COSMOGONIE MUSICALI : RAPPRESENTAZIONI DELL’UNIVERSO NELLA MUSICA INDIANA PAOLO PACCIOLLA Devo premettere alcune precisazioni. Innanzitutto devo specificare di essere un musicista e che le riflessioni che seguono fanno riferimento ad aspetti della musica pratica e a conoscenze di tradizione orale, e non sono pertanto basate esclusivamente su fonti testuali. Quello che si prefiggono queste considerazioni è mettere in evidenza alcuni aspetti simbolici della musica indiana (mārga), poco affrontati dai ricercatori sia in India che in occidente. La situazione degli studi musicali è differente da quella delle altre arti. Infatti, mentre a seguito delle ricerche di studiosi quali A.K. Coomaraswamy, S. Kramrish, H. Zimmer ed altri, le arti figurative e l’ architettura sacra hanno mostrato di essere opere polisemantiche, ed è ormai indiscusso e acquisito il loro carico simbolico, i tentativi di interpretare la musica come un sistema simbolico a più livelli di lettura, sono ancora rari e non sistematici. Al di là dei contributi di A. Danielou, L. Rowell e K. Vatsyayan , poco o nulla è stato fatto in tal senso. Nello specifico l’obiettivo di queste riflessioni è dare un piccolo contributo nell' interpretazione dell’aspetto visivo, ovvero le immagini, presenti nella musica indiana della tradizione mārga, ed in particolare dell’India del Nord, secondo modelli metafisici e cosmologici espressi oralmente dai musicisti legati alla tradizione, formulati teoricamente nei trattati e trasposti in pietra nei complessi templari. Comincio pertanto con le Studi Linguistici e Filologici Online 5.2 Atti del XII Convegno A.I.S.S. Parma, settembre 2004 parole di Pandit Ravi Shankar, uno dei più eminenti rappresentati della tradizione mārga : “La nostra tradizione ci insegna che il suono è Dio- Nāda Brahma. Vale a dire che il suono musicale e l’esperienza musicale sono passi nella realizzazione del sé. Noi consideriamo la musica come un tipo di disciplina spirituale che innalza l’esistenza interiore di ognuno alla serenità ed alla beatitudine divine. Ci hanno insegnato che uno degli obbiettivi principali per cui lavora un Indù nella sua vita è la conoscenza del vero significato dell’universo- la sua essenza immutabile- e questo è realizzato innanzitutto attraverso una completa conoscenza di se stessi e della propria natura. Il più alto obbiettivo della nostra musica è rivelare l’essenza dell’universo che essa riflette, ed i rāga sono fra i mezzi attraverso cui questa essenza può essere appresa . Così, attraverso la musica, si può raggiungere Dio” .1 La tradizione musicale indù distingue nei trattati, in modo costante e rigoroso, due categorie di musica (sagīta), ovvero mārga sagita e deśi sagita. Mārga, dalla radice marg, cacciare, seguire le tracce, significa ‘via’; deśi deriva da diś, indicare, significa ‘locale’. Quindi, mārga sagīta è la musica che costituisce la ‘via’, deśi sagīta è la musica a carattere ‘locale’. Questa distinzione porta immediatamente alla mente l'opposizione arte colta, aristocratica, arte primitiva, popolare, ma ha in realtà altre motivazioni di fondo che sono legate alla funzione della musica a cui fanno riferimento le parole, più che a fattori puramente estetici come l'eleganza formale o espressiva. Il binomio può essere ridotto, in modo più appropriato, alla dicotomia arte sacra-arte profana. Mārga è infatti il termine tradizionalmente usato per indicare la ‘via’ spirituale, ed è per questo che si parla di yoga mārga, jñana mārga, bhakti mārga, ecc.. Mārga è la ‘via’, e la 1 RAVI SHANKAR, My Music, My Life, Jonathan Cape Ltd., London, 1969, p.17. 