UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FERRARA Facoltà di Farmacia Dipartimento di Biochimica e Biologia Molecolare Corso di laurea in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche INDUZIONE DI EMOGLOBINA FETALE IN CELLULE ERITROIDI ISOLATE DA PAZIENTI AFFETTI DA -TALASSEMIA I Relatore Laureanda Prof. Roberto Gambari Stefania Spedo II Relatore D.ssa Nicoletta Bianchi Anno Accademico 2003-2004 1 INDICE INTRODUZIONE…………..………………………………………………………….4 1. Il differenziamento eritroide: aspetti generali…………………………………4 1.a. Il processo dell’emopoiesi…………………………………………………..4 1.b. L’eritropoiesi nell’uomo…………………………………………………….6 2. Modulazione temporale dell’espressione di globine umane durante lo sviluppo..8 3. Principali patologie a carico del sistema emopoietico………………………….14 4. Il fenotipo HPFH (High Persistance of Fetal Hemoglobin) ed il gene per le -globine umane………………………………………………………………..20 5. Approccio terapeutico per la cura della β-talassemia: la riattivazione di geni globinici endogeni…………………………………………………...…………24 6. Sistemi di colture cellulari in vitro nello studio dell’attività di molecole da impiegare come possibili agenti eritro-differenzianti…………………………..30 6.a. Colture cellulari impiegate in saggi preliminari di un numero elevato di composti, per testarne le potenzialità eritro-differenzianti……………………..30 6.b. Colture di precursori eritroidi isolati da sangue di precursori normali…….31 6.c. Coltura cellulare di precursori eritroidi, isolati da pazienti affetti da -talassemia………………………………………………………………….…34 7. La Rapamicina: una molecola in grado di controllare la crescita cellulare e modulare l’espressione genica………………………………………………….36 7.a. Cenni storici e struttura chimica della Rapamicina………………...……...36 7.b. Sintesi della Rapamicina…………………………………………………...37 7.c. Meccanismo d’azione della Rapamicina…………………………………...45 7.d. Attività antiproliferativa della Rapamicina………………………………...56 7.e. Effetto eritrodifferenziante della Rapamicina, una molecola che presenta potenziale attività di induttore di emoglobina fetale…………………………...58 8. “Real-time quantitative RT-PCR” per l’analisi dell’espressione dei geni globinici…………………………………………………………………...62 SCOPO…………..…………………………………………………………………….68 2 MATERIALI E METODI…………...……………………………………………….70 1. Coltura di precursori eritroidi isolati da pazienti affetti da -talassemia……....70 2. Preparazione della Rapamicina……………………………….………………..72 3. Estrazione dell’mRNA totale derivante da precursori eritroidi………………...72 4. Saggio dell’RNA………………………………………………………………..73 4.a. Quantificazione dell’RNA allo spettrofotometro ……………………….....73 4.b. Elettroforesi su gel d’agarosio……………………………………………..73 5. Reazione di retro-trascrizione per la produzione del templato di cDNA dall’RNA di precursori eritroidi indotti e non dalla somministrazione di Rapamicina…………………………………………………………………..75 6. Real-time quantitative PCR per la quantificazione dei geni globinici………….76 7. Analisi HPLC (High Performance Liquid Chromatography) per la quantificazione delle globine in colture di precursori eritroidi isolati dal sangue di donatori che presentano -talassemia………………………………..77 RISULTATI………………...…………...…………………………………………….79 1. Dati relativi ai pazienti analizzati…………………..………………………......79 2. Colture di precursori eritroidi da sangue di pazienti affetti da -talassemia…...81 3. Quantificazione del contenuto sia di HbF, che di Hb totale/cellula nelle colture di precursori eritroidi trattate con Rapamicina…………………………82 4. Quantificazione dell’espressione dei geni globinici utilizzando la tecnica della Real-time quantitative PCR………………………………………………85 5. Considerazioni globali sull’aumento di HbF e di mRNA specifico per le γ-globine…………………………………………………………………91 DISCUSSIONE………………...…………...…………………………………………95 BIBLIOGRAFIA………………...…………...……………………………………….99 3 INTRODUZIONE 1. Il differenziamento eritroide: aspetti generali. 1.a. Il processo dell’emopoiesi. Le cellule ematiche hanno una durata di vita limitata nel sangue circolante e vengono continuamente rinnovate mediante il processo dell’emopoiesi nel midollo osseo. Durante la vita intrauterina i primi precursori delle cellule ematiche sono riconoscibili nel sacco vitellino; al secondo mese di gestazione inizia l’emopoiesi epatica che insieme a quella splenica è preponderante fino al sesto-settimo mese. Successivamente, il midollo osseo diviene il principale organo emopoietico, la cui attività riguarda all’inizio principalmente le ossa piatte e lunghe, per divenire a carico delle vertebre, dello sterno, delle costole e delle creste iliache. Il tessuto emopoietico rappresenta in condizioni fisiologiche il 4-6% del peso corporeo di un individuo (1). Tutte le cellule circolanti nel sangue derivano da un numero limitato di cellule staminali pluripotenti di origine mesodermica, che rappresentano meno dello 0,01% delle cellule nucleate del midollo osseo e sono le uniche in grado di autoreplicarsi e ad avere la potenzialità di crescere e differenziarsi lungo le linee granulocitaria (neutrofili, eosinofili, basofili), monocitica, eritroide, megacariocitica e linfoide, come schematizzato in Fig.1. Alcune delle cellule staminali si dividono dando origine ad una progenie che perde la capacità di differenziarsi lungo le differenti vie e orienta il proprio sviluppo verso una specifica linea emopoietica. Queste cellule progenitrici chiamate committed (cioè destinate alla differenziazione secondo una sola linea differenziativa) continuano a proliferare e a differenziarsi in precursori morfologicamente identificabili, che vanno incontro ad un’ulteriore maturazione acquisendo nel contempo funzioni altamente specializzate e perdendo la capacità di proliferare (2). Così, per effetto di stimoli non ancora del tutto chiariti le cellule staminali prendono la via del differenziamento verso la produzione di cellule progenitrici dei linfociti o di cellule staminali mieloidi pluripotenti. Queste ultime a seguito di successive divisioni cellulari danno origine a cellule che possono differenziare ulteriormente producendo: 4 1)mieloblasti da cui hanno origine i granulociti, 2) eritroblasti da cui derivano i reticolociti e quindi gli eritrociti, 3) megacariociti da cui si formano, infine, le piastrine (3) (Fig.1). Il passaggio delle cellule mature delle tre filiere emopoietiche nel circolo sanguigno risponde a stimoli poco noti e avviene mediante un processo attivo, che comporta la formazione temporanea di pori nella membrana delle cellule endoteliali (1). mieloidi linfoidi cellula staminale totipotente progenitore multipotente progenitore committed megacariociti neutrofili basofili eosinofili eritrociti piastrine macrofagi cellule mature cellule B cellule T cellule NK cellule dendritiche Fig. 1. Rappresentazione schematica del processo dell’eritropoiesi nell’uomo. L’eritropoiesi ha inizio dalla cellula staminale totipotente che differenzia dando origine ai progenitori multipotenti (BFU-E). Da questi derivano poi le cellule committed sempre più differenziate dalle quali origineranno le cellule mature del sangue. Alla base del differenziamento c'è una particolare programmazione dell'attività genica, responsabile della conservazione di questa "specializzazione", che mantiene repressa la sintesi di geni, che non sono specifici di quel determinato tipo cellulare, ed invece attivata la sintesi di altri geni. Il nucleo non è il solo responsabile di questa programmazione, infatti, le cellule dei vari tessuti in un organismo hanno tutte DNA identico. La diversa regolazione dell'attività genica che si attua nei vari tipi cellulari dipende da segnali chimici che giungono al nucleo dal citoplasma, oppure, sempre 5 mediati dal citoplasma, anche da cellule circostanti o dall'ambiente esterno alla cellula. Segnali chimici analoghi sono prodotti anche nel corso della vita della cellula eucariotica, i cui complessi cicli vitali sono programmati da molecole specifiche sintetizzate in particolari momenti e che inducono il nucleo a iniziare una nuova fase di attività. Le interazioni nucleo-citoplasma sono quindi alla base sia del differenziamento, sia della normale attività di una cellula nel corso del suo ciclo vitale. Il mantenimento di questo stato differenziato è il risultato di un continuo dialogo tra ogni cellula ed il resto dell'organismo, mediato da sostanze chimiche capaci di svolgere un'azione regolatrice anche a distanza. Infatti, si può dimostrare come sia possibile ripristinare lo stato di totipotenza di un nucleo di una cellula differenziata, inserendolo in un citoplasma di una cellula embrionale, quindi privandolo dell'ambiente in grado di sollecitarlo verso un ruolo definito (3). I primi stadi dell’emopoiesi risentono del controllo da parte di una serie di fattori di crescita, le cosiddette citochine, sintetizzate e secrete da svariate cellule midollari, stromali e del sistema immunitario, che regolano, in un complesso sistema di cooperazione, il differenziamento e la proliferazione delle cellule progenitrici. Tra queste citochine troviamo ad esempio il fattore di crescita per le cellule staminali (SCF, stem cell factor), l’interleuchina-3 e il fattore stimolante le colonie granulocitomacrofagiche (GM-CSF). Altri fattori di crescita come l’eritropoietina (EPO), la trombopoietina (TPO), il fattore stimolante colonie macrofagiche (M-CSF) e il fattore stimolante colonie granulocitarie (G-CSF), agiscono principalmente su progenitori cellulari più maturi, già orientati verso un’unica linea di differenziazione. Questi fattori di crescita hanno in comune la caratteristica di legarsi a recettori proteici dotati di attività tirosin-chinasica, e sono quindi in grado di promuovere risposte complesse coinvolgenti la fosforilazione di proteine bersaglio (1). 1.b. L’eritropoiesi nell’uomo. L’eritropoiesi è il processo attraverso il quale a partire da cellule staminali pluripotenti vengono prodotti gli eritrociti. L’eritropoiesi ha inizio con la differenziazione della cellula staminale, che porta alla comparsa dei primi progenitori eritroidi. Gli stimoli che regolano queste fasi iniziali sono in gran parte oscuri. E’ noto che l’IL-3 e il GM-CSF 6 possono incrementare la formazione dei progenitori eritroidi e che sono importanti le interazioni con le cellule endoteliali, fibroblastiche e macrofagiche del microambiente emopoietico (1). Per completare l’intero processo è richiesta la presenza di fattori ematopoietici di crescita (HGFs), comprendenti molecole ad azione sia stimolatoria, tra cui le interleuchine, che inibitoria, come molecole prodotte da una vasta gamma di cellule. Altri fattori importanti di cui è richiesta la presenza sono, infatti: l’eritropoietina, la vitamina B12, l’acido folico, la disponibilità di ferro e la presenza di alcuni oligo-elementi come il rame, il cobalto e il nichel. Le cellule precursori degli eritrociti, quando si dividono, diventano sempre più sensibili all’eritropoietina, ormone polipeptidico prodotto dal rene e dal fegato in risposta allo stimolo ipossico inviato dai globuli rossi, che ne stimolano la produzione provocando la divisione cellulare fino alla completa maturazione dei precursori. Un adeguato apporto di vitamina B12 e acido folico, indispensabili per la sintesi del DNA, è fondamentale per una corretta differenziazione e maturazione delle cellule staminali. La cellula eritroide più immatura, derivante dalla cellula staminale pluripotente, e che puo’ essere isolata dal midollo osseo e/o dal sangue periferico è la cosiddetta BFU-E (erythroid burst forming unit=unità eritroide formante grappoli), tali cellule possono essere anche facilmente coltivate in vitro. Dopo 10-15 giorni di coltura la cellula BFU-E dà origine ad una grossa colonia di precursori eritroidi già riconoscibili. La BFU-E risponde ad alte dosi di eritropoietina, che a sua volta agisce sinergicamente con altri fattori di crescita. La CFU-E (erythroid colony forming unit=unità eritroide che forma colonie), cellula più matura, è molto sensibile all’eritropoietina e produce un più piccolo clone cellulare dopo 4-7 giorni di coltura. L’eritropoietina probabilmente interagisce con recettori specifici sulla membrana di cellule progenitrici (committed) destinate a differenziare in senso eritroide, inducendole a differenziarsi in pronormoblasti, i precursori eritroidi più precoci e riconoscibili all’esame del midollo osseo. Normalmente il passaggio da proeritroblasto a eritroblasto più maturo richiede tre o quattro divisioni cellulari, che hanno luogo in un periodo superiore ai quattro giorni. Durante questo tempo il nucleo diviene più piccolo e una quantità sempre maggiore di emoglobina viene sintetizzata nel citoplasma. Dopo l’ultima divisione cellulare il nucleo picnotico viene estromesso dall’eritroblasto e si forma così il reticolocita che rimane nel midollo per due o tre giorni e viene poi 7 rilasciato in circolo dove rimane per altre 24 ore prima di assumere l’aspetto morfologico tipico dell’eritrocita maturo (con la perdita di mitocondri e dei ribosomi). Una caratteristica dei precursori eritroidi (dal peritroblasto al reticolocita) è che queste cellule possiedono un recettore di superficie specifico per il complesso ferrotransferrina, grazie al quale possono incorporare ferro a sufficienza per la sintesi dell’emoglobina (2). L’eritrocita non è una cellula in senso stretto in quanto priva di organelli cellulari, ma ha caratteristiche tali da essere in grado di trasportare grandi quantità di gas, ossigeno e CO2, mediante la sintesi dell’emoglobina, proteina avente funzione di trasporto di queste molecole, e presenta, inoltre, un favorevole rapporto superficie/volume avendo un diametro di circa 8 m ed uno spessore massimo di 2 m in modo da rendere più semplice la diffusione dei gas all’interno e all’esterno di questa cellula (4). 2. Modulazione temporale dell’espressione di globine umane durante lo sviluppo. L’emoglobina rappresenta la proteina più importante tra i costituenti dei globuli rossi, la cui funzione biologica è quella di trasportare l’ossigeno dai polmoni ai tessuti attraverso il circolo sanguigno. Ha una struttura globulare costituita da quattro catene polipeptidiche e quattro gruppi prostetici eme. Delle quattro catene globiniche due sono catene “di tipo alfa” (zeta ed alfa), mentre le altre due sono “di tipo beta” (epsilon, gamma, beta e delta); nell’adulto è prevalente l’HbA (97%), formata da due catene α di 141 residui e da due catene β di 146 aminoacidi, che si associano tra loro a formare una struttura tetraedrica. Il 2-3% è rappresentato dall’HbA2, costituita da due catene e da due catene e meno dell1% è rappresentato dall’HbF (emoglobina fetale) costituita da due catene e due catene . Quanto descritto è stato riportato con maggiori dettagli in Fig.2. Durante lo sviluppo dei proeritroblasti si ha un notevole incremento a carico della trascrizione dei geni per le catene globiniche. Le catene α e β dell’HbA contengono diversi segmenti ad α-elica separati tra loro da ripiegamenti cosiddetti a -foglietto; le interazioni tra le due catene α e le due catene β 8 sono localizzate in prevalenza a livello di residui idrofobici, ma esistono anche interazioni ioniche che coinvolgono i residui carbossi-terminali delle quattro subunità. La sintesi di ciascuna di queste subunità è diretta da un gene corrispondente ed ereditato da ciascun genitore. Fig. 2. Differenti tipi di emoglobina nell’uomo. Le tre emoglobine embrionali vengono prodotte nei primi mesi di gravidanza, al termine dei quali vengono sostituite dall’emoglobina fetale, che a sua volta è sostituita dalle emoglobine adulte nei primi mesi di vita. (Figura tratta dal CD informativo The Thal World, per gentile concessione di Università degli studi di Ferrara e azienda USL Ferrara). In ogni catena polipeptidica costituente l’emoglobina, posizionato all’interno di una tasca idrofobica, si trova il gruppo eme, che in tale posizione stabilisce dei legami idrofobici con l’interno ed eteropolari con la superficie della molecola. Il gruppo eme è costituito da una complessa struttura organica ad anello, la protoporfirina, alla quale è legato in posizione centrale un atomo di ferro nello stato di ossidazione ferroso (Fe2+). L’atomo di ferro presenta sei legami di coordinazione, quattro dei quali sono posizionati nel piano della porfirina ed impiegati all’interno del piano, mentre gli altri due sono 9 perpendicolari al piano ed associano l’eme al polipeptide stabilendo un contatto con l’azoto imidazolico di due residui di istidina in posizione frontale rispetto all’eme stesso. L’equilibrio che si viene a formare tra l’eme e la parte proteica è influenzato dalla presenza di ossigeno; infatti, essendo l’ossigeno elettronegativo, tende a legare l’atomo di ferro rompendo uno dei due legami di coordinazione con l’istidina. Ne consegue che nell’ossiemoglobina il ferro è legato ad una sola molecola di istidina della catena polipeptidica e ad una molecola di ossigeno, mantenendo costante la sua valenza allo stato ferroso. La struttura quaternaria dell’emoglobina è responsabile della sua affinità per l’ossigeno, che diventa maggiore per le diverse subunità, man mano che l’ossigeno si lega ai gruppi prostetici: il legame della prima molecola di ossigeno favorisce i legami di nuove molecole di ossigeno alle altre subunità. Il movimento delle catene proteiche sono essenziali per la cattura ed il rilascio di ossigeno, permettendo al gruppo eme di assumere uno stato rilassato che favorisce il legame dell’ossigeno alla subunità adiacente. Durante le varie fasi di sviluppo di un individuo sono identificabili diverse forme di emoglobina riassunte in Fig.2. È possibile, infatti, distinguere la produzione di tre emoglobine embrionali nei primi mesi di gravidanza (Hb Gower1 ζ2ε2, Hb Gower2 α2ε2 e Hb Portland ζ2γ2), un’emoglobina fetale (HbF α2Gγ2 e α2Aγ2) la cui produzione continua anche dopo la nascita andando a costituire per i primi sei mesi di vita il 5% di tutta l’emoglobina. Rispetto all’emoglobina di tipo adulto, l’HbF presenta un’affinità maggiore per l’ossigeno: questo permette un efficiente trasferimento di ossigeno dal sangue materno a quello fetale attraverso la placenta. La differente espressione nel tempo, dal concepimento alla vita adulta, delle diverse catene globiniche nell’uomo è rappresentata in Fig.3 ed è dipendente dall’attivazione e dallo spegnimento di differenti geni globinici, attraverso processi di metilazione e demetilazione, che ne caratterizzano lo switch (5, 6, 7, 8). Durante il periodo embrionale sono attivi i geni responsabili della sintesi delle Hb Gower e Hb Portland, la cui espressione diminuisce progressivamente dopo le due prime settimane di gestazione. L’espressione del gene ζ diminuisce man mano che aumenta l’espressione del gene per la globina α, mentre le globine ε sono sostituite dalle globine γ dopo sei settimane dal concepimento. Le globine a partire dalla ventiquattresima settimana da concepimento, 10 durante la fase fetale, raggiungono i livelli massimi presenti nell’adulto. Dopo la nascita, la sintesi delle globine γ diminuisce sempre più, fino ad essere completamente sostituita dalle globine β intorno al quarto anno d’età. In realtà una piccola percentuale di HbF viene espressa ancora durante la vita adulta ed i suoi livelli possono variare anche di dieci volte sotto l’influenza di fattori quali l’età, il sesso o peculiarità genomiche, ad esempio mutazioni puntiformi nelle sequenze di DNA all’interno del catene globiniche cluster β o nei geni ad esso correlati. prima della nascita nascita dopo la nascita Fig. 3. Espressione nel tempo e nei diversi tessuti dei differenti tipi di catene globiniche umane. Le catene globiniche umane sono espresse in percentuale di emoglobina sul totale (figura tratta da: Olivieri NF. The β–Thalassemias. Medical Progress, 341, 99-109, 1999). Il clusters genico per le globine ε, γ, δ e β si trova sul cromosoma 11, mentre quello per le globine ζ e α si trovano sul cromosoma 16, essi sono riportati in Fig.4. Nel cromosoma 11 sono rappresentati anche gli pseudo-geni ψβ2 e ψβ1, mentre nel cromosoma 16 è presente lo pseudo-gene ψα1. Per le catene di tipo γ va specificata l’esistenza di due tipi diversi di globine che differiscono tra loro per la sostituzione di una glicina con un’alanina in posizione 136 della catena peptidica e sono rispettivamente denominate catene Gγ e Aγ. 11 A Locus Control Region 2 G A cromosoma 11 (p15.5) B HS-Region 1 cromosoma 16 (p13.3) Fig. 4. Organizzazione dei clusters dei geni per le globine di tipo β (A) e dei geni per le globine α (B), posizionati rispettivamente sul cromosoma 11 e sul cromosoma 16. (Figura tratta dal CD informativo The Thal World, per gentile concessione di Università degli studi di Ferrara e azienda USL Ferrara). I geni β-globinici umani (ε, γG, γA, δ e β) sono raggruppati in un dominio di 70 kb sul cromosoma 11. L’espressione dei geni β-globinici è regolata da una regione, di circa 25 kb, contenente una serie di siti ipersensibili alla DNasi I (5’HS), riconosciuti da quattro fattori eritrospecifici (5’HS1-4), e uno riconosciuto da un fattore ubiquitario (5’HS5); tale regione è collocata tra 6 e 18 kb a monte del gene per le ε-globine ed è chiamata Locus Control Region (LCR). La sequenza LCR è indispensabile per l’attivazione della trascrizione, infatti è stato dimostrato come la delezione di questa regione inibisca l’espressione di tutte le proteine codificate dai geni contenuti nel cromosoma 11 provocando la -talassemia (9, 10). L’LCR svolge due ruoli importanti: 1) costituisce una regione cromosomica “aperta”, ovvero più accessibile ai fattori di regolazione, e 2) contiene delle porzioni ad attività fortemente enhancer, responsabili dell’elevata espressione genica, differenziata temporalmente durante lo sviluppo embrio-fetale dei diversi geni globinici (11). Ciascun promotore dei singoli geni β-globinici sembra agire in sinergismo con l’LCR per controllarne l’espressione nel tempo, determinando il lo “spegnimento” progressivo di alcune catene a favore di altre (12). 