2 G e n e t i c a e v o l u z i o n e e d Johann Gregor Mendel • Darwin non disponeva di una teoria dell’ereditarietà. All’inizio del XX secolo, quando vennero riscoperte, le idee di Mendel furono percepite come incompatibili con la teoria della selezione naturale. J. G. Mendel (Hynčice, 22 luglio 1822 – Brno, 6 gennaio 1884) La scoperta di Mendel • Per compiere i suoi esperimenti, durati sette anni, Mendel coltivò e analizzò circa 28.000 piante di piselli; successivamente impiegò un biennio per elaborarne i dati, che portarono a tre generalizzazioni, divenute in seguito famose come Leggi di Mendel. • Il concetto base concepito dal monaco era molto innovativo: egli infatti dedusse che l’ereditarietà era un fenomeno dovuto ad agenti specifici contenuti nei genitori. La nascita della genetica • Nel 1866 pubblicò il proprio lavoro, facendone stampare quaranta copie, che inviò prontamente agli scienziati più famosi d’Europa, senza però riceverne alcuna attenzione. • Solo nel 1900, l’olandese Hugo de Vries, il tedesco Carl Correns e l’austriaco Erich von Tschermak, dopo essere giunti alle stesse conclusioni di Mendel, si accorsero della sua opera e ne riconobbero il merito. • La scienza dell’ereditarietà ricevette il nome di genetica nel 1906 ad opera di William Bateson; il termine "gene" fu introdotto ancora più tardi, nel 1909, da Wilhem Johansen. Il neodarwinismo • Intorno agli anni Trenta del ventesimo secolo, Fisher, Haldane e Wright dimostrarono che l’eredità mendeliana e la selezione naturale sono compatibili: la sintesi delle due idee è nota come neodarwinismo o teoria sintetica dell’evoluzione (normalmente abbreviata in Sintesi Moderna). • Da quel momento, la Sintesi Moderna si diffuse permeando tutte le aree della biologia e riscuotendo un ampio riconoscimento. Essa unifica la genetica, la sistematica, la paleontologia e le classiche discipline della morfologia e dell’embriologia comparate. Ernst Mayr ornitologo e sistematico (Kempten, 5 luglio 1904 – Bedford, 3 febbraio 2005) Theodosius Dobzhansky genetista (Nemyriv, 24 gennaio 1900 – San Jacinto, 8 dicembre 1975) George Gaylord Simpson paleontologo (Chicago, 16 giugno 1902 – Chicago, 6 ottobre 1984) Stephen Jay Gould (New York, 10 settembre 1941 – New York, 20 maggio 2002) Clinton Richard Dawkins (Nairobi, 26 marzo 1941 – ) DNA • Il DNA (acido desossiribonucleico) è una molecola filamentosa costituita da “mattoncini” chiamati nucleotidi. • La molecola completa è formata da due filamenti complementari, avvolti in una doppia elica. • La doppia elica del DNA è larga tra 2,2 e 2,6 nanometri ed ogni nucleotide è lungo 0,33 nanometri. DNA • Ogni nucleotide è costituito da un gruppo fosfato e uno zucchero (desossiribosio o deossiribosio) al quale è legata una base azotata. • Le basi azotate sono sempre e solo 4: Adenina, Citosina, Guanina ,Timina. • Nella doppia elica, le basi azotate si legano sempre due a due: adenina + timina (A + T) citosina + guanina (C + G) DNA • Se la sequenza di un filamento è …AGGCTCCTA…, quella del filamento complementare sarà necessariamente …TCCGAGGAT… • Poiché zucchero e fosfato sono porzioni costanti della molecola, è comodo rappresentare un filamento di DNA come se fosse semplicemente una sequenza di basi azotate e cioè così …AGGCTCCTA… • La lunghezza della doppia elica di DNA può essere sorprendentemente elevata, dal momento che ogni filamento può contenere diversi milioni di nucleotidi. DNA e cellule • Il DNA si trova all’interno delle cellule di ogni organismo vivente. • Esistono due diversi tipi di cellule: procariota ed eucariota. • Nella cellula procariota il DNA non è circoscritto in una particolare regione. Organismi procarioti • Le cellule procariote sono esclusive dei Batteri e degli Archeobatteri (o Archea), che sono organismi unicellulari. Pyrodictium sp. Vibrio cholerae DNA e cellule • Il