INDUZIONE DI EMOGLOBINA FETALE IN CELLULE ERITROIDI

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FERRARA
Facoltà di Farmacia
Dipartimento di Biochimica e Biologia Molecolare
Corso di laurea in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche
INDUZIONE DI EMOGLOBINA FETALE IN CELLULE
ERITROIDI ISOLATE DA PAZIENTI AFFETTI DA
-TALASSEMIA
I Relatore
Laureanda
Prof. Roberto Gambari
Stefania Spedo
II Relatore
D.ssa Nicoletta Bianchi
Anno Accademico 2003-2004
1
INDICE
INTRODUZIONE…………..………………………………………………………….4
1. Il differenziamento eritroide: aspetti generali…………………………………4
1.a. Il processo dell’emopoiesi…………………………………………………..4
1.b. L’eritropoiesi nell’uomo…………………………………………………….6
2. Modulazione temporale dell’espressione di globine umane durante lo sviluppo..8
3. Principali patologie a carico del sistema emopoietico………………………….14
4. Il fenotipo HPFH (High Persistance of Fetal Hemoglobin) ed il gene per le
-globine umane………………………………………………………………..20
5. Approccio terapeutico per la cura della β-talassemia: la riattivazione di geni
globinici endogeni…………………………………………………...…………24
6. Sistemi di colture cellulari in vitro nello studio dell’attività di molecole da
impiegare come possibili agenti eritro-differenzianti…………………………..30
6.a. Colture cellulari impiegate in saggi preliminari di un numero elevato di
composti, per testarne le potenzialità eritro-differenzianti……………………..30
6.b. Colture di precursori eritroidi isolati da sangue di precursori normali…….31
6.c. Coltura cellulare di precursori eritroidi, isolati da pazienti affetti da
-talassemia………………………………………………………………….…34
7. La Rapamicina: una molecola in grado di controllare la crescita cellulare e
modulare l’espressione genica………………………………………………….36
7.a. Cenni storici e struttura chimica della Rapamicina………………...……...36
7.b. Sintesi della Rapamicina…………………………………………………...37
7.c. Meccanismo d’azione della Rapamicina…………………………………...45
7.d. Attività antiproliferativa della Rapamicina………………………………...56
7.e. Effetto eritrodifferenziante della Rapamicina, una molecola che presenta
potenziale attività di induttore di emoglobina fetale…………………………...58
8. “Real-time quantitative RT-PCR” per l’analisi dell’espressione dei
geni globinici…………………………………………………………………...62
SCOPO…………..…………………………………………………………………….68
2
MATERIALI E METODI…………...……………………………………………….70
1. Coltura di precursori eritroidi isolati da pazienti affetti da -talassemia……....70
2. Preparazione della Rapamicina……………………………….………………..72
3. Estrazione dell’mRNA totale derivante da precursori eritroidi………………...72
4. Saggio dell’RNA………………………………………………………………..73
4.a. Quantificazione dell’RNA allo spettrofotometro ……………………….....73
4.b. Elettroforesi su gel d’agarosio……………………………………………..73
5. Reazione di retro-trascrizione per la produzione del templato di
cDNA dall’RNA di precursori eritroidi indotti e non dalla somministrazione
di Rapamicina…………………………………………………………………..75
6. Real-time quantitative PCR per la quantificazione dei geni globinici………….76
7. Analisi HPLC (High Performance Liquid Chromatography) per la
quantificazione delle globine in colture di precursori eritroidi isolati dal
sangue di donatori che presentano -talassemia………………………………..77
RISULTATI………………...…………...…………………………………………….79
1. Dati relativi ai pazienti analizzati…………………..………………………......79
2. Colture di precursori eritroidi da sangue di pazienti affetti da -talassemia…...81
3. Quantificazione del contenuto sia di HbF, che di Hb totale/cellula nelle
colture di precursori eritroidi trattate con Rapamicina…………………………82
4. Quantificazione dell’espressione dei geni globinici utilizzando la tecnica
della Real-time quantitative PCR………………………………………………85
5. Considerazioni globali sull’aumento di HbF e di mRNA specifico
per le γ-globine…………………………………………………………………91
DISCUSSIONE………………...…………...…………………………………………95
BIBLIOGRAFIA………………...…………...……………………………………….99
3
INTRODUZIONE
1. Il differenziamento eritroide: aspetti generali.
1.a. Il processo dell’emopoiesi.
Le cellule ematiche hanno una durata di vita limitata nel sangue circolante e vengono
continuamente rinnovate mediante il processo dell’emopoiesi nel midollo osseo.
Durante la vita intrauterina i primi precursori delle cellule ematiche sono riconoscibili
nel sacco vitellino; al secondo mese di gestazione inizia l’emopoiesi epatica che insieme
a quella splenica è preponderante fino al sesto-settimo mese. Successivamente, il
midollo osseo diviene il principale organo emopoietico, la cui attività riguarda all’inizio
principalmente le ossa piatte e lunghe, per divenire a carico delle vertebre, dello sterno,
delle costole e delle creste iliache. Il tessuto emopoietico rappresenta in condizioni
fisiologiche il 4-6% del peso corporeo di un individuo (1).
Tutte le cellule circolanti nel sangue derivano da un numero limitato di cellule staminali
pluripotenti di origine mesodermica, che rappresentano meno dello 0,01% delle cellule
nucleate del midollo osseo e sono le uniche in grado di autoreplicarsi e ad avere la
potenzialità di crescere e differenziarsi lungo le linee granulocitaria (neutrofili,
eosinofili,
basofili),
monocitica,
eritroide,
megacariocitica
e
linfoide,
come
schematizzato in Fig.1. Alcune delle cellule staminali si dividono dando origine ad una
progenie che perde la capacità di differenziarsi lungo le differenti vie e orienta il proprio
sviluppo verso una specifica linea emopoietica. Queste cellule progenitrici chiamate
committed (cioè destinate alla differenziazione secondo una sola linea differenziativa)
continuano a proliferare e a differenziarsi in precursori morfologicamente identificabili,
che vanno incontro ad un’ulteriore maturazione acquisendo nel contempo funzioni
altamente specializzate e perdendo la capacità di proliferare (2). Così, per effetto di
stimoli non ancora del tutto chiariti le cellule staminali prendono la via del
differenziamento verso la produzione di cellule progenitrici dei linfociti o di cellule
staminali mieloidi pluripotenti. Queste ultime a seguito di successive divisioni cellulari
danno origine a cellule che possono differenziare ulteriormente producendo:
4
1)mieloblasti da cui hanno origine i granulociti, 2) eritroblasti da cui derivano i
reticolociti e quindi gli eritrociti, 3) megacariociti da cui si formano, infine, le piastrine
(3) (Fig.1). Il passaggio delle cellule mature delle tre filiere emopoietiche nel circolo
sanguigno risponde a stimoli poco noti e avviene mediante un processo attivo, che
comporta la formazione temporanea di pori nella membrana delle cellule endoteliali (1).
mieloidi
linfoidi
cellula staminale
totipotente
progenitore
multipotente
progenitore
committed
megacariociti
neutrofili
basofili
eosinofili
eritrociti
piastrine
macrofagi
cellule mature
cellule B
cellule T
cellule NK
cellule dendritiche
Fig. 1. Rappresentazione schematica del processo dell’eritropoiesi nell’uomo.
L’eritropoiesi ha inizio dalla cellula staminale totipotente che differenzia dando origine
ai progenitori multipotenti (BFU-E). Da questi derivano poi le cellule committed
sempre più differenziate dalle quali origineranno le cellule mature del sangue.
Alla base del differenziamento c'è una particolare programmazione dell'attività genica,
responsabile della conservazione di questa "specializzazione", che mantiene repressa la
sintesi di geni, che non sono specifici di quel determinato tipo cellulare, ed invece
attivata la sintesi di altri geni. Il nucleo non è il solo responsabile di questa
programmazione, infatti, le cellule dei vari tessuti in un organismo hanno tutte DNA
identico. La diversa regolazione dell'attività genica che si attua nei vari tipi cellulari
dipende da segnali chimici che giungono al nucleo dal citoplasma, oppure, sempre
5
mediati dal citoplasma, anche da cellule circostanti o dall'ambiente esterno alla cellula.
Segnali chimici analoghi sono prodotti anche nel corso della vita della cellula
eucariotica, i cui complessi cicli vitali sono programmati da molecole specifiche
sintetizzate in particolari momenti e che inducono il nucleo a iniziare una nuova fase di
attività. Le interazioni nucleo-citoplasma sono quindi alla base sia del differenziamento,
sia della normale attività di una cellula nel corso del suo ciclo vitale. Il mantenimento di
questo stato differenziato è il risultato di un continuo dialogo tra ogni cellula ed il resto
dell'organismo, mediato da sostanze chimiche capaci di svolgere un'azione regolatrice
anche a distanza. Infatti, si può dimostrare come sia possibile ripristinare lo stato di
totipotenza di un nucleo di una cellula differenziata, inserendolo in un citoplasma di una
cellula embrionale, quindi privandolo dell'ambiente in grado di sollecitarlo verso un
ruolo definito (3).
I primi stadi dell’emopoiesi risentono del controllo da parte di una serie di fattori di
crescita, le cosiddette citochine, sintetizzate e secrete da svariate cellule midollari,
stromali e del sistema immunitario, che regolano, in un complesso sistema di
cooperazione, il differenziamento e la proliferazione delle cellule progenitrici. Tra
queste citochine troviamo ad esempio il fattore di crescita per le cellule staminali (SCF,
stem cell factor), l’interleuchina-3 e il fattore stimolante le colonie granulocitomacrofagiche (GM-CSF). Altri fattori di crescita come l’eritropoietina (EPO), la
trombopoietina (TPO), il fattore stimolante colonie macrofagiche (M-CSF) e il fattore
stimolante colonie granulocitarie (G-CSF), agiscono principalmente su progenitori
cellulari più maturi, già orientati verso un’unica linea di differenziazione. Questi fattori
di crescita hanno in comune la caratteristica di legarsi a recettori proteici dotati di
attività tirosin-chinasica, e sono quindi in grado di promuovere risposte complesse
coinvolgenti la fosforilazione di proteine bersaglio (1).
1.b. L’eritropoiesi nell’uomo.
L’eritropoiesi è il processo attraverso il quale a partire da cellule staminali pluripotenti
vengono prodotti gli eritrociti. L’eritropoiesi ha inizio con la differenziazione della
cellula staminale, che porta alla comparsa dei primi progenitori eritroidi. Gli stimoli che
regolano queste fasi iniziali sono in gran parte oscuri. E’ noto che l’IL-3 e il GM-CSF
6
possono incrementare la formazione dei progenitori eritroidi e che sono importanti le
interazioni con le cellule endoteliali, fibroblastiche e macrofagiche del microambiente
emopoietico (1). Per completare l’intero processo è richiesta la presenza di fattori
ematopoietici di crescita (HGFs), comprendenti molecole ad azione sia stimolatoria, tra
cui le interleuchine, che inibitoria, come molecole prodotte da una vasta gamma di
cellule. Altri fattori importanti di cui è richiesta la presenza sono, infatti:
l’eritropoietina, la vitamina B12, l’acido folico, la disponibilità di ferro e la presenza di
alcuni oligo-elementi come il rame, il cobalto e il nichel. Le cellule precursori degli
eritrociti, quando si dividono, diventano sempre più sensibili all’eritropoietina, ormone
polipeptidico prodotto dal rene e dal fegato in risposta allo stimolo ipossico inviato dai
globuli rossi, che ne stimolano la produzione provocando la divisione cellulare fino alla
completa maturazione dei precursori. Un adeguato apporto di vitamina B12 e acido
folico, indispensabili per la sintesi del DNA, è fondamentale per una corretta
differenziazione e maturazione delle cellule staminali.
La cellula eritroide più immatura, derivante dalla cellula staminale pluripotente, e che
puo’ essere isolata dal midollo osseo e/o dal sangue periferico è la cosiddetta BFU-E
(erythroid burst forming unit=unità eritroide formante grappoli), tali cellule possono
essere anche facilmente coltivate in vitro. Dopo 10-15 giorni di coltura la cellula BFU-E
dà origine ad una grossa colonia di precursori eritroidi già riconoscibili. La BFU-E
risponde ad alte dosi di eritropoietina, che a sua volta agisce sinergicamente con altri
fattori di crescita. La CFU-E (erythroid colony forming unit=unità eritroide che forma
colonie), cellula più matura, è molto sensibile all’eritropoietina e produce un più piccolo
clone cellulare dopo 4-7 giorni di coltura.
L’eritropoietina probabilmente interagisce con recettori specifici sulla membrana di
cellule progenitrici (committed) destinate a differenziare in senso eritroide, inducendole
a differenziarsi in pronormoblasti, i precursori eritroidi più precoci e riconoscibili
all’esame del midollo osseo. Normalmente il passaggio da proeritroblasto a eritroblasto
più maturo richiede tre o quattro divisioni cellulari, che hanno luogo in un periodo
superiore ai quattro giorni. Durante questo tempo il nucleo diviene più piccolo e una
quantità sempre maggiore di emoglobina viene sintetizzata nel citoplasma. Dopo
l’ultima divisione cellulare il nucleo picnotico viene estromesso dall’eritroblasto e si
forma così il reticolocita che rimane nel midollo per due o tre giorni e viene poi
7
rilasciato in circolo dove rimane per altre 24 ore prima di assumere l’aspetto
morfologico tipico dell’eritrocita maturo (con la perdita di mitocondri e dei ribosomi).
Una caratteristica dei precursori eritroidi (dal peritroblasto al reticolocita) è che queste
cellule possiedono un recettore di superficie specifico per il complesso ferrotransferrina, grazie al quale possono incorporare ferro a sufficienza per la sintesi
dell’emoglobina (2). L’eritrocita non è una cellula in senso stretto in quanto priva di
organelli cellulari, ma ha caratteristiche tali da essere in grado di trasportare grandi
quantità di gas, ossigeno e CO2, mediante la sintesi dell’emoglobina, proteina avente
funzione di trasporto di queste molecole, e presenta, inoltre, un favorevole rapporto
superficie/volume avendo un diametro di circa 8 m ed uno spessore massimo di 2 m
in modo da rendere più semplice la diffusione dei gas all’interno e all’esterno di questa
cellula (4).
2. Modulazione temporale dell’espressione di globine umane durante lo
sviluppo.
L’emoglobina rappresenta la proteina più importante tra i costituenti dei globuli rossi, la
cui funzione biologica è quella di trasportare l’ossigeno dai polmoni ai tessuti attraverso
il circolo sanguigno. Ha una struttura globulare costituita da quattro catene
polipeptidiche e quattro gruppi prostetici eme. Delle quattro catene globiniche due sono
catene “di tipo alfa” (zeta ed alfa), mentre le altre due sono “di tipo beta” (epsilon,
gamma, beta e delta); nell’adulto è prevalente l’HbA (97%), formata da due catene α di
141 residui e da due catene β di 146 aminoacidi, che si associano tra loro a formare una
struttura tetraedrica. Il 2-3% è rappresentato dall’HbA2, costituita da due catene  e da
due catene  e meno dell1% è rappresentato dall’HbF (emoglobina fetale) costituita da
due catene  e due catene . Quanto descritto è stato riportato con maggiori dettagli in
Fig.2.
Durante lo sviluppo dei proeritroblasti si ha un notevole incremento a carico della
trascrizione dei geni per le catene globiniche.
Le catene α e β dell’HbA contengono diversi segmenti ad α-elica separati tra loro da
ripiegamenti cosiddetti a -foglietto; le interazioni tra le due catene α e le due catene β
8
sono localizzate in prevalenza a livello di residui idrofobici, ma esistono anche
interazioni ioniche che coinvolgono i residui carbossi-terminali delle quattro subunità.
La sintesi di ciascuna di queste subunità è diretta da un gene corrispondente ed ereditato
da ciascun genitore.
Fig. 2. Differenti tipi di emoglobina nell’uomo. Le tre emoglobine embrionali
vengono prodotte nei primi mesi di gravidanza, al termine dei quali vengono sostituite
dall’emoglobina fetale, che a sua volta è sostituita dalle emoglobine adulte nei primi
mesi di vita. (Figura tratta dal CD informativo The Thal World, per gentile concessione
di Università degli studi di Ferrara e azienda USL Ferrara).
In ogni catena polipeptidica costituente l’emoglobina, posizionato all’interno di una
tasca idrofobica, si trova il gruppo eme, che in tale posizione stabilisce dei legami
idrofobici con l’interno ed eteropolari con la superficie della molecola. Il gruppo eme è
costituito da una complessa struttura organica ad anello, la protoporfirina, alla quale è
legato in posizione centrale un atomo di ferro nello stato di ossidazione ferroso (Fe2+).
L’atomo di ferro presenta sei legami di coordinazione, quattro dei quali sono posizionati
nel piano della porfirina ed impiegati all’interno del piano, mentre gli altri due sono
9
perpendicolari al piano ed associano l’eme al polipeptide stabilendo un contatto con
l’azoto imidazolico di due residui di istidina in posizione frontale rispetto all’eme
stesso. L’equilibrio che si viene a formare tra l’eme e la parte proteica è influenzato
dalla presenza di ossigeno; infatti, essendo l’ossigeno elettronegativo, tende a legare
l’atomo di ferro rompendo uno dei due legami di coordinazione con l’istidina. Ne
consegue che nell’ossiemoglobina il ferro è legato ad una sola molecola di istidina della
catena polipeptidica e ad una molecola di ossigeno, mantenendo costante la sua valenza
allo stato ferroso.
La struttura quaternaria dell’emoglobina è responsabile della sua affinità per l’ossigeno,
che diventa maggiore per le diverse subunità, man mano che l’ossigeno si lega ai gruppi
prostetici: il legame della prima molecola di ossigeno favorisce i legami di nuove
molecole di ossigeno alle altre subunità. Il movimento delle catene proteiche sono
essenziali per la cattura ed il rilascio di ossigeno, permettendo al gruppo eme di
assumere uno stato rilassato che favorisce il legame dell’ossigeno alla subunità
adiacente.
Durante le varie fasi di sviluppo di un individuo sono identificabili diverse forme di
emoglobina riassunte in Fig.2. È possibile, infatti, distinguere la produzione di tre
emoglobine embrionali nei primi mesi di gravidanza (Hb Gower1 ζ2ε2, Hb Gower2 α2ε2
e Hb Portland ζ2γ2), un’emoglobina fetale (HbF α2Gγ2 e α2Aγ2) la cui produzione
continua anche dopo la nascita andando a costituire per i primi sei mesi di vita il 5% di
tutta l’emoglobina.
Rispetto all’emoglobina di tipo adulto, l’HbF presenta un’affinità maggiore per
l’ossigeno: questo permette un efficiente trasferimento di ossigeno dal sangue materno a
quello fetale attraverso la placenta.
La differente espressione nel tempo, dal concepimento alla vita adulta, delle diverse
catene globiniche nell’uomo è rappresentata in Fig.3 ed è dipendente dall’attivazione e
dallo spegnimento di differenti geni globinici, attraverso processi di metilazione e
demetilazione, che ne caratterizzano lo switch (5, 6, 7, 8). Durante il periodo embrionale
sono attivi i geni responsabili della sintesi delle Hb Gower e Hb Portland, la cui
espressione diminuisce progressivamente dopo le due prime settimane di gestazione.
L’espressione del gene ζ diminuisce man mano che aumenta l’espressione del gene per
la globina α, mentre le globine ε sono sostituite dalle globine γ dopo sei settimane dal
concepimento. Le globine  a partire dalla ventiquattresima settimana da concepimento,
10
durante la fase fetale, raggiungono i livelli massimi presenti nell’adulto. Dopo la
nascita, la sintesi delle globine γ diminuisce sempre più, fino ad essere completamente
sostituita dalle globine β intorno al quarto anno d’età. In realtà una piccola percentuale
di HbF viene espressa ancora durante la vita adulta ed i suoi livelli possono variare
anche di dieci volte sotto l’influenza di fattori quali l’età, il sesso o peculiarità
genomiche, ad esempio mutazioni puntiformi nelle sequenze di DNA all’interno del
catene globiniche
cluster β o nei geni ad esso correlati.
prima della nascita
nascita
dopo la nascita
Fig. 3. Espressione nel tempo e nei diversi tessuti dei differenti tipi di catene
globiniche umane. Le catene globiniche umane sono espresse in percentuale di
emoglobina sul totale (figura tratta da: Olivieri NF. The β–Thalassemias. Medical
Progress, 341, 99-109, 1999).
Il clusters genico per le globine ε, γ, δ e β si trova sul cromosoma 11, mentre quello per
le globine ζ e α si trovano sul cromosoma 16, essi sono riportati in Fig.4. Nel
cromosoma 11 sono rappresentati anche gli pseudo-geni ψβ2 e ψβ1, mentre nel
cromosoma 16 è presente lo pseudo-gene ψα1. Per le catene di tipo γ va specificata
l’esistenza di due tipi diversi di globine che differiscono tra loro per la sostituzione di
una glicina con un’alanina in posizione 136 della catena peptidica e sono
rispettivamente denominate catene Gγ e Aγ.
11
A
Locus Control Region
2

G
A



cromosoma 11 (p15.5)
B
HS-Region


1  
cromosoma 16 (p13.3)
Fig. 4. Organizzazione dei clusters dei geni per le globine di tipo β (A) e dei geni
per le globine α (B), posizionati rispettivamente sul cromosoma 11 e sul
cromosoma 16. (Figura tratta dal CD informativo The Thal World, per gentile
concessione di Università degli studi di Ferrara e azienda USL Ferrara).
