e vi sarà accumulo di carica. Questa situazione si definisce ”accumulazione”. Una situazione differente si avrà nel caso la tensione applicata CAPITOLO 2. GENERALITÀ SUI SEMICONDUTTORI 15 Figura 2.8: funzioni lavoro ed affinità elettronica nella struttura MOS al metallo risulti positiva. Le buche a questo punto verranno allontanate dall’ossido, e si formerà all’interfaccia una zone carica negativamente. In questo caso avremo lo ”svuotamento”, o depletion. Tale situazione non risulta stabile, in quanto, se si aumenta il potenziale positivo sul metallo, si raggiunge un punto in cui le coppie elettrone-lacuna generate termicamente vengono separate dal campo elettrico, le buche si allontano dal metallo mentre gli elettroni si accumulano all’interfaccia ossido-semiconduttore. Questo sottile strato di carica negativa viene chiamato strato di inversione, o ”inversion layer”. Riassumendo quindi per la struttura MOS si possono avere quattro configurazioni possibili, a seconda del potenziale applicato sul metallo (gate): • condizione di banda piatta: il semicondutore è in una condizione uniforme sino alle vicinanza con l’interfaccia dell’isolante • accumulazione: i portatori di carica maggioritari vengono attratti verso l’interfaccia con l’ossido e si viene a crare un sottilissimo strato di cariche dello stesso tipo del semiconduttore • svuotamento superficiale: i portatori maggioritari di carica sono respinti dall’ossido, e si crea quindi all’interfaccia ossido-semiconduttore una zona di svuotamento isolante, il cui spessore dipende dall’intensità del potenziale applicato • inversione: all’interfaccia ossido-semiconduttore si forma un sottile strato di portatori di carica minoritari, seguito da un sottile strato isolante il cui spessore risulta essere indipendente dal potenziale applicato La struttura MOS è parte integrante nella struttura di un rivelatore in silicio. Capitolo 3 Rivelatori in silicio Come visto in precedenza, comparati con gli altri materiali, i semiconduttori godono di proprietà uniche, che li hanno resi molto adatti all’utilizzo per la rivelazione di radiazione ionizzante. Paragonando i semiconduttori ai più comuni rivelatori di particelle, che sono basati sull’utilizzo di gas ionizzato, è possibile apprezzare ancora di più i vantaggi dati dall’utilizzo di tale strumentazione nella fisica dei rivelatori. Ecco di seguito ricordate alcune proprietà fondamentali di tali materiali. Il piccolo valore dell’energia di gap fa sı̀ che vi sia un notevole numero di coppie elettrone-lacuna per ogni unità di energia persa dalla radiazione all’interno del semiconduttore, infatti il valore medio dell’energia necessaria per la creazione di una coppia elettrone-lacuna ad esempio nel silicio è di circa 3.6 eV, ed è circa un’ordine di grandezza più piccolo di quello di un gas, che è circa 30 eV. La notevole densità dei semiconduttori, (2.33 g/cm3 ), comporta, nel passaggio della radiazione, una notevole perdita di energia per unità di lunghezza attraversata, quindi è possibile costruire dei rivelatori molto sottili, che producono ugualmente un segnale sufficiente per essere raccolto ed analizzato. Infine, una prerogativa unica dei semiconduttori è la possibilità di creare al loro interno degli spazi di carica fissi, drogando il semiconduttore stesso con impurità specifiche. L’interazione della radiazione con i materiali semiconduttori genera come visto una serie di coppie elettrone-lacuna che fornisce il segnale da analizzare. L’energia persa durante il passaggio della radiazione viene però converita solo in parte in tale processo di creazione di coppie, dal momento che una parte diventa fononi, i quanti del campo vibrazionale all’interno di un solido, e perciò questa parte viene praticamente persa in energia termica. La frazione di energia convertita in coppie elettrone-lacuna è una proprietà intrinseca del materiale che dipende solamente in piccola parte dall’energia della radiazione incidente. La relazione che mi permette di collegare il valore medio del segnale con l’energia assorbita dal rivelatore risulta E dove N è appunto il valor medi del segnale, E è l’energia assorbita dal detector ed è l’energia necessaria per la creazione di una coppia elettrone-lacuna. Al valore di N si può associare una varianza, data dalla formula N= 16 CAPITOLO 3. RIVELATORI IN SILICIO 17 Figura 3.1: giunzione