DNA si trova all’interno delle cellule di ogni organismo vivente. • Esistono due diversi tipi di cellule: procariota ed eucariota. • Nella cellula procariota il DNA non è circoscritto in una particolare regione. • Nella cellule eucariota, invece, il DNA è localizzato in strutture particolari chiamate cromosomi, che si trovano all’interno del nucleo, una particolare regione delimitata da una membrana. Organismi eucarioti • Le cellule eucariote sono caratteristiche di protozoi, piante, funghi e animali, sia unicellulari che pluricellulari. Gene e genoma • Il gene è un “pezzo” di DNA, localizzato in una precisa posizione della doppia elica, che contiene tutte le informazioni necessarie per la produzione di una proteina (es. la cheratina). • Nelle cellule eucariote i geni si trovano nei cromosomi e sono quasi sempre separati da porzioni “non codificanti” di DNA, che invece non esistono nelle cellule procariote. Gene e genoma • La totalità del DNA di un organismo (non importa se unicellulare o pluricellulare), comprendente sia i geni che le parti non codificanti, si chiama genoma. Il genoma umano • Il genoma umano è suddiviso in 46 cromosomi (23 paia) ed è costituito da circa 3,2 miliardi di paia di basi (bp). • I geni sono circa 23/25.000 e la loro lunghezza media è di circa 5.000 bp. • Ne consegue, che meno del 4% del DNA umano forma parti codificanti (= geni), mentre il restante 96% è “non codificante”. • Il moscerino della frutta (Drosophila melanogaster) ha solo 8 cromosomi (4 paia). Il genoma contiene 132 milioni di bp e approssimativamente 13.767 geni. Dimensione del genoma di diversi gruppi di organismi viventi (misurato in paia di basi = bp) DNA ed ereditarietà • Il DNA è la molecola che fornisce il meccanismo fisico dell’ereditarietà dei caratteri in tutti gli organismi viventi. • Contiene l’informazione (geni) usata per costruire un nuovo organismo e per differenziare le sue diverse parti, attraverso la produzione delle proteine mediante un processo a due stadi: trascrizione e traduzione. • Ogni individuo eucariote pluricellulare possiede cellule somatiche (= del corpo) con un doppio corredo di cromosomi (uno eredito dal padre ed uno dalla madre) e pertanto due corredi di tutti i geni (diploidi o 2n). Esempio di corredo cromosomico diploide: quello di Homo sapiens Una metafora “riassuntiva” organismo eucariote pluricel. = edificio a più stanze stanza = cellula libreria = nucleo cellulare genoma = progetto dell’intero edificio cromosoma = volume gene = pagina basi azotate (A, T, C, G) = lettere dell’alfabeto ATTENZIONE: non esiste alcun “progettista”!!! Le “istruzioni” contenute nel DNA si sono formate per “discendenza con modificazione” cioè attraverso l’evoluzione. Mitosi e meiosi • Le cellule somatiche si moltiplicano per mitosi. • Le cellule riproduttive (gameti) si formano invece attraverso un processo diverso chiamato meiosi ed hanno un solo corredo genetico (aploidi o n). Omozigosi ed eterozigosi • Nella riproduzione sessuata (che non implica la copula!) due gameti (es.: uovo e spermatozoo) si fondono insieme e danno origine ad una nuova cellula con doppio corredo genetico. • Il doppio corredo genetico (es. 23 coppie di cromosomi) implica che ogni gene (o gruppo di geni), che determina un carattere (es. il colore dei fiori in una pianta o il colore degli occhi nella nostra specie), è presente con due varianti (alleli), che possono essere uguali (omozigosi) oppure diverse (eterozigosi). Dominante e recessivo • Se uno dei due alleli è dominante, esso domina sull’altro che si dice recessivo. L’allele dominante si esprime sempre (allo stato omozigote e allo stato eterozigote), quello recessivo solo allo stato omozigote. Il colore dei fiori nei piselli odorosi di Mendel: l’allele “bianco” è recessivo. La ricombinazione genetica • Per ricombinazione genetica si intende ogni