12 La sequenza LCR è stata parzialmente mappata ed è stata evidenziata una regione in particolare: la regione 5’ HS2 che contiene due siti di legame per il fattore nucleare NFE2 (Nuclear Factor E2), sovrapposti al sito di legame per la proteina AP-1 (Activator Protein 1) (13, 14). E’ stato dimostrato che questa regione di 46 bp è necessaria e sufficiente per l’attivazione dell’espressione di un gene reporter -globinico posto sotto il suo controllo trascrizionale (13). Per la completa attività del sito 5’HS2 è, inoltre, necessario che si verifichi l’interazione di alcuni fattori trascrizionali con i loro siti di legame localizzati all’interno di tale regione. Tra i fattori trascrizionali identificati ricordo GATA-1 (erythroid cell- and megakaryocyte-specific trancription factor 1) (15), TAL-1 (T-cell acute leukemia 1) (16) CBF-1 (C-promoter binding factor 1) (17), USF (Upstream stimulatory Factor) (18), e YY1 (ying-yang 1) (19). Numerosi studi suggericono che altre proteine possano essere implicate nel meccanismo di regolazione genica come l’istone-acetil-transferasi (HATs), CREB binding protein (CBP) e p300, importanti co-attivatori per la trans-attivazione dei geni globinici che mediano l’attività enhancer dell’LCR (20). Sembra che il meccanismo molecolare con cui l’LCR possa dirigere l’espressione globinica sia la formazione di loop di DNA dovuti proprio all’interazione di complessi multipli DNA-proteina coi singoli promotori per le diverse globine del cluster secondo un modello schematizzato in Fig.5. Attivatori 13 Repressori Regione codificante Coattivatori promotore Fattori basali Fig. 5. Esempio di una struttura a “loop”. Nella figura sono schematizzate le regioni interessate dal legame di fattori trascrizionali, che a loro volta interagiscono grazie alla formazione di una struttura a loop con quelli riconosciuti in regioni più distali, regolando l’espressione genica a livello delle regioni promotrici dei singoli geni globinici. (Figura tratta dal sito informativo http://biology.kenyon.edu/courses/biol114/Chap10/Chap10.html). 3. Principali patologie a carico del sistema emopoietico. Le patologie del sistema ematopoietico che colpiscono l’uomo sono suddivise in due categorie principali entrambe dovute ad alterazioni ereditarie. Il primo gruppo è costituito da quelle patologie in cui le catene globiniche prodotte sono caratterizzate da variazioni a livello della sequenza aminoacidica, tra queste l’anemia falciforme. Il secondo gruppo è caratterizzato, invece, da una minore od assente produzione di catene globiniche (sindromi talassemiche). Le sindromi talassemiche presentano dunque un disturbo a livello quantitativo e non qualitativo delle catene polipeptidiche; in base al tipo di catena colpita dal difetto genico si parlerà di -talassemia, -talassemia e -talassemia. Queste patologie rappresentano 14 uno dei disordini genetici più diffusi nel mondo e risultano particolarmente colpite le popolazioni del bacino del Mediterraneo, dell’Africa, dell’India e dell’Oriente (Fig.6A). In Italia prevalgono nettamente le forme di -talassemia, che risulta endemica nel delta padano, in Puglia, Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna (Fig.6B). A B Fig. 6. Aree geografiche maggiormente colpite dalla talassemia. Nella figura sono rappresentate le zone endemiche dell’Italia (A) e del mondo (B), nelle quali la talassemia è stata maggiormente riscontrata. Gli studi genetici hanno dimostrato come le mutazioni responsabili dell’insorgenza delle sindromi talassemiche siano originate casualmente in varie popolazioni e che un criterio di selezione naturale, basato verosimilmente sulla maggior resistenza 15 all’infezione da parte dei parassiti malarici delle forme eterozigoti, abbia giocato un ruolo importante nell’affermarsi di questa patologia in certe aree geografiche. Alcune mutazioni genetiche che determinano l’insorgenza della talassemia possono essere: la sostituzione di un codone codificante per un aminoacido con un codone di terminazione, determinando un’interruzione prematura della trascrizione; l’alterazione del quadro di lettura del codice genetico; un difetto a livello della maturazione o del trasporto dell’mRNA dal nucleo al citoplasma, per cui il trascritto può essere degradato all’interno del nucleo oppure, se la mutazione interessa regioni interne ad introni localizzate lontano dal normale punto di separazione introne-esone, possono formarsi nuovi siti di splicing, causando la produzione di mRNA sia normali che alterati. Infine, ricordiamo le delezioni geniche, le principali delle quali sono riportate in Fig.7. ε G A 5’ 3’ Talassemia Talassemia Hb Lepore Talassemia Talassemia HPFH Talassemia Fig. 7. Delezioni geniche responsabili del fenotipo talassemico. Questo tipo di delezioni possono interessare un’area genica più o meno vasta. In alcuni casi possono, invece, provocare la riattivazione dei geni globinici di tipo gamma (come nel fenotipo HPFH). Le emoglobine Lepore prendono origine da un crossing-over non omologo fra i geni e adiacenti. Tale evento genera una subunità globinica formata all’estremo N-terminale da un tratto di catena e all’estremo C-terminale da un tratto di catena . 16 Le α-talassemie sono più frequenti in Asia, in alcune regioni del bacino del Mediterraneo ed in Africa, ed è molto rara tra le razze bianche. Essendo i geni codificanti per l’ globina quattro, due per ciascun cromosoma 16 in un individuo diploide, sulla base del numero di geni interessati dall’alterazione si distingueranno diverse varianti di -talassemie. Tuttavia, la maggior parte delle -talassemie sono dovute alla delezione di geni -globinici che possono essere di diversa entità, dando quindi origine a quadri clinici di diversa gravità. La mancanza di tutti e quattro i geni α porta all’insorgere di una patologia detta idrope fetale, caratterizzata da morte intrauterina del feto o sopravvivenza di poche ore del feto nato a termine. In questa patologia diffusa soprattutto in Asia, si ha la sintesi di emoglobine anomale: Hb Bart (80%), costituita dall’unione di quattro catene , Hb Portland, costituita dall’unione di due catene ζ e due (20%). La malattia da HbH deriva invece dalla trasmissione di uno solo dei quattro geni dell’-globina, con conseguente grave riduzione della sintesi di questa catena. L’emoglobina formata è in prevalenza di tipo HbH e deriva dall’unione di quattro catene . Siccome i tetrametri formati dalle catene sono relativamente solubili, la morte intramidollare degli eritroblasti è ridotta, mentre si assiste alla formazione di precipitati emoglobinici in circolo (corpi di Heinz). I pazienti in genere hanno un’aspettativa di vita normale, anche se possono andare incontro ad aggravamenti dell’anemia in caso di infezioni. La -talassemia minor deriva dalla delezione di due dei quattro geni globinici ed è una condizione in genere clinicamente silente. Le +-talassemie, causate non da una delezione, sono di solito prodotte da mutazioni che comportano la ridotta espressione dei geni . La β-talassemia viene classificata in due categorie a seconda del grado di mancanza di globine β: β0-talassemia, quando vi è la totale assenza di sintesi di β-globine; β+talassemia, caratterizzata da una ridotta sintesi di β-globine negli omozigoti. Esperimenti di sequenziamento dei geni per le globine β hanno permesso di evidenziare più di 38 diverse mutazioni causanti la malattia, molte delle quali rappresentate da mutazioni puntiformi. Le più comuni alterazioni, riportate in Fig.8, riguardano: a) la regione promotrice del processo di trascrizione, le mutazioni in questa regione si traducono in una ridotta trascrizione genica, responsabile dell’insorgere di una β+talassemia; b) regioni esoniche, dove la modificazione di un singolo nucleotide può 17 portare alla formazione di un codone detto di “stop”, che interrompe prematuramente la traduzione dell’mRNA globinico, generando frammenti non funzionanti di β-globina e provocando una β0-talassemia; c) regioni nelle quali le mutazioni possono determinare un alterato splicing del trascritto primario, che viene degradato all’interno del nucleo, portando ad una β0-talassemia. Possono verificarsi anche mutazioni all’interno di introni e localizzate lontano dal normale punto di separazione introne-esone, ma generanti nuovi punti di splicing. Nel caso in cui questi presentino anche i canonici siti di splicing, si può avere la produzione di sia di mRNA corretti, che di mRNA alterati; questa modificazione determina l’insorgenza di una forma di β+-talassemia. Fig. 8. Rappresentazione schematica del gene per la β globina. Nella figura sono anche indicati i principali siti nei quali sono state localizzate le mutazioni responsabili di β-talassemie. Il soggetto affetto da β-talassemia si trova in uno stato di anemia cronica dovuta, oltre che alla mancata o ridotta sintesi di β-globine, anche al fatto che le catene α, che sono normalmente prodotte, non trovando un’equivalente concentrazione di catene β alle quali associarsi risultando in eccesso e legandosi tra loro per formare aggregati 18 insolubili. Questi complessi precipitano all’interno dei precursori eritroidi intramidollari danneggiandoli. Si verifica così un’eritropoiesi inefficace. Non tutte le catene α in eccesso precipitano, molte si associano alle catene γ originando molecole di HbF, e alleviando la gravità della malattia nel paziente. La talassemia major o morbo di Cooley, nella quale la malattia trova piena espressione clinica, è sostenuta raramente da uno stato di omozigosi per il gene malato, molto più frequentemente si tratta di una doppia eterozigoti per due mutazioni diverse, ereditate ciascuna da uno dei due genitori. Si distinguono almeno tre categorie genotipiche: le forme0/0, le forme 0/+ e le forme +/+. Ovviamente nel primo tipo l’HbA e l’HbA2 sono praticamente assenti e la quasi totalità dell’emoglobina è rappresentata dall’HbF, mentre negli altri due tipi vi è sempre un’aliquota, in genere variabile tra il 15% e il 25% di HbA e HbA2. Il soggetto affetto da morbo di Cooley presenta già dai primi mesi di vita pallore, ittero, epatosplenomegalia. Si associano spesso sintomi sistemici quali anoressia, decadimento delle condizioni generali e febbricola. Caratteristiche sono le alterazioni ossee dovute all’espansione midollare, che si manifestano con la tipica “facies microcitemica” determinata dagli zigomi sporgenti, dal naso con radice piuttosto infossata e dal cranio rotondo e ingrossato. L’allargamento delle ossa craniche conferisce il tipico aspetto del “cranio a spazzola”. La sopravvivenza dei soggetti affetti da -talassemia major è limitata; nei casi più gravi non si arriva all’età adulta. Le forme di talassemia intermedia, caratterizzate da doppia eterozigosi hanno espressione clinica meno spiccata ed esordio tardivo. I soggetti affetti da questa patologia possono mostrare un’anemia di grado variabile che può comparire anche tardivamente. Lo sviluppo psicosomatico è regolare anche se alcuni soggetti possono mostrare ritardo dello sviluppo nella sfera sessuale. E’ sempre presente una splenomegalia che è in genere progressiva, tuttavia i soggetti affetti possono sopravvivere fino ad un’età avanzata. Nelle forme di eterozigosi o di talassemia minor, gli individui presentano un quadro clinico con o senza anemia e la patologia è totalmente silente (1). 4. Il fenotipo HPFH (High Persistance of Fetal Hemoglobin) ed il gene per le -globine umane. 19 La sintesi di emoglobina fetale è normalmente ridotta all’1-2% dell’emoglobina totale nell’adulto, poiché è limitata progressivamente ad una sottopopolazione eritrocitaria detta F-cells, che nell’85% degli individui adulti sani raggiunge un valore variabile dallo 0,3% al 4,4% (21). In alcuni soggetti affetti da β-talassemia e che presentano un’anormale espressione dei geni per le γ-globine questo fenomeno determina un incremento nel livello di HbF, tale livello può raggiungere valori medi che vanno da un 2,5% ad un 20%. Questa condizioneviene definita HPFH (High Persistance of Fetal Hemoglobin), nella quale l’incremento di HbF può raggiungere anche livelli superiori al 30% (22). La condizione fenotipica HPFH si manifesta con un’espressione dei geni per le γ-globine attivi durante lo sviluppo fetale, che continua nell’adulto, quando l’espressione dovrebbe invece essere repressa. I pazienti che manifestano un fenotipo HPFH presentano un miglioramento del quadro clinico, grazie alla riattivazione dei geni per le γ-globine, dove gli aumentati livelli di HbF sono in grado di supplire, almeno in parte, alla carenza di HbA nelle sindromi talassemiche. Pertanto, oggetto di indagine è l’identificazione e la caratterizzazione di composti naturali, chimici od altri tipi di molecole, capaci di indurre il differenziamento eritroide e la produzione di emoglobine embrio-fetali, nel tentativo di riattivare i geni endogeni per le γ-globine. Le alterazioni geniche che portano ad incrementati livelli di HbF sono a tutt’oggi oggetto di studio, tuttavia sono state individuate due tipologie. Per il fenotipo HPFH di tipo deletion sono state proposte tre cause: 1) la delezione di sequenze regolative nel cluster genico per le β-globine, implicate nella modulazione sia positiva che negativa, che produce un fenotipo derivante dalla funzione delle sequenze regolative restanti; 2) una delezione che giustappone elementi enhancers in 3’ e normalmente localizzati a valle del gene β, in prossimità dei geni γ, incrementandone l’espressione; 3) una delezione che determina la continuità tra la regione di controllo del locus LCR ed i geni γ, normalmente in stato quiescente. Nell’HPFH non deletion, invece, l’intero cluster risulta integro. Sono state descritte mutazioni nelle posizioni -202, -175, -161, -158 e -114 del gene G , e -202, -198, -196, -195, -175, -117 e -114 nel gene A ilcui promotore è ampliamente descritto in Fig.9. 20 Fig. 9. Rappresentazione del gene per le β-globine e del promotore del gene per le -globine. Nella figura è rappresentato il cluster -globinico compresa la regione LCR ed i cinque geni globinici. Nell’espansione è rappresentato il promotore del gene per le -globine con le principali sequenze riconosciute da fattori di regolazione di questo gene. Queste mutazioni riguardano soprattutto regioni regolative a livello di siti di legame per fattori trascrizionali sia ubiquitari, che eritro-specifici e sono riportate in tabella 1. Probabilmente tali mutazioni alterano il legame con le proteine regolative della trascrizione genica, comportando o un aumento l'affinità per fattori transattivanti, o diminuendo l’affinità per repressori trascrizionali, oppure una combinazione dei due meccanismi. Le mutazioni alle posizioni -202, -198, -196, -195 sembrano coinvolgere il sito di legame della proteina ubiquitaria Sp1 (23). La mutazione -175 annulla in vitro il legame della proteina Otc-1 (Octamer Binding Factor 1) ed altera il sito di legame di GATA-1 ( erythroid cell and megakaryocyte-specific transcription factor 1) (24). Le mutazioni -117 e -114 ed una delezione di 13 pb in questa regione riguarda un 21 complesso di siti per fattori trascrizionali, inclusa la sequenza CCAAT presente in duplice copia, tra questi anche il sito di legame per GATA-1 ed il fattore eritroide specifico NF-E3 (Nuclear Factor Erythroid 3). Le mutazioni -117, -114 e la delezione di 13 pb sembra alterare in vitro il sito di legame di molte proteine: CP1 (poly(C)binding protein-1), CDP (CCAAT displacement protein), GATA-1 e NF-E3 (25). Tuttavia, i livelli maggiori di HbF sono stati evidenziati in individui -talassemici portanti una mutazione puntiforme in posizione -158 del gene G sia nello stato di omozigosi che in eterozigosi (21). Le principali mutazioni responsabili del fenotipo HPFH sono riportate in tabella 1. Tabella 1. Principali mutazioni responsabili del fenotipo HPFH. HPFH deletion delezione (kb) HPFH Sicilia/Mediterraneo HPFH-4 (Italia) 13,4 40 HPFH non-deletion mutazione HPFH giapponese G -114 C a T G -114 C a G G -158 C a T HPFH australiana HPFH Black HPFH Black HPFH Black/Sardegna/Inghilterra HPFH Black HPFH Black G -161 G a A G -175 T a C G -202 C a G A delezione da -114 a -102 A -114 C a T A -117 G a A A -175 T a C A -195 C a G HPFH Georgia HPFH Greek HPFH Black HPFH brasiliana HPFH cinese A -196 C a T A -198 T a C A -202 C a T HPFH inglese HPFH Black Il promotore del gene codificante per le -globine è stato ampliamente studiato, e sono state identificate regioni altamente conservate, come la sequenza CCAAT ripetuta due volte e la sequenza ATAAA, che costituiscono il promotore minimo in grado di attivare la trascrizione a bassi livelli delle -globine umane (26). Un’altra regione regolativa è la 22 sequenza CACCC, riconosciuta dal fattore di trascrizione Sp1 e indispensabile per aumentare l’espressione del gene per le -globine. E’ stato infatti dimostrato che delezioni o mutazioni in questa sequenza portano ad una riduzione dell’attività del promotore (27). Studi su precursori eritroidi coltivati in vitro hanno permesso di identificare altri fattori implicati nella regolazione dell’espressione di questo gene, in particolare sono stati identificati fattori leganti la sequenza CCAAT, quali CP1/NFY (nuclear factor Y), CDP, NF-E3 e GATA-1. Quest’ultimo sembra avere funzione repressiva, in quanto è stato osservato che in precursori eritroidi umani embrionali e fetali l’interazione GATA-1/promotore non avviene, mentre si instaura nelle cellule adulte in cui la -globina non è normalmente espressa (28). I fattori CP1/NFY e NF-E3 riconoscono invece la stessa sequenza ma sembra che, in cellule esprimenti le globine, CP1/NFY abbia una maggiore affinità per essa rispetto ad NF-E3 (25). In posizione -280 della regione promotrice del gene A-globinico è stata individuata la sequenza ATGCAAAT, riconosciuta dal fattore di trascrizione Oct-1 (Octamer Binding Factor 1); una mutazione in questa posizione può attivare la trascrizine genica dell’HbF e produrre il fenotipo HPFH. Questo dimostra l’importanza regolativa della sequenza. (29). La regione promotrice del gene per le -globine umane risulta pertanto estremamente interessante e costituisce un modello sperimentale adatto a studi volti a chiarirne i meccanismi di regolazione e modulazione trascrizionale. Essa rappresenta un importante potenziale target per farmaci in grado di aumentare l’espressione di globine e di conseguenza anche i livelli di HbF, migliorando così il quadro clinico di pazienti affetti da -talassemia. 5. Approccio terapeutico per la cura della β-talassemia: la riattivazione di geni globinici endogeni. 