p-n come detector di particelle E dove F è il fattore di Fano, fattore che tiene conto dell’energia che non viene convertita in informazione rilevabile all’interno del semiconduttore. Dopo aver analizzato le principali caratteristiche di questi materiali si può pensare nuovamente alla giunzione p-n, che risulta essere uno strumento adatto al rivelamento di radiazione ionizzante. Una giunzione p-n può essere utilizzata sia senza alcuna tensione applicata agli estremi, sia in polarizzazione inversa. Quest’ultima configurazione permette di avere a disposizione una più ampia zona svuotata da cariche, che è il volume attivo del rivelatore, disponendo quindi di un volume utile maggiore. I più comuni rivelatori in silicio sono basati sull’utilizzo di un substrato di tipo n, facilmente reperibile nell’industria poichè molto utilizzato in elettronica. Come si può veder in figura 3.1, il diodo consiste di un substrato di tipo n, che nel bulk risulta essere poco drogato, mentre nella parte inferiore n+ in quella superiore p+ è pesantemente drogato. Lo scopo dell’impianto n+ è sia quello di fornire un buon contatto ohmico fra l’alluminio ed il substrato che quello di garantire un buon svuotamento del substrato stesso. Si definisce contatto ohmico un elettrodo non rettificante, a differenza del diodo, nel quale le cariche di entrambi i segni possono pasare liberamente. Nella giunzione, in assenza di radiazione incidente, scorre solo la piccola corrente di < 4N2 >= F · N = F · CAPITOLO 3. RIVELATORI IN SILICIO 18 leakage provocata dagli elettroni e dalle lacune generati termicamente, ma il passaggio di radiazione ionizzante rilascia una quantità di energia che va a generare il segnale da raccogliere. Le coppie elettrone-lacuna vengono separate dal campo elettrico e derivate verso gli impianti sul bordo: gli elettroni derivano verso l’impianto n+ , mentre le lacune verso quello p+ . Una struttura di questo tipo è adatta per il rivelamento dell’energia della radiazione incidente, mentre se si desidera rivelare sia l’energia che la posizione della particella si deve sviluppare un sistema più sofisticato di detector, come le microstrip. 3.1 Rivelatori a microstrip di silicio La tecnica inizialmente utilizzata per poter rivelare anche la posizione, non solamente l’energia, di una particella ionizzante che ha attraversato il detector è stata quella di segmentare l’anodo di raccolta del segnale in tanti piccoli diodi indipendenti, con relativa elettronica di lettura separata per ciascuno. Questo metodo porta alla realizzazione di rivelatori a microstrip a singola faccia. In figura 3.2 possiamo vedere la sezione di un rivelatore a microstrip in silicio. Figura 3.2: sezione di un single sided microstrip detector Esso è composto da un wafer sottile (30 µm) di silicio di tipo n, con una giunzione continua nn+ da un lato del wafer, ed un pattern di giunzioni np+ dall’altro lato. Sul wafer è applicata la tensione inversa, Vbias , necessaria allo svuotamento del detector, e necessaria per garantire il campo elettrico di raccolta del segnale. L’elettronica di read-out introdotta inizialmente presenta un canale di lettura associato ad ogni strip. La risoluzione in posizione raggiungibile è associata sia al metodo di read-out, sia allo spazio p fra ogni strip. Vi sono due tipi principali di read-out, uno digitale (sı̀/no), ed uno analogico (altezza del segnale). Nel read-out digitale la massima precisione raggiungibile è dettata solamente dallo spazio p fra le strip, mentre nel caso del read-out analogico la precisione può essere migliorata se il segnale viene raccolto da più di una strip: in tal caso la coordinata della posizione è determinata grazie ad un metodo di interpolazione. Tendenzialmente il primo metodo viene utilizzato se non è necessario ricavare informazioni sull’energia, e se l’accuratezza della posizione data dalla spaziatura p fra le strip è sufficiente. In questo CAPITOLO 3. RIVELATORI IN SILICIO 19 Figura 3.3: double-sided microstrip detector caso infatti la diffusione della nuvola di carica durante la raccolta risulta essere più piccolo della spaziatura fra le strip, quindi la raccolta del segnale avviene in una strip singola. Se invece la spaziatura interstrip è scelta piccola a sufficienza da avere una raccolta di segnale che coinvolge più di una, il metodo utilizzato è il read-out analogico, affiancato