64 Studi Linguistici e Filologici Online 5.2 Atti del XII Convegno A.I.S.S. Parma, settembre 2004 parola che completa il binomio indica esclusivamente la qualità specifica del metodo, l’elemento caratterizzante, ovvero il suo presupposto essenziale da cui derivano un tipo di tecnica, ed una serie di pratiche congiunte. Per questo mārga sagīta è considerata vimuktida, come afferma molto chiaramente il Samgīta Darpana di Damodara, trattato del XVI secolo d.C: “Vi sono due tipi di composizioni musicali, quelle che costituiscono la via (mārga) e quelle che hanno carattere locale (deśī) . Vengono chiamate mārga quelle che furono eseguite da Śiva e praticate da Bharata; esse procurano la liberazione (vimukti-da); quelle che servono ai divertimenti mondani, secondo le consuetudini del luogo, sono dette locali”.2 Come ogni ‘via’ spirituale anche quella della musica si costruisce attorno ad una visione dell'universo, che è espressa teoricamente nei trattati e secondo il proprio linguaggio, ovvero ‘in pratica’, attraverso le forme e le strutture in cui si sviluppa nel tempo. In altri termini i contenuti cosmologici e metafisici sono estrinsecati in un linguaggio discorsivo nei trattati ma sono presenti nella struttura stessa del linguaggio musicale, nelle norme e nelle forme che lo governano. Si potrebbe dire che una delle funzioni dei trattati sia proprio quella di porre in evidenza la presenza di questa relazione, e quindi la possibilità di operare una lettura simbolica della musica, almeno quella mārga, secondo diversi livelli di interpretazione. L’ambito della musica è forse quello che meno di tutte le altre arti si presta ad una facile lettura e comprensione, e questo per diversi 2 Citato in A.K.COOMARASWAMY, ‘La natura del folklore e dell’arte popolare’, Rivista di Studi Tradizionali,.26/27, (1968),Torino, p. 46. 65 Studi Linguistici e Filologici Online 5.2 Atti del XII Convegno A.I.S.S. Parma, settembre 2004 motivi. Innanzitutto si può dire che ciò che più di ogni altra cosa protegge il linguaggio musicale da analisi ‘iconologiche’3 è il suo legame imprescindibile con il tempo, vale a dire che non si riesce a cogliere con un colpo d’occhio, almeno nelle sue parti generali, il progetto musicale, perché esso viene a svolgersi frammentato, offrendoci soltanto visioni parziali4. In secondo luogo, si può dire che sia proprio l’impalpabilità del suono musicale a costituire e costruire quel velo che, tanto più denso quanto più è ‘espressiva’ o potente la musica, ne protegge i segreti, o la struttura. Proviamo ora a rivolgere lo sguardo al linguaggio della musica da diverse prospettive in modo particolare secondo il metodo dell’ analogia, che ha avuto ampio utilizzo nei trattati . Va detto che ciò che si definisce musica o sagīta nel caso specifico, è una formulazione di rapporti possibili fra suoni. Ogni tradizione musicale è ordinata secondo un sistema di regole, o leggi, che stabiliscono sulla base di criteri specifici, le relazioni possibili tra i suoni, ed in particolare fra quelli presenti nella gamma selezionata. La prima operazione infatti, quella fondante, comporta la selezione di un certo numero di suoni che vengono poi messi in relazione attraverso un sistema gerarchico. Una serie di norme stabilisce le possibili 3 Uso il termine iconologiche, perché musicologiche sarebbe fuorviante o non appropriato visto che, abitualmente, non si fa alcuna distinzione di ambito fra studi ‘musicografici’ e musicologici, come invece avviene nelle arti figurative in cui si distingue iconografia ed iconologia . 4 Si può obbiettare che anche il teatro pone in una situazione simile, ma in esso la presenza continua dell’aspetto visivo costruisce un equilibrio tale da rendere spaziale il tempo, ovvero crea delle condizioni di ancoraggio del tempo allo spazio visibile. 66 Studi Linguistici e Filologici Online 5.2 Atti del XII Convegno A.I.S.S. Parma, settembre 2004 combinazioni fra i suoni e gli eventuali divieti; ad un livello successivo una ‘forma’, cioè un ulteriore sistema di prescrizioni, interviene costruendo una organizzazione superiore del materiale sonoro selezionato. Queste le fasi essenziali del processo di ‘socializzazione musicale ’. Se si osserva in questo modo, il processo di formazione e sistematizzazione di un sistema musicale è analogo alla costituzione di un sistema sociale umano. In modo analogo al processo di formazione e organizzazione delle società5 viene