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Vietata la riproduzione anche parziale
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TUTTI I DIRITTI RISERVATI
Di particolare interesse per i lettori di questo volume segnaliamo:
Diritto Internazionale Pubblico
Compendio di Organizzazione Internazionale
Prepararsi per l’esame di Diritto Internazionale
Schemi e schede di Diritto Internazionale
La tutela internazionale dei diritti umani
Le Nazioni Unite (ONU) e gli istituti specializzati
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Ideazione e direzione scientifica del prof. Federico del Giudice
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Ha collaborato alla stesura del volume Giovanna Cammilli
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Il catalogo aggiornato è consultabile sul sito: www.simone.it
ove è anche possibile scaricare alcune pagine saggio dei testi pubblicati
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Tutti i diritti di sfruttamento economico dell’opera appartengono alla Esselibri S.p.A.
(art. 64, D.Lgs. 10-2-2005, n. 30)
Finito di stampare nel mese di agosto 2008
dalla «INK & PAPER s.r.l.» Via Censi dell’Arco, 22 - Cercola (NA)
per conto della ESSELIBRI S.p.A., Via F. Russo, 33/D - 80123 Napoli
Grafica di copertina a cura di Giuseppe Ragno
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PREMESSA
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La funzione diplomatica e quella consolare costituiscono due elementi imprescindibili del corretto svolgimento delle relazioni interstatuali. Da un lato,
esse si completano a vicenda, formando un sistema omogeneo e coerente di
politiche con cui lo Stato partecipa alla società internazionale; dall’altro, ognuna
ha sviluppato un proprio corpus giuridico in aderenza alle funzioni svolte.
Questo volume tratta specificamente della funzione consolare: si parte da
un excursus storico per comprenderne la nascita e l’evoluzione, si analizza
l’importante tema delle immunità e dei trattamenti privilegiati, per giungere ad
una descrizione, per quanto possibile esaustiva, delle competenze attribuite al
Console e all’intero ufficio consolare in materia di assistenza ai connazionali
all’estero, anche alla luce degli sviluppi del processo di integrazione in ambito
europeo.
Il testo contiene puntuali riferimenti alle fonti normative che disciplinano
la funzione consolare, allo scopo di fornire al lettore i corretti riferimenti; allo
stesso tempo, si sofferma sull’analisi di istituti e fattispecie riconducibili ad
altri rami del diritto (civile, penale, marittimo, etc.), in modo da rispondere alle
esigenze di chi non vuole ricorrere ad una pluralità di testi per reperire le nozioni base di cui ha bisogno.
Queste caratteristiche rendono il presente volume un valido supporto per coloro che intendono partecipare a concorsi pubblici indetti dal Ministero degli
Affari esteri, o che già prestino servizio presso un ufficio consolare; per gli studenti universitari di discipline giuridiche ed internazionalistiche, nonché per quanti
vogliono approfondire le proprie conoscenze sulla materia consolare.
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Capitolo 1 Cenni storici sulle funzioni
diplomatica e consolare
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Sommario 冟 1. Nascita ed evoluzione della figura del diplomatico. - 2. Funzioni diplo-
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matica e consolare. - 3. La missione diplomatica. - 4. Le missioni consolari,
funzioni e natura dell’exequatur. - 5. L’era delle codificazioni: premessa. - 6.
La Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche (1961). - 7. La
Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari (1963-67).
1. Nascita ed evoluzione della figura del diplomatico
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A) Egizi e città-Stato greche
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Datare la nascita della diplomazia è un’impresa estremamente ardua.
È opinione comune che sin dalla preistoria, quando gli uomini iniziarono ad organizzarsi in gruppi sociali e a lottare tra loro, si sia avvertita la necessità di inviare emissari
per proporre tregue ai combattimenti in corso.
Storicamente, i primi ad avviare contatti formali con i popoli vicini, creando una
sorta di «proto diplomazia», furono gli egizi: nel 1887 vennero ritrovate delle tavolette di argilla, note come «Lettere di Amarna», che costituivano l’archivio reale
dei Faraoni egizi. Si tratta di documenti di vario genere, ma alcuni di essi rappresentano una vera e propria corrispondenza diplomatica che i funzionari del faraone avviarono con babilonesi, assiri, ittiti ed altre popolazioni allo scopo di instaurare una pacifica convivenza nell’area mesopotamica, ad esempio mediante lo sviluppo di traffici commerciali, l’avvio di trattative matrimoniali a fini politici e la
stipula di alleanze militari.
Nel mondo greco i rapporti diplomatici erano altrettanto importanti, conseguenza del
frazionamento delle città-Stato. I greci istituirono una serie di immunità diplomatiche
ai rappresentanti delle polis, che divennero presto una prassi consolidata pur non essendo oggetto di una codificazione scritta. Furono pertanto i primi a comprendere che,
in caso di guerra e ostilità non guerreggiata, se gli emissari delle città-Stato fossero
stati uccisi o catturati sarebbe diventato impossibile condurre qualsiasi trattativa di
pace; ad essi andavano perciò riservati privilegi straordinari, primo fra tutti l’inviolabilità personale.
Nel VI sec. a.C., inoltre, i greci iniziarono a scegliere i propri ambasciatori tra i migliori oratori e avvocati del foro. Le scuole di retorica diventarono al tempo stesso scuole
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Capitolo 1
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di diplomazia, poiché si capì che per condurre una politica estera di successo erano
indispensabili personalità dotate di carisma, tatto e buona dialettica.
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B) La diplomazia a Roma
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Una diplomazia simile a quella moderna nacque, però, parallelamente all’espansione
imperiale di Roma. Se formalmente l’Impero romano si formò dopo l’assunzione della dittatura da parte di Gaio Giulio Cesare, in realtà già durante il periodo repubblicano
Roma aveva intrapreso una politica di conquista e aveva trasformato i territori acquisiti
in province interne, sottoponendole al suo imperium.
L’Impero romano aveva quindi bisogno sia di funzionari interni, che controllassero le popolazioni sottomesse, sia di funzionari all’estero, che avviassero relazioni
pacifiche con le entità politiche confinanti. Essi presero il nome di legati (1), e nel
tempo divennero cariche politico-diplomatiche di rilievo. Il legatus veniva nominato dall’imperatore e successivamente inviato nella destinazione prescelta per
intrattenere collegamenti politici, economici, commerciali o di altro tipo con la
capitale, Roma. Il suo ruolo era quello di ambasciatore, ovvero di un nunzio privo
di poteri militari, ma latore di messaggi e proposte di trattativa tra eserciti e governanti.
In questo modo veniva creata una rete diplomatica stabile sia all’interno, tra l’Impero
e le sue province, che all’estero, tra l’Impero e le altre realtà politiche; vennero così
prodotti i primi documenti «diplomatici», quali ad esempio lasciapassare e permessi di
transito, che prendevano il nome di diplomas e venivano raccolti in appositi archivi di
Stato.
La diplomazia romana non va però intesa come quella attuale: nel caso delle
province, le relazioni avviate da Roma non si basavano sul riconoscimento di
soggetti politici di pari rango, bensì sull’imposizione della propria superiorità
militare e di un conseguente rapporto di subordinazione; esisteva una struttura
diplomatica permanente, ma certamente non articolata in uffici competenti per
materia in cui fosse possibile distinguere tra una funzione propriamente diplomatica ed una consolare.
Rimane comunque il fatto che il diritto romano fu il primo a codificare uno jus
legationis, ad istituire a tale scopo un legatus quale precursore dell’odierno ambasciatore e ad attribuirgli mediante norme scritte privilegi particolari, come l’inviolabilità personale, affinché potesse svolgere appieno la sua funzione di rappresentanza.
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(1) In età repubblicana il legatus era un membro dell’ordine senatorio che poteva essere posto al comando di
una legione (legatus legionis), con attribuzioni essenzialmente militari, o al governo di una provincia (legatus
Augusti pro praetore).
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Cenni storici sulle funzioni diplomatica e consolare
C) La diplomazia bizantina
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Con l’appartenenza all’Impero romano (2), i bizantini appresero la centralità delle
ambasciate nello svolgimento delle relazioni internazionali e svilupparono alcuni elementi tipici della funzione diplomatica.
Istituirono un cerimoniale ad hoc per accogliere gli ambasciatori provenienti da entità
politiche straniere ed ufficializzarono la consegna delle credenziali e la ratifica dei
trattati.
Agli ambasciatori vennero riconosciuti formalmente l’inviolabilità personale e delle loro
residenze sulla base del criterio di reciprocità, ovvero nella misura in cui gli Stati terzi
concedessero gli stessi privilegi ai propri emissari. Oltre a ciò, gli imperatori bizantini
contribuirono a creare la figura del diplomatico di professione, attribuendogli compiti
specifici, quali ad esempio la stesura di rapporti periodici sulla situazione interna del
Paese di destinazione e la rappresentanza ufficiale degli interessi dell’Impero.
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D) La diplomazia del Papa
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La funzione diplomatica si perfezionò nell’ambito della Chiesa cattolica, su esigenza
del pontefice di inviare propri rappresentanti nelle aree in cui si era diffuso il cristianesimo per dirimere le dispute religiose e per far valere la propria autorità alle riunioni
conciliari. Nacque così la diplomazia pontificia, ed il primo inviato pontificio comparve al sinodo di Arles nel 314, un anno dopo l’Editto di Costantino, durante il pontificato di Silvestro I. Dopo lo scisma d’Oriente che coinvolse l’Impero romano, la figura
del mero inviato fu sostituita da quella dell’apocrisario, un nunzio che il Papa inviava
a Costantinopoli, ricevendo il suo equivalente a Roma, in qualità di portavoce (3). Tra
i secoli V e VIII tale carica venne istituzionalizzata e l’apocrisario si trasformò nel
rappresentante ufficiale e permanente del pontefice.
Durante il pontificato di Innocenzo I, nel V secolo, alla Chiesa cattolica fu riconosciuta
una prerogativa che andava oltre la mera rappresentanza: mediante una bolla, il Papa
poteva nominare un vicario apostolico che si occupasse del vescovado e della gestione delle ordinazioni vescovili su tutto il territorio dell’Impero, potestà che fino ad
allora era appartenuta all’Imperatore. Ciò comportava non solo una maggiore autonomia della Chiesa, ma addirittura l’applicabilità del diritto canonico, che prevaleva su
quello dell’Impero in materia di nomine vescovili.
E) Medioevo e Rinascimento
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Nel Medioevo non vi furono innovazioni di rilievo: a differenza del periodo romano, il
diplomatico rimaneva sostanzialmente un delegato pro tempore, inviato dal sovrano in
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(2) Bisanzio fu ceduta a Roma in età repubblicana, quando Attalo III, ultimo sovrano del regno di Pergamo che
deteneva un controllo indiretto sulla città-Stato bizantina, la cedette ai romani nel suo testamento (180 a.C.).
(3) Il termine deriva dal greco apòkrisis, risposta: in origine designava un funzionario della corte di Bisanzio,
incaricato di trasmettere i rescritti dell’imperatore nelle province.
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Capitolo 1
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F) Le nuove guarentigie dei diplomatici
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uno Stato terzo per intrattenere relazioni pacifiche, ma senza poter godere di una struttura fissa in cui esercitare la sua carica.
Solo durante il Rinascimento, in Italia, fu istituita una diplomazia intesa in senso moderno: furono i Principati italiani, infatti, a dar vita a missioni diplomatiche permanenti (4) che rappresentassero i rispettivi interessi e si impegnassero nella stipula di
accordi. In quest’opera si distinse la Repubblica di Venezia, il cui Senato definiva il
modus operandi dell’ambasciatore, le scadenze da rispettare nella presentazione di
rapporti periodici, la loro cifratura, ecc.
Gli ambasciatori ricevevano l’incarico di monitorare le attività interne del Paese ospitante, soprattutto in ordine a questioni politico-militari; talvolta si trasformavano in
vere e proprie spie, il cui obiettivo consisteva nell’intercettare i dispacci degli altri
diplomatici, svolgere attività occulte di propaganda, scoprire i segreti di Stato e trasmetterli al proprio governo.
Sospettosi del loro operato, spesso i Paesi accreditanti ricorrevano a misure detentive
cautelari per autotutelarsi, al punto che nel XVI sec. esse si erano trasformate in un
abuso nei confronti degli ambasciatori stranieri, che provocava ritorsioni e un generale
clima di ostilità.
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Si affermarono pertanto due princìpi connessi tra loro, l’extraterritorialità e l’immunità dalla giurisdizione penale (ma non ancora civile) (5): si riteneva che la sede
diplomatica fosse una sorta di appendice territoriale dello Stato di appartenenza, e che
dovesse essere pertanto sottoposta alle sue leggi e al suo potere coercitivo pur trovandosi sul territorio di un Paese straniero; solo in questo modo, il Paese ospitante non ne
avrebbe ostacolato l’attività diplomatica (nel rispetto del brocardo latino ne impediatur legatio). Data l’ampia gamma di inviolabilità e immunità concesse da allora in poi,
si iniziò a parlare di «sacertà» del diplomatico, quasi si trattasse di una figura sacra ed
intoccabile.
Il sistema della diplomazia italiana si estese anche agli altri Paesi europei, assumendo
come obiettivo principale, a partire dal XVII sec., l’equilibrio tra le grandi potenze. In
questo stesso periodo fu elaborato un codice etico formale che il diplomatico era tenuto a rispettare, ed il giurista olandese Ugo Grozio pose le basi di una nuova branca del
diritto, il diritto internazionale, che includeva anche norme riconducibili alla condotta del diplomatico e della diplomazia nel suo complesso.
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(4) La prima missione permanente, secondo fonti storiche accreditate, fu quella del duca di Milano Francesco
Sforza, istituita a Genova nel 1455. Nel Rinascimento autorevoli personalità svolsero funzioni diplomatiche di
rilievo, tra cui Dante, Machiavelli e Guicciardini.
(5) Si riteneva che anche le navi situate nelle acque territoriali di uno Stato straniero dovessero essere immuni
dal suo potere giurisdizionale e coercitivo.