23 La terapia più comune per le diverse forme di talassemia prevede la trasfusione di sangue, indispensabile per fornire al paziente un carico di globuli rossi sani ricchi in emoglobina normale perfettamente capace di trasportare ossigeno ai tessuti. Le trasfusioni consentono anche di ridurre l’espandersi del midollo osseo e quindi le alterazioni ossee e di limitare l’attività della milza. Esistono però degli svantaggi dovuti al perdurare di questo programma terapeutico; infatti, con le trasfusioni sono introdotte nell’organismo grandi quantità di ferro, presente nell’eme. Questa condizione determina un fenomeno di tossicità per organi e tessuti detto iron overload, che va a danneggiare soprattutto il cuore ed il fegato, ed è la principale causa di morte nei pazienti trattati con cicli trasfusionali. Pertanto nella maggior parte dei casi i pazienti talassemici sono sottoposti anche a una terapia chelante il ferro, utilizzando come farmaco la Deferoxamina (DFO) somministrata per infusione sottocutanea mediante microinfusore al fine di rimuoverne l’eccesso. Tale terapia risulta purtroppo difficile e dolorosa da affrontare, e presenta molti effetti collaterali (deficit neurosensoriali delle vie uditive, anomalie retiniche, danni renali e polmonari e, nei bambini, danni metafisari con relative turbe dell’accrescimento) tanto da spingere numerosi pazienti ad abbandonarla. Un’alternativa è rappresentata dal trapianto di midollo osseo, che permette un’alta percentuale di guarigione qualora i pazienti arrivino rapidamente ed in buone condizioni cliniche al trapianto. Per questa strategia è necessario disporre di un donatore di midollo perfettamente compatibile per evitare fenomeni di rigetto. Poiché per impiantare un nuovo midollo è necessario distruggere prima quello del ricevente, vengono impiegati farmaci chemioterapici. Anche i globuli bianchi sono quindi eliminati e il paziente in questa fase è sottoposto ad alti rischi di infezioni. Le cellule del midollo verranno poi reintegrate con la somministrazione per via endovenosa di cellule sane e provenienti da un donatore, che presenta caratteristiche di istocompatibilità simili al paziente. Diversi sono gli approcci sperimentali attualmente in fase di studio. Uno di questi riguarda la terapia genica. Grazie all’ingegneria genetica si potrebbe “inserire” un gene per le β-globine normale in pazienti affetti da talassemia, sostituendo le funzioni del gene “malato” con quelle del gene “sano”, opportunamente inserito nei precursori eritroidi del paziente. Il sistema vettore all’avanguardia impiegato negli studi di clonaggio è costituito da un vettore lenti-virale in cui vengono silenziati alcuni geni del virus in modo da renderlo non patogeno. I problemi di questa terapia sperimentale riguardano soprattutto l’identificazione delle 24 sequenze necessarie per avere un’espressione elevata e stabile del gene da veicolare e lo sviluppo di vettori più efficaci e sicuri per il suo trasferimento all’interno dell'organismo (30, 31, 32). Altri approci nell’ambito della terapia genica riguardano l’utilizzo di ribozimi per la cura delle emoglobinopatie. I ribozimi sono molecole in grado di legare e degradare uno specifico prodotto genico. Sono stati messi a punto ribozimi specifici per la soppressione degli mRNA per le -globine, molto utili nel contrastare la precipitazione dei tetrametri -globinici, che causa gravi danni ai precursori eritroidi nella talassemia (33). Altre strategie terapeutiche per la cura della talassemia sono in fase di studio. Una strada che lascia sperare a futuri successi è quella di “riattivare” il gene che codifica per le globine di tipo γ e permettere la produzione di HbF (α2 γ2), che potrebbe compensare la carenza di emoglobina adulta. Se si potesse controllare lo switch globinico γ-β, agendo su una specie di interruttore molecolare, si assicurerebbe al paziente talassemico una quantità di emoglobina fetale tale da consentirgli condizioni di vita pressoché normali (22, 34). Per incrementare l’espressione di -globine è stato considerato anche l’utilizzo di virus per il trasferimento in cellule totipotenti ematopoietiche di geni terapeutici privati degli elementi patogeni e contenenti il gene per le -globine umane associato ad alcuni elementi dell’LCR. Questi elementi consentono l’integrazione e l’espressione stabile del transgene presentando un tropismo elettivo per le cellule ematopoietiche. In particolare è stato realizzato un vettore per ottenere un efficace trasferimento genico nelle cellule ematopoietiche umane (35). Come possibile terapia per la talassemia è stato studiato anche l’impiego di molecole come gli oligonucleotidi formanti tripla elica di DNA detti TFOs, che sono in grado di alterare l’espressione genica sia in vitro che in vivo. Gli esperimenti sono stati rivolti all’attivazione dell’espressione del gene per le -globine utilizzando TFO diretti contro il promotore di questo stesso gene. I risultati ottenuti in questo senso hanno fornito risultati interessanti, dal momento che uno di questi TFO è stato in grado di aumentare i livelli di emoglobina (29). Anche l’attività di acidi peptico nucleici (PNAs) è stata investigata in questo senso, dal momento che queste molecole sono omologhe come struttura sia al DNA, che all’RNA, ma presentano una catena peptica al posto dei residui saccaridici. Essi rappresentano un buon sistema per modificare l’espressione di un gene ed hanno il vantaggio di essere 25 abbastanza resistenti alla degradazione da parte delle nucleasi. I PNAs sono in grado di legare sequenze omopuriniche o omopirimidiniche a livello del doppio filamento di DNA in modo specifico, formando un costrutto a tripla elica [PNA]2/DNA con un singolo filamento di DNA e creando una struttura detta D-loop nel sito di legame del PNA. Esperimenti in vitro hanno dimostrato la loro capacità di iniziare il processo di trascrizione ed è stata valutata la possibilità di utilizzare queste molecole per indurre l’espressione genica di -globine. Infatti, sono stati disegnati dei PNAs diretti contro la regione 5’ promotrice del gene per le -globine ed è poi stata valutata in vitro la modificazione dell’espressione di un gene reporter ad esso associato (36). Un altro approccio terapeutico per la cura delle emoglobinopatie si basa su osservazioni sperimentali che dimostrano come i geni globinici non siano repressi in maniera irreversibile nelle cellule differenziate, per cui la loro espressione può essere facilmente riprogrammata in presenza o in assenza di appropriati fattori di regolazione (37). Diversi composti sono stati testati come agenti induttori del differenziamento eritroide; tra questi ampiamente indagata è stata l’attività dell’idrossiurea (HU). Il meccanismo con cui l’HU incrementa l’HbF in seguito ad un’azione sui precursori eritroidi tardivi non è ancora del tutto chiaro. Le ipotesi sono molteplici: sembrano implicate la alterazioni delle cinetiche cellulari e gli effetti citotossici (34). Oltre ad incrementare i livelli di HbF, l’HU produce anche un aumento delle dimensioni cellulari e del contenuto di emoglobina per cellula ed inibisce la proliferazione cellulare. L’effetto massimo è stato ottenuto impiegando una concentrazione di 400 M, anche se buoni livelli di induzione sono stati ottenuti a concentrazioni inferiori, da 100 M a 200 M, con le quali la proliferazione cellulare è solo parzialmente inibita. L’attività dell’HU è stata valutata anche in trials clinici, dove nel 75% dei pazienti trattati con idrossiurea è stato dimostrato un incremento della sintesi di HbF (38). Anche il composto antitumorale cytosine arabinoside (ara-C), già in uso nel trattamento chemioterapico di diverse neoplasie umane come la leucemia acuta, ha dimostrato di avere effetto eritro-differenziante. L’incremento di HbF in cellule K562 trattate è stato ottenuto con concentrazioni da 100 a 300 nM, alle quali tuttavia il farmaco presenta una forte tossicità. Alcuni studi hanno dimostrato che il trattamento contemporaneo con araC e retinoidi potrebbe mantenere l’effetto differenziante dell’ara-C a concentrazioni inferiori in modo da diminuirne gli effetti tossici (39). Anche dal punto di vista 26 farmacocinetico l’impiego di ara-C presenta degli svantaggi; infatti, il tempo di emivita plasmatico della molecola è molto basso (40). Un altro agente induttore del differenziamento eritroide è la 5-azacitidina, un analogo della citosina che a differenza di questa non può essere metilato. Esperimenti condotti sui babbuini trattati con questo composto hanno dimostrato un aumento della sintesi di HbF. Sembra che il fatto che la 5-azacitidina non possa essere metilata sia responsabile della sua attività eritro-differenziante. Infatti, il grado di metilazione della sequenza contenente il dinucleotide CpG è importante nella regolazione dell’attività genica e in particolare l’ipometilazione è correlata con l’espressione genica (41, 42, 43, 44). Sia il gene per le -globine, che quello per le -globine sono ipometilati durante il periodo fetale, mentre nell’età adulta il gene risulta metilato. Ciò fa pensare che la metilazione sia uno dei meccanismi coinvolti nella diminuzione dell’espressione di questo gene nell’adulto (45). Pertanto, l’incorporazione della 5-azacitidina nel DNA, una molecola che non può essere metilata, permette l’espressione del gene -globinico anche nell’adulto. Il composto non ha dimostrato invece effetto sull’espressione del gene dal momento che questo è già ipometilato in età adulta. L’uso in terapia della 5-azacitidina non è ancora possibile a causa dei suoi numerosi effetti tossici, ma la molecola potrebbe essere modificata in modo da ridurre l’effetto citotossico in maniera selettiva, non alterandone le proprietà eritro-differenzianti (46). Il sale ferrico-cloridico del gruppo eme, l’emina, ha anch’esso potere eritrodifferenziante. Gli studi svolti in questo senso hanno dimostrato che il trattamento con emina produce un aumento specifico della produzione di HbF rispetto all’emoglobina adulta nelle cellule K562. Lo stesso effetto si è riscontrato sia in cellule eritroidi isolate da donatori normali, che da pazienti talassemici. I risultati di questi studi indicano che l’acquisizione di eme da fonti esogene quali l’emina, incrementa la sintesi di HbF nei primi stadi della maturazione cellulare. Ciò fa supporre che, proprio la disponibilità di gruppi eme sia lo step limitante nel processo di sintesi dell’emoglobina in questa fase. Sembra, inoltre, che l’uptake dell’emina sia fisiologicamente regolato da un recettore cellulare ancora poco conosciuto. I livelli di HbF in cellule trattate con questo induttore, sono massimi nei primi stadi della maturazione cellulare, ma si è dimostrato che rimangono più alti rispetto alle cellule non trattate anche nelle fasi successive del differenziamento cellulare. L’effetto inducente dell’emina può essere notevolmente intensificato dal sinergismo con altri agenti 27 differenzianti, quali l’idrossiurea e la 5-azacitidina. Questi agenti si sono dimostrati tossici alle concentrazioni terapeutiche, ma il loro uso sinergico con emina potrebbe abbassare molto le concentrazioni richieste per ottenere l’effetto differenziante e diminuirne così l’effetto tossico. L’emina è già stata somministrata a pazienti affetti da porfiria dimostrando una buona tolleranza (47). L’unica preoccupazione per l’introduzione dell’emina nella terapia della -talassemia è data dal fatto che i pazienti affetti da questa patologia subiscono già numerose complicazioni causate del sovraccarico di ferro derivante dalle continue trasfusioni e la somministrazione di un derivato ferrico non migliorerebbe di certo questo aspetto (47). Tra i composti indagati come possibili agenti differenzianti, alcuni hanno prodotto risultati di notevole interesse: ad esempio molecole in grado di controllare il ciclo cellulare, fattori di crescita ematopoietici, molecole leganti il DNA ed i butirrati. Infatti, studi in vitro hanno dimostrato che anche l’eritropoietina (EPO) è dotata di attività eritro-differenziante. La percentuale di HbF prodotta in cellule trattate con EPO dipende dalla durata del trattamento e dalla concentrazione utilizzata. E’ stato dimostrato che l’esposizione continua ad alti livelli di eritropoietina causa nelle cellule un aumento dell’emoglobina totale, ma non un aumento dell’HbF. Dal momento che durante lo sviluppo fetale i livelli di EPO non sono bassi così come nei pazienti talassemici, nei quali l’espressione di HbF è più alta rispetto agli individui sani, sembra che non vi sia una relazione tra alte concentrazioni di eritropoietina ed elevata sintesi di emoglobina fetale in vivo, ma piuttosto che sia l’alternanza di alti e bassi livelli di EPO a stimolare il differenziamento eritroide (48). Tra gli composti studiati come potenziali agenti differenzianti ci sono anche molecole che legano il DNA, i cosiddetti (DNA-binding drugs) che interagiscono con il solco minore del DNA con selettività di sequenza. Questo legame perturba la struttura del DNA e può inibire l’interazione tra fattori di trascrizione e promotore. Questo gruppo di composti si può dividere in due sottogruppi principali, uno formato da quei composti che hanno maggior affinità per le sequenze ricche in G+C, l’altro dai composti che presentano maggior affinità per le sequenze ricche in A+T. Al primo gruppo fanno parte ad esempio la cromomicina (49), la tallimustina (50), il cisplatino ( 51) e composti da questi derivati, mentre al secondo gruppo appartengono la distamicina (50) ed i suoi analoghi. Esperimenti condotti su cellule K562 e su colture di precursori eritroidi trattati con questi farmaci hanno dimostrato un’induzione del differenziamento verso la linea 28 eritroide ma anche uno spiccato effetto antiproliferativo. Inoltre, si è avuto un aumento della percentuale di emoglobina fetale rispetto all’emoglobina totale. A questo gruppo di molecole appartiene la mitramicina, la sua attività differenziante è stata valutata anche su colture cellulari di precursori eritroidi isolati dal sangue di pazienti -talassemici, nei quali è stato dimostrato che incrementa la produzione di HbF, anche utilizzando concentrazioni non tossiche per le cellule (52). Anche l’angelicina, un composto di origine vegetale che appartiene alla categoria di composti leganti il DNA, ha dimostrato buona attività eritro-differenziante (53). Altri composti indagati come potenziali induttori del differenziamento eritroide sono i butirrati. Il trattamento di eritroblasti isolati da pazienti -talassemici, ha dimostrato un incremento dell’espressione di -globine variabile dal 15 al 50%. Esperimenti di footprinting in vivo hanno dimostrato che tale aumento sembra essere associato ad una alterazione nel legame di fattori trascrizionali a livello del promotore del gene per le globine (54). Tra i derivati dell’acido butirrico sono stati ottenuti buoni risultati in seguito all’impiego terapeutico del sodiofenilacetato (NaPA) e del precursore sodiofenilbutirrato (NaPB). La loro somministrazione ha portato ad un incremento dell’espressione dell’mRNA per le -globine due o tre volte superiore nei pazienti che sono stati sottoposti a questa terapia (54). I butirrati rappresenterebbero una buona promessa terapeutica per un possibile trattamento famacologico della -talassemia; purtroppo una limitazione al loro impiego è causata dalla loro rapida eliminazione dal torrente circolatorio. Gli effetti di molecole come NaPA e NaPB sulla proliferazione eritroide sono paragonabili a quelli osservati in seguito al trattamento con molecole agenti sul ciclo cellulare, come la 5azacitidina, la Vinblastina e la Citarabina (55). Tra le molecole potenziali induttori del differenziamento eritroide lascia buone speranze la Rapamicina, ed è stata oggetto di studio di questa tesi. 6. Sistemi di colture cellulari in vitro nello studio dell’attività di molecole da impiegare come possibili agenti eritro-differenzianti. 6.a. Colture cellulari impiegate in saggi preliminari di un numero elevato di composti, per testarne le potenzialità eritro-differenzianti. 29 Le colture cellulari adatte a saggiare l’efficacia di possibili agenti terapeutici in grado di modulare l’espressione dei geni globinici embrio-fetali comprendono sia linee cellulari umane di origine tumorale di tipo eritro-leucemico, sia colture di precursori eritroidi, dove le cellule possono essere ottenute dal sangue sia di donatori sani, che di pazienti affetti da sindrome talassemica. Le linee cellulari umane erythroid-like, come K562, HEL e UT-7, derivano da cellule provenienti da pazienti affetti da diverse forme di leucemia mieloide. Queste cellule sono state adattate a crescere in coltura e in alcuni casi stabilizzate. Le cellule K562 sono state isolate da un paziente affetto da leucemia mieloide cronica in crisi blastica terminale, in coltura crescono come cellule in sospensione, singole e indifferenziate, ed hanno l’importante caratteristica di esprimere emoglobina a livelli molto bassi nella condizione standard di coltura (56). Il terreno di coltura usato per questa linea cellulare è costituito da RPMI 1640 addizionato con penicillina e streptomicina e 10% di siero fetale bovino (FBS). La coltura viene condotta in presenza di CO2 al 5% a 37°C in atmosfera umidificata all’80%. Queste cellule rispondono al trattamento con composti induttori del differenziamento eritroide aumentando in pochi giorni l’espressione dei geni endogeni per globine embrio-fetali. Così la linea cellulare K562 può essere stimolata da agenti come l’emina, la 5-azacitidina, l’HU, i butirrati. L’attività eritro-differenziante, indotta sulla linea cellulare K562 viene valutata al quinto, sesto e settimo giorno di trattamento utilizzando il saggio della benzidina attivata con H2O2 che colora di un blu intenso le cellule indotte, ovvero le cellule contenenti il gruppo prostetico eme. Numerosi studi hanno confermato la capacità dell’ara-C di indurre il differenziamento eritroide in questa linea cellulare, per questo motivo tale composto è usato come controllo positivo in questo tipo di saggi (21). Queste linee cellulari costituiscono sistemi sperimentali estremamente utili, grazie alla loro origine leucemica umana e al fatto di essere state ben caratterizzate; inoltre, poiché si tratta di cellule tumorali, sono facilmente coltivabili in vitro, in quanto in continua proliferazione, rappresentando anche un sistema anche economicamente poco dispendioso. Vi è però una limitazione al loro utilizzo: sono usate soprattutto nei saggi preliminari e nello screening iniziale, quando deve essere analizzata la potenziale attività eritro-differenziante di un numero elevato di molecole, ma, esse non riproducono tutti gli aspetti dell’eritropoiesi: infatti, a) le cellule K562 sono insensibili 30 all’eritropoietina; b) non producono Hb adulta; c) la loro stimolazione incrementa la produzione di emoglobine sintetizzate già a livelli basali quando non ancora stimolate, quindi la riattivazione genica non avviene a partire da uno stato completamente inattivo. Infine, molecole induttori del differenziamento eritroide in queste linee cellulari non sono state capaci di riprodurre l’effetto qualora somministrate in colture di cellule staminali umane. Le colture di precursori eritroidi rappresentano, pertanto, un modello cellulare più fisiologico e più attendibile, anche se molto più costose ed utilizzate in saggi esclusivi e mirati all’analisi dell’attività di composti elettivi (57). 6.b. Colture di precursori eritroidi isolati da sangue di donatori normali. Le colture di precursori eritroidi possono essere effettuate utilizzando sia terreni semi-solidi, nei quali le cellule formano cloni, sia terreni liquidi, dove crescono come cellule singole o clusters in sospensione. In entrambi i tipi di terreni l’EPO è essenziale per il differenziamento cellulare. Nel primo tipo di coltura le cellule emopoietiche possono derivare dal midollo osseo, dal sangue periferico o da altre fonti, come ad esempio il fegato fetale, il cordone ombelicale, o dalla milza adulta e vengono coltivate in terreni semi-solidi contenenti metil-cellulosa o plasma coagulato. Ogni colonia rappresenta un clone derivante da un’unica cellula progenitore committed. Le colonie iniziano a comparire dopo tre o quattro giorni di coltura sino a raggiungere le loro dimensioni finali iniziando a produrre emoglobina dopo una o due settimane. I vari tipi di progenitori possono essere distinti sulla base delle dimensioni e del grado di produzione di Hb raggiunto ad un determinato tempo: ad esempio, i cloni CFU-E (erythroid colony forming units) raggiungono i valori massimi di questi parametri dopo una settimana di coltura; mentre la BFU-E (erythroid burst forming units) compaiono dopo due settimane. Le colonie eritroidi possono essere distinte dalle altre colonie (mieloidi) per la caratteristica colorazione rossa o per la reazione con reagenti specifici per l’individuazione del gruppo eme, come la benzidina attivata con acqua ossigenata. Contando giornalmente i differenti tipi cellulari delle colonie si può avere una stima quantitativa della frequenza di differenziazione dei diversi progenitori nei tessuti ematopoietici. L’analisi delle colture può essere eseguita sull’intera popolazione cellulare, raccogliendo la coltura mediante il lavaggio della 31 metil-cellulosa, oppure prelevando una singola colonia con un tubo capillare. Il fatto che in questo tipo di coltura le cellule siano immobilizzate in un terreno semi-solido comporta notevoli svantaggi. Primo, le cellule prodotte per colonia e le cellule totali nella coltura sono poche (meno di 105/ml) rendendo difficile la caratterizzazione biochimica, molecolare e biologica dello sviluppo cellulare. Secondo, anche l’addizione nel mezzo di coltura dei potenziali agenti differenzianti da testare presenta delle difficoltà. Infine, è stato osservato che la produzione di HbF in colonie sviluppate in terreni semi-solidi è molto più alta di quella prodotta in vivo dagli stessi donatori dai quali sono state ottenute le cellule. Per ovviare a questi ostacoli è stata messo a punto anche un tipo di coltura cosiddetta in fase liquida (58, 59). La coltura di precursori eritroidi in terreni liquidi si svolge in due fasi ed è riportata in Fig.10: una prima fase EPO-indipendente, in cui le cellule del sangue periferico sono messe in coltura con una combinazione di altri fattori di crescita, dove le cellule staminali pluripotenti BFU-E proliferano e differenziano in progenitori CFU-E; nella seconda fase, al terreno viene addizionata EPO, le cellule continuano a proliferare e a maturare in normoblasti ortocromatici e reticolociti. Nella fase EPOindipendente le cellule mononucleate da sangue periferico vengono isolate mediante una centrifugazione in gradiente di densità con Ficoll-Hypaque, o Lympholyte-H, e messe in coltura in terreno