I geni β-globinici umani (ε, γG, γA, δ e β) sono raggruppati in un dominio di 70 kb sul
cromosoma 11. L’espressione dei geni β-globinici è regolata da una regione, di circa 25
kb, contenente una serie di siti ipersensibili alla DNasi I (5’HS), riconosciuti da quattro
fattori eritrospecifici (5’HS1-4), e uno riconosciuto da un fattore ubiquitario (5’HS5);
tale regione è collocata tra 6 e 18 kb a monte del gene per le ε-globine ed è chiamata
Locus Control Region (LCR). La sequenza LCR è indispensabile per l’attivazione della
trascrizione, infatti è stato dimostrato come la delezione di questa regione inibisca
l’espressione di tutte le proteine codificate dai geni contenuti nel cromosoma 11
provocando la -talassemia (9, 10). L’LCR svolge due ruoli importanti: 1) costituisce
una regione cromosomica “aperta”, ovvero più accessibile ai fattori di regolazione, e 2)
contiene delle porzioni ad attività fortemente enhancer, responsabili dell’elevata
espressione genica, differenziata temporalmente durante lo sviluppo embrio-fetale dei
diversi geni globinici (11). Ciascun promotore dei singoli geni β-globinici sembra agire
in sinergismo con l’LCR per controllarne l’espressione nel tempo, determinando il lo
“spegnimento” progressivo di alcune catene a favore di altre (12).
12
La sequenza LCR è stata parzialmente mappata ed è stata evidenziata una regione in
particolare: la regione 5’ HS2 che contiene due siti di legame per il fattore nucleare NFE2 (Nuclear Factor E2), sovrapposti al sito di legame per la proteina AP-1 (Activator
Protein 1) (13, 14). E’ stato dimostrato che questa regione di 46 bp è necessaria e
sufficiente per l’attivazione dell’espressione di un gene reporter -globinico posto sotto
il suo controllo trascrizionale (13). Per la completa attività del sito 5’HS2 è, inoltre,
necessario che si verifichi l’interazione di alcuni fattori trascrizionali con i loro siti di
legame localizzati all’interno di tale regione. Tra i fattori trascrizionali identificati
ricordo GATA-1 (erythroid cell- and megakaryocyte-specific trancription factor 1)
(15), TAL-1 (T-cell acute leukemia 1) (16) CBF-1 (C-promoter binding factor 1) (17),
USF (Upstream stimulatory Factor) (18), e YY1 (ying-yang 1) (19). Numerosi studi
suggericono che altre proteine possano essere implicate nel meccanismo di regolazione
genica come l’istone-acetil-transferasi (HATs), CREB binding protein (CBP) e p300,
importanti co-attivatori per la trans-attivazione dei geni globinici che mediano l’attività
enhancer dell’LCR (20).
Sembra che il meccanismo molecolare con cui l’LCR possa dirigere l’espressione
globinica sia la formazione di loop di DNA dovuti proprio all’interazione di complessi
multipli DNA-proteina coi singoli promotori per le diverse globine del cluster 
secondo un modello schematizzato in Fig.5.
Attivatori
13
Repressori
Regione
codificante
Coattivatori
promotore
Fattori basali
Fig. 5. Esempio di una struttura a “loop”. Nella figura sono schematizzate le regioni
interessate dal legame di fattori trascrizionali, che a loro volta interagiscono grazie alla
formazione di una struttura a loop con quelli riconosciuti in regioni più distali,
regolando l’espressione genica a livello delle regioni promotrici dei singoli geni
globinici.
(Figura
tratta
dal
sito
informativo
http://biology.kenyon.edu/courses/biol114/Chap10/Chap10.html).
3. Principali patologie a carico del sistema emopoietico.
Le patologie del sistema ematopoietico che colpiscono l’uomo sono suddivise in due
categorie principali entrambe dovute ad alterazioni ereditarie. Il primo gruppo è
costituito da quelle patologie in cui le catene globiniche prodotte sono caratterizzate da
variazioni a livello della sequenza aminoacidica, tra queste l’anemia falciforme. Il
secondo gruppo è caratterizzato, invece, da una minore od assente produzione di catene
globiniche (sindromi talassemiche).
Le sindromi talassemiche presentano dunque un disturbo a livello quantitativo e non
qualitativo delle catene polipeptidiche; in base al tipo di catena colpita dal difetto genico
si parlerà di -talassemia, -talassemia e -talassemia. Queste patologie rappresentano
14
uno dei disordini genetici più diffusi nel mondo e risultano particolarmente colpite le
popolazioni del bacino del Mediterraneo, dell’Africa, dell’India e dell’Oriente (Fig.6A).
In Italia prevalgono nettamente le forme di -talassemia, che risulta endemica nel delta
padano, in Puglia, Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna (Fig.6B).
A
B
Fig. 6. Aree geografiche maggiormente colpite dalla talassemia. Nella figura sono
rappresentate le zone endemiche dell’Italia (A) e del mondo (B), nelle quali la
talassemia è stata maggiormente riscontrata.
Gli studi genetici hanno dimostrato come le mutazioni responsabili dell’insorgenza
delle sindromi talassemiche siano originate casualmente in varie popolazioni e che un
criterio di selezione naturale, basato verosimilmente sulla maggior resistenza
15
all’infezione da parte dei parassiti malarici delle forme eterozigoti, abbia giocato un
ruolo importante nell’affermarsi di questa patologia in certe aree geografiche.
Alcune mutazioni genetiche che determinano l’insorgenza della talassemia possono
essere: la sostituzione di un codone codificante per un aminoacido con un codone di
terminazione, determinando un’interruzione prematura della trascrizione; l’alterazione
del quadro di lettura del codice genetico; un difetto a livello della maturazione o del
trasporto dell’mRNA dal nucleo al citoplasma, per cui il trascritto può essere degradato
all’interno del nucleo oppure, se la mutazione interessa regioni interne ad introni
localizzate lontano dal normale punto di separazione introne-esone, possono formarsi
nuovi siti di splicing, causando la produzione di mRNA sia normali che alterati. Infine,
ricordiamo le delezioni geniche, le principali delle quali sono riportate in Fig.7.
ε
G A
5’
3’
Talassemia
Talassemia
Hb Lepore
Talassemia
Talassemia
HPFH
Talassemia
Fig. 7. Delezioni geniche responsabili del fenotipo talassemico. Questo tipo di
delezioni possono interessare un’area genica più o meno vasta. In alcuni casi possono,
invece, provocare la riattivazione dei geni globinici di tipo gamma (come nel fenotipo
HPFH).
Le emoglobine Lepore prendono origine da un crossing-over non omologo fra i geni  e
 adiacenti. Tale evento genera una subunità globinica formata all’estremo N-terminale
da un tratto di catena  e all’estremo C-terminale da un tratto di catena .
16
Le α-talassemie sono più frequenti in Asia, in alcune regioni del bacino del
Mediterraneo ed in Africa, ed è molto rara tra le razze bianche. Essendo i geni
codificanti per l’ globina quattro, due per ciascun cromosoma 16 in un individuo
diploide, sulla base del numero di geni interessati dall’alterazione si distingueranno
diverse varianti di -talassemie. Tuttavia, la maggior parte delle -talassemie sono
dovute alla delezione di geni -globinici che possono essere di diversa entità, dando
quindi origine a quadri clinici di diversa gravità. La mancanza di tutti e quattro i geni α
porta all’insorgere di una patologia detta idrope fetale, caratterizzata da morte
intrauterina del feto o sopravvivenza di poche ore del feto nato a termine. In questa
patologia diffusa soprattutto in Asia, si ha la sintesi di emoglobine anomale: Hb Bart
(80%), costituita dall’unione di quattro catene , Hb Portland, costituita dall’unione di
due catene ζ e due  (20%). La malattia da HbH deriva invece dalla trasmissione di uno
solo dei quattro geni dell’-globina, con conseguente grave riduzione della sintesi di
questa catena. L’emoglobina formata è in prevalenza di tipo HbH e deriva dall’unione
di quattro catene . Siccome i tetrametri formati dalle catene  sono relativamente
solubili, la morte intramidollare degli eritroblasti è ridotta, mentre si assiste alla
formazione di precipitati emoglobinici in circolo (corpi di Heinz). I pazienti in genere
hanno un’aspettativa di vita normale, anche se possono andare incontro ad
aggravamenti dell’anemia in caso di infezioni.
La -talassemia minor deriva dalla delezione di due dei quattro geni globinici ed è una
condizione in genere clinicamente silente.
Le +-talassemie, causate non da una delezione, sono di solito prodotte da mutazioni
che comportano la ridotta espressione dei geni .
La β-talassemia viene classificata in due categorie a seconda del grado di mancanza di
globine β: β0-talassemia, quando vi è la totale assenza di sintesi di β-globine; β+talassemia, caratterizzata da una ridotta sintesi di β-globine negli omozigoti.
Esperimenti di sequenziamento dei geni per le globine β hanno permesso di evidenziare
più di 38 diverse mutazioni causanti la malattia, molte delle quali rappresentate da
mutazioni puntiformi. Le più comuni alterazioni, riportate in Fig.8, riguardano: a) la
regione promotrice del processo di trascrizione, le mutazioni in questa regione si
traducono in una ridotta trascrizione genica, responsabile dell’insorgere di una β+talassemia; b) regioni esoniche, dove la modificazione di un singolo nucleotide può
17
portare alla formazione di un codone detto di “stop”, che interrompe prematuramente la
traduzione dell’mRNA globinico, generando frammenti non funzionanti di β-globina e
provocando una β0-talassemia; c) regioni nelle quali le mutazioni possono determinare
un alterato splicing del trascritto primario, che viene degradato all’interno del nucleo,
portando ad una β0-talassemia. Possono verificarsi anche mutazioni all’interno di introni
e localizzate lontano dal normale punto di separazione introne-esone, ma generanti
nuovi punti di splicing. Nel caso in cui questi presentino anche i canonici siti di
splicing, si può avere la produzione di sia di mRNA corretti, che di mRNA alterati;
questa modificazione determina l’insorgenza di una forma di β+-talassemia.
Fig. 8. Rappresentazione schematica del gene per la β globina. Nella figura sono
anche indicati i principali siti nei quali sono state localizzate le mutazioni responsabili
di β-talassemie.
Il soggetto affetto da β-talassemia si trova in uno stato di anemia cronica dovuta, oltre
che alla mancata o ridotta sintesi di β-globine, anche al fatto che le catene α, che sono
normalmente prodotte, non trovando un’equivalente concentrazione di catene β alle
quali associarsi risultando in eccesso e legandosi tra loro per formare aggregati
18
insolubili. Questi complessi precipitano all’interno dei precursori eritroidi intramidollari
danneggiandoli. Si verifica così un’eritropoiesi inefficace. Non tutte le catene α in
eccesso precipitano, molte si associano alle catene γ originando molecole di HbF, e
alleviando la gravità della malattia nel paziente.
La talassemia major o morbo di Cooley, nella quale la malattia trova piena espressione
clinica, è sostenuta raramente da uno stato di omozigosi per il gene malato, molto più
frequentemente si tratta di una doppia eterozigoti per due mutazioni diverse, ereditate
ciascuna da uno dei due genitori. Si distinguono almeno tre categorie genotipiche: le
forme0/0, le forme 0/+ e le forme +/+. Ovviamente nel primo tipo l’HbA e l’HbA2
sono praticamente assenti e la quasi totalità dell’emoglobina è rappresentata dall’HbF,
mentre negli altri due tipi vi è sempre un’aliquota, in genere variabile tra il 15% e il
25% di HbA e HbA2.
Il soggetto affetto da morbo di Cooley presenta già dai primi mesi di vita pallore, ittero,
epatosplenomegalia. Si associano spesso sintomi sistemici quali anoressia, decadimento
delle condizioni generali e febbricola. Caratteristiche sono le alterazioni ossee dovute
all’espansione midollare, che si manifestano con la tipica “facies microcitemica”
determinata dagli zigomi sporgenti, dal naso con radice piuttosto infossata e dal cranio
rotondo e ingrossato. L’allargamento delle ossa craniche conferisce il tipico aspetto del
“cranio a spazzola”. La sopravvivenza dei soggetti affetti da -talassemia major è
limitata; nei casi più gravi non si arriva all’età adulta.
Le forme di talassemia intermedia, caratterizzate da doppia eterozigosi hanno
espressione clinica meno spiccata ed esordio tardivo. I soggetti affetti da questa
patologia possono mostrare un’anemia di grado variabile che può comparire anche
tardivamente. Lo sviluppo psicosomatico è regolare anche se alcuni soggetti possono
mostrare ritardo dello sviluppo nella sfera sessuale. E’ sempre presente una
splenomegalia che è in genere progressiva, tuttavia i soggetti affetti possono
sopravvivere fino ad un’età avanzata.
Nelle forme di eterozigosi o di talassemia minor, gli individui presentano un quadro
clinico con o senza anemia e la patologia è totalmente silente (1).
4. Il fenotipo HPFH (High Persistance of Fetal Hemoglobin) ed il gene
per le -globine umane.
19
La sintesi di emoglobina fetale è normalmente ridotta all’1-2% dell’emoglobina totale
nell’adulto, poiché è limitata progressivamente ad una sottopopolazione eritrocitaria
detta F-cells, che nell’85% degli individui adulti sani raggiunge un valore variabile
dallo 0,3% al 4,4% (21). In alcuni soggetti affetti da β-talassemia e che presentano
un’anormale espressione dei geni per le γ-globine questo fenomeno determina un
incremento nel livello di HbF, tale livello può raggiungere valori medi che vanno da un
2,5% ad un 20%. Questa condizioneviene definita HPFH (High Persistance of Fetal
Hemoglobin), nella quale l’incremento di HbF può raggiungere anche livelli superiori al
30% (22). La condizione fenotipica HPFH si manifesta con un’espressione dei geni per
le γ-globine attivi durante lo sviluppo fetale, che continua nell’adulto, quando
l’espressione dovrebbe invece essere repressa. I pazienti che manifestano un fenotipo
HPFH presentano un miglioramento del quadro clinico, grazie alla riattivazione dei geni
per le γ-globine, dove gli aumentati livelli di HbF sono in grado di supplire, almeno in
parte, alla carenza di HbA nelle sindromi talassemiche.
Pertanto, oggetto di indagine è l’identificazione e la caratterizzazione di composti
naturali, chimici od altri tipi di molecole, capaci di indurre il differenziamento eritroide
e la produzione di emoglobine embrio-fetali, nel tentativo di riattivare i geni endogeni
per le γ-globine.
Le alterazioni geniche che portano ad incrementati livelli di HbF sono a tutt’oggi
oggetto di studio, tuttavia sono state individuate due tipologie. Per il fenotipo HPFH di
tipo deletion sono state proposte tre cause: 1) la delezione di sequenze regolative nel
cluster genico per le β-globine, implicate nella modulazione sia positiva che negativa,
che produce un fenotipo derivante dalla funzione delle sequenze regolative restanti; 2)
una delezione che giustappone elementi enhancers in 3’ e normalmente localizzati a
valle del gene β, in prossimità dei geni γ, incrementandone l’espressione; 3) una
delezione che determina la continuità tra la regione di controllo del locus LCR ed i geni
γ, normalmente in stato quiescente. Nell’HPFH non deletion, invece, l’intero cluster 
risulta integro. Sono state descritte mutazioni nelle posizioni -202, -175, -161, -158 e
-114 del gene
G
, e -202, -198, -196, -195, -175, -117 e -114 nel gene A ilcui
promotore è ampliamente descritto in Fig.9.
20
Fig. 9. Rappresentazione del gene per le β-globine e del promotore del gene per le
-globine. Nella figura è rappresentato il cluster -globinico compresa la regione LCR
ed i cinque geni globinici. Nell’espansione è rappresentato il promotore del gene per le
-globine con le principali sequenze riconosciute da fattori di regolazione di questo
gene.
Queste mutazioni riguardano soprattutto regioni regolative a livello di siti di legame per
fattori trascrizionali sia ubiquitari, che eritro-specifici e sono riportate in tabella 1.
Probabilmente tali mutazioni alterano il legame con le proteine regolative della
trascrizione genica, comportando o un aumento l'affinità per fattori transattivanti, o
diminuendo l’affinità per repressori trascrizionali, oppure una combinazione dei due
meccanismi. Le mutazioni alle posizioni -202, -198, -196, -195 sembrano coinvolgere il
sito di legame della proteina ubiquitaria Sp1 (23). La mutazione -175 annulla in vitro il
legame della proteina Otc-1 (Octamer Binding Factor 1) ed altera il sito di legame di
GATA-1 ( erythroid cell and megakaryocyte-specific transcription factor 1) (24). Le
mutazioni -117 e -114 ed una delezione di 13 pb in questa regione riguarda un
21
complesso di siti per fattori trascrizionali, inclusa la sequenza CCAAT presente in
duplice copia, tra questi anche il sito di legame per GATA-1 ed il fattore eritroide
specifico NF-E3 (Nuclear Factor Erythroid 3). Le mutazioni -117, -114 e la delezione
di 13 pb sembra alterare in vitro il sito di legame di molte proteine: CP1 (poly(C)binding protein-1), CDP (CCAAT displacement protein), GATA-1 e NF-E3 (25).
Tuttavia, i livelli maggiori di HbF sono stati evidenziati in individui -talassemici
portanti una mutazione puntiforme in posizione -158 del gene G sia nello stato di
omozigosi che in eterozigosi (21). Le principali mutazioni responsabili del fenotipo
HPFH sono riportate in tabella 1.
Tabella 1. Principali mutazioni responsabili del fenotipo HPFH.
HPFH deletion
delezione (kb)
HPFH Sicilia/Mediterraneo
HPFH-4 (Italia)
13,4
40
HPFH non-deletion
mutazione
HPFH giapponese
G -114 C a T
G -114 C a G
G -158 C a T
HPFH australiana
HPFH Black
HPFH Black
HPFH Black/Sardegna/Inghilterra
HPFH Black
HPFH Black
G -161 G a A
G -175 T a C
G -202 C a G
A delezione da -114 a -102
A -114 C a T
A -117 G a A
A -175 T a C
A -195 C a G
HPFH Georgia
HPFH Greek
HPFH Black
HPFH brasiliana
HPFH cinese
A -196 C a T
A -198 T a C
A -202 C a T
HPFH inglese
HPFH Black
Il promotore del gene codificante per le -globine è stato ampliamente studiato, e sono
state identificate regioni altamente conservate, come la sequenza CCAAT ripetuta due
volte e la sequenza ATAAA, che costituiscono il promotore minimo in grado di attivare
la trascrizione a bassi livelli delle -globine umane (26). Un’altra regione regolativa è la
22
sequenza CACCC, riconosciuta dal fattore di trascrizione Sp1 e indispensabile per
aumentare l’espressione del gene per le -globine. E’ stato infatti dimostrato che
delezioni o mutazioni in questa sequenza portano ad una riduzione dell’attività del
promotore (27). Studi su precursori eritroidi coltivati in vitro hanno permesso di
identificare altri fattori implicati nella regolazione dell’espressione di questo gene, in
particolare sono stati identificati fattori leganti la sequenza CCAAT, quali CP1/NFY
(nuclear factor Y), CDP, NF-E3 e GATA-1. Quest’ultimo sembra avere funzione
repressiva, in quanto è stato osservato che in precursori eritroidi umani embrionali e
fetali l’interazione GATA-1/promotore non avviene, mentre si instaura nelle cellule
adulte in cui la -globina non è normalmente espressa (28). I fattori CP1/NFY e NF-E3
riconoscono invece la stessa sequenza ma sembra che, in cellule esprimenti le globine, CP1/NFY abbia una maggiore affinità per essa rispetto ad NF-E3 (25). In
posizione -280 della regione promotrice del gene A-globinico è stata individuata la
sequenza ATGCAAAT, riconosciuta dal fattore di trascrizione Oct-1 (Octamer Binding
Factor 1); una mutazione in questa posizione può attivare la trascrizine genica dell’HbF
e produrre il fenotipo HPFH. Questo dimostra l’importanza regolativa della sequenza.
(29).
La regione promotrice del gene per le -globine umane risulta pertanto estremamente
interessante e costituisce un modello sperimentale adatto a studi volti a chiarirne i
meccanismi di regolazione e modulazione trascrizionale. Essa rappresenta un
importante potenziale target per farmaci in grado di aumentare l’espressione di globine e di conseguenza anche i livelli di HbF, migliorando così il quadro clinico di
pazienti affetti da -talassemia.
5. Approccio terapeutico per la cura della β-talassemia: la riattivazione
di geni globinici endogeni.
23
La terapia più comune per le diverse forme di talassemia prevede la trasfusione di
sangue, indispensabile per fornire al paziente un carico di globuli rossi sani ricchi in
emoglobina normale perfettamente capace di trasportare ossigeno ai tessuti. Le
trasfusioni consentono anche di ridurre l’espandersi del midollo osseo e quindi le
alterazioni ossee e di limitare l’attività della milza. Esistono però degli svantaggi dovuti
al perdurare di questo programma terapeutico; infatti, con le trasfusioni sono introdotte
nell’organismo grandi quantità di ferro, presente nell’eme. Questa condizione determina
un fenomeno di tossicità per organi e tessuti detto iron overload, che va a danneggiare
soprattutto il cuore ed il fegato, ed è la principale causa di morte nei pazienti trattati con
cicli trasfusionali. Pertanto nella maggior parte dei casi i pazienti talassemici sono
sottoposti anche a una terapia chelante il ferro, utilizzando come farmaco la
Deferoxamina (DFO) somministrata per infusione sottocutanea mediante microinfusore
al fine di rimuoverne l’eccesso. Tale terapia risulta purtroppo difficile e dolorosa da
affrontare, e presenta molti effetti collaterali (deficit neurosensoriali delle vie uditive,
anomalie retiniche, danni renali e polmonari e, nei bambini, danni metafisari con
relative turbe dell’accrescimento) tanto da spingere numerosi pazienti ad abbandonarla.
Un’alternativa è rappresentata dal trapianto di midollo osseo, che permette un’alta
percentuale di guarigione qualora i pazienti arrivino rapidamente ed in buone condizioni
cliniche al trapianto. Per questa strategia è necessario disporre di un donatore di midollo
perfettamente compatibile per evitare fenomeni di rigetto. Poiché per impiantare un
nuovo midollo è necessario distruggere prima quello del ricevente, vengono impiegati
farmaci chemioterapici. Anche i globuli bianchi sono quindi eliminati e il paziente in
questa fase è sottoposto ad alti rischi di infezioni. Le cellule del midollo verranno poi
reintegrate con la somministrazione per via endovenosa di cellule sane e provenienti da
un donatore, che presenta caratteristiche di istocompatibilità simili al paziente.