processo attraverso il quale, a partire da un corredo genetico, si ottengono nuove combinazioni di alleli rispetto a quelle iniziali. • La ricombinazione più diffusa è quella riproduttiva, che avviene nel corso della meiosi e che dà luogo quindi a gameti con genotipi ricombinati; il compiersi di questi processi è il motivo per cui la progenie differisce sempre dai genitori. • La ricombinazione, assieme alle mutazioni genetiche, è alla base della variabilità genetica degli organismi. Le mutazioni genetiche • Per mutazione genetica si intende ogni modifica stabile nella sequenza nucleotidica del materiale genetico dovuta al caso (mutazione spontanea) o ad agenti esterni (mutazione indotta). • Le mutazioni spontanee sono quelle provocate da cambiamenti chimici spontanei e da errori nei processi di replicazione, ricombinazione e riparazione del DNA. • Le mutazioni indotte sono invece prodotte dall’azione di particolari agenti fisici (raggi X, raggi gamma e raggi UV), chimici (es., benzene) e biologici (batteri e virus), detti appunto agenti mutageni. Genotipo e fenotipo • Genotipo: l’insieme di geni che compongono il DNA (corredo genetico) di un organismo (o di una popolazione); ogni gene, singolarmente e/o in modo cooperativo, contribuisce in maniera diversa allo sviluppo, alla fisiologia e al mantenimento funzionale dell’organismo. • Fenotipo: l’insieme di tutte le caratteristiche osservabili di un organismo vivente, quindi la sua morfologia, il suo sviluppo, le sue proprietà biochimiche e fisiologiche, comprensive del comportamento. Le variazioni fenotipiche e l’evoluzione • Le variazioni genetiche ereditarie (variabilità genetica), determinate dalla ricombinazione genetica e dalle mutazioni che interessano i gameti, causano variazioni fenotipiche. • Senza variazione fenotipica non ci sarebbe nessuna evoluzione per selezione naturale. • Perché ogni variazione, per piccola che sia, è del tutto casuale e può esprimersi in caratteri svantaggiosi (addirittura incompatibili con la nascita), vantaggiosi o neutri, in riferimento alla sopravvivenza ed alla riproduzione dell’individuo. Le variazioni fenotipiche e l’evoluzione • La selezione naturale, attraverso i fattori ambientali (clima, competizione per il cibo e la riproduzione, ecc.) agisce sulle variazioni, favorendo quelle vantaggiose, sfavorendo quelle svantaggiose ed “ignorando” quelle neutre. • Cioè la selezione naturale incide indirettamente sul genotipo di una popolazione (gruppo di individui interfecondi che coesistono in uno stesso spazio e tempo, condividendo un insieme di geni in comune), avendo come bersaglio il fenotipo, dato che è il fenotipo a determinare l’adattamento di un individuo all’ambiente. Le variazioni fenotipiche e l’evoluzione • L’interazione tra genotipo e fenotipo può essere espressa dalla seguente relazione: genotipo (G) + ambiente (A) → fenotipo (P). • Una versione più sfumata della relazione è la seguente: genotipo (G) + ambiente (A) + interazioni tra genotipo e ambiente (GA) → fenotipo (P). Diversi individui della specie Donax variabilis (mollusco bivalve) mostrano colorazione diversa e quindi diversi fenotipi. Le variazioni fenotipiche e Biston betularia l’evoluzione (Lepidoptera Geometridae) • Biston betularia, falena legata alla betulla e diffusa in tutta Europa. • A partire dal 1848, in Inghilterra cominciò a diffondersi una variante fenotipica più scura. • Causa: la differente predazione delle due forme, in relazione all’annerimento dei tronchi delle betulle per via dell’inquinamento industriale. • Es. di “melanismo industriale”. forma tipica forma carbonaria Darwin aveva ragione! • Nel corso del tempo (da decine di migliaia a milioni di anni) la somma delle variazioni porta i discendenti a differenziarsi dagli antenati. • Esattamente ciò che Darwin aveva teorizzato, senza conoscere l’esistenza dei geni e