addizionato con citochine umane ricombinanti, fattori stimolanti colonie di granulociti e macrofagi (GM-CSF), interleuchina-6 (IL-6) e stem cell factor (SCF). Queste citochine possono essere rimpiazzate dall’utilizzo di terreno condizionato, ottenuto da colture di linee cellulari derivate da carcinoma umano della vescica, come la linea cellulare 5637. Questo terreno condizionato contiene una varietà di fattori di crescita, ma non l’EPO. I linfociti possono essere rimossi dalla coltura, separandoli con l'impiego di biglie magnetiche associate ad anticorpi specifici, oppure addizionando ciclosporina A. Dopo una settimana di incubazione le cellule necessitano di EPO per continuare il processo di differenziamento e proliferazione. Nella prima fase le colture contengono cellule in adesione (soprattutto macrofagi) e cellule in sospensione (soprattutto linfociti). Queste ultime vengono prelevate, lavate e rimesse in coltura con nuovo medium addizionato di EPO. All’inizio di questa seconda fase i linfociti continuano ad essere la popolazione cellulare più abbondante nella coltura. In assenza di citochine, necessarie per la loro proliferazione le cellule non-eritroidi arrestano il loro sviluppo. I progenitori eritroidi iniziano a proliferare e differenziare 32 intorno al quarto-quinto giorno della fase EPO dipendente in precursori eritroidi, proeritroblasti, che possono essere eventualmente isolati con gradiente di Percoll e rimessi nello stesso terreno. I proeritroblasti continuano a moltiplicare formando clusters e poi larghi aggregati, che possono raggiungere le centinaia di cellule. Nella tarda fase II (dall’undicesimo al quindicesimo giorno) queste cellule accumulano Hb e differenziano in policromatici normoblasti. La coltura può essere protratta in queste condizioni per circa due settimane. I precursori eritroidi coltivati nelle condizioni sopra riportate derivano da sangue periferico, che può essere facilmente disponibile e prelevabile da donatori sani e consenzienti; esso rappresenta una sorgente di progenitori eritroidi omogenea, mentre quelli presenti nel midollo osseo si trovano a vari livelli di sviluppo. Questo sistema di coltura liquida in due fasi riproduce molti aspetti dell’eritropoiesi come l'espressione degli mRNA globinici, gli antigeni cellulari di superficie, la cinetica del ciclo cellulare, il metabolismo del ferro e della ferritina. In questo modello è stata studiata l’espressione anche di fattori trascrizionali e proteine specifiche, ad esempio è stato dimostrato che SP1, la -globina ed il fattore GATA-2 sono espressi ad altissimi livelli nei primi giorni della fase II. Nel periodo intermedio di questa fase, mentre le cellule continuano a maturare, l’espressione di GATA-2 continua sino a raggiungere i massimi livelli prima del declino, mentre la proteina EpoR (recettore per l’eritropoietina) e i fattori di trascrizione GATA-1, EKLF (Erythroid Kruppel-Like Factor) e NF-E2 (Nuclear Factor erythroid 2) raggiungono i loro massimi livelli. Nella tarda fase II i geni globinici e aumentano e raggiungono i loro massimi livelli di espressione. Nella fase EPO dipendente non è stata trovata invece espressione di GM-CSF-R (recettore per i fattori GM e CSF). Per quanto riguarda l’espressione del gene -globinico è massima all’inizio della fase II e decresce nel periodo intermedio quando quella del gene -globinico inizia ad aumentare. L’incremento -globinico è preceduto da un picco dell’espressione di GATA-2, GATA-1, EKLF e EpoR (60). La coltura di precursori eritroidi può essere utilizzata per testare l'attività eritrodifferenziante di molecole potenziali induttori di emoglobine embrio-fetali; in tal caso i composti sono generalmente aggiunti alla coltura durante la seconda fase, tra il quarto e l’ottavo giorno. Poiché le cellule crescono in sospensione possono essere prelevati a diversi intervalli di tempo campioni cellulari, per valutarne le caratteristiche. Ad esempio, il contenuto di emoglobina può essere analizzato con diverse metodologie, 33 come la denaturazione alcalina, la colorazione con benzidina attivata con acqua ossigenata, la cromatografia liquida ad alte prestazioni (HPLC) o l’analisi mediante FACS, che prevede l'utilizzo di anticorpi fluorescenti e diretti contro i differenti tipi di globine in modo specifico (57). Invece, la quantificazione di mRNA può essere valutata utilizzando metodologie classiche come il Northern blotting, ma anche l’RT-PCR quantitativa, usufruendo di sofisticati Thermal Cyclers gestiti da particolari software. Utilizzando la tecnica dell’RT-PCR è possibile studiare con accuratezza e precisione l’espressione genica nei precursori eritroidi ottenuti con la coltura liquida in due fasi, anche nei casi in cui la quantità di materiale a disposizione è molto scarsa. 6.c. Coltura cellulare di precursori eritroidi, isolati da pazienti affetti da - talassemia. Nelle colture di precursori eritroidi isolati da sangue ottenuto da soggetti normali, cioè proveniente dalla banca del sangue, generalmente vengono utilizzati volumi di sangue tali da poter preparare 100 ml di coltura in fase liquida. In questo modo dopo dodici giorni di coltura è possibile ottenere un totale di circa 3x108 cellule. Quando lo stesso tipo di coltura deve essere eseguito isolando cellule staminali dal sangue di pazienti talassemici, bisogna tenere conto del fatto che da questi soggetti vista la loro condizione clinica non possono essere prelevati grandi quantitativi di sangue. Così, in genere, viene utilizzato il volume minimo di sangue necessario per preparare 20 ml di coltura, tale quantità può essere sufficiente per l’alta frequenza di precursori eritroidi, che vi sono comunque contenuti, una situazione che è sostenuta e spinta dalla carenza stessa di emoglobina. Questa coltura cellulare potrà produrre un massimo di 108 cellule; la procedura per la preparazione del terremo per la coltura cellulare è comunque analoga a quella descritta per i donatori normali e riportata in Fig.10. I tempi di coltura possono però variare; infatti, colture di progenitori eritroidi isolati da pazienti affetti da emoglobinopatie in un mezzo semisolido contenente metil-cellulosa sono state confrontate con quelle ottenute da donatori sani. E’ stato dimostrato che la massima formazione di colonie si ha in tempi leggermente più lunghi per le colture derivanti da 34 donatori malati rispetto a quelle isolate da donatori normali. Tuttavia il numero di cellule finale è molto simile in entrambi i casi (61). sistema di coltura liquida Fase I-EPO giorni 7 giorni 0-5 Fase II+EPO giorni 6-10 giorni 11-15 Fig. 10. Rappresentazione schematica di un sistema di coltura liquida in due fasi. Le cellule rimangono in coltura per 14 giorni, in cui proliferano e differenziano in normoblasti ortocromatici che producono emoglobina (figura tratta da: Pope SH et al. Two-phase liquid culture system models normal human adult erythropoiesis at the molecular level. The European Journal of Haematology, 64, 292-303, 2000). Le colture di precursori eritroidi isolati da pazienti affetti da -talassemia sono molto importanti per lo studio di composti destinati alla cura di questa patologia. Infatti, rendono possibile la verifica dell’effetto di questi possibili agenti terapeutici, poichè presentano caratteristiche diverse rispetto a quelle normali e potrebbero quindi avere anche una diversa risposta alla molecola di cui si intende testare l’effetto. Per questi motivi esse rappresentano il modello di coltura in vitro per elezione. 35 7. La Rapamicina: una molecola in grado di controllare la crescita cellulare e modulare l’espressione genica. 7.a. Cenni storici e struttura chimica della Rapamicina. La Rapamicina, chiamata anche Sirolimo, è un macrolide isolato nel 1975 da un ceppo di funghi (Streptomyces igroscopicus) trovati in un campione di terreno proveniente dall’Isola di Pasqua nel sud del Pacifico (62). Il nome attribuitogli deriva proprio dall’isola in cui fu stata scoperta detta anche Rapa Nui. In origine questa molecola fu studiata per le sue proprietà antimicotiche (63), successivamente fu analizzata l’analogia strutturale con il farmaco immunosopressore FK506 (tacrolimus, Prograf), tanto che vennero verificate con successo le proprietà immunosoppressive della Rapamicina (64). Quest’ultima scoperta aprì molte speranze per il potenziale uso nel prevenire il rigetto nei trapianti d’organo e nel 1999 fu approvata come immunosopressore dalla Food and Drug Administration (FDA). I farmaci già impiegati per questo utilizzo, come la ciclosporina e l’FK506 erano efficaci solo a breve termine, ma col passare del tempo potevano insorgere problemi di rigetto (65). La nuova molecola agisce invece con un meccanismo d’azione diverso ed è per questo che potrebbe aprire nuove interessanti sviluppi in questo campo. La Rapamicina ha dimostrato possedere anche buone proprietà citotossiche, che possono essere sfruttate nella terapia di patologie neoplastiche come potenziale agente anticancro (66). La molecola è formata da un anello a 31 atomi comprendente un anello piranoso, un gruppo pipecolinico, un triene coniugato e una regione tricarbonilica. Sono presenti 15 centri chinali perciò il numero dei possibili stereoisomeri è enorme. La struttura chimica è riportata in Fig.11. La molecola ha un peso molecolare di 914,18 ed assorbe alla lunghezza d’onda di 589 nm (67). 36 Fig. 11. Struttura chimica della Rapamicina. La molecola è formata da un anello a 31 atomi, un gruppo pipecolinico, un gruppo piranoso, un triene coniugato ed una regione tricarbonilica. Nella struttura sono presenti anche 15 centri chirali. 7.b. Sintesi della Rapamicina. Questo composto naturale può anche essere sintetizzato chimicamente: la sintesi è suddivisa in numerosi steps, nei quali vengono sintetizzate separatamente ed unite le quattro subunità della molecola, che una volta assemblate daranno origine alla Rapamicina (68, 69, 70, 71). Riporto di seguito lo schema generale della sintesi delle diverse porzioni della molecola e riassunte in Fig.12. 37 A B E C Rapamicina D Fig. 12. Schema generale della sintesi della Rapamicina. La sintesi completa della molecola è data dall’assemblaggio di cinque subunità distinte (A, B, C, D, E) sintetizzate separatamente. Sintesi della subunità A: 38 Sintesi della subunità B: 39 Sintesi della subunità D: 40 Unione delle subunità A+B+E: 41 Introduzione della subunità D: 42 Formazione del tricarbonile: Introduzione della subunità C mediante la Reazione di still: 43 Rapamicina 7.c. Meccanismo d’azione della Rapamicina. 44 L’azione immunosopressiva, dovuta al blocco della crescita e della proliferazione delle cellule T (72, 73) e quella antitumorale della Rapamicina (74, 75, 76) dipendono sostanzialmente dal legame ad alta affinità con la proteina FKBP12. Il meccanismo d’azione è conservato dai lieviti, Saccaromyces Cerevisiae dal quale la molecola è stata isolata, fino all’uomo. Così, molte informazioni derivano da studi effettuati proprio sui lieviti. FKBP12, un polipeptide di 12 kDa era precedentemente conosciuto per la sua capacità di legare il farmaco ad azione immunosopressiva FK506 ed è stato dimostrato essere una peptidilprolil rotamasi citoplasmatica (77, 78). Questa proteina non è tuttavia il bersaglio attraverso il quale la Rapamicina blocca la crescita cellulare: è stato osservato che in lieviti mutanti e mancanti della proteina FKBP12 la Rapamicina non presentava effetti tossici, mentre altri suoi analoghi strutturali manifestavano attività immunosopressiva. Pertanto FKBP12 e la Rapamicina agiscono legando un ulteriore bersaglio. Infatti, lieviti mutanti per la proteina TOR erano completamente resistenti all’inibizione della crescita cellulare. TOR è codificata in Saccaromyces Cerevisiae da due geni omologhi TOR1 e TOR2, le rispettive proteine TOR1 e TOR2 sono molto grandi, 280 KDa circa, ed hanno elevata analogia, essendo tra loro uguali per il 67%. E’ stato osservato che le mutazioni di TOR1 (TOR1-1, Ser1972Arg) o di TOR2 (TOR2-1, Ser1975Ile) impediscono il legame FKBP12-rapamicina a TOR e ciò dimostra che questa proteina è il target vero e proprio della Rapamicina attraverso il quale viene inibita la crescita cellulare (79, 80, 81, 82, 83). TOR è stata ampiamente studiata ed è stato verificato il suo importante ruolo nel controllo della crescita cellulare anche negli eucarioti. La maggior parte degli eucarioti sembrano possedere un unico gene codificante per la proteina TOR, scoperto per la prima volta nei mammiferi, per questo chiamato mTOR e identificato grazie alla sua capacità di legare in vitro il complesso FKBP12-Rapamicina (84, 85, 86). La successiva dimostrazione che una variante del costrutto mTOR, contenente una mutazione (Ser2035Ile) analoga a quella precedentemente studiata nei funghi, conferiva resistenza alla Rapamicina nelle cellule di mammifero, ha confermato che mTOR è il bersaglio in vivo del complesso rapamicina-FKBP12 e che il meccanismo d’azione della Rapamicina è conservato dai funghi ai mammiferi (79). In Fig.13 sono evidenziate le parti della molecola di Rapamicina coinvolte nelle interazioni con queste proteine. 45 FKBP TOR Fig. 13. Rappresentazione delle parti della struttura della Rapamicina che interagisono con i suoi bersagli. La linea tratteggiata blu indica la parte di molecola che interagisce con la proteina TOR, mentre quella rossa indica la porzione che interagisce con la proteina FKBP12. Le proteine TOR, sia di mammifero che di Saccaromyces Cerevisiae, hanno attività serin-treonin-chinasica. Studi genetici sui funghi hanno dimostrato che l’integrità del dominio chinasico è essenziale per la funzione di TOR, la cui struttura è riportata in Fig.14 (87, 88, 89, 83). All’estremità N-terminale del dominio chinasico TOR contiene una regione di 100 amminoacidi chiamata FRB (FKBP-Rapamycin Binding) e legante il complesso FKBP12-Rapamicina. La successione delle interazioni tra queste proteine e la Rapamicina è rappresentata nella Fig.15. 46 proteina mTOR Rapamicina HEAT repeats FAT FRB FATC NRD Dominio chinasico Fig. 14. Struttura della proteina mTOR. Sono rappresentati i diversi domini strutturali che compongono la molecola: a partire dall’estremità ammino-terminale troviamo le sequenze ripetute in tandem HEAT, la sequenza FAT, il dominio FRB (importante per il legame con le Rapamicina), il dominio chinasico ed, infine, all’estremità carbossi-terminale le sequenza regolatoria NRD e la sequenza FACT. Fig. 15. Rappresentazione sequenziale delle interazioni tra la Rapamicina e le proteine FKBP12 e mTOR. Nel primo step la Rapamicina si lega alla proteina FKBP12 e nel secondo step il complesso Rapamicina/FKBP12 si lega alla proteina mTOR. 47 Quest’ultima si lega a regioni idrofobiche di FKBP12 e a regioni idrofobiche del dominio FRB nel sito catalitico, facendo da collante tra mTOR e FKBP12 (90). Oltre al dominio chinasico e al dominio FRB, la proteina TOR contiene all’estremità Nterminale 20 sequenze (HEAT repeats) ripetute in tandem (91). Il termine HEAT deriva dalle iniziali delle quattro proteine in cui fu identificato per la prima volta questo dominio: huntingtin, elongation factor 3, la subunità A della protein-fosfatasi di tipo 2A (PP2A) ed, infine, nella proteina TOR. Ogni sequenza HEAT ripetuta consiste in una struttura formata da due -eliche antiparallele di circa 40 amminoacidi (92, 93). È stato ipotizzato che le sequenze ripetute HEAT nel lievito ancorino TOR alla membrana plasmatica, probabilmente interagendo con una proteina transmembrana (94). Nei mammiferi, più precisamente nei neuroni del cordone spinale mTOR sembra interagire con una proteina appartenente al cluster dei recettori post-sinaptici della glicina (95). Altri domini che caratterizzano la proteina TOR sono FAT e FATC. Il dominio FAT dista circa 500 amminoacidi dal dominio FRB e sembra avere funzione di aggancio nelle interazioni proteina-proteina, in modo simile agli HEAT repeats (96, 97). Il dominio FATC è invece una sequenza di circa 35 amminoacidi all’estremità Cterminale della proteina, che è indispensabile insieme a FAT per l’attività chinasica, consentendo una corretta esposizione del sito catalitico al bersaglio (98, 99). Il dominio NRD, posizionato vicino a FATC, è invece un elemento di regolazione negativa, imponendo una variazione configurazionale che impedirebbe l’esposizione del sito di catalisi (100). Questi domini strutturali sono tipici e riscontrati nei membri appartenenti alla famiglia delle fosfatidil-inositolo-3-chinasi (PIK) (97, 101). Molti membri di questa superfamiglia sono implicati nel controllo del ciclo cellulare, della traduzione delle proteine e della riparazione dei danni al DNA (102, 103). La proteina TOR rappresenta un sensore che integra segnali extracellulari ed intracellulari, coordinando la crescita e la proliferazione cellulari, i cui steps fondamentali sono riassunti in Fig.16. Su TOR agiscono proteine come PI3K e PKB/AKT, mentre TOR agisce su p70S6K e 4E-BP1 (chiamato anche PHAS-I). Nella Fig.17 sono riportate in dettaglio le proteine ed i fattori coinvolti. 48 mTOR è una chinasi critica nella progressione del ciclo cellulare Fig. 16. Schematizzazione dei principali effetti della Rapamicina. L’inibizione dell’attività chinasica di mTOR porta alla defosforilazione delle proteine PHAS-1 (4EBP1) e p70S6K ed al conseguente blocco della traduzione, mentre l’up-regolazione dell’inibitore delle cicline p27 provoca l’arresto del ciclo cellulare in G1 e il conseguente blocco della sintesi del DNA, che avviene nella fase successiva S. 49 Fig. 17. Rappresentazione generale del meccanismo d’azione della Rapamicina. Il complesso FKBP12-Rapamicina inibisce l’attività chianasica di TOR direttamente (104, 105, 106), oppure bloccandone l’accesso ai substrati o l’interazione con altre 50 proteine. Tale inibizione impedisce la fosforilazione delle proteine p70S6K e 4E-BP1. La p70S6K è una chinasi che è attiva nella sua forma fosforilata, e che fosforila la subunità S6 della subunità 40S dei ribosomi consentendo l’attacco dell’mRNA ed incrementando la traduzione (107); mentre 4E-BP1 è un inibitore della traduzione quando defosforilato, che se fosforilato si dissocia dal fattore eIF-4E, che a sua volta risulta libero di associarsi a eIF-4G, eIF-4A e eIF-4B dando inizio alla formazione del complesso con il Cap 5’ di un mRNA per la traduzione proteica (108). Il fattore 4E-BP1 presenta 7 siti di fosforilazione, solo 4 di questi sono però importanti per il rilascio di eIF-4E, che è inoltre dipendente dalla loro fosforilazione sequenziale (Fig.18). Fig. 18. Schema della fosforilazione sequenziale di 4E-BP1. La proteina presenta 7 siti di fosforilazione, ma solo quattro di questi sono importanti per l’attività della proteina. I primi due siti ad essere fosforilati da mTOR sono Thr37 e Thr46; successivamente vengono fosforilati i siti Ser65 e Thr70 causando il rilascio di eIF4E da parte di 4E-BP1 ed il conseguente inizio della traduzione. Altre ipotesi vedono coinvolte in questo meccanismo ulteriori fattori proteici: una proteina chiamata Raptor (regulatory associated protein of mTOR) e la proteina Tap42 (109, 98). Raptor è un polipeptide di 150 kDa che funziona da aggancio favorendo il legame di mTOR ai suoi substrati 4E-BP1 e p70S6K; Raptor non modifica l’attività catalitica di mTOR, ma si lega a p70S6K e a 4E-BP1 incrementando di quattro-cinque volte la fosforilazione in vitro di entrambi operata da mTOR (110, 111). Il legame di Raptor ai substrati e a mTOR è indispensabile per la fosforilazione catalizzata in vitro di 4E-BP1 (112, 111). Il legame di Raptor a p70S6K e a 4E-BP1 è mediato da una corta sequenza conservata nei due polipeptidi, detta TOS (TOR signalling motif) (113); mentre l’interazione di mTOR con Raptor è mediata dalle sequenze HEAT repeats 51 (110). Questa associazione è stabilizzata dalla proteina mLST8, un polipeptide simile alla subunità delle proteine G, e dipende anche dalla quantità di nutrienti disponibili per la cellula. In assenza di aminoacidi Raptor si associa a mLST8 impedendo l’interazione di mTOR coi suoi substrati (4E-BP1 e p70S6K); invece, la presenza di nutrienti induce una modificazione conformazionale che rompe il complesso RaptormLST8, e rende mTOR capace di fosforilare i substrati (Fig.19) (114, 115). In assenza di nutrienti In presenza di nutrienti Fig. 19. Modello dell’interazione tra le proteine Raptor e mTOR. In assenza di nutrienti l’associazione tra Raptor ed mTOR è stabilizzata dalla proteina mLST8 ed impedisce l’interazione tra mTOR ed i suoi substrati e la loro fosforilazione. In presenza di nutrienti una modifica conformazionale distrugge l’interazione tra Raptor e mLST8 rendendo possibile la fosforilazione da parte di mTOR delle proteine p70S6K e 4E-BP1, che si legano a Raptor. E’ stato osservato che la Rapamicina impedisce l’interazione tra Raptor e mTOR nelle cellule trattate: questo sembra essere un possibile meccanismo mediante il quale la Rapamicina inibisce l’attività chinasica di mTOR (110, 112). Anche la proteina di lievito Tap42, omologa a quella di mammifero 4, sembra essere un bersaglio di TOR ed essere implicata nella cascata di trasmissione del segnale. Tap42 lega la subunità catalitica della proteina fosfatasi 2A (PP2A). Il trattamento con Rapamicina o la mancanza di nutrienti, dissocia Tap42 dalla subunità Sit4, una delle subunità della PP2A (Sit4; Pph21; Pph22) (116). E’ stato dimostrato che mutazioni di 52 Tap42 conferiscono parziale resistenza alla Rapamicina confermando l’ipotesi che l’attività chinasica di TOR è mediata da Tap42. Anche in nei mammiferi l’associazione di 4 e PP2A è stata inibita dal trattamento con Rapamicina (117, 118, 119, 120). L’associazione di Tap42 a PP2A è dipendente dalla fosforilazione operata da TOR (121). Pertanto, l’interazione della Rapamicina con TOR inibisce la fosforilazione di Tap42, liberando PP2A ed attivando Sit4 che potrà agire defosforilando i suoi substrati, ovvero le proteine NPR1 e GLN3 (116). Quando NPR1 è defosforilata, viene attivata e fosforila GAP1 e TAT2: GAP1 (una permeasi) quando fosforilata viene protetta dalla degradazione consentendo agli aminoacidi di fuoriuscire dalla cellula, mentre la fosforilazione di TAT2 favorisce la sua degradazione impedendo l’entrata di azoto nella cellula (Fig.20). Per quanto riguarda GLN3, questo è un fattore trascrizionale regolante l’espressione di Gln1 (Glutamina sintetasi), che quando defosforilato si dissocia dal repressore URE2, viene traslocato nel nucleo, dove attiva l’espressione del geni codificanti per proteine relate all’utilizzo dell’azoto (Fig.20). L’inattivazione di TOR da parte della rapamicina può anche attivare i fattori di trascrizione Mns2 e Mns4 coinvolti in situazioni di stress ossidativi, compresa la carenza di carbonio per la cellula, che possono così dissciarsi da BMH2 e attivare l’espressione di specifici geni bersaglio (122) (Fig.20). La funzione di TOR oltre che dall’interazione con la Rapamicina, e dalla concentrazione di nutrienti esterna alla cellula, può essere regolata in modo sia diretto, che indiretto. Indirettamente, la fosfatidil-inositolo-3-chinasi (PI3K), attivata da fattori di crescita esterni alla cellula (come l’insulina), produce PIP3 (fosfatidil-inositolo-3fosfato), che attiva PDK-1 e l’Akt-pathway (Fig.21), dove TOR potrebbe essere un substrato diretto di PKB (123, 124, 125). Questo meccanismo può coinvolgere anche un complesso proteico avente funzione di soppressore tumorale (costituito dalle proteine TSC1 e TSC2), dove TSC2 è un attivatore di GTPasi, che stimola l’idrolisi di GTP operata da Rheb, una GTPasi appartenente alla superfamiglia di Ras (126) e simile a Rho. La Rapamicina blocca l’effetto stimolatorio di Rheb su TOR (Fig.21). 