Diversi sono gli approcci sperimentali attualmente in fase di studio. Uno di questi
riguarda la terapia genica. Grazie all’ingegneria genetica si potrebbe “inserire” un gene
per le β-globine normale in pazienti affetti da talassemia, sostituendo le funzioni del
gene “malato” con quelle del gene “sano”, opportunamente inserito nei precursori
eritroidi del paziente. Il sistema vettore all’avanguardia impiegato negli studi di
clonaggio è costituito da un vettore lenti-virale in cui vengono silenziati alcuni geni del
virus in modo da renderlo non patogeno. I problemi di questa terapia sperimentale
riguardano
soprattutto
l’identificazione
delle
24
sequenze
necessarie
per
avere
un’espressione elevata e stabile del gene da veicolare e lo sviluppo di vettori più efficaci
e sicuri per il suo trasferimento all’interno dell'organismo (30, 31, 32).
Altri approci nell’ambito della terapia genica riguardano l’utilizzo di ribozimi per la
cura delle emoglobinopatie. I ribozimi sono molecole in grado di legare e degradare uno
specifico prodotto genico. Sono stati messi a punto ribozimi specifici per la
soppressione degli mRNA per le -globine, molto utili nel contrastare la precipitazione
dei tetrametri -globinici, che causa gravi danni ai precursori eritroidi nella talassemia (33).
Altre strategie terapeutiche per la cura della talassemia sono in fase di studio. Una
strada che lascia sperare a futuri successi è quella di “riattivare” il gene che codifica per
le globine di tipo γ e permettere la produzione di HbF (α2 γ2), che potrebbe compensare
la carenza di emoglobina adulta. Se si potesse controllare lo switch globinico γ-β,
agendo su una specie di interruttore molecolare, si assicurerebbe al paziente talassemico
una quantità di emoglobina fetale tale da consentirgli condizioni di vita pressoché
normali (22, 34).
Per incrementare l’espressione di -globine è stato considerato anche l’utilizzo di virus
per il trasferimento in cellule totipotenti ematopoietiche di geni terapeutici privati degli
elementi patogeni e contenenti il gene per le -globine umane associato ad alcuni
elementi dell’LCR. Questi elementi consentono l’integrazione e l’espressione stabile del
transgene presentando un tropismo elettivo per le cellule ematopoietiche. In particolare
è stato realizzato un vettore per ottenere un efficace trasferimento genico nelle cellule
ematopoietiche umane (35).
Come possibile terapia per la talassemia è stato studiato anche l’impiego di molecole
come gli oligonucleotidi formanti tripla elica di DNA detti TFOs, che sono in grado di
alterare l’espressione genica sia in vitro che in vivo. Gli esperimenti sono stati rivolti
all’attivazione dell’espressione del gene per le -globine utilizzando TFO diretti contro
il promotore di questo stesso gene. I risultati ottenuti in questo senso hanno fornito
risultati interessanti, dal momento che uno di questi TFO è stato in grado di aumentare i
livelli di emoglobina (29).
Anche l’attività di acidi peptico nucleici (PNAs) è stata investigata in questo senso, dal
momento che queste molecole sono omologhe come struttura sia al DNA, che all’RNA,
ma presentano una catena peptica al posto dei residui saccaridici. Essi rappresentano un
buon sistema per modificare l’espressione di un gene ed hanno il vantaggio di essere
25
abbastanza resistenti alla degradazione da parte delle nucleasi. I PNAs sono in grado di
legare sequenze omopuriniche o omopirimidiniche a livello del doppio filamento di
DNA in modo specifico, formando un costrutto a tripla elica [PNA]2/DNA con un
singolo filamento di DNA e creando una struttura detta D-loop nel sito di legame del
PNA. Esperimenti in vitro hanno dimostrato la loro capacità di iniziare il processo di
trascrizione ed è stata valutata la possibilità di utilizzare queste molecole per indurre
l’espressione genica di -globine. Infatti, sono stati disegnati dei PNAs diretti contro la
regione 5’ promotrice del gene per le -globine ed è poi stata valutata in vitro la
modificazione dell’espressione di un gene reporter ad esso associato (36).
Un altro approccio terapeutico per la cura delle emoglobinopatie si basa su osservazioni
sperimentali che dimostrano come i geni globinici non siano repressi in maniera
irreversibile nelle cellule differenziate, per cui la loro espressione può essere facilmente
riprogrammata in presenza o in assenza di appropriati fattori di regolazione (37).
Diversi composti sono stati testati come agenti induttori del differenziamento eritroide;
tra questi ampiamente indagata è stata l’attività dell’idrossiurea (HU). Il meccanismo
con cui l’HU incrementa l’HbF in seguito ad un’azione sui precursori eritroidi tardivi
non è ancora del tutto chiaro. Le ipotesi sono molteplici: sembrano implicate la
alterazioni delle cinetiche cellulari e gli effetti citotossici (34). Oltre ad incrementare i
livelli di HbF, l’HU produce anche un aumento delle dimensioni cellulari e del
contenuto di emoglobina per cellula ed inibisce la proliferazione cellulare. L’effetto
massimo è stato ottenuto impiegando una concentrazione di 400 M, anche se buoni
livelli di induzione sono stati ottenuti a concentrazioni inferiori, da 100 M a 200 M,
con le quali la proliferazione cellulare è solo parzialmente inibita. L’attività dell’HU è
stata valutata anche in trials clinici, dove nel 75% dei pazienti trattati con idrossiurea è
stato dimostrato un incremento della sintesi di HbF (38).
Anche il composto antitumorale cytosine arabinoside (ara-C), già in uso nel trattamento
chemioterapico di diverse neoplasie umane come la leucemia acuta, ha dimostrato di
avere effetto eritro-differenziante. L’incremento di HbF in cellule K562 trattate è stato
ottenuto con concentrazioni da 100 a 300 nM, alle quali tuttavia il farmaco presenta una
forte tossicità. Alcuni studi hanno dimostrato che il trattamento contemporaneo con araC e retinoidi potrebbe mantenere l’effetto differenziante dell’ara-C a concentrazioni
inferiori in modo da diminuirne gli effetti tossici (39). Anche dal punto di vista
26
farmacocinetico l’impiego di ara-C presenta degli svantaggi; infatti, il tempo di emivita
plasmatico della molecola è molto basso (40).
Un altro agente induttore del differenziamento eritroide è la 5-azacitidina, un analogo
della citosina che a differenza di questa non può essere metilato. Esperimenti condotti
sui babbuini trattati con questo composto hanno dimostrato un aumento della sintesi di
HbF. Sembra che il fatto che la 5-azacitidina non possa essere metilata sia responsabile
della sua attività eritro-differenziante. Infatti, il grado di metilazione della sequenza
contenente il dinucleotide CpG è importante nella regolazione dell’attività genica e in
particolare l’ipometilazione è correlata con l’espressione genica (41, 42, 43, 44). Sia il
gene per le -globine, che quello per le -globine sono ipometilati durante il periodo
fetale, mentre nell’età adulta il gene  risulta metilato. Ciò fa pensare che la metilazione
sia uno dei meccanismi coinvolti nella diminuzione dell’espressione di questo gene
nell’adulto (45). Pertanto, l’incorporazione della 5-azacitidina nel DNA, una molecola
che non può essere metilata, permette l’espressione del gene -globinico anche
nell’adulto. Il composto non ha dimostrato invece effetto sull’espressione del gene  dal
momento che questo è già ipometilato in età adulta. L’uso in terapia della 5-azacitidina
non è ancora possibile a causa dei suoi numerosi effetti tossici, ma la molecola potrebbe
essere modificata in modo da ridurre l’effetto citotossico in maniera selettiva, non
alterandone le proprietà eritro-differenzianti (46).
Il sale ferrico-cloridico del gruppo eme, l’emina, ha anch’esso potere eritrodifferenziante. Gli studi svolti in questo senso hanno dimostrato che il trattamento con
emina produce un aumento specifico della produzione di HbF rispetto all’emoglobina
adulta nelle cellule K562. Lo stesso effetto si è riscontrato sia in cellule eritroidi isolate
da donatori normali, che da pazienti talassemici.
I risultati di questi studi indicano che l’acquisizione di eme da fonti esogene quali
l’emina, incrementa la sintesi di HbF nei primi stadi della maturazione cellulare. Ciò fa
supporre che, proprio la disponibilità di gruppi eme sia lo step limitante nel processo di
sintesi dell’emoglobina in questa fase. Sembra, inoltre, che l’uptake dell’emina sia
fisiologicamente regolato da un recettore cellulare ancora poco conosciuto. I livelli di
HbF in cellule trattate con questo induttore, sono massimi nei primi stadi della
maturazione cellulare, ma si è dimostrato che rimangono più alti rispetto alle cellule non
trattate anche nelle fasi successive del differenziamento cellulare. L’effetto inducente
dell’emina può essere notevolmente intensificato dal sinergismo con altri agenti
27
differenzianti, quali l’idrossiurea e la 5-azacitidina. Questi agenti si sono dimostrati
tossici alle concentrazioni terapeutiche, ma il loro uso sinergico con emina potrebbe
abbassare molto le concentrazioni richieste per ottenere l’effetto differenziante e
diminuirne così l’effetto tossico. L’emina è già stata somministrata a pazienti affetti da
porfiria dimostrando una buona tolleranza (47). L’unica preoccupazione per
l’introduzione dell’emina nella terapia della -talassemia è data dal fatto che i pazienti
affetti da questa patologia subiscono già numerose complicazioni causate del
sovraccarico di ferro derivante dalle continue trasfusioni e la somministrazione di un
derivato ferrico non migliorerebbe di certo questo aspetto (47).
Tra i composti indagati come possibili agenti differenzianti, alcuni hanno prodotto
risultati di notevole interesse: ad esempio molecole in grado di controllare il ciclo
cellulare, fattori di crescita ematopoietici, molecole leganti il DNA ed i butirrati.
Infatti, studi in vitro hanno dimostrato che anche l’eritropoietina (EPO) è dotata di
attività eritro-differenziante. La percentuale di HbF prodotta in cellule trattate con EPO
dipende dalla durata del trattamento e dalla concentrazione utilizzata. E’ stato
dimostrato che l’esposizione continua ad alti livelli di eritropoietina causa nelle cellule
un aumento dell’emoglobina totale, ma non un aumento dell’HbF. Dal momento che
durante lo sviluppo fetale i livelli di EPO non sono bassi così come nei pazienti
talassemici, nei quali l’espressione di HbF è più alta rispetto agli individui sani, sembra
che non vi sia una relazione tra alte concentrazioni di eritropoietina ed elevata sintesi di
emoglobina fetale in vivo, ma piuttosto che sia l’alternanza di alti e bassi livelli di EPO
a stimolare il differenziamento eritroide (48).
Tra gli composti studiati come potenziali agenti differenzianti ci sono anche molecole
che legano il DNA, i cosiddetti (DNA-binding drugs) che interagiscono con il solco
minore del DNA con selettività di sequenza. Questo legame perturba la struttura del
DNA e può inibire l’interazione tra fattori di trascrizione e promotore. Questo gruppo di
composti si può dividere in due sottogruppi principali, uno formato da quei composti
che hanno maggior affinità per le sequenze ricche in G+C, l’altro dai composti che
presentano maggior affinità per le sequenze ricche in A+T. Al primo gruppo fanno parte
ad esempio la cromomicina (49), la tallimustina (50), il cisplatino ( 51) e composti da
questi derivati, mentre al secondo gruppo appartengono la distamicina (50) ed i suoi
analoghi. Esperimenti condotti su cellule K562 e su colture di precursori eritroidi trattati
con questi farmaci hanno dimostrato un’induzione del differenziamento verso la linea
28
eritroide ma anche uno spiccato effetto antiproliferativo. Inoltre, si è avuto un aumento
della percentuale di emoglobina fetale rispetto all’emoglobina totale.
A questo gruppo di molecole appartiene la mitramicina, la sua attività differenziante è
stata valutata anche su colture cellulari di precursori eritroidi isolati dal sangue di
pazienti -talassemici, nei quali è stato dimostrato che incrementa la produzione di HbF,
anche utilizzando concentrazioni non tossiche per le cellule (52).
Anche l’angelicina, un composto di origine vegetale che appartiene alla categoria di
composti leganti il DNA, ha dimostrato buona attività eritro-differenziante (53).
Altri composti indagati come potenziali induttori del differenziamento eritroide sono i
butirrati. Il trattamento di eritroblasti isolati da pazienti -talassemici, ha dimostrato un
incremento dell’espressione di -globine variabile dal 15 al 50%. Esperimenti di
footprinting in vivo hanno dimostrato che tale aumento sembra essere associato ad una
alterazione nel legame di fattori trascrizionali a livello del promotore del gene per le globine (54).
Tra i derivati dell’acido butirrico sono stati ottenuti buoni risultati in seguito all’impiego
terapeutico del sodiofenilacetato (NaPA) e del precursore sodiofenilbutirrato (NaPB).
La loro somministrazione ha portato ad un incremento dell’espressione dell’mRNA per
le -globine due o tre volte superiore nei pazienti che sono stati sottoposti a questa
terapia (54). I butirrati rappresenterebbero una buona promessa terapeutica per un
possibile trattamento famacologico della -talassemia; purtroppo una limitazione al loro
impiego è causata dalla loro rapida eliminazione dal torrente circolatorio. Gli effetti di
molecole come NaPA e NaPB sulla proliferazione eritroide sono paragonabili a quelli
osservati in seguito al trattamento con molecole agenti sul ciclo cellulare, come la 5azacitidina, la Vinblastina e la Citarabina (55).
Tra le molecole potenziali induttori del differenziamento eritroide lascia buone speranze
la Rapamicina, ed è stata oggetto di studio di questa tesi.
6. Sistemi di colture cellulari in vitro nello studio dell’attività di
molecole da impiegare come possibili agenti eritro-differenzianti.
6.a. Colture cellulari impiegate in saggi preliminari di un numero elevato di
composti, per testarne le potenzialità eritro-differenzianti.
29
Le colture cellulari adatte a saggiare l’efficacia di possibili agenti terapeutici in grado di
modulare l’espressione dei geni globinici embrio-fetali comprendono sia linee cellulari
umane di origine tumorale di tipo eritro-leucemico, sia colture di precursori eritroidi,
dove le cellule possono essere ottenute dal sangue sia di donatori sani, che di pazienti
affetti da sindrome talassemica.
Le linee cellulari umane erythroid-like, come K562, HEL e UT-7, derivano da cellule
provenienti da pazienti affetti da diverse forme di leucemia mieloide. Queste cellule
sono state adattate a crescere in coltura e in alcuni casi stabilizzate.
Le cellule K562 sono state isolate da un paziente affetto da leucemia mieloide cronica
in crisi blastica terminale, in coltura crescono come cellule in sospensione, singole e
indifferenziate, ed hanno l’importante caratteristica di esprimere emoglobina a livelli
molto bassi nella condizione standard di coltura (56). Il terreno di coltura usato per
questa linea cellulare è costituito da
RPMI 1640 addizionato con penicillina e
streptomicina e 10% di siero fetale bovino (FBS). La coltura viene condotta in presenza
di CO2 al 5% a 37°C in atmosfera umidificata all’80%. Queste cellule rispondono al
trattamento con composti induttori del differenziamento eritroide aumentando in pochi
giorni l’espressione dei geni endogeni per globine embrio-fetali. Così la linea cellulare
K562 può essere stimolata da agenti come l’emina, la 5-azacitidina, l’HU, i butirrati.
L’attività eritro-differenziante, indotta sulla linea cellulare K562 viene valutata al
quinto, sesto e settimo giorno di trattamento utilizzando il saggio della benzidina
attivata con H2O2 che colora di un blu intenso le cellule indotte, ovvero le cellule
contenenti il gruppo prostetico eme. Numerosi studi hanno confermato la capacità
dell’ara-C di indurre il differenziamento eritroide in questa linea cellulare, per questo
motivo tale composto è usato come controllo positivo in questo tipo di saggi (21).
Queste linee cellulari costituiscono sistemi sperimentali estremamente utili, grazie alla
loro origine leucemica umana e al fatto di essere state ben caratterizzate; inoltre, poiché
si tratta di cellule tumorali, sono facilmente coltivabili in vitro, in quanto in continua
proliferazione, rappresentando anche un sistema anche economicamente poco
dispendioso. Vi è però una limitazione al loro utilizzo: sono usate soprattutto nei saggi
preliminari e nello screening iniziale, quando deve essere analizzata la potenziale
attività eritro-differenziante di un numero elevato di molecole, ma, esse non
riproducono tutti gli aspetti dell’eritropoiesi: infatti, a) le cellule K562 sono insensibili
30
all’eritropoietina; b) non producono Hb adulta; c) la loro stimolazione incrementa la
produzione di emoglobine sintetizzate già a livelli basali quando non ancora stimolate,
quindi la riattivazione genica non avviene a partire da uno stato completamente inattivo.
Infine, molecole induttori del differenziamento eritroide in queste linee cellulari non
sono state capaci di riprodurre l’effetto qualora somministrate in colture di cellule
staminali umane. Le colture di precursori eritroidi rappresentano, pertanto, un modello
cellulare più fisiologico e più attendibile, anche se molto più costose ed utilizzate in
saggi esclusivi e mirati all’analisi dell’attività di composti elettivi (57).
6.b. Colture di precursori eritroidi isolati da sangue di donatori normali.
Le colture di precursori eritroidi possono essere effettuate utilizzando sia terreni
semi-solidi, nei quali le cellule formano cloni, sia terreni liquidi, dove crescono come
cellule singole o clusters in sospensione. In entrambi i tipi di terreni l’EPO è essenziale
per il differenziamento cellulare.
Nel primo tipo di coltura le cellule emopoietiche possono derivare dal midollo osseo,
dal sangue periferico o da altre fonti, come ad esempio il fegato fetale, il cordone
ombelicale, o dalla milza adulta e vengono coltivate in terreni semi-solidi contenenti
metil-cellulosa o plasma coagulato. Ogni colonia rappresenta un clone derivante da
un’unica cellula progenitore committed. Le colonie iniziano a comparire dopo tre o
quattro giorni di coltura sino a raggiungere le loro dimensioni finali iniziando a produrre
emoglobina dopo una o due settimane. I vari tipi di progenitori possono essere distinti
sulla base delle dimensioni e del grado di produzione di Hb raggiunto ad un determinato
tempo: ad esempio, i cloni CFU-E (erythroid colony forming units) raggiungono i valori
massimi di questi parametri dopo una settimana di coltura; mentre la BFU-E (erythroid
burst forming units) compaiono dopo due settimane. Le colonie eritroidi possono essere
distinte dalle altre colonie (mieloidi) per la caratteristica colorazione rossa o per la
reazione con reagenti specifici per l’individuazione del gruppo eme, come la benzidina
attivata con acqua ossigenata. Contando giornalmente i differenti tipi cellulari delle
colonie si può avere una stima quantitativa della frequenza di differenziazione dei
diversi progenitori nei tessuti ematopoietici. L’analisi delle colture può essere eseguita
sull’intera popolazione cellulare, raccogliendo la coltura mediante il lavaggio della
31
metil-cellulosa, oppure prelevando una singola colonia con un tubo capillare. Il fatto
che in questo tipo di coltura le cellule siano immobilizzate in un terreno semi-solido
comporta notevoli svantaggi. Primo, le cellule prodotte per colonia e le cellule totali
nella coltura sono poche (meno di 105/ml) rendendo difficile la caratterizzazione
biochimica, molecolare e biologica dello sviluppo cellulare. Secondo, anche l’addizione
nel mezzo di coltura dei potenziali agenti differenzianti da testare presenta delle
difficoltà. Infine, è stato osservato che la produzione di HbF in colonie sviluppate in
terreni semi-solidi è molto più alta di quella prodotta in vivo dagli stessi donatori dai
quali sono state ottenute le cellule.
Per ovviare a questi ostacoli è stata messo a punto anche un tipo di coltura cosiddetta in
fase liquida (58, 59). La coltura di precursori eritroidi in terreni liquidi si svolge in due
fasi ed è riportata in Fig.10: una prima fase EPO-indipendente, in cui le cellule del
sangue periferico sono messe in coltura con una combinazione di altri fattori di crescita,
dove le cellule staminali pluripotenti BFU-E proliferano e differenziano in progenitori
CFU-E; nella seconda fase, al terreno viene addizionata EPO, le cellule continuano a
proliferare e a maturare in normoblasti ortocromatici e reticolociti. Nella fase EPOindipendente le cellule mononucleate da sangue periferico vengono isolate mediante
una centrifugazione in gradiente di densità con Ficoll-Hypaque, o Lympholyte-H, e
messe in coltura in terreno addizionato con citochine umane ricombinanti, fattori
stimolanti colonie di granulociti e macrofagi (GM-CSF), interleuchina-6 (IL-6) e stem
cell factor (SCF). Queste citochine possono essere rimpiazzate dall’utilizzo di terreno
condizionato, ottenuto da colture di linee cellulari derivate da carcinoma umano della
vescica, come la linea cellulare 5637. Questo terreno condizionato contiene una varietà
di fattori di crescita, ma non l’EPO. I linfociti possono essere rimossi dalla coltura,
separandoli con l'impiego di biglie magnetiche associate ad anticorpi specifici, oppure
addizionando ciclosporina A. Dopo una settimana di incubazione le cellule necessitano
di EPO per continuare il processo di differenziamento e proliferazione. Nella prima fase
le colture contengono cellule in adesione (soprattutto macrofagi) e cellule in
sospensione (soprattutto linfociti). Queste ultime vengono prelevate, lavate e rimesse in
coltura con nuovo medium addizionato di EPO. All’inizio di questa seconda fase i
linfociti continuano ad essere la popolazione cellulare più abbondante nella coltura. In
assenza di citochine, necessarie per la loro proliferazione le cellule non-eritroidi
arrestano il loro sviluppo. I progenitori eritroidi iniziano a proliferare e differenziare
32
intorno al quarto-quinto giorno della fase EPO dipendente in precursori eritroidi,
proeritroblasti, che possono essere eventualmente isolati con gradiente di Percoll e
rimessi nello stesso terreno. I proeritroblasti continuano a moltiplicare formando
clusters e poi larghi aggregati, che possono raggiungere le centinaia di cellule. Nella
tarda fase II (dall’undicesimo al quindicesimo giorno) queste cellule accumulano Hb e
differenziano in policromatici normoblasti. La coltura può essere protratta in queste
condizioni per circa due settimane.