dall’interpolazione dei dati. Successivamente si è passati ad un’elettronica di read-out che non coinvolge tutte le numerose strip di un rivelatore. Questo è stato possibile grazie all’utilizzo di metodi, i cosiddetti charge division read-out, che permettono di collegare solo poche strip all’elettronica: le due tecniche principali utilizzate sono la divisione di carica resistiva , resistive charge division, e la divisione di carica capacitiva, capacitive charge division. Dal momento che gli elettroni e le lacune all’interno del wafer vengono mossi dal campo elettrico su lati opposti, è possibile usare entrambi i tipi di carica per determinare la posizione, costruendo degli accumulatori di carica da entrambi i lati del rivelatore. Nascono cosı̀ i rivelatori a microstrip a doppia faccia, Figura 3.3. Le strip perpendicolari sulle due facce permettono di ricostruire il punto spaziale di impatto della particella sul rivelatore utilizzando entrambe le proiezioni, dal momento che questi segnali sono originati dalla stessa nuvola di carica iniziale. 3.2 Camere a deriva di silicio Il rivelatore a deriva di silicio (SDD, silicon drift detector) è stato proposto per la prima volta nel 1984, da E.Gatti e P. Rehak. Il principio di funzionamento della camera a deriva si basa sullo svuotamento completo del semiconduttore da parte di un ”elettrodo virtuale” (anodo) e sull’applicazione aggiuntiva di un campo elettrico per il trasporto di carica. Si consideri innanzitutto un semplice rivelatore a giunzione p-n , come quello in Figura 3.1Il substrato n presenta da un lato la giunzione continua nn+ , e dall’altro la giunzione np+ . Si può supporre che il contatto ohmico n+ non debba estendersi in tutta l’area del wafer, ma possa essere posto in un qualsiasi punto della zona conduttrice non svuotata, riuscendo a svolgere comunque la sua funzione di raccolta del segnale. In questo modo sarebbe possibile coprire entrambi i lati con impianti p+ .Come si può vedere dalla figura 3.4, si immagini di avvicinare due rivelatori paralleli con substrato n, e giunzioni n+ e p+ sui lati opposti, in modo tale che gli elettrodi n+ siano a contatto. CAPITOLO 3. RIVELATORI IN SILICIO 20 Figura 3.4: principio di svuotamento nella camera a deriva. (a) Due giunzioni standard p-ncon impianti n+ , in contatto, (b) zona di svuotamento dei due detector quando viene applicato un potenziale inverso, si osservi sotto il profilo del potenziale che si viene a creare fra i detector; (c) zona di svuotamento di un singolo wafer di semiconduttore di tipo n con giunzioni p+ su entrambi i lati, con la curva del potenzile subito sotto; (d) wafer di semiconduttore completamenente svuotato. Si osservi la curva del potenziale a lato e la scomparsa del canale conduttivo all’interno del wafer stesso. CAPITOLO 3. RIVELATORI IN SILICIO 21 Si applichi ora la stessa tensione inversa ad entrambe le giunzioni. In questo modo si viene a crare una zona di svuotamento causata dall’impianto p+ . La giunzione nn+ non gioca alcun ruolo nello svuotamento, ma ha il solo compito di condurre gli elettroni rimossi dalla zona di svuotamento al contatto esterno. Se si considera questa volta un semiconduttore singolo con spessore doppio dei precedenti, e con impianti p+ su entrambi i lati del wafer, si vede che la zona conduttrice non svuotata all’interno del semiconduttore gioca lo stesso rulo degli impianti n+ , che tuttavia sono assenti. In questo caso la connessione con la parte conduttrice, ovvero con il contatto ohmico, si trova solamente sul bordo del wafer. Aumentando il potenziale applicato, la regione di svuotamento aumenta , fino ad arrivare al caso limite in cui l’intero bulk è svuotato, Figura 3.4 (d). Si presti attenzione alla forma caratteristica a ”grondaia” del potenziale che si crea all’interno del semiconduttore. Qui di seguito è riportato uno schema in cui si può apprezzare il passaggio da un diodo parzialmente svuotato ad un doppio diodo completamente svuotato, Figura 3.5. Figura 3.5: svuotamento progressivo di un diodo L’instabilità della zona svuotata a causa dell’agitazione termica può essere limitata se si pensa di riuscire ad inclinare il potenziale in modo tale che tutti gli elettroni generati all’interno del bulk vengano derivati verso l’anodo n+ . Ciò è possibile sovrapponendo un campo elettrico parallelo alle facce del wafer. In