delle loro caratteristiche. Schema di differenziazione dei Trilobiti. La Teoria di Darwin: schema VARIAZIONI (di origine ignota e trasmesse per via ereditaria) + SELEZIONE NATURALE (attraverso la “lotta per la vita”) FORMAZIONE DI NUOVE SPECIE (ben adattate al proprio ambiente) La Sintesi Moderna: schema VARIAZIONI FENOTIPICHE (per ricombinazione genetica e mutazioni) + SELEZIONE NATURALE BIODIVERSITA’ e ADATTAMENTO Adattamento Il meccanismo della selezione naturale spiega non solo la formazione di nuove specie a partire da specie preesistenti, ma soprattutto perché le caratteristiche morfologiche, fisiologiche e comportamentali (= fenotipo) degli esseri viventi sono appropriate all’ambiente naturale in cui vivono, cioè l’adattamento. Picchio verde, esempio di molteplici adattamenti L’adattamento è un “problema”? Darwin nel cap. VI “Difficoltà della teoria”, a pag. 186 dell’Origine delle specie, per introdurre la sua discussione su “Organi di estrema perfezione e completezza”, scrive: “Supporre che l’occhio con tutti i suoi inimitabili congegni per l’aggiustamento del fuoco a differenti distanze, per il passaggio di diverse quantità di luce, e per la correzione dell’aberrazione sferica e cromatica, possa essersi formato per selezione naturale, sembra, lo ammetto francamente, del tutto assurdo”. L’adattamento è un “problema”? NO! Infatti, Darwin stesso così prosegue “Tuttavia la ragione mi dice che, se è possibile dimostrare che esistono numerose gradazioni da un occhio perfetto e complesso ad un altro molto imperfetto e semplice (ogni gradazione essendo utile al suo possessore); che, inoltre, l’occhio varia molto leggermente e che le variazioni sono ereditarie (e questo è certamente vero); e che una qualsiasi variazione o modificazione dell’organo può essere utile ad un animale le cui condizioni di vita stanno mutando; allora la difficoltà di credere che, grazie alla selezione naturale, si possa formare un occhio perfetto e complesso, anche se insormontabile alla nostra immaginazione, cessa di essere consistente”. Il modello evolutivo di Nilsson e Pelger (1994) Si parte da uno strato piatto di fotocellule (grigio) disteso su uno schermo piatto (nero) e ricoperto da uno strato piatto di tessuto trasparente (bianco). Si arriva ad un occhio di pesce, con lente a indice di rifrazione variabile (varie tonalità di grigio). 1 generazione = cambiamento 0,005% I quaranta tortuosi sentieri verso l’Illuminazione Alla conquista del Monte Improbabile, 1996. Richard Dawkins Oggi sappiamo che Darwin aveva ragione. Si è calcolato che “l’occhio”, inteso come organo complesso in grado di formare immagini, si sia evoluto in maniera indipendente tra le 40 e le 60 volte (forse100). Alcuni componenti, però, come i pigmenti visivi, si sono evoluti una volta sola, prima che gli animali si differenziassero, e perciò sono comuni a tutte le specie dotate di “occhi”. Si conoscono “solo” 9 tipi indipendenti di meccanismo ottico, ciascuno dei quali si è evoluto più di una volta. Alcuni tipi di occhi: gli occhi “semplici” Occhio puntiforme di Nautilus sp. (Cephalopoda) Alcuni tipi di occhi: gli occhi “semplici” Occhio sferico dotato di lente (cristallino) di polpo (Octopus sp.) 1. fibre nervose 2. retina 3. nervo ottico Alcuni tipi di occhi: gli occhi “semplici” Occhio sferico dotato di lente (cristallino) di Gufo reale (Bubo bubo) 1. retina 2. fibre nervose 3. nervo ottico 4. punto cieco Alcuni tipi di occhi: gli occhi “semplici” Occhio dotato di specchio curvo e lente di Pecten sp. Alcuni tipi di occhi: gli occhi “semplici” Occhio fotografico di ragno lupo (Salticidae) Alcuni tipi di occhi: gli occhi “composti” Occhi composti di mosca (Musca domestica) Occhio di insetto fotografato al SEM Alcuni tipi di occhi: gli occhi “composti” Occhio composto di trilobite fossile (Phacops sp.), costituito da lenti di calcite.