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Cenni storici sulle funzioni diplomatica e consolare
G) La diplomazia dopo la Pace di Westphalia
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La pace di Westphalia nel 1648 segna convenzionalmente la nascita degli Stati nazionali
moderni, quali soggetti internazionali di pari dignità giuridica perché tutti sovrani ed
indipendenti. Da quella data si intensificarono le relazioni internazionali e si moltiplicò
l’invio di missioni diplomatiche permanenti (6). L’ambasciatore divenne formalmente il
rappresentante di più alto rango di uno Stato all’estero, coadiuvato da organi consultivi
che possono essere definiti come i precursori dell’odierno Ministero degli Affari esteri.
Nei secoli successivi l’organizzazione dell’attività diplomatica fu gradualmente perfezionata; vennero create strutture interdipendenti ma distinte: il Ministero degli esteri,
quale organo di vertice con sede sul territorio nazionale, e le missioni diplomatiche e
consolari diramate all’estero, che armonizzavano la propria azione nel quadro di una
politica estera delineata dal primo. Si completò così la differenziazione tra la figura del
diplomatico e quella del console, ognuno dotato di competenze specifiche.
2. Funzioni diplomatica e consolare
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Come detto in precedenza, in origine la diplomazia consisteva nell’invio di propri
emissari all’estero, essenzialmente in tempo di guerra per concordare il ripristino di
rapporti pacifici; nel tempo, la figura del diplomatico fu istituzionalizzata, in quanto
rappresentava una presenza permanente sul territorio dell’entità politica ospitante.
Il «diplomatico» veniva posto al vertice di una Legazione che svolgeva sia funzioni
propriamente diplomatiche (difesa degli interessi dello Stato di appartenenza), che
funzioni di tipo consolare (protezione e assistenza dei connazionali); solo in età moderna, come detto, si assistette ad una migliore organizzazione degli organi diplomatici presenti all’estero, mediante la creazione di una struttura complessa e articolata,
all’interno della quale sussistevano due organi con competenze distinte ma complementari: il diplomatico ed il console.
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A) Il significato di Consul nell’antica Roma e di «prosseni»
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In realtà, durante la fase repubblicana gli antichi Romani indicavano con il termine
consul una carica diversa da quella attuale: il consolato era il livello più alto della
magistratura, rivestito da due consules che esercitavano collegialmente il supremo potere
civile e militare; essi provvedevano agli interessi dello Stato, in qualità di tutores rei
publicae, ma svolgevano la loro opera sul territorio nazionale.
In età imperiale la carica consolare fu progressivamente privata dei poteri originari,
pur continuando ad avere un alto valore simbolico, finché i consoli si trasformarono in
funzionari nominati all’estero dall’imperatore per assistere gli stranieri e tutelare i
traffici commerciali.
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(6) Basti pensare che nel 1661 la Francia aveva ben ventidue rappresentanti permanenti all’estero.
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Ancora in età antica, nelle città greche i governi locali nominavano dei prosseni, originari del luogo, conferendo loro il mandato di tutelare gli stranieri: essi possono essere
considerati i precursori degli attuali consoli onorari, o di II grado, prescelti da uno Stato
straniero per svolgere la loro attività nel territorio dello Stato di cui sono cittadini.
B) Il Medioevo
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Nella prima fase del Medioevo, parallelamente all’espansione del commercio marittimo, si avvertì la necessità di tutelare i navigatori e mercanti che approdavano in un
Paese straniero dalle leggi di quest’ultimo; essendo talvolta costretti a risiedere all’estero per lungo tempo, al fine di poter svolgere i loro affari, ottennero la possibilità
di creare una giurisdizione autonoma a cui ricorrere per dirimere le controversie sorte
con i propri connazionali in loco. Sulla base di accordi con il Paese di origine, quello
ospitante consentiva che appositi agenti tutelassero i rispettivi connazionali, percepissero le imposte sul commercio (7) ed espletassero funzioni giurisdizionali in nome dei
loro sovrani.
C) Il Consolato del Mare
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Le stesse prerogative in campo marittimo e commerciale, nell’area mediterranea, furono attribuite ad un organo ad hoc, il cosiddetto Consolato del Mare. Esso era composto
da consoli-giudici che uno Stato inviava in un altro per risolvere contenziosi tra i propri sudditi.
Più specificamente, un Consolato del Mare esercitava una giurisdizione di primo grado, per le cause tra padroni di navi e mercanti, e di appello, per tutte le altre questioni
marittime e mercantili.
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I principali furono il Consolato di Barcellona, che nel 1494 codificò il diritto marittimo fino ad allora
consuetudinario, e quello di Venezia, che nel 1599 riscrisse il codice barcellonese, includendovi
«tutti gli Statuti et Ordini: disposti da gli antichi, per ogni caso di Mercantia et di Navigare: così a
beneficio di Marinari, come di Mercanti, et Patroni di nave, et navilij […]» (8). I suddetti testi normativi furono entrambi chiamati «Consolati del Mare», assumendo quindi la stessa denominazione
dell’organo che li aveva redatti.
D) Le capitolazioni
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La figura del console-giudice si diffuse anche in Oriente, ricevendo però come incarico fondamentale quello di applicare l’istituto giuridico delle capitolazioni. Il regime
delle capitolazioni consisteva in una serie di obbligazioni unilaterali, ovvero speciali
concessioni che a decorrere dall’XI sec. furono attribuite dall’Impero bizantino alle
Repubbliche marinare italiane e, successivamente, ad altre città italiane e Paesi euro-
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(7) Le imposte sul commercio ricordano senza dubbio i «diritti consolari» odierni.
(8) Gli altri Comuni dell’Italia medievale recuperarono invece la carica di console di tradizione romana, quale
magistrato investito di poteri civili e militari (essenzialmente, il potere esecutivo ed il comando militare in caso di
guerra).
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pei. Dopo la caduta dell’Impero d’Oriente e l’insediamento dell’Impero ottomano a
Costantinopoli, i sultani confermarono tali concessioni, non disponendo di un proprio
diritto sul commercio e la navigazione. Le capitolazioni garantivano ai cittadini europei libertà di commercio, arte, professione e fede religiosa; inviolabilità del domicilio
da parte della polizia locale; inapplicabilità della legge islamica civile e penale; esenzione dalle imposte.
Il diritto capitolare rimase in vigore per diversi secoli (9), comportando la cessione di
molte prerogative sovrane da parte dei territori dell’Impero ottomano. Una volta abolito, i Paesi europei decisero di non ritirare i propri consoli, ma di attribuire loro nuove
competenze e, sulla base del principio di reciprocità, di acconsentire alla presenza sul
territorio nazionale di consoli e consolati provenienti da Oriente.
3. La missione diplomatica
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Si giunse così alla nascita della missione consolare moderna, ben distinta da quella
diplomatica. Ad oggi, le principali differenze consistono negli atti da esse prodotti,
nelle rispettive competenze e nelle procedure previste allo scopo di avviare le relazioni
tra due Stati.
La missione diplomatica ha sede nella capitale dello Stato accreditatario, in permanente contatto con i suoi organi centrali (Ministri, capo dello Stato e del Governo,
ecc.): ne deriva che gli atti emanati sono il prodotto di una concertazione interstatale,
riconducibili pertanto al diritto internazionale.
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I suoi compiti consistono nel rappresentare lo Stato di appartenenza, proteggerne gli interessi nello Stato accreditatario, fornire assistenza ai propri connazionali, negoziare con il
governo dello Stato che li ospita, inviare rapporti allo Stato accreditante su quanto accade in
quello accreditatario, e promuovere tra essi rapporti amichevoli, anche intensificandone le
relazioni economiche, commerciali, culturali o di altro tipo. Essa può svolgere le proprie
prerogative solo dopo una complesso iter che prende il nome di accreditamento:
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— il Ministero degli esteri (o l’organo equivalente) dello Stato accreditante richiede il
gradimento dello Stato accreditatario nei confronti dell’agente diplomatico designato come capo missione;
— il Ministero degli esteri dello Stato accreditatario comunica a quello dell’accreditante il gradimento; qualora esso venga negato, il diplomatico viene formalmente
ritenuto persona non grata;
— l’organo competente dello Stato accreditante, solitamente il capo di Stato, consegna all’agente diplomatico un’apposita lettera credenziale, nella quale attesta che
è abilitato dal suo governo ad esercitare le funzioni di capo missione;
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(9) In Egitto, ad esempio, il regime delle capitolazioni fu abolito solo nel 1948, in seguito alla stipula di un
Accordo Anglo-egiziano firmato nel 1936 e comprendente un periodo di transizione che sarebbe durato 12 anni.
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— l’agente accreditato presenta pro manibus la lettera credenziale all’organo competente dello Stato accreditatario, (trattasi anche in questo caso, generalmente, del
Capo di Stato, essendo necessaria una parità di rango ai sensi del protocollo diplomatico), durante una cerimonia solenne che però ha un valore solo formale: l’agente diplomatico, in realtà, ha già ottenuto il gradimento ed il visto diplomatico, con
cui è entrato in territorio straniero.
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Per l’agente diplomatico che non ha il ruolo di capo missione è prevista una procedura
semplificata: il Ministero degli esteri dello Stato accreditante trasmette una comunicazione dell’avvenuta nomina, in cui è ovviamente implicita la richiesta di gradimento,
ed in risposta il Ministero degli esteri dello Stato accreditatario comunica la presa
d’atto, dalla quale si desume l’avvenuto gradimento.
A) Generalità e funzioni del console
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4. Le missioni consolari, funzioni e natura dell’exequatur
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Quanto alle missioni consolari, esse sono organi di carattere più tecnico-amministrativo (10). A differenza delle missioni diplomatiche, nello Stato ospitante vi sono varie
sedi, dette genericamente posti consolari, ognuna competente ratione loci per la parte
del territorio in cui è collocata (ma può anche esistere un solo posto consolare responsabile di tutto il territorio o del territorio di più Stati).
Le funzioni consolari sono variate nel tempo: inizialmente al Console, per provvedere
all’assistenza dei propri connazionali, erano stati concessi pieni poteri nell’applicazione di leggi patrie in territorio straniero; in seguito alle rimostranze del Paese ospitante,
che rivendicava per sé molte di tali prerogative nel rispetto del principio di sovranità, la
funzione consolare si andò progressivamente restringendo, fino a trasformarsi in una
tutela degli interessi dei connazionali rispettosa dell’ordinamento giuridico straniero
(e solo in quanto tale, ritenuta legittima dal Paese in cui essa avviene).
La tutela consolare ha carattere preventivo, perché evita allo Stato ospitante la violazione del diritto internazionale sulla tutela degli stranieri, e localizzato, perché a differenza della missione diplomatica (che si relaziona agli organi centrali dello Stato),
quella consolare intrattiene rapporti con le autorità locali.
Le funzioni del Console possono essere così classificate:
— proteggere nello Stato di residenza gli interessi dello Stato d’invio e dei suoi cittadini, siano questi persone fisiche oppure giuridiche, nei limiti ammessi dal diritto
internazionale;
— favorire lo sviluppo di relazioni economiche, culturali, scientifiche o di altro tipo;
— fare rapporto al proprio governo, o alle persone fisiche e giuridiche interessate,
della vita commerciale, economica, culturale e scientifica dello Stato di residenza;
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(10) L’eminente giurista e docente italiano Biscottini definiva il console un «funzionario amministrativo».
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Cenni storici sulle funzioni diplomatica e consolare
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— concedere passaporti, visti e documenti di viaggio;
— prestare soccorso e assistenza ai connazionali, in particolare a minorenni ed incapaci qualora si renda necessaria l’istituzione di una tutela o di una curatela;
— agire come notaio e ufficiale dello stato civile ed esercitare talune funzioni d’ordine
amministrativo, purché non ostino le leggi e i regolamenti dello stato di residenza;
— tutelare gli interessi dei cittadini in materia successoria;
— rappresentare in giudizio i connazionali o provvederli di una rappresentanza appropriata davanti ai tribunali o alle altre autorità dello Stato di residenza;
— trasmettere atti giudiziali e stragiudiziali o eseguire commissioni rogatorie secondo gli accordi internazionali vigenti o, in mancanza di tali accordi, in maniera compatibile con le leggi e i regolamenti dello Stato di residenza;
— esercitare i diritti di controllo e d’ispezione, previsti dalle leggi e dai regolamenti
dello Stato d’invio, sui navigli marittimi e sui battelli fluviali battenti bandiera di
tale Stato, sugli aeromobili immatricolati nello stesso e sui loro equipaggi;
— prestare assistenza ai suddetti, ricevere le dichiarazioni sul viaggio di navigli e battelli,
esaminare e vistare le carte di bordo, fare inchieste sugli infortuni occorsi nella traversata
e comporre le controversie di qualsiasi natura tra il capitano, gli ufficiali e i marinai;
— esercitare tutte le altre funzioni affidate a un posto consolare dallo Stato di invio,
compatibili con leggi e regolamenti dello Stato di residenza e con gli accordi bilaterali in vigore tra i due Stati.
B) I soggetti della funzione consolare
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I soggetti responsabili della funzione consolare si distinguono gerarchicamente in console generale, console, viceconsole o agente consolare.
Il console generale riceve il suo incarico mediante una lettera patente firmata dal capo di
Stato o dal Ministro degli esteri (o dall’organo corrispondente), mentre nel caso del console, del viceconsole e dell’agente consolare la lettera patente viene rilasciata dal soggetto di rango superiore o dal capo della missione diplomatica presente in quel Paese.
Il capo della missione diplomatica provvede poi a notificare la nomina al Ministero
degli esteri dello Stato ospitante, e quest’ultimo rilascia un’autorizzazione di gradimento che prende il nome di exequatur («si esegua»).
Nel rispetto del principio di reciprocità, l’exequatur viene concesso dall’organo che ha
lo stesso rango di quello che ha firmato la lettera patente (dunque, il capo di Stato o il
Ministro degli esteri), per essere, infine notificato dal Ministro degli esteri al capo
della missione diplomatica dello Stato che ha inviato l’agente consolare.
A differenza degli atti necessari all’accreditamento dei diplomatici, lettera patente ed
exequatur rientrano nell’ambito del diritto interno.
Missioni diplomatiche e consolari creano una rete interdipendente che garantisce coerenza alla politica estera di uno Stato; è per questo che i posti consolari dipendono
dalla missione diplomatica accreditata nello Stato di residenza. Le loro prerogative ed
i privilegi che ad esse spettano sono disciplinati da norme evolutesi in un processo
consolidatosi nei secoli.
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5. L’era delle codificazioni: premessa
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Cosa sono le consuetudini?