questo modo si riesce ad inclinare la valle di potenziale all’interno del substrato svuotato, in modo tale far convergere tutti gli elettroni all’anodo, come in Figura 3.6. CAPITOLO 3. RIVELATORI IN SILICIO 22 Figura 3.6: la valle di potenziale in un SDD. La forma a ”gutter” del potenziale è dovuta al completamento svuotamento del substrato, mentre l’inclinazione è data dal campo elettrico esterno sovrapposto parallelamente al wafer. Le lacune contemporaneamente sono derivate rapidamente verso gli impianti p+ , come si può vedere dallo schema in Figura 3.7. Figura 3.7: pincipio di funzionamento di una camera a deriva a semiconduttore Gli elettroni generati durante il passaggio di una particella vengono raccolti nella valle dalla posizione in cui sono stati generati e trasportati fino all’anodo. Il ritardo fra il passaggio della particella ionizzante ed il segnale raccolto all’anodo è dovuto alla deriva degli elettroni , perciò una misura di questo tempo di ritardo permette di stimare la distanza fra la posizione della particella ionizzante e l’anodo di raccolta. I pregi derivanti dall’utilizzo delle camere a deriva sono dati dalla non ambiguità della posizione in due dimensioni, dal momento che una coordinata è data dal tempo di deriva, e l’altra dalla segmentazione dell’anodo di raccolta. CAPITOLO 3. RIVELATORI IN SILICIO 23 Figura 3.8: Struttura base di un SDD Dalla parte opposta si ha però che la mobilità dei portatori di carica dipende fortemente dalla temperatura, quindi questo rivelatore necessita di un’attenta calibrazione. In media inoltre la velocità di deriva è ≈ 1 − 10 µm/ns, velocità che rende il rivelatore lento nella risposta, e nel caso di rivelamento di più tracce si limita fortemente la risoluzione se le distanze di deriva sono elevate, a causa della diffusione del segnale all’interno del rivelatore stesso. Riportiamo ora lo schema di base della struttura di un SDD, Figura 3.8. Si noti la serie di catodi di deriva, che sono gli impianti p+ nel caso il substrato sia di silicio di tipo n, i quali formano una regione di deriva su entrambi i lati del rivelatore, in modo tale da svuotare completamente il volume del substrato e garantire un costante campo elettrico parallelo al wafer. I catodi di deriva sono connessi fra loro da una serie di resistenze che va a costituire il partitore integrato di tensione. La sua funzione è quella di scalare il potenziale nel verso perpendicolare ai catodi in modo tale da inclinare la valle di potenziale all’interno degli elettrodi. Gli elettrodi di guardia, anch’essi degli impianti p+ , sono connessi con una certa periodicità ai catodi di deriva: questi permettono di scalare gradualmente il potenziale dall’alto valore negativo dell’area di deriva sino al potenziale nullo dell’impianto n+ sul bordo, non nel verso in cui lavora il partitore, ma nella zona del bordo. Il piccolo spazio disponibile fra la fine dei catodi di deriva ed il bordo del rivelatore è interessato da un forte campo elettrico, dal momento che il potenziale passa dall’alto valore negativo del catodo numero uno al valore nullo del potenziale sul bordo, perciò la funzione dei catodi di guardia è di notevole importanza. Solitamente inoltre alcuni dei catodi di deriva più vicini all’anodo sono portati ad una determinata tensione dall’esterno, per garantire che effettivamente le cariche vengano derivate verso l’array di anodi n+ , che sono chiamati ”zona di raccolta”. Convenzionalmente si ha che il lato della camera a deriva con gli anodi viene chiamato lato n, metre l’altro è il lato p. Capitolo 4 Caratterizzazione statica di una camera a deriva Obbiettivo di questo lavoro di tesi è stato la caratterizzazione statica di una serie di 47 camere a deriva di silicio, ovvero si sono eseguite quelle misure, preliminari al collegamento del rivelatore all’elettronica di lettura, che permettono di identificare da una parte potenziali difetti intrinsechi al bulk, e dall’altra la bontà degli impianti integrati, quali nello specifico del partitore di tensione, che, se difettosi, non assicurano il buon funzionamento dell’apparato. L’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare), ente che collabora attivamente al progetto, ha messo a disposizione una serie di camere a deriva di piccole dimensioni, derivanti dai wafer da cui si sono ricavati i rivelatori a silicio più grandi dell’esperimento