elaborato e costituito un sistema di relazioni tra i suoni fondato su prescrizioni e divieti, e questo rapporto è stato espresso teoricamente in modi e livelli differenti e più o meno esplicitamente in diverse tradizioni musicali6. In Cina lo stesso sistema tonale fu pensato e costruito secondo una gerarchia analoga a quella del governo, di modo che i cinque suoni corrispondevano al principe, ai ministri, al popolo, agli affari ed agli oggetti. In India, grāma, la scala, è un villaggio, tale il significato del termine, e le note principali vādī e samvādī, sono parallelamente, il sovrano ed il suo ministro. In base a questi elementi si può riconoscere in India una ‘costruzione’ del materiale musicale fondata su un modello gerarchico analogo a quello della società umana,7 ma 5 Non intendo in questa sede fare riferimento ad alcuna teoria precedentemente formulata, ma procedo esclusivamente sulla base dell’osservazione del principio di analogia. 6 Platone occultava questo rapporto sostenendo che alcuni tipi di musica nocevano all’ordine sociale, in questo modo affermando la capacità di altri tipi di musica di agire in conformità con il bene e quindi con le regole di una società positiva. 7 Naturalmente il discorso rimane ancora a carattere generale, e non pretende di entrare nel dettaglio del rapporto storico dell’organizzazione sociale umana e quella 67 Studi Linguistici e Filologici Online 5.2 Atti del XII Convegno A.I.S.S. Parma, settembre 2004 soprattutto si può riconoscere una forma geometrica, in questo caso un triangolo, o una piramide, che ne rappresentano l’aspetto visivo. Questa idea e questa immagine vengono poi confermate se si prende in considerazione la teoria del suono o del silenzio che si fa suono, una delle più antiche visioni del mondo e dell’universo intero, espresse praticamente senza soluzione di continuità sul suolo indiano, almeno a partire dalla formulazione dei Veda. “Om è questo indefettibile (Brahman); Om è tutto ciò che è; questa (Upanisad) ne è la spiegazione; ciò che esiste e ciò che esisterà, tutto (ciò) è (compreso nello) Om. Quell’Altro , trascendente la temporalità, è pur esso designato da Om”.8 Così afferma la Mandukya Upanisad, ed uno śloka del Sagīta Ratnākara, rende con molta chiarezza il presupposto della teoria: “Noi adoriamo nāda-brahman, quella beatitudine incomparabile che è immanente in tutte le creature come intelligenza e si manifesta nel fenomeno di questo universo. Infatti attraverso l’adorazione di nāda si adorano dei (come) Brahmā, Viśnu e Śiva, dato che essi sono uno con questo.”( III.1,2) Om o Nāda , due modi differenti di chiamare il suono, o quello stato di vibrazione dell’etere che si manifesta come suono, sono il brahman immanente in tutte le creature, e gli dei sono sue manifestazioni. Questo è il fondamento della teoria. musicale, non intende in altri termini, analizzare in modo approfondito i rapporti tra i due sistemi. 8 Mandukya Upanisad,1.1. Upanisad Vediche, a cura di C. DELLA CASA, Tea, Milano, 1988. 68 Studi Linguistici e Filologici Online 5.2 Atti del XII Convegno A.I.S.S. Parma, settembre 2004 Stabilita l’identità tra nāda e brahman si può capire la ragione della distinzione ulteriore operata nei trattati, e tradizionale fra i musicisti, tra ahata nāda e anahata nāda. Ahata nāda, è il suono ‘prodotto’ dalla vibrazione dell’aria, quindi la musica ed il linguaggio discorsivo. Esso regola l’intera società umana perché il linguaggio è alla base dei rapporti sociali9. Anahata nāda, è il suono ‘non prodotto’, silenzio per l’udito umano; è vibrazione dell’etere ed è pertanto oggetto di esperienza yogica. Prima di essere considerato come fondamento della creazione artistica umana, ovvero della musica, il suono è considerato nelle sue implicazioni cosmologiche e metafisiche. Entrambe le citazioni riportate suonano quasi come un proclama, o una dichiarazione di essenza, ed espongono una visione piramidale del mondo, racchiusa in una delle immagini più diffuse in India, quella del monte Meru, montagna