I precursori eritroidi coltivati nelle condizioni sopra riportate derivano da sangue
periferico, che può essere facilmente disponibile e prelevabile da donatori sani e
consenzienti; esso rappresenta una sorgente di progenitori eritroidi omogenea, mentre
quelli presenti nel midollo osseo si trovano a vari livelli di sviluppo.
Questo sistema di coltura liquida in due fasi riproduce molti aspetti dell’eritropoiesi
come l'espressione degli mRNA globinici, gli antigeni cellulari di superficie, la cinetica
del ciclo cellulare, il metabolismo del ferro e della ferritina.
In questo modello è stata studiata l’espressione anche di fattori trascrizionali e proteine
specifiche, ad esempio è stato dimostrato che SP1, la -globina ed il fattore GATA-2
sono espressi ad altissimi livelli nei primi giorni della fase II. Nel periodo intermedio di
questa fase, mentre le cellule continuano a maturare, l’espressione di GATA-2 continua
sino a raggiungere i massimi livelli prima del declino, mentre la proteina EpoR
(recettore per l’eritropoietina) e i fattori di trascrizione GATA-1, EKLF (Erythroid
Kruppel-Like Factor) e NF-E2 (Nuclear Factor erythroid 2) raggiungono i loro massimi
livelli. Nella tarda fase II i geni globinici  e  aumentano e raggiungono i loro massimi
livelli di espressione. Nella fase EPO dipendente non è stata trovata invece espressione
di GM-CSF-R (recettore per i fattori GM e CSF). Per quanto riguarda l’espressione del
gene -globinico è massima all’inizio della fase II e decresce nel periodo intermedio
quando quella del gene -globinico inizia ad aumentare. L’incremento -globinico è
preceduto da un picco dell’espressione di GATA-2, GATA-1, EKLF e EpoR (60).
La coltura di precursori eritroidi può essere utilizzata per testare l'attività eritrodifferenziante di molecole potenziali induttori di emoglobine embrio-fetali; in tal caso i
composti sono generalmente aggiunti alla coltura durante la seconda fase, tra il quarto e
l’ottavo giorno. Poiché le cellule crescono in sospensione possono essere prelevati a
diversi intervalli di tempo campioni cellulari, per valutarne le caratteristiche. Ad
esempio, il contenuto di emoglobina può essere analizzato con diverse metodologie,
33
come la denaturazione alcalina, la colorazione con benzidina attivata con acqua
ossigenata, la cromatografia liquida ad alte prestazioni (HPLC) o l’analisi mediante
FACS, che prevede l'utilizzo di anticorpi fluorescenti e diretti contro i differenti tipi di
globine in modo specifico (57).
Invece, la quantificazione di mRNA può essere valutata utilizzando metodologie
classiche come il Northern blotting, ma anche l’RT-PCR quantitativa, usufruendo di
sofisticati Thermal Cyclers gestiti da particolari software. Utilizzando la tecnica
dell’RT-PCR è possibile studiare con accuratezza e precisione l’espressione genica nei
precursori eritroidi ottenuti con la coltura liquida in due fasi, anche nei casi in cui la
quantità di materiale a disposizione è molto scarsa.
6.c. Coltura cellulare di precursori eritroidi, isolati da pazienti affetti da
-
talassemia.
Nelle colture di precursori eritroidi isolati da sangue ottenuto da soggetti normali, cioè
proveniente dalla banca del sangue, generalmente vengono utilizzati volumi di sangue
tali da poter preparare 100 ml di coltura in fase liquida. In questo modo dopo dodici
giorni di coltura è possibile ottenere un totale di circa 3x108 cellule. Quando lo stesso
tipo di coltura deve essere eseguito isolando cellule staminali dal sangue di pazienti
talassemici, bisogna tenere conto del fatto che da questi soggetti vista la loro condizione
clinica non possono essere prelevati grandi quantitativi di sangue. Così, in genere, viene
utilizzato il volume minimo di sangue necessario per preparare 20 ml di coltura, tale
quantità può essere sufficiente per l’alta frequenza di precursori eritroidi, che vi sono
comunque contenuti, una situazione che è sostenuta e spinta dalla carenza stessa di
emoglobina. Questa coltura cellulare potrà produrre un massimo di 108 cellule; la
procedura per la preparazione del terremo per la coltura cellulare è comunque analoga a
quella descritta per i donatori normali e riportata in Fig.10. I tempi di coltura possono
però variare; infatti, colture di progenitori eritroidi isolati da pazienti affetti da
emoglobinopatie in un mezzo semisolido contenente metil-cellulosa sono state
confrontate con quelle ottenute da donatori sani. E’ stato dimostrato che la massima
formazione di colonie si ha in tempi leggermente più lunghi per le colture derivanti da
34
donatori malati rispetto a quelle isolate da donatori normali. Tuttavia il numero di
cellule finale è molto simile in entrambi i casi (61).
sistema di coltura liquida
Fase I-EPO
giorni 7
giorni 0-5
Fase II+EPO
giorni 6-10
giorni 11-15
Fig. 10. Rappresentazione schematica di un sistema di coltura liquida in due fasi.
Le cellule rimangono in coltura per 14 giorni, in cui proliferano e differenziano in
normoblasti ortocromatici che producono emoglobina (figura tratta da: Pope SH et al.
Two-phase liquid culture system models normal human adult erythropoiesis at the
molecular level. The European Journal of Haematology, 64, 292-303, 2000).
Le colture di precursori eritroidi isolati da pazienti affetti da -talassemia sono molto
importanti per lo studio di composti destinati alla cura di questa patologia. Infatti,
rendono possibile la verifica dell’effetto di questi possibili agenti terapeutici, poichè
presentano caratteristiche diverse rispetto a quelle normali e potrebbero quindi avere
anche una diversa risposta alla molecola di cui si intende testare l’effetto. Per questi
motivi esse rappresentano il modello di coltura in vitro per elezione.
35
7. La Rapamicina: una molecola in grado di controllare la crescita
cellulare e modulare l’espressione genica.
7.a. Cenni storici e struttura chimica della Rapamicina.
La Rapamicina, chiamata anche Sirolimo, è un macrolide isolato nel 1975 da un ceppo
di funghi (Streptomyces igroscopicus) trovati in un campione di terreno proveniente
dall’Isola di Pasqua nel sud del Pacifico (62). Il nome attribuitogli deriva proprio
dall’isola in cui fu stata scoperta detta anche Rapa Nui.
In origine questa molecola fu studiata per le sue proprietà antimicotiche (63),
successivamente fu analizzata l’analogia strutturale con il farmaco immunosopressore
FK506 (tacrolimus, Prograf), tanto che vennero verificate con successo le proprietà
immunosoppressive della Rapamicina (64). Quest’ultima scoperta aprì molte speranze
per il potenziale uso nel prevenire il rigetto nei trapianti d’organo e nel 1999 fu
approvata come immunosopressore dalla Food and Drug Administration (FDA). I
farmaci già impiegati per questo utilizzo, come la ciclosporina e l’FK506 erano efficaci
solo a breve termine, ma col passare del tempo potevano insorgere problemi di rigetto
(65). La nuova molecola agisce invece con un meccanismo d’azione diverso ed è per
questo che potrebbe aprire nuove interessanti sviluppi in questo campo.
La Rapamicina ha dimostrato possedere anche buone proprietà citotossiche, che
possono essere sfruttate nella terapia di patologie neoplastiche come potenziale agente
anticancro (66).
La molecola è formata da un anello a 31 atomi comprendente un anello piranoso, un
gruppo pipecolinico, un triene coniugato e una regione tricarbonilica. Sono presenti 15
centri chinali perciò il numero dei possibili stereoisomeri è enorme. La struttura chimica
è riportata in Fig.11.
La molecola ha un peso molecolare di 914,18 ed assorbe alla lunghezza d’onda di 589
nm (67).
36
Fig. 11. Struttura chimica della Rapamicina. La molecola è formata da un anello a
31 atomi, un gruppo pipecolinico, un gruppo piranoso, un triene coniugato ed una
regione tricarbonilica. Nella struttura sono presenti anche 15 centri chirali.
7.b. Sintesi della Rapamicina.
Questo composto naturale può anche essere sintetizzato chimicamente: la sintesi è
suddivisa in numerosi steps, nei quali vengono sintetizzate separatamente ed unite le
quattro subunità della molecola, che una volta assemblate daranno origine alla
Rapamicina (68, 69, 70, 71). Riporto di seguito lo schema generale della sintesi delle
diverse porzioni della molecola e riassunte in Fig.12.
37
A
B
E
C
Rapamicina
D
Fig. 12. Schema generale della sintesi della Rapamicina. La sintesi completa della
molecola è data dall’assemblaggio di cinque subunità distinte (A, B, C, D, E)
sintetizzate separatamente.
Sintesi della subunità A:
38
Sintesi della subunità B:
39
Sintesi della subunità D:
40
Unione delle subunità A+B+E:
41
Introduzione della subunità D:
42
Formazione del tricarbonile:
Introduzione della subunità C mediante la Reazione di still:
43
Rapamicina
7.c. Meccanismo d’azione della Rapamicina.
44
L’azione immunosopressiva, dovuta al blocco della crescita e della proliferazione delle
cellule T (72, 73) e quella antitumorale della Rapamicina (74, 75, 76) dipendono
sostanzialmente dal legame ad alta affinità con la proteina FKBP12. Il meccanismo
d’azione è conservato dai lieviti, Saccaromyces Cerevisiae dal quale la molecola è stata
isolata, fino all’uomo. Così, molte informazioni derivano da studi effettuati proprio sui
lieviti. FKBP12, un polipeptide di 12 kDa era precedentemente conosciuto per la sua
capacità di legare il farmaco ad azione immunosopressiva FK506 ed è stato dimostrato
essere una peptidilprolil rotamasi citoplasmatica (77, 78). Questa proteina non è tuttavia
il bersaglio attraverso il quale la Rapamicina blocca la crescita cellulare: è stato
osservato che in lieviti mutanti e mancanti della proteina FKBP12 la Rapamicina non
presentava effetti tossici, mentre altri suoi analoghi strutturali manifestavano attività
immunosopressiva. Pertanto FKBP12 e la Rapamicina agiscono legando un ulteriore
bersaglio.
Infatti, lieviti mutanti per la proteina TOR erano completamente resistenti all’inibizione
della crescita cellulare. TOR è codificata in Saccaromyces Cerevisiae da due geni
omologhi TOR1 e TOR2, le rispettive proteine TOR1 e TOR2 sono molto grandi, 280
KDa circa, ed hanno elevata analogia, essendo tra loro uguali per il 67%. E’ stato
osservato che le mutazioni di TOR1 (TOR1-1, Ser1972Arg) o di TOR2 (TOR2-1,
Ser1975Ile) impediscono il legame FKBP12-rapamicina a TOR e ciò dimostra che
questa proteina è il target vero e proprio della Rapamicina attraverso il quale viene
inibita la crescita cellulare (79, 80, 81, 82, 83).
TOR è stata ampiamente studiata ed è stato verificato il suo importante ruolo nel
controllo della crescita cellulare anche negli eucarioti. La maggior parte degli eucarioti
sembrano possedere un unico gene codificante per la proteina TOR, scoperto per la
prima volta nei mammiferi, per questo chiamato mTOR e identificato grazie alla sua
capacità di legare in vitro il complesso FKBP12-Rapamicina (84, 85, 86). La successiva
dimostrazione che una variante del costrutto mTOR, contenente una mutazione
(Ser2035Ile) analoga a quella precedentemente studiata nei funghi, conferiva resistenza
alla Rapamicina nelle cellule di mammifero, ha confermato che mTOR è il bersaglio in
vivo del complesso rapamicina-FKBP12 e che il meccanismo d’azione della
Rapamicina è conservato dai funghi ai mammiferi (79). In Fig.13 sono evidenziate le
parti della molecola di Rapamicina coinvolte nelle interazioni con queste proteine.
45
FKBP
TOR
Fig. 13. Rappresentazione delle parti della struttura della Rapamicina che
interagisono con i suoi bersagli. La linea tratteggiata blu indica la parte di molecola
che interagisce con la proteina TOR, mentre quella rossa indica la porzione che
interagisce con la proteina FKBP12.
Le proteine TOR, sia di mammifero che di Saccaromyces Cerevisiae, hanno attività
serin-treonin-chinasica. Studi genetici sui funghi hanno dimostrato che l’integrità del
dominio chinasico è essenziale per la funzione di TOR, la cui struttura è riportata in
Fig.14 (87, 88, 89, 83). All’estremità N-terminale del dominio chinasico TOR contiene
una regione di 100 amminoacidi chiamata FRB (FKBP-Rapamycin Binding) e legante il
complesso FKBP12-Rapamicina. La successione delle interazioni tra queste proteine e
la Rapamicina è rappresentata nella Fig.15.
46
proteina mTOR
Rapamicina
HEAT repeats
FAT
FRB
FATC
NRD
Dominio chinasico
Fig. 14. Struttura della proteina mTOR. Sono rappresentati i diversi domini
strutturali che compongono la molecola: a partire dall’estremità ammino-terminale
troviamo le sequenze ripetute in tandem HEAT, la sequenza FAT, il dominio FRB
(importante per il legame con le Rapamicina), il dominio chinasico ed, infine,
all’estremità carbossi-terminale le sequenza regolatoria NRD e la sequenza FACT.
Fig. 15. Rappresentazione sequenziale delle interazioni tra la Rapamicina e le
proteine FKBP12 e mTOR. Nel primo step la Rapamicina si lega alla proteina
FKBP12 e nel secondo step il complesso Rapamicina/FKBP12 si lega alla proteina
mTOR.
47
Quest’ultima si lega a regioni idrofobiche di FKBP12 e a regioni idrofobiche del
dominio FRB nel sito catalitico, facendo da collante tra mTOR e FKBP12 (90). Oltre al
dominio chinasico e al dominio FRB, la proteina TOR contiene all’estremità Nterminale 20 sequenze (HEAT repeats) ripetute in tandem (91). Il termine HEAT deriva
dalle iniziali delle quattro proteine in cui fu identificato per la prima volta questo
dominio: huntingtin, elongation factor 3, la subunità A della protein-fosfatasi di tipo 2A
(PP2A) ed, infine, nella proteina TOR. Ogni sequenza HEAT ripetuta consiste in una
struttura formata da due -eliche antiparallele di circa 40 amminoacidi (92, 93). È stato
ipotizzato che le sequenze ripetute HEAT nel lievito ancorino TOR alla membrana
plasmatica, probabilmente interagendo con una proteina transmembrana (94). Nei
mammiferi, più precisamente nei neuroni del cordone spinale mTOR sembra interagire
con una proteina appartenente al cluster dei recettori post-sinaptici della glicina (95).
Altri domini che caratterizzano la proteina TOR sono FAT e FATC. Il dominio FAT
dista circa 500 amminoacidi dal dominio FRB e sembra avere funzione di aggancio
nelle interazioni proteina-proteina, in modo simile agli HEAT repeats (96, 97). Il
dominio FATC è invece una sequenza di circa 35 amminoacidi all’estremità Cterminale della proteina, che è indispensabile insieme a FAT per l’attività chinasica,
consentendo una corretta esposizione del sito catalitico al bersaglio (98, 99). Il dominio
NRD, posizionato vicino a FATC, è invece un elemento di regolazione negativa,
imponendo una variazione configurazionale che impedirebbe l’esposizione del sito di
catalisi (100).
Questi domini strutturali sono tipici e riscontrati nei membri appartenenti alla famiglia
delle fosfatidil-inositolo-3-chinasi (PIK) (97, 101). Molti membri di questa superfamiglia sono implicati nel controllo del ciclo cellulare, della traduzione delle proteine e
della riparazione dei danni al DNA (102, 103). La proteina TOR rappresenta un sensore
che integra segnali extracellulari ed intracellulari, coordinando la crescita e la
proliferazione cellulari, i cui steps fondamentali sono riassunti in Fig.16. Su TOR
agiscono proteine come PI3K e PKB/AKT, mentre TOR agisce su p70S6K e 4E-BP1
(chiamato anche PHAS-I). Nella Fig.17 sono riportate in dettaglio le proteine ed i fattori
coinvolti.
48
mTOR è una chinasi critica nella
progressione del ciclo cellulare
Fig. 16. Schematizzazione dei principali effetti della Rapamicina. L’inibizione
dell’attività chinasica di mTOR porta alla defosforilazione delle proteine PHAS-1 (4EBP1) e p70S6K ed al conseguente blocco della traduzione, mentre l’up-regolazione
dell’inibitore delle cicline p27 provoca l’arresto del ciclo cellulare in G1 e il
conseguente blocco della sintesi del DNA, che avviene nella fase successiva S.
49
Fig. 17. Rappresentazione generale del meccanismo d’azione della Rapamicina.
Il complesso FKBP12-Rapamicina inibisce l’attività chianasica di TOR direttamente
(104, 105, 106), oppure bloccandone l’accesso ai substrati o l’interazione con altre
50
proteine. Tale inibizione impedisce la fosforilazione delle proteine p70S6K e 4E-BP1.
La p70S6K è una chinasi che è attiva nella sua forma fosforilata, e che fosforila la
subunità S6 della subunità 40S dei ribosomi consentendo l’attacco dell’mRNA ed
incrementando la traduzione (107); mentre 4E-BP1 è un inibitore della traduzione
quando defosforilato, che se fosforilato si dissocia dal fattore eIF-4E, che a sua volta
risulta libero di associarsi a eIF-4G, eIF-4A e eIF-4B dando inizio alla formazione del
complesso con il Cap 5’ di un mRNA per la traduzione proteica (108). Il fattore 4E-BP1
presenta 7 siti di fosforilazione, solo 4 di questi sono però importanti per il rilascio di
eIF-4E, che è inoltre dipendente dalla loro fosforilazione sequenziale (Fig.18).
Fig. 18. Schema della fosforilazione sequenziale di 4E-BP1. La proteina presenta 7
siti di fosforilazione, ma solo quattro di questi sono importanti per l’attività della
proteina. I primi due siti ad essere fosforilati da mTOR sono Thr37 e Thr46;
successivamente vengono fosforilati i siti Ser65 e Thr70 causando il rilascio di eIF4E
da parte di 4E-BP1 ed il conseguente inizio della traduzione.
Altre ipotesi vedono coinvolte in questo meccanismo ulteriori fattori proteici: una
proteina chiamata Raptor (regulatory associated protein of mTOR) e la proteina Tap42
(109, 98). Raptor è un polipeptide di 150 kDa che funziona da aggancio favorendo il
legame di mTOR ai suoi substrati 4E-BP1 e p70S6K; Raptor non modifica l’attività
catalitica di mTOR, ma si lega a p70S6K e a 4E-BP1 incrementando di quattro-cinque
volte la fosforilazione in vitro di entrambi operata da mTOR (110, 111). Il legame di
Raptor ai substrati e a mTOR è indispensabile per la fosforilazione catalizzata in vitro di
4E-BP1 (112, 111). Il legame di Raptor a p70S6K e a 4E-BP1 è mediato da una corta
sequenza conservata nei due polipeptidi, detta TOS (TOR signalling motif) (113);
mentre l’interazione di mTOR con Raptor è mediata dalle sequenze HEAT repeats
51
(110). Questa associazione è stabilizzata dalla proteina mLST8, un polipeptide simile
alla subunità  delle proteine G, e dipende anche dalla quantità di nutrienti disponibili
per la cellula. In assenza di aminoacidi Raptor si associa a mLST8 impedendo
l’interazione di mTOR coi suoi substrati (4E-BP1 e p70S6K); invece, la presenza di
nutrienti induce una modificazione conformazionale che rompe il complesso RaptormLST8, e rende mTOR capace di fosforilare i substrati (Fig.19) (114, 115).
In assenza di nutrienti
In presenza di nutrienti
Fig. 19. Modello dell’interazione tra le proteine Raptor e mTOR. In assenza di
nutrienti l’associazione tra Raptor ed mTOR è stabilizzata dalla proteina mLST8 ed
impedisce l’interazione tra mTOR ed i suoi substrati e la loro fosforilazione. In
presenza di nutrienti una modifica conformazionale distrugge l’interazione tra Raptor e
mLST8 rendendo possibile la fosforilazione da parte di mTOR delle proteine p70S6K e
4E-BP1, che si legano a Raptor.
E’ stato osservato che la Rapamicina impedisce l’interazione tra Raptor e mTOR nelle
cellule trattate: questo sembra essere un possibile meccanismo mediante il quale la
Rapamicina inibisce l’attività chinasica di mTOR (110, 112).
Anche la proteina di lievito Tap42, omologa a quella di mammifero 4, sembra essere
un bersaglio di TOR ed essere implicata nella cascata di trasmissione del segnale.
Tap42 lega la subunità catalitica della proteina fosfatasi 2A (PP2A). Il trattamento con
Rapamicina o la mancanza di nutrienti, dissocia Tap42 dalla subunità Sit4, una delle
subunità della PP2A (Sit4; Pph21; Pph22) (116). E’ stato dimostrato che mutazioni di
52
Tap42 conferiscono parziale resistenza alla Rapamicina confermando l’ipotesi che
l’attività chinasica di TOR è mediata da Tap42. Anche in nei mammiferi l’associazione
di 4 e PP2A è stata inibita dal trattamento con Rapamicina (117, 118, 119, 120).