53 GAP1 Fig. 20. Rappresentazione del possibile ruolo della proteina Tap42 nella trasmissione del segnale mediato da TOR. Tap42 lega la subunità catalitica della proteina fosfatasi 2A (PP2A). Il trattamento con Rapamicina o la mancanza di nutrienti, dissocia Tap42 dalla subunità Sit4, una delle subunità della PP2A attivandola. Sit4 agisce defosforilando i suoi substrati, ovvero le proteine NPR1 e GLN3. Quando NPR1 è defosforilata, vengono attivate e fosforilate GAP1 e TAT2, proteine coinvolte nella permeabilità della membrana. GLN3 è un fattore trascrizionale regolante l’espressione di Gln1 (Glutamina sintetasi), che quando defosforilato si dissocia dal repressore URE2, viene traslocato nel nucleo, dove attiva l’espressione del geni codificanti per proteine relate all’utilizzo dell’azoto. 54 Fig. 21. Regolazione dell’attività di mTOR mediante fattori di crescita. La trasmissione del segnale avviene attraverso la via PI3K/Akt che può coinvolgere anche un complesso proteico avente funzione di soppressore tumorale (costituito dalle proteine TSC1 e TSC2), dove TSC2 è un attivatore di GTPasi, stimolante l’idrolisi di GTP operata da Rheb, una GTPasi appartenente alla superfamiglia di Ras. Nel lievito, che presenta due tipi di proteine TOR, TOR2 può funzionare come la fosfatidil-inositolo-4 chinasi (PI-4K), che non è sensibile alla Rapamicina, ed è coinvolta nel mantenimento della normale struttura del citoscheletro di actina attraverso il pathway di integrine cellulari, rispondendo a stimoli di fattori di crescita (come l’insulina) che agiscono a livello della parete cellulare. Questi sono sotto controllo di Rho1, una GTPasi, che agisce sulla protein-chinasi 1 (PKC1), attivando la cascata delle MAP-chinasi (127), attivando la trascrizione di geni coinvolti nella sintesi di proteine strutturali di membrana (128, 129). Tuttavia, non è mai stata identificata una funzione simile nelle cellule di mammifero. 55 7.d. Attività antiproliferativa della Rapamicina. La Rapamicina è usata come immunosopressore ed antitumorale proprio per la sua capacità di arrestare il ciclo cellulare nella fase G1. Le diverse fasi del ciclo cellulare sono riportate in Fig.22. Fig. 22. Rappresentazione schematica delle diverse fasi del ciclo cellulare. La divisione cellulare costituita da mitosi e citodieresi, ha luogo dopo il completamento delle tre fasi preparatorie che formano l’interfase ( G1, S e G2). Durante la fase S (sintesi) si duplica il materiale cromosomico. Due fasi G separano la divisione cellulare dalla fase S. La prima fase G1 è un periodo di accrescimento generale e di replicazione degli organuli citoplasmatici. Durante la fase G2 si assemblano le strutture direttamente associate ai mitocondri e alla citodieresi. Dopo la fase G2 vi è la mitosi (la divisione del nucleo) che è generalmente seguita dalla citodieresi (la divisione del citoplasma). La Rapamicina agisce bloccando le cellule nella fase G1 del ciclo cellulare. I linfociti T prima di entrare nella fase G1 devono essere stimolati dalla presenza di antigeni che si associano alle cellule presentanti l’antigene (APC) e questo complesso interagisce col recettore situato sulle cellule T (TCR) attivandole. Quest’interazione 56 produce una serie di reazioni di fosforilazione a cascata, attivando l’espressione genica nei linfociti T. Tra i geni che vengono attivati ricordo l’interleuchina-2 (IL-2), che secreta dalle cellule stimola la divisione cellulare seguendo la progressione verso la fase G1 del ciclo. Nella fase S successiva dovrebbe venire duplicato il DNA ed essere sintetizzate le proteine, prima che inizi la fase di mitosi (fase M). La progressione del ciclo cellulare è regolata da numerosi geni comprendenti oncogeni, fattori di trascrizione e geni relati al ciclo cellulare. E’ stato ampliamente dimostrato che il controllo del ciclo cellulare dipende dall’assemblaggio, attivazione e rottura di complessi proteici contenenti cicline e chinasi ciclina-dipendenti. Le cicline di tipo D e le loro subunità catalitiche (Cdk4 e Cdk6) giocano un ruolo importante e questi complessi proteici sono regolati da una serie di piccole proteine aventi funzione inibitoria. Nei mammiferi sono presenti due famiglie di inibitori, che agiscono secondo meccanismi e bersagli specifici, una delle quali comprende p21, p27KIP1, p57KIP2, che inibiscono complessi proteici contenenti Cdk2, Cdk3, Cdk4 e Cdk6. Una varietà di segnali esterni alla cellula possono regolare l’attività di questi inibitori, che impediscono la sintesi di DNA e la progressione del ciclo cellulare, portando le cellule al differenziamento terminale (130). Gli inibitori p21 e p27KIP1 mediano l’associazione del complesso ciclina D1/Cdk4 e Cdk6. La formazione del complesso p27/ciclina D1/Cdk4 è favorita da fattori di crescita attraverso il pathway di attivazione PI3K/Akt. L’arresto del ciclo cellulare in G1 è dipendente dalla scissione di p27KIP1 dal complesso e dal suo assemblaggio alla ciclina E/Cdk2 (131). Sembra che la Rapamicina, sia nei lieviti che nei mammiferi blocchi le cellule nella fase G1. Nei mammiferi la Rapamicina inibisce il passaggio dalla fase G1 alla fase S, un processo che è indotto dal recettore dell’IL-2, impedendo l’attività di mTOR e la fosforilazione della proteina p70S6K, ed inibendo così la proliferazione delle cellule T. E’ stato dimostrato che la Rapamicina induce apoptosi nelle cellule derivanti da monociti (come le cellule dendritiche) (132). Un meccanismo proposto per spiegare l’effetto antiproliferativo della Rapamicina è che questa molecola up-regoli l’espressione di p27KIP1 (133); tuttavia questo non sembra essere l’unico meccanismo coinvolto, infatti sembra che questa up-regolazione di p27KIP1 sia associata anche con l’apoptosi indotta da fattori di crescita, come GM-CSF, o dalla inibizione di PI3K (134). Insieme a p27KIP1, anche p53 è coinvolto nella regolazione del ciclo cellulare, nella riparazione di danni al DNA, nel mantenimento della stabilità genetica, nell’induzione 57 della morte cellulare dovuta ad apoptosi, e sono anche considerati repressori tumorali. La p53 è una proteina legante il DNA che svolge soprattutto la funzione di oncosopressore inibendo l’espressione di geni tumorali; tuttavia la p53 può anche stimolare altri geni a produrre p21, che quando associata a Cdk2 impedisce la progressione del ciclo cellulare bloccando le cellule in G1. Inoltre, sembra che p53 possa essere fosforilata da mTOR (e tale fenomeno può essere anche indotto dall’irradiamento con raggi ionizzanti gamma od UV) attivando geni che promuovono l’apoptosi mediata dai mitocondri, con l’attivazione della caspasi-3 e la conseguente frammentazione del DNA. E’ stato dimostrato che anche la Rapamicina può indurre l’apoptosi, ma solo nelle cellule tumorali che mancano della funzionalità di p53, attraverso la cascata delle JNK chinasi. La proprietà antiproliferativa della Rapamicina è studiata non solo per la terapia di neoplasie, o come immunosopressore nei trapianti, ma anche come antivitale. Infatti, la Rapamicina inibisce la traduzione di proteine codificate da RNAs che presentano in 5’ una sequenza polipirimidinica. Nel genoma del virus HIV-1 (Human Immunodeficiency Virus Type 1) è stata identificata una sequenza di questo tipo nell’esone 2 del gene codificante per la proteina tat, una proteina fondamentale per la replicazione virale. E’ stato dimostrato che il trattamento con Rapamicina di linfociti T umani provoca una diminuzione della replicazione di HIV-1 (135). 7.e. Effetto eritrodifferenziante della Rapamicina, una molecola che presenta potenziale attività di induttore di emoglobina fetale. Gli effetti della Rapamicina sul differenziamento eritroide e sulla crescita cellulare sono stati determinati utilizzando per questo studio iniziale colture di cellule eritroleucemiche umane K562 (56, 136, 137). Solo in seguito all’evidenza di un’attività della molecola su questo modello cellulare l’analisi è stata condotta anche su colture di precursori eritroidi, impiegando mezzi liquidi di coltura differenti, in due fasi successive. La metodica è stata descritta da E. Fibach (58, 59) e si è dimostrata molto utile per identificare molecole in grado di indurre la sintesi di emoglobina fetale (HbF) in precursori eritroidi derivanti da soggetti normali. 58 In questi saggi le cellule K562 sono state trattate con FK506, Rapamicina e Ascomicina a diverse concentrazioni. I dati sono stati, inoltre, confrontati a quelli ottenuti con un controllo positivo, costituito da cellule K562 trattate con Idrossiurea (HU), un composto noto come stimolatore della produzione di emoglobina fetale nei precursori eritroidi adulti (38) e già in uso nel trattamento di pazienti affetti da anemia falciforme e talassemia . Al sesto giorno dal trattamento è stata valutata la presenza di emoglobina e quindi il differenziamento verso la linea eritroide delle cellule trattate usando il saggio della benzidina attivata con acqua ossigenata. I risultati hanno dimostrato che tra le molecole testate solo la Rapamicina è in grado di indurre il differenziamento eritroide nel range di concentrazioni utilizzato. E’ da sottolineare che l’inibizione della crescita cellulare dovuta al trattamento con Rapamicina avviene solo alla concentrazione di 400 nM, mentre a concentrazioni più basse (10-200 nM) è in grado di indurre il differenziamento eritroide senza inibire significativamente la proliferazione (138). Inoltre, il differenziamento eritroide aumenta all’aumentare della concentrazione di Rapamicina, il più alto numero di cellule positive al saggio della benzidina è stato ottenuto al settimo giorno di trattamento. L’effetto differenziante della Rapamicina è paragonabile a quello di altri noti induttori come la citarabina (Ara-C), la mitramicina, il cisplatino, l’idrossiurea e l’acido butirrico (49, 50, 51). I risultati dimostrano che l’induzione del differenziamento eritroide da parte della Rapamicina è minore rispetto a quella ottenuta con il trattamento di Ara-C e Mitramicina, simile a quella ottenuta con il Cisplatino e più alta di quella ottenuta somministrando acido butirrico e Idrossiurea (138). Una volta verificato che il composto induce il differenziamento eritroide nelle cellule K562 si è valutato l’aumento di mRNA specifico per la -globina in cellule trattate con agenti differenzianti, quantificando l’mRNA con la tecnica dell’RT-PCR (50). Nel primo esperimento le cellule sono state mantenute in coltura per 3, 4, 5 e 6 giorni in assenza o in presenza di Rapamicina 10 nM ed è stato isolato l’RNA totale. Dopo la trascrizione inversa, si sono amplificati con la tecnica della PCR i cDNA usando primers specifici per le globine , , , , , . Come controllo interno sono state amplificate anche sequenze di -actina. I risultati hanno dimostrato un aumento dell’espressione del gene per le -globine a differenza di quelli per le - e -globine, che non hanno subito alcun incremento. Questi dati sono stati confermati anche da un altro esperimento, nel quale le cellule K562 sono state tenute in coltura per 6 giorni in 59 crescenti concentrazioni di Rapamicina. E’ stato dimostrato che una concentrazione inferiore a 10 nM è sufficiente ad indurre il più alto livello di espressione dei geni globinici embrio-fetali (138). Diversamente, l’Ascomicina e l’FK506 non incrementano l’espressione dei geni globinici nelle cellule K562. Sulla base di queste osservazioni positive sull’accumulo di mRNA per le -globine in cellule K562, gli effetti della Rapamicina sono stati indagati anche sui precursori eritroidi isolati da donatori normali, utilizzando la metodica della coltura in due fasi liquide (58, 59). Le cellule sono state trattate con Rapamicina 10 nM al quarto e al quinto giorno della fase , quando iniziavano a sintetizzare emoglobina. Come controllo positivo sono state utilizzate colture di precursori eritroidi trattati con Idrossiurea (100M) e Mitramicina (30 nM), due noti potenti induttori di HbF (52). L’accumulo di mRNA codificante per la -globina e la GAPDH (usato come gene di riferimento) è stato misurato sull’RNA totale utilizzando l’RT-PCR quantitativa (52). I risultati ottenuti sono stati analizzati mediante il Sequence Detection Software System 1.6.3. e l’ABI prism 7.700 (Applied Biosystems) ed è stato osservato nelle cellule trattate con Rapamicina un incremento di mRNA per la -globina a parità di GAPDH. I dati sono stati successivamente riprodotti in cinque esperimenti indipendenti usando diversi donatori e sono stati, infine, confrontati con quelli ottenuti col trattamento di Mitramicina e di Idrossiurea (138). In secondo luogo è stata fatta una valutazione quantitativa dell’espressione degli altri geni globinici e rispetto al : è importante sottolineare che l’incremento di mRNA della -globina è molto più alto di quello della -globina, implicando che il trattamento di colture di precursori eritroidi con Rapamicina portasse anche ad un aumento della produzione di HbF conseguente all’aumento di mRNA per la -globina. Per confermare questa ipotesi è stata fatta un’analisi HPLC per valutare il contenuto di emoglobina nei precursori eritroidi, dimostrando che la quantità di HbF in cellule trattate con Rapamicina era maggiore di quella delle cellule non trattate. La percentuale di HbF nelle colture di controllo era 1,40,6% ed aumentava a 4,80,9% e 6,61,1% nelle colture trattate rispettivamente con HU e Mitramicina e a 10,21,5% nelle colture trattate con Rapamicina (138). Gli induttori di emoglobina fetale (HbF) possono essere di grande interesse per la cura della -talassemia e dell’anemia falciforme (55, 139, 140, 21, 34, 141, 142, 143), perché l’incremento di HbF migliora la sintomatologia in queste patologie. Questi studi hanno 60 dimostrato che la Rapamicina è un potente induttore del differenziamento eritroide in cellule K562 e si è visto che tale differenziamento è associato ad un forte aumento della produzione di mRNA -globinico. Questo incremento non è stato riscontrato in cellule trattate con FK506 e Ascomicina, che hanno lo stesso target e presentano struttura molecolare simile alla Rapamicina, ma non sono in grado di modulare FRAP/mTOR (65). I risultati ottenuti suggeriscono che sia la proteina FRAP/mTOR implicata nel differenziamento eritroide e non la proteina FKBP12. Un incremento di mRNA della globina è stato osservato anche nei precursori eritroidi isolati da sangue periferico di donatori normali. I risultati di questi studi sono di particolare interesse per capire le basi biochimiche del differenziamento eritroide. Infatti è ben noto che la Rapamicina inibisce FRAP/mTOR formando un complesso stabile con FKBP12 (144) che questo complesso rappresenta un punto di controllo nella regolazione della sintesi proteica (145). Recenti studi hanno inoltre dimostrato che FRAP/mTOR è una proteina nel trasporto nucleo-citoplasma, che potrebbe avere bersagli diretti nel nucleo (146) che potrebbero essere implicati nel differenziamento eritroide. La Rapamicina presenta caratteristiche tali da poter assere proposta come un potenziale induttore di HbF impiegabile per la cura della -talassemia e dell’anemia falciforme. Dato il suo impiego come immunosopressore e la sperimentazione in atto come agente anticancro, numerosi studi sono stati eseguiti sull’uomo. L’uso che finora ne è stato fatto ha previsto dosaggi elevati e presentanti numerosi effetti tossici. Sono stati dimostrati gli effetti collaterali della Rapamicina come l’ipercolesterolemia, l’iperlipidemia e l’ipertensione. Inoltre, la farmacocinetica, le vie di somministrazione, l’assorbimento, la distribuzione e il metabolismo di questo farmaco sono già noti (147): è interessante evidenziare che la concentrazione plasmatica della Rapamicina è 17,37,4 ng/ml dopo una somministrazione di 5 mg/die ed il tempo di dimezzamento dopo somministrazione di dosaggi multipli è stimato essere di 6216 h. Seguendo quest’ambito di ricerca l’oggetto di questa tesi sarà pertanto la valutazione degli effetti della Rapamicina su precursori eritroidi umani che presentano la patologia, isolando quindi le cellule staminali direttamente dal sangue di pazienti affetti da talassemia. 