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Sebbene le funzioni diplomatica e consolare si distinguano per competenze, incarichi
e atti prodotti, da un punto di vista formale le fonti del diritto sono le medesime.
In origine, le funzioni diplomatica e consolare venivano disciplinate dalla sola comitas
gentium, ovvero da regole di comportamento, solitamente non scritte ed esistenti tutt’oggi, che invitano alla «cortesia» a livello internazionale e all’instaurazione di rapporti pacifici.
Esse stabiliscono i princìpi di non discriminazione e reciprocità, ma non trattandosi di
norme giuridiche, la loro inosservanza non comporta un illecito internazionale, rappresentando una mera scortesia politica che potrebbe però ledere il buon andamento
dei rapporti diplomatici.
La comitas gentium è parte imprescindibile del cerimoniale diplomatico e consolare,
inteso come complesso di procedure, tecniche e norme di comportamento che gli organi della diplomazia devono assumere nel relazionarsi a soggetti di pari rango. Al cerimoniale appartiene l’oratoria diplomatica, uno stile retorico enfatico fatto di precise
formule ed espressioni verbali con cui intercorrono comunicazioni scritte a livello internazionale.
Le prime fonti del diritto diplomatico e consolare ad essere prodotte, con effetto vincolante, furono ovviamente le consuetudini.
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Trattasi di fonti-fatto di natura spontanea, caratterizzate dalla diuturnitas (il ripetersi di un determinato
comportamento in maniera costante) e dall’opinio iuris sive necessitatis (la convinzione dell’obbligatorietà del comportamento stesso); esse vincolano tutti i soggetti dell’ordinamento internazionale (secondo la norma consuetudo est servanda), sia quelli responsabili della sua formazione, sia quelli sorti in
un’età storica successiva.
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Qualora nascano dei comportamenti condivisi da uno specifico gruppo di Stati, e non
dall’intera comunità internazionale, si parla di consuetudini particolari, applicabili
solo nei rapporti che intercorrono tra quei soggetti (11).
Una fonte secondaria è l’analogia iuris, secondo cui, nel giudicare un caso concreto, è
possibile sopperire all’assenza di una norma giuridica applicando una norma relativa
ad una fattispecie affine.
Nell’ambito del diritto particolare, infine, la fonte per eccellenza è l’accordo scritto.
L’accordo tipico è quello bilaterale: trattasi di un patto stipulato tra due Stati in cui
vengono fissati i procedimenti protocollari delle loro relazioni diplomatico-consolari,
subordinato alle consuetudini e alla norma pacta sunt servanda.
C
(11) Molte consuetudini particolari sussistono, ad esempio, tra gli Stati arabi, i cui diplomatici ricorrono a formalità, dovute ad una certa omogeneità culturale, che differiscono da quelli adoperati per rapportarsi ai diplomatici
occidentali.
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Cenni storici sulle funzioni diplomatica e consolare
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Ma a partire dal secondo dopoguerra si è avvertita l’esigenza di razionalizzare il diritto
diplomatico e consolare attraverso la successiva stipula di due trattati multilaterali: la
Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche, del 1961, e la Convenzione di
Vienna sulle relazioni consolari, entrata in vigore due anni dopo. Entrambe furono
redatte dalla Commissione di Diritto Internazionale (organo sussidiario dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite) ai sensi dell’art. 13, comma I, dello Statuto ONU,
secondo il quale «L’Assemblea Generale intraprende studi e fa raccomandazioni allo
scopo di: a) promuovere la cooperazione internazionale nel campo politico ed incoraggiare lo sviluppo progressivo del diritto internazionale e la sua codificazione […]».
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6. La Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche (1961)
A) La missione diplomatica
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La Convenzione adottata a Vienna il 18 aprile 1961, ed entrata in vigore nel 1964,
consta di 53 articoli che riassumono le norme di diritto diplomatico precedentemente
sorte per via consuetudinaria.
Ai sensi dell’art.1, una missione diplomatica è composta dal capo missione e dagli
altri agenti diplomatici (12), tutti denominati «membri del personale diplomatico»; dai
«membri del personale tecnico» (13); e dai «membri del personale di servizio».
Essi costituiscono i cosiddetti «membri della missione». Qualora il capo missione sia
impossibilitato a svolgere la propria funzione, viene sostituito dal soggetto di rango
immediatamente inferiore che assume così il ruolo di incaricato d’affari (ex art. 19).
In base all’art. 14, esiste una gerarchia discendente secondo cui i capi missione sono
ripartiti in tre classi: ambasciatori (o nunzi nel caso della Santa Sede); inviati o ministri
plenipotenziari (o internunzi inviati dallo Stato del Vaticano); e incaricati d’affari.
Le funzioni di una missione diplomatica, l’intera procedura di accreditamento e gli
strumenti previsti per quest’ultima (lettere credenziali, gradimento), di cui si è già
detto, sono enunciate dagli artt. 3-14. L’invio delle missioni diplomatiche deve avvenire per mutuo consenso, nel rispetto dell’art. 2 e secondo il principio per cui uno Stato,
superiorem non recognoscens, accetta la presenza di un organo straniero sul proprio
territorio solo mediante un’autolimitazione di sovranità. Ai sensi di questo stesso principio, l’art. 4, co. 2, autorizza uno Stato a non fornire spiegazioni su un eventuale
rifiuto di gradimento (ma allo stesso tempo la Convenzione non prevede procedure di
espulsione: lo Stato ospitante può revocare il gradimento semplicemente invitando
l’agente diplomatico a lasciare il territorio).
C
(12) Gli agenti diplomatici che collaborano con il capo missione sono consiglieri e segretari di legazione, nonostante la Convenzione non li citi espressamente.
(13) Trattasi di soggetti con competenze tecniche e settoriali (addetti militari, commerciali, etc., detti anche
attachés).
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Capitolo 1
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B) Lo status diplomatico
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Gli artt. 22 e seguenti definiscono nel dettaglio lo status diplomatico, ovvero un’ampia gamma di inviolabilità, immunità, diritti di protezione e trattamenti particolari.
L’inviolabilità viene garantita ai locali della missione, che insieme con i mezzi di trasporto non possono essere oggetto di perquisizione, requisizione, sequestro o misura
di esecuzione (art. 22); ad archivi e documenti (art. 24) (14); alla corrispondenza, alla
valigia diplomatica e al corriere diplomatico (o staffetta), purché munito di documento
che ne attesti la qualifica (art. 27); alla persona dell’agente diplomatico, che non può
essere sottoposto a nessuna forma di arresto o detenzione (neanche in via cautelare),
alla sua dimora privata e ai suoi beni (artt. 29 e 30).
I trattamenti particolari comprendono una completa esenzione fiscale riservata sia all’intera missione (artt. 23 e 28), che all’agente diplomatico (art. 34); libertà di spostamento e circolazione (art. 26); e libertà di comunicazione da intendersi in maniera
funzionale, cioè ai soli fini ufficiali dell’attività diplomatica.
Fulcro della Convenzione sono gli articoli relativi alle immunità, che insieme ai precedenti rendono talvolta difficile bilanciare i privilegi attribuiti all’agente diplomatico
con il rispetto delle leggi interne dello Stato accreditatario.
Ai sensi dell’art. 31, un diplomatico gode dell’immunità assoluta dalla giurisdizione
penale, salvo i casi di flagranza di reato, e di un’immunità dalla giurisdizione civile e
amministrativa parziale, che esclude le situazioni riguardanti azioni reali e possessorie
(15), azioni successorie (e a tal proposito, la Convenzione innova rispetto al diritto
consuetudinario) ed azioni relative ad attività professionali e commerciali.
L’ultimo punto sembrerebbe in contrasto con l’art. 42, che vieta al diplomatico lo svolgimento di tali attività: la dottrina ha risolto l’incongruenza applicando ai familiari
l’art. 31, lett. c), e l’art. 42 all’agente diplomatico stesso.
Nella prassi è emerso un quarto punto che andrebbe aggiunto all’art. 31: l’agente diplomatico non gode dell’immunità giurisdizionale nel caso di infrazioni al codice della strada. Ai sensi del successivo art. 32, da un lato il diplomatico può rinunciare alla
propria immunità (ad esempio per presentare una deposizione o testimoniare ad un
processo), dall’altro non può avvalersene se, dopo aver intentato una procedura giudiziaria, il convenuto presenta una domanda riconvenzionale.
La parte della Convenzione relativa alle immunità è stata quella che ha comportato maggiori difficoltà di scrittura e, successivamente, di interpretazione. Sotto un primo punto di
vista, è stato arduo dare una definizione comune di giurisdizione civile, poiché esistono
nette divergenze tra i sistemi giuridici di common law, civil law e di diritto islamico (16).
C
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(14) In origine tale disposizione si riferiva al materiale cartaceo in possesso della missione diplomatica, ma per
analogia è stata estesa anche alla documentazione informatica, ormai prevalente in seguito alla rivoluzione dei
mezzi di comunicazione.
(15) Vale però la pena di ricordare che in Italia la deroga all’immunità è stata interpretata come applicabile nel
caso di diritti di proprietà, ma non per i contratti di locazione (secondo quanto stabilito dalla Corte Costituzionale
nella sentenza Russell).
(16) Basti pensare che nel sistema di common law, real actions e possessory actions sono due categorie distinte.
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Cenni storici sulle funzioni diplomatica e consolare
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Sotto un secondo aspetto, in dottrina manca un’uniformità di vedute sul valore da
attribuire alle immunità: per alcuni esse riguardano gli atti iure privatorum, perché
per gli atti di ufficio sarebbe improprio parlare di non punibilità trattandosi di atti
compiuti dal diplomatico non in quanto individuo, ma in quanto organo-rappresentante (agli atti d’ufficio spetterebbe pertanto a priori un’immunità derivante dal principio
di domestic jurisdiction, che impedisce allon Stato accreditatario di interferire con gli
affari interni di quello accreditante).
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7. La Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari (1963-67)
A) Gli uffici consolari e i loro membri
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La Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari, firmata il 24 aprile 1963 e vigente
dal 19 marzo 1967, seguì a ruota quella sulle relazioni diplomatiche, conseguenza della
volontà codificatrice di quegli anni. Essa comprende 79 articoli suddivisi in cinque capitoli (ad eccezione del primo) che hanno trascritto gran parte del diritto consuetudinario.
Ai sensi dell’art. 1, rubricato «Definizioni», gli uffici (o posti) consolari si distinguono
in consolati generali, consolati, vice consolati e agenzie generali; la porzione di territorio per la quale è competente un posto consolare è definita «circoscrizione consolare»
(o distretto); i soggetti che svolgono la loro attività sono il capo dell’ufficio consolare,
gli altri funzionari consolari a lui subordinati (che formano il personale consolare), gli
impiegati consolari (dotati di specifiche competenze tecnico-amministrative) ed i membri del personale di servizio.
L’art. 9 specifica in senso discendente il rango di capi dell’ufficio consolare, che possono essere consoli generali, consoli, vice-consoli o agenti consolari. Essi sono abilitati
allo svolgimento della loro missione da atti definiti lettere patenti ed exequatur (artt. 11
e 12). Generalmente i funzionari consolari devono possedere la cittadinanza dello Stato
di invio (art. 22), ma i cittadini dello Stato ospitante, con il suo consenso, possono essere
chiamati a svolgere la funzione di consoli onorari; questi ultimi, ex art.64, hanno il diritto di ricevere una protezione adeguata alla loro posizione ufficiale (17).
Al pari delle relazioni diplomatiche, anche quelle consolari avvengono per mutuo
consenso, che ha un senso politico, ma tra le due non c’è interferenza perché la rottura
delle relazioni diplomatiche non inficia il buon andamento di quelle consolari (art. 2).
Come esplicitato dall’art. 5, le funzioni consolari hanno natura preminentemente burocratico-amministrativa, ma l’art. 17 prevede che se nello Stato di residenza manca una
missione diplomatica, i funzionari consolari possano essere autorizzati all’espletamento
di atti diplomatici. Nel rispetto dell’art. 28 e del brocardo latino ne impediatur legatio,
lo Stato di residenza si impegna a non ostacolare in alcun modo lo svolgimento delle
attività consolari.
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(17) Ma in realtà per usufruire di tale protezione devono presentare una richiesta motivata: si tratta di un’eccezione
insolita nella materia diplomatica e consolare, in cui nulla va motivato.
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Capitolo 1
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B) I trattamenti privilegiati
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Le facilitazioni, i privilegi e le immunità sono simili a quelli riservati ad una missione
diplomatica: inviolabilità di locali consolari, archivi e documenti, libertà di movimento e comunicazioni, esenzioni fiscali, etc.
Vale però la pena di ricordare che l’art. 35.3 prevede l’apertura della valigia consolare
(a differenza di quella diplomatica), in presenza di un rappresentante dello Stato d’invio, qualora le autorità competenti locali abbiano una seria giustificazione.
I funzionari consolari godono dell’inviolabilità personale, a meno che non abbiano commesso crimini gravi: in tal caso, sono sottoponibili a procedimento penale, arresto e detenzione preventiva avvisando il prima possibile il capo dell’ufficio consolare (artt. 41 e 42).
Per quanto riguarda le immunità, l’art. 43 stabilisce che né i funzionari, né gli impiegati consolari possano essere tratti in giudizio per gli atti compiuti nell’esercizio delle
loro funzioni, salvo illeciti commessi stipulando un contratto senza essere stati designati come mandatari dallo Stato d’invio ed illeciti contro i quali sia un soggetto terzo
ad intentare una causa. I membri di un ufficio consolare hanno altresì l’obbligo di
presentarsi come testimoni in procedimenti giudiziari o amministrativi.
Da quanto detto finora risulta che le due Convenzioni redatte a Vienna hanno avuto due
obiettivi.
Da un lato, cristallizzare le norme fino ad allora consuetudinarie, inserendole in testi
scritti per ragioni di certezza del diritto.
Dall’altro, armonizzare il diritto diplomatico e consolare, mediante disposizioni che
trasformano l’agente diplomatico ed il funzionario consolare in due figure entrambe
rappresentative del proprio Stato di appartenenza, in quanto tali degne di godere di uno
status per molti versi simile.
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Questionario
(par. 1)
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1. Quando nacquero le prime missioni diplomatiche permanenti?