L’associazione di Tap42 a PP2A è dipendente dalla fosforilazione operata da TOR
(121). Pertanto, l’interazione della Rapamicina con TOR inibisce la fosforilazione di
Tap42, liberando PP2A ed attivando Sit4 che potrà agire defosforilando i suoi substrati,
ovvero le proteine NPR1 e GLN3 (116). Quando NPR1 è defosforilata, viene attivata e
fosforila GAP1 e TAT2: GAP1 (una permeasi) quando fosforilata viene protetta dalla
degradazione consentendo agli aminoacidi di fuoriuscire dalla cellula, mentre la
fosforilazione di TAT2 favorisce la sua degradazione impedendo l’entrata di azoto nella
cellula (Fig.20). Per quanto riguarda GLN3, questo è un fattore trascrizionale regolante
l’espressione di Gln1 (Glutamina sintetasi), che quando defosforilato si dissocia dal
repressore URE2, viene traslocato nel nucleo, dove attiva l’espressione del geni
codificanti per proteine relate all’utilizzo dell’azoto (Fig.20).
L’inattivazione di TOR da parte della rapamicina può anche attivare i fattori di
trascrizione Mns2 e Mns4 coinvolti in situazioni di stress ossidativi, compresa la
carenza di carbonio per la cellula, che possono così dissciarsi da BMH2 e attivare
l’espressione di specifici geni bersaglio (122) (Fig.20).
La funzione di TOR oltre che dall’interazione con la Rapamicina, e dalla
concentrazione di nutrienti esterna alla cellula, può essere regolata in modo sia diretto,
che indiretto. Indirettamente, la fosfatidil-inositolo-3-chinasi (PI3K), attivata da fattori
di crescita esterni alla cellula (come l’insulina), produce PIP3 (fosfatidil-inositolo-3fosfato), che attiva PDK-1 e l’Akt-pathway (Fig.21), dove TOR potrebbe essere un
substrato diretto di PKB (123, 124, 125). Questo meccanismo può coinvolgere anche un
complesso proteico avente funzione di soppressore tumorale (costituito dalle proteine
TSC1 e TSC2), dove TSC2 è un attivatore di GTPasi, che stimola l’idrolisi di GTP
operata da Rheb, una GTPasi appartenente alla superfamiglia di Ras (126) e simile a
Rho. La Rapamicina blocca l’effetto stimolatorio di Rheb su TOR (Fig.21).
53
GAP1
Fig. 20. Rappresentazione del possibile ruolo della proteina Tap42 nella
trasmissione del segnale mediato da TOR. Tap42 lega la subunità catalitica della
proteina fosfatasi 2A (PP2A). Il trattamento con Rapamicina o la mancanza di nutrienti,
dissocia Tap42 dalla subunità Sit4, una delle subunità della PP2A attivandola. Sit4
agisce defosforilando i suoi substrati, ovvero le proteine NPR1 e GLN3. Quando NPR1
è defosforilata, vengono attivate e fosforilate GAP1 e TAT2, proteine coinvolte nella
permeabilità della membrana. GLN3 è un fattore trascrizionale regolante l’espressione
di Gln1 (Glutamina sintetasi), che quando defosforilato si dissocia dal repressore
URE2, viene traslocato nel nucleo, dove attiva l’espressione del geni codificanti per
proteine relate all’utilizzo dell’azoto.
54
Fig. 21. Regolazione dell’attività di mTOR mediante fattori di crescita. La
trasmissione del segnale avviene attraverso la via PI3K/Akt che può coinvolgere anche
un complesso proteico avente funzione di soppressore tumorale (costituito dalle
proteine TSC1 e TSC2), dove TSC2 è un attivatore di GTPasi, stimolante l’idrolisi di
GTP operata da Rheb, una GTPasi appartenente alla superfamiglia di Ras.
Nel lievito, che presenta due tipi di proteine TOR, TOR2 può funzionare come la
fosfatidil-inositolo-4 chinasi (PI-4K), che non è sensibile alla Rapamicina, ed è
coinvolta nel mantenimento della normale struttura del citoscheletro di actina attraverso
il pathway di integrine cellulari, rispondendo a stimoli di fattori di crescita (come
l’insulina) che agiscono a livello della parete cellulare. Questi sono sotto controllo di
Rho1, una GTPasi, che agisce sulla protein-chinasi 1 (PKC1), attivando la cascata delle
MAP-chinasi (127), attivando la trascrizione di geni coinvolti nella sintesi di proteine
strutturali di membrana (128, 129). Tuttavia, non è mai stata identificata una funzione
simile nelle cellule di mammifero.
55
7.d. Attività antiproliferativa della Rapamicina.
La Rapamicina è usata come immunosopressore ed antitumorale proprio per la sua
capacità di arrestare il ciclo cellulare nella fase G1. Le diverse fasi del ciclo cellulare
sono riportate in Fig.22.
Fig. 22. Rappresentazione schematica delle diverse fasi del ciclo cellulare. La
divisione cellulare costituita da mitosi e citodieresi, ha luogo dopo il completamento
delle tre fasi preparatorie che formano l’interfase ( G1, S e G2). Durante la fase S
(sintesi) si duplica il materiale cromosomico. Due fasi G separano la divisione cellulare
dalla fase S. La prima fase G1 è un periodo di accrescimento generale e di replicazione
degli organuli citoplasmatici. Durante la fase G2 si assemblano le strutture direttamente
associate ai mitocondri e alla citodieresi. Dopo la fase G2 vi è la mitosi (la divisione del
nucleo) che è generalmente seguita dalla citodieresi (la divisione del citoplasma). La
Rapamicina agisce bloccando le cellule nella fase G1 del ciclo cellulare.
I linfociti T prima di entrare nella fase G1 devono essere stimolati dalla presenza di
antigeni che si associano alle cellule presentanti l’antigene (APC) e questo complesso
interagisce col recettore situato sulle cellule T (TCR) attivandole. Quest’interazione
56
produce una serie di reazioni di fosforilazione a cascata, attivando l’espressione genica
nei linfociti T. Tra i geni che vengono attivati ricordo l’interleuchina-2 (IL-2), che
secreta dalle cellule stimola la divisione cellulare seguendo la progressione verso la fase
G1 del ciclo. Nella fase S successiva dovrebbe venire duplicato il DNA ed essere
sintetizzate le proteine, prima che inizi la fase di mitosi (fase M). La progressione del
ciclo cellulare è regolata da numerosi geni comprendenti oncogeni, fattori di
trascrizione e geni relati al ciclo cellulare. E’ stato ampliamente dimostrato che il
controllo del ciclo cellulare dipende dall’assemblaggio, attivazione e rottura di
complessi proteici contenenti cicline e chinasi ciclina-dipendenti. Le cicline di tipo D e
le loro subunità catalitiche (Cdk4 e Cdk6) giocano un ruolo importante e questi
complessi proteici sono regolati da una serie di piccole proteine aventi funzione
inibitoria. Nei mammiferi sono presenti due famiglie di inibitori, che agiscono secondo
meccanismi e bersagli specifici, una delle quali comprende p21, p27KIP1, p57KIP2, che
inibiscono complessi proteici contenenti Cdk2, Cdk3, Cdk4 e Cdk6. Una varietà di
segnali esterni alla cellula possono regolare l’attività di questi inibitori, che
impediscono la sintesi di DNA e la progressione del ciclo cellulare, portando le cellule
al differenziamento terminale (130). Gli inibitori p21 e p27KIP1 mediano l’associazione
del complesso ciclina D1/Cdk4 e Cdk6. La formazione del complesso p27/ciclina
D1/Cdk4 è favorita da fattori di crescita attraverso il pathway di attivazione PI3K/Akt.
L’arresto del ciclo cellulare in G1 è dipendente dalla scissione di p27KIP1 dal complesso
e dal suo assemblaggio alla ciclina E/Cdk2 (131).
Sembra che la Rapamicina, sia nei lieviti che nei mammiferi blocchi le cellule nella fase
G1. Nei mammiferi la Rapamicina inibisce il passaggio dalla fase G1 alla fase S, un
processo che è indotto dal recettore dell’IL-2, impedendo l’attività di mTOR e la
fosforilazione della proteina p70S6K, ed inibendo così la proliferazione delle cellule T.
E’ stato dimostrato che la Rapamicina induce apoptosi nelle cellule derivanti da
monociti (come le cellule dendritiche) (132). Un meccanismo proposto per spiegare
l’effetto antiproliferativo della Rapamicina è che questa molecola up-regoli
l’espressione di p27KIP1 (133); tuttavia questo non sembra essere l’unico meccanismo
coinvolto, infatti sembra che questa up-regolazione di p27KIP1 sia associata anche con
l’apoptosi indotta da fattori di crescita, come GM-CSF, o dalla inibizione di PI3K (134).
Insieme a p27KIP1, anche p53 è coinvolto nella regolazione del ciclo cellulare, nella
riparazione di danni al DNA, nel mantenimento della stabilità genetica, nell’induzione
57
della morte cellulare dovuta ad apoptosi, e sono anche considerati repressori tumorali.
La p53 è una proteina legante il DNA che svolge soprattutto la funzione di
oncosopressore inibendo l’espressione di geni tumorali; tuttavia la p53 può anche
stimolare altri geni a produrre p21, che quando associata a Cdk2 impedisce la
progressione del ciclo cellulare bloccando le cellule in G1.
Inoltre, sembra che p53 possa essere fosforilata da mTOR (e tale fenomeno può essere
anche indotto dall’irradiamento con raggi ionizzanti gamma od UV) attivando geni che
promuovono l’apoptosi mediata dai mitocondri, con l’attivazione della caspasi-3 e la
conseguente frammentazione del DNA. E’ stato dimostrato che anche la Rapamicina
può indurre l’apoptosi, ma solo nelle cellule tumorali che mancano della funzionalità di
p53, attraverso la cascata delle JNK chinasi.
La proprietà antiproliferativa della Rapamicina è studiata non solo per la terapia di
neoplasie, o come immunosopressore nei trapianti, ma anche come antivitale. Infatti, la
Rapamicina inibisce la traduzione di proteine codificate da RNAs che presentano in 5’
una sequenza polipirimidinica. Nel genoma del virus HIV-1 (Human Immunodeficiency
Virus Type 1) è stata identificata una sequenza di questo tipo nell’esone 2 del gene
codificante per la proteina tat, una proteina fondamentale per la replicazione virale. E’
stato dimostrato che il trattamento con Rapamicina di linfociti T umani provoca una
diminuzione della replicazione di HIV-1 (135).
7.e. Effetto eritrodifferenziante della Rapamicina, una molecola che presenta
potenziale attività di induttore di emoglobina fetale.
Gli effetti della Rapamicina sul differenziamento eritroide e sulla crescita cellulare
sono stati
determinati utilizzando per questo studio iniziale colture di cellule
eritroleucemiche umane K562 (56, 136, 137). Solo in seguito all’evidenza di un’attività
della molecola su questo modello cellulare l’analisi è stata condotta anche su colture di
precursori eritroidi, impiegando mezzi liquidi di coltura differenti, in due fasi
successive. La metodica è stata descritta da E. Fibach (58, 59) e si è dimostrata molto
utile per identificare molecole in grado di indurre la sintesi di emoglobina fetale (HbF)
in precursori eritroidi derivanti da soggetti normali.
58
In questi saggi le cellule K562 sono state trattate con FK506, Rapamicina e Ascomicina
a diverse concentrazioni. I dati sono stati, inoltre, confrontati a quelli ottenuti con un
controllo positivo, costituito da cellule K562 trattate con Idrossiurea (HU), un composto
noto come stimolatore della produzione di emoglobina fetale nei precursori eritroidi
adulti (38) e già in uso nel trattamento di pazienti affetti da anemia falciforme e talassemia . Al sesto giorno dal trattamento è stata valutata la presenza di emoglobina e
quindi il differenziamento verso la linea eritroide delle cellule trattate usando il saggio
della benzidina attivata con acqua ossigenata. I risultati hanno dimostrato che tra le
molecole testate solo la Rapamicina è in grado di indurre il differenziamento eritroide
nel range di concentrazioni utilizzato. E’ da sottolineare che l’inibizione della crescita
cellulare dovuta al trattamento con Rapamicina avviene solo alla concentrazione di 400
nM, mentre a concentrazioni più basse (10-200 nM) è in grado di indurre il
differenziamento eritroide senza inibire significativamente la proliferazione (138).
Inoltre, il differenziamento eritroide aumenta all’aumentare della concentrazione di
Rapamicina, il più alto numero di cellule positive al saggio della benzidina è stato
ottenuto al settimo giorno di trattamento. L’effetto differenziante della Rapamicina è
paragonabile a quello di altri noti induttori come la citarabina (Ara-C), la mitramicina, il
cisplatino, l’idrossiurea e l’acido butirrico (49, 50, 51). I risultati dimostrano che
l’induzione del differenziamento eritroide da parte della Rapamicina è minore rispetto a
quella ottenuta con il trattamento di Ara-C e Mitramicina, simile a quella ottenuta con il
Cisplatino e più alta di quella ottenuta somministrando acido butirrico e Idrossiurea
(138).
Una volta verificato che il composto induce il differenziamento eritroide nelle cellule
K562 si è valutato l’aumento di mRNA specifico per la -globina in cellule trattate con
agenti differenzianti, quantificando l’mRNA con la tecnica dell’RT-PCR (50). Nel
primo esperimento le cellule sono state mantenute in coltura per 3, 4, 5 e 6 giorni in
assenza o in presenza di Rapamicina 10 nM ed è stato isolato l’RNA totale. Dopo la
trascrizione inversa, si sono amplificati con la tecnica della PCR i cDNA usando
primers specifici per le globine , , , , , . Come controllo interno sono state
amplificate anche sequenze di -actina. I risultati hanno dimostrato un aumento
dell’espressione del gene per le -globine a differenza di quelli per le - e -globine, che
non hanno subito alcun incremento. Questi dati sono stati confermati anche da un altro
esperimento, nel quale le cellule K562 sono state tenute in coltura per 6 giorni in
59
crescenti concentrazioni di Rapamicina. E’ stato dimostrato che una concentrazione
inferiore a 10 nM è sufficiente ad indurre il più alto livello di espressione dei geni
globinici embrio-fetali (138). Diversamente, l’Ascomicina e l’FK506 non incrementano
l’espressione dei geni globinici nelle cellule K562.
Sulla base di queste osservazioni positive sull’accumulo di mRNA per le -globine in
cellule K562, gli effetti della Rapamicina sono stati indagati anche sui precursori
eritroidi isolati da donatori normali, utilizzando la metodica della coltura in due fasi
liquide (58, 59). Le cellule sono state trattate con Rapamicina 10 nM al quarto e al
quinto giorno della fase , quando iniziavano a sintetizzare emoglobina. Come
controllo positivo sono state utilizzate colture di precursori eritroidi trattati con
Idrossiurea (100M) e Mitramicina (30 nM), due noti potenti induttori di HbF (52).
L’accumulo di mRNA codificante per la -globina e la GAPDH (usato come gene di
riferimento) è stato misurato sull’RNA totale utilizzando l’RT-PCR quantitativa (52). I
risultati ottenuti sono stati analizzati mediante il Sequence Detection Software System
1.6.3. e l’ABI prism 7.700 (Applied Biosystems) ed è stato osservato nelle cellule
trattate con Rapamicina un incremento di mRNA per la -globina a parità di GAPDH. I
dati sono stati successivamente riprodotti in cinque esperimenti indipendenti usando
diversi donatori e sono stati, infine, confrontati con quelli ottenuti col trattamento di
Mitramicina e di Idrossiurea (138). In secondo luogo è stata fatta una valutazione
quantitativa dell’espressione degli altri geni globinici  e  rispetto al : è importante
sottolineare che l’incremento di mRNA della -globina è molto più alto di quello della
-globina, implicando che il trattamento di colture di precursori eritroidi con
Rapamicina portasse anche ad un aumento della produzione di HbF conseguente
all’aumento di mRNA per la -globina. Per confermare questa ipotesi è stata fatta
un’analisi HPLC per valutare il contenuto di emoglobina nei precursori eritroidi,
dimostrando che la quantità di HbF in cellule trattate con Rapamicina era maggiore di
quella delle cellule non trattate. La percentuale di HbF nelle colture di controllo era
1,40,6% ed aumentava a 4,80,9% e 6,61,1% nelle colture trattate rispettivamente
con HU e Mitramicina e a 10,21,5% nelle colture trattate con Rapamicina (138).
Gli induttori di emoglobina fetale (HbF) possono essere di grande interesse per la cura
della -talassemia e dell’anemia falciforme (55, 139, 140, 21, 34, 141, 142, 143), perché
l’incremento di HbF migliora la sintomatologia in queste patologie. Questi studi hanno
60
dimostrato che la Rapamicina è un potente induttore del differenziamento eritroide in
cellule K562 e si è visto che tale differenziamento è associato ad un forte aumento della
produzione di mRNA -globinico. Questo incremento non è stato riscontrato in cellule
trattate con FK506 e Ascomicina, che hanno lo stesso target e presentano struttura
molecolare simile alla Rapamicina, ma non sono in grado di modulare FRAP/mTOR
(65). I risultati ottenuti suggeriscono che sia la proteina FRAP/mTOR implicata nel
differenziamento eritroide e non la proteina FKBP12. Un incremento di mRNA della
globina  è stato osservato anche nei precursori eritroidi isolati da sangue periferico di
donatori normali. I risultati di questi studi sono di particolare interesse per capire le basi
biochimiche del differenziamento eritroide. Infatti è ben noto che la Rapamicina
inibisce FRAP/mTOR formando un complesso stabile con FKBP12 (144) che questo
complesso rappresenta un punto di controllo nella regolazione della sintesi proteica
(145). Recenti studi hanno inoltre dimostrato che FRAP/mTOR è una proteina nel
trasporto nucleo-citoplasma, che potrebbe avere bersagli diretti nel nucleo (146) che
potrebbero essere implicati nel differenziamento eritroide.
La Rapamicina presenta caratteristiche tali da poter assere proposta come un potenziale
induttore di HbF impiegabile per la cura della -talassemia e dell’anemia falciforme.
Dato il suo impiego come immunosopressore e la sperimentazione in atto come agente
anticancro, numerosi studi sono stati eseguiti sull’uomo. L’uso che finora ne è stato
fatto ha previsto dosaggi elevati e presentanti numerosi effetti tossici. Sono stati
dimostrati gli effetti collaterali della Rapamicina come l’ipercolesterolemia,
l’iperlipidemia e l’ipertensione. Inoltre, la farmacocinetica, le vie di somministrazione,
l’assorbimento, la distribuzione e il metabolismo di questo farmaco sono già noti (147):
è interessante evidenziare che la concentrazione plasmatica della Rapamicina è 17,37,4
ng/ml dopo una somministrazione di 5 mg/die ed il tempo di dimezzamento dopo
somministrazione di dosaggi multipli è stimato essere di 6216 h.
Seguendo quest’ambito di ricerca l’oggetto di questa tesi sarà pertanto la valutazione
degli effetti della Rapamicina su precursori eritroidi umani che presentano la patologia,
isolando quindi le cellule staminali direttamente dal sangue di pazienti affetti da talassemia.
61
8. “Real-time quantitative RT-PCR” per l’analisi dell’espressione dei
geni globinici.
I meccanismi cellulari coinvolti nella normale regolazione dei geni globinici subiscono
dei cambiamenti quando le colture cellulari utilizzate come modello sperimentale
vengono trattate con potenziali agenti induttori del differenziamento eritroide con lo
scopo di verificarne l’efficacia.
Per studiare queste alterazioni sono stati messi a punto saggi in grado di quantificare gli
mRNA specifici per ciascun gene globinico e prodotti dalle cellule indotte a
differenziare. In particolare è possibile indagare l’espressione dell’mRNA, codificante
per la -globina, una subunità dell’HbF.
La tecnica utilizzata è la Real Time quantitative PCR (Q-PCR) che si basa
sull’emissione di fluorescenza dovuta alla degradazione di sonde nucleotidiche
fluorescenti che si legano a substrati di acido nucleico in modo sequenza-specifico.
L’enzima impiegato è una particolare DNA polimerasi dotata di attività nucleasica, che
rimuove e degrada frammenti di DNA (in questo caso la sonda appaiata al DNA target),
che incontra durante la fase di estensione sul filamento di DNA.
Questa tecnica di indagine è stata impiegata per la quantificazione in colture cellulari
trattate
con
induttori
del
differenziamento
eritroide
per
la
quantificazione
dell’espressione dei geni globinici. Le prime molecole, i cui effetti sono stati analizzati
con questa tecnica, sono state la 5-azacitidina, l’idrossiurea e l’acido butirrico. La Real
time Quantitative PCR è una tecnica sensibile e precisa per la quantificazione degli
acidi nucleici, in grado di rilevarne anche minime quantità mediante la loro
amplificazione. Per questo studio sono state utilizzate sonde fluorescenti e due primers,
uno forward e uno reverse, specifici per ogni gene bersaglio indagato. L’interpretazione
dei cambiamenti dei livelli di mRNA globinico nei precursori eritroidi è molto
complesso per due ragioni principali. Primo, in genere l’mRNA per le -globine è meno
dell’1% rispetto all’mRNA per le -globine. Secondo, nel corso della coltura, l’mRNA
per le -globine decresce gradualmente, mentre quello -globinico aumenta. I risultati
ottenuti utilizzando la Q-PCR hanno dimostrato che il trattamento delle colture eritroidi
con 5-azacitidina, idrossiurea e acido butirrico ha prodotto un incremento
62
nell’espressione del gene -globinico ed in particolare un aumento del rapporto /(+)
mRNA (148).
Un composto per essere un buon candidato per il trattamento terapeutico della
-
talassemia non dovrebbe indurre l’espressione dei geni -globinici perché il rapporto globina/(-globina+-globina) mRNA è già alto in individui affetti da -talassemia e
l’aumento delle catene  libere è uno dei maggiori problemi nel decorso della malattia.
Invece, l’incremento dell’espressione del gene per le -globine potrebbe avere
importanza nel caso in cui si volesse migliorare il quadro clinico di soggetti affetti da
+-talassemia. Perciò molecole in grado di stimolare l’espressione del gene per le globine, ma con minor effetto anche l’espressione delle  globine sono eccellenti
candidati per il trattamento di patologie talassemiche (149).