sacra che rappresenta al contempo l’universo intero ed il suo centro. Un’altra immagine che trasporta gli stessi contenuti è formulata nel Purua Sukta del Rig Veda, inno che stabilisce un’analogia tra la piramide universale, la società umana ed il corpo dell’uomo. L’universo nacque “quando gli dei sparsero il sacrificio, usando il Maschio come offerta, […] la sua bocca fu il brahmano, le sue braccia furono i guerrieri, le sue due cosce i produttori, e dai suoi piedi nacquero i servitori. La luna nacque dalla sua mente, il sole dal suo 9 Ma, Ahata nāda, che è alla base della musica (samgīta), ha un doppio potere, quello di procurare gioia e piacere e, contemporaneamente, di condurre sul sentiero della liberazione, al di là del regno delle opposizioni. 69 Studi Linguistici e Filologici Online 5.2 Atti del XII Convegno A.I.S.S. Parma, settembre 2004 occhio. Dalla sua bocca vennero Indra e Agni, dalla sua forza vitale nacque il vento. Dal suo ombelico nacque l’atmosfera, dal suo capo apparve il cielo. Dai suoi due piedi venne la terra e la regioni del cielo dal suo orecchio. Così gli dei plasmarono i mondi.” 10 Ecco come è formulata la stessa idea in un trattato musicale, che stabilisce un’analogia tra le note - Sa, Re, Ga, Ma, Pa, Dha, Ni - ed il corpo umano: “Si dice che la nota Sa sia l’anima, Ri, la testa, Ga, le braccia, Ma, il torace, Pa, la gola, Dha, le labbra, Ni, i piedi”.11 Se a questo punto facciamo ulteriore passo, vediamo che entrambe le immagini, quella del monte Meru e quella del corpo umano, sono presenti simbolicamente nella struttura del tempio indù, che appunto rappresenta la montagna sacra ed allo stesso tempo il corpo umano, ad essa equiparato. La trasposizione della stessa idea in ambiti differenti mostra un altro aspetto importante della questione: in una società arcaica, e soprattutto nella sfera del sacro, i campi del sapere, quindi le arti, devono essere considerati come differenti solo per la materia che essi scelgono di plasmare, non per il linguaggio che adottano o il metodo che seguono. Essi sono strettamente correlati con la visione complessiva del mondo e con tutte le altre branche del sapere. Tutte le forme di conoscenza e le rispettive applicazioni seguono un modello unico. Poesia, musica, architettura, pittura, artigianato sono animate dalla stessa intenzione di esprimere i concetti formulati nei 10 W.D.O.FLAHERTY, Miti dell’India,TEA, Milano, 1998, p. 29. Dal commento di Kallinatha al Samgīta Ratnākara I, 3-23. Citato in K.VATSYAYAN, Indian Dance in Letterature and the Arts,Sangeet Natak Akademy, New Delhi, 1977, p.10. 11 70 Studi Linguistici e Filologici Online 5.2 Atti del XII Convegno A.I.S.S. Parma, settembre 2004 testi sacri in parole e nel linguaggio discorsivo, ed è interessante mettere in evidenza in questo contesto che, parallelamente, le lingue sacre contengono, a differenza di quelle profane, degli elementi musicali molto spiccati, relativi alla metrica ed all’intonazione, ed il loro svolgersi procede con una profusione di immagini. La sfera del sacro si fa garante della contiguità dei linguaggi,12 non prevedendo dei confini rigidi e producendo un conseguente travaso sistematico fra l’uno e gli altri. Ma soffermiamoci sull’analisi di un tempio che per il suo contenuto concettuale e formale, e per la sua posizione centrale nella società indù, rappresenta la forma d’arte più appropriata per illustrare il punto in questione attraverso altre analogie. Il tempio, in India, rappresentava il centro della vita spirituale e di quella sociale. Era un luogo di conoscenza e svolgeva funzioni di propagazione delle arti e della cultura, ma era anche un luogo di accoglienza per i bisognosi ed i malati. Il tempio è un ponte fra l’uomo e Dio, fra la vita terrena e quella divina e come tale ha dei significati simbolici. Esso rappresenta la divinità nella forma cosmica in cui sono compresi i vari mondi, ed una complessa rete di simbolismi mette le diverse parti del tempio in relazione fra di loro e con l’idea complessiva. L’esterno del tempio rappresenta l’universo manifestato nelle sue molteplici forme, l’interno è il ricettacolo dell’essere, la sede della divinità, antarayamin , che governa l’esterno come un burattinaio fa con le sue marionette. 