Manifesto per una formazione umanistica Una nuova iniziativa della Casa della Cultura: un manifesto, sottoscritto da 12 autorevoli studiosi, relativo alla formazione degli adulti. CONTRIBUTO DI CERIANI ANDREA Formazione e nuovi paradigmi Con una frase fulminante, in grado di darci significative suggestioni, Kevin Kelly (Nuove regole per un nuovo mondo, Ponte alle Grazie, 1999) ci suggerisce che «la ricchezza non si ottiene perfezionando il noto, ma cogliendo imperfettamente l’ignoto». Se quindi vogliamo essere creativi, innovativi e trovare nuove fonti di soddisfazione dobbiamo considerare superati e non più praticabili i valori e le convinzioni che la nostra generazione ha ereditato da quelle precedenti: abbiamo bisogno di valori più attuali, di visioni aggiornate che non possono essere fondate sui miti e sulle credenze che ci hanno guidato fin qui, perché questo non farebbe altro che prolungare i nostri problemi. Ciò che serve, quindi, è una base di conoscenza più affidabile per la nostra coscienza, così come la nuova scienza ci suggerisce1. “L’inatteso ci sorprende. Il fatto è che ci siamo installati con troppo grande sicurezza nelle nostre teorie e nelle nostre idee, e che queste non hanno nessuna struttura di accoglienza per il nuovo. Non possiamo mai prevedere il modo in cui si presenterà, ma dobbiamo aspettarci la sua venuta, cioè attenderci l’inatteso. E, una volta giunto l’inatteso, si dovrà essere capaci di rivedere le nostre teorie e idee …. Come l’ossigeno uccideva gli esseri viventi primitivi fino a quando la vita non utilizzò questo corruttore quale disintossicante, così l’incertezza che uccide la conoscenza semplicistica, è il disintossicante della conoscenza complessa” (E. Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Cortina, 2001, pp. 30-31). Morin ci invita quindi a rivedere il punto di vista della nostra conoscenza adottando un paradigma che ci consenta di operare simultaneamente su alcune coordinate attraverso le quali avviene il governo di qualsiasi sistema organizzato, così come espresso nella figura che segue. Lo spazio indica il numero di variabili e di attori, l’ampiezza degli scenari e la loro turbolenza: elementi tipici per chi debba – in termini di responsabilità economica, di unità aziendale, di politica globale – rappresentarsi una situazione prima di assumere una decisione. Il tempo è il fattore più spiccato della turbolenza ambientale e dove si registrano due esigenze nettamente antitetiche: la necessità di spingere la nostra osservazione molto più avanti nel futuro di quanto avveniva una volta e l’aumento dell’imprevedibilità di ogni fenomeno in evoluzione. L’esperienza entra in gioco perché quanto più crescono gli attori delle realtà in cui ci troviamo ad operare, quanto più in esse intervengono fattori nuovi e istanze di cambiamento, tanto meno possiamo fare appello a schemi di adattamento e gestione che si sono formati in noi a partire dalle esperienze 1 Ricordiamo autori come Edgar Morin, Humberto Maturana, Heinz Von Foester, Alberto Munari, Ervin Laszlo, Francisco Varela, Joseph O’Connor, solo per citarne alcuni. passate proprio perché le componenti sono in gran parte nuove. Ma oggi esiste una crisi e una sfiducia sulle facoltà personali di governo dei sistemi complessi che va molto al di là di questa semplice e immediata constatazione. Infatti la nostra mente ha la capacità di associare poche variabili contemporaneamente e tende a proiettare nel futuro delle ipotesi in modo puramente rettilineo. Crisi delle esperienze, dunque, come fenomeno reale, ma senza far intervenire indebite generalizzazioni: il problema resta la gestione delle capacità intuitive e creative della mente umana. Anche la scienza sembra soffrire degli stessi problemi di distorsione che si ritrovano nella crisi degli schemi immediatamente riportabili alle esperienze personali. E ancora una volta entra in gioco la mancata valutazione di una certa soluzione in termini globali: gli effetti positivi, a dire il vero, lo sono solamente in un ristretto ambito (temporale o spaziale che sia), mentre gli effetti negativi tendono a manifestarsi in ambiti molto più vasti. L’ambiente L’uomo Lo spazio