Lo sviluppo di una metodologia come la reazione di polimerizzazione a catena (PCR),
impiegata per l’analisi degli acidi nucleici, è una tecnica di indagine molto utile per uno
screening di questo tipo. La sua applicazione associata con lo sviluppo di raffinate
strumentazioni ha permesso di migliorare la sensibilità di questo sistema d'indagine.
Associando l’amplificazione di frammenti di DNA o cDNA con la rilevazione di
fluorescenza è stato possibile quantificare in modo assoluto anche quantità minime di
acidi nucleici presenti nei campioni sottoposti all’analisi. Nel caso la quantificazione sia
mirata a valutare l’espressione di specifici geni e quindi i rispettivi mRNA, tale tecnica
oltrepassa di gran lunga le potenzialità applicative della comune tecnica del Northern
Blotting.
L’RT-PCR quantitativa presenta numerosi aspetti vantaggiosi, come la capacità di poter
analizzare un elevato numero di campioni (96 per ogni analisi) mediante sofisticati
Thermal Cyclers; inoltre, nel momento in cui sia necessario eseguire una reazione di
retro-trascrizione prima della PCR, per la produzione di cDNA a partire da RNA come
templato, sia la reversione che l’amplificazione vera e propria possono venir eseguite
anche in unico passaggio (o in più passaggi) nel Thermal Cycler. Questa strumentazione
consente, peraltro, di ottenere una visione in tempo reale durante ciascun ciclo di
amplificazione, ovvero un grafico da cui si può ricavare l’incremento di fluorescenza
sviluppato da ciascun campione ad ogni singolo ciclo.
Per eseguire la reazione sono indispensabili: un enzima, due primers ed una sonda
oligonucleotidica, che riconosca una sequenza compresa tra i due primers e dotata di
63
particolari caratteristiche. L’enzima impiegato è una DNA polimerasi prodotta dal
batterio Thermus aquaticus, avente la capacità di resistere ad elevate temperature e
dotata anche di attività esonucleasica 5’-3’. Anche i due primers, reverse e forward,
devono soddisfare determinate caratteristiche: 1) uno dei due primers deve essere
posizionato in prossimità della regione 5’ riconosciuta dalla sonda e molto vicino ad
essa; 2) entrambi i primers non devono sovrapporsi alla sequenza con la quale
ibridizzerà la sonda; 3) i primi cinque nucleotidi nella regione 3’ non devono contenere
più di quattro basi G e/o C. Per quanto riguarda la sonda, la sua sequenza
oligonucleotidica deve essere compresa nel templato bersaglio in analisi, e deve
ibridizzare col cDNA. La sonda è in genere costituita da un singolo filamento di DNA e
presenta nell’estremità 5’ un gruppo cromogeno FAM (6-carbossi-fluoresceina),
chiamato anche reporter, legato in maniera covalente, mentre all’estremità 3’ è
posizionato un gruppo quencher detto TAMRA (6-carbossi-N,N,N’,N’-tetrametilrodamina). Prima che la reazione di PCR inizi, il gruppo FAM non emette fluorescenza,
in quanto trovandosi i gruppi reporter e quencher vicini tra loro si equilibrano, quindi
non si ha l’emissione di fluorescenza da parte del sistema. Col procedere della reazione
di polimerizzazione l’attività esonucleasica della DNA polimerasi provoca la rimozione
del gruppo reporter dalla sonda, che viene degradata dopo essere stata incontrata
durante la fase di estensione dal primer lungo il filamento di DNA; i due gruppi
cromogeni a questo punto non sono più vicini tra loro e il il quencher non è più in grado
di assorbire l’emissione del reporter, di conseguenza il sistema di rilevazione osserverà
un aumento della fluorescenza. Ad ogni ciclo verrà registrato un incremento della
fluorescenza, poiché sempre maggiore sarà il numero di molecole di sonda, ibridizzate
al DNA bersaglio, che vengono rimosse ed idrolizzate dall’enzima (Fig.23). Questa
strategia permette una visione in tempo reale dell’amplificazione durante i vari cicli di
reazione; inoltre, la selettività della sonda, che ibridizza col DNA o cDNA bersaglio,
permette la rilevazione esclusivamente dei prodotti di PCR amplificati in modo
specifico.
64
Fig. 23. Rappresentazione schematica di una reazione di PCR quantitativa. Nella
figura sono schematizzati i diversi cicli di annealing dei primers e della sonda
cromogenica, di estensione del nuovo filamento di DNA operata dalla DNApolimerasi;
infine il processo di degradazione ad opera dell’attività esonucleasica 5’-3’ dell’enzima
stesso e responsabile dell’emissione della fluorescenza nel sistema, principio di base
per la quantificazione dei templati in analisi.
Per effettuare l’amplificazione genica è stato utilizzato il sistema ABI Prism 7700
Sequence Detector, costituito da: un Thermal Cycler, ABI Prism 7700, all’interno del
quale sono posizionati i reagenti in una piastra termica; un computer ed un software
(Sequence Detector Application Program versione 1.7) che gestisce la strumentazione e
l’analisi dei dati. I parametri di tempo e temperatura relativi ai vari steps di
amplificazione e il numero di cicli da effettuare sono i seguenti: gli step 1 e 2 (2 min a
50°C e poi 10 min a 95°C) permettono l’attivazione delle proprietà esonucleasiche
dell’enzima, che si attiva contemporaneamente in tutti i pozzetti contenenti le reazioni
di polimerizzazione; lo step 3 (15 sec a 90°C e 1 min a 60°C, ripetuti per 40 cicli
successivi), che costituisce gli stadi di PCR vera e propria, cioè la denaturazione a 90°C,
l'appaiamento dei primers e l'estensione del filamento di DNA che avvengono alla
stessa temperatura di 60°C.
Il sistema ABI Prism 7700 è dotato di una “camera a dispositivo di carica accoppiata”,
che permette di misurare lo spettro di emissione della fluorescenza in un intervallo da
65
500 a 650 nanometri. Ogni reazione è controllata per rilevare il segnale in modo
sequenziale per 25 msec, con un monitoraggio continuo durante l’amplificazione, al
termine della quale, ogni campione viene riesaminato per 8,5 sec. Durante
l’amplificazione la variazione di fluorescenza emessa dal gruppo quencher è minima
rispetto al gruppo reporter; per questo motivo essa viene utilizzata come riferimento
interno, per ottenere in modo automatico la normalizzazione dell’emissione del gruppo
reporter. La relazione matematica sulla quale si basa il sistema è la seguente:
ΔRn= (Rn+)-(Rn-)
in cui Rn+ rappresenta il rapporto tra l’emissione del quencer e quella del reporter
calcolato a ciascun ciclo di amplificazione, ed Rn- rappresenta il rapporto tra le due
emissioni prima dell’inizio della reazione di PCR (150). Sulla base dei valori di ΔRn ad
ogni ciclo si ricava uno spettrogramma in cui sull’asse delle ascisse è riportato il
numero dei cicli, mentre su quello delle ordinate è riportato il valore calcolato ΔRn
(Normalized Reporter).
Un’informazione utile che si può ricavare da tale grafico è il valore del ciclo Threshold,
detto CT o ciclo “soglia”. Tale valore rappresenta il ciclo al quale è possibile registrare
il primo apprezzabile aumento di intensità nella fluorescenza emessa, non coperta dal
segnale di background. La linea di Threshold viene considerata nella fase esponenziale
della reazione di PCR il più lontano possibile dal plateau, che rappresenta la fase di
saturazione della reazione di amplificazione. Questa linea viene scelta dall’operatore e
rappresenta un determinato valore di ΔRn al quale vengono confrontati tutti i campioni e
sulla base del quale vengono ricavati i loro rispettivi valori di CT (riportati in ascissa).
La quantificazione dei campioni presi in esame può seguire diverse strategie, come il
confronto con una retta di taratura dove lo standard è rappresentato, ad esempio, da un
plasmide contenente il cDNA per il trascritto d’interesse opportunamente diluito (151).
Tuttavia, con questo sistema non sono esclusi errori di valutazione dovuti alla presenza
di fattori di inibizione o di degradazione nei campioni da analizzare, oppure errori
dovuti all’operatore. La quantificazione di cDNA provenienti da campioni diversi è più
attendibile se viene considerato un gene di riferimento interno al sistema rendendo così
minimo l’errore sperimentale.
Tale strategia è utilizzata anche quando si desidera ottenere una quantificazione
“relativa”, basata sulla differenza tra i livelli di espressione di un gene bersaglio in
campioni differenti, e valutato rispetto ad un gene di riferimento ugualmente espresso in
66
tutti i campioni analizzati. I geni utilizzati come riferimento, espressi in modo
costitutivo in tutti i campioni, possono essere ad esempio i geni per la β-actina, la
gliceraldeide 3-fosfato-deidrogenasi (GAPDH), la β2-microglobulina ed ancora il gene
per l’rRNA 18S. L’analisi di tipo quantitativo viene effettuata eseguendo una serie di
reazioni ciascuna contenente diverse quantità di cDNA dello stesso campione. La
differenza tra il CT del gene bersaglio ed il CT del gene di riferimento, ΔCT, deve
rimanere costante o al massimo variare di valori inferiori all’unità per tutti i punti della
scalare di diluizione. Il valore di CT è inversamente proporzionale alla concentrazione
del templato in analisi; pertanto, all’aumentare della concentrazione di cDNA bersaglio,
il ciclo “soglia” diminuisce: la sonda ha una maggiore quantità di substrato sul quale
ibridizzare, quindi una volta attivata la polimerasi ed il gruppo reporter viene liberato,
si produce un valore di fluorescenza superiore al rumore di fondo che viene recepito dal
sistema in tempi più brevi rispetto a campioni contenenti quantità di cDNA inferiori.
Per quantificare un trascritto in campioni che lo esprimono a diversi livelli, viene
calcolata la differenza tra i valori di ΔCT di ciascun campione in analisi ed il ΔCT del
campione usato come standard di riferimento, ottenendo il ΔΔCT. Un’elaborata
espressione matematica, infine, considera il ΔΔCT come esponente negativo di 2
(2-ΔΔCT) e permette di valutare quante volte un determinato DNA o cDNA templato è
espresso in un campione rispetto ad uno di controllo (152).
Per valutare l’espressione del gene delle -globine nei precursori eritroidi trattati con
Rapamicina è stata utilizzata questa elaborata tecnica d’analisi.
67
SCOPO DELLA TESI
L’oggetto di studio di questa tesi è stata la prosecuzione di studi già avviati dal
gruppo di ricerca presso il quale ho svolto la mia attività, e coordinato dal Prof. Roberto
Gambari, che hanno riguardato gli effetti eritro-differenzianti della Rapamicina, una
molecola con potenziale attività di induttore eritroide. Il mio lavoro ha avuto lo scopo di
saggiare se gli effetti prodotti dal trattamento con Rapamicina di cellule K562 e di
precursori eritroidi isolati da donatori normali, fossero simili anche su colture di
precursori eritroidi derivanti da donatori affetti da -talassemia, i diretti destinatari di
questo putativo agente farmacologico. I primi risultati positivi sull’utilizzo della
Rapamicina come induttore del differenziamento eritroide sono stati ottenuti dal Prof.
Carlo Mischiati appartenente al gruppo di ricerca del Prof. Roberto Gambari. Questi
dati dimostravano un incremento indotto dalla Rapamicina dell’espressione dei geni
globinici embrio-fetali in cellule K562. Quest’effetto era correlato ad un accumulo di
mRNA per le -globine anche nelle colture di precursori eritroidi trattati con questa
molecola. Inoltre, le concentrazioni risultate attive per l’efficacia dell’effetto di
induzione non inibivano la proliferazione cellulare.
Queste indagini sono quindi proseguite nell’ambito di questa tesi, osservando gli
effetti della Rapamicina sull’espressione di geni per le - - e -globine in colture di
precursori eritroidi isolati da pazienti affetti da -talassemia. L’analisi è stata estesa al
trattamento di 5 colture provenienti ciascuna da pazienti differenti, nelle quali è stato
valutato anche l’eventuale incremento di HbF e la quantità di HbF per cellula.
La mia analisi ha avuto come scopo proprio la quantificazione degli mRNA per le
- - e -globine con la tecnica della Real Time quantitative PCR e la quantificazione di
HbF con la tecnica dell’HPLC.
I risultati ottenuti hanno permesso di valutare se la Rapamicina fosse in grado di
riprodurre l’effetto eritro-differenziante anche in questo modello cellulare, più simile al
bersaglio patologico sul quale dovrebbe esplicare l’effetto terapeutico.
Infatti, un incremento nella produzione di HbF mimerebbe il fenotipo HPFH (High
Persistence of Fetal Hemoglobin), una condizione questa in grado di produrre un
notevole miglioramento del quadro clinico della patologia. La persistenza di HbF è in
68
grado di supplire alla carenza di emoglobina adulta, migliorando notevolmente la
sintomatologia nei pazienti affetti da -talassemia. Pertanto, molecole in grado di
riattivare l’espressione dei geni -globinici nell’adulto sono interessanti in quanto
possibili agenti terapeutici impiegabili nella terapia farmacologia della -talassemia.
Tra gli agenti induttori oggetto di studio, la Rapamicina rappresenta una molecola
che è già in uso, anche se utilizzata con altri scopi: in terapia come immunosopressore
nei trapianti d’organo per contrastarne il rigetto e come antitumorale in fase clinica I-III.
Il vantaggio nel suo interesse applicativo è che la farmacocinetica e gli effetti collaterali
sono già stati indagati ed ampliamente descritti.
L’obbiettivo futuro è quello di valutare l’induzione dell’espressione dei geni per le
-globine e di HbF non solo su colture di precursori eritroidi trattate con Rapamicina,
ma anche effettuando le analisi direttamente sulle cellule staminali provenienti dal
sangue di soggetti cui è stata somministrata la Rapamicina per gli impieghi sopra
riportati. Questo potrebbe ridurre notevolmente i tempi previsti per la sperimentazione
di un suo utilizzo come agente eritro-differenziante.
La Rapamicina lascia dunque nuove speranze ai malati di -talassemia, soprattutto
nei casi in cui questi non possano essere sottoposti alle consuete terapie trasfusionali.
69
MATERIALI E METODI
1. Coltura di precursori eritroidi isolati da pazienti affetti da
-talassemia.
Le cellule staminali, ottenute dal sangue periferico di 5 pazienti affetti da talassemia dopo il loro consenso informato, sono state coltivate in vitro secondo la
metodica che prevede due fasi in terreno liquido che è stata precedentemente raffigurata
in Fig.10. Per l’isolamanto dei precursori eritroidi si è partiti dal buffy-coat, ovvero
dalla parte corpuscolata ematica. Il volume di sangue che è possibile prelevare da un
soggetto affetto da -talassemia è molto inferiore rispetto a quello che si può prelevare
da un individuo normale (per motivi etici e dipendenti dal fatto che si tratta di soggetti
affetti da una patologia ematologica). Infatti, questi individui presentano già bassi livelli
di emoglobina a causa della loro patologia ed un prelievo di sangue non può che
peggiorare lo stato di anemia di queste persone. Così, in genere, viene utilizzato il
volume minimo di sangue necessario per preparare 20 ml di coltura, tale quantità può
essere sufficiente per l’alta frequenza di precursori eritroidi, che vi sono comunque
contenuti, una situazione che è sostenuta e spinta dalla carenza stessa di emoglobina.
Questa coltura cellulare potrà produrre un massimo di 108 cellule.
Per il processamento il sangue viene diluito 1:2 con PBS 1x (Buffer salino-fosfato)
a temperatura ambiente preparato per diluizione con H2O distillata a partire da PBS 10x,
che consiste in una soluzione di NaCl 2 M, KCl 27 mM, Na2PO4 0,1 M, KH2PO4 18
mM, in H2O distillata. La soluzione preparata viene successivamente sterilizzata per
filtrazione con filtri di acetato di cellulosa aventi pori del diametro di 0,22 µm, e
conservata a 4°C. Il campione diluito viene suddiviso in aliquote da 40 ml, sottoposte a
centrifugazione per gradiente di densità su Lympholyte-H (NycogradeTM polysucrose
400 e sodium diatrizoate, Celbio, Milano, Italy). In questo modo si crea un gradiente di
destrano ed altre sostanze che permette la separazione delle diverse parti corpuscolate
del sangue. La centrifugazione genera quattro strati ben distinti, dall’alto verso il basso:
siero; un anello biancastro contenente linfociti, fibroblasti, macrofagi e precursori
eritroidi; una parte torbida contenente Lympholyte con cellule non separate; un fondo
70
rosso costituito dagli eritrociti. L’anello biancastro viene prelevato, sottoposto a diversi
lavaggi con PBS 1x e trasferito in terreno di fase I così composto: terreno α-MEM (αminimal essential medium, Sigma-Aldrich, St.Louis, Missouri, USA), preparato a
partire da una polvere e diluito con acqua distillata, sali per bilanciare il pH ed una
soluzione di PEN-STREP (penicillina 50 U/litro e streptomicina 50 mg/litro di terreno,
Sigma-Aldrich, St.Louis, Missouri, USA); FCS al 10% (Foetal Calf Serum, GIBCO,
BRL, Life Technologies, Milano, Italy), dopo averlo scongelato e sterilizzato per
filtrazione; medium condizionato (CM) al 10%, ottenuto da colture di cellule
provenienti da carcinoma della vescica (cellule 5637), ricco di fattori di crescita
ematopoietici (come le interleuchine), ma che non contiene EPO, e separato dalle
cellule stesse per filtrazione; ciclosporina A (Sigma-Aldrich, St.Louis, Missouri, USA)
1 µg/ml di terreno, preparata da ciclosporina diluita in etanolo assoluto e PBS 1x nel
rapporto di 1:1. La coltura viene poi incubata a 37°C, in atmosfera umidificata ed al 5%
di CO2. E’ importante osservare ogni giorno al microscopio le cellule per verificare la
vitalità cellulare e l’assenza di contaminazioni.
Dopo 5-7 giorni di coltura in questo terreno di fase I, le cellule non aderenti
vengono recuperate, lavate e ricoltivate in un terreno fresco di fase II composto da:
terreno α-MEM; FCS al 30%; albumina di siero bovino deionizzata (BSA, SigmaAldrich, St.Louis, Missouri, USA) al 10%, sciolta in α-MEM; β-mercapto etanolo
(β-ME, Sigma-Aldrich, St.Louis, Missouri, USA) 0,01 mM, preparato da una soluzione
di partenza 100 mM diluita con H2O sterile; desametasone (Sigma-Aldrich, St.Louis,
Missouri, USA) 0,001 mM, preparato da una soluzione di partenza 6,4 mM diluita in
metanolo sterile (questo composto è in grado di stimolare la linea eritroide);
glutammina (Glu) 2 mM (Sigma-Aldrich, St.Louis, Missouri, USA); eritropoietina
umana (EPO) (Tebu-bio, Magenta, MI, Italy) 1 U/ml; Stem Cell Factor (SCF,
PeproTech EC Ltd, London, England) 10 ng/ml, solubilizzato in acido acetico 10 mM.
Alcuni di questi componenti (BSA, β-ME, desametasone, Glu) sono stati sterilizzati,
filtrandoli con filtrini aventi pori del diametro di 0,22 m, e conservati al buio a -20°C.
L’EPO e l’SCF, essendo fattori proteici, devono essere conservati a -80°C per evitarne
la degradazione. L’incubazione in questa fase dura da 4 a 6 giorni. E’ importante
osservare ogni giorno al microscopio le cellule per verificarne la vitalità, l’assenza di
contaminazioni, ma soprattutto la formazione di gruppi o “cloni” di cellule nel
supernatante. Solo se ci sono tali agglomerati cellulari di proeritrociti si può proseguire
71
col trattamento con le molecole in analisi. Talvolta si possono avere pochi e/o piccoli
agglomerati cellulari dopo i 4-6 giorni canonici della fase II, in quanto si ha una crescita
più lenta, in tal caso si può prolungare la fase II per altri 4-5 giorni per avere una
sufficiente proliferazione delle colonie e successivamente proseguire col trattamento. In
ogni fase si contano le cellule utilizzando il Coulter Counter Z1 (Coulter Electronics
Limited, Luton, Beds, England).
Al quarto giorno della fase II è stata aggiunta la Rapamicina alla concentrazione
100 nM, quindi le cellule sono state riposte nell’incubatore per altri 4-5 giorni, al
termine dei quali si è proceduto all’estrazione dell’RNA.
L’aliquota di cellule non trattate sono state mantenute in coltura nelle stesse
condizioni di quelle trattate in modo da fornire un controllo negativo al quale fare
riferimento per l’interpretazione dei risultati.
2. Preparazione della Rapamicina.
La Rapamicina utilizzata per il trattamento delle cellule è stata acquistata dalla
Sigma Aldrich (Milwaukee, WI, USA). La soluzione madre è stata diluita con EtOH e
DMSO 1: 2 fino ad ottenere la concentrazione utilizzata per il trattamento e disciolta ad
una concentrazione di 10 mM conservandola a -20°C al buio. Nei trattamenti delle
colture di precursori eritroidi da soggetti talassemici è stata impiegata alla
concentrazione di 100 nM finale.
3. Estrazione dell’mRNA totale derivante da precursori eritroidi.
Al termine della fase II è stato estratto l’mRNA totale citoplasmatico sia dai
precursori eritroidi trattati con Rapamicina, che da quelli di controllo utilizzando la
metodica del “TRIzol”: le cellule vengono centrifugate per 10 min a 1200 rpm, separate
dal supernatante e quindi risospese in TRIzol (Total RNA Isolation Reagent, Celbio,
Milano, Italy) (usandone 1 ml per 5-10x106 cellule). I campioni vengono incubati per 5
min a temperatura ambiente, si aggiungono 200 µl di cloroformio per ogni ml di TRIzol
72
utilizzato e si agita energicamente per 15 sec. Segue una centrifugata a 12000 rpm per
15 min a 4°C per estrarre la fase acquosa, alla quale vengono aggiunti 500 µl di
isopropanolo per ml iniziale di TRIzol usato. Si incubano i campioni per 10 min a
temperatura ambiente. Segue un’altra centrifugata per 15 min a 12000 rpm a 4°C. Il
supernatante viene eliminato e al pellet, formato dall’mRNA estratto viene aggiunto 1
ml di etanolo al 75% per ml di TRIzol.