12 Caratteristica peraltro non esclusivamente indiana. 71 Studi Linguistici e Filologici Online 5.2 Atti del XII Convegno A.I.S.S. Parma, settembre 2004 Molto spesso la pianta del tempio è uno yantra, costruito su percorsi concentrici, il cui centro rappresenta la divinità, il punto di origine dal quale ogni cosa è evoluta. Il tempio è innanzitutto una riproposizione evidente del monte Meru. Esso è quindi una rappresentazione dell’universo e norme rituali elaborate secondo il canone che si deve ‘imitare quello che gli dei fecero in principio’ ne stabiliscono le regole. “Così hanno fatto gli dei, così fanno gli uomini”,13 è il principio fondante il rito e le pratiche artistiche. Lo stesso concetto è espresso in modo più esteso e specifico nell’Aitareya Brāhmana: “È imitando le opere d’arte (śilpāni) angeliche (deva) che ogni opera d’arte si realizza; ad esempio, un elefante di argilla, un oggetto di ottone, un indumento, un pezzo in oro, un carro da mulo, sono ‘opere d’arte’. Una (vera) opera d’arte trova infatti compimento in colui che comprende questo, poiché queste (angeliche) opere (śilpāni), ossia i testi metrici (Śilpa) sono un’integrazione del Sé (ātma-samskrti); e per loro tramite il sacrificante integra similmente se stesso nel mondo del ritmo (chandomaya)”.14 Ma l’immagine del tempio racchiude almeno un’altra possibile prospettiva di interpretazione. Le proporzioni e la struttura del tempio nascondono infatti una dimensione temporale che può essere letta secondo un asse verticale. Il monumento si costruisce per gradini 13 Taittiriya Brāhmana, 1,5,9,4, citato in M.ELIADE, Il mito dell’eterno ritorno, Borla, Bologna, 1968, p.39. 14 Aitareya Brāhmana,VI, 27, citato in A.K.COOMARASWAMY, La trasfigurazione della natura nell’arte, Rusconi, Milano,1990, p.17. 72 Studi Linguistici e Filologici Online 5.2 Atti del XII Convegno A.I.S.S. Parma, settembre 2004 convergenti che rappresentano i livelli dell’esistenza universale, dalla terra ai mondi superiori. Se si interpreta o si legge il tempio dall’alto verso il basso, secondo l’asse verticale discendente, il vertice superiore rappresenta il principio, ed i successivi livelli potranno essere intesi come differenti momenti del processo evolutivo universale, che trova compimento nella pietra di fondazione. Se si effettua una lettura inversa, ovvero secondo il medesimo asse ma in direzione ascendente, si seguirà il processo involutivo, il riassorbimento dell’universo nel suo principio. Una struttura simile governa anche la pianta del tempio, così, per analogia si può dire che il devoto che percorre i vari circuiti e oltrepassa i cancelli del tempio per raggiungere il centro, simbolicamente compie un ritorno verso il cuore dell’essere dove risiede il Principio cosmico (e questo ritorno simbolicamente è compiuto nel riconoscimento dell’identità di ātman e brahman). L’edificazione del tempio corrisponde quindi ad una cosmogonia, rappresentata nella sua forma completa o perfetta dal corpo dell’edificio sacro che ospita al suo centro l’ icona. Allo stesso modo si può dire che il tempio è il corpo in cui abita la divinità, ed il punto in cui si identificano il sé individuale con il sé spirituale. Un insieme polisemantico determina in modo analogo anche la struttura e gli obbiettivi dell’edificazione del ‘tempio musicale’. Così come l’edificazione materiale del tempio doveva essere una riproposizione di quello che gli dei avevano fatto in origine, mārga sagīta è tale in quanto le sue forme e la sua organizzazione 73 Studi Linguistici e Filologici Online 5.2 Atti del XII Convegno A.I.S.S. Parma, settembre 2004 rispecchiano e riproducono le leggi e l’ordine dell’universo. Essa è un microcosmo. Il tracciato di un concerto segue norme analoghe a quelle dell’architettura sacra, di modo che lo sviluppo