61 8. “Real-time quantitative RT-PCR” per l’analisi dell’espressione dei geni globinici. I meccanismi cellulari coinvolti nella normale regolazione dei geni globinici subiscono dei cambiamenti quando le colture cellulari utilizzate come modello sperimentale vengono trattate con potenziali agenti induttori del differenziamento eritroide con lo scopo di verificarne l’efficacia. Per studiare queste alterazioni sono stati messi a punto saggi in grado di quantificare gli mRNA specifici per ciascun gene globinico e prodotti dalle cellule indotte a differenziare. In particolare è possibile indagare l’espressione dell’mRNA, codificante per la -globina, una subunità dell’HbF. La tecnica utilizzata è la Real Time quantitative PCR (Q-PCR) che si basa sull’emissione di fluorescenza dovuta alla degradazione di sonde nucleotidiche fluorescenti che si legano a substrati di acido nucleico in modo sequenza-specifico. L’enzima impiegato è una particolare DNA polimerasi dotata di attività nucleasica, che rimuove e degrada frammenti di DNA (in questo caso la sonda appaiata al DNA target), che incontra durante la fase di estensione sul filamento di DNA. Questa tecnica di indagine è stata impiegata per la quantificazione in colture cellulari trattate con induttori del differenziamento eritroide per la quantificazione dell’espressione dei geni globinici. Le prime molecole, i cui effetti sono stati analizzati con questa tecnica, sono state la 5-azacitidina, l’idrossiurea e l’acido butirrico. La Real time Quantitative PCR è una tecnica sensibile e precisa per la quantificazione degli acidi nucleici, in grado di rilevarne anche minime quantità mediante la loro amplificazione. Per questo studio sono state utilizzate sonde fluorescenti e due primers, uno forward e uno reverse, specifici per ogni gene bersaglio indagato. L’interpretazione dei cambiamenti dei livelli di mRNA globinico nei precursori eritroidi è molto complesso per due ragioni principali. Primo, in genere l’mRNA per le -globine è meno dell’1% rispetto all’mRNA per le -globine. Secondo, nel corso della coltura, l’mRNA per le -globine decresce gradualmente, mentre quello -globinico aumenta. I risultati ottenuti utilizzando la Q-PCR hanno dimostrato che il trattamento delle colture eritroidi con 5-azacitidina, idrossiurea e acido butirrico ha prodotto un incremento 62 nell’espressione del gene -globinico ed in particolare un aumento del rapporto /(+) mRNA (148). Un composto per essere un buon candidato per il trattamento terapeutico della - talassemia non dovrebbe indurre l’espressione dei geni -globinici perché il rapporto globina/(-globina+-globina) mRNA è già alto in individui affetti da -talassemia e l’aumento delle catene libere è uno dei maggiori problemi nel decorso della malattia. Invece, l’incremento dell’espressione del gene per le -globine potrebbe avere importanza nel caso in cui si volesse migliorare il quadro clinico di soggetti affetti da +-talassemia. Perciò molecole in grado di stimolare l’espressione del gene per le globine, ma con minor effetto anche l’espressione delle globine sono eccellenti candidati per il trattamento di patologie talassemiche (149). Lo sviluppo di una metodologia come la reazione di polimerizzazione a catena (PCR), impiegata per l’analisi degli acidi nucleici, è una tecnica di indagine molto utile per uno screening di questo tipo. La sua applicazione associata con lo sviluppo di raffinate strumentazioni ha permesso di migliorare la sensibilità di questo sistema d'indagine. Associando l’amplificazione di frammenti di DNA o cDNA con la rilevazione di fluorescenza è stato possibile quantificare in modo assoluto anche quantità minime di acidi nucleici presenti nei campioni sottoposti all’analisi. Nel caso la quantificazione sia mirata a valutare l’espressione di specifici geni e quindi i rispettivi mRNA, tale tecnica oltrepassa di gran lunga le potenzialità applicative della comune tecnica del Northern Blotting. L’RT-PCR quantitativa presenta numerosi aspetti vantaggiosi, come la capacità di poter analizzare un elevato numero di campioni (96 per ogni analisi) mediante sofisticati Thermal Cyclers; inoltre, nel momento in cui sia necessario eseguire una reazione di retro-trascrizione prima della PCR, per la produzione di cDNA a partire da RNA come templato, sia la reversione che l’amplificazione vera e propria possono venir eseguite anche in unico passaggio (o in più passaggi) nel Thermal Cycler. Questa strumentazione consente, peraltro, di ottenere una visione in tempo reale durante ciascun ciclo di amplificazione, ovvero un grafico da cui si può ricavare l’incremento di fluorescenza sviluppato da ciascun campione ad ogni singolo ciclo. Per eseguire la reazione sono indispensabili: un enzima, due primers ed una sonda oligonucleotidica, che riconosca una sequenza compresa tra i due primers e dotata di 63 particolari caratteristiche. L’enzima impiegato è una DNA polimerasi prodotta dal batterio Thermus aquaticus, avente la capacità di resistere ad elevate temperature e dotata anche di attività esonucleasica 5’-3’. Anche i due primers, reverse e forward, devono soddisfare determinate caratteristiche: 1) uno dei due primers deve essere posizionato in prossimità della regione 5’ riconosciuta dalla sonda e molto vicino ad essa; 2) entrambi i primers non devono sovrapporsi alla sequenza con la quale ibridizzerà la sonda; 3) i primi cinque nucleotidi nella regione 3’ non devono contenere più di quattro basi G e/o C. Per quanto riguarda la sonda, la sua sequenza oligonucleotidica deve essere compresa nel templato bersaglio in analisi, e deve ibridizzare col cDNA. La sonda è in genere costituita da un singolo filamento di DNA e presenta nell’estremità 5’ un gruppo cromogeno FAM (6-carbossi-fluoresceina), chiamato anche reporter, legato in maniera covalente, mentre all’estremità 3’ è posizionato un gruppo quencher detto TAMRA (6-carbossi-N,N,N’,N’-tetrametilrodamina). Prima che la reazione di PCR inizi, il gruppo FAM non emette fluorescenza, in quanto trovandosi i gruppi reporter e quencher vicini tra loro si equilibrano, quindi non si ha l’emissione di fluorescenza da parte del sistema. Col procedere della reazione di polimerizzazione l’attività esonucleasica della DNA polimerasi provoca la rimozione del gruppo reporter dalla sonda, che viene degradata dopo essere stata incontrata durante la fase di estensione dal primer lungo il filamento di DNA; i due gruppi cromogeni a questo punto non sono più vicini tra loro e il il quencher non è più in grado di assorbire l’emissione del reporter, di conseguenza il sistema di rilevazione osserverà un aumento della fluorescenza. Ad ogni ciclo verrà registrato un incremento della fluorescenza, poiché sempre maggiore sarà il numero di molecole di sonda, ibridizzate al DNA bersaglio, che vengono rimosse ed idrolizzate dall’enzima (Fig.23). Questa strategia permette una visione in tempo reale dell’amplificazione durante i vari cicli di reazione; inoltre, la selettività della sonda, che ibridizza col DNA o cDNA bersaglio, permette la rilevazione esclusivamente dei prodotti di PCR amplificati in modo specifico. 64 Fig. 23. Rappresentazione schematica di una reazione di PCR quantitativa. Nella figura sono schematizzati i diversi cicli di annealing dei primers e della sonda cromogenica, di estensione del nuovo filamento di DNA operata dalla DNApolimerasi; infine il processo di degradazione ad opera dell’attività esonucleasica 5’-3’ dell’enzima stesso e responsabile dell’emissione della fluorescenza nel sistema, principio di base per la quantificazione dei templati in analisi. Per effettuare l’amplificazione genica è stato utilizzato il sistema ABI Prism 7700 Sequence Detector, costituito da: un Thermal Cycler, ABI Prism 7700, all’interno del quale sono posizionati i reagenti in una piastra termica; un computer ed un software (Sequence Detector Application Program versione 1.7) che gestisce la strumentazione e l’analisi dei dati. I parametri di tempo e temperatura relativi ai vari steps di amplificazione e il numero di cicli da effettuare sono i seguenti: gli step 1 e 2 (2 min a 50°C e poi 10 min a 95°C) permettono l’attivazione delle proprietà esonucleasiche dell’enzima, che si attiva contemporaneamente in tutti i pozzetti contenenti le reazioni di polimerizzazione; lo step 3 (15 sec a 90°C e 1 min a 60°C, ripetuti per 40 cicli successivi), che costituisce gli stadi di PCR vera e propria, cioè la denaturazione a 90°C, l'appaiamento dei primers e l'estensione del filamento di DNA che avvengono alla stessa temperatura di 60°C. Il sistema ABI Prism 7700 è dotato di una “camera a dispositivo di carica accoppiata”, che permette di misurare lo spettro di emissione della fluorescenza in un intervallo da 65 500 a 650 nanometri. Ogni reazione è controllata per rilevare il segnale in modo sequenziale per 25 msec, con un monitoraggio continuo durante l’amplificazione, al termine della quale, ogni campione viene riesaminato per 8,5 sec. Durante l’amplificazione la variazione di fluorescenza emessa dal gruppo quencher è minima rispetto al gruppo reporter; per questo motivo essa viene utilizzata come riferimento interno, per ottenere in modo automatico la normalizzazione dell’emissione del gruppo reporter. La relazione matematica sulla quale si basa il sistema è la seguente: ΔRn= (Rn+)-(Rn-) in cui Rn+ rappresenta il rapporto tra l’emissione del quencer e quella del reporter calcolato a ciascun ciclo di amplificazione, ed Rn- rappresenta il rapporto tra le due emissioni prima dell’inizio della reazione di PCR (150). Sulla base dei valori di ΔRn ad ogni ciclo si ricava uno spettrogramma in cui sull’asse delle ascisse è riportato il numero dei cicli, mentre su quello delle ordinate è riportato il valore calcolato ΔRn (Normalized Reporter). Un’informazione utile che si può ricavare da tale grafico è il valore del ciclo Threshold, detto CT o ciclo “soglia”. Tale valore rappresenta il ciclo al quale è possibile registrare il primo apprezzabile aumento di intensità nella fluorescenza emessa, non coperta dal segnale di background. La linea di Threshold viene considerata nella fase esponenziale della reazione di PCR il più lontano possibile dal plateau, che rappresenta la fase di saturazione della reazione di amplificazione. Questa linea viene scelta dall’operatore e rappresenta un determinato valore di ΔRn al quale vengono confrontati tutti i campioni e sulla base del quale vengono ricavati i loro rispettivi valori di CT (riportati in ascissa). La quantificazione dei campioni presi in esame può seguire diverse strategie, come il confronto con una retta di taratura dove lo standard è rappresentato, ad esempio, da un plasmide contenente il cDNA per il trascritto d’interesse opportunamente diluito (151). Tuttavia, con questo sistema non sono esclusi errori di valutazione dovuti alla presenza di fattori di inibizione o di degradazione nei campioni da analizzare, oppure errori dovuti all’operatore. La quantificazione di cDNA provenienti da campioni diversi è più attendibile se viene considerato un gene di riferimento interno al sistema rendendo così minimo l’errore sperimentale. Tale strategia è utilizzata anche quando si desidera ottenere una quantificazione “relativa”, basata sulla differenza tra i livelli di espressione di un gene bersaglio in campioni differenti, e valutato rispetto ad un gene di riferimento ugualmente espresso in 66 tutti i campioni analizzati. I geni utilizzati come riferimento, espressi in modo costitutivo in tutti i campioni, possono essere ad esempio i geni per la β-actina, la gliceraldeide 3-fosfato-deidrogenasi (GAPDH), la β2-microglobulina ed ancora il gene per l’rRNA 18S. L’analisi di tipo quantitativo viene effettuata eseguendo una serie di reazioni ciascuna contenente diverse quantità di cDNA dello stesso campione. La differenza tra il CT del gene bersaglio ed il CT del gene di riferimento, ΔCT, deve rimanere costante o al massimo variare di valori inferiori all’unità per tutti i punti della scalare di diluizione. Il valore di CT è inversamente proporzionale alla concentrazione del templato in analisi; pertanto, all’aumentare della concentrazione di cDNA bersaglio, il ciclo “soglia” diminuisce: la sonda ha una maggiore quantità di substrato sul quale ibridizzare, quindi una volta attivata la polimerasi ed il gruppo reporter viene liberato, si produce un valore di fluorescenza superiore al rumore di fondo che viene recepito dal sistema in tempi più brevi rispetto a campioni contenenti quantità di cDNA inferiori. Per quantificare un trascritto in campioni che lo esprimono a diversi livelli, viene calcolata la differenza tra i valori di ΔCT di ciascun campione in analisi ed il ΔCT del campione usato come standard di riferimento, ottenendo il ΔΔCT. Un’elaborata espressione matematica, infine, considera il ΔΔCT come esponente negativo di 2 (2-ΔΔCT) e permette di valutare quante volte un determinato DNA o cDNA templato è espresso in un campione rispetto ad uno di controllo (152). Per valutare l’espressione del gene delle -globine nei precursori eritroidi trattati con Rapamicina è stata utilizzata questa elaborata tecnica d’analisi. 67 SCOPO DELLA TESI L’oggetto di studio di questa tesi è stata la prosecuzione di studi già avviati dal gruppo di ricerca presso il quale ho svolto la mia attività, e coordinato dal Prof. Roberto Gambari, che hanno riguardato gli effetti eritro-differenzianti della Rapamicina, una molecola con potenziale attività di induttore eritroide. Il mio lavoro ha avuto lo scopo di saggiare se gli effetti prodotti dal trattamento con Rapamicina di cellule K562 e di precursori eritroidi isolati da donatori normali, fossero simili anche su colture di precursori eritroidi derivanti da donatori affetti da -talassemia, i diretti destinatari di questo putativo agente farmacologico. I primi risultati positivi sull’utilizzo della Rapamicina come induttore del differenziamento eritroide sono stati ottenuti dal Prof. Carlo Mischiati appartenente al gruppo di ricerca del Prof. Roberto Gambari. Questi dati dimostravano un incremento indotto dalla Rapamicina dell’espressione dei geni globinici embrio-fetali in cellule K562. Quest’effetto era correlato ad un accumulo di mRNA per le -globine anche nelle colture di precursori eritroidi trattati con questa molecola. Inoltre, le concentrazioni risultate attive per l’efficacia dell’effetto di induzione non inibivano la proliferazione cellulare. Queste indagini sono quindi proseguite nell’ambito di questa tesi, osservando gli effetti della Rapamicina sull’espressione di geni per le - - e -globine in colture di precursori eritroidi isolati da pazienti affetti da -talassemia. L’analisi è stata estesa al trattamento di 5 colture provenienti ciascuna da pazienti differenti, nelle quali è stato valutato anche l’eventuale incremento di HbF e la quantità di HbF per cellula. La mia analisi ha avuto come scopo proprio la quantificazione degli mRNA per le - - e -globine con la tecnica della Real Time quantitative PCR e la quantificazione di HbF con la tecnica dell’HPLC. I risultati ottenuti hanno permesso di valutare se la Rapamicina fosse in grado di riprodurre l’effetto eritro-differenziante anche in questo modello cellulare, più simile al bersaglio patologico sul quale dovrebbe esplicare l’effetto terapeutico. Infatti, un incremento nella produzione di HbF mimerebbe il fenotipo HPFH (High Persistence of Fetal Hemoglobin), una condizione questa in grado di produrre un notevole miglioramento del quadro clinico della patologia. La persistenza di HbF è in 68 grado di supplire alla carenza di emoglobina adulta, migliorando notevolmente la sintomatologia nei pazienti affetti da -talassemia. Pertanto, molecole in grado di riattivare l’espressione dei geni -globinici nell’adulto sono interessanti in quanto possibili agenti terapeutici impiegabili nella terapia farmacologia della -talassemia. Tra gli agenti induttori oggetto di studio, la Rapamicina rappresenta una molecola che è già in uso, anche se utilizzata con altri scopi: in terapia come immunosopressore nei trapianti d’organo per contrastarne il rigetto e come antitumorale in fase clinica I-III. Il vantaggio nel suo interesse applicativo è che la farmacocinetica e gli effetti collaterali sono già stati indagati ed ampliamente descritti. L’obbiettivo futuro è quello di valutare l’induzione dell’espressione dei geni per le -globine e di HbF non solo su colture di precursori eritroidi trattate con Rapamicina, ma anche effettuando le analisi direttamente sulle cellule staminali provenienti dal sangue di soggetti cui è stata somministrata la Rapamicina per gli impieghi sopra riportati. Questo potrebbe ridurre notevolmente i tempi previsti per la sperimentazione di un suo utilizzo come agente eritro-differenziante. La Rapamicina lascia dunque nuove speranze ai malati di -talassemia, soprattutto nei casi in cui questi non possano essere sottoposti alle consuete terapie trasfusionali. 69 MATERIALI E METODI 1. Coltura di precursori eritroidi isolati da pazienti affetti da -talassemia. Le cellule staminali, ottenute dal sangue periferico di 5 pazienti affetti da talassemia dopo il loro consenso informato, sono state coltivate in vitro secondo la metodica che prevede due fasi in terreno liquido che è stata precedentemente raffigurata in Fig.10. Per l’isolamanto dei precursori eritroidi si è partiti dal buffy-coat, ovvero dalla parte corpuscolata ematica. Il volume di sangue che è possibile prelevare da un soggetto affetto da -talassemia è molto inferiore rispetto a quello che si può prelevare da un individuo normale (per motivi etici e dipendenti dal fatto che si tratta di soggetti affetti da una patologia ematologica). Infatti, questi individui presentano già bassi livelli di emoglobina a causa della loro patologia ed un prelievo di sangue non può che peggiorare lo stato di anemia di queste persone. Così, in genere, viene utilizzato il volume minimo di sangue necessario per preparare 20 ml di coltura, tale quantità può essere sufficiente per l’alta frequenza di precursori eritroidi, che vi sono comunque contenuti, una situazione che è sostenuta e spinta dalla carenza stessa di emoglobina. Questa coltura cellulare potrà produrre un massimo di 108 cellule. Per il processamento il sangue viene diluito 1:2 con PBS 1x (Buffer salino-fosfato) a temperatura ambiente preparato per diluizione con H2O distillata a partire da PBS 10x, che consiste in una soluzione di NaCl 2 M, KCl 27 mM, Na2PO4 0,1 M, KH2PO4 18 mM, in H2O distillata. La soluzione preparata viene successivamente sterilizzata per filtrazione con filtri di acetato di cellulosa aventi pori del diametro di 0,22 µm, e conservata a 4°C. Il campione diluito viene suddiviso in aliquote da 40 ml, sottoposte a centrifugazione per gradiente di densità su Lympholyte-H (NycogradeTM polysucrose 400 e sodium diatrizoate, Celbio, Milano, Italy). In questo modo si crea un gradiente di destrano ed altre sostanze che permette la separazione delle diverse parti corpuscolate del sangue. La centrifugazione genera quattro strati ben distinti, dall’alto verso il basso: siero; un anello biancastro contenente linfociti, fibroblasti, macrofagi e precursori eritroidi; una parte torbida contenente Lympholyte con cellule non separate; un fondo 70 rosso costituito dagli eritrociti. L’anello biancastro viene prelevato, sottoposto a diversi lavaggi con PBS 1x e trasferito in terreno di fase I così composto: terreno α-MEM (αminimal essential medium, Sigma-Aldrich, St.Louis, Missouri, USA), preparato a partire da una polvere e diluito con acqua distillata, sali per bilanciare il pH ed una soluzione di PEN-STREP (penicillina 50 U/litro e streptomicina 50 mg/litro di terreno, Sigma-Aldrich, St.Louis, Missouri, USA); FCS al 10% (Foetal Calf Serum, GIBCO, BRL, Life Technologies, Milano, Italy), dopo averlo scongelato e sterilizzato per filtrazione; medium condizionato (CM) al 10%, ottenuto da colture di cellule provenienti da carcinoma della vescica (cellule 5637), ricco di fattori di crescita ematopoietici (come le interleuchine), ma che non contiene EPO, e separato dalle cellule stesse per filtrazione; ciclosporina A (Sigma-Aldrich, St.Louis, Missouri, USA) 1 µg/ml di terreno, preparata da ciclosporina diluita in etanolo assoluto e PBS 1x nel rapporto di 1:1. La coltura viene poi incubata a 37°C, in atmosfera umidificata ed al 5% di CO2. E’ importante osservare ogni giorno al microscopio le cellule per verificare la vitalità cellulare e l’assenza di contaminazioni. Dopo 5-7 giorni di coltura in questo terreno di fase I, le cellule non aderenti vengono recuperate, lavate e ricoltivate in un terreno fresco di fase II composto da: terreno α-MEM; FCS al 30%; albumina di siero bovino deionizzata (BSA, SigmaAldrich, St.Louis, Missouri, USA) al 10%, sciolta in α-MEM; β-mercapto etanolo (β-ME, Sigma-Aldrich, St.Louis, Missouri, USA) 0,01 mM, preparato da una soluzione di partenza 100 mM diluita con H2O sterile; desametasone (Sigma-Aldrich, St.Louis, Missouri, USA) 0,001 mM, preparato da una soluzione di partenza 6,4 mM diluita in metanolo sterile (questo composto è in grado di stimolare la linea eritroide); glutammina (Glu) 2 mM (Sigma-Aldrich, St.Louis, Missouri, USA); eritropoietina umana (EPO) (Tebu-bio, Magenta, MI, Italy) 1 U/ml; Stem Cell Factor (SCF, PeproTech EC Ltd, London, England) 10 ng/ml, solubilizzato in acido acetico 10 mM. Alcuni di questi componenti (BSA, β-ME, desametasone, Glu) sono stati sterilizzati, filtrandoli con filtrini aventi pori del diametro di 0,22 m, e conservati al buio a -20°C. L’EPO e l’SCF, essendo fattori proteici, devono essere conservati a -80°C per evitarne la degradazione. L’incubazione in questa fase dura da 4 a 6 giorni. E’ importante osservare ogni giorno al microscopio le cellule per verificarne la vitalità, l’assenza di contaminazioni, ma soprattutto la formazione di gruppi o “cloni” di cellule nel supernatante. Solo se ci sono tali agglomerati cellulari di proeritrociti si può proseguire 71 col trattamento con le molecole in analisi. Talvolta si possono avere pochi e/o piccoli agglomerati cellulari dopo i 4-6 giorni canonici della fase II, in quanto si ha una crescita più lenta, in tal caso si può prolungare la fase II per altri 4-5 giorni per avere una sufficiente proliferazione delle colonie e successivamente proseguire col trattamento. In ogni fase si contano le cellule utilizzando il Coulter Counter Z1 (Coulter Electronics Limited, Luton, Beds, England). Al quarto giorno della fase II è stata aggiunta la Rapamicina alla concentrazione 100 nM, quindi le cellule sono state riposte nell’incubatore per altri 4-5 giorni, al termine dei quali si è proceduto all’estrazione dell’RNA. L’aliquota di cellule non trattate sono state mantenute in coltura nelle stesse condizioni di quelle trattate in modo da fornire un controllo negativo al quale fare riferimento per l’interpretazione dei risultati. 2. Preparazione della Rapamicina. La Rapamicina utilizzata per il trattamento delle cellule è stata acquistata dalla Sigma Aldrich (Milwaukee, WI, USA). La soluzione madre è stata diluita con EtOH e DMSO 1: 2 fino ad ottenere la concentrazione utilizzata per il trattamento e disciolta ad una concentrazione di 10 mM conservandola a -20°C al buio. Nei trattamenti delle colture di precursori eritroidi da soggetti talassemici è stata impiegata alla concentrazione di 100 nM finale. 