I campioni di mRNA ottenuti applicando questa metodica di estrazione sono stati
poi conservati a -20°C fino al momento del saggio per valutarne la quantità e l’integrità,
che ha previsto l’impiego dell’elettroforesi su gel di agarosio e la lettura allo
spettrofotometro.
4. Saggio dell’RNA.
4.a. Quantificazione dell’RNA allo spettrofotometro.
Si effettua la lettura allo spettrofotometro dei campioni di RNA risospeso in H2O
DEPC ad una lunghezza d’onda di 260 nm. L’unità di lettura dello strumento è l’OD
(optical density). La concentrazione si ricava dall’equazione:
µg/ml=ODx40xDIL
dove OD è il valore letto dallo strumento, 40 è il coefficiente di correzione per la lettura
dell’RNA allo spettrofotometro (secondo la legge di Lambert–Beer) e DIL è il
coefficiente di diluizione dell’RNA nella cuvetta.
Per verificare il grado di contaminazione proteica bisogna valutare il rapporto tra le
assorbanze a 260 nm ed a 280 nm, che deve risultare intorno ad un valore di 1,8: se il
valore è inferiore, si è avuta una contaminazione proteica, se superiore, una
contaminazione organica, dovuta e residui fenolici derivati dalla metodica di estrazione.
4.b. Elettroforesi su gel di agarosio.
Il gel di agarosio all’1% si prepara sciogliendo 1 g di agarosio in polvere in 150 ml
di TAE 1x (da TAE 50x=2 M Tris-HCl, 0,05 M EDTA pH=8,0 e 5,71% acido acetico al
73
99,8%), è necessario far bollire i reagenti per sciogliere la soluzione. Una volta ottenuta
una soluzione limpida vi si aggiunge, sotto cappa, l’etidio bromuro10 µg/ml. Si fa
quindi colare lentamente l’agarosio nell’apposito apparato elettroforetico, in cui è stato
precedentemente inserito il pettine per la formazione dei pozzetti per il caricamento dei
campioni, evitando di fare bolle che potrebbero essere di ostacolo per la corsa
dell’RNA.
Mentre il gel solidifica si preparano i campioni da caricare per l’analisi. L’RNA
totale (in etanolo) viene fatto precipitare centrifugando a 12000 rpm, a 4°C per 20 min.
Il supernatante viene prelevato con una siringa e buttato, mentre il pellet è risospeso in
10 l di acqua trattata con dietilpirocarbonato (DEPC) 0,1%, una molecola in grado di
disattivare eventuali RNasi presenti. I campioni vengono essiccati in centrifuga
sottovuoto (Speedvac) per 5 min. A questo punto si preparano le aliquote dei campioni
da caricare sul gel: un volume totale pari a 10 l composto da RNA (in genere 1-0,5
g), colorante contenente glicerolo per appesantire il campione, ed acqua DEPC per
portare a volume.
Quando il gel ha solidificato si tolgono i pettinini, formando così i pozzetti, e si
mette il tampone di corsa formato da TAE 1x (da TAE 50x=2 M Tris-HCl, 0,05 M
EDTA pH=8,0 e 5,71% acido acetico al 99,8%) ed etidio bromuro (5 l ogni 100 ml di
tampone). A questo punto si caricano i campioni negli appositi pozzetti e si fanno
migrare a 80-100 Volt. Le molecole che migrando nel gel si separeranno sulla base sia
della loro carica che del peso molecolare. Il colorante indica la posizione dell’RNA
durante la corsa. Terminata la migrazione elettroforetica dei campioni, questi vengono
fotografati sotto illuminazione da raggi UV: l’acido nucleico è visibile grazie alla
emissione di luce dell’etidiobromuro intercalatosi tra le basi azotate quando sollecitato
da luce ultravioletta. Dalla foto ottenuta si possono ricavare informazioni sullo stato del
materiale (degradato o meno) osservando l’intensità relativa alla banda del 28S che
deve essere circa il doppio rispetto a quella relativa al 18S, ed indicativamente sulla
quantità di RNA e/o sulla presenza di DNA gnomico che potrebbe essere presente
accidentalmente nel campione.
74
5. Reazione di retro-trascrizione per la produzione del templato di
cDNA dall’RNA di precursori eritroidi indotti e non dalla
somministrazione di Rapamicina.
Le analisi mediante RT-PCR quantitativa dei geni bersaglio, la cui espressione
poteva essere modulata dal trattamento con la Rapamicina sono state condotte sul
cDNA (sequenza di DNA codificante) complementare all’RNA totale citoplasmatico ed
estratto dalle cellule trattate e non trattate. Per questa conversione è necessario
effettuare una reazione di retro-trascrizione, effettuando prima una PCR di controllo
direttamente sull’RNA per verificare che non vi sia la presenza di contaminazioni di
DNA; in tal caso si deve procedere al trattamento dei campioni con DNasi I, prima di
eseguire la reazione di retro-trascrizione.
Come substrato per la produzione di cDNA a singolo filamento è stato utilizzato 1
µg di RNA totale citoplasmatico, che rappresenta la quantità massima utilizzabile per
avere una retro-trascrizione efficace e quantitativa, nella quale tutte le molecole di RNA
possano essere efficientemente retro-trascritte in modo stechiometrico in nuove
molecole di cDNA.
Nella retro-trescrizione l’RNA è stato inizialmente incubato per 10 min a
temperatura ambiente con 10 U di inibitore dell’RNasi e con oligonucleotidi d’innesco
della reazione di polimerizzazione alla concentrazione 2,5 µM, rappresentati da esameri
random (l’utilizzo di questi oligonucleotidi d’innesco a differenza dell’utilizzo di
oligod(T) dipende dal fatto che essendo frammenti di soli sei nucleotidi con sequenza
casuale permettono l’innesco della reazione anche su substrati di RNA non
completamente integri e privi della sequenza terminale stabilizzatrice di poli-A). Questi
oligonucleotidi hanno una temperatura di melting piuttosto bassa, per cui in queste
condizioni si legano all’RNA. Le fasi successive prevedono 30 min a 48°C e 5 min a
100°C in tampone contenente MgCl2 5,5 mM, dNTPs 500 µM, RT-Buffer 1x (TaqMan
RT Buffer 10x, Applera Italia, Applied Biosystems, Monza, Italy) e 1,25 U dell’enzima
MultiScribe Reserve Transcriptase. Terminata la reazione, l’amplificato è stato
velocemente centrifugato in modo che non sia disperso lungo le pareti dell’eppendorf e
conservato a -80°C.
75
6. Real-Time quantitative PCR per la quantificazione dei geni
globinici.
Con questa tecnica si è voluto quantificare l’espressione di tutti i geni globinici
analizzando il cDNA ottenuto a partire dai campioni di mRNA totale. Le reazioni sono
state eseguite a partire da una serie di diluizioni scalari di cDNA ottenuto dall’mRNA di
colture cellulari utilizzate come controllo negativo e non trattate (standard).
La miscela di reazione, avente un volume finale di reazione di 25 µl, contiene:
TaqMan Universal PCR Master Mix 1x (Applera Italia, Applied Biosystems, Monza,
Italy); la coppia di primers forward e reverse, utilizzati ad una concentrazione finale
pari a 300 nM; la sonda TaqMan impiegata alla concentrazione finale di 200 nM. La
TaqMan Universal PCR Master Mix contiene anche: l’enzima AmpliTaq Gold DNA
Polimerasi; l’enzima AmpErase Uracil–N glicosilasi, che degrada sequenze contenenti
uracile al posto di timina, lasciando intatto il filamento originario di templato, ed è
attiva nel primo step della reazione (quando la temperatura è di 50°C) eliminando tutte
le molecole contaminanti che possono essere presenti nella piastra o nei puntali. Alla
temperatura di 95°C si inattiva irreversibilmente; i desossinucleotidi trifosfato (dNTPs),
con il dUTP che sostituisce il dTTP; MgCl2 1 mM; il cromoforo “Rox”, che serve come
riferimento sul quale lo strumento normalizza i dati ed è utile soprattutto per annullare
gli eventuali errori di volume effettuati durante le operazioni svolte dall’operatore
stesso.
Le sonde utilizzate per le analisi dell’espressione delle globine umane
sono
marcate in 5’ con la molecola cromogenica FAM e in 3’ con la molecola TAMRA. Le
sequenze delle sonde ed i primers utilizzati per la quantificazione degli specifici mRNA
sono riportati nella tabella 2.
Sugli stessi campioni sono state effettuate in parallelo le reazioni di amplificazione
per la gliceraldeide-3-fosfato-deidrogenasi (GAPDH), usata come gene di riferimento;
la sonda e i primers specifici sono contenuti nel kit human GAPDH (Applera Italia,
Applied Biosystems, Monza, Italy), dove la sonda è stata marcata in 5’ con la molecola
cromogenica VIC (un composto sotto segreto brevettale) ed al 3’ col TAMRA.
76
Tabella 2. Sequenze degli oligonucleotidi impiegati nelle reazioni di PCR
quantitativa.
primer forward -globine
primer reverse -globine
sonda -globine
primer forward -globine
primer reverse -globine
sonda -globine
primer forward -globine
primer reverse -globine
sonda -globine
5’-CACGCGCACAAGCTTCG-3’
5’-AGGGTCACCAGCAGGCAGT-3’
5’-FAM-TGGACCCGGTCAACTTCAAGCTCCT-TAMRA-3’
5’-CAAGAAAGTGCTCGGTGCCT-3’
5’-GCAAAGGTGCCCTTGAGGT -3’
5’-FAM-TAGTGATGGCCTGGCTCACCTGGA-TAMRA-3’
5’-TGGCAAGAAGGTGCTGACTTC-3’
5’-TCACTCAGCTGGGCAAAGC-3’
5’-FAM-TGGGAGATGCCATAAAGCACCTGC-TAMRA-3’
Tutte le reazioni di PCR quantitativa sono state eseguite in doppia serie ed alcune
reazioni sono state condotte in assenza di cDNA, come controlli negativi.
L’amplificazione è stata eseguita su Thermal Cycler ABI Prism 7700 utilizzando
piastre di plastica ottica da 96 pozzetti MicroAmp Optical (Applera Italia, Applied
Biosystems, Monza, Italy), effettuando due cicli iniziali necessari per l’attivazione della
funzione esonucleasica 5’-3’ della polimerasi (50°C per 2 min e 95°C per 10 min),
mentre i successivi 40 cicli sono stati costituiti da una fase di denaturazione a 95°C per
15 sec ed una fase a 60°C per 1 min, nella quale avviene sia l’appaiamento dei primers
e della sonda sia l’estensione del filamento di DNA.
7. Analisi HPLC (High Performance Liquid Chromatography) per la
quantificazione delle globine in colture di precursori eritroidi isolati
dal sangue di donatori che presentano -talassemia.
Per valutare la quantità effettiva di emoglobina fetale (HbF), presente in cellule
staminali indotte a differenziare in senso eritroide dal trattamento con induttori, è stata
eseguita una cromatografia liquida ad alta risoluzione (High Performance Liquid
Chromatography).
Prima di eseguire questo tipo di analisi le cellule sono state lavate due volte con
PBS, agitate vigorosamente e incubate in ghiaccio per 30 min; vengono quindi
77
centrifugate per 5 min a 14.000 rpm e raccolto il surnatante; questa procedura serve a
rompere la membrana cellulare a far fuoriuscire dalle cellule i lisati citoclasmatici
contenenti l’eventuale frazione di Hb.
La strumentazione impiegata per HPLC (Pharmacia LKB Gradient PUMP 2249;
LKB VWM 2141) ha permesso un’analisi quantitativa dell’emoglobina, effettuata alla
lunghezza d’onda () di 415 nm, caratteristica delle molecole di globina. Lo strumento è
formato da una colonna a scambio ionico Synchropak CM300 (250x4.6 mm, Synchron
Inc, Lafayette IN) in cui sono stati iniettati i lisati citoplasmatici, con una velocità di
flusso di 0.8 ml/min, utilizzando una miscela di due buffer (A e B), ed eseguendo
un’eluizione in gradiente. Il buffer A è costituito da Sodio acetato anidro (0.3 M), BisTris (30 mM) e KCN (1.5 mM) in acqua, mentre il buffer B da Bis-Tris (30 mM) e
KCN (1.5 mM) in acqua. In queste condizioni sono state eseguite quattro iniezioni
successive di emoglobina adulta (HbA) commerciale (Sigma-Aldrich, St. Louis,
Missouri, USA), utilizzata come standard, al fine di ricavare una retta di taratura. La
curva di taratura è poi stata usata per estrapolare e quantificare i campioni risalendo
all’area di integrazione ricavata dallo strumento (Integratore: Spectra-Physics SP4600).
E’ stato quindi possibile quantificare la percentuale di HbF di ciascun campione e
confrontarla con la quantità del relativo campione cellulare sottoposto al trattamento
con Rapamicina.
78
RISULTATI
1. Dati relativi ai pazienti analizzati.
La talassemia è una malattia autosomica recessiva che nell’uomo può essere
generata da circa 180 mutazioni differenti del gene codificante per la catena  nel
tetrametro della molecola di Hb (153). Una più piccola percentuale di pazienti è affetta
da una forma moderata di anemia, dovuta ad una minore espressione del gene per le
globine +-talassemia, che spesso non richiede trasfusioni, mentre la maggior parte
dei soggetti presenta anemia grave (major), dovuta alla totale mancanza di catene
o-talassemia, e che quindi necessita di terapia trasfusionale per la sopravvivenza.
Spesso il fenotipo talassemico è determinato da mutazioni differenti a carico dei geni ,
raramente la malattia è dovuta alla stessa mutazione su entrambi i geni, mentre più
spesso la patologia risulta dalla combinazione di genotipi differenti. Inoltre, la gravità
dell’anemia può essere influenzata oltre che da mutazioni specifiche anche da altri
fattori, che possono interferire sull’espressione dei geni per le altre globine, come le
globine  e .
I soggetti considerati in questo studio sono stati selezionati da un gruppo di pazienti
affetti da -talassemia, sono stati identificati e caratterizzati dal Prof. Eitan Fibach
presso l’ospedale Ein-Kerem di Gerusalemme nello stato di Israele, del gruppo col
quale il Prof. Roberto Gambari svolge un’intensa collaborazione e che ha fornito i
campioni di sangue.
I soggetti considerati in questo studio sono stati caratterizzati identificando il tipo
di talassemia ed i loro genotipi, ovvero le mutazioni responsabili della patologia. La
descrizione è riportata in tabella 3. Il paziente n°1 presenta su entrambi gli alleli per i
geni  la mutazione IVS1-110: è omozigote per la mutazione di una Guanina in una
Adenina, che interessa una sequenza interna all’introne 1 in posizione 110, responsabile
della creazione di un sito di splicing alternativo nella sequenza del pre-mRNA, che
porta alla produzione anche di un messaggero aberrante e quindi ad una -talassemia.
Il paziente n°2 presenta su entrambi gli alleli per i geni  la mutazione IVS2-1: è
79
omozigote per la mutazione di una Guanina in una Adenina, che interessa una sequenza
interna all’introne 2 in posizione 1, che altera il sito di splicing introducendo un segnale
di terminazione della trascrizione che provoca una -talassemia. Il paziente n°3
presenta due mutazioni differenti a carico dei geni : una mutazione di una Adenina in
una Citosina in posizione -28 a livello della regione TATAbox nel promotore,
responsabile della diminuzione dell’espressione di questo gene, ed una mutazione
responsabile di uno slittamento del quadro di lettura nella trascrizione del gene in
seguito alla delezione di una Citosina a livello del codone 44 che porterebbe ad una
-talassemia. Il paziente n°4 presenta anch’esso due mutazioni differenti a carico dei
geni : una mutazione responsabile di uno slittamento del quadro di lettura nella
trascrizione del gene in seguito alla delezione di una Timina a livello dei codoni 36-37,
che determina la formazione di un segnale di terminazione a livello del codone 60 e la
produzione di una proteina tronca; la seconda mutazione riguarda sempre la delezione
di una Citosina a livello del codone 44. Il paziente n°5 presenta su entrambi gli alleli per
i geni  la mutazione IVS1-6: è omozigote per la mutazione di una Timina in una
Citosina, che interessa una sequenza interna all’introne 1 in posizione 6, che crea un
ulteriore sito di splicing, provocando una -talassemia.
Questi pazienti subiscono tutti trasfusioni di sangue per migliorare il quadro clinico
della patologia, mentre solo due di loro hanno subito la splenectomia. Tale intervento si
rende necessario in alcuni casi per evitare ulteriore danno da emolisi splenica.
Tabella 3. Caratteristiche dei soggetti da cui sono stati isolati i precursori eritroidi.
paziente
tipo di talassemia
1.
2.
3.
4.
5.
+/+
0/0
+/0
+/0
+/+
mutazione
IVS1-110/ IVS1-110
IVS2-1/ IVS2-1
-28/FS44
FS36-7/FS44
IVS1-6/ IVS1-6
80
trasfusioni di
sangue
+
+
+
+
+
splenectomia
+
+
Ciascuno di questi cinque soggetti si è reso disponibile dando il suo consenso
informato per il prelievo di una decina di ml sangue necessari per allestire una coltura
cellulare in vitro di circa 20 ml e contenente circa 108 cellule.
2. Colture di precursori eritroidi da sangue di pazienti affetti da talassemia.
La metodica usata per le colture di cellule staminali dal sangue prelevato da
donatori affetti da β-talassemia è la medesima riportata per la coltura di precursori
eritroidi in due fasi liquide (58, 59) ed è stata precedentemente schematizzata in Fig.10.
Dopo una settimana di coltura in un terreno non contenente eritropoietina, per un
periodo della durata di 5-7 giorni, si è proceduto con la seconda fase di coltura, nella
quale il terreno è stato rinnovato ed addizionato con fattori stimolanti e selettivi per la
proliferazione cellulare verso la linea eritroide. In questa fase dal 4° al 6° giorno le
cellule iniziano a produrre emoglobina anche se a livelli bassi. Al termine di questa fase
è stato eseguito un trattamento per 4 giorni (senza rinnovare il terreno) con la
Rapamicina alla concentrazione finale di 100 nM, alla quale gli effetti citotossici della
molecola sono risultati trascurabili sulla base dei dati riportati in letteratura relativi al
trattamento di precursori eritroidi isolati da soggetti sani (138). Una parte delle cellule
non sono state trattate per avere un controllo negativo con il quale confrontare i risultati
ottenuti nelle colture trattate con Rapamicina. Dopo quattro giorni di trattamento è stato
estratto l’RNA secondo la metodica del TRIzol descritta nel paragrafo 3 del capitolo
“Materiali e metodi”.
Come prima cosa è stato verificato se nel nostro modello sperimentale la
Rapamicina presentasse l’attività di induttore di HbF. Questa capacità eritrodifferenziante è stata valutata analizzando nei campioni la percentuale di HbF, mediante
HPLC, e la quantità di Hb/cellula.
81
3. Quantificazione del contenuto sia di HbF, che di Hb
totale/cellula nelle colture di precursori eritroidi trattate con
Rapamicina.
Per verificare l’attività eritro-differenziante della Rapamicina è stato quantificato il
contenuto totale di emoglobina e la percentuale sul totale di HbF nelle colture di cellule
eritroidi trattate e non trattate utilizzando la tecnica dell’HPLC descritta nel paragrafo 7
del capitolo “Materiali e metodi”. E’ stata prima realizzata una retta di taratura a partire
da concentrazioni note di emoglobina adulta commerciale dalla quale si è potuti risalire
alla quantità di Hb presente nelle cellule eritroidi trattate con Rapamicina. E’ stata
eseguita una cromatografia analitica iniettando nell’HPLC 20 µl di ognuna delle tre
concentrazioni note di emoglobina adulta (1-2 e 4,5 mg/ml); tale scalare è stata allestita
a partire da un liofilizzato di emoglobina adulta pura commerciale (Sigma-Aldrich, St.
Louis, Missouri, USA) e integrando le aree dei picchi si è ricavata l’area di ogni picco
corrispondente alla diverse concentrazioni di HbA. Riportando i valori così ottenuti in
un grafico cartesiano, dove in ascissa sono indicate le concentrazioni di emoglobina ed
in ordinata i valori di integrazione dell’area corrispondente, è stata costruita la retta di
taratura come rappresentato in Fig.24. Nella stessa figura è riportato anche il
cromatogramma relativo ad un’analisi HPLC di un’aliquota di sangue di un soggetto
adulto sano, che ha permesso la caratterizzazione dei picchi delle diverse emoglobine,
che escono dalla colonna cromatografia in tempi diversi, in base alla loro affinità per la
fase fissa di cui è costituita la colonna e la fase mobile rappresentata dalla miscela di
eluenti. L’emoglobina adulta presenta un tempo di ritenzione di 39,23 min (89,2%) ed
il picco dell’emoglobina fetale molto inferiore (4,8%), poiché poco espressa in un
individuo adulto, presenta un tempo di ritenzione di 19,2 min. Sono presenti, inoltre,
altri due picchi, quello con tempo di ritenzione di 28,03 min corrisponde alla glicoemoglobina (HbA1C) (4,5%), mentre il picco a 43,67 min rappresenta l’HbA2 (1,5%).
Similarmente, è stata condotta l’analisi HPLC sui lisati citoplasmatici ottenuti dalle
colture di precursori trattati e non trattati, delle quali è stato anche valutato il numero di
cellule/ml utilizzando un Coulter Counter Z1 (Coulter Electronics Limited, Luton, Beds,
England). I risultati ottenuti sono riportati nella tabella 4.