di un rāga attraverso un tāla corrisponde alla costruzione di un tempio o di uno spazio sacro in cui si possano congiungere ātman e brahman, l’individuo e l’assoluto, ed i trattati servendosi di continue analogie, non fanno altro che mettere in relazione le varie parti della musica con quelle del simbolo di riferimento. Se l’idea fondante la musica in India è l’identificazione del suono, Om - Nāda, con l’essenza dell’universo, o con l’energia, la forza che ne regola l’andamento, essa non ha solo un valore teorico o filosofico, ma anche un’applicazione pratica. Questa idea è la pietra fondante l’edificio musicale indiano e deve essere tenuta in considerazione se si vogliono comprendere i perché, o le motivazioni che hanno giustificato la selezione degli elementi costituenti e la loro organizzazione. In altri termini è partendo da questa ‘visione’ che devono essere cercate le ragioni per le quali l’apparato teorico della musica ha acquisito quei tratti e non altri, e la ragione dell’ organizzazione gerarchica degli elementi costitutivi, degli strumenti e delle mitologie ad essi connesse. Procediamo per gradi. In quanto suono esso è vibrazione, o meglio il contrario, esso è suono in quanto è vibrazione. Esso e l’essenza più profonda di ogni creatura ma è anche tutto l’universo materiale , il quale non è altro che la 74 Studi Linguistici e Filologici Online 5.2 Atti del XII Convegno A.I.S.S. Parma, settembre 2004 medesima vibrazione-suono che nel suo moto di propagazione perde raffinatezza e, trasformandosi, attraversa varie fasi fino a diventare materia. Nello svolgersi di questo processo il medesimo “suono” diventa duplice, si sdoppia, in quanto da una parte rimane identico a se stesso e dall’altra si trasforma perdendo raffinatezza ed acquistando il carattere della molteplicità. Nella funzione e nell’aspetto di generatore della molteplicità è ad esso attribuita una natura femminile mentre in quanto procreatore esso è ritenuto di natura maschile. L’una si propaga laddove l’altro rimane immobile, l’una diventa la ruota in eterno movimento, l’altro l’asse dell’universo. Sul piano musicale questa polarità viene espressa attraverso la contrapposizione complementare fra il bordone e la melodia. Il bordone, che si ascolta prima della canzone, durante la canzone e continua al termine di essa, rappresenta l’Assoluto, il sostrato su cui e da cui prendono vita tutti i fenomeni, che è ad essi precedente e ad essi perdura in quanto è al di là del tempo. La melodia o la canzone sono invece la varietà della Natura che emerge dalla sua sorgente ed in essa ritorna alla fine del suo ciclo. 15 15 Come sostiene L. Rowell “L’ evoluzione del bordone, prodotto con evidenza fra il quindicesimo ed il diciassettesimo secolo, sembra essere un caso di arte che imita la natura- un tentativo subconscio di dare forma al continuum universale del suono non-manifestato e quindi di implicare che ogni atto personale nasce e ritorna nel sostrato del suono vitale indifferenziato: parafrasando un antico detto del Talmud, se desideri comprendere l’impercettibile, ascolta da vicino ciò che puoi udire .” L.ROWELL, Music and musical thought in early India, Munshiram Manoharlal, New Delhi, 1998, p.53. 75 Studi Linguistici e Filologici Online 5.2 Atti del XII Convegno A.I.S.S. Parma, settembre 2004 Le stesse forme musicali ‘classiche’ come il severo Dhrupad ed il più vivace Khyal ribadiscono il ruolo femminile della canzone assegnandole un andamento circolare, fecendola svolgere cioè secondo disegni di ruote interdipendenti tra loro che corrono attorno all’asse del bordone. L’elemento che più di ogni altro caratterizza la musica mārga è l’ālāpa, la prima sezione dell’esposizione di un rāga. Nell’ālāpa sono presentate le caratteristiche del rāga prescelto in una forma libera da strutture ritmiche. In altri termini questa parte ha carattere fondamentalmente melodico, ma non è regolata da alcun tāla. Solo dopo l’esposizione dell’ālāpa viene presentata la composizione (bandish) del rāga ed a questo