2. Cos’era il Consolato del Mare?
(par. 2)
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3. In cosa consiste la procedura di accreditamento?
(par. 3)
4. Come avviene la nomina del console generale e degli altri funzionari consolari?
(par. 4)
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5. Quali sono le fonti del diritto diplomatico e consolare?
(par. 5)
6. Quali sono le Convenzioni codificatrici del diritto diplomatico e consolare? Qual
C
è il loro scopo?
(parr. 6 e 7)
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Capitolo 2 Le prerogative diplomatiche
e consolari
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Sommario 冟 1. Definizione e caratteristiche dello status diplomatico e consolare. - 2. Le
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prerogative derivanti dallo status diplomatico. - 3. Le prerogative derivanti
dallo status consolare.
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1. Definizione e caratteristiche dello status diplomatico e consolare
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Gli agenti diplomatici e consolari godono di una serie di trattamenti privilegiati, dotati
di efficacia giuridica, che ne caratterizzano lo status particolare.
Di essi fanno parte facilitazioni, privilegi ed immunità, intesi come particolari prerogative che spettano agli organi delle relazioni internazionali in virtù delle funzioni che
adempiono e dell’ufficio che rivestono. Ne deriva un’ovvia restrizione alla sovrana
potestas dello Stato ospitante, che deve consentire agli agenti diplomatici e consolari
di svolgere liberamente le loro funzioni.
Le suddette prerogative presentano talune caratteristiche imprescindibili: sono innanzitutto esenti dal principio di reciprocità, poiché nel caso di due Stati che intrattengono relazioni internazionali attraverso l’invio di missioni diplomatiche, il mancato
rispetto delle norme da parte di uno non autorizza l’altro a mettere in atto ritorsioni e
rappresaglie.
Sono, come detto, prerogative funzionali (o ratione materiae), perché spettano agli
organi diplomatici e consolari per permettere loro di svolgere la propria funzione, nel
rispetto delle direttive del proprio governo.
Infine, sono prerogative ratione temporis, la cui efficacia nel tempo si estende da quando
il soggetto entra nel territorio dello Stato ospitante fino al momento della sua partenza,
per la durata, cioè, dell’attività diplomatica.
A) La ratio dei trattamenti privilegiati
C
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La ragione per cui al diplomatico e al console sono riservate particolari prerogative, che
li differenziano dai normali cittadini all’estero, è sintetizzata dal citato brocardo latino ne
impediatur legatio: se tali soggetti non godessero di uno speciale trattamento, qualsiasi
attività considerata «scomoda» a livello politico, anche se non necessariamente illecita,
potrebbe essere sottoposta a procedimenti giudiziari, controlli e restrizioni di libertà.
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Capitolo 2
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Nel caso delle immunità giurisdizionali, ad esempio, l’obbligo dell’organo diplomatico o consolare a comparire in giudizio lo costringerebbe ad interrompere il suo ufficio,
compromettendo l’attività della missione diplomatica o del posto consolare.
Una conseguenza estrema, ma purtroppo non improbabile, potrebbe essere l’adozione
da parte dello Stato d’invio di misure di ritorsione e, più in generale, un brusco inasprimento delle relazioni tra i due Paesi.
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B) I destinatari dei trattamenti privilegiati: gli individui-organi
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Ulteriore motivo per cui ai diplomatici e consolari sono riservate particolari ed importanti prerogative consiste nel fatto che essi espletano la loro funzione su indirizzo del
proprio governo.
Non vanno pertanto considerati alla stregua di privati cittadini, direttamente responsabili
per atti individuali di natura volontaria; trattasi piuttosto di organi dello Stato d’invio o
della missione, che svolgono il loro ufficio nell’esclusivo interesse di quest’ultimo.
Riguardo alle immunità, in particolare, è sorta una diatriba dottrinale sulla terminologia utilizzata: secondo alcuni, infatti, sarebbe improprio parlare di «immunità», intesa
come non punibilità, per atti compiuti in veste di organo-rappresentante del proprio
Stato. Diplomatici e consolari sarebbero già tutelati dal principio di diritto internazionale di rispetto della domestic jurisdiction, che osta allo Stato accreditatario di interferire con gli affari interni di quello accreditante.
In virtù di ciò, parte della dottrina sostiene che si debba riferire il termine «immunità»
solo agli atti privati, valendo per gli atti d’ufficio una norma differente che ne garantisce comunque una tutela assoluta.
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2. Le prerogative derivanti dallo status diplomatico
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Nonostante le similitudini sopra descritte, lo status di agente diplomatico comprende
una serie più ampia di prerogative rispetto a quello degli organi consolari, conformemente alla portata dell’ufficio che essi ricoprono: trattasi di una funzione di carattere
«politico» più che tecnico-amministrativo, che li induce a relazionarsi con le maggiori
cariche dello Stato territoriale e da cui dipende il buon andamento complessivo delle
relazioni internazionali tra i due Paesi.
C
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Le prime guarentigie
Le prime guarentigie, che portarono a parlare di «sacertà» del diplomatico, comparvero in Italia
durante il XVII sec. (periodo in cui si affermò, d’altronde, una diplomazia di tipo moderno).
Fino ad allora, i Paesi che ospitavano una missione diplomatica ricorrevano frequentemente a
misure detentive cautelari, nel timore che gli organi stranieri presenti sul territorio praticassero
attività di spionaggio o di propaganda politica finalizzate alla sovversione.
Si comprese dunque la necessità di ricorrere ad espedienti giuridici per ovviare a tali abusi e
permettere alla missione diplomatica di espletare il proprio mandato in piena sicurezza sul
territorio dello Stato accreditatario.
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Le prerogative diplomatiche e consolari
A) Le fonti
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Le norme che disciplinano lo status diplomatico hanno tutte natura consuetudinaria,
e sono il risultato di un processo storico lungo secoli.
La loro nascita è strettamente collegata al principio, ormai desueto, di extraterritorialità della missione diplomatica: in base ad esso, originariamente la missione diplomatica veniva considerata una sorta di appendice dello Stato di appartenenza, per questo
sottoponibile unicamente alle sue leggi.
A questo principio vanno connesse le prime norme consuetudinarie, in particolare quella
espressa dal brocardo latino ne impediatur legatio: lo Stato ospitante non avrebbe
ostacolato l’operato della missione diplomatica, ma avrebbe anzi limitato volontariamente la propria potestà sovrana, non intromettendosi nei suoi affari interni e garantendo la non giustiziabilità degli atti d’ufficio degli organi diplomatici in caso di presunta violazione delle norme interne (1).
Le norme che in concreto sanciscono e descrivono le immunità del diplomatico discendono dal suddetto principio.
Nel caso delle immunità, inoltre, il difetto di giurisdizione da parte dello Stato accreditatario va interpretato anche alla luce del principio generale di diritto par in parem
non habet iudicium: dal momento che la missione diplomatica è il rappresentante
ufficiale di uno Stato all’estero, i suoi atti devono essere considerati come atti sovrani
dello stesso, e pertanto non possono essere giudicati da uno Stato terzo che, ai sensi del
diritto internazionale, gode del medesimo status giuridico.
Le prime ad emergere nella comunità internazionale furono quelle sull’immunità dalla
giurisdizione penale; solo in seguito furono riconosciute anche quelle relative alla giurisdizione civile, che perfezionarono così quella sorta di «intoccabilità» di cui gode il
diplomatico.
Come già detto, le norme sullo status diplomatico vanno rinvenute esclusivamente nel
diritto internazionale generale, in assenza di una prassi da parte degli Stati a stipulare accordi bi- o multilaterali in materia.
Questo non fa che confermare il valore cogente di tali norme, poiché a differenza del
diritto interno, in quello internazionale le fonti primarie sono proprio quelle consuetudinarie, vincolanti e imperative per tutti i soggetti.
Va però sottolineato che l’esistenza di una moltitudine di norme ha reso necessaria, per
ragioni di certezza del diritto, un’opera di razionalizzazione da parte delle Commissione
di Diritto Internazionale delle Nazioni Unite, che ha codificato tutte le norme di natura
consuetudinaria nella Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 1961.
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B) Il regime delle immunità
C
Le norme di maggiore importanza nella definizione dello status diplomatico sono quelle
che disciplinano il regime delle immunità.
(1) D’altra parte, gli agenti diplomatici si impegnarono a rispettare l’ordinamento vigente nello Stato che li accoglieva.
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Capitolo 2
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Con il termine «immunità diplomatica» si intende la non processabilità di atti, fatti e
comportamenti posti in essere dall’organo deputato della funzione diplomatica, che risulta così esente dal comparire in giudizio dinanzi ai tribunali dello Stato accreditatario.
Il regime delle immunità varia in base al tipo di atto prodotto.
Per gli atti iure imperii, ovvero gli atti d’ufficio posti in essere dallo Stato d’invio in
qualità di ente sovrano, il soggetto diplomatico gode di immunità assoluta. Se ne deduce che sussiste un difetto di giurisdizione da parte dello Stato ospitante a prescindere
dal contenuto dell’atto e senza limiti di durata.
Per gli atti iure gestionis, ovvero gli atti d’ufficio di tipo privatistico posti in essere
dallo Stato della missione in qualità di persona giuridica e nel rispetto del diritto interno, non sempre l’agente diplomatico risulta «immunizzato» dalla giurisdizione dello
Stato territoriale, a causa dell’assenza di criteri astratti e generali applicabili in materia. Conseguentemente a ciò, è lo Stato territoriale o accreditatario a decidere autonomamente sulla processabilità o meno di tali atti, tenendo però presente che un eventuale procedimento giudiziario può essere avviato solo alla scadenza del mandato diplomatico.
C) Le immunità dalla giurisdizione penale degli agenti diplomatici
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La Convenzione di Vienna del 1961 adotta un regime differenziato per i vari componenti della missione diplomatica.
Essa si occupa primariamente degli «agenti diplomatici», che ai sensi dell’art. 1 comprendono il capo della missione e tutti i membri del personale dotati del rango di
diplomatici.
Per essi, l’art. 31 sancisce genericamente che «l’agente diplomatico gode della immunità dalla giurisdizione penale (2) dello Stato accreditatario». Non essendoci ulteriori specificazioni, il dettato normativo implica la non giustiziabilità degli atti d’ufficio
(siano essi iure imperii o iure gestionis) e di quelli svolti dall’agente diplomatico in
quanto privato cittadino (atti iure privatorum).
La disposizione va però letta in combinato disposto con l’art. 39, secondo cui tutte le
immunità rimangono in vigore dall’entrata in territorio straniero fino alla partenza,
eccetto che per gli atti compiuti dall’agente diplomatico «nell’esercizio delle sue funzioni come membro della missione». Risulta in maniera ancora più palese che l’immunità dalla giurisdizione penale è assoluta per tutti gli atti d’ufficio.
L’art. 31 prevede, al par. 2, che l’agente diplomatico sia esentato dal presentarsi in tribunale anche in qualità di semplice testimone; ma conformemente al par. 4, l’immunità di
cui gode nello Stato accreditatario non lo rende del tutto «intoccabile», perché essendo
cittadino dello Stato accreditante, è sottoposto alla giurisdizione di quest’ultimo.
Le stesse immunità devono essere riconosciute dai Paesi terzi il cui territorio è percorso dagli agenti diplomatici per recarsi dallo Stato della missione a quello territoriale, o
viceversa.
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(2) Criminal jurisdiction e jurisdiction pénale nelle due versioni facenti fede, ovvero quelle inglese e francese.
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Le prerogative diplomatiche e consolari
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Stabilisce infatti l’art. 40: «se l’agente diplomatico attraversa il territorio o si trova sul
territorio di uno Stato terzo, che gli abbia concesso un visto se tale visto è richiesto,
per recarsi ad assumere le sue funzioni o raggiungere il suo posto, o per rientrare nel
suo Paese, lo Stato terzo gli accorderà l’inviolabilità e tutte le altre immunità necessarie per consentire il suo passaggio o il suo ritorno […]».
Dal tenore della norma si evince che tra le concessioni è implicitamente inclusa anche
l’immunità dalla giurisdizione penale, purché il soggetto sia in possesso dei documenti richiesti e purché l’immunità sia funzionale al transito temporaneo.
Un trattamento particolare spetta agli agenti diplomatici aventi la nazionalità dello
Stato accreditatario o residenti in esso: ex art. 38, il soggetto in questione ha diritto
all’immunità giurisdizionale (ivi compresa quella penale) solo in relazione agli atti
ufficiali, dovendo perciò presentarsi in giudizio per atti privati. Tale restrizione può
essere oggetto di deroga su volontà dello Stato territoriale, qualora decida di concedere
privilegi ed immunità supplementari.
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D) Le immunità dalla giurisdizione penale per i soggetti che non rivestono la carica di
agenti diplomatici
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La Convenzione predispone all’art. 37 un regime simile, ma non identico, per i soggetti che non rivestano la carica di agenti diplomatici.
In generale, i familiari degli agenti diplomatici ed i membri del personale tecnico e
amministrativo beneficiano delle stesse immunità degli agenti diplomatici, ma le perdono completamente ed automaticamente qualora siano cittadini o residenti nello Stato territoriale (parr. 1 e 2).
I membri del personale di servizio godono dell’immunità dalla giurisdizione solo in
relazione agli atti d’ufficio (par. 3).
I domestici privati beneficiano delle immunità solo «nella misura ammessa dallo Stato
accreditatario» (par. 4), cosa che quindi non esclude la processabilità dei loro atti.
Il diritto diplomatico prevede due norme che bilanciano parzialmente le ampie concessioni dello Stato territoriale.
In base all’art. 32 della Convenzione, da un lato, lo Stato accreditante (3) può rinunciare
all’immunità giurisdizionale di tutti i soggetti che compongono la missione, purché lo
faccia in maniera espressa, chiara (4); dall’altro, l’immunità non può essere invocata se il
soggetto inizia una procedura giurisdizionale da cui deriva un’azione riconvenzionale.
L’art. 41, infine, obbliga la missione diplomatica a rispettare le leggi ed i regolamenti
dello Stato che la ospita: si tratta di un impegno «morale», perché non pregiudica
l’immunità giurisdizionale, ma il suo mancato rispetto avrebbe comunque conseguenze gravi.
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(3) Il testo della Convenzione si riferisce allo Stato accreditante sottintendendo che prima di rinunciare all’immunità, l’agente diplomatico deve sempre informare il proprio Governo.