ALICE al Cern, Figura 4.1. Figura 4.1: ALICE SDD 24 CAPITOLO 4. CARATTERIZZAZIONE STATICA DI UNA CAMERA A DERIVA 25 Figura 4.2: Camera a deriva utilizzata nelle misure Le misure sono state eseguite nella Probe Station dei laboratori dell’INFN a Padriciano, e sono di due tipi: misure della caratteristica I − V della camera, e misure della caratteristica V − V , entrambe svolte sia per il lato n che per quello p del rivelatore. Si considerino le camere a deriva piccole utilizzate in queste misure, Figura 4.2 La superficie attiva delle camere utilizzate è all’incirca pari a 1 cm2 , che risulta essere molto inferiore rispetto a quella dei rivelatori di ALICE, Figura 4.1 . Osservando inoltre in figura 4.1, si nota che la superficie del rivelatore è praticamente divisibile in due parti speculari, che in gergo sono chiamate up-half e down-half. Su entrambe le metà, il rivelatore di ALICE presenta i catodi di deriva e gli array di anodi di raccolta degli elettroni, mentre nella camera di dimensioni inferiori l’array di anodi è uno solo, ed in figura 4.2 vediamo essere posto sulla parte superiore al termine dei catodi di deriva. Precedentemente alla presa dati si è proceduti con la selezione delle camere a deriva, scelte fra quelle appartenenti ad un set di lotti già analizzati per l’esperimento ALICE dal gruppo di lavoro di Trieste . Una volta determinate tutte le camere da caratterizzare si è proceduto con la serie di misurazioni in camera pulita. La Probe Station consente di utilizzare un insieme di tre punte metalliche all’interno della camera pulita, da posizionare in zone specifiche del rivelatore a seconda della misura che si vuole ottenere. Tali punte poi sono collegate a due generatori di tensione e di lettura dell’intensità della corrente ad alta precisione. Data la ridotta dimensione delle punte e delle SDD, il posizionamento di queste ultime all’interno della camera pulita necessita dell’utilizzo di un miscroscopio ottico. La camera pulita consiste in una ”pentola” con coperchio ermetico, il quale viene richiuso una volta posizionata la strumentazione per poter prendere misure in una condizione di buio assoluto: data la sensibilità dei rivelatori CAPITOLO 4. CARATTERIZZAZIONE STATICA DI UNA CAMERA A DERIVA 26 risulta impossibile alcuna misura significativa in presenza di luce. Si osservi lo schema per il posizionamento delle punte sulla camera, Figura 4.3. Figura 4.3: simulazione del posizionamento delle punte Nello schema manca la punta 3, che è sempre posizionata sul bordo della camera, dove il potenziale va a zero. La numerazione dei catodi parte dal basso, catodo numero uno, e va verso l’alto, fino al catodo numero 82 per le camere piccole analizzate. La punta 1 è stata posizionata sul catodo numero uno, la punta 2 alternativamente sul catodo di guardia esterno al partitore, o sull’ultimo catodo 82 collegato al partitore, a seconda se la misura che si voleva effetturare era la caratteristica I − V , o la caratteristica V − V . 4.1 Caratteristiche I-V e V-V di un rivelatore Scopo della misura della caratteristica I − V di una camera a deriva è determinare l’andamento della corrente di leakage, o corrente di buio, delle lacune, in funzione del potenziale inverso, Vbias , applicato. La lettura dell’intensità avviene infatti sui catodi, ma analogamente alla corrente di buio delle lacune si avrà anche una corrente di leakage di elettroni sul bordo della camera, nella zona dell’impianto ad anello n+ . La misura della caratteristica I − V fornisce una stima della bontà del substrato, garantendo l’assenza di impurità o difetti. Una buona camera a deriva presenta una bassa corrente di leakage, quindi il confronto della caratteristica I −V delle camere ha portato alla determinazione della camera migliore con minore corrente di buio. Per la misura della caratteristica I −V il posizionamento delle punte è stato il seguente: punta 1 su catodo numero uno, punta 2 su catodo di guardia e punta 3 a massa sul bordo. La punta 1 fornisce il potenziale inverso, da 0 V a −80 V e legge la corrente che passa nel rivelatore, mentre la punta 2 posizionata sul catodo di guardia gli fornisce lo stesso CAPITOLO 4. CARATTERIZZAZIONE STATICA DI UNA CAMERA A DERIVA 27 potenziale del catodo numero uno, è ciò per evitare il fenomeno del punch-through con l’ultimo catodo numero 82 collegato al partitore.Il