punto subentra l’ordine introdotto dal ciclo ritmico, tāla. Ognuna delle due sezioni è a sua volta costituita da sottosezioni, ma la contrapposizione strutturale fondamentale è quella fra ālāpa, sciolto da costrizioni di ritmo, e composizione (bandish), costruito su un ciclo. Una prima analogia può essere posta fra queste due sezioni e le due fasi dell’edificazione di un tempio, ovvero la determinazione dell’area, ed il processo di costruzione vero e proprio. La scelta del luogo adatto per la costruzione del tempio è il primo passo ed anche il principale, perché il sito deve rispondere a delle specifiche caratteristiche di bellezza e serenità. Operata la scelta il posto viene purificato. Il passo seguente è quello dell’orientazione, per cui viene eretto un pilastro attorno cui è tracciato un cerchio così da formare un orologio solare con cui si determinano gli assi cardinali. 76 Studi Linguistici e Filologici Online 5.2 Atti del XII Convegno A.I.S.S. Parma, settembre 2004 Seguendo altri passaggi viene tracciato un quadrato. Il quadrato così ottenuto, chiamato nella tradizione indù Vāstu-Purua-maala, è il simbolo di Purua, o Prajapati, l’uomo cosmico, dal cui sacrificio trasse esistenza l’universo. Il diagramma assume un duplice significato, da una parte è simbolo della presenza divina nel mondo, dall’altra rappresenta la prima operazione di riduzione della ‘materia caotica’ all’ordine.16 Il passaggio dal caos al cosmo, ordine, rappresenta l’atto divino di ‘in-formazione’ della sostanza primordiale indifferenziata, senza il quale non potrebbe esistere l’universo e la molteplicità delle esistenze. L’ālāpa è la rappresentazione del primo atto di fondazione dell’ordine; è il momento in cui si stabiliscono gli elementi strutturanti il mondo costituito dalla composizione (bandish) . È il momento della formulazione delle caratteristiche del cosmo, l’universo ordinato, di cui la composizione (bandish) è simbolo. Questo (bandish ) a sua volta si sviluppa in cicli ritmici, quelli costruiti dal tāla, e melodici, stabiliti dal ritorno periodico alla frase principale (sthāyī) (della composizione), dopo evoluzioni spiraliche elaborate attraverso procedure prestabilite. L’immagine che deriva è quella di continue variazioni della medesima figura iniziale, o quella di unità nella molteplicità, ovvero della trasformazione continua della ‘vita’ iniziale. È la ruota dell’esistenza, il cellula o samsāra; sono i cicli dell’esistenza. 16 È il sacrificio operato dai deva che trasforma quello che prima era un asura in Purua, o l’uomo universale dal cui smembramento ha origine l’universo. 77 Studi Linguistici e Filologici Online 5.2 Atti del XII Convegno A.I.S.S. Parma, settembre 2004 Il cosmo è ordine e misura, e si organizza in elementi. Il cosmo è il regno del tempo, è il dominio del tempo. Il caos, l’indifferenziato, da un altro punto di vista, è ciò che precede il tempo, o ciò che non cade nelle sue regole, e rappresenta una dimensione superiore dell’esistenza universale. È interessante rilevare un altro elemento del tempio che sottolinea il rapporto fra ordine e tempo : i numeri che regolano l’ulteriore divisione del quadrato della pianta dell’edificio sono numeri ciclici. Il quadrato può essere infatti di due tipi, a sessantaquattro e ad ottantuno quadrati, entrambi sottomultipli di 25.920 (il numero degli anni di una precessione), numero ciclico fondamentale della cosmologia indù, in relazione con la precessione degli equinozi. La qualità specifica più profonda attribuita dalla tradizione all’ālāpa, deriva dal suo essere simbolo di un mondo al di là del tempo, quindi al di là dei limiti dell’esistenza individuale. Un ulteriore elemento che sottolinea questa qualità è il fatto che l’ālāpa nella sua formulazione vocale non fa uso di parole, ma solo di vocali. Esso è al di là del tempo che divora gli esseri individuali, ed è al di là del senso delle parole e della facoltà della ragione. Quello che appare dal nostro punto di vista come caos può essere considerato come una