3. Estrazione dell’mRNA totale derivante da precursori eritroidi. Al termine della fase II è stato estratto l’mRNA totale citoplasmatico sia dai precursori eritroidi trattati con Rapamicina, che da quelli di controllo utilizzando la metodica del “TRIzol”: le cellule vengono centrifugate per 10 min a 1200 rpm, separate dal supernatante e quindi risospese in TRIzol (Total RNA Isolation Reagent, Celbio, Milano, Italy) (usandone 1 ml per 5-10x106 cellule). I campioni vengono incubati per 5 min a temperatura ambiente, si aggiungono 200 µl di cloroformio per ogni ml di TRIzol 72 utilizzato e si agita energicamente per 15 sec. Segue una centrifugata a 12000 rpm per 15 min a 4°C per estrarre la fase acquosa, alla quale vengono aggiunti 500 µl di isopropanolo per ml iniziale di TRIzol usato. Si incubano i campioni per 10 min a temperatura ambiente. Segue un’altra centrifugata per 15 min a 12000 rpm a 4°C. Il supernatante viene eliminato e al pellet, formato dall’mRNA estratto viene aggiunto 1 ml di etanolo al 75% per ml di TRIzol. I campioni di mRNA ottenuti applicando questa metodica di estrazione sono stati poi conservati a -20°C fino al momento del saggio per valutarne la quantità e l’integrità, che ha previsto l’impiego dell’elettroforesi su gel di agarosio e la lettura allo spettrofotometro. 4. Saggio dell’RNA. 4.a. Quantificazione dell’RNA allo spettrofotometro. Si effettua la lettura allo spettrofotometro dei campioni di RNA risospeso in H2O DEPC ad una lunghezza d’onda di 260 nm. L’unità di lettura dello strumento è l’OD (optical density). La concentrazione si ricava dall’equazione: µg/ml=ODx40xDIL dove OD è il valore letto dallo strumento, 40 è il coefficiente di correzione per la lettura dell’RNA allo spettrofotometro (secondo la legge di Lambert–Beer) e DIL è il coefficiente di diluizione dell’RNA nella cuvetta. Per verificare il grado di contaminazione proteica bisogna valutare il rapporto tra le assorbanze a 260 nm ed a 280 nm, che deve risultare intorno ad un valore di 1,8: se il valore è inferiore, si è avuta una contaminazione proteica, se superiore, una contaminazione organica, dovuta e residui fenolici derivati dalla metodica di estrazione. 4.b. Elettroforesi su gel di agarosio. Il gel di agarosio all’1% si prepara sciogliendo 1 g di agarosio in polvere in 150 ml di TAE 1x (da TAE 50x=2 M Tris-HCl, 0,05 M EDTA pH=8,0 e 5,71% acido acetico al 73 99,8%), è necessario far bollire i reagenti per sciogliere la soluzione. Una volta ottenuta una soluzione limpida vi si aggiunge, sotto cappa, l’etidio bromuro10 µg/ml. Si fa quindi colare lentamente l’agarosio nell’apposito apparato elettroforetico, in cui è stato precedentemente inserito il pettine per la formazione dei pozzetti per il caricamento dei campioni, evitando di fare bolle che potrebbero essere di ostacolo per la corsa dell’RNA. Mentre il gel solidifica si preparano i campioni da caricare per l’analisi. L’RNA totale (in etanolo) viene fatto precipitare centrifugando a 12000 rpm, a 4°C per 20 min. Il supernatante viene prelevato con una siringa e buttato, mentre il pellet è risospeso in 10 l di acqua trattata con dietilpirocarbonato (DEPC) 0,1%, una molecola in grado di disattivare eventuali RNasi presenti. I campioni vengono essiccati in centrifuga sottovuoto (Speedvac) per 5 min. A questo punto si preparano le aliquote dei campioni da caricare sul gel: un volume totale pari a 10 l composto da RNA (in genere 1-0,5 g), colorante contenente glicerolo per appesantire il campione, ed acqua DEPC per portare a volume. Quando il gel ha solidificato si tolgono i pettinini, formando così i pozzetti, e si mette il tampone di corsa formato da TAE 1x (da TAE 50x=2 M Tris-HCl, 0,05 M EDTA pH=8,0 e 5,71% acido acetico al 99,8%) ed etidio bromuro (5 l ogni 100 ml di tampone). A questo punto si caricano i campioni negli appositi pozzetti e si fanno migrare a 80-100 Volt. Le molecole che migrando nel gel si separeranno sulla base sia della loro carica che del peso molecolare. Il colorante indica la posizione dell’RNA durante la corsa. Terminata la migrazione elettroforetica dei campioni, questi vengono fotografati sotto illuminazione da raggi UV: l’acido nucleico è visibile grazie alla emissione di luce dell’etidiobromuro intercalatosi tra le basi azotate quando sollecitato da luce ultravioletta. Dalla foto ottenuta si possono ricavare informazioni sullo stato del materiale (degradato o meno) osservando l’intensità relativa alla banda del 28S che deve essere circa il doppio rispetto a quella relativa al 18S, ed indicativamente sulla quantità di RNA e/o sulla presenza di DNA gnomico che potrebbe essere presente accidentalmente nel campione. 74 5. Reazione di retro-trascrizione per la produzione del templato di cDNA dall’RNA di precursori eritroidi indotti e non dalla somministrazione di Rapamicina. Le analisi mediante RT-PCR quantitativa dei geni bersaglio, la cui espressione poteva essere modulata dal trattamento con la Rapamicina sono state condotte sul cDNA (sequenza di DNA codificante) complementare all’RNA totale citoplasmatico ed estratto dalle cellule trattate e non trattate. Per questa conversione è necessario effettuare una reazione di retro-trascrizione, effettuando prima una PCR di controllo direttamente sull’RNA per verificare che non vi sia la presenza di contaminazioni di DNA; in tal caso si deve procedere al trattamento dei campioni con DNasi I, prima di eseguire la reazione di retro-trascrizione. Come substrato per la produzione di cDNA a singolo filamento è stato utilizzato 1 µg di RNA totale citoplasmatico, che rappresenta la quantità massima utilizzabile per avere una retro-trascrizione efficace e quantitativa, nella quale tutte le molecole di RNA possano essere efficientemente retro-trascritte in modo stechiometrico in nuove molecole di cDNA. Nella retro-trescrizione l’RNA è stato inizialmente incubato per 10 min a temperatura ambiente con 10 U di inibitore dell’RNasi e con oligonucleotidi d’innesco della reazione di polimerizzazione alla concentrazione 2,5 µM, rappresentati da esameri random (l’utilizzo di questi oligonucleotidi d’innesco a differenza dell’utilizzo di oligod(T) dipende dal fatto che essendo frammenti di soli sei nucleotidi con sequenza casuale permettono l’innesco della reazione anche su substrati di RNA non completamente integri e privi della sequenza terminale stabilizzatrice di poli-A). Questi oligonucleotidi hanno una temperatura di melting piuttosto bassa, per cui in queste condizioni si legano all’RNA. Le fasi successive prevedono 30 min a 48°C e 5 min a 100°C in tampone contenente MgCl2 5,5 mM, dNTPs 500 µM, RT-Buffer 1x (TaqMan RT Buffer 10x, Applera Italia, Applied Biosystems, Monza, Italy) e 1,25 U dell’enzima MultiScribe Reserve Transcriptase. Terminata la reazione, l’amplificato è stato velocemente centrifugato in modo che non sia disperso lungo le pareti dell’eppendorf e conservato a -80°C. 75 6. Real-Time quantitative PCR per la quantificazione dei geni globinici. Con questa tecnica si è voluto quantificare l’espressione di tutti i geni globinici analizzando il cDNA ottenuto a partire dai campioni di mRNA totale. Le reazioni sono state eseguite a partire da una serie di diluizioni scalari di cDNA ottenuto dall’mRNA di colture cellulari utilizzate come controllo negativo e non trattate (standard). La miscela di reazione, avente un volume finale di reazione di 25 µl, contiene: TaqMan Universal PCR Master Mix 1x (Applera Italia, Applied Biosystems, Monza, Italy); la coppia di primers forward e reverse, utilizzati ad una concentrazione finale pari a 300 nM; la sonda TaqMan impiegata alla concentrazione finale di 200 nM. La TaqMan Universal PCR Master Mix contiene anche: l’enzima AmpliTaq Gold DNA Polimerasi; l’enzima AmpErase Uracil–N glicosilasi, che degrada sequenze contenenti uracile al posto di timina, lasciando intatto il filamento originario di templato, ed è attiva nel primo step della reazione (quando la temperatura è di 50°C) eliminando tutte le molecole contaminanti che possono essere presenti nella piastra o nei puntali. Alla temperatura di 95°C si inattiva irreversibilmente; i desossinucleotidi trifosfato (dNTPs), con il dUTP che sostituisce il dTTP; MgCl2 1 mM; il cromoforo “Rox”, che serve come riferimento sul quale lo strumento normalizza i dati ed è utile soprattutto per annullare gli eventuali errori di volume effettuati durante le operazioni svolte dall’operatore stesso. Le sonde utilizzate per le analisi dell’espressione delle globine umane sono marcate in 5’ con la molecola cromogenica FAM e in 3’ con la molecola TAMRA. Le sequenze delle sonde ed i primers utilizzati per la quantificazione degli specifici mRNA sono riportati nella tabella 2. Sugli stessi campioni sono state effettuate in parallelo le reazioni di amplificazione per la gliceraldeide-3-fosfato-deidrogenasi (GAPDH), usata come gene di riferimento; la sonda e i primers specifici sono contenuti nel kit human GAPDH (Applera Italia, Applied Biosystems, Monza, Italy), dove la sonda è stata marcata in 5’ con la molecola cromogenica VIC (un composto sotto segreto brevettale) ed al 3’ col TAMRA. 76 Tabella 2. Sequenze degli oligonucleotidi impiegati nelle reazioni di PCR quantitativa. primer forward -globine primer reverse -globine sonda -globine primer forward -globine primer reverse -globine sonda -globine primer forward -globine primer reverse -globine sonda -globine 5’-CACGCGCACAAGCTTCG-3’ 5’-AGGGTCACCAGCAGGCAGT-3’ 5’-FAM-TGGACCCGGTCAACTTCAAGCTCCT-TAMRA-3’ 5’-CAAGAAAGTGCTCGGTGCCT-3’ 5’-GCAAAGGTGCCCTTGAGGT -3’ 5’-FAM-TAGTGATGGCCTGGCTCACCTGGA-TAMRA-3’ 5’-TGGCAAGAAGGTGCTGACTTC-3’ 5’-TCACTCAGCTGGGCAAAGC-3’ 5’-FAM-TGGGAGATGCCATAAAGCACCTGC-TAMRA-3’ Tutte le reazioni di PCR quantitativa sono state eseguite in doppia serie ed alcune reazioni sono state condotte in assenza di cDNA, come controlli negativi. L’amplificazione è stata eseguita su Thermal Cycler ABI Prism 7700 utilizzando piastre di plastica ottica da 96 pozzetti MicroAmp Optical (Applera Italia, Applied Biosystems, Monza, Italy), effettuando due cicli iniziali necessari per l’attivazione della funzione esonucleasica 5’-3’ della polimerasi (50°C per 2 min e 95°C per 10 min), mentre i successivi 40 cicli sono stati costituiti da una fase di denaturazione a 95°C per 15 sec ed una fase a 60°C per 1 min, nella quale avviene sia l’appaiamento dei primers e della sonda sia l’estensione del filamento di DNA. 7. Analisi HPLC (High Performance Liquid Chromatography) per la quantificazione delle globine in colture di precursori eritroidi isolati dal sangue di donatori che presentano -talassemia. Per valutare la quantità effettiva di emoglobina fetale (HbF), presente in cellule staminali indotte a differenziare in senso eritroide dal trattamento con induttori, è stata eseguita una cromatografia liquida ad alta risoluzione (High Performance Liquid Chromatography). Prima di eseguire questo tipo di analisi le cellule sono state lavate due volte con PBS, agitate vigorosamente e incubate in ghiaccio per 30 min; vengono quindi 77 centrifugate per 5 min a 14.000 rpm e raccolto il surnatante; questa procedura serve a rompere la membrana cellulare a far fuoriuscire dalle cellule i lisati citoclasmatici contenenti l’eventuale frazione di Hb. La strumentazione impiegata per HPLC (Pharmacia LKB Gradient PUMP 2249; LKB VWM 2141) ha permesso un’analisi quantitativa dell’emoglobina, effettuata alla lunghezza d’onda () di 415 nm, caratteristica delle molecole di globina. Lo strumento è formato da una colonna a scambio ionico Synchropak CM300 (250x4.6 mm, Synchron Inc, Lafayette IN) in cui sono stati iniettati i lisati citoplasmatici, con una velocità di flusso di 0.8 ml/min, utilizzando una miscela di due buffer (A e B), ed eseguendo un’eluizione in gradiente. Il buffer A è costituito da Sodio acetato anidro (0.3 M), BisTris (30 mM) e KCN (1.5 mM) in acqua, mentre il buffer B da Bis-Tris (30 mM) e KCN (1.5 mM) in acqua. In queste condizioni sono state eseguite quattro iniezioni successive di emoglobina adulta (HbA) commerciale (Sigma-Aldrich, St. Louis, Missouri, USA), utilizzata come standard, al fine di ricavare una retta di taratura. La curva di taratura è poi stata usata per estrapolare e quantificare i campioni risalendo all’area di integrazione ricavata dallo strumento (Integratore: Spectra-Physics SP4600). E’ stato quindi possibile quantificare la percentuale di HbF di ciascun campione e confrontarla con la quantità del relativo campione cellulare sottoposto al trattamento con Rapamicina. 78 RISULTATI 1. Dati relativi ai pazienti analizzati. La talassemia è una malattia autosomica recessiva che nell’uomo può essere generata da circa 180 mutazioni differenti del gene codificante per la catena nel tetrametro della molecola di Hb (153). Una più piccola percentuale di pazienti è affetta da una forma moderata di anemia, dovuta ad una minore espressione del gene per le globine +-talassemia, che spesso non richiede trasfusioni, mentre la maggior parte dei soggetti presenta anemia grave (major), dovuta alla totale mancanza di catene o-talassemia, e che quindi necessita di terapia trasfusionale per la sopravvivenza. Spesso il fenotipo talassemico è determinato da mutazioni differenti a carico dei geni , raramente la malattia è dovuta alla stessa mutazione su entrambi i geni, mentre più spesso la patologia risulta dalla combinazione di genotipi differenti. Inoltre, la gravità dell’anemia può essere influenzata oltre che da mutazioni specifiche anche da altri fattori, che possono interferire sull’espressione dei geni per le altre globine, come le globine e . I soggetti considerati in questo studio sono stati selezionati da un gruppo di pazienti affetti da -talassemia, sono stati identificati e caratterizzati dal Prof. Eitan Fibach presso l’ospedale Ein-Kerem di Gerusalemme nello stato di Israele, del gruppo col quale il Prof. Roberto Gambari svolge un’intensa collaborazione e che ha fornito i campioni di sangue. I soggetti considerati in questo studio sono stati caratterizzati identificando il tipo di talassemia ed i loro genotipi, ovvero le mutazioni responsabili della patologia. La descrizione è riportata in tabella 3. Il paziente n°1 presenta su entrambi gli alleli per i geni la mutazione IVS1-110: è omozigote per la mutazione di una Guanina in una Adenina, che interessa una sequenza interna all’introne 1 in posizione 110, responsabile della creazione di un sito di splicing alternativo nella sequenza del pre-mRNA, che porta alla produzione anche di un messaggero aberrante e quindi ad una -talassemia. Il paziente n°2 presenta su entrambi gli alleli per i geni la mutazione IVS2-1: è 79 omozigote per la mutazione di una Guanina in una Adenina, che interessa una sequenza interna all’introne 2 in posizione 1, che altera il sito di splicing introducendo un segnale di terminazione della trascrizione che provoca una -talassemia. Il paziente n°3 presenta due mutazioni differenti a carico dei geni : una mutazione di una Adenina in una Citosina in posizione -28 a livello della regione TATAbox nel promotore, responsabile della diminuzione dell’espressione di questo gene, ed una mutazione responsabile di uno slittamento del quadro di lettura nella trascrizione del gene in seguito alla delezione di una Citosina a livello del codone 44 che porterebbe ad una -talassemia. Il paziente n°4 presenta anch’esso due mutazioni differenti a carico dei geni : una mutazione responsabile di uno slittamento del quadro di lettura nella trascrizione del gene in seguito alla delezione di una Timina a livello dei codoni 36-37, che determina la formazione di un segnale di terminazione a livello del codone 60 e la produzione di una proteina tronca; la seconda mutazione riguarda sempre la delezione di una Citosina a livello del codone 44. Il paziente n°5 presenta su entrambi gli alleli per i geni la mutazione IVS1-6: è omozigote per la mutazione di una Timina in una Citosina, che interessa una sequenza interna all’introne 1 in posizione 6, che crea un ulteriore sito di splicing, provocando una -talassemia. Questi pazienti subiscono tutti trasfusioni di sangue per migliorare il quadro clinico della patologia, mentre solo due di loro hanno subito la splenectomia. Tale intervento si rende necessario in alcuni casi per evitare ulteriore danno da emolisi splenica. Tabella 3. Caratteristiche dei soggetti da cui sono stati isolati i precursori eritroidi. paziente tipo di talassemia 1. 2. 3. 4. 5. +/+ 0/0 +/0 +/0 +/+ mutazione IVS1-110/ IVS1-110 IVS2-1/ IVS2-1 -28/FS44 FS36-7/FS44 IVS1-6/ IVS1-6 80 trasfusioni di sangue + + + + + splenectomia + + Ciascuno di questi cinque soggetti si è reso disponibile dando il suo consenso informato per il prelievo di una decina di ml sangue necessari per allestire una coltura cellulare in vitro di circa 20 ml e contenente circa 108 cellule. 2. Colture di precursori eritroidi da sangue di pazienti affetti da talassemia. La metodica usata per le colture di cellule staminali dal sangue prelevato da donatori affetti da β-talassemia è la medesima riportata per la coltura di precursori eritroidi in due fasi liquide (58, 59) ed è stata precedentemente schematizzata in Fig.10. Dopo una settimana di coltura in un terreno non contenente eritropoietina, per un periodo della durata di 5-7 giorni, si è proceduto con la seconda fase di coltura, nella quale il terreno è stato rinnovato ed addizionato con fattori stimolanti e selettivi per la proliferazione cellulare verso la linea eritroide. In questa fase dal 4° al 6° giorno le cellule iniziano a produrre emoglobina anche se a livelli bassi. Al termine di questa fase è stato eseguito un trattamento per 4 giorni (senza rinnovare il terreno) con la Rapamicina alla concentrazione finale di 100 nM, alla quale gli effetti citotossici della molecola sono risultati trascurabili sulla base dei dati riportati in letteratura relativi al trattamento di precursori eritroidi isolati da soggetti sani (138). Una parte delle cellule non sono state trattate per avere un controllo negativo con il quale confrontare i risultati ottenuti nelle colture trattate con Rapamicina. Dopo quattro giorni di trattamento è stato estratto l’RNA secondo la metodica del TRIzol descritta nel paragrafo 3 del capitolo “Materiali e metodi”. Come prima cosa è stato verificato se nel nostro modello sperimentale la Rapamicina presentasse l’attività di induttore di HbF. Questa capacità eritrodifferenziante è stata valutata analizzando nei campioni la percentuale di HbF, mediante HPLC, e la quantità di Hb/cellula. 81 3. Quantificazione del contenuto sia di HbF, che di Hb totale/cellula nelle colture di precursori eritroidi trattate con Rapamicina. Per verificare l’attività eritro-differenziante della Rapamicina è stato quantificato il contenuto totale di emoglobina e la percentuale sul totale di HbF nelle colture di cellule eritroidi trattate e non trattate utilizzando la tecnica dell’HPLC descritta nel paragrafo 7 del capitolo “Materiali e metodi”. E’ stata prima realizzata una retta di taratura a partire da concentrazioni note di emoglobina adulta commerciale dalla quale si è potuti risalire alla quantità di Hb presente nelle cellule eritroidi trattate con Rapamicina. E’ stata eseguita una cromatografia analitica iniettando nell’HPLC 20 µl di ognuna delle tre concentrazioni note di emoglobina adulta (1-2 e 4,5 mg/ml); tale scalare è stata allestita a partire da un liofilizzato di emoglobina adulta pura commerciale (Sigma-Aldrich, St. Louis, Missouri, USA) e integrando le aree dei picchi si è ricavata l’area di ogni picco corrispondente alla diverse concentrazioni di HbA. Riportando i valori così ottenuti in un grafico cartesiano, dove in ascissa sono indicate le concentrazioni di emoglobina ed in ordinata i valori di integrazione dell’area corrispondente, è stata costruita la retta di taratura come rappresentato in Fig.24. Nella stessa figura è riportato anche il cromatogramma relativo ad un’analisi HPLC di un’aliquota di sangue di un soggetto adulto sano, che ha permesso la caratterizzazione dei picchi delle diverse emoglobine, che escono dalla colonna cromatografia in tempi diversi, in base alla loro affinità per la fase fissa di cui è costituita la colonna e la fase mobile rappresentata dalla miscela di eluenti. L’emoglobina adulta presenta un tempo di ritenzione di 39,23 min (89,2%) ed il picco dell’emoglobina fetale molto inferiore (4,8%), poiché poco espressa in un individuo adulto, presenta un tempo di ritenzione di 19,2 min. Sono presenti, inoltre, altri due picchi, quello con tempo di ritenzione di 28,03 min corrisponde alla glicoemoglobina (HbA1C) (4,5%), mentre il picco a 43,67 min rappresenta l’HbA2 (1,5%). Similarmente, è stata condotta l’analisi HPLC sui lisati citoplasmatici ottenuti dalle colture di precursori trattati e non trattati, delle quali è stato anche valutato il numero di cellule/ml utilizzando un Coulter Counter Z1 (Coulter Electronics Limited, Luton, Beds, England). I risultati ottenuti sono riportati nella tabella 4. 82 HbA A 25x106 20x106 15x106 10x106 5x106 0 2 6 4 mg/ml B Fig. 24. Rappresentazione della retta di taratura in A e di un cromatogramma HPLC in B. In A, la retta è stata costruita riportando in ascissa le concentrazioni delle soluzioni standard di emoglobina e in ordinata i valori di integrazione delle aree dei picchi HPLC relativi. In B, sono rappresentati i picchi relativi ai diversi tipi di emoglobina. Da sinistra verso destra troviamo rispettivamente il picco relativo all’HbF, alla glicoemoglobina, all’emoglobina adulta e all’HbA2. 