82
HbA
A
25x106
20x106
15x106
10x106
5x106
0
2
6
4
mg/ml
B
Fig. 24. Rappresentazione della retta di taratura in A e di un
cromatogramma HPLC in B. In A, la retta è stata costruita riportando in
ascissa le concentrazioni delle soluzioni standard di emoglobina e in ordinata i
valori di integrazione delle aree dei picchi HPLC relativi. In B, sono
rappresentati i picchi relativi ai diversi tipi di emoglobina. Da sinistra verso
destra troviamo rispettivamente il picco relativo all’HbF, alla glicoemoglobina,
all’emoglobina adulta e all’HbA2.
83
Tabella 4. Valutazione dei dati relativi all’incremento di Hb ed HbF in seguito
al trattamento con Rapamicina 100 nM.
HbF (%)
Hb TOTALE (pg/cell)
n°
PAZIENTE CONTROLLO +RAPAMICINA CONTROLLO +RAPAMICINA
1.
20,9
26,0
5,9
7,4
2.
93,4
97,7
8,3
9,9
3.
15,4
28,9
5,0
3,1
4.
34,5
43,1
7,2
7,3
5.
44,6
59,0
4,7
10,8
I risultati dimostrano che in tutti i campioni analizzati l’addizione di Rapamicina
alla concentrazione di 100 nM ha indotto nelle colture in vitro un incremento nella
percentuale di HbF, che in tre soggetti su cinque (1, 2, 5) è associato anche ad un
aumento di Hb totale/cellula; solo in due soggetti l’Hb totale/cellula non è stata
incrementata in seguito al trattamento. Sulla base di questi dati è stato calcolato
l’aumento di HbF/cellula e riportato in tabella 5, dalla quale emerge che in tutti i
campioni è stato osservato un aumento di HbF (espresso in pg/cellula).
Perciò questa molecola stimola l’accumulo di HbF in colture di precursori eritroidi
isolati da sangue di soggetti talassemici.
Tabella 5. Valutazione dei dati relativi all’incremento di HbF/cellula in seguito
al trattamento con Rapamicina 100 nM.
HbF(pg/cell)
n°
PAZIENTE
1.
2.
3.
4.
5.
CONTROLLO +RAPAMICINA
1,23
7,75
0,77
2,48
2,10
84
1,92
9,67
0,89
3,15
6,37
4. Quantificazione dell’espressione dei geni globinici utilizzando la
tecnica della Real-time quantitative PCR.
Per studiare l’effetto del trattamento con Rapamicina sull’espressione dei geni
globinici, nelle colture in oggetto si è prima estratto l’RNA totale secondo la metodica
del TRIzol descritta nel paragrafo 3 del capitolo “Materiali e metodi”. E’ stato poi
analizzato su gel di agarosio all’1% per valutare possibili degradazioni e quantificato
allo spettrofotometro. Infine, l’mRNA di ogni campione è stato amplificato tramite una
reazione di retro-trascrizione, che ha permesso così di ottenere il cDNA corrispondente
ad ogni mRNA.
Il cDNA derivante dalle cellule non trattate con Rapamicina è stato diluito in serie
scalare in modo da ottenere una curva standard di riferimento indispensabile per
quantificare i cDNA bersaglio dei geni globinici α, β e γ, dei quali si intendeva valutare
l’entità di espressione. Per ciascun campione è stata eseguita una reazione di Real-time
quantitative PCR in doppio, utilizzando le sequenze nucleotidiche e la sonda
cromogenica specifiche e riportate nella tabella 2 (paragrafo 6 del capitolo “Materiali e
metodi”). Sono stati amplificati sia i trascritti relativi agli mRNA per le globine umane
α, β e γ, sia per il gene di riferimento interno GAPDH, che serve come controllo e deve
essere espresso in egual misura sia nelle cellule trattate, che in quelle non trattate. Come
esempio riporto nella Fig.25 le curve di amplificazione di questi geni targets amplificati
mediante Real-time quantitative PCR e riferiti al campione n° 4. In Fig.25, Fig.26 e
Fig.27 è possibile osservare in A gli spettrogrammi relativi all’amplificazione del gene
per la GAPDH, che come si può osservare è egualmente espressa nei campioni trattati e
non trattati; mentre in Fig.25B, si possono osservare le curve di amplificazione relative
al gene per le -globine; in Fig.26B, si possono osservare le curve di amplificazione
relative al gene per le -globine; in Fig.27B, si possono osservare le curve di
amplificazione relative al gene per le -globine. In verde sono sempre riportate le curve
del campione di controllo ed in rosso quelle dell’aliquota trattata con Rapamicina.
85
A
B
Fig. 25. PCR quantitativa sul campione 4. Nella figura A sono indicati
gli spettrogrammi relativi all’amplificazione del gene di riferimenti GAPDH,
mentre in B sono riportati quelli relativi al gene per le alfa globine. In rosso, i
dati relativi alla coltura trattata con Rapamicina; in verde quelli sul controllo
non trattato.
86
A
B
Fig. 26. PCR quantitativa sul campione 4. Nella figura A sono indicati
gli spettrogrammi relativi all’amplificazione del gene di riferimenti GAPDH,
mentre in B sono riportati quelli relativi al gene per le beta globine. In rosso, i
dati relativi alla coltura trattata con Rapamicina; in verde quelli sul controllo
non trattato.
87
A
B
Fig. 27. PCR quantitativa sul campione 4. Nella figura A sono indicati
gli spettrogrammi relativi all’amplificazione del gene di riferimenti GAPDH,
mentre in B sono riportati quelli relativi al gene per le gamma globine. In rosso,
i dati relativi alla coltura trattata con Rapamicina; in verde quelli sul controllo
non trattato.
88
Nell’analisi dell’espressione dei geni globinici in questa coltura è da sottolineare il
fatto che i geni per le globine  e  sono egualmente espressi in seguito al trattamento
con Rapamicina. Infatti, le curve presentano lo stesso andamento e valori di CT simili
per lo stesso valore di Rn considerato (scegliendo questa linea di threshold). In Fig.27,
si possono osservare le curve di amplificazione relative al gene per le -globine (B); nel
campione trattato con Rapamicina 100 nM il gene bersaglio è maggiormente espresso
(curva rossa) rispetto al controllo non trattato (curva verde), infatti la curva ad esso
relativa compare prima nei cicli di reazione e presenta un valore di CT inferiore rispetto
a quello calcolato per il controllo a parità di threshold e di valore di fluorescenza
emessa dal sistema (Rn). Per calcolare l’induzione dell’espressine genica in ciascun
campione trattato con Rapamicina, al CT relativo al campione proveniente da cellule
eritroidi non trattate ed amplificate per il gene γ-globinico, viene sottratto il valore di
CT dello stesso campione relativo ottenuto dall’amplificazione del gene per la GAPDH.
Questa differenza è chiamata ΔCT. Dalla differenza tra il ΔCT dei campioni di cellule
trattate ed il ΔCT dei campioni di cellule non indotte si ricava il ΔΔCT. Questo valore
rappresenta l’esponente negativo di 2 nel risultato finale di un’elaborata equazione
matematica. Il valore 2-ΔΔCT permette quindi di ottenere il numero di volte in cui viene
più espresso un determinato mRNA bersaglio nel campione trattato, rispetto al
campione di riferimento.
Dall’analisi dell’espressione dei geni per le globine in questo campione emerge che
solo l’mRNA per le -globine ha subìto un incremento d’espressione. I dati ottenuti
dall’analisi condotta su tutte e cinque le colture derivate da soggetti talassemici sono
riportate in tabella 6, dove è osservabile un apprezzabile accumulo di mRNA specifico
per le -globine soprattutto nei campioni 3 e 4. In tutti i casi analizzati l’induzione
ottenuta dal trattamento con Rapamicina è specifica per l’mRNA delle -globine.
L’espressione delle globine sia  che  non viene incrementata in maniera
significativa; per quanto riguarda il gene α-globinico la sua induzione non porterebbe ad
alcun beneficio, anzi aumenterebbe il danno dovuto al formarsi di tetrametri di catene α
che precipiterebbero, peggiorando l’anemia dei pazienti. Invece, per i pazienti affetti da
β-talassemia di tipo 0 l’induzione del gene β, oltre che del gene  porterebbe ad un
aumento dell’espressione di catene β-globiniche difettose o addirittura potrebbe essere
inefficacie, non dando beneficio al paziente; mentre nel caso di una +-talassemia
89
potrebbe essere vantaggiosa, perché si avrebbe un aumento anche delle catene β non
difettose oltre alle . Pertanto è stato considerato anche il rapporto tra l’accumulo di
trascritti del gene per le γ-globine rispetto a quello dei trascritti per le globine . I valori
ottenuti sono riportati nella tabella 7. Il rapporto / è superiore all’unità in tutti i casi
analizzati. Sulla base di questi valori l’induzione dei trascritti per le -globine risulta
ancora più apprezzabile.
Tabella 6. Valutazione dell’induzione mediata dalla Rapamicina dei geni globinici α,
β, γ con la tecnica dell’ RT-PCR quantitativa.
n°
INDUZIONE INDUZIONE INDUZIONE
PAZIENTE
mRNA γ
mRNA 
mRNA 
1.
2.
3.
4.
5.
1,37
1,32
2,53
4,72
1,01
0,92
1
0,83
1,02
0,47
1,18
1,04
1,49
0,95
0,77
Tabella 7. Valutazione dell’induzione del gene per le γ-globine rispetto a
quella dei geni per le globine β.
n°
PAZIENTE
mRNA γ/β
1.
2.
3.
4.
5.
1,49
1,32
3,05
4,63
2,15
90
5. Considerazioni globali sull’aumento di HbF e di mRNA specifico
per le γ-globine.
Esaminiamo ora l’effetto eritro-differenziante del trattamento con Rapamicina su
ciascuna delle cinque diverse colture ottenute dai precursori eritroidi di soggetti affetti
da β-talassemia. A questo scopo consideriamo i dati ottenuti per ciascun soggetto in un
unico istogramma. In Fig.28 sono riportati la percentuale di HbF, la quantità di
HbF/cellula, l’accumulo di mRNA per le γ-globine rispetto al controllo, ed il rapporto
γ/ del soggetto 1. In Fig.29 sono riportati i rispettivi valori ottenuti per il soggetto 2.
In Fig.30 sono riportati i dati relativi al soggetto 3. Nelle Fig.31 e Fig.32 i risultati
derivati dalle analisi dei campioni 4 e 5.
I risultati dimostrano nel complesso un aumento sia di HbF nelle cellule trattate con
Rapamicina 100 nM rispetto alle colture di controllo non trattate, sia un accumulo di
mRNA per le γ-globine, soprattutto se considerato rispetto all’espressione dei geni .
Solo nel campione 2, relativo ad un soggetto che presenta talassemia del tipo 0/0, la
Rapamicina non ha prodotto un aumento significativo nei parametri analizzati. In questo
caso i livelli di induzione di HbF erano già molto elevati nella stessa coltura di controllo
non trattata (vedi tabella 4), come se i geni per le globine fetali fossero già up-regolati
nel tentativo di supplire alla carenza totale di catene .
91
Rapamicina/controllo
induzione
2
1,5
1
0,5
mRNA /
mRNA-globine
HbF (pg/cell)
% HbF
0
Fig. 28. Analisi degli effetti della Rapamicina sul soggetto talassemico
n°1. Nella figura sono riportati i valori relativi all’induzione sia di HbF
(istogrammi rosso e verde), che all’accumulo di mRNA specifico per le
-globine (istogrammi giallo e blu).
Rapamicina/controllo
induzione
1,5
1
0,5
mRNA /
mRNA-globine
HbF (pg/cell)
% HbF
0
Fig. 29. Analisi degli effetti della Rapamicina sul soggetto talassemico
n°2. Nella figura sono riportati i valori relativi all’induzione sia di HbF
(istogrammi rosso e verde), che all’accumulo di mRNA specifico per le
-globine (istogrammi giallo e blu).
92
Rapamicina/controllo
induzione
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
mRNA /
mRNA-globine
HbF (pg/cell)
% HbF
0
Fig. 30. Analisi degli effetti della Rapamicina sul soggetto talassemico
n°3. Nella figura sono riportati i valori relativi all’induzione sia di HbF
(istogrammi rosso e verde), che all’accumulo di mRNA specifico per le
-globine (istogrammi giallo e blu).
Rapamicina/controllo
induzione
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
mRNA /
mRNA-globine
HbF (pg/cell)
% HbF
0,5
0
Fig. 31. Analisi degli effetti della Rapamicina sul soggetto talassemico
n°4. Nella figura sono riportati i valori relativi all’induzione sia di HbF
(istogrammi rosso e verde), che all’accumulo di mRNA specifico per le
-globine (istogrammi giallo e blu).
93
Rapamicina/controllo
induzione
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
mRNA /
mRNA-globine
HbF (pg/cell)
% HbF
0
Fig. 32. Analisi degli effetti della Rapamicina sul soggetto talassemico
n°5. Nella figura sono riportati i valori relativi all’induzione sia di HbF
(istogrammi rosso e verde), che all’accumulo di mRNA specifico per le
-globine (istogrammi giallo e blu).
94
DISCUSSIONE
Negli ultimi anni lo sviluppo di nuove tecnologie e strumentazioni sempre più
sofisticate hanno permesso lo studio di strategie innovative mirate alla progettazione di
nuove terapie, basate sulla modulazione dell’espressione di geni bersaglio, ed hanno
anche consentito di comprendere meglio i meccanismi molecolari alla base della
regolazione della trascrizione genica.
Secondo questa linea di ricerca, numerosi laboratori si sono interessati alla cura di
determinate patologie attraverso lo studio e la progettazione di molecole capaci di
modulare l’espressione dei geni responsabili dell’insorgenza della malattia.
La modulazione dell’espressione genica con molecole biologicamente attive
potrebbe trovare applicazioni nella riattivazione dei geni per le γ-globine, nello sviluppo
di potenziali agenti terapeutici per la cura di patologie del sistema ematopoietico, come
la β-talassemia. Trattamenti con composti in grado di riattivare l’espressione dei geni
γ-globinici endogeni assumono notevole interesse dal momento che è stato riscontrato
un notevole miglioramento del quadro clinico in pazienti affetti da patologie
emopoietiche e presentanti un fenotipo HPFH, nei quali è stato osservato che un
aumento di emoglobina fetale anche inferiore al 30% era sufficiente per apportare un
beneficio clinico (12).
Tra i composti in grado di riattivare l’espressione dei geni γ-globinici endogeni un
discreto interesse è stato suscitato in questi ultimi anni dalla Rapamicina, una molecola
molto complessa sia dal punto di vista chimico-strutturale, che per quanto riguarda il
potenziale meccanismo d’azione.
La Rapamicina è un farmaco immunosoppressore già in uso per contrastare il
rigetto nei trapianti, in particolare nel trapianto di rene (65) e sembra avere effetto
inibitorio anche sulla crescita tumorale; infatti, la sperimentazione per il suo potenziale
uso anticancro è già stato indagato in trails clinici di fase I-III (154). Inoltre, è stato
recentemente scoperto che la Rapamicina ha anche effetti antivirali, essendo in grado di
inibire anche la replicazione del virus HIV-1 (135).
Il meccanismo d’azione della Rapamicina è molto complesso e riguarda numerose
proteine cellulari coinvolte in diversi aspetti della biochimica della cellula, che possono
95
essere riassunte principalmente nel blocco della sintesi proteica e nell’arresto del ciclo
cellulare nella fase G1. Il target cellulare della Rapamicina è la proteina mTOR, una
chinasi regolata a monte da molteplici fattori, tra cui i fattori di crescita e che a sua volta
è coinvolta in diversi meccanismi cellulari (79, 105, 11). La Rapamicina forma un
complesso proteico con la proteina FKBP12 che interagisce con mTOR inibendone
l’attività chinasica e mantenendo così i suoi targets nello stato defosforilato. Tra questi
ricordiamo le proteine 4E-BP1 e p70S6K (107, 108). Un meccanismo proposto per
spiegare l’effetto antiproliferativo della Rapamicina è che questa molecola up-regoli
l’espressione di p27KIP1 (133); tuttavia questo non sembra essere l’unico meccanismo
coinvolto, infatti sembra che questa up-regolazione di p27KIP1 sia associata anche con
l’apoptosi indotta da fattori di crescita, come GM-CSF, o dalla inibizione di PI3K (134).
L’arresto del ciclo cellulare in G1 è dipendente dalla scissione di p27KIP1 dal complesso
e dal suo assemblaggio alla ciclina E/Cdk2 (131).
E’ interessente notare che elevati livelli di espressione di p27KIP1 sono stati anche
correlati con l’induzione dell’arresto del ciclo cellulare durante il differenziamento
eritroide indotto con EPO e studiato in una linea cellulare eritroblastica murina, che
sembra coinvolgere il suo assemblaggio alla ciclina E/Cdk2 (155). Le chinasi ciclinadipendenti possono avere come bersagli anche repressori tumorali (ad esempio pRb, un
oncosopressore del retinoblastoma), che lega proteine appartenenti alla famiglia di
fattori trascrizionali simili a E2F, sopprimendo l’espressione dei geni da questi regolati,
ed essenziali per la replicazione del DNA. L’arresto in fase G1 induce cambiamenti nei
livelli di espressione di fattori nucleari come NF-E2 e GATA-1 (155), proteine
coinvolte anche nella regolazione dell’espressione dei geni globinici (13, 15, 156).
Queste vie di regolazione non sono tuttavia ancora state completamente definite.
Sul meccanismo d’azione relativo all’attività eritro-differenziante della Rapamicina
si possono tuttavia fare solamente delle ipotesi, dal momento che il processo non è del
tutto noto.
L’effetto eritro-differenziante della Rapamicina è stato dimostrato in cellule K562
e in precursori eritroidi isolati da donatori normali (138). I risultati ottenuti dallo studio
svolto nell’ambito di questa tesi hanno permesso di valutare lo stesso effetto in colture
di precursori eritroidi allestite a partire da sangue prelevato da cinque pazienti
talassemici. Questo modello di coltura cellulare liquida in due fasi (58, 59) rappresenta
96
un sistema fisiologicamente più adatto per lo studio degli effetti della Rapamicina prima
di un suo impiego farmacologico nell’uomo.
Dopo il trattamento con questa molecola è stato estratto l’mRNA totale e retrotrascritto in cDNA. Per la quantificazione dell’mRNA dei geni globinici è stata
utilizzata la tecnica dell’RT-PCR quantitativa, essendo la tecnologia maggiormente
all’avanguardia per effettuare questo tipo di analisi, mentre la quantità di Hb totale e di
HbF è stata valutata con l’HPLC. I risultati dimostrano che in tutti i campioni analizzati
l’addizione di Rapamicina alla concentrazione di 100 nM ha indotto nelle colture in
vitro un incremento nella percentuale di HbF, che in tre soggetti su cinque (1, 2, 5) è
associato anche ad un aumento di Hb totale/cellula; solo in due soggetti l’Hb
totale/cellula non è stata incrementata in seguito al trattamento. Sulla base di questi dati
è stato calcolato l’aumento di HbF/cellula e riportato in tabella 5, dalla quale emerge
che in tutti i campioni è stato osservato un aumento di HbF (espresso in pg/cellula).
Perciò questa molecola stimola l’accumulo di HbF in colture di precursori eritroidi
isolati da sangue di soggetti talassemici.
Dall’analisi condotta su tutte e cinque le colture derivate da soggetti talassemici
risulta un apprezzabile accumulo di mRNA per le -globine, mentre l’espressine delle
globine sia  che  non viene incrementata in maniera significativa. In tutti i casi
analizzati l’induzione ottenuta dal trattamento con Rapamicina è pertanto specifica. Solo
nel campione 2, relativo ad un soggetto che presenta talassemia del tipo 0/0, la
Rapamicina non ha prodotto un aumento significativo nei parametri indagati per quanto
riguarda l’induzione del differenziamento eritroide. In questo caso la produzione di HbF
era già molto elevata nella coltura di controllo non trattata, come se i geni per le globine
fetali fossero già up-regolati nel tentativo di supplire alla carenza totale di catene . I
dati ottenuti sulle altre colture di controllo, derivate da soggetti che presentavano forme
di talassemia +/+, o 0/+, suggeriscono che la Rapamicina potrebbe essere utile
nell’attivazione dei geni globinici embrio-fetali soprattutto in queste forme di
talassemia.
Tuttavia, l’entità dell’effetto non risulta uguale in tutti i campioni e ciò fa supporre
che ogni individuo abbia una risposta diversa al farmaco. Sulla base di questa
considerazione, questo tipo di colture cellulari potrebbe essere utile anche per pretestare l’efficacia di una molecola sulle cellule isolate dal paziente destinatario della
97
terapia. Infatti, con uno screening di questo genere, sarebbe possibile fare supposizioni
sui suoi effetti in un determinato paziente, evitando così la somministrazione di farmaci
non efficaci. Questo approccio potrebbe quindi trovare applicazioni nell’ambito della
farmaco-genomica, al fine di effettuare terapie individuali sempre più mirate.
L’utilizzo della Rapamicina come agente eritro-differenziante presenta molti
vantaggi rispetto ad altre molecole, poiché è già in uso in terapia come
immunosoppressore nei trapianti d’organo. La sua farmacologia e la farmacocinetica
sono già note e ciò potrebbe accorciare i tempi della ricerca, dato che sono già stati
effettuati numerosi studi in questo campo.
Inoltre, l’esistenza di pazienti in terapia con Rapamicina, anche se per patologie di
natura diversa rispetto alla β-talassemia, offre numerosi vantaggi, rappresentando ad
esempio un ulteriore modello di studio: il sangue di questi soggetti potrebbe essere
direttamente analizzato per quanto riguarda gli effetti della molecola sull’incremento di
HbF prima e dopo la terapia. Tenendo conto tuttavia che i dosaggi impiegati sono di
gran lunga superiori a quelli che dovrebbero essere somministrati in pazienti affetti da
talassemia.
Questi studi sugli effetti della Rapamicina come potenziale agente terapeutico
aprono nuove prospettive nell’ambito della cura di soggetti che, per motivi dipendenti
dalle condizioni di salute oppure dal credo religioso, non possono essere emo-trasfusi.
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