Le esperienze Il tempo La scienza Adeguare il comportamento al cambiamento è un mezzo veloce per consolidare l'interiorizzazione di processi decisionali appropriati e, quindi, facilita e favorisce l'apprendimento della capacità di astrarre le componenti essenziali di una situazione, rendendo più agevole il passaggio dal noto all'ignoto, facilitando l'assunzione di nuovi atteggiamenti ed incrementando l'applicazione pratica di ciò che la nuova situazione richiede. Un uomo di organizzazione e di cultura come Pier Luigi Celli ci offre un’ulteriore riflessione che ci aiuta a definire questo primo quadro di problematiche aperto dalla ricerca di nuove visioni per vivere al meglio il tempo presente: «Per quanto possa apparire un paradosso, nella frenesia contemporanea per cui la sopravvivenza dell’impresa sembra legata a una corsa contro il tempo, il successo delle operazioni drammatiche di trasformazione è legato, più che alla bontà delle strategie, alla capacità di esprimere risorse deputate a “perdere tempo”. Il “vissuto” ferito dei dipendenti non si cura con le parole; men che meno con le procedure, le statistiche, i briefing. Bisogna “avere orecchie” e affinare “l’occhio”; imparare a navigare “dentro” un mare insidioso e, a prima vista, ostile … Tutto questo richiede tempo» (P.L. Celli, Impresa e classi dirigente, Baldini Castoldi Dalai, 2004, pp. 26-27). Siamo quindi al centro di un importante e vasto processo di trasformazione e nella nostra e inarrestabile corsa per definire ed elaborare nuovi modi di pensare e di agire, non possiamo eliminare un passaggio fondamentale: dobbiamo raggiungere uno stadio più avanzato di trasformazione. Non possiamo credere di trasformare i nostri sistemi economici, sociali, educativi, ecologici senza cambiare il modo in cui vediamo noi stessi e il mondo intorno a noi: «metanoia … per i greci significava uno spostamento o cambiamento fondamentale o, più letterariamente, una trascendenza della mente .. lavorare con i modelli mentali è una disciplina che inizia “voltando lo specchio” verso l’interno; imparando a scoprire le nostre rappresentazioni interne del mondo, a portarle in superficie e a tenerle sotto un rigoroso esame» (P. Senge, La quinta disciplina, Sperling Kupfer, 1992, pp. 10-15). La trasformazione a cui siamo chiamati, quindi, non ha una sola dimensione, bensì due. La prima è oggettiva, e riguarda il mondo intorno a noi; l’altra è soggettiva e riguarda il modo in cui noi vediamo quel mondo. La dimensione oggettiva è il territorio, quella soggettiva è la mappa del territorio, ed è tutt’altro che trascurabile, in quanto decide del nostro orientamento sul territorio stesso. Mantenere aggiornata la mappa è essenziale per il nostro sviluppo e la nostra sopravvivenza. Una mappa inadeguata, o obsoleta, non è certamente in grado di percepire gli aspetti nuovi e cruciali utili al cambiamento. Aggiornare la nostra mappa mentale prevalente è possibile – richiede sforzo, impegno e costanza – anche se non facile in quanto alla sua definizione concorrono l’insieme delle percezioni, valutazioni, sensazioni, intuizioni, razionalizzazioni riguardanti il mondo e la nostra posizione in esso. Generare visioni, modificare schemi di comportamento, ridisegnare mappe di navigazione sono elementi che costituiscono il modo di affrontare situazioni di cambiamento ed è il compito principale che una formazione umanistica deve portare a compimento. Due elementi importanti sui quali far convergere gli sforzi di una formazione rinnovata sono i seguenti: la padronanza personale è l’espressione usata per le discipline della crescita e dell’apprendimento personale ed è alimentata da due elementi fondamentali: il primo consiste nel chiarire continuamente quello che per ognuno è importante; il secondo consiste nel continuare e imparare a vedere con maggiore chiarezza la realtà corrente. Mettendo in relazione la visione (ciò che vogliamo) con un quadro chiaro della realtà corrente (a che punto siamo rispetto a ciò che vogliamo) si genera una tensione creativa: una forza che le riunisce, causata dalla tendenza naturale della tensione a cercare una soluzione. Apprendere, quindi, non significa