(4) Nel silenzio della Convenzione, la dottrina ritiene che per «espressa» debba intendersi qualsiasi nota, scritta
o verbale.
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Capitolo 2
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Esiste infatti una norma di «salvaguardia» dello Stato accreditatario prevista all’art. 9,
per cui in caso di eventuali trasgressioni del diritto interno esso potrebbe dichiarare un
membro del personale diplomatico come persona non grata ed invitarlo a lasciare il
territorio, senza obbligo di fornire motivazioni.
E) Le immunità dalla giurisdizione civile
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Il diritto internazionale generale, come risulta dalla Convenzione codificatrice di Vienna, provvede la missione diplomatica di una serie di immunità dalla giurisdizione
civile, oltre che penale.
Tali immunità si sono affermate solo nel XX secolo (5), quando si è interrotta la prassi
di considerare gli ambasciatori come soggetti civilmente perseguibili.
La definizione di norme in quest’ambito ha richiesto un intenso lavoro di comparazione, date
le diversità tra i vari ordinamenti, fino ad individuare quei rami del diritto universalmente
riconosciuti come parte del diritto civile: il diritto privato, amministrativo e tributario.
Nella Convenzione di Vienna, gli articoli 32 (rinuncia all’immunità giurisdizionale),
37 (disciplina giuridica per i soggetti diversi dagli agenti diplomatici), 38 (disciplina
giuridica per agenti diplomatici provvisti di nazionalità e/o residenza dello Stato territoriale), 39 (efficacia delle immunità ratione temporis), 40 (immunità durante il transito sul territorio di uno Stato terzo) e 41 (rispetto di leggi e regolamenti dello Stato
accreditatario) non differenziano la materia penale da quella civile: valgono pertanto
le stesse considerazioni di cui al paragrafo precedente.
L’articolo che predispone una disciplina parzialmente diversa è il 31. Se l’immunità
dalla giurisdizione penale copre qualsiasi fattispecie, quella dalla giurisdizione civile è
sottoposta a tre deroghe.
Un agente diplomatico non può avvalersi dell’immunità nel caso di:
op
yr
ig
ht
— azioni reali e possessorie, a meno che l’immobile non sia stato acquistato «per
conto dello Stato accreditante ai fini della missione» (par. 1, lett. a));
— azioni successorie, nelle quali l’agente diplomatico figuri come testamentario, amministratore, erede o legatario» (lett. b). Questa norma innova rispetto al diritto consuetudinario, ma una volta inserita nella Convenzione ha ottenuto il riconoscimento
da parte dell’intera comunità internazionale fino a diventare norma generale;
— azioni riguardanti attività professionali o commerciali esercitate al di fuori dell’ufficio diplomatico. Il testo normativo appare in evidente contrasto con l’art. 42,
che impone all’agente diplomatico di non svolgere attività private in vista di un
guadagno personale, a tal punto da far discutere sulla validità giuridica del punto c.
L’incompatibilità è stata risolta dando una diversa interpretazione alle due norme:
la portata giuridica della lettera c è stata estesa anche ai familiari, mentre l’art. 42
riguarda esclusivamente la sola persona dell’agente diplomatico.
C
(5) Ma già nella seconda metà del XIX sec. la giurisprudenza inglese aveva tentato di estendere le immunità dal
campo penale a quello civile.
.
A
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p.
Le prerogative diplomatiche e consolari
S.
Alle deroghe dell’art. 31 potrebbe esserne aggiunta una quarta, emersa dalla prassi successiva
alla stipula della Convenzione di Vienna: gli agenti diplomatici sono tenuti al rispetto del codice
della strada, pena l’erogazione di sanzioni appropriate da parte delle autorità competenti locali.
In particolare, è importante rendere obbligatoria la stipula di polizze assicurative dei mezzi di
trasporto usati sia ai fini della missione diplomatica, sia privatamente dall’agente diplomatico, in
modo da tutelare, a seguito di un incidente, eventuali persone fisiche o giuridiche danneggiate.
F) L’inviolabilità personale
li
br
i
Una delle norme di maggiore peso nel diritto internazionale generale, che insieme a
quelle sulle immunità ha contribuito a definire la «sacertà» del diplomatico, riguarda
l’inviolabilità personale. Nella Convenzione di Vienna, essa è espressa all’art. 29.
Sotto un profilo passivo, l’agente diplomatico non può essere in alcun modo oggetto di
arresto o detenzione; sotto un profilo attivo, lo Stato territoriale deve fornire tutela e
protezione contro qualsiasi attentato alla sua persona, alla sua libertà ed alla sua dignità.
se
G) I diritti di libertà
ht
©
Es
Ai sensi dell’art. 26, lo Stato accreditatario «assicura a tutti i membri della missione la
libertà di spostamento e di circolazione».
Trattasi però di una norma condizionata, poiché la libertà può essere sottoposta a restrizioni da parte di leggi e regolamenti riguardanti la pubblica sicurezza nazionale
(benché la norma taccia su questo punto, per essere legittime le restrizioni devono
presentare le caratteristiche di necessità, urgenza e proporzionalità).
L’articolo successivo garantisce invece la libertà di comunicazione, purché essa avvenga a fini ufficiali.
La missione diplomatica può comunicare con il proprio governo, le missioni presenti
in Stati terzi, i consolati operanti sul territorio dello Stato accreditatario o all’estero.
A tal fine, è autorizzata all’impiego di «tutti i mezzi di comunicazione idonei»: dalle
scelte terminologiche risulta che la validità della norma, risalente al 1961, può essere
estesa anche alle moderne tecnologie informatiche.
ig
H) Le esenzioni in materia tributaria
op
yr
Lo Stato che chiede l’accreditamento (Stato della missione) è esente da qualsiasi
imposta o tassa (6), sia in relazione a diritti e canoni percepiti per la stesura di atti
ufficiali (art. 28), sia in relazione all’acquisto o all’affitto dei locali della missione (art.
23), salvo i casi in cui lo Stato accreditatario abbia prestato servizi particolari o la sua
legislazione preveda che il pagamento sia a carico del singolo individuo.
C
(6) Nel diritto tributario, con il termine imposta si intende il prelievo coattivo di ricchezza effettuato dallo Stato o
da un ente pubblico allo scopo di fornire servizi pubblici indivisibili (servizi cioè di cui si avvantaggia la collettività
nel suo insieme); mentre con il termine tassa si intende una prestazione pecuniaria con cui il singolo stimola una
controprestazione da parte dello Stato o di un ente pubblico. Entrambe sono obbligazioni ex lege .
.
A
冟
Capitolo 2
p.
26
Similmente, ai sensi dell’art. 34 l’agente diplomatico gode di un’esenzione fiscale
molto ampia, soggetta a limitazioni in cinque casi soltanto:
i
S.
— imposte indirette incorporate nel prezzo di merci e servizi;
— diritti di successione;
— imposte e tasse su redditi privati e/o su investimenti riconducibili allo Stato accreditatario;
— imposte e tasse su introiti derivanti da particolari servizi prestati;
— diritti di registro, cancelleria, ipoteca e bollo sui beni immobili.
li
br
Il primo paragrafo dell’art. 36 consente alla missione diplomatica di ricevere oggetti
dall’estero (destinati all’uso ufficiale o all’uso personale dell’agente diplomatico) senza che vengano imposti tariffe doganali, tasse ed altri oneri diversi da spese di deposito, trasporto, etc.
se
I) Il diritto di esporre la bandiera e l’emblema dello Stato accreditante
Es
L’art. 20 riconosce alla missione diplomatica ed al suo capo di esibire la bandiera e
l’emblema (stemma o scudo) nazionali, quali simboli della propria patria. Questi possono essere esposti sui locali della missione, sulla residenza del capo missione e sui
suoi mezzi di trasporto (ma non su quelli degli altri membri del personale).
L) I locali della missione
op
yr
ig
ht
©
L’art. 21 obbliga lo Stato territoriale a fornire la sua assistenza affinché la missione
diplomatica possa dotarsi, tramite l’acquisto o in altro modo, dei locali necessari e
degli alloggi privati dei membri del personale (7).
Ai sensi del successivo art. 22, i locali della missione sono inviolabili, ovvero non
sottoponibili a perquisizioni, requisizioni, sequestri o altre misure di esecuzione.
Lo Stato territoriale non può accedervi senza previo consenso del capo della missione,
affinché non vi sia nessuna forma di ingerenza o controllo sull’attività dello Stato
accreditante.
Le autorità di polizia sono inoltre tenute a tutelare i locali della missione da eventuali
invasioni o danneggiamenti ad opera di privati cittadini, ad esempio in occasione di
rimostranze e proteste contro lo Stato accreditante.
Il particolare trattamento predisposto dallo Stato accreditatario viene in parte controbilanciato dall’art. 12, conformemente al quale una missione diplomatica non può disporre incondizionatamente del territorio in cui è ospite, ma deve stabilire i propri
uffici in località preventivamente concordate.
L’art. 30 della Convenzione, infine, riserva le stesse garanzie alla dimora privata dell’agente diplomatico.
C
(7) A tale scopo il Ministero degli Affari Esteri italiano ha istituito un ufficio ad hoc.
.
A
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p.
Le prerogative diplomatiche e consolari
M) Archivi, documenti e corrispondenza
br
i
S.
La Convenzione di Vienna stabilisce una serie di garanzie allo scopo di preservare la
missione diplomatica da ingerenze esterne.
Gli archivi, i documenti (art. 24) e la corrispondenza ufficiale (art. 27, co. 2) sono
inviolabili, così come i documenti e la corrispondenza dell’agente diplomatico (art.
30, co. 2).
La ratio normativa consiste nel proteggere informazioni riservate da controlli o ispezioni da parte delle autorità di polizia dello Stato territoriale.
N) La valigia e il corriere diplomatico
ht
©
Es
se
li
La valigia diplomatica è lo strumento classico della corrispondenza tra la missione
diplomatica ed il relativo Ministero degli Affari esteri. Essa è oggetto di un particolare
trattamento, trascritto nella Convenzione di Vienna all’art. 27.
Lo Stato accreditatario non può ostacolarne l’invio o la ricezione, né sottoporla ad
ispezioni che potrebbero, eventualmente, ritardarne la consegna.
Affinché la valigia diplomatica venga trasportata in piena libertà e sicurezza, sull’involucro esterno dei pacchi che la compongono deve essere apposto il sigillo dello
Stato accreditante.
Analogamente, il corriere diplomatico (o staffetta), responsabile del trasporto e della
consegna, deve essere titolare di un documento ufficiale che ne attesti la qualità giuridica e che specifichi il numero dei plichi contenuti nella valigia.
Il corriere diplomatico gode di un particolare status: inviolabilità personale, libertà di transito (attraverso il territorio di Stati terzi di passaggio) e di movimento (nello Stato territoriale), e facoltà di esigere dalle autorità locali il pieno rispetto della valigia diplomatica. Per
tutta la durata del suo mandato, egli è provvisto di un apposito passaporto diplomatico.
3. Le prerogative derivanti dallo status consolare
C
op
yr
ig
Come i diplomatici, così anche i consoli beneficiano di uno speciale trattamento che si
è andato definendo nel corso della storia fino a diventare parte integrante della prassi
internazionale.
I privilegi e le immunità sono più limitati rispetto a quelli concessi ai membri di una
missione diplomatica, in virtù del diverso ruolo svolto nell’ambito dei rapporti internazionali: i consoli ricevono un mandato di natura tecnico-amministrativa, che li induce a relazionarsi non con gli organi di vertice dello Stato ospitante, bensì con le autorità locali della circoscrizione consolare di destinazione.
Il diritto consolare predispone due diverse discipline giuridiche per i consoli di carriera e per i consoli onorari.
I consoli di carriera (o consules missi) sono funzionari burocratici incardinati nell’organico del Ministero degli Esteri e svolgono la carriera diplomatica. Hanno la na-
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A
冟
Capitolo 2
p.
28
br
i
S.
zionalità dello Stato d’invio e vengono incaricati di svolgere la funzione consolare a
titolo esclusivo e per un periodo di tempo prestabilito (al fine di poter ottenere un
avanzamento di carriera).
I consoli onorari (o consules electi), invece, sono uffici onorari e, come tali, non
sono dipendenti dell’amministrazione degli Esteri e possono avere la cittadinanza dello Stato in cui è presente l’ufficio consolare. Vengono scelti dallo Stato d’invio come
suoi rappresentanti senza ricevere un mandato a termine (8), ma non sono tenuti ad
abbandonare la loro professione precedente.
A prescindere da tali differenze, le funzioni e le modalità di nomina (exequatur e lettera patente) sono le medesime.
li
A) Le fonti del diritto consolare
Es
se
Le fonti sulle prerogative consolari sono di natura consuetudinaria (9). Al pari di
quelle relative alle missioni diplomatiche, esse sono state oggetto di un lavoro di codificazione che ha portato alla stipula della Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari, firmata nel 1963 ed entrata in vigore quattro anni dopo.
Anche in questo caso, le norme sui trattamenti privilegiati spettanti agli uffici consolari ed al loro personale discendono da quella originaria ne impediatur legatio: in qualità di autorità rappresentativa di uno Stato estero, al console devono essere fornite tutte
le agevolazioni necessarie per assistere i propri connazionali e mantenere allo stesso
tempo buoni uffici con lo Stato che lo ospita.
©
La Convenzione riserva ben due capitoli alle prerogative spettanti agli uffici consolari
e al loro personale:
ht
— il Capitolo II contiene norme comuni a tutti gli uffici consolari (artt. 28-39) e norme specifiche per i funzionari di carriera (artt. 40-58);
— mentre il Capitolo III è internamente dedicato alla figura del console onorario
(artt. 58-68).
ig
Essa ha innovato al diritto internazionale generale aggiungendovi una sola norma: quella
relativa all’inviolabilità degli archivi consolari, che ha quindi equiparato questi ultimi,
per dignità ed esigenze di tutela, agli archivi diplomatici.
yr
B) Consoli di carriera: le immunità dalla giurisdizione civile, penale e amministrativa
op
A differenza degli agenti diplomatici, i funzionari (ivi compreso il capo dell’ufficio
consolare) e gli impiegati consolari (addetti ai servizi tecnico-amministrativi), ai sensi
dell’art. 43, godono dell’immunità dalla giurisdizione per i soli atti compiuti nell’esercizio delle loro funzioni.
C
(8) In realtà, di recente è sorta la prassi di concedere a priori un exequatur temporaneo (che nel caso italiano,
viene rilasciato per 5 anni).
(9) Esse vengono poi trascritte nelle Convenzioni consolari stipulate tra lo Stato d’invio e quello di residenza.
.
A
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Le prerogative diplomatiche e consolari
Essi non sono tenuti a presentarsi in giudizio davanti alle corti civili, penali o amministrative dello Stato di residenza.
S.
Tuttavia, l’immunità dalla giurisdizione civile è sottoposta a due deroghe:
i
— procedimenti giudiziari per contratti stipulati senza previo mandato (implicito o
esplicito) dello Stato d’invio;
— procedimenti giudiziari intentati da terzi a seguito di incidenti causati da veicoli,
navi o aeromobili.
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ig
ht
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Es
se
li
br
L’immunità, ex art. 53, co. 4, sussiste senza limiti di durata: ciò tutela funzionari e
impiegati consolari dall’apertura di procedimenti giudiziari al termine del loro ufficio,
rogatorie e processi in contumacia.
Essa va accordata anche da parte degli Stati terzi il cui territorio sia attraversato dal funzionario consolare per raggiungere il suo ufficio o rientrare nello Stato d’invio (art. 54, co. 1).
Per gli atti iure privatorum, il soggetto contro cui sia promossa una procedura giudiziaria ha l’obbligo di presentarsi alle autorità competenti, ma il procedimento non deve
ostacolare l’esercizio della funzione consolare (art. 51, co. 3).
Lo Stato di residenza è tenuto ad informare il prima possibile il capo dell’ufficio consolare o, qualora sia egli stesso oggetto del procedimento, lo Stato di invio per via
diplomatica.
Conformemente all’art. 44, il funzionario consolare non è tenuto a rispondere come
testimone, e dal suo rifiuto non può scaturire alcuna misura coercitiva o sanzione.
Qualora decida di prestare testimonianza, questa non deve inficiare la funzione consolare; a tal fine, la testimonianza può essere raccolta presso la sua residenza privata,
l’ufficio consolare o sottoforma di dichiarazione scritta
Gli altri membri dell’ufficio consolare, invece, non possono esimersi da tale obbligo, a
meno che la testimonianza sia in qualche modo attinente alla funzione consolare, alla
corrispondenza, ai documenti ufficiali o al diritto interno dello Stato d’invio.
Lo Stato d’invio può rinunciare al regime di immunità, ex art. 45, purché lo faccia in
maniera espressa (scritta o orale che sia). Ciò comporta per il soggetto l’obbligo di
presentarsi in giudizio, ma non di essere oggetto di eventuali misure di esecuzione, per
le quali è necessaria una rinuncia distinta.
I funzionari e gli impiegati consolari, inoltre, perdono l’immunità dalla giurisdizione
in caso di domanda riconvenzionale direttamente collegata a quella principale.
C) Protezione e inviolabilità personale dei funzionari consolari
C
op
Gli artt. 40 e 41 della Convenzione prevedono un trattamento particolare riservato ai
soli funzionari consolari (che esclude quindi gli altri membri dell’ufficio consolare).
Insieme agli agenti diplomatici, essi sono organi-rappresentanti del proprio Stato all’estero: in quanto tali, devono godere del rispetto e della stima da parte dello Stato di
residenza, e devono essere tutelati da qualsiasi attentato alla loro persona, alla loro
libertà o alla loro dignità mediante l’adozione di misure appropriate (art. 40).
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D) Esenzioni dei funzionari e impiegati consolari
li
br
i
S.
Hanno inoltre diritto ad un’inviolabilità personale che viene però sottoposta ad alcune eccezioni (art. 41).
Non possono essere oggetto di arresto o detenzione preventiva, salvo il caso in cui
l’autorità giudiziaria competente non sospetti il loro presunto coinvolgimento in reati
di una certa gravità. Ad ogni modo, il procedimento giudiziario deve essere iniziato il
prima possibile (art. 41, co. 4) e lo Stato di residenza deve informare immediatamente
il capo dell’ufficio consolare (o, qualora sia egli stesso oggetto dell’arresto preventivo,
lo Stato d’invio, ex art. 42).
Analogamente, i funzionari consolari non possono essere incarcerati o privati della
loro libertà personale, tranne il caso di misura esecutiva a seguito di una decisione
giudiziaria definitiva. Va ricordato, infatti, che essi non usufruiscono dell’immunità
giurisdizionale per gli atti iure privatorum, potendo perciò essere processati anche
durante il loro mandato.
yr
ig
ht
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Es
I membri del posto consolare godono di alcune esenzioni, intese come possibilità di
sottrarsi ad obblighi previsti da fonti del diritto interno.
Ai sensi dell’art. 46, i funzionari e gli impiegati consolari (e con essi i familiari conviventi) non sono destinatari di leggi e regolamenti dello Stato di residenza in materia di
immatricolazione degli stranieri e di permessi di soggiorno, in quanto provvisti di
passaporto diplomatico (10) che autorizza automaticamente la loro permanenza in
territorio straniero.
Tutti i membri dell’ufficio consolare, ex art. 47, sono esenti dagli obblighi riguardanti
i permessi di lavoro. La ratio della norma consiste nel fatto che essi sono dipendenti
dello Stato d’invio, per cui il loro rapporto di lavoro non coinvolge né lo Stato di
residenza, né persone fisiche o giuridiche sottoposte all’ordinamento di quest’ultimo.
La stessa ratio sottende alla norma trascritta nel successivo art. 48, laddove i membri
dell’ufficio consolare (compresi i familiari conviventi) sono esenti dalle disposizioni
in materia di sicurezza e previdenza sociale. Non devono perciò sottostare al sistema
assicurativo-mutualistico dello Stato di residenza, a meno che essi stessi non vogliano
parteciparvi volontariamente.
I membri del personale privato godono della stessa esenzione, purché non siano cittadini o residenti nello Stato che ospita l’ufficio consolare: in questo caso, la legislazione
sociale è passibile di applicazione.
op
L’art. 49 disciplina in dettaglio le esenzioni fiscali e tributarie, che spettano ai funzionari
consolari, agli impiegati e ai membri delle loro famiglie. Esistono però alcune eccezioni:
— imposte indirette incorporate nel prezzo di merci e servizi;
C
(10) Il passaporto diplomatico è il documento ufficiale che lo Stato rilascia ai membri del personale diplomatico,
del personale consolare e ai soggetti preposti alle «missioni speciali». Il suo possesso serve a presentare chi ne
è titolare alle autorità dello Stato estero e a raccomandarlo ai fini dell’ingresso e del soggiorno.
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A
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Le prerogative diplomatiche e consolari
S.
— imposte o tasse su beni immobili privati;
— diritti di successione e trasferimento percepiti dallo Stato di residenza;
— obbligazioni pecuniarie su redditi privati o profitti su investimenti che presentino
un qualche legame con lo Stato di residenza;
— imposte e tasse derivanti da particolari servizi resi;
— tasse di registro, cancelleria, ipoteca e bollo.
se
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L’art. 50 prevede l’esenzione da tutti i diritti doganali, tasse e altri oneri connessi
all’entrata di beni destinati all’uso ufficiale o a quello personale da parte del solo funzionario consolare e dei suoi conviventi, obbligandoli però al rispetto dei quantitativi
prestabiliti e al pagamento di eventuali spese di deposito, trasporto e servizi analoghi.
Oltre a ciò, i bagagli personali sono esenti da visita doganale, salvo i casi in cui le
autorità competenti sospettino la presenza di oggetti che superino i quantitativi permessi o che violino le norme in materia di importazione/esportazione.
Ai sensi dell’art. 51, infine, tutti i membri dell’ufficio consolare (compresi i familiari)
sono esenti da qualsivoglia prestazione o servizio di interesse pubblico.
E) I locali consolari
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Es
Secondo quanto sancito dall’art. 31, i locali consolari sono inviolabili.
Le autorità locali non possono accedervi senza autorizzazione da parte del capo d’ufficio, di un suo delegato o del capo della missione diplomatica presente sul territorio
nazionale (co. 2).
Il consenso viene considerato implicito in caso di incendio o di altro sinistro, che ovviamente richiedono misure immediate (nell’interesse del posto consolare, ma anche a
tutela della sicurezza di individui e cose presenti in loco).
Ai locali consolari spetta anche un’adeguata protezione da invasioni e danneggiamenti
procurati da terzi, che grava completamente sullo Stato di residenza (3° comma).
Oltre ai locali consolari, tutti i beni, l’arredamento e i mezzi di trasporto connessi alla
funzione consolare sono esenti da misure di requisizione (4° comma), per le quali lo
Stato di residenza non può invocare ragioni di difesa nazionale o pubblica utilità.
D’altra parte, sono lecite misure di espropriazione dettate dalla necessità e seguite da
un indennizzo. Il testo specifica che l’indennità debba essere «pronta, adeguata ed
effettiva», onde evitare che, in virtù di un pagamento irrisorio, gli Stati di residenza
abusino della funzione espropriativa.
L’acquisto e la locazione dei locali consolari e della dimora privata dei funzionari consolari
godono dell’esenzione fiscale prevista all’art. 32, purché le leggi ed i regolamenti interni
non considerino il soggetto che effettua la contrattazione come agente a titolo privato.
F) Archivi e documenti
C
Analogamente alla corrispondenza ufficiale, gli archivi ed i documenti consolari godono di un’immunità assoluta sia ratione temporis che ratione loci, ovvero «in qualunque momento ed in qualsiasi luogo si trovino» (art. 33).
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Capitolo 2
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32
S.
Bisogna però prestare attenzione all’enunciato: la norma li definisce espressamente
«archivi e documenti consolari», facendo implicito riferimento agli artt. 55.2 e 57
secondo i quali l’ufficio consolare diretto da un console di carriera non può svolgere
attività che prescindano dalla funzione consolare, e non può, quindi, conservare, nell’archivio, documentazioni diverse da quelle necessarie all’uso ufficiale.
G) Obblighi dei membri dell’ufficio consolare
Es
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I trattamenti privilegiati che gravano sullo Stato di residenza vengono bilanciati da
alcune disposizioni codificate dalla Convenzione di Vienna.
I funzionari e gli impiegati consolari sono tenuti a rispettare le leggi ed i regolamenti
dello Stato che li ospita, a non interessarsi degli affari interni di quest’ultimo e a non
utilizzare i locali consolari in maniera incompatibile con la funzione per la quale sono
stati ammessi sul territorio (art. 55).
D’altra parte, un’eventuale violazione di tale obbligo non pregiudica i loro privilegi ed
immunità.
Tutti i membri dell’ufficio consolare devono conformarsi alla disciplina giuridica inerente all’assicurazione di veicoli, navi o aeromobili, onde tutelare i soggetti privati
danneggiati a seguito di incidenti (art. 56).
I funzionari di carriera devono svolgere il loro mandato a titolo esclusivo; gli altri
membri dell’ufficio consolare, o qualsiasi familiare convivente, possono svolgere attività private di carattere lucrativo, purché in tal caso non si avvalgano dei privilegi e
delle immunità enunciati dalla Convenzione.
©
H) Il regime applicabile ai funzionari consolari onorari
C
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I funzionari consolari onorari, e gli uffici consolari da essi diretti, sono sottoposti ad
una disciplina che differisce in alcuni punti.
I familiari dei funzionari consolari onorari e degli impiegati che lavorano alle loro
dipendenze non godono di privilegi e immunità particolari (art. 58.3).
Lo scambio di valigie consolari tra uffici consolari situati in Paesi diversi e diretti da funzionari onorari è ammesso previo consenso (obbligatorio) dei due Stati di residenza (art. 58.4).
I locali consolari sono oggetto di tutela da parte dello Stato di residenza, ma non
beneficiano dell’inviolabilità (art. 59). Essi possono perciò essere legittimamente
perquisiti, ispezionati o controllati dalle autorità competenti; la Convenzione tace a
riguardo, ma è ovvio che tali azioni devono avere alla base motivazioni serie.
L’art. 61 garantisce l’inviolabilità di archivi e documenti, «a condizione che siano
separati dalle altre carte e documenti, in particolare, dalla corrispondenza privata del
capo dell’ufficio consolare e di ogni persona che lavori con lui, nonché dai materiali,
libri o documenti relativi alla loro professione o al loro commercio».
Tale disposizione va compresa alla luce di due considerazioni:
— in primis, il console onorario è cittadino dello Stato di residenza, che pertanto risulta l’unico ordinamento a poter imporre il suo potere coercitivo;
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Le prerogative diplomatiche e consolari
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— in aggiunta, se da un lato egli è legittimato ad esercitare un’attività professionale di
tipo privato, dall’altro questa non è coperta da immunità e può quindi essere sottoposta a controlli.
Il console onorario può importare ed esportare beni in regime di esenzione doganale,
ex art. 62, purché si tratti di cose destinate all’uso ufficiale (e non privato) e purché lo
scambio avvenga esclusivamente con lo Stato d’invio.
Egli può essere sottoposto a misure di detenzione, preventiva e non (ovviamente per
reati che esulino dall’esercizio della funzione consolare), ma a differenza del console
di carriera tali provvedimenti non scattano a seguito di soli «crimini gravi» (art. 63).
Ai sensi dell’art. 64 gode del diritto di protezione, ma solo in ragione della sua posizione
ufficiale (non trattandosi di cittadino straniero, per il quale è prevista una normativa ad hoc).
È esente da ogni obbligo in materia di immatricolazione degli stranieri e permesso di
soggiorno, a meno che non eserciti nello Stato di residenza un’attività professionale o
commerciale da cui trae un profitto personale (art. 65).
Conformemente all’art. 66, infine, è esente dal prelievo fiscale per la sola funzione
consolare; ovvia conseguenza del dettato normativo è che, in quanto cittadino dello
Stato di residenza, sia sottoposto al regime tributario di quest’ultimo per le attività
professionali e commerciali svolte a titolo privato.
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I) Norme comuni agli uffici consolari retti da consoli di carriera e da consoli onorari
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Esiste una serie di disposizioni comuni, raccolte nel Capitolo II (Sezione I) della Convenzione di Vienna, che non distinguono tra gli uffici consolari diretti da consoli di
carriera e quelli a cui sono preposti consoli onorari.
Il primo articolo (art. 28) contiene una norma di carattere generale, che impegna lo
Stato di residenza ad «accordare ogni facilitazione per lo svolgimento delle funzioni di
un ufficio consolare».
Lo Stato d’invio ha diritto ad esporre la bandiera e lo stemma nazionali sull’edificio
in cui ha sede l’ufficio consolare, sulla dimora privata del capo d’ufficio e sui suoi
mezzi di servizio, purché impiegati a fini ufficiali (art. 29).
Ha anche il diritto di essere assistito dallo Stato di residenza per procurarsi, tramite acquisto,
affitto o altro, i locali necessari alla funzione consolare e gli alloggi del personale (art. 30).
Ai sensi dell’art. 34, i membri del posto consolare godono della libertà di spostamento e circolazione. Sono però previste delle restrizioni, solo se previste da leggi e regolamenti e se dettate da motivi di sicurezza nazionale.
All’ufficio consolare spetta legittimamente libertà di comunicazione a fini ufficiali
(art. 35), per la quale può avvalersi di tutti i mezzi di comunicazione appropriati.
Tra essi, può ricorrere all’uso della valigia diplomatica o consolare. Quest’ultima deve
essere riconoscibile (recante cioè contrassegni visibili) e trasportata da un corriere consolare, da un corriere consolare nominato ad hoc o da un comandante di nave o aeromobile commerciale, purché latori di documenti ufficiali forniti dallo Stato d’invio.
In base ad una norma consuetudinaria, ripresa poi dalle fonti convenzionali, per il principio della non ingerenza negli affari interni di uno Stato, la valigia consolare è inviolabile,
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Capitolo 2
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e può essere aperta solo in presenza di un rappresentante dello Stato d’invio se vi siano
serie ragioni di ritenere che contenga documenti e oggetti non destinati all’uso ufficiale.
La corrispondenza ufficiale gode di un’inviolabilità assoluta, che ne esclude l’apertura quale che sia la giustificazione.
Le funzioni consolari consistono essenzialmente nel tutelare i connazionali all’estero e
fornire loro assistenza. A tale scopo, l’art. 36 della Convenzione garantisce all’ufficio
consolare una libertà di comunicazione molto ampia con i cittadini dello Stato d’invio.
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In particolare, se un soggetto viene arrestato, incarcerato o sottoposto a detenzione preventiva,
deve innanzitutto essere messo al corrente del suo diritto di richiedere assistenza consolare; conseguentemente, può esigere che lo Stato di residenza avverta l’ufficio consolare presente in quella circoscrizione, può egli stesso informare l’ufficio consolare di riferimento, e ha diritto a ricevere
visite, corrispondere, intrattenersi ed essere rappresentato in giudizio dal funzionario consolare.
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Ai sensi dell’art. 37, l’ufficio consolare deve essere informato dalle autorità competenti
dello Stato di residenza in caso di decesso di un connazionale all’interno della propria
circoscrizione, nomina di un curatore e qualora una nave, un battello o un aeromobile
immatricolati nello Stato d’invio subiscano un incidente nel territorio (11) dello Stato di
residenza. Per poterne capire la ratio, la norma va letta in combinato disposto con l’art. 5
inerente alle funzioni consolari, da cui si evince che i funzionari consolari sono competenti in materia di decesso di connazionali, istituzione di curatela, rappresentanza davanti
ai tribunali dello Stato di residenza e assistenza a navi, battelli e aeromobili.
I funzionari consolari possono comunicare direttamente con le autorità locali della circoscrizione di appartenenza o, se così previsto dall’ordinamento interno o da accordi internazionali in materia (12) , con gli organi centrali dello Stato di residenza (art. 38).
L’ufficio consolare, ex art. 39, percepisce controprestazioni pecuniarie per gli atti consolari emanati che «sono esenti da qualsiasi imposta e tassa nello Stato di residenza».
Questionario
(par. 1)
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1. Perché agli organi diplomatici e consolari sono riservati dei trattamenti particolari?
2. Quali sono le fonti normative che disciplinano lo status diplomatico e quello
consolare?
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(parr. 2 e 3)
3. Quali sono le prerogative principali derivanti dallo status diplomatico?
(par. 2)
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4. Cosa distingue i consoli di carriera da quelli onorari?
(par. 3)
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(11) Nel caso di navi e battelli, l’incidente deve avere luogo nel mare territoriale o nella acque interne.
(12) Trattasi della Convenzione consolare stipulata tra i due Stati che intendono avviare relazioni consolari.
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Capitolo 3 La funzione consolare in materia di
stato civile
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Sommario 冟 1. Le funzioni di stato civile: fonti e definizione. - 2. La funzione anagrafica.
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- 3. Il lavoro di coordinamento con l’Ufficio di stato civile. - 4. Le funzioni
in materia di cittadinanza.
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1. Le funzioni di stato civile: fonti e definizione
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La Convenzione di Vienna del 1963 sulle relazioni consolari dedica l’art. 5 ad un lungo
elenco di funzioni che il diritto internazionale generale ha conferito nei secoli ai consoli.
Tra esse, compaiono anche le funzioni in materia di stato civile che i funzionari
consolari devono svolgere nei riguardi dei connazionali residenti all’estero, ovvero la
compilazione dei registri di stato civile (che sono quattro: registri di cittadinanza, nascita, matrimonio e decesso) e lo svolgimento di tutte le attività connesse: rilascio di
attestati e certificati, legalizzazioni e traduzioni, etc.
Tali competenze sono altresì disciplinate da atti di diritto interno con cui i singoli Paesi
organizzano la propria rete consolare all’estero. In Italia, la normativa di riferimento è
contenuta in un decreto legislativo del 5 gennaio 1967, comunemente definito «legge
consolare», redatto a seguito di legge delega n. 586/1966 ed emanato con decreto del
Presidente della Repubblica n. 200/1967.
La rete consolare italiana consta di 116 uffici consolari, 79 cancellerie consolari e 414
uffici consolari onorari, che svolgono all’estero le medesime funzioni di stato civile
spettanti, sul territorio nazionale, ai Comuni.
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2. La funzione anagrafica
A) L’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (AIRE)
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Affinché gli uffici consolari possano adempiere alle loro funzioni in materia di stato civile,
è necessario un censimento dei connazionali presenti sul territorio dello Stato di residenza.
A tale scopo, il cittadino italiano che ha stabilito la propria residenza permanente in
uno Stato terzo ha il diritto-dovere di iscriversi all’AIRE, Anagrafe degli Italiani
Residenti all’Estero.
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Capitolo 3
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Disciplinata dalla legge 470/1988 e dal successivo regolamento di esecuzione, D.P.R.
323/1989 (1), l’AIRE è stata ufficialmente istituita nel 1990 per raccogliere i dati di:
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— cittadini italiani che abbiano spontaneamente dichiarato di voler trasferire la propria residenza all’estero per un periodo superiore a 12 mesi;
— cittadini italiani la cui residenza all’estero sia stata rilevata d’ufficio;
— cittadini italiani nati e residenti all’estero;
— soggetti residenti all’estero che abbiano acquisito la cittadinanza italiana.
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Risultano dunque esenti dall’iscrizione all’AIRE gli individui che soggiornano in un
Paese terzo per un periodo inferiore ad un anno, i lavoratori stagionali, i dipendenti
pubblici che prestano servizio all’estero ed il personale militare operante all’interno di
uffici e strutture della NATO.
L’AIRE viene gestita a livello locale dai Comuni, mediante la creazione di archivi ad
hoc in cui sono stati trasferite tutte le schede individuali e familiari dei cittadini residenti all’estero (prima contenute negli archivi anagrafici della popolazione residente
in Italia).
A livello nazionale, invece, gli stessi dati vengono registrati da un’AIRE istituita presso il Ministero degli Esteri, nel Dipartimento per gli Affari interni e territoriali.
I soggetti di cui alla L. 470/1988 sono obbligati ad iscriversi all’Anagrafe dell’ufficio
consolare competente per quella circoscrizione, secondo un iter che prevede la compilazione di un apposito modello dopo aver presentato un proprio documento di riconoscimento ed un qualsiasi atto che provi l’effettiva e stabile residenza all’estero (eventualmente, anche una dichiarazione).
L’iscrizione deve essere effettuata entro 90 giorni dalla data dell’espatrio, nonostante
sia ammessa la possibilità di iscrizione tardiva. Qualora i soggetti interessati non si
presentino autonomamente, l’ufficio consolare può effettuare l’iscrizione d’ufficio.
Tutta la documentazione viene poi inoltrata al Comune italiano di competenza, che
provvede al trasferimento dei dati dall’Anagrafe della Popolazione Residente (ARP)
all’AIRE.
Ai sensi dell’art. 4 della L. 470/1988, la cancellazione dall’AIRE avviene a seguito di
iscrizione nell’ARP, rimpatrio, morte (ivi compresa morte presunta, purché giudizialmente dichiarata), irreperibilità presunta, perdita della cittadinanza italiana e registrazione all’AIRE di un altro Comune.
L’iscrizione all’AIRE è conditio sine qua non per usufruire dei servizi consolari e per
non perdere il diritto di elettorato attivo e passivo qualora si verificasse il rimpatrio,
giacché tra i dati archiviati rientra anche l’iscrizione del cittadino nelle liste elettorali
del Comune di provenienza.
È questa la ragione per cui, oltre a costituire un dovere, l’iscrizione all’AIRE è anche
un diritto. È dunque nell’interesse del soggetto interessato dichiarare tutte le eventuali
variazioni di stato civile e di indirizzo.
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(1) Tale normativa è stata oggetto di emendamenti in vigore dal 16 giugno 2002.
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B) Il Sistema Integrato delle Funzioni Consolari (SIFC)
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Leggendo in combinato disposto l’art. 67 del D.P.R. 200/1967 (rubricato «Schedario
dei cittadini») e l’art.17 della L. 470/1988 emerge da un lato, la responsabilità degli
uffici consolari di istituire, curare e aggiornare un apposito schedario sui dati anagrafici e su «ogni altro elemento utile ai fini della tutela degli interessi del connazionale»;
dall’altro, l’obiettivo di installare moderni impianti elettronici, informatici e telematici
con cui il Ministero degli Esteri e le rappresentanze diplomatiche e consolari possano
creare un sistema integrato di raccolta, elaborazione e trasmissione dati.
Il suddetto obiettivo è parte integrante di un ambizioso quanto ampio progetto: modernizzare gli uffici pubblici e renderli in grado di interagire con i privati mediante la
creazione di siti web su Internet. Ciò è possibile mediante l’istituzione di una e-government e, per ciò che riguarda le relazioni internazionali, di una e-diplomacy.
Quest’ultima, in particolare, oltre a rendere trasparente la politica estera italiana, rende
possibile al cittadino italiano all’estero (o che intenda recarsi all’estero) richiedere, in
tempi brevi e direttamente on-line, i servizi e la documentazione di cui ha bisogno,
senza essere costretto a recarsi di persona presso gli uffici competenti.
In tale contesto si inserisce lo sforzo del Ministero degli Esteri di creare entro la fine
del 2009 un «Consolato digitale», ufficialmente denominato Sistema Integrato delle
Funzioni Consolari (SIFC).
Esso consiste in una piattaforma informatica attraverso cui sarà possibile archiviare i
dati in possesso della rete consolare italiana all’estero, oltre che erogare servizi consolari via Internet.
Una volta operativo, il SIFC sostituirà il precedente sistema di anagrafe consolare,
consentirà di snellire i tempi di interazione tra cittadini - uffici consolari - amministrazioni nazionali e razionalizzerà la prestazione delle funzioni consolari, rendendola più
efficiente.
C) Il libretto internazionale di famiglia
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La Commissione Internazionale dello Stato Civile è un’istituzione che facilita la cooperazione interstatale in materia di stato civile ed è responsabile dell’elaborazione di
accordi internazionali relativi alla modulistica, che migliorano lo scambio di informazioni tra i Registri di stato civile.
Grazie al lavoro di tale Commissione, nel 1974 venne firmata da gran parte dei Paesi
europei la Convenzione di Parigi che istituiva il cosiddetto «libretto internazionale
di famiglia», con valore legale riconosciuto da tutte le Alte Parti contraenti.
Trattasi di un documento che due coniugi possono richiedere gratuitamente all’Ufficio
dello stato civile del Comune in cui è stato celebrato o registrato il matrimonio.
Il libretto contiene una lunga serie di informazioni relative al matrimonio e viene costantemente aggiornato al variare della situazione familiare.
Può pertanto dimostrarsi utile ai coniugi che intendano spostare la propria residenza in
uno degli Stati firmatari della Convenzione, in quanto la sua esibizione alle autorità
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Capitolo 3
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straniere competenti rende superflua, da parte di queste ultime, la richiesta di ulteriori
certificati dall’Italia.
3. Il lavoro di coordinamento con l’Ufficio di stato civile
A) La trascrizione
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L’Ufficio di stato civile è un’istituzione responsabile dell’archiviazione e dell’aggiornamento, in appositi registri di stato civile, di tutti i dati relativi a cittadinanza, nascita, matrimonio e morte.
Dopo essersi iscritti all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (AIRE), i cittadini
italiani sono abilitati a registrare tutte le variazioni dello stato civile direttamente
presso l’ufficio consolare competente per quella circoscrizione, che provvederà automaticamente a trasmettere i dati in suo possesso al Comune italiano di origine o di
ultima residenza affinché i registri di stato civile vengano aggiornati.
Una volta in possesso di un atto di stato civile emesso da autorità straniere, infatti, il
cittadino ha l’onere di rivolgersi al posto consolare e richiedere che tale documento sia
inviato al Comune per effettuarne la trascrizione (istituto con cui l’atto viene registrato
nel sistema nazionale) (2).
La domanda di trascrizione può essere presentata personalmente dall’interessato o da
chi esercita la potestà in caso di minore, o inoltrata a mezzo posta.
Essa va redatta in carta bollata e deve essere accompagnata da un valido documento di
riconoscimento (o da una fotocopia nel caso della trasmissione per via postale) e, ovviamente, dall’atto di stato civile in questione.
Qualora l’atto originario non venga rilasciato dall’autorità straniera, l’organo diplomatico o consolare competente, a seguito di dovuti accertamenti, può rilasciare una
certificazione sostitutiva, ex art.20 del D.P.R. 396/2000.
Conformemente all’art. 18 del suddetto, la domanda di trascrizione non può essere
accolta in caso di atti di stato civile contrari all’ordine pubblico.
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Il cittadino che non scegliesse di rivolgersi all’ufficio consolare è autorizzato a presentare la domanda di trascrizione direttamente all’Ufficio di stato civile italiano, che provvederà a registrare
l’atto dopo aver accertato l’assenza di condizioni ostative.
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L’art. 17 del già citato decreto stabilisce un ordine decrescente di competenza per
individuare il Comune presso cui inviare la domanda di trascrizione:
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— Comune in cui il soggetto ha già la residenza o intende stabilirla;
— Comune di iscrizione all’AIRE;
— Comune di iscrizione/trascrizione dell’atto di nascita;
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(2) Da non confondersi con la trascrizione quale strumento di diritto civile, ovvero mezzo di pubblicità relativo a
beni mobili e immobili registrati, che assicura la conoscibilità delle vicende ad essi relativi.
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La funzione consolare in materia di stato civile
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— qualora il soggetto sia nato o residente all’estero, Comune di nascita o residenza
della madre o del padre (eventualmente, dell’avo materno o paterno);
— Comune scelto dal soggetto, nell’impossibilità di rispettare uno dei precedenti parametri.
B) Traduzione conforme e legalizzazione
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In alcuni casi, gli atti di stato civile emessi da autorità straniere, per poter essere trasmessi all’Ufficio di stato civile e/o eventualmente utilizzati in Italia, devono essere
legalizzati e tradotti. Queste funzioni spettano, appunto, all’ufficio consolare.
La traduzione deve avere il valore di «traduzione conforme»: la sua redazione spetta
cioè all’autorità diplomatica o consolare, ad un traduttore ufficiale o ad un interprete
che attesti con giuramento dinanzi all’ufficiale di stato civile la conformità della traduzione al testo straniero.
I documenti redatti su modelli multilingue, conformi alle Convenzioni poste in essere
dalla Commissione Internazionale dello Stato Civile, non sono oggetto di traduzione
conforme.
La legalizzazione, invece, consiste nell’attestare la qualità legale del pubblico ufficiale che ha apposto la propria firma su un documento, nonché l’autenticità della firma
stessa.
La legalizzazione è un servizio erogato sul territorio nazionale dalla Prefettura – Ufficio Territoriale
del Governo (su delega del Ministero degli Esteri), e all’estero, appunto, dalle rappresentanze
diplomatiche o consolari.
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Tutti i documenti devono essere legalizzati, salvo quanto previsto a seguito di accordi
bi- o multilaterali. A tal proposito, l’Italia e molti altri Paesi terzi hanno ratificato la
Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961 sull’abolizione della legalizzazione di atti
pubblici stranieri.
La nuova disciplina tra le Parti contraenti consiste pertanto nel sostituire la legalizzazione con lo strumento dell’Apostille, ovvero un’annotazione che l’autorità straniera
appone sul documento all’atto del rilascio per attestarne la validità, evitando così il
coinvolgimento dell’ufficio consolare.
La Convenzione prevede l’abolizione della legalizzazione per una gamma molto vasta
di «atti pubblici stranieri»: documenti rilasciati da un’autorità o un funzionario dell’amministrazione pubblica (quali, ad esempio, un Pubblico Ministero, un cancelliere,
un ufficiale giudiziario), documenti amministrativi, atti notarili, dichiarazioni ufficiali
relativi a registrazioni, visti di data certa, autenticazione di firme su atti privati, ecc.
In base alla successiva Convenzione di Bruxelles del 25 maggio 1987 (3), inoltre, è
stata soppressa ogni forma di legalizzazione e di formalità equivalente o analoga (tra
cui l’Apostille), tra Belgio, Francia, Danimarca, Irlanda e Italia.
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(3) Ratificata dall’Italia con Legge 24 aprile 1990, n. 106.
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C) Certificati
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Se iscritto all’AIRE, il cittadino italiano all’estero può richiedere all’ufficio consolare
le certificazioni riguardanti il suo stato civile o altro.
Affinché il servizio possa essere erogato con facilità e in tempi brevi, è diritto-dovere
del cittadino comunicare ogni variazione dello stato civile, della cittadinanza o eventuali cambiamenti d’indirizzo.
Solo così, tramite il lavoro coordinato dell’ufficio consolare e del Comune competenti,
le informazioni verranno registrate e continuamente aggiornate nel sistema nazionale
ed il soggetto ne potrà fare richiesta, senza problemi, pur trovandosi all’estero.
Per ottenere il rilascio del certificato desiderato, generalmente, l’interessato deve recarsi di persona presso il posto consolare, compilare un’apposita richiesta e corredarla
di documento di riconoscimento. In alternativa, può inviare la richiesta per posta, fax,
o tramite persone in possesso di delega scritta e fotocopia del documento d’identità del
delegante.
D) Forme alternative di certificazione
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Conseguentemente all’adozione di fonti normative finalizzate alla semplificazione delle
certificazioni amministrative (L. 127/1997, con relativo regolamento di esecuzione —
D.P.R. 403/1998 — e D.P.R. 445/2000 su Disposizioni legislative in materia di documentazione amministrativa), attualmente è possibile sostituire un atto amministrativo
con una propria dichiarazione.
Per i cittadini italiani, tali innovazioni evitano l’obbligo di inviare in Italia gli atti originari formati all’estero.
Esistono due tipi di dichiarazione sostitutiva: l’autocertificazione e la dichiarazione
sostitutiva dell’atto di notorietà. Entrambe sono considerate valide nei rapporti con
la pubblica amministrazione italiana e con concessionari e gestori di pubblici servizi,
ma non con l’autorità giudiziaria durante un procedimento giurisdizionale o con soggetti privati che non abbiano espresso il loro consenso.
Con l’autocertificazione il dichiarante attesta, tramite documento firmato (senza autentica di firma, né bollo) corredato da fotocopia del documento di identità, informazioni
che la pubblica amministrazione già possiede all’interno di registri, elenchi o albi.
Egli si assume la responsabilità di quanto dichiarato, ed è pertanto passibile di denuncia all’autorità giudiziaria e di condanna penale in caso di controlli da parte della pubblica amministrazione che accertino la falsità dell’autocertificazione.
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Cosa può essere scritto nell’autocertificazione?
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Nell’autocertificazione possono essere inserite solo le seguenti informazioni, in quanto già contenute in
un pubblico registro italiano:
— data e luogo di nascita, cittadinanza o residenza;
— godimento dei diritti civili e politici;
— stato di celibe, coniugato, vedovo o stato libero;
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stato di famiglia;
esistenza in vita;
nascita del figlio, decesso del coniuge, dell’ascendente o discendente;
iscrizione in albi, registri o elenchi tenuti da pubbliche amministrazioni;
appartenenza a ordini professionali;
titolo di studio, esami sostenuti;
qualifica professionale posseduta, titolo di specializzazione, abilitazione, formazione, aggiornamento
e qualificazione tecnica;
situazione reddituale o economica anche ai fini della concessione di benefici di qualsiasi tipo previsti da leggi speciali;
assolvimento di specifici obblighi contributivi con l’indicazione dell’ammontare corrisposto;
possesso e numero di codice fiscale, partita IVA e di qualsiasi dato presente nell’archivio dell’anagrafe tributaria;
stato di disoccupazione;
qualità di pensionato e categoria di pensione;
qualità di studente;
qualità di legale rappresentante di persone fisiche o giuridiche, di tutore, di curatore e simili;
iscrizione presso associazioni o formazioni sociali di qualsiasi tipo;
tutte le situazioni relative all’adempimento degli obblighi militari, ivi comprese quelle attestate nel
foglio matricolare dello stato di servizio;
di non aver riportato condanne penali e di non essere destinatario di provvedimenti che riguardano
l’applicazione di misure di sicurezza e di misure di prevenzione, di decisioni civili e di provvedimenti amministrativi iscritti nel casellario giudiziale ai sensi della vigente normativa;
di non essere a conoscenza di procedimenti penali a proprio carico;
di non essere l’ente destinatario di provvedimenti giudiziari che applicano le sanzioni amministrative di cui al D.Lgs. 231/2001;
qualità di vivenza a carico;
tutti i dati a diretta conoscenza dell’interessato contenuti nei registri dello stato civile;
di non trovarsi in stato di liquidazione o di fallimento e di non aver presentato domanda di concordato.
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Ai sensi dell’art. 49 del D.P.R. 445/2000 non possono essere oggetto di autocertificazione certificati
medici, sanitari e veterinari; certificati di origine e conformità CE; certificati di marchi o brevetti.
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Qualora le informazioni non siano contenute nei pubblici registri italiani, il soggetto
non può procedere all’autocertificazione, ma deve ricorrere alla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà (ex art. 47 del D.P.R. 445/2000).
Trattasi di documento che può essere sottoscritto dall’interessato senza obbligo di autentica della firma solo quando viene inviato unitamente a copia fotostatica del documento di riconoscimento o quando la sua compilazione avviene in presenza del dipendente addetto.
Esso comprova sia fatti, stati e qualità personali o, eventualmente, inerenti ad altri
soggetti (purché il dichiarante ne sia direttamente a conoscenza), sia la conformità di
una pubblicazione all’originale.
E) Trasmissione di atti di natura giurisdizionale
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Tra le funzioni consolari rientra anche la trasmissione ai Comuni italiani competenti
di provvedimenti di natura giurisdizionale o amministrativa che producono effetti
sullo status dell’individuo.
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Capitolo 3
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L’efficacia di tali provvedimenti è riconosciuta dal nostro ordinamento ai sensi della
Legge 38 maggio 1995 n. 218 sulla Riforma del sistema italiano di diritto internazionale
privato, la quale, ex art.1, «[…] disciplina l’efficacia delle sentenze e degli atti stranieri».
Della suddetta legge meritano particolare attenzione l’art. 65, rubricato «Riconoscimento di provvedimenti stranieri», ed il successivo art. 66 che riguarda nello specifico
il «Riconoscimento di provvedimenti stranieri di giurisdizione volontaria».
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Il primo stabilisce il «principio di prossimità» tra atti nazionali e stranieri, e dispone
che abbiano effetto in Italia tutti i provvedimenti stranieri in materia di capacità delle
persone, rapporti di famiglia e diritti della personalità, se si riscontra uno dei seguenti
parametri:
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— la legge dello Stato le cui autorità hanno adottato il provvedimento è richiamata
dalla L. 218/1995;
— il provvedimento produce effetti nell’ordinamento di quello stesso Stato pur derivando dal pronunciamento di un’autorità straniera.
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In entrambi i casi, i provvedimenti vengono riconosciuti in Italia solo se non contrari
all’ordine pubblico e purché siano l’atto finale di una procedura (giudiziaria) in cui
siano stati rispettati i diritti della difesa.
Il successivo art. 66 autorizza il riconoscimento di provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione, senza ricorrere ad alcun procedimento, nelle stesse materie previste
dall’art. 65 e secondo gli stessi parametri, nonostante ne venga aggiunto un terzo: il
provvedimento deve essere pronunciato da un’autorità che sia competente in base ai
medesimi criteri previsti dall’ordinamento italiano.
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Cos’è la volontaria giurisdizione?
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La volontaria giurisdizione, contemplata dal diritto processuale civile, è un tipo di giurisdizione che non
ha come finalità la composizione di controversie, bensì la gestione di un negozio o di un affare, per la cui
conclusione è necessario l’intervento partecipativo di un terzo (il giudice) estraneo ed imparziale.
Quest’ultimo è tenuto a collaborare con le parti che vogliano costituire il rapporto giuridico in tutti i casi in cui
la legislazione non consente ai privati di provvedervi autonomamente: ad esempio, per l’integrazione della
capacità delle persone incapaci (autorizzazione alla vendita di beni posseduti da minori), per attività commerciali (omologazione di atti societari), o in riferimento allo stato delle persone (legittimazione di figlio naturale). I provvedimenti adottati dal giudice, essendo emessi in base ad una valutazione di opportunità che può
mutare nel tempo, possono essere in ogni tempo revocati o modificati.
Si tende pertanto a qualificare la volontaria giurisdizione come attività strutturalmente e funzionalmente
di tipo amministrativo.
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Ciò premesso, per i provvedimenti di cui all’art. 65 gli uffici consolari richiedono alle
autorità giudiziarie straniere le sentenze emesse in materia di rapporti di famiglia, ovvero separazione, divorzio, adozione, etc. (ovviamente riguardanti un cittadino italiano). Dopo aver provveduto ad eventuali traduzioni e legalizzazioni, le trasmettono ai
Comuni italiani corredate di tutta la documentazione necessaria che ne attesti la validità conformemente alla legislazione dei Paesi in cui sono state emesse.
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La funzione consolare in materia di stato civile
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Una volta pervenute ai Comuni, le sentenze vengono sottoposte al vaglio dell’Ufficio
di stato civile, per accertarne la non contrarietà all’ordine pubblico; solo al termine di
questo iter può avvenire la trascrizione.
Per i provvedimenti di cui all’art. 66, invece, l’ufficio di stato civile deve semplicemente verificare la presenza dei requisiti richiesti dalla legge, senza entrare nel merito
della sentenza.
Qualora l’atto emesso all’estero abbia natura amministrativa, per l’ufficio di stato civile si impone solo l’obbligo di verificarne la non contrarietà all’ordine pubblico.
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F) Produzione di atti di stato civile
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Gli uffici consolari sono competenti in materia di registrazione di atti di stato civile
prodotti in Paesi terzi e loro trasmissione ai Comuni per aggiornare costantemente lo
status dei cittadini residenti all’estero, purché questi ultimi siano regolarmente iscritti
all’AIRE.
Trattasi essenzialmente di atti di nascita, morte e matrimonio.
Ai sensi della L. 91/1992, i figli di cittadini entrambi italiani o di cui almeno uno sia
cittadino italiano (anche in caso di acquisizione o riacquisizione della cittadinanza),
hanno diritto alla cittadinanza italiana iure sanguinis. La loro nascita deve pertanto
essere registrata in Italia.
I genitori, ex art. 15 del D.P.R. 396/2000, devono effettuare la dichiