Forme di mercato - Servizio di Hosting di Roma Tre

5
Forme di mercato
Che cosa vedremo in questo capitolo?
La distinzione tra le diverse forme di mercato.
La determinazione dell’equilibrio di concorrenza perfetta sia di breve che di lungo
periodo.
La descrizione del monopolio e la determinazione dell’equilibrio.
La differenziazione dei beni e la concorrenza monopolistica: determinazione
dell’equilibrio di breve e di lungo periodo.
L’equilibrio in un oligopolio nel caso sia di collusione che di non collusione.
Un confronto tra le implicazioni delle diverse forme di mercato sul benessere sociale.
Come abbiamo visto nel paragrafo 4 del capitolo 4, i profitti di un’impresa vengono di solito1
massimizzati quando il costo marginale uguaglia il ricavo marginale: CMG = RMG. Non è
sufficiente.
Cosa determina l’ammontare del profitto ottenuto da un’impresa? Il profitto sarà alto, appena
sufficiente per sopravvivere, oppure talmente basso da costringere l’impresa a chiudere? Il prezzo
praticato al consumatore sarà alto o basso? In generale, il consumatore trae benefici dalle decisioni
dell’impresa?
La risposta a queste domande dipende dal contesto di mercato in cui un’impresa si trova a operare.
Un’impresa in un ambito fortemente competitivo si comporterà in modo piuttosto diverso rispetto a
un’impresa che non subisce alcuna concorrenza. In particolare, un’impresa che fronteggia la
concorrenza di molte altre imprese sarà costretta a mantenere bassi i prezzi e a essere il più
efficiente possibile semplicemente per sopravvivere.
Anche se un’impresa avesse solo uno o due concorrenti, la competizione potrebbe essere abbastanza
intensa. Le imprese potrebbero spendere molte energie per produrre in modo più efficiente o per
sviluppare prodotti nuovi o migliori allo scopo di conquistare una maggiore quota di mercato. Esse
tuttavia potrebbero anche colludere con le imprese concorrenti per alzare i prezzi. Le imprese che
non devono affrontare concorrenza (come ad esempio le grandi industrie farmaceutiche) possono
avere un notevole potere nel fissare i prezzi; a fame le spese saranno i consumatori, costretti a
pagare prezzi elevati.
In questo capitolo studiamo diverse forme di mercato, guardando anche alle loro implicazioni sul
benessere sociale.
1
Un’eccezione alla validità di questo principio s’ha nel caso in cui ricavo marginale e costo
marginale sono entrambi costanti
107
1. IL GRADO DI CONCORRENZA
Quanta concorrenza deve affrontare un’impresa?
Distinguiamo le forme di mercato in base al grado di concorrenza che si determina tra le imprese;
possiamo individuare quattro forme di mercato fondamentali: concorrenza perfetta, concorrenza
monopolistica, oligopolio e monopolio. A un estremo, quello del massimo grado di concorrenza tra
le imprese, c’è la concorrenza perfetta caratterizzata da un numero molto elevato di imprese che
competono tra loro. Ciascuna impresa è così piccola rispetto all’intera industria che non ha alcun
potere di influenzare il prezzo. Essa è price-taker. All’altro estremo c’è il monopolio, nel quale
opera una sola impresa che non subisce alcuna concorrenza da parte di altre imprese. Situazioni
intermedie sono date dalla concorrenza monopolistica, nella quale diverse imprese, pur avendo
potere di mercato, non sono protette da barriere all’entrata, e dall’oligopolio, caratterizzato da un
numero ridotto di imprese, protette da barriere all’entrata. Per distinguere più in dettaglio queste
quattro forme di mercato, consideriamole seguenti domande, raggruppate per punti:
Il grado di libertà con cui nuove imprese possono entrare nell’industria. L’entrata è
libera o limitata? Se è limitata, quanto è difficile perle nuove imprese superare le barriere
all’entrata?
La natura del prodotto. Le imprese producono un prodotto omogeneo o c’è
differenziazione di prodotto?
Il grado di controllo sul prezzo da parte delle imprese. L’impresa è price-taker o è libera
di scegliere il suo prezzo, e in tal caso, quale sarà l’effetto delle decisioni di prezzo sui
profitti? Questo punto ha implicazioni sul tipo di domanda della singola impresa. Quanto è
elastica questa domanda? In altri termini, se l’impresa aumenta il prezzo, perderà: a) tutte le
vendite (curva di domanda orizzontale); b) gran parte delle vendite (curva di domanda
relativamente elastica); c) solo una piccola parte delle vendite (curva di domanda
relativamente anelastica)?
108
La tabella 5.1 mostra le principali differenze tra le quattro forme di mercato individuare relative ai
parametri più importanti. La struttura di mercato in cui un’impresa opera ne determina il
comportamento. Le imprese in concorrenza perfetta si comporteranno in modo radicalmente diverso
dalle imprese monopolistiche, che a loro volta si comporteranno in modo diverso dalle imprese
oligopolistiche e dalle imprese che operano in regime di concorrenza monopolistica.
Questo comportamento (o condotta) a sua volta influenza la performance dell’impresa: i suoi
profitti innanzitutto. In molti casi influenza anche la performance di altre imprese. La condotta
aggregata di tutte le imprese di un’industria influenza la performance dell’intera industria. A partire
dal lavoro di Joe Bain, si è pensato all’esistenza di una relazione causale che lega la struttura del
mercato alla condotta delle imprese e quest’ultima alla performance dell’industria:
STRUTTURA → CONTINUITA’ → PERFORMANCE
Più recentemente sono stati avanzati dei dubbi sulla natura unidirezionale della relazione e si è
messo in evidenza come potrebbero svilupparsi delle retroazioni: ad esempio dalla condotta alla
struttura.
In questo capitolo, studieremo anzitutto le due forme estreme di mercato: la concorrenza perfetta e
il monopolio (parr. 2 e 3). Vedremo poi i casi intermedi di concorrenza monopolistica e oligopolio
(parr. 4 e 5).
Di solito ci si riferisce a questi due casi intermedi con l’espressione concorrenza imperfetta. Anche
se gran parte delle imprese del mondo reale operano in concorrenza imperfetta, è comunque utile
studiare i due casi estremi, in quanto forniscono un punto di riferimento per capire la realtà
economica. Alcune industrie tendono ad avere una forma di mercato simile alla concorrenza
perfetta, per cui non è sorprendente che anche la loro performance si avvicini ad essa. Altre
industrie sono invece più vicine al monopolio (ad esempio, quando c’è un’impresa dominante e
molte piccole imprese): in questi casi la performance dell’industria assomiglia a quella del modello
di monopolio.
109
2. CONCORRENZA PERFETTA
Cosa succede quando ci sono molte imprese che competono tra loro? Quali sono le conseguenze per
i consumatori?
La teoria della concorrenza perfetta illustra una forma di mercato estrema: le imprese sono
completamente sottoposte alle forze di mercato; non hanno alcun potere di influenzare il prezzo del
prodotto; il prezzo a cui vendono è determinato dall’interazione della domanda e dell’offerta di
mercato.
2.1. Le ipotesi della concorrenza perfetta
Il modello della concorrenza perfetta si basa su quattro ipotesi fondamentali.
Esiste un numero molto elevato di imprese nell’industria. Di conseguenza, la singola
impresa produce una quota trascurabile dell’offerta totale.
Tutte le imprese producono un prodotto identico; in altre parole, il prodotto è omogeneo. Gli
acquirenti non distinguono tra marche neanche se sono esposti a pubblicità persuasiva.
Acquirenti e venditori hanno una conoscenza perfetta del mercato: tutte le informazioni
rilevanti sono di pubblico dominio.
Esiste completa libertà di entrata e di uscita nell’industria da parte di nuove imprese. Le
imprese già operative non sono in grado di impedire ad altre imprese di entrare
nell’industria. Tuttavia, dal momento che per fondare una nuova impresa occorre del tempo,
la condizione di libertà di entrata opera solo nel lungo periodo.
Le prime tre ipotesi, se valgono congiuntamente, implicano che nessuno può influire sul prezzo di
mercato. Tutte le imprese e i loro clienti sono dunque price-taker. Tali ipotesi sono piuttosto
restrittive e poche industrie al mondo le soddisfano. Alcuni mercati agricoli, forse, si avvicinano al
modello della concorrenza perfetta. Il mercato delle patate può esserne un esempio. Un coltivatore
di patate deve subire la concorrenza di un numero talmente elevato di coltivatori che non può
influenzare il prezzo di mercato; c’è libertà di entrata per tutti quelli che vogliano iniziare a
coltivare patate; per ogni varietà di patate, ciascun coltivatore produce un prodotto virtualmente
identico a quello di ciascun altro concorrente; infine, il grado di conoscenza del mercato
da parte di produttori e consumatori è molto elevato.
2.2. L’equilibrio di breve periodo dell’impresa
La determinazione di prezzo, output e profitto nel breve periodo in concorrenza perfetta può essere
ben illustrata in un grafico. La figura 5.1 mostra l’equilibrio di breve periodo di un’industria (parte
a) e di un’impresa (parte b) in condizioni di concorrenza perfetta. Entrambe le parti del grafico
hanno la stessa scala sull’asse verticale, mentre gli assi orizzontali hanno scale diverse, in quanto la
prima misura la quantità scambiata nell’industria (Q) mentre la seconda si riferisce a quella relativa
alla singola impresa (q). La quantità scambiata dall’industria è data dalla somma delle quantità
m
scambiate dalle imprese esistenti: Q = ∑ qi . Se ad esempio l’asse i =1 orizzontale dell’impresa
i =1
fosse misurato in migliaia di unità, l’asse orizzontale per l’industria dovrebbe essere misurato in
milioni o decine di milioni di unità, in base al numero di imprese presenti nell’industria.
Esaminiamo ora la determinazione di prezzo, quantità e profitto.
2.2.1. Prezzo
Il prezzo (pe) è determinato dall’intersezione tra domanda e offerta di mercato nella figura Sia.
Essendo l’impresa price-taker, a questo prezzo ha una curva di domanda orizzontale. Essa può
vendere quanto desidera al prezzo di mercato (pe), ma non può vendere nulla a un prezzo superiore.
110
Se praticasse un prezzo inferiore a pe potrebbe conquistare l’intera domanda di mercato (che non
sarebbe comunque in grado di soddisfare) ma si aspetterebbe una reazione immediata da parte delle
concorrenti per cui, tenuto conto ditale reazione, non ci sarebbe alcun vantaggio nel ridurre il
prezzo rispetto a pe
2.2.2. Quantità
L’impresa massimizza il proprio profitto quando il costo marginale eguaglia il ricavo marginale
(RMG = CMG), quindi a un output pari a qe nella figura 5.1b. Si noti che, poiché il prezzo non è
influenzato dall’output dell’impresa, il ricavo marginale è uguale al prezzo.
2.2.3. Profitto
Se la curva di costo medio (CME) risulta al di sotto della curva del ricavo medio (RME), l’impresa
otterrà extraprofitti. L’extraprofitto unitario in corrispondenza di qe la differenza verticale tra RME
e CME. L’extraprofitto totale è dunque dato dal rettangolo ombreggiato in figura 5.1b (i profitti
unitari per la quantità venduta). L’impossibilità di entrata nel breve periodo giustifica la presenza di
extraprofitti in questa forma di mercato. Nel caso in cui tutte le imprese fossero identiche, il
rapporto tra Q, e q individuerebbe il numero di imprese presenti sul mercato (n).
2.3. La curva di offerta di breve periodo
La curva di offerta di breve periodo dell’impresa, per quantità prodotte strettamente positive,
coincide con il tratto crescente (superiore al costo variabile medio) della sua curva di costo
marginale (di breve periodo). Perché? La curva di offerta mostra quanto output verrà offerto in
corrispondenza di ciascun prezzo: mette il prezzo in relazione con la quantità. La curva di costo
marginale mette la quantità in relazione con il costo marginale. Ma, dato che, in concorrenza
perfetta, p = RAIG e RMG = CMG, p deve essere uguale a CMG al fine di massimizzare il profitto.
Per questo la curva di offerta e quella di costo marginale devono coincidere.
Ad esempio, nella figura 5.2b, se il prezzo fosse p1, il profitto verrebbe massimizzato in
corrispondenza di q1, dove p1 = CMG. Quindi il punto a si trova sulla curva di offerta.
Analogamente in corrispondenza del prezzo p2 verrebbe prodotta la quantità di output q2. Anche il
punto b si troverebbe sulla curva di offerta, e così via.
Così, in concorrenza perfetta, la curva di offerta di un’impresa dipende interamente dall’andamento
dei suoi costi di produzione. Ciò ci permette di capire perché la curva di offerta di un’impresa è
crescente. Dal momento che il costo marginale aumenta al crescere dell’output, sarà necessario un
prezzo più elevato per indurre l’impresa ad aumentare il suo output. Si noti che l’impresa non
produrrà comunque a un prezzo inferiore al costo variabile medio minimo (cap. 4, par. 4.3.4), in
111
quanto in tal caso è certo che, se q> 0, l’impresa subirà una perdita. In questa situazione la funzione
di offerta dell’impresa coincide con l’asse verticale (q = 0).
Quale sarà la curva di offerta di breve periodo dell’intera industria? Basterà semplicemente fare la
somma delle curve di offerta di breve periodo (e quindi delle curve CMG) di tutte le imprese
dell’industria2.
2.4. L’equilibrio di lungo periodo dell’impresa
Nel lungo periodo, se le imprese già operative ottengono extraprofitti, nuove imprese saranno
attirate nell’industria. Inoltre, le imprese già operative potrebbero trovare conveniente aumentare la
produzione, dal momento che in un’ottica di lungo periodo possono variare tutti i fattori produttivi.
L’effetto dell’entrata di nuove imprese e/o dell’espansione delle imprese esistenti è comunque un
aumento dell’offerta dell’industria (illustrato in fig. 5.3a). In corrispondenza del prezzo p1 si
ottengono extraprofitti. La curva di offerta dell’industria quindi si sposterà verso destra in seguito
all’entrata di nuove imprese.
2
Dal punto di vista grafico si tratta di una somma orizzontale, dal momento che sono solo le quantità ad essere
sommate.
112
Ciò a sua volta provoca una riduzione del prezzo. L’offerta continuerà ad aumentare e il prezzo a
diminuire, finché le imprese non otterranno soltanto profitti normali, cioè quando il prezzo
diminuisce fino al punto in cui la curva di domanda dell’impresa è tangente al punto di minimo
della sua curva di costo medio di lungo periodo, che è anche punto di intersezione con la curva del
costo marginale di lungo periodo: qL è quindi l’output di equilibrio di lungo periodo della singola
impresa,
e
pL
è
il
prezzo
di
equilibrio
di
lungo
periodo.
Poiché la curva CMELP è ottenuta come inviluppo inferiore di tutte le curve CMEBP (cap. 4, par.
2), l’equilibrio di lungo periodo soddisfa la seguente condizione:
CMELP = CMEBP = CMG = RMG = RME
Tale situazione è descritta graficamente nella figura 5.4.
2.5. Incompatibilità tra concorrenza perfetta ed economie di scala
Perché la concorrenza perfetta è rara nel mondo reale — ammesso che esista davvero?
Una delle ragioni più importanti è data dalle economie di scala. In molte industrie le imprese
devono essere sufficientemente grandi per poter sfruttare a pieno le potenziali economie di scala.
Ma la concorrenza perfetta implica l’esistenza di molte imprese, che devono necessariamente essere
piccole, spesso troppo piccole per poter beneficiare di economie di scala. Quando una piccola
impresa si espande e riesce a fruire di economie di scala è in grado di praticare prezzi inferiori a
quelli delle imprese più piccole, costringendole a uscire dal mercato. In tal modo la concorrenza
perfetta viene meno.
Condizioni di concorrenza perfetta possono quindi permanere a patto che non vi siano significative
economie di scala.
2.6. La concorrenza perfetta è un bene per i consumatori?
Si sostiene generalmente che la concorrenza perfetta sia un «bene» e che dovrebbe esserci maggiore
concorrenza all’interno delle industrie e dei mercati. Analizzeremo più in dettaglio queste
affermazioni dopo aver illustrato anche il caso del monopolio (par. 3.4), ma già adesso siamo in
grado di identificare le principali argomentazioni a favore della concorrenza perfetta.
• Il prezzo è uguale al costo marginale. Perché un’evenienza del genere è da ritenersi un bene? Per
rispondere a questa domanda considerate il caso in cui prezzo e costo marginale fossero diversi. Se
il prezzo fosse maggiore del costo marginale, il mercato darebbe alla produzione di unità aggiuntive
113
del bene un valore (p) superiore di quanto non costi produrle (CMG). Si dovrebbe quindi produrne
di più. Viceversa, se il prezzo fosse minore del costo marginale, il mercato attribuirebbe un valore
inferiore alle unità aggiuntive del bene di quanto non costi produrle. Si dovrebbe quindi produrne
dimeno. Di conseguenza solo quando prezzo e costo marginale sono uguali il livello di produzione è
quello giusto. E, come vedremo in seguito, solo in concorrenza perfetta p = CMG.
• Il fatto che le imprese (nel lungo periodo) producano al costo medio minimo e che ottengano solo
profitti normali mantiene i prezzi al livello più basso possibile.
• La concorrenza perfetta implica la «sopravvivenza dei migliori». Le imprese inefficienti, non
essendo in grado di conseguire neanche profitti normali, dovranno lasciare il mercato. Tutto ciò
incoraggia le imprese ad essere il più efficienti possibile e, quando risulta fattibile, a investire in
nuova tecnologia. In generale, è possibile sostenere che i mercati di concorrenza perfetta
permettono di raggiungere l’efficienza economica.
114
3. MONOPOLIO
Cosa succede sul mercato quando opera una sola impresa? Quali sono gli effetti sui consumatori?
3.1. Cos’è un monopolio?
Questa domanda può sembrare retorica. La risposta infatti sembra ovvia. Si ha monopolio quando
c’è una sola impresa nell’industria.
L’efficienza economica a livello sociale è raggiunta quando ogni bene è prodotto al costo minimo e
quando il consumatore ottiene il massimo beneficio dagli acquisti.
Tuttavia, non è sempre chiaro quando un’industria debba essere classificata come monopolistica.
Dipende dall’ampiezza scelta per la definizione dell’industria stessa. Ad esempio, un’impresa
tessile può avere il monopolio su alcuni tipi di tessuto, ma non su tutti i tessuti in generale.
Il consumatore può acquistare tessuti alternativi da altre imprese. Un’impresa di trasporti ferroviari
può avere il monopolio sui servizi ferroviari tra due città, ma non ha il monopolio nel trasporto
pubblico su quella tratta. Si può viaggiare anche in pullman o in aereo, o con automobili private.
In una certa misura, i confini di un’industria sono arbitrari. Ciò che è più importante per un’impresa
è il grado di potere monopolistico che esercita, che a sua volta dipende dal grado di sostituibilità del
proprio prodotto con i prodotti offerti dalle altre imprese. In molti paesi, la fornitura di energia
elettrica avviene in regime di monopolio. L’impresa monopolista non ha concorrenti che possano
fornire energia elettrica per l’illuminazione e gli elettrodomestici; tuttavia, nel caso della fornitura
di energia per il riscaldamento domestico potrebbero esserci imprese concorrenti in grado di fornire
energia alternativa quale gas, petrolio e carbone.
3.2. Barriere all’entrata
Affinché un’impresa riesca a mantenere una posizione monopolistica, ci devono essere barriere
all’entrata sufficientemente elevate. Esse possono assumere forme diverse.
Economie di scala. Se il costo medio del monopolista, a causa dell’esistenza di notevoli economie
di scala, si riduce all’aumentare della sua offerta, è possibile che non più di un produttore sia in
grado di rimanere nell’industria facendo profitto. Questo caso è noto come monopolio naturale.
Tale situazione si verifica con maggiore probabilità quando il mercato servito è di dimensioni
ridotte. Ad esempio, due imprese di trasporto in competizione tra loro possono valutare che non
convenga servire la stessa tratta, mentre una sola impresa potrebbe farlo con profitto servendo
l’intera domanda. L’erogazione di energia elettrica attraverso una rete nazionale è un altro esempio
di monopolio naturale.
Anche quando il mercato potrebbe sostenere più di un’impresa, un nuovo entrante potrebbe non
essere in grado di iniziare a produrre su larga scala. In tal caso il monopolista che già gode di
economie di scala può praticare un prezzo inferiore al costo medio di produzione del potenziale
entrante, scoraggiandone l’entrata. Se invece il nuovo entrante è un’impresa già operativa su un
altro mercato, potrebbe essere in grado di affrontare la concorrenza del monopolista e riuscire a
entrare nel mercato.
Economie di varietà. È probabile che un’impresa che realizza una vasta gamma di prodotti abbia
un costo medio di produzione inferiore a quello dei potenziali entranti. Ad esempio, una grande
azienda farmaceutica che produce una vasta gamma di farmaci e cosmetici può suddividere tra i
suoi prodotti i costi di ricerca e sviluppo, di marketing, di magazzino e di trasporto.
Tutto ciò rende più difficoltosa l’entrata sul mercato a una nuova impresa monoprodotto, dal
momento che l’impresa esistente potrà diminuire i prezzi, causandone l’uscita.
Differenziazione del prodotto e fedeltà alla marca. Se un’impresa produce un prodotto
chiaramente differenziato da quelli esistenti, e il consumatore associa quel prodotto a una marca,
sarà molto difficile per una nuova impresa entrare in quel mercato. Nel 1895 l’americano Gillette
115
inventò il rasoio di sicurezza che brevettò in seguito nel 1904. Anche ora, a distanza di un secolo
(con il monopolio legale decaduto da un pezzo), non è infrequente sentire chiamare indistintamente
tutti i rasoi Gillette, oppure chiamare le penne a sfera Biro, e così via. Questo tipo di barriera può
operare anche quando il mercato è sufficientemente grande da permettere a due imprese di sfruttare
le economie di scala esistenti. In altre parole, qui il problema del potenziale entrante non è riuscire a
produrre a costi sufficientemente bassi, ma riuscire a offrire un prodotto che attiri i consumatori
fedeli al marchio della concorrente.
Costi inferiori per un’impresa esistente. Un monopolista avrà sviluppato competenze nel campo
della produzione e del marketing, sarà probabilmente a conoscenza delle tecniche di produzione più
efficienti e dei fornitori più affidabili o più convenienti, sarà inoltre in grado di accedere al credito a
condizioni vantaggiose. È quindi probabile che operi con costi più bassi rispetto a un potenziale
entrante. Quest’ultimo avrà notevoli difficoltà a competere con l’impresa monopolista e non potrà
sopravvivere a una guerra di prezzo.
Vediamo ora altri esempi di barriere all’entrata, basate sulla minaccia credibile di comportamento
aggressivo del monopolista nei confronti del potenziale entrante.
Proprietà o controllo di importanti fattori di produzione. Un’impresa che controlla l’offerta di
input cruciali (ad esempio, in quanto proprietaria dell’unico fornitore di qualche componente), può
non metterli a disposizione dei potenziali concorrenti. A livello mondiale, la De Beers ha il
monopolio per quanto riguarda i diamanti lavorati perché tutti i produttori di diamanti
commercializzano la loro produzione tramite di essa.
Proprietà o controllo delle reti di vendita al dettaglio o all’ingrosso. Analogamente, se
un’impresa controlla tutte le reti di vendita possibili, può impedire ai potenziali entranti di avere
accesso ai consumatori.
Protezione legale. La posizione monopolistica dell’impresa può essere protetta da brevetti su
processi produttivi, da diritti di autore, da varie forme di licenze e da dazi doganali e altre restrizioni
agli scambi. Molti nuovi farmaci sviluppati dalle aziende farmaceutiche (ad esempio quelli antiAIDS) e il sistema operativo Windows costituiscono un esempio di monopolio basato sul rilascio di
un brevetto.
Fusioni e acquisizioni. Il monopolista può lanciare un’offerta di acquisto sull’entrante,
scoraggiandone in tal modo l’entrata.
Tattiche aggressive. Un monopolista può probabilmente sostenere perdite più a lungo di un nuovo
entrante, per cui può iniziare una guerra di prezzo, lanciare massicce campagne pubblicitarie, offrire
servizi allettanti alla clientela, introdurre nuovi marchi per competere con il nuovo entrante, ecc.
Intimidazione. Il monopolista può anche ricorrere a tutta una serie di minacce, lecite o illecite, per
indurre un nuovo entrante a uscire dal mercato.
3.3. Prezzo e output di equilibrio
Poiché per definizione c’è una sola impresa sul mercato, la curva di domanda dell’impresa coincide
con la curva di domanda dell’industria. Rispetto ad altre forme di mercato, la domanda in
monopolio tende a essere meno elastica a ogni livello di prezzo. Se il monopolista aumenta il
prezzo, i consumatori non hanno alternative: o comprano a un prezzo maggiore, o rinunciano al
prodotto.
A differenza dell’impresa che opera in concorrenza perfetta, l’impresa monopolistica, variando la
quantità offerta, è pertanto in grado di influenzare il prezzo. E però pur sempre vincolata dalla curva
di domanda: un aumento del prezzo ridurrà la quantità domandata, come illustrato dalla curva di
domanda decrescente rappresentata nella figura 5.5.
Come accade anche in altre forme di mercato, il monopolista massimizza il profitto quando
RMG=CMG. Nella figura 5.5, quindi, il profitto è massimo quando l’output è pari a qm.
L’extraprofitto è indicato dall’area ombreggiata. Questo profitto tende a essere tanto maggiore
quanto meno elastica è la curva di domanda (cioè quanto più ripida è la curva RMG), e quindi
116
quanto maggiore è la differenza tra prezzo (RME) e ricavo marginale. L’elasticità effettiva dipende
dal grado di sostituibilità del prodotto considerato con i prodotti forniti da altre industrie.
Ad esempio, la domanda di servizi ferroviari è molto meno elastica (e il profitto potenziale
maggiore) se non ci sono servizi di autobus sulla stessa tratta. Poiché esistono barriere all’entrata,
l’extraprofitto del monopolista nel lungo periodo non viene eroso dalla concorrenza. L’unica
differenza tra l’equilibrio di breve e di lungo periodo, quindi, è che nel lungo periodo l’impresa
produce quella quantità di output per cui ricavo marginale e costo marginale di lungo periodo sono
uguali.
3.4. Monopolio, concorrenza perfetta e benessere sociale
Abbiamo visto che un monopolista sceglie un livello di output e un prezzo del tutto diversi da quelli
che si determinano in un’industria perfettamente concorrenziale.
Confronto sul prezzo e sull’output nel breve periodo. La figura 5.6 permette di confrontare
l’equilibrio in un’industria monopolistica con quello di un’industria perfettamente concorrenziale in
grado di produrre un bene con la stessa tecnologia e quindi con le stese curve di costo.
Nell’industria monopolista si produce la quantità Qm al prezzo pm, in modo che RMG = CMG. In
concorrenza perfetta, si produce Qc, al prezzo pc — una quantità maggiore a un prezzo inferiore. Ma
perché? La ragione è che per ciascuna impresa che opera nell’industria — ed è a questo livello che
vengono prese le decisioni — il ricavo marginale è uguale al prezzo. Ricordiamo che l’impresa
perfettamente concorrenziale fronteggia una curva di domanda perfettamente elastica, che coincide
con la RMG (si veda la fig. 5.1). Quindi produrre dove CMG = R.MG significa anche produrre
dove CMG = p. Quando tutte le imprese in concorrenza perfetta si comportano in questo modo, il
prezzo e la quantità di equilibrio dell’industria saranno pari a pc, e Qc nella figura 5.6.
Ceteris paribus, quindi, i consumatori preferiscono la concorrenza perfetta al monopolio.
Prezzo e output ne/lungo periodo. In concorrenza perfetta, la libertà di entrata e rode
l’extraprofitto e costringe le imprese a produrre nel punto di minimo della loro curva CMELP. Ciò
permette di mantenere bassi i prezzi nel lungo periodo. In monopolio, invece, le barriere all’entrata
consentono di mantenere gli extraprofitti nel lungo periodo. il monopolista non è costretto a operare
nel punto di minimo della curva di costo medio. Ciò implica che, ceteris paribus, in monopolio i
prezzi di lungo periodo saranno più elevati di quelli in concorrenza perfetta, e conseguentemente la
quantità scambiata sarà inferiore.
117
Ne risulta che i consumatori preferiranno la concorrenza perfetta, mentre per le imprese sarà più
vantaggioso il monopolio. Ci sarà dunque un conflitto di interessi tra consumatori, favorevoli alla
concorrenza, e imprese, favorevoli al monopolio3.
Costi in regime di monopolio. Un’ipotesi cruciale del nostro ragionamento è che le curve di costo
siano le stesse nelle due diverse forme di mercato. Nel lungo periodo un’impresa che operi in
condizioni di concorrenza perfetta per sopravvivere deve usare le tecniche più efficienti e
sviluppare nuove tecnologie ogni qual volta sia possibile. Il monopolista, invece, protetto dalle
barriere all’entrata, può sempre ottenere profitti anche se non usa le tecniche produttive più
efficienti. Egli, quindi, ha meno incentivo all’efficienza. Per questa ragione, i costi di produzione
potrebbero essere maggiori in monopolio che non in concorrenza perfetta.
D’altra parte, in monopolio è possibile raggiungere notevoli economie di scala collegate alla
maggiore dimensione degli impianti, a un’amministrazione accentrata e al fatto di poter evitare
costose duplicazioni. Se il risultato è un costo marginale considerevolmente inferiore a quello di
un’impresa che opera in concorrenza perfetta, il monopolio potrebbe anche produrre un output
maggiore a un prezzo inferiore.
Un’altra ragione che potrebbe permettere a un monopolista di operare a costi inferiori è che egli ha
la possibilità di impiegare gli extraprofitti in ricerca e sviluppo e in nuovi investimenti. Potrebbe
non avere gli stessi incentivi all’efficienza di un’impresa perfettamente concorrenziale, ma potrebbe
disporre di maggiori risorse con cui tentare di diventare più efficiente rispetto a una piccola impresa
con fondi limitati.
Nonostante l’impresa monopolistica non abbia alcun rivale sul mercato dei beni, deve guardarsi dal
mercato finanziario. Un monopolio con costi potenzialmente bassi e gestito in modo inefficiente
potrebbe essere acquisito da un’altra impresa. La concorrenza per il controllo dell’impresa costringe
a suo modo un’impresa monopolistica all’efficienza: dovrà impegnarsi a mantenere elevato il valore
delle sue azioni in modo da renderne più difficile l’acquisizione.
Innovazione e nuovi prodotti. La promessa di extraprofitti, magari protetti da brevetti, potrebbe
incoraggiare lo sviluppo di nuove industrie monopolistiche che producano nuovi prodotti. È proprio
la possibilità di ottenere tali notevoli profitti che convince alcuni a intraprendere certi tipi di attività.
3
Se il surplus del consumatore e i profitti delle imprese sono valutati allo stesso modo nel formare il benessere sociale,
si può evincere (fig. 5.5) che, essendo la perdita di surplus dei consumatori nel passaggio dalla concorrenza perfetta al
monopolio superiore al guadagno delle imprese, si dovrebbe preferire la concorrenza perfetta. In monopolio si realizza
dunque una perdita secca (dead weight loss) in termini di benessere (cap. 6, par. 2.1.2).
118
3.5. Concorrenza potenziale o potenziale monopolio? La teoria dei mercati contendibili
3.5.1. Concorrenza potenziale
La teoria dei mercati contendibili, sviluppata da Baumol, Panzar e Willig, sostiene che ciò che
influenza in modo cruciale la determinazione del prezzo e della quantità non è solo la forma di
mercato effettiva — più o meno concorrenziale —, ma anche l’esistenza di una minaccia di
concorrenza.
Se un monopolio è protetto da elevate barriere all’entrata — ad esempio perché l’impresa
monopolistica controlla l’accesso a tutte le materie prime — allora sarà in grado di ottenere
extraprofitti anche nel lungo periodo senza timore di concorrenza. Se invece un altro soggetto
avesse la possibilità di acquisire l’impresa monopolistica, questa si comporterebbe in modo più
simile a un’impresa concorrenziale. La minaccia di concorrenza ha un effetto simile alla
concorrenza effettiva.
Consideriamo ad esempio un’impresa di catering cui venga dato il permesso di gestire le mense di
un’azienda. Essa ha il monopolio dell’offerta di cibo ai lavoratori dell’azienda, ma se inizia a
praticare prezzi elevati o a fornire un servizio scadente, l’azienda potrebbe offrire la gestione della
mensa a un’altra impresa. Questa minaccia costringerà l’impresa di catering a praticare prezzi
ragionevoli e a fornire un buon servizio.
3.5.2. Mercati perfettamente contendibili
Un mercato è perfettamente contenWbile quando i costi di entrata e di uscita
da parte di potenziali rivali con la stessa tecnologia del monopolista sono nulli; quindi l’entrata può
avvenire molto rapidamente. In tali casi, quando si presenta l’occasione di ottenere extraprofitti,
nuove imprese entreranno nel mercato, facendo scendere il profitto del monopolista al suo livello
normale. La sola minaccia di un’evenienza di questo tipo, secondo la teoria dei mercati contendibii,
assicura che l’impresa già operante sul mercato mantenga bassi i prezzi in modo da ottenere
soltanto un profitto normale, e produca nel modo più efficiente possibile sfruttando tutte le possibili
economie di scala e ogni nuova tecnologia. Se l’impresa monopolistica non si comportasse in
questo modo, allora si avrebbe l’entrata di nuove imprese e la concorrenza da potenziale
diventerebbe effettiva.
3.5.3. Mercati contendibili e monopoli naturali
Perché allora in questi casi i mercati non sono effettivamente di concorrenza perfetta? Perché
continuano a sussistere condizioni di monopolio? La causa di questa apparente incongruenza sta
nelle economie di scala e nella dimensione del mercato. A volte, per operare con una scala minima
efficiente, l’impresa monopolistica deve avere una dimensione sufficientemente grande rispetto a
quella del mercato, talmente grande da non poter lasciare spazio a una seconda impresa. Se una
nuova impresa entra nel mercato, allora una delle due non sopravviverà, perché il mercato non è
abbastanza grande per entrambe. E il caso del cosiddetto monopolio naturale. Se non esistono costi
di entrata o di uscita, nuove imprese, ammesso che ritengano di essere più efficienti dell’impresa
già esistente, vorranno entrare nel mercato anche se c’è spazio per una sola di esse. L’impresa
monopolistica, consapevole della situazione, sarà costretta alla massima efficienza e otterrà un
livello di profitto non superiore a quello normale.
3.5.4. L’Importanza dell’uscita senza costi
Per creare una nuova impresa di solito sono necessarie spese ingenti in impianti e macchinari. Una
volta che il capitale è stato impegnato, esso diventa un costo fisso. Se quest’ultimo non è superiore
119
a quello dell’impresa già operativa, allora l’entrante potrebbe vincere la battaglia; nulla però lo
garantisce. Ma cosa significa esattamente vincere o perdere la battaglia? In caso di insuccesso
l’entrante non potrebbe semplicemente spostarsi su un altro mercato? La cosa non è tanto semplice
se ci sono ingenti costi di uscita. Questo accade nel caso in cui il capitale investito non possa essere
trasferito ad altri usi. In questi casi i costi fissi prendono il nome di costi fissi irrecuperabili (sunk
costs). L’impresa che si vede costretta a uscire dal mercato si ritrova con un capitale strumentale
che non può essere utilizzato altrimenti. Questo potrebbe scoraggiarla dall’entrare, consentendo
all’impresa già operativa di ottenere extraprofitti. Se invece il capitale strumentale può essere
trasferito, i costi di uscita saranno nulli (o comunque molto bassi) e i potenziali entranti saranno
disposti a correre il rischio. Ad esempio, un’impresa di trasporto su ruota potrebbe decidere di
aprire lo stesso servizio su una linea già servita, sulla quale c’è mercato per una sola impresa. Se
l’entrante ne esce perdente, potrà sempre utilizzare i suoi mezzi di trasporto su un’altra linea, in
quanto il loro costo non è irrecuperabile. La possibilità di uscire senza sostenere costi incoraggia
quindi nuove imprese a entrare in un’industria, consapevoli che, in caso di insuccesso, potranno
trasferire il loro capitale altrove, senza comprometterne eccessivamente il valore.
Quanto minori sono i costi di uscita, tanto più contendibile sarà il mercato. In tal caso le imprese già
operanti in mercati simili sono in grado di competere veramente con i monopolisti, in quanto,
nell’eventualità di insuccesso, possono semplicemente trasferire il capitale da un mercato all’altro.
Ad esempio, studi sulle compagnie aeree negli Stati Uniti mostrano che l’entrata su una particolare
rotta potrebbe essere più facile per una compagnia già operativa, che può semplicemente trasferire
aerei già in suo possesso da una rotta all’altra.
3.5.5. Contendibilità e benessere sociale
Quanto più contendibile è il mercato, tanto più un’industria, anche monopolistica, sarà costretta a
operare in condizioni simili a quelle della concorrenza perfetta. Quindi, se un monopolio opera in
un mercato perfettamente contendibile, non solo sarà in grado di operare a costi bassi in virtù delle
economie di scala, ma manterrà profitti e prezzi bassi per effetto della concorrenza potenziale.
120
4. CONCORRENZA MONOPOLISTICA
Cosa succede se ci sono molte imprese concorrenti ma ciascuna di esse cerca di conquistare il
consumatore con un particolare prodotto?
Pochissimi mercati in pratica possono essere classificati come perfettamente concorrenziali o come
puri monopoli. La maggior parte delle imprese compete con altre imprese, spesso in modo piuttosto
aggressivo, senza essere necessariamente price-taker; esse hanno invece un certo potere di mercato.
La maggior parte dei mercati si colloca quindi in posizione intermedia rispetto agli estremi del
monopolio e della concorrenza perfetta: nel regno della concorrenza imperfetta. Come abbiamo
visto nel paragrafo 1, ci sono due tipi di concorrenza imperfetta: la concorrenza monopolistica e
l’oligopolio. La concorrenza monopolistica è più vicina alla situazione perfettamente
concorrenziale. Si caratterizza per un elevato numero di imprese concorrenti, almeno nel lungo
periodo, ognuna delle quali ha però un certo potere di mercato, almeno nel breve periodo; da qui il
termine concorrenza monopolistica.
4.1. Le ipotesi della concorrenza monopolistica
Il modello della concorrenza monopolistica, dovuto a Chamberlin, si basa sulle seguenti ipotesi:
•
•
•
Esiste un numero piuttosto elevato di imprese. Di conseguenza, ciascuna di esse ha una
quota piccola di mercato, e quindi le sue azioni non influenza- no le imprese concorrenti in
modo rilevante. Ciò significa che ciascuna impresa non deve preoccuparsi né delle azioni né
delle reazioni delle sue concorrenti: non c’è interazione strategica tra le imprese (come
vedremo in seguito, l’interazione strategica tra le imprese è invece la caratteristica distintiva comune agli oligopoli).
C’è libertà di entrata nell’industria. Se un’impresa volesse iniziare a operare nel mercato,
sarebbe libera di farlo. In base a queste caratteristiche, quindi, la concorrenza monopolistica
è come la concorrenza perfetta.
A differenza della concorrenza perfetta, tuttavia, ciascuna impresa produce un prodotto o
fornisce un servizio differenziato rispetto ai concorrenti. Di conseguenza essa può
aumentare il prezzo senza perdere tutta la domanda. La sua curva di domanda è decrescente,
pur essendo piuttosto elastica dato l’elevato numero di imprese concorrenti alle quali i
consumatori si possono rivolgere.
I distributori di benzina, i ristoranti, i parrucchieri e i costruttori possono essere citati come esempi
di imprese che operano in concorrenza monopolistica. Una caratteristica tipica della concorrenza
monopolistica è che, nonostante nel mercato ci siano molte imprese, ciascuna di esse occupa una
particolare nicchia. E particolarmente evidente nel caso della distribuzione al dettaglio. In una città
possono esserci molte edicole, ma ce ne sarà solo una in una particolare strada. In un certo senso,
ciascuna opera come un monopolio locale: la gente potrebbe infatti essere disposta a pagare prezzi
più elevati per non essere costretta ad andare più lontano e perdere più tempo per un certo acquisto.
4.2. Equilibrio dell’impresa
4.2.1. Breve periodo
Come nelle altre forme di mercato, anche in concorrenza monopolistica la massimizzazione del
profitto implica che CMG = RMG. Il grafico è uguale a quello dell’impresa monopolistica, a parte
il fatto che le curve RME e RMG sono più elastiche, come illustrato in figura 5.7a. Analogamente
alla concorrenza perfetta, l’impresa che opera in condizioni di concorrenza monopolistica può
ottenere extraprofitti nel breve periodo, come evidenziato dall’area ombreggiata.
121
L’ammontare dei profitti di breve periodo dipende dai parametri della domanda. Quanto meno
elastica e quanto più spostata a destra è la curva di domanda rispetto alla curva del costo medio,
tanto maggiore è il profitto di breve periodo. Quindi un impresa il cui prodotto sia molto
differenziato da quelli dei concorrenti potrebbe ottenere elevati profitti di breve periodo.
4.2.2. Lungo periodo
Se le imprese ottengono extraprofitti, nel lungo periodo nuove imprese entreranno nel mercato. Così
facendo, distoglieranno clienti dalle imprese esistenti, facendone diminuire la domanda. Il processo
continuerà e la curva di domanda delle imprese esistenti si sposterà verso sinistra fino ad azzerare
completamente gli extraprofitti. Ci sarà equilibrio di lungo periodo solo quando non vi saranno più
extraprofitti; in tal caso non vi sarà più incentivo all’entrata o all’uscita di imprese (fig. 5.7b). La
curva di domanda dell’impresa si sposta in pL, dove è tangente alla curva CMELP. La quantità
prodotta è qL, in corrispondenza della quale pL = CMELP e RMG = CMGLP. Per qualunque altro
livello di output, CMELP è maggiore di p e quindi le imprese subirebbero perdite.
4.3. Concorrenza non di prezzo
Uno dei problemi principali del semplice modello della figura 5.7 è che in esso le uniche decisioni
prese dall’impresa riguardano il prezzo e l’output. Nella pratica, tuttavia, l’impresa che opera in
concorrenza monopolistica deve anche decidere su altre variabili, quali ad esempio la varietà di
prodotto o la pubblicità. La concorrenza non di prezzo è caratterizzata da due dimensioni principali:
sviluppo del prodotto e pubblicità.
• Lo scopo principale dello sviluppo del prodotto è offrire un bene che si vende con facilità, cioè un
prodotto dalla domanda alta o potenzialmente alta: un prodotto ben differenziato da quelli
concorrenti, quindi con una domanda anelastica per l’assenza di sostituti. Nel caso di imprese che
forniscono servizi, lo sviluppo del prodotto consiste nel tentativo di fornire un servizio che sia
migliore, almeno per un sottoinsieme della domanda, di quello dei concorrenti.
• Lo scopo principale della pubblicità è la vendita del prodotto. Tale scopo può essere raggiunto non
soltanto informando i consumatori dell’esistenza del prodotto, ma anche tentando deliberatamente
di persuaderli ad acquistarlo. Analogamente allo sviluppo del prodotto, una pubblicità efficace
aumenta la domanda e rende la curva di domanda dell’impresa meno elastica, in quanto enfatizza le
caratteristiche peculiari del prodotto rispetto a quelli dei concorrenti.
Lo sviluppo del prodotto e la pubblicità però non soltanto aumentano la domanda per l’impresa, e
quindi i ricavi, ma generano anche maggiori costi. Qual è allora la quantità ottimale ditali variabili,
quella cioè che massimizza i profitti? Per ogni dato prezzo e prodotto, l’ammontare ottimo di
pubblicità, ad esempio, è quello in corrispondenza del quale il ricavo marginale (RMGp), vale a dire
122
l’incremento di ricavo dovuto ad un aumento unitario di pubblicità, è uguale al costo marginale
(CMGp), vale a dire l’incremento di costo dovuto a un aumento unitario di pubblicità. Fintantoché
RMGp> CMGp, ogni ulteriore aumento di pubblicità farà aumentare i profitti.
Ulteriori investimenti in pubblicità però condurranno ad aumenti sempre più contenuti delle
vendite, per cui RMG diminuisce, fino a quando RMGp = CMGp. A questo punto non è più
possibile aumentare il profitto: esso è già massimo. Questa analisi è efficace solo se è possibile
superare due problemi:
• l’effetto dello sviluppo del prodotto e della pubblicità sulla domanda è difficile da prevedere
e quindi è difficile calcolarne la curva di ricavo marginale;
• lo sviluppo del prodotto e la pubblicità hanno effetti diversi a diversi livelli di prezzo.
Quindi la massimizzazione del profitto richiede una scelta complessa di una combinazione
ottima di prezzo, tipo di prodotto, livello e tipo di pubblicità.
4.4. Concorrenza monopolistica e benessere sociale
4.4.1. Confronto con la concorrenza perfetta
Spesso si dice che la concorrenza monopolistica produce un’allocazione delle risorse meno
efficiente della concorrenza perfetta. La figura 5.8 confronta l’equilibrio di lungo periodo per due
imprese. Un’impresa opera in concorrenza perfetta e quindi ha una curva di domanda orizzontale.
Produce q1 al prezzop1. L’altra impresa opera in concorrenza monopolistica e quindi ha una curva di
domanda decrescente. Produce un output minore q2 a un prezzo maggiore p2. Un’ipotesi cruciale
qui è che entrambe le imprese abbiano la stessa curva di costo medio di lungo periodo CMELP.
Data questa ipotesi, possiamo dunque affermare che la concorrenza monopolistica presenta i
seguenti svantaggi rispetto alla concorrenza perfetta:
• in concorrenza monopolistica viene venduta una quantità di output minore a un prezzo
maggiore rispetto alla concorrenza perfetta;
• le imprese in concorrenza monopolistica non producono in modo tale da minimizzare il
costo medio di lungo periodo.
Volendo aumentare il livello di produzione per minimizzare il costo medio, le imprese in
concorrenza monopolistica vedrebbero ridursi il prezzo più del costo medio e si troverebbero quindi
in perdita. Per questa ragione esse producono con eccesso di capacità produttiva. Nella figura 5.8
questo eccesso di capacità è indicato come q1 — q2. In altre parole, la concorrenza monopolistica si
caratterizza per un numero abbastanza elevato di imprese che producono un livello subottimale di
123
output, e sono quindi costrette a praticare un prezzo piuttosto elevato. Quali sono le conseguenze
per il consumatore? Non sempre il prezzo in concorrenza monopolistica è tanto più elevato di
quello prevalente in concorrenza perfetta; la differenza potrebbe anche essere molto ridotta.
Nonostante la curva di domanda dell’impresa sia decrescente, essa sarà elastica nella misura in cui
esiste un gran numero di sostituti.
4.4.2. Confronto con il monopolio
Le osservazioni sono simili a quelle fatte nel confronto tra monopolio e concorrenza perfetta.
Da una parte, in concorrenza monopolistica, la libertà di entrata da parte di nuove imprese e quindi
l’assenza di extraprofitti nel lungo periodo dovrebbe contribuire a tenere più bassi i prezzi del
monopolio e a incoraggiare risparmi sui costi. D’altra parte, il monopolio è in grado di sfruttare
meglio le economie di scala e di ottenere maggiori fondi per investimenti e per spese di ricerca e
sviluppo.
124
5. OLIGOPOUO
Che cosa succede se poche imprese dominano il mercato? Ci sarà concorrenza spietata o
collusione?
Si ha oligopolio quando poche imprese offrono un determinato prodotto. Ci sono però differenze
significative tra i diversi tipi di oligopolio esistenti e tra i comportamenti delle imprese
oligopolistiche. Queste ultime possono produrre un prodotto praticamente identico (ad esempio,
metalli, zucchero, benzina, prodotti chimici), oppure prodotti differenziati (ad esempio, automobili,
sapone, sigarette, apparecchi elettrici). Gran parte della concorrenza oligopolistica in caso di beni
differenziati si gioca sulle variabili di marketing. Le politiche di marketing possono essere anche
molto diverse da oligopolio a oligopolio.
5.1. Le due caratteristiche principali dell’oligopolio
Nonostante le differenze esistenti tra i diversi oligopoli, due caratteristiche fondamentali
distinguono l’oligopolio dalle altre forme di mercato. Interdipendenza strategica tra le imprese.
Poiché in oligopolio operano poche imprese, ciascuna dovrà tener conto delle altre. Ciò significa
che esse sono strategicamente interdipendenti: il profitto di ciascuna impresa dipende non solo dalle
proprie scelte ma anche da quelle altrui. Se un’impresa cambia il prezzo o le caratteristiche del suo
prodotto, ad esempio, o l’ammontare delle spese in pubblicità, le vendite delle imprese concorrenti
ne saranno influenzate. Le altre imprese potranno reagire modificando a loro volta il prezzo, le
caratteristiche dei loro prodotti, la pubblicità. Nessuna impresa può permettersi di ignorare le azioni
e reazioni delle altre imprese operanti nell’industria.
E’ quindi molto più difficile, rispetto alle precedenti forme di mercato, prevedere l’effetto di una
variazione di prezzo di un’impresa sulle sue vendite; diverse congetture sul comportamento delle
rivali conducono a diverse strategie. Anche per questo motivo non c’è un unico modello di
oligopolio ma ne esiste una molteplicità. Barriere all’entrata. A differenza delle imprese in
concorrenza monopolistica, in oligopolio ci sono barriere all’entrata. Esse sono simili a quelle che
proteggono il monopolista dalla concorrenza potenziale. La dimensione ditali barriere varia però da
industria a industria: in alcuni casi l’entrata è relativamente facile, in altri praticamente impossibile.
Le imprese pongono in essere interazioni strategiche tra loro. Quando vi sono poche imprese a
concorrere su un mercato, esse, prima di scegliere le proprie strategie, devono prendere in
considerazione quelle messe in atto dalle rivali, perché influenzeranno significativamente i propri
risultati economici.
5.2. Concorrenza e collusione
Gli oligopolisti possono essere mossi da due esigenze contrastanti:
• Da un lato, eliminare l’interdipendenza strategica con i rivali, colludendo con questi ultimi al fine
di massimizzare il profitto congiunto, comportandosi, quindi, come monopolisti.
• Dall’altro lato, competere con i rivali per conquistare maggiori quote di mercato e quindi
conseguire profitti più elevati.
Queste due politiche sono incompatibili. Quanto più agguerrita è la concorrenza tra le diverse
imprese per ottenere quote maggiori di profitti, tanto minori diventeranno i profitti totali
dell’industria! Ad esempio, un’accesa concorrenza di prezzo può ridurre drasticamente il prezzo
medio dell’industria, mentre una concorrenza sulla pubblicità può far aumentare i costi
dell’industria in modo sensibile. In tutti e due i casi, è probabile che i profitti dell’industria
diminuiscano.
Talvolta le imprese colludono, altre volte no. Guarderemo prima all’oligopolio collusivo (sia
esplicito sia tacito); successivamente studieremo l’ oligopolio non collusivo.
125
5.3. Equilibrio di un’industria in oligopolio collusivo
Quando le imprese oligopolistiche colludono, possono accordarsi sui prezzi, sulle quote di mercato,
sulle spese in pubblicità, ecc. La collusione riduce il grado di incertezza nell’industria: riduce la
probabilità che avvenga una dispendiosa concorrenza di prezzo o che venga fatta pubblicità
comparativa, e quindi riduce il rischio di una drastica riduzione dei profitti.
Un accordo formale di collusione è noto come cartello. Il cartello massimizza i profitti congiunti dei
partecipanti; se partecipano al cartello tutte le imprese dell’industria, allora è come se queste,
insieme, costituissero un monopolio (fig. 5.9). Uno degli esempi più famosi di cartello è quello
dell’OPEC, formato dai più importanti paesi produttori di petrolio e costituito nel 1960. La
principale
politica perseguita dall’OPEC è evitare un’eccessiva riduzione del prezzo del petrolio, attraverso
l’istituzione di un sistema di quote produttive a carico dei suoi membri. Nella figura 5.9 la curva di
domanda di mercato è disegnata insieme alla relativa curva RMG. La curva CMG del cartello è la
somma orizzontale delle curve CMG delle imprese appartenenti all’industria e partecipanti al
cartello. I profitti sono massimi in q1 dove CMG = RMG. Il cartello deve quindi fissare un prezzo
p1 (in corrispondenza del quale verrà domandato un output q1). Essendosi accordate sul prezzo
praticato dal cartello, le imprese possono competere tra loro attraverso una concorrenza non di
prezzo per ottenere la maggior quota di mercato possibile. Alternativamente, i membri del cartello
possono accordarsi per dividersi il mercato. A ogni impresa si può assegnare una data quota. La
somma delle quote deve essere q1. Se le quote eccedono q1, si presentano due casi:
a) se il prezzo rimane fisso, rimane dell’output invenduto;
b) il prezzo scende.
Una volta fissata la quantità che il cartello deve produrre, come verrà decisa la quota di ogni singola
impresa? Il metodo più probabile è l’assegnazione di quote proporzionali alla quota effettiva di
mercato che ciascuna impresa aveva prima dell’accordo. In molti paesi i cartelli sono illegali,
essendo considerati mezzi per aumentare i prezzi e i profitti dei partecipanti a scapito del pubblico
interesse.
Quando i cartelli sono vietati, le imprese possono colludere tacitamente mantenendo il proprio
prezzo in linea con quello delle altre imprese. In tal modo esse evitano di scatenare guerre di prezzo
o campagne pubblicitarie particolarmente aggressive.
126
5.4. Collusione tacita
Una forma di collusione tacita si ha quando le imprese fissano lo stesso prezzo del leader, che può
essere l’impresa più grande ovvero l’impresa che domina l’industria. In tal caso si ha una leadership
di prezzo dell’impresa dominante. Alternativamente, il leader di prezzo può semplicemente essere
l’impresa che è emersa nel tempo come la più affidabile da seguire, quella che svolge meglio la
funzione di barometro delle condizioni di mercato. Questa pratica prende il nome di leadership di
prezzo dell’impresa barometro.
Leadership di prezzo dell’impresa dominante. Come fissa il prezzo l’impresa leader? Dipende
dalle sue congetture sulle reazioni delle altre imprese alle variazioni del suo prezzo. Se si aspetta
che le rivali aumentino il prezzo nella sua stessa proporzione, allora è possibile costruire il semplice
modello illustrato in figura 5.10. Il leader ipotizza di mantenere una quota costante di mercato (ad
esempio il 50%). Egli massimizza i suoi profitti uguagliando il ricavo marginale al costo marginale.
Egli, ad esempio, sa di trovarsi nel punto a; stima inoltre la variazione della quantità domandata in
seguito a una variazione del prezzo da parte di tutta l’industria e sulla base di ciò Costruisce la sua
curva di domanda e la relativa curva RMG. Sceglie quindi di produrre ql al prezzo pl: il punto l sulla
sua curva di domanda (dove CMG = RMG). Le altre imprese seguiranno quel prezzo. La domanda
di mercato viene rappresentata con Dm; la domanda delle imprese gregarie (follower) viene ricavata
in via residuale sottraendo alla domanda di mercato la domanda del leader, cioè qt - ql.
Questo modello si basa però su un’ipotesi forte: che le imprese follower vogliano mantenere una
quota costante di mercato. In realtà è possibile che, se il leader decide di aumentare il prezzo, al
nuovo prezzo le imprese follower vogliano produrre di più. D’altra parte, esse potrebbero
semplicemente decidere di mantenere la loro quota di mercato nel timore di una reazione da parte
del leader, come successive riduzioni di prezzo e campagne pubblicitarie aggressive.
Leadership di prezzo dell’impresa barometro. Una pratica simile può essere seguita da
un’impresa barometro. Nonostante quest’ultima non domini l’industria, il suo prezzo sarà seguito
alle altre imprese. L’impresa cerca semplicemente di stimare la sua curva di domanda e quella
connessa di ricavo marginale assumendo, di nuovo, una quota di mercato costante delle rivali e
quindi produce dove RMG = CMG, fissando il prezzo di conseguenza. In pratica, l’impresa che
svolge funzione di barometro può cambiare spesso, sia che parliamo di imprese petrolifere, di
produttori di automobffi o di banche; qualsiasi impresa potrebbe prendere l’iniziativa di alzare il
prezzo. Se le altre imprese aspettano semplicemente che qualcun’altra prenda l’iniziativa, la
seguiranno rapidamente.
127
Altre forme di collusione tacita. L’alternativa all’esistenza di un leader riconosciuto è la presenza
di un insieme di regole che tutte le imprese seguono. Un esempio è la pratica di fissare il prezzo in
base al costo medio. In questo caso i produttori, invece di eguagliare CMG e RMG, aggiungono
semplicemente al costo medio una percentuale prestabilita di profitto.
Quindi, se i costi aumentano del 10%, i prezzi aumenteranno automaticamente del 10%. Questa
regola è particolarmente utile in periodi di inflazione, quando tutte le imprese subiscono aumenti
proporzionali di costo.
Un’altra regola di comportamento è l’esistenza di un prezzo considerato come punto di riferimento.
Ad esempio, si può vendere a 9,95, 14,95, 19,95 euro, ecc. (ma non a 12,31, 16,42 020,04 euro). Se
i costi aumentano, le imprese praticheranno il prezzo di riferimento immediatamente più elevato,
sapendo che anche le altre imprese faranno altrettanto. Regole di comportamento possono
riguardare anche la pubblicità (ad esempio, non criticare mai i prodotti altrui), o il design dei
prodotti (ad esempio, i produttori di lampadine si accordano implicitamente nel non produrre
lampadine che durino in eterno).
5.5. Fattori che favoriscono la collusione
È più probabile che vi sia collusione, sia essa formale o tacita, quando le imprese possono
identificarsi chiaramente a vicenda e quando hanno fiducia l’una nell’altra. Sarà più facile che le
imprese colludano se sussistono le seguenti condizioni:
• ci sono poche imprese che si conoscono a vicenda;
• non ci sono segreti riguardo a costi e tecniche di produzione;
• le imprese hanno tecniche di produzione e costi medi simili, e quindi sono disposte a variare il
prezzo nello stesso momento e nella stessa proporzione;
• le imprese producono beni simffi e possono quindi accordarsi facilmente sul prezzo;
• c’è un’impresa dominante;
• ci sono barriere all’entrata e quindi scarso timore di concorrenza da parte di nuove imprese;
• il mercato è stabile. Se i costi di produzione o la domanda dell’industria fossero altamente volatili,
sarebbe difficile accordarsi, a causa della difficoltà di fare previsioni e per la necessità di rivedere
frequentemente i termini dell’accordo. Se il mercato è in declino, ciascuna impresa può essere
tentata di tagliare il proprio prezzo per mantenere le vendite;
• non ci sono leggi contrarie alle pratiche collusive.
5.6. Oligopolio non collusivo: la rottura dell’accordo
In alcuni oligopoli, potrebbero non essere presenti fattori che incentivano la collusione. In tali casi,
è più probabile che si verifichi concorrenza di prezzo. Anche se c’è collusione, ci sarà sempre la
tentazione di «tradire», riducendo il prezzo o vendendo oltre la quota di mercato assegnata. Il
pericolo, in questo caso, è rappresentato dalla vendetta delle altre imprese del cartello e da una
conseguente guerra di prezzo, che potrebbe portare l’intero cartello alla distruzione.
Nel considerare l’opportunità di rompere un accordo collusivo, anche se tacito, un’impresa deve
chiedersi:
a) quanto è possibile ottenere senza innescare una reazione delle altre imprese?
b) se inizia una guerra di prezzo, riuscirà a vincerla?
La posizione delle imprese rivali assomiglia a quella dei generali delle armate nemiche. Si tratta
infatti di scegliere la strategia appropriata, cioè quella che consente di sconfiggere gli avversari.
Naturalmente la strategia di un’impresa non deve tener conto soltanto del prezzo, ma anche della
pubblicità e dello sviluppo del prodotto.
La scelta della strategia dipende:
a) dalle congetture dell’impresa circa le reazioni delle altre imprese;
b) dalla sua disponibilità a rischiare.
128
La teoria dei giochi studia con approccio formale l’interazione strategica tra più soggetti; attraverso
l’applicazione del famoso concetto dell’equilibrio di Nash è possibile individuare per ciascuna
impresa la strategia migliore, data una congettura razionale sul comportamento delle imprese rivali.
5.7. Oligopolio non collusivo: la teoria dei giochi
Il caso più semplice è quello di due sole imprese identiche che devono scegliere tra due prezzi
alternativi. La tabella 5.2 mostra i profitti ottenibili nei due casi.
Assumiamo che entrambe le imprese (X e Y) fissino il prezzo a 2 euro e ottengano un profitto di 10
milioni, per un profitto totale di 20 milioni, come illustrato dal riquadro in alto a sinistra (A).
Assumiamo ora che entrambe decidano — in modo indipendente — di ridurre il prezzo a 1,80 euro.
Nel prendere questa decisione, devono tenere conto della reazione della rivale e delle sue
conseguenze. Nel nostro esempio ci sono solo due reazioni possibili da parte della rivale: abbassare
il prezzo a 1,80 euro o tenerlo al livello iniziale. Cosa farà l’impresa X? Un’alternativa è andarci
cauti e pensare al peggio: se X tenesse il suo prezzo a 2 euro, Y potrebbe abbassarlo a 1,80. Questo
caso è illustrato nel riquadro C: i profitti di X scendono a 5 milioni. Se invece X riduce il prezzo a
1,80 euro, i profitti di X scenderebbero, ma a 8 mffioni. In questo caso, quindi, se X fa bene i suoi
conti, abbasserà il prezzo a 1,80 euro. Si noti che Y farà lo stesso ragionamento e abbasserà quindi
il prezzo a 1,80 euro. Questa politica di adottare la strategia che dà il più elevato esito (payoff)
minimo è nota come maximin. Alternativamente, l’impresa può essere particolarmente ottimista e
ipotizzare che il proprio rivale reagisca nel modo più favorevole. In questo caso essa sceglierà la
strategia che le garantisce il più alto profitto possibile. Nel caso di X sarà ancora la riduzione del
prezzo, sperando stavolta che Y non riduca anch’essa il prezzo. In tal caso ci si posizionerà nel
riquadro B dove X otterrà il massimo profitto possibile, 12 milioni. Questa strategia è nota come
maximax. Lo stesso ragionamento si applica all’impresa Y: la sua strategia maximax sarà tagliare il
prezzo sperando di finire nel riquadro C.
Nota: I playoffs sono dati dal negativo degli annidi reclusione. Il numero prima della virgola
rappresenta il payoff del ladro A,quello dopo la virgola il payoff del ladro B.
129
In questo gioco entrambi gli approcci, maximin e maximax, conducono allo stesso esito (cioè,
ridurre il prezzo): esso evidenzia strategie dominanti. In altri termini, tutti e due i giocatori trovano
conveniente scegliere quella particolare strategia (ridurre il prezzo) indipendentemente da quanto
decide il rivale. Un equilibrio in strategie dominanti è anche un equilibrio di Nash.
Dato quindi che sia X sia Y vorranno ridurre il prezzo, finiranno con l’ottenere un profitto inferiore
(8 milioni ciascuna nel riquadro D) rispetto a quello che avrebbero ottenuto mantenendo il prezzo al
livello iniziale (10 milioni ciascuna nel riquadro A). Quindi sarebbe stato profittevole per entrambe
le imprese colludere invece che dar luogo a una guerra di prezzo.
L’equilibrio di un gioco in cui non vi è collusione (riquadro D) è noto come equilibrio di Nash, dal
nome del matematico americano John Nash (la cui storia è narrata nel film “A Beautiful Mind”) che
1 definì nel 1951.
Eppure anche in caso di accordo collusivo, entrambe le imprese avrebbero avuto l’incentivo a
tradire l’accordo e a ridurre il prezzo. Questo gioco rappresenta un’applicazione alle imprese del
famoso dilemma del prigioniero. Due individui sono accusati di aver commesso un furto. Tutti i
sospetti ricadono sudi loro (anche perché in passato entrambi erano già stati arrestati per lo stesso
reato), ma la polizia non ha prove per condannarli. Ad ognuno di loro, separatamente, viene quindi
detto che, in caso di confessione di entrambi, ci sarà uno sconto di pena (5 anni invece di 9) e che
nel caso in cui confessi uno solo dei due, questi riceverà l’abbuono della pena, mentre l’altro
sconterà l’intera condanna. I ladri però sanno che, in mancanza di prove, se nessuno dei due
confessa il furto potranno essere condannati per un reato minore che comporta un solo anno di
reclusione (i corrispondenti payoffs sono riportati nella tab. 5.3). Anche in questo caso la strategia
dominante (c, c) conduce a un risultato subottimale per i due prigionieri.
5.7.1. Giochi più complessi senza strategie dominanti
Si può pensare a giochi più complessi quando ci si riferisce a più di due imprese, a molte strategie
alternative di prezzo, prodotti differenziati e varie forme di concorrenza non di prezzo (come ad
esempio la pubblicità). In tali casi, l’attitudine prudente (maximin) può suggerire una politica
diversa (ad esempio, non far nulla) dall’attitudine ottimista (maximax) (ad esempio, tagliare
significativamente il prezzo). In situazioni complesse e mutevoli, le imprese possono cambiare
strategia alla luce delle mutate circostanze. Talvolta le imprese possono farsi una concorrenza
spietata (di prezzo oppure di altro tipo) per un certo periodo di tempo e poi rendersi conto che
nessuno ne uscirà vincente. Esse potrebbero allora accordarsi per alzare congiuntamente i prezzi e
ridurre la pubblicità. In seguito, dopo un periodo di collusione tacita, potrebbero riprendere a farsi
concorrenza, ad esempio in seguito all’entrata di una nuova impresa, allo sviluppo di un nuovo
prodotto, al cambiamento della domanda di mercato, o anche per il cosiddetto «scartellamento» di
un’impresa. In breve, il comportamento di alcuni oligopolisti può cambiare radicalmente nel tempo.
5.8. Oligopolio non collusivo: la curva di domanda a gomito
Anche in assenza di collusione, i prezzi in oligopolio possono restare stabili. Una possibile
spiegazione è che gli oligopolisti fronteggino una curva di domanda a gomito (ovvero una domanda
spezzata). Ciò può accadere quando sussistono due condizioni:
• se un oligopolista riduce il prezzo, i suoi rivali si sentiranno costretti a fare altrettanto, per non
perdere clienti;
• se invece un oligopolista aumenta il prezzo, i suoi rivali non lo seguiranno, perchè a quel prezzo
potranno ora catturare almeno parte della clientela di chi ha aumentato il prezzo.
Sulla base di queste ipotesi, ciascun oligopolista fronteggerà una curva di domanda a gomito, con
un punto angoloso in corrispondenza del prezzo prevalente (fig. 5.11). Un aumento del prezzo
provocherà una notevole diminuzione delle vendite, poiché i consumatori si rivolgeranno alle
130
imprese che praticano prezzi inferiori. Le imprese saranno quindi disincentivate ad aumentare il
prezzo.
Per p > p1 la domanda è infatti relativamente elastica. D’altra parte, una diminuzione di prezzo farà
aumentare di poco le vendite, poiché anche le altre imprese faranno altrettanto. L’impresa sarà
quindi altrettanto restia a ridurre il prezzo. Per p < pa, la domanda è infatti relativamente anelastica.
In generale quindi, secondo la teoria della domanda a gomito, gli oligopolisti saranno restii a variare
i prezzi. Questo tipo di funzione di domanda non è comunque la sola ragione per cui le imprese
sono riluttanti a variare i prezzi. La variazione dei prezzi può dar luogo a costi aggiuntivi dovuti alla
necessità di adeguare i listini (i cosiddetti menu costs), di effettuare nuove previsioni
sull’andamento delle vendite oppure di procedere alla rivalutazione delle scorte in magazzino.
5.9. L’oligopolio e I consumatori
Se gli oligopolisti colludono e massimizzano congiuntamente i profitti dell’industria, agiscono di
fatto come un monopolio. In tal caso, i prezzi potrebbero essere molto alti, contrariamente agli
interessi dei consumatori. Inoltre, l’oligopolio può essere più svantaggioso del monopolio sotto due
punti di vista:
• dato che le imprese oligopoliste sono, a parità di condizioni, più piccole di quelle
monopoliste, le economie di scala in oligopolio non controbilanciano gli effetti dovuti al
potere di mercato delle imprese stesse in misura pari a quanto accade in monopolio;
• gli oligopolisti ricorrono alla pubblicità più di un monopolista. Questi problemi sono meno
rilevanti se gli oligopolisti non colludono, se c’è in una certa misura concorrenza di prezzo e
se le barriere all’entrata non sono insormontabili.
Il potere contrattuale degli oligopolisti può essere ridotto se, ad esempio, essi vendono il loro
prodotto a imprese con potere di mercato simile. Gli oligopolisti che producono sapone o fagioli
vendono gran parte dell’output a grandi catene di supermercati che possono usare il loro potere di
mercato per tenere basso il prezzo al quale acquistano tali prodotti. Ciò è dovuto all’ effetto di
bilanciamento del potere di mercato di imprese con interessi contrapposti. Sotto altri punti di vista,
l’oligopolio è vantaggioso per la società rispetto ad altre forme di mercato:
• gli oligopolisti, come i monopolisti, possono usare parte del loro extraprofitto per investire
in ricerca e sviluppo. A differenza dei monopolisti, tuttavia, essi avranno un incentivo
effettivo a farlo. Migliorando il design del prodotto, saranno in grado di aumentare la
propria quota di mercato; tanto più se lo fanno in anticipo rispetto alle imprese rivali. Se,
131
inoltre, il progresso tecnologico riduce i costi, i maggiori profitti che ne conseguono
consentono all’impresa di sopravvivere meglio a un’eventuale guerra di prezzo;
• la concorrenza non di prezzo, attraverso la differenziazione del prodotto, consente una
maggiore scelta ai consumatori. Consideriamo il caso degli impianti stereo: la concorrenza
non di prezzo ha generato una vasta gamma di prodotti diversi con molte caratteristiche
diverse, ciascuna rispondente alle esigenze di diversi sottoinsiemi di consumatori.
È difficile quindi trarre conclusioni sull’oligopolio in generale, in quanto i vari oligopoli possono
essere molto diversi gli uni dagli altri.
132
6. DISCRIMINAZIONE DI PREZZO
In quali circostanze le imprese possono praticare prezzi diversi a diversi consumatori?
Quali sono le conseguenze per i consumatori?
Finora abbiamo ipotizzato che un’impresa venda il suo output a un solo prezzo. Talvolta, però, le
imprese possono decidere di praticare la discriminazione di prezzo, vendendo il prodotto a prezzi
diversi sul mercato per tentare di massimizzare i loro profitti. Seguendo la tradizionale
classificazione di Pigou, esistono tre tipi diversi di discriminazione di prezzo.
Discriminazione di primo grado. È la discriminazione perfetta: per ogni unità di bene venduta
viene applicato al consumatore esattamente il prezzo che è disposto a pagare (il prezzo di riserva, si
veda il cap. 2, par. 7.3). In questo modo il produttore può appropriarsi dell’intero surplus del
consumatore.
Discriminazione di secondo grado. Ai consumatori vengono applicati prezzi diversi a seconda dei
quantitativi acquistati di bene. Esempio classico sono gli sconti fatti a coloro che acquistano grandi
quantità di una data merce.
Discriminazione di terzo grado. In questo caso gli acquirenti possono essere identificati per una
loro caratteristica esogena osservabile (ad esempio, sesso, nazionalità, età, ecc.). In questo modo i
consumatori vengono raggruppati in due o più segmenti, a ciascuno dei quali può essere praticato
un prezzo diverso. La realtà economica è piena di esempi di questo tipo: dagli sconti al cinema per
gli anziani e gli studenti, agli sconti in libreria per i professori.
6.1. Condizioni necessarie per l’applicabilità della discriminazione di prezzo
Un’impresa riesce spesso ad aumentare i suoi profitti se può ricorrere alla discriminazione di prezzo
e comunque, quando la discriminazione di prezzo è possibile, l’impresa può sempre ritornare — se
lo trova conveniente — al caso di prezzo uguale per tutti i clienti. In quali circostanze è possibile
applicare la discriminazione di prezzo? Devono essere soddisfatte due condizioni:
• l’impresa deve essere in grado di fissare il prezzo (non deve essere pricetaker). Quindi la
discriminazione di prezzo risulta impossibile in concorrenza perfetta, dove le imprese non
possono influire sul prezzo;
• non ci deve essere possibilità di arbitraggio. I consumatori che hanno acquistato a prezzo
inferiore non devono essere in grado di rivendere il prodotto a chi potrebbe comprano solo a
prezzo più alto.
6.2. Vantaggi per l’impresa
La discriminazione di prezzo può far aumentare i ricavi dell’impresa per qualsiasi quantità venduta.
La figura 5.12 rappresenta la curva di domanda di un’impresa. Se l’impresa deve vendere 200 unità
senza discriminazione di prezzo, deve fissare il prezzo a p1. Il ricavo totale è rappresentato dall’area
grigia. Se invece può praticare discriminazione di prezzo, vendendo 150 unità a un prezzo superiore
(p2), e solo le ultime 50 a p1 guadagna in più l’area tratteggiata.
Un altro vantaggio della discriminazione di prezzo è che, grazie ad essa, l’impresa è in grado di
costringere alcuni concorrenti a uscire dal mercato. Approfittando del fatto di avere una domanda
anelastica in un mercato, un’impresa monopolistica può praticare la discriminazione, applicando un
prezzo più alto, e in tal modo ottenere profitti maggiori. Se questa stessa impresa opera in
oligopolio su un altro mercato, ad esempio un mercato aperto alla concorrenza internazionale, può
utilizzare gli elevati profitti ottenuti sul primo mercato per abbassare il prezzo nel mercato
oligopolistico, costringendo i concorrenti a uscirne. A tali manovre viene dato il nome di politiche
predatorie di prezzo.
133
6.3. La discriminazione di prezzo e i consumatori
Non è possibile formulare alcuna valutazione generale circa la desiderabilità della discriminazione
di prezzo di terzo grado dal punto di vista del benessere sociale. Alcuni ne trarranno beneficio, altri
ne saranno svantaggiati. I consumatori che pagano il prezzo più elevato probabilmente penseranno
che la discriminazione di prezzo non è equa nei loro confronti. Al contrario, i consumatori che
spuntano prezzi migliori riescono ad acquistare un bene o servizio che altrimenti non potrebbero
permettersi; ad esempio, il servizio di trasporto su autobus per le persone anziane.
Concorrenza. Come già spiegato, un’impresa può ricorrere alla discriminazione di prezzo per
indurre i suoi concorrenti a uscire dal mercato. D’altra parte, potrebbe impiegare i profitti ottenuti
su un mercato dove vigono prezzi elevati per entrare su un altro mercato e sostenere un’eventuale
guerra di prezzo. La concorrenza in questo modo aumenta.
Profitti. La discriminazione di prezzo fa aumentare i profitti dell’impresa. Si potrebbe pensare che
questo vada contro gli interessi dei consumatori, soprattutto nel caso in cui il prezzo medio del
prodotto aumenta. D’altra parte, i maggiori profitti possono essere reinvestiti per permettere costi
inferiori in futuro.
134