fenomeno del punch-throughconsiste in quanto segue: si consideri inizialmente una semplice struttura composta da due impianti p+ su un substrato n. Se si applica ad entrambi i catodi lo stesso potenziale inverso si ottiene una distribuzione del potenziale come in figura 4.4. L’altezza della sella di potenziale presente fra i due catodi dipende da molti parametri, fra i quali anche la resistività del semiconduttore e la distanza fra i catodi stessi. Tale sella si comporta come una barriera di potenziale nel caso in cui si passi da questa condizione di potenziale uguale per entrambi i catodi ad una situazione in cui si diminuisca progressivamente il potenziale di uno dei due. Essa infatti evita il passaggio di buche da un catodo all’altro. Nel momento in cui si diminuisce la tensione applicata ad un catodo la distribuzione del potenziale prende la forma come in figura 4.5. Figura 4.4: sella di potenziale con catodi alla stessa tensione Figura 4.5: corrente di lacune nel caso in cui un catodo sia posto a tensione inferiore In questo caso la corrente di lacune viene lasciata fluire dal catodo più positivo a quello più negativo. Quando gli elettrodi sono allo stesso potenziale il numero di lacune raccolto da entrambi è lo stesso, e dipende dal rate di creazione delle coppie elettrone- CAPITOLO 4. CARATTERIZZAZIONE STATICA DI UNA CAMERA A DERIVA 28 lacuna all’interno della zona di svuotamento. Se però la differenza di potenziale fra i due aumenta la corrente del catodo più negativo cresce a causa del maggior volume svuotato, sino ad arrivare ad un punto in cui il catodo più positivo inizia ad emettere lacune verso l’altro più negativo, e la sua corrente cambia segno. Il potenziale a cui succede questo fenomento viene chiamato potenziale di punch-through, Vpt . Nel caso di misure I − V si vuole che un tale fenomeno non avvenga in prossimità del catodo di guardia e dell’ultimo catodo di deriva collegato al partitore, dal momento che se ciò accadesse la corrente che andremmo a misurare non sarebbe solamente data dalla corrente di leakage delle lacune, ma tale valore sarebbe alterato dalla presenza della corrente di punch-trough. Scopo delle misure V − V è quello di osservare il buon funzionamento del partitore di tensione integrato nel rivelatore. Esso consite, in maniera semplice, in una serie di resistenze che collegano fra loro i catodi di deriva, Figura 3.8 : la bontà del partitore si osserva fornendo il potenziale agli estremi, e leggendo il potenziale in risposta. Più questo andamento è lineare più il partitore è costruito correttamente. Altresı̀ un mal funzionamento dello stesso si nota osservando lo scostamento dall’andamento lineare dei dati. Per la misura della caratteristica V − V il posizionamento delle punte è stato questa volta il seguente: punta 1 su catodo numero uno, punta 2 sul catodo numero 82 e punta 3 a massa sul bordo. 4.2 Analisi dati Nel caso della misura I − V l’interesse principale è osservare la presenza della corrente di leakage e la sua intensità all’interno dell’ SDD. La corrente di leakage è costituita dalla corrente dovuta a difetti locali sul rivelatore e dalla corrente di buio generata sia all’interno del bulk svuotato, sia all’interfaccia Si − SiO2 . A differenza dei rivelatori a microstrip, dove la corrente provocata da un difetto nel rivelatore è confinata all’interno delle strip interessate, un difetto simile se presente in una camera a deriva, si propaga ovunque sul detector causandone il malfunzionamento. Per le misure V −V , come detto in precedenza, l’interesse è determinare lo scostamento dei punti dall’andamento lineare del potenziale sul catodo uno, ed osservare quindi il comportamento del partitore di tensione. La strumentzione che controlla le punte in camera pulita è connessa ad un sistema di acquisizione dati che utilizza un programma LabView costruito apposta per le misure di caratterizzazione dei SDD, di cui qui sotto viene riportata la schermata principale da dove partono i comandi, Figura 4.6. CAPITOLO 4. CARATTERIZZAZIONE STATICA DI UNA CAMERA A DERIVA 29 Figura 4.6: il programma si acquisizione dati, schermata iniziale Figura 4.7: layout del programma La misura della tensione o della corrente avviene ad intervalli di un secondo, e ad ogni secondo corrisponde anche un aumento di un Volt del potenziale inverso: la durata complessiva di ogni tranche di misure è quindi di 80 s, nei quali viene applicato un potenziale inverso da 0 V a 80 V. CAPITOLO 4. CARATTERIZZAZIONE STATICA DI UNA CAMERA A DERIVA 30 Figura 4.8: andamento complesivo delle caratteristiche I − V di tutti i 47 rivelatori. Si è scelto di ingrandire la parte con valori di corrente compresi fra 0 nA e 25 nA dal momento che la maggior parte dei rivelatori analizzati presenta tale range operativo, e dal momento che il rivelatore ottimale scelto avrà corrente di leakage minore La precisione elevata degli strumenti, i quali presentano un errore associabile alla misura dell’intensità della corrente dell’ordine del f emtoAmpere, e la modalità di presa dati, permettono di considerare le misure prese come assolute: essendo infatti la corrente misurata dell’ordine del nanoAmpere, l’errore associabile è di sei ordini di grandezza più piccolo, e quindi trascurabile. Ad ulteriore prova che l’errore è trascurabile va il fatto che durante ogni secondo lo strumento di misura rileva quattro valori consecutivi, dei quali viene fatta una media, che è il valore letto e memorizzato dal computer. Una volta terminata la prima tranche di misure I-V per un lato del rivelatore, il computer richiede lo spostamento della punta, nel nostro caso la numero due, al fine di proseguire con la tranche di misure V-V, Figura 4.7 . La caratterizzazione complessiva di un rivelatore consta quindi di quattro misure, una misura I-V ed una misura V-V per lato. Il passo successivo alla presa dati è stata l’analizzazione dei file acquisiti ed il successivo plot degli stessi mediante l’utilizzo di Root. Di seguito è riportato un grafico complessivo dell’andamento della corrente di buio per tutti i 47 rivelatori, Figura 4.8. Da una prima analisi generale si osserva che la media della corrente di buio delle lacune si aggira attorno al valore di ∼ 20 nA. In base a questa stima iniziale è possibile localizzare immediatamente le camere a deriva che presentano dei difetti intrinseci, potendo scartare quindi già in partenza una buona fetta di sdd che presentano alti valori di corrente. Si osservino in Figura 4.9 ed in Figura 4.10 i grafici delle caratteristiche I − V e V − V di un esempio di rivelatore difettoso, in cui la corrente di buio esplode sino a 1000 nA ed il potenziale invece di seguire un andamento lineare presenta una brusca deviazione. CAPITOLO 4. CARATTERIZZAZIONE STATICA DI UNA CAMERA A DERIVA 31 Figura 4.9: caratteristiche (I − V ) e (V − V ) di un rivelatore con difetti intrisechi, lato n Figura 4.10: comportamento di un rivelatore con difetti intrisechi, lato p Come già osservato le possibili cause di questo comportamento sono da ricercare sia nella presenza di impurità all’interno del materiale, per quanto riguarda i grafici della caratteristica I − V , mentre per i grafici V − V in difetti di costruzione delle resistenze del partitore integrato, che scala la tensione dall’alto valore negativo del catodo numero uno fino al potenzile nullo sul bordo del detector. Si consideri ora l’andamento di un buon rivelatore, le cui caratteristiche sono graficate in Figura 4.11 e Figura 4.12. CAPITOLO 4. CARATTERIZZAZIONE STATICA DI UNA CAMERA A DERIVA 32 Figura 4.11: caratteristiche di un buon rivelatore, lato n Figura 4.12: caratteristiche di un buon rivelatore, lato p Si può vedere come la corrente di buio sia dell’ordine dei 5 nA per lato, mentre per quanto riguarda l’andamento lineare del potenziale, esso viene rispettato correttamente, denotando il corretto funzionamento del partitore. Infine sono riportati i grafici dei due migliori rivelatori scelti come candidati per la missione di AtmoCube. Rivelatore 65751, Figura 4.13e Figura 4.14. CAPITOLO 4. CARATTERIZZAZIONE STATICA DI UNA CAMERA A DERIVA 33 Figura 4.13: rivelatore 65751, lato n. La bontà del rivelatore si osserva dal basso valore massimo della corrente di leakage, indice dell’assenza di impurità nel substrato, e dall’andamento perfettamente lineare del potenziale nel partitore di tensione integrato nel rivelatore. Figura 4.14: rivelatore 65751 lato p Rivelatore 65746, Figura 4.15 e Figura 4.16. CAPITOLO 4. CARATTERIZZAZIONE STATICA DI UNA CAMERA A DERIVA 34 Figura 4.15: rivelatore 65746 lato n. La bontà del rivelatore si osserva dal basso valore massimo della corrente di leakage, indice dell’assenza di impurità nel substrato, e dall’andamento perfettamente lineare del potenziale nel partitore di tensione integrato nel rivelatore. Figura 4.16: rivelatore 65746 lato p Conclusioni Questo studio è stato finalizzato alla caratterizzazione statica di una serie di camere a deriva in silicio, al fine di determinare un possibile candidato da poter utilizzare sulla strumentazione a bordo del nanosatellite AtmoCube. Con caratterizzazione statica si intende quella serie di quattro misure sul rivelatore, caratteristiche I − V e V − V per il lato n e il lato p, che mirano ad identificare eventuali difetti presenti all’interno del substrato e dei circuiti integrati, misure che vengono effettuate prima del montaggio del rivelatore sulla scheda di lettura. L’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare), sezione di Tieste, ente che collabora attivamente in questo progetto, ha fornito i rivelatori in silicio e la possibilità di utilizzare la Probe Station ai Laboratori di Padriciano per effettuare tutte le misure. Scopo della misura I − V di una camera a deriva è determinare l’andamento della corrente di buio, o corrente di leakage delle lacune in funzione del potenziale inverso applicato. Una buona camera a deriva presenta quindi un basso valore di tale corrente. La caratteristica della misura I − V determina la bontà del substrato di cui è composto il rivelatore, e l’assenza al suo interno di impurità e difetti. Scopo della misura V − V è invece osservare la bontà del partitore di tensione integrato nel rivelatore, andando a vedere lo scostamento del potenziale letto al primo catodo in funzione di quello applicato sullo stesso. Un andamento non lineare è indice di un malfunzionamento dello stesso. Risultato delle misure è stata la selezione di una coppia di rivelatori, numeri 65751 e 65746, che presentano le migliori caratteristiche fra quelli testati. Dai grafici 4.15 e 4.13 si può osservare come il valore massimo della corrente di leakage sia molto basso, all’incirca pari a 5 nA, e l’andamento della tensione è perfettamente lineare, quindi i rivelatori soddisfano appieno tutte le caratteristiche richieste. La parte successiva di analisi dati che caratterizzerà ancora la camera a deriva sarà lo studio della stessa implementata con l’elettronica di lettura e l’analisi del rate di radiazione per orbita del satellite, al fine di stimare il tempo di vita del rivelatore sul satellite. 35 Bibliografia [1] R.S. Muller, T.I. Kamins, Device electronics for integrated circuits 1977 [2] G. Lutz, Semiconductor Radiation Detector, Device Physics, 1999 [3] G.F. Knoll, Radiation detection and measurement, 2000 [4] E. Gatti, P. 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Ringrazio inoltre Valter Bonvicini, Alexander Rashevsky, Gianluigi e Nicola Zampa, che, con il loro preziosissimo supporto teorico e tecnico, mi hanno accompagnata durante tutto questo lavoro, e sopportata durante le mie periodiche incursioni ai laboratori. Grazie a Giuseppe Della Ricca, per il tempestivo aiuto. Un GRAZIE a tutta la mia famiglia. Perchè ci sono sempre. Ed ora arrivate voi. Vorrei poter spendere una parola per tutti, perchè tutti indistintamente occupate un pezzetto dello spazio che c’è nella mia testa. Temo che questo però non mi sia concesso per svariati motivi, uno perchè non voglio concedermelo da sola (per non cadere in mielosità inutili ed eccessive che verrebbero bastonate tre secondi...) due perchè rischierei che la lunghezza di tutto l’anbaradan (in corsivo, come per le parole straniere) risulti faticosa da sopportare quasi tanto quanto lo sono stata io negli ultimi tempi..Quindi grazie alle persone che ci sono state sempre, per tante, tante infinite ore...a Damiana, per esser sempre capace di fare chiaro nella mia testa, a sior Giulio, ”si sedes non is, si non sedes is” , a Riccardo, per essere sempre e comunque il Dottor Comin. Grazie a Davide, per un sacco di cose, fra cui rimanere ancora un mistero; a Marco, per l’infinità di suoni onomatopeici di cui è capace; a Giulio, perchè finalmente riesco anch’io a vederlo sorridere. Ed infine grazie a Te. Ma come si fa a ringraziare l’autore stesso del lavoro? ecco, questo per la Tua seconda laurea. Per esserci stato, in ogni attimo, in ogni luogo, per aver condiviso con me ogni giorno di quest’avventura, per avermi incoraggiata costantemente e dato forza per andare avanti. Ma soprattutto per capirmi.