forma superiore di ordine, o come un altro livello dell’essere. Tutto il tracciato della formulazione di un rāga può essere quindi interpretato come un ciclo dell’esistenza universale, e per analogia di un’esistenza individuale: dal non manifestato, rappresentato dal bordone, attraverso l’indifferenziato, l’ālāpa, ai mondi del tempo e 78 Studi Linguistici e Filologici Online 5.2 Atti del XII Convegno A.I.S.S. Parma, settembre 2004 degli esseri individuali, il samsāra - composizione e di nuovo al non manifestato, il bordone cui al climax culmina la musica. L’immagine che ne risulta calza perfettamente con la visione che ebbe Sri Ramakrishna Paramhansa e che condensa il simbolismo di cui stiamo parlando. Egli vide un lungo filo bianco venire fuori da sé stesso. La massa di questo filo si aprì e vide la Madre che impugnava la vīna . Ella cominciò a suonare ed al suono della sua vīna egli vide la musica trasformarsi in uccelli, animali ed in mondi che si andavano ordinando. Poi la Madre smise di suonare e tutto scomparve. La luce diventò sempre più indistinta fino a diventare solo una massa luminosa; il filo diventò sempre più corto e tutto il mondo si riassorbì nuovamente dentro di lui. Il pellegrinaggio che il devoto compie simbolicamente intorno al tempio e nei sui recinti e che culmina nell’accesso al garbha-griha (dimora dell’embrione), il sancta sanctorum, è, quindi, in realtà compiuto anche dal musicista, che non percorre spazi fisici ma dimensioni temporali. La musica è un edificio costruito ‘di tempo’ nel tempo, in cui il sé del musicista coincide con ‘quello’ costruito dalla composizione. L’intero progetto musicale, la forma, che nell’ India del Nord, almeno a partire dal Dhrupad, si è mantenuta costante negli elementi essenziali, più o meno fino ai nostri giorni, nonostante il cambiare degli stili, appare come un atto rituale, codificato sul modello di ‘quello che gli dei fecero all’origine’. L’imitazione più perfetta dell’atto originario è quella del cantante, che con la sua ‘voce’ crea 79 Studi Linguistici e Filologici Online 5.2 Atti del XII Convegno A.I.S.S. Parma, settembre 2004 l’edificio o l’universo musicale, e lo fa sacrificando sé stesso per mezzo dell’ oblazione somma: il sacrificio del respiro. Ma mārga sagīta è anche uno yoga, con una propria sādhanā. Il musicista cantando proietta dentro di sé l’immagine prodotta dalla musica imitando il modello divino, pertanto essa è uno strumento di devozione e di trasformazione spirituale. La forma prodotta esternamente è utile a chi ascolta, la stessa proiettata all’interno si rivolge a chi la produce. Il musicista non suona o non dovrebbe suonare, quindi, solo per arrecare piacere a se stesso o a chi lo ascolta, ma per trasformarsi nella ‘forma’ che la musica riproduce, per diventare egli stesso quella musica e quella ‘forma’. Attraverso la riproduzione di modelli divini l’uomo può diventare divino, e l’esempio è sempre proposto dall’alto, come fornisce l’ esempio dell’Aitaireya Āranyaka: “Prajapati, (vyaśransata) emanando la progenie, l’anno, disintegratosi si reintegrò (ātmānam samabodhayat) per mezzo dei metri (chandobhih)”.17 La musica (mārga) svolge nel tempo quello che il tempio mostra in un solo colpo d’occhio nell’immobilità della pietra. La ‘forma’ del tempo celata nel tempio, si manifesta nella musica. Le ‘forme’ dello spazio si velano nel tempio della musica. “Il nettare dei Rāga da i benefici risultati di Yaga, Yoga, Tyāga (sacrificio) e Bhoga (divertimento). Bevilo e godi, o Mente! Tyāgarāja sa che coloro i quali riconoscono che Nāda (il Suono), 17 Ataireya Āranyaka, III, 2-6. Citato in K.VATSYAYAN, op.cit, New Delhi, 1977, p.253. 80 Studi Linguistici e Filologici Online 5.2 Atti del XII Convegno A.I.S.S. Parma, settembre 2004 Omkara (il sacro monosillabo), e Svara (la Nota) non sono altro che Sadasiva stesso sono anime libere.” (Rāgasudharasa, Tyāgarāja)18 Paolo Pacciolla [email protected] 18 Citato in C.RAMANUJACHARI, The spiritual heritage of Tyāgarāja, p.594, Madras,1957. 81