solo acquisire nuove informazioni, ma espandere l’abilità a produrre i risultati che veramente vogliamo nella vita; l’apprendimento di gruppo è il processo di allineare e sviluppare le capacità di gruppo per creare i risultati realmente desiderati dai suoi membri. Esso si fonda sulla disciplina della visione condivisa, nonché sulla padronanza personale, perché i gruppi di talento sono costituiti da individui di talento. Ma la visione condivisa e il talento non sono sufficienti. Il mondo è pieno di gruppi di individui di talento che condividono per un certo tempo una visione, eppure non riescono ad apprendere. La grande orchestra jazz, o la grande squadra di calcio o di basket, ha talento e una visione condivisa, ma quello che veramente “fa la differenza” è che i musicisti, o i giocatori, sanno come suonare insieme. Raggiungere i risultati importanti ai quali la formazione aspira, infatti, (e raggiungerli in tempi soddisfacenti potremmo aggiungere) è sicuramente una questione di intraprendenza piuttosto che di risorse. L’intraprendenza, inoltre, non nasce da pianificazioni architettate e gestite secondo piani rigidamente logici e razionali, ma da un profondo senso dello scopo finale, da un sogno ampiamente condiviso, da un’idea realmente seducente riguardo alle prospettive di domani. L’intraprendenza ci porta a misurarci con la realtà, a cercare di padroneggiarla, ad essere in grado di riconoscerla o di, semplicemente, vederla. Per far ciò dobbiamo essere in grado di cambiare le lenti con le quali guardiamo la realtà con l’obiettivo di cogliere e valutare informazioni che ci sappiano far dare risposte adeguate. Risulta determinante, a questo proposito, utilizzare metodi percettivi non tradizionali in grado di lasciare spazio all’incertezza e che non siano radicati nel sistema delle certezze di altre persone. L’utilizzo delle metafore ci pare essere un modo interessante per raggiungere questo obiettivo. Quando consideriamo un concetto che giudichiamo importante ma difficile da sviscerare, istintivamente facciamo ricorso alla metafora, perché ci sembra un modo per cogliere quel che altrimenti non riusciremo a far nostro. Grazie alle metafore è possibile cambiare l’atmosfera nella quale i problemi vengono discussi e adeguare le attese. Dobbiamo riflettere sui modi di utilizzare ed elaborare le metafore per catturare la nostra visione del futuro. Cambiare la metafora dominante della nostra vita può costituire un mezzo per ridefinire la percezione dei problemi e per sostituire le lenti. Anche lo stesso sforzo di padroneggiare la realtà è una metafora fatta di immagini tecnologiche e di novità, oltre che metafora dell’individuo che si apre il cammino attraverso qualcosa. Metafore come la coltivazione, il seme, il raccolto, il potenziale, la marea, ecc., sono tutte immagini che richiamano una maggiore fluidità delle linee di confine. Anche le cose più ordinarie contengono in sé qualcosa di insolito; anche le cose più prevedibili e certe contengono in sé aspetti di imprevedibilità e unicità. Pensiamo al concetto di trasformazione e ripercorriamo lo sviluppo della farfalla, da baco a crisalide….fino a diventare uno stupendo esemplare. Anche creare nuove storie può essere un’utile metodologia per generare nuove inquadrature, diverse da quelle abitualmente utilizzate per descrivere il nostro presente, passato e futuro. La maggior parte delle storie che utilizziamo correntemente sono in forma di relazioni tecniche ricche di dati e di teoria, che implicano autorevolezza e oggettività. Quelle però che hanno l’impatto più deciso su di noi, soprattutto a livello emotivo, sono le storie che suscitano sentimenti forti come la paura, la speranza, ecc. Dobbiamo acquisire la capacità di passare dalla creazione di miti dell’incertezza a miti che la abbraccino. Se possediamo solo certezze non abbiamo più nulla da imparare e la nostra unica strada è la negazione. Quel che facciamo concretamente deriva sempre da una selezione di percezioni e idee, al di sotto delle quali stanno però le emozioni: se ci concentriamo solo sui fatti misconosciamo quel che vi sta dietro. L’uomo inventò il linguaggio senza nessuna coscienza dei