83 Tabella 4. Valutazione dei dati relativi all’incremento di Hb ed HbF in seguito al trattamento con Rapamicina 100 nM. HbF (%) Hb TOTALE (pg/cell) n° PAZIENTE CONTROLLO +RAPAMICINA CONTROLLO +RAPAMICINA 1. 20,9 26,0 5,9 7,4 2. 93,4 97,7 8,3 9,9 3. 15,4 28,9 5,0 3,1 4. 34,5 43,1 7,2 7,3 5. 44,6 59,0 4,7 10,8 I risultati dimostrano che in tutti i campioni analizzati l’addizione di Rapamicina alla concentrazione di 100 nM ha indotto nelle colture in vitro un incremento nella percentuale di HbF, che in tre soggetti su cinque (1, 2, 5) è associato anche ad un aumento di Hb totale/cellula; solo in due soggetti l’Hb totale/cellula non è stata incrementata in seguito al trattamento. Sulla base di questi dati è stato calcolato l’aumento di HbF/cellula e riportato in tabella 5, dalla quale emerge che in tutti i campioni è stato osservato un aumento di HbF (espresso in pg/cellula). Perciò questa molecola stimola l’accumulo di HbF in colture di precursori eritroidi isolati da sangue di soggetti talassemici. Tabella 5. Valutazione dei dati relativi all’incremento di HbF/cellula in seguito al trattamento con Rapamicina 100 nM. HbF(pg/cell) n° PAZIENTE 1. 2. 3. 4. 5. CONTROLLO +RAPAMICINA 1,23 7,75 0,77 2,48 2,10 84 1,92 9,67 0,89 3,15 6,37 4. Quantificazione dell’espressione dei geni globinici utilizzando la tecnica della Real-time quantitative PCR. Per studiare l’effetto del trattamento con Rapamicina sull’espressione dei geni globinici, nelle colture in oggetto si è prima estratto l’RNA totale secondo la metodica del TRIzol descritta nel paragrafo 3 del capitolo “Materiali e metodi”. E’ stato poi analizzato su gel di agarosio all’1% per valutare possibili degradazioni e quantificato allo spettrofotometro. Infine, l’mRNA di ogni campione è stato amplificato tramite una reazione di retro-trascrizione, che ha permesso così di ottenere il cDNA corrispondente ad ogni mRNA. Il cDNA derivante dalle cellule non trattate con Rapamicina è stato diluito in serie scalare in modo da ottenere una curva standard di riferimento indispensabile per quantificare i cDNA bersaglio dei geni globinici α, β e γ, dei quali si intendeva valutare l’entità di espressione. Per ciascun campione è stata eseguita una reazione di Real-time quantitative PCR in doppio, utilizzando le sequenze nucleotidiche e la sonda cromogenica specifiche e riportate nella tabella 2 (paragrafo 6 del capitolo “Materiali e metodi”). Sono stati amplificati sia i trascritti relativi agli mRNA per le globine umane α, β e γ, sia per il gene di riferimento interno GAPDH, che serve come controllo e deve essere espresso in egual misura sia nelle cellule trattate, che in quelle non trattate. Come esempio riporto nella Fig.25 le curve di amplificazione di questi geni targets amplificati mediante Real-time quantitative PCR e riferiti al campione n° 4. In Fig.25, Fig.26 e Fig.27 è possibile osservare in A gli spettrogrammi relativi all’amplificazione del gene per la GAPDH, che come si può osservare è egualmente espressa nei campioni trattati e non trattati; mentre in Fig.25B, si possono osservare le curve di amplificazione relative al gene per le -globine; in Fig.26B, si possono osservare le curve di amplificazione relative al gene per le -globine; in Fig.27B, si possono osservare le curve di amplificazione relative al gene per le -globine. In verde sono sempre riportate le curve del campione di controllo ed in rosso quelle dell’aliquota trattata con Rapamicina. 85 A B Fig. 25. PCR quantitativa sul campione 4. Nella figura A sono indicati gli spettrogrammi relativi all’amplificazione del gene di riferimenti GAPDH, mentre in B sono riportati quelli relativi al gene per le alfa globine. In rosso, i dati relativi alla coltura trattata con Rapamicina; in verde quelli sul controllo non trattato. 86 A B Fig. 26. PCR quantitativa sul campione 4. Nella figura A sono indicati gli spettrogrammi relativi all’amplificazione del gene di riferimenti GAPDH, mentre in B sono riportati quelli relativi al gene per le beta globine. In rosso, i dati relativi alla coltura trattata con Rapamicina; in verde quelli sul controllo non trattato. 87 A B Fig. 27. PCR quantitativa sul campione 4. Nella figura A sono indicati gli spettrogrammi relativi all’amplificazione del gene di riferimenti GAPDH, mentre in B sono riportati quelli relativi al gene per le gamma globine. In rosso, i dati relativi alla coltura trattata con Rapamicina; in verde quelli sul controllo non trattato. 88 Nell’analisi dell’espressione dei geni globinici in questa coltura è da sottolineare il fatto che i geni per le globine e sono egualmente espressi in seguito al trattamento con Rapamicina. Infatti, le curve presentano lo stesso andamento e valori di CT simili per lo stesso valore di Rn considerato (scegliendo questa linea di threshold). In Fig.27, si possono osservare le curve di amplificazione relative al gene per le -globine (B); nel campione trattato con Rapamicina 100 nM il gene bersaglio è maggiormente espresso (curva rossa) rispetto al controllo non trattato (curva verde), infatti la curva ad esso relativa compare prima nei cicli di reazione e presenta un valore di CT inferiore rispetto a quello calcolato per il controllo a parità di threshold e di valore di fluorescenza emessa dal sistema (Rn). Per calcolare l’induzione dell’espressine genica in ciascun campione trattato con Rapamicina, al CT relativo al campione proveniente da cellule eritroidi non trattate ed amplificate per il gene γ-globinico, viene sottratto il valore di CT dello stesso campione relativo ottenuto dall’amplificazione del gene per la GAPDH. Questa differenza è chiamata ΔCT. Dalla differenza tra il ΔCT dei campioni di cellule trattate ed il ΔCT dei campioni di cellule non indotte si ricava il ΔΔCT. Questo valore rappresenta l’esponente negativo di 2 nel risultato finale di un’elaborata equazione matematica. Il valore 2-ΔΔCT permette quindi di ottenere il numero di volte in cui viene più espresso un determinato mRNA bersaglio nel campione trattato, rispetto al campione di riferimento. Dall’analisi dell’espressione dei geni per le globine in questo campione emerge che solo l’mRNA per le -globine ha subìto un incremento d’espressione. I dati ottenuti dall’analisi condotta su tutte e cinque le colture derivate da soggetti talassemici sono riportate in tabella 6, dove è osservabile un apprezzabile accumulo di mRNA specifico per le -globine soprattutto nei campioni 3 e 4. In tutti i casi analizzati l’induzione ottenuta dal trattamento con Rapamicina è specifica per l’mRNA delle -globine. L’espressione delle globine sia che non viene incrementata in maniera significativa; per quanto riguarda il gene α-globinico la sua induzione non porterebbe ad alcun beneficio, anzi aumenterebbe il danno dovuto al formarsi di tetrametri di catene α che precipiterebbero, peggiorando l’anemia dei pazienti. Invece, per i pazienti affetti da β-talassemia di tipo 0 l’induzione del gene β, oltre che del gene porterebbe ad un aumento dell’espressione di catene β-globiniche difettose o addirittura potrebbe essere inefficacie, non dando beneficio al paziente; mentre nel caso di una +-talassemia 89 potrebbe essere vantaggiosa, perché si avrebbe un aumento anche delle catene β non difettose oltre alle . Pertanto è stato considerato anche il rapporto tra l’accumulo di trascritti del gene per le γ-globine rispetto a quello dei trascritti per le globine . I valori ottenuti sono riportati nella tabella 7. Il rapporto / è superiore all’unità in tutti i casi analizzati. Sulla base di questi valori l’induzione dei trascritti per le -globine risulta ancora più apprezzabile. Tabella 6. Valutazione dell’induzione mediata dalla Rapamicina dei geni globinici α, β, γ con la tecnica dell’ RT-PCR quantitativa. n° INDUZIONE INDUZIONE INDUZIONE PAZIENTE mRNA γ mRNA mRNA 1. 2. 3. 4. 5. 1,37 1,32 2,53 4,72 1,01 0,92 1 0,83 1,02 0,47 1,18 1,04 1,49 0,95 0,77 Tabella 7. Valutazione dell’induzione del gene per le γ-globine rispetto a quella dei geni per le globine β. n° PAZIENTE mRNA γ/β 1. 2. 3. 4. 5. 1,49 1,32 3,05 4,63 2,15 90 5. Considerazioni globali sull’aumento di HbF e di mRNA specifico per le γ-globine. Esaminiamo ora l’effetto eritro-differenziante del trattamento con Rapamicina su ciascuna delle cinque diverse colture ottenute dai precursori eritroidi di soggetti affetti da β-talassemia. A questo scopo consideriamo i dati ottenuti per ciascun soggetto in un unico istogramma. In Fig.28 sono riportati la percentuale di HbF, la quantità di HbF/cellula, l’accumulo di mRNA per le γ-globine rispetto al controllo, ed il rapporto γ/ del soggetto 1. In Fig.29 sono riportati i rispettivi valori ottenuti per il soggetto 2. In Fig.30 sono riportati i dati relativi al soggetto 3. Nelle Fig.31 e Fig.32 i risultati derivati dalle analisi dei campioni 4 e 5. I risultati dimostrano nel complesso un aumento sia di HbF nelle cellule trattate con Rapamicina 100 nM rispetto alle colture di controllo non trattate, sia un accumulo di mRNA per le γ-globine, soprattutto se considerato rispetto all’espressione dei geni . Solo nel campione 2, relativo ad un soggetto che presenta talassemia del tipo 0/0, la Rapamicina non ha prodotto un aumento significativo nei parametri analizzati. In questo caso i livelli di induzione di HbF erano già molto elevati nella stessa coltura di controllo non trattata (vedi tabella 4), come se i geni per le globine fetali fossero già up-regolati nel tentativo di supplire alla carenza totale di catene . 91 Rapamicina/controllo induzione 2 1,5 1 0,5 mRNA / mRNA-globine HbF (pg/cell) % HbF 0 Fig. 28. Analisi degli effetti della Rapamicina sul soggetto talassemico n°1. Nella figura sono riportati i valori relativi all’induzione sia di HbF (istogrammi rosso e verde), che all’accumulo di mRNA specifico per le -globine (istogrammi giallo e blu). Rapamicina/controllo induzione 1,5 1 0,5 mRNA / mRNA-globine HbF (pg/cell) % HbF 0 Fig. 29. Analisi degli effetti della Rapamicina sul soggetto talassemico n°2. Nella figura sono riportati i valori relativi all’induzione sia di HbF (istogrammi rosso e verde), che all’accumulo di mRNA specifico per le -globine (istogrammi giallo e blu). 92 Rapamicina/controllo induzione 3,5 3 2,5 2 1,5 1 0,5 mRNA / mRNA-globine HbF (pg/cell) % HbF 0 Fig. 30. Analisi degli effetti della Rapamicina sul soggetto talassemico n°3. Nella figura sono riportati i valori relativi all’induzione sia di HbF (istogrammi rosso e verde), che all’accumulo di mRNA specifico per le -globine (istogrammi giallo e blu). Rapamicina/controllo induzione 5 4,5 4 3,5 3 2,5 2 1,5 1 mRNA / mRNA-globine HbF (pg/cell) % HbF 0,5 0 Fig. 31. Analisi degli effetti della Rapamicina sul soggetto talassemico n°4. Nella figura sono riportati i valori relativi all’induzione sia di HbF (istogrammi rosso e verde), che all’accumulo di mRNA specifico per le -globine (istogrammi giallo e blu). 93 Rapamicina/controllo induzione 3,5 3 2,5 2 1,5 1 0,5 mRNA / mRNA-globine HbF (pg/cell) % HbF 0 Fig. 32. Analisi degli effetti della Rapamicina sul soggetto talassemico n°5. Nella figura sono riportati i valori relativi all’induzione sia di HbF (istogrammi rosso e verde), che all’accumulo di mRNA specifico per le -globine (istogrammi giallo e blu). 94 DISCUSSIONE Negli ultimi anni lo sviluppo di nuove tecnologie e strumentazioni sempre più sofisticate hanno permesso lo studio di strategie innovative mirate alla progettazione di nuove terapie, basate sulla modulazione dell’espressione di geni bersaglio, ed hanno anche consentito di comprendere meglio i meccanismi molecolari alla base della regolazione della trascrizione genica. Secondo questa linea di ricerca, numerosi laboratori si sono interessati alla cura di determinate patologie attraverso lo studio e la progettazione di molecole capaci di modulare l’espressione dei geni responsabili dell’insorgenza della malattia. La modulazione dell’espressione genica con molecole biologicamente attive potrebbe trovare applicazioni nella riattivazione dei geni per le γ-globine, nello sviluppo di potenziali agenti terapeutici per la cura di patologie del sistema ematopoietico, come la β-talassemia. Trattamenti con composti in grado di riattivare l’espressione dei geni γ-globinici endogeni assumono notevole interesse dal momento che è stato riscontrato un notevole miglioramento del quadro clinico in pazienti affetti da patologie emopoietiche e presentanti un fenotipo HPFH, nei quali è stato osservato che un aumento di emoglobina fetale anche inferiore al 30% era sufficiente per apportare un beneficio clinico (12). Tra i composti in grado di riattivare l’espressione dei geni γ-globinici endogeni un discreto interesse è stato suscitato in questi ultimi anni dalla Rapamicina, una molecola molto complessa sia dal punto di vista chimico-strutturale, che per quanto riguarda il potenziale meccanismo d’azione. La Rapamicina è un farmaco immunosoppressore già in uso per contrastare il rigetto nei trapianti, in particolare nel trapianto di rene (65) e sembra avere effetto inibitorio anche sulla crescita tumorale; infatti, la sperimentazione per il suo potenziale uso anticancro è già stato indagato in trails clinici di fase I-III (154). Inoltre, è stato recentemente scoperto che la Rapamicina ha anche effetti antivirali, essendo in grado di inibire anche la replicazione del virus HIV-1 (135). Il meccanismo d’azione della Rapamicina è molto complesso e riguarda numerose proteine cellulari coinvolte in diversi aspetti della biochimica della cellula, che possono 95 essere riassunte principalmente nel blocco della sintesi proteica e nell’arresto del ciclo cellulare nella fase G1. Il target cellulare della Rapamicina è la proteina mTOR, una chinasi regolata a monte da molteplici fattori, tra cui i fattori di crescita e che a sua volta è coinvolta in diversi meccanismi cellulari (79, 105, 11). La Rapamicina forma un complesso proteico con la proteina FKBP12 che interagisce con mTOR inibendone l’attività chinasica e mantenendo così i suoi targets nello stato defosforilato. Tra questi ricordiamo le proteine 4E-BP1 e p70S6K (107, 108). Un meccanismo proposto per spiegare l’effetto antiproliferativo della Rapamicina è che questa molecola up-regoli l’espressione di p27KIP1 (133); tuttavia questo non sembra essere l’unico meccanismo coinvolto, infatti sembra che questa up-regolazione di p27KIP1 sia associata anche con l’apoptosi indotta da fattori di crescita, come GM-CSF, o dalla inibizione di PI3K (134). L’arresto del ciclo cellulare in G1 è dipendente dalla scissione di p27KIP1 dal complesso e dal suo assemblaggio alla ciclina E/Cdk2 (131). E’ interessente notare che elevati livelli di espressione di p27KIP1 sono stati anche correlati con l’induzione dell’arresto del ciclo cellulare durante il differenziamento eritroide indotto con EPO e studiato in una linea cellulare eritroblastica murina, che sembra coinvolgere il suo assemblaggio alla ciclina E/Cdk2 (155). Le chinasi ciclinadipendenti possono avere come bersagli anche repressori tumorali (ad esempio pRb, un oncosopressore del retinoblastoma), che lega proteine appartenenti alla famiglia di fattori trascrizionali simili a E2F, sopprimendo l’espressione dei geni da questi regolati, ed essenziali per la replicazione del DNA. L’arresto in fase G1 induce cambiamenti nei livelli di espressione di fattori nucleari come NF-E2 e GATA-1 (155), proteine coinvolte anche nella regolazione dell’espressione dei geni globinici (13, 15, 156). Queste vie di regolazione non sono tuttavia ancora state completamente definite. Sul meccanismo d’azione relativo all’attività eritro-differenziante della Rapamicina si possono tuttavia fare solamente delle ipotesi, dal momento che il processo non è del tutto noto. L’effetto eritro-differenziante della Rapamicina è stato dimostrato in cellule K562 e in precursori eritroidi isolati da donatori normali (138). I risultati ottenuti dallo studio svolto nell’ambito di questa tesi hanno permesso di valutare lo stesso effetto in colture di precursori eritroidi allestite a partire da sangue prelevato da cinque pazienti talassemici. Questo modello di coltura cellulare liquida in due fasi (58, 59) rappresenta 96 un sistema fisiologicamente più adatto per lo studio degli effetti della Rapamicina prima di un suo impiego farmacologico nell’uomo. Dopo il trattamento con questa molecola è stato estratto l’mRNA totale e retrotrascritto in cDNA. Per la quantificazione dell’mRNA dei geni globinici è stata utilizzata la tecnica dell’RT-PCR quantitativa, essendo la tecnologia maggiormente all’avanguardia per effettuare questo tipo di analisi, mentre la quantità di Hb totale e di HbF è stata valutata con l’HPLC. I risultati dimostrano che in tutti i campioni analizzati l’addizione di Rapamicina alla concentrazione di 100 nM ha indotto nelle colture in vitro un incremento nella percentuale di HbF, che in tre soggetti su cinque (1, 2, 5) è associato anche ad un aumento di Hb totale/cellula; solo in due soggetti l’Hb totale/cellula non è stata incrementata in seguito al trattamento. Sulla base di questi dati è stato calcolato l’aumento di HbF/cellula e riportato in tabella 5, dalla quale emerge che in tutti i campioni è stato osservato un aumento di HbF (espresso in pg/cellula). Perciò questa molecola stimola l’accumulo di HbF in colture di precursori eritroidi isolati da sangue di soggetti talassemici. Dall’analisi condotta su tutte e cinque le colture derivate da soggetti talassemici risulta un apprezzabile accumulo di mRNA per le -globine, mentre l’espressine delle globine sia che non viene incrementata in maniera significativa. In tutti i casi analizzati l’induzione ottenuta dal trattamento con Rapamicina è pertanto specifica. Solo nel campione 2, relativo ad un soggetto che presenta talassemia del tipo 0/0, la Rapamicina non ha prodotto un aumento significativo nei parametri indagati per quanto riguarda l’induzione del differenziamento eritroide. In questo caso la produzione di HbF era già molto elevata nella coltura di controllo non trattata, come se i geni per le globine fetali fossero già up-regolati nel tentativo di supplire alla carenza totale di catene . I dati ottenuti sulle altre colture di controllo, derivate da soggetti che presentavano forme di talassemia +/+, o 0/+, suggeriscono che la Rapamicina potrebbe essere utile nell’attivazione dei geni globinici embrio-fetali soprattutto in queste forme di talassemia. Tuttavia, l’entità dell’effetto non risulta uguale in tutti i campioni e ciò fa supporre che ogni individuo abbia una risposta diversa al farmaco. Sulla base di questa considerazione, questo tipo di colture cellulari potrebbe essere utile anche per pretestare l’efficacia di una molecola sulle cellule isolate dal paziente destinatario della 97 terapia. Infatti, con uno screening di questo genere, sarebbe possibile fare supposizioni sui suoi effetti in un determinato paziente, evitando così la somministrazione di farmaci non efficaci. Questo approccio potrebbe quindi trovare applicazioni nell’ambito della farmaco-genomica, al fine di effettuare terapie individuali sempre più mirate. L’utilizzo della Rapamicina come agente eritro-differenziante presenta molti vantaggi rispetto ad altre molecole, poiché è già in uso in terapia come immunosoppressore nei trapianti d’organo. La sua farmacologia e la farmacocinetica sono già note e ciò potrebbe accorciare i tempi della ricerca, dato che sono già stati effettuati numerosi studi in questo campo. Inoltre, l’esistenza di pazienti in terapia con Rapamicina, anche se per patologie di natura diversa rispetto alla β-talassemia, offre numerosi vantaggi, rappresentando ad esempio un ulteriore modello di studio: il sangue di questi soggetti potrebbe essere direttamente analizzato per quanto riguarda gli effetti della molecola sull’incremento di HbF prima e dopo la terapia. Tenendo conto tuttavia che i dosaggi impiegati sono di gran lunga superiori a quelli che dovrebbero essere somministrati in pazienti affetti da talassemia. Questi studi sugli effetti della Rapamicina come potenziale agente terapeutico aprono nuove prospettive nell’ambito della cura di soggetti che, per motivi dipendenti dalle condizioni di salute oppure dal credo religioso, non possono essere emo-trasfusi. 98 BIBLIOGRAFIA 1. A. Cuneo. Malattie del sangue e degli organi ematopoietici. Castaldi G, Liso V, terza edizione. 2. Mark A. Goldberg, H. Frenklin Bunn, Principi di medicina interna, tredicesima edizione. 3. Gurdon JB, Byrne JA, Simonsson S. Nuclear reprogramming and stem cell creation. Proceedings of the National Academy of Sciences, 100, 11819-11822, 2003. 4. Casella C, Taglietti V. Fisiologia. La Goliardica pavese S.r.l., Pavia, 1996. 5. Loo LS, Cauchi MN. DNA methylation patterns of the gamma delta beta-globin genes in human fetal and adult erythroid tissues. Am J Hematol, 39(4), 289-93, 1992. 6. Enver T, Zhang JW, Papayannopoulou T, Stamatoyannopoulos G. DNA methylation: a secondary event in globin gene switching? 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