processi che vi stavano alla base. Se guardiamo ad alte invenzioni, esse sono il risultato di miglioramenti o adattamenti dovuti al progresso scientifico: oggi, ad esempio, il nostro modo di scrivere lettere è molto cambiato con l’avvento delle e-mail, e quindi dotati di una tecnologia diversa dal passato. Il linguaggio che usiamo oggi, quindi, è certamente cambiato, ma quanto ci siamo adattati? Se prendiamo coscienza dei nostri filtri e delle nostre lenti abituali, oltre che del nostro modo peculiare di comunicare con gli altri e di interpretare i messaggi che essi ci inviano, ci poniamo in condizione di migliorare la nostra capacità di adattamento e di azione nell’ambiente che ci circonda. Non siamo certo in grado di poter prevedere il futuro, ma sicuramente possiamo cercare di prevedere quali caratteristiche è più probabile che esso assuma. Quando proviamo ad agire in questo modo, senza titubanze, possiamo considerare diverse opzioni e persino elaborare scenari che consentano di affrontare eventuali crisi. Occorre quindi saper fare le giuste domande, non sforzarsi di trovare le risposte. Bisogna imparare ad adattarsi e a scovare nuove lenti, soprattutto perché le domande continuano a cambiare. La nostra visione del futuro, il sogno che energizza un’azione di trasformazione individuale o organizzativa è spesso qualcosa di molto più complesso e positivo di un semplice slogan. Tensione strategica è il termine che vogliamo utilizzare per descrivere questo sogno energizzante. La tensione strategica rappresenta la chiave di lettura di ogni strategia in quanto, se quest’ultima può sicuramente indicare il percorso per raggiungere il futuro, è la tensione strategica che fornisce l’energia di tipo emotivo e intellettuale necessaria per intraprendere il viaggio verso il futuro, sapendo gestire nel qui e ora del divenire le diverse tappe che si raggiungeranno. Il concetto di tensione strategica ribalta alcuni, sedimentati, luoghi comuni sulle strategie individuali e organizzativi: ad esempio la sintonia che deve esserci tra le risorse interne e le opportunità emergenti. La tensione strategica mira invece ad una distonia tra le risorse e le aspirazioni; genera una decisa direzione verso l’apprendimento finalizzato alla crescita ed esige che ci si ponga continuamente delle domande. La tensione strategica orienta all’apprendimento finalizzato alla crescita in quanto tende a sviluppare un: 1. 2. 3. 4. apprendimento capace di ri-percepire o reintepretare una situazione; apprendimento in grado di utilizzare la ri-percezione per formulare una linea di azione; apprendimento in grado di saper far acquisire la capacità di attuare una linea d’azione definita; apprendimento in grado di saper mettere in revisione continua le prime tre fasi. L’apprendimento finalizzato alla crescita ha anche a che fare con la capacità di adattarsi a un ambiente nel quale il nostro comportamento non corrisponde più alle attese degli altri, poiché è più difficile sviluppare un processo di apprendimento in un contesto di potenziale estraniamento. Infatti, anche se miriamo a essere noi stessi, a inventare il nostro futuro e a crescere come individui, siamo tuttavia spaventati dall’idea di non essere accettati. Benché gli effetti dell’apprendimento e della crescita possano alla fine soddisfare le nostre esigenze di crescita e come persone, sembra che l’atto stesso di apprendere tenda ad aumentare il nostro senso di vulnerabilità, di esposizione al rischio. Può anche darsi che sia proprio questa esperienza di accresciuta vulnerabilità, unita alla coscienza della propria saldezza, a consentirci di crescere. La tensione strategica tende a generare una riflessione sulla posizione che, individui o organizzazioni, intendono raggiungere nell’arco di un determinato periodo. Trasmette quindi un senso della direzione. La tensione strategica tende alla differenziazione dando la promessa di esplorare nuovi territori. Infonde quindi un senso della scoperta. Infine, la tensione strategica ha un risvolto emotivo in quanto si identifica con l’obiettivo che i soggetti coinvolti percepiscono come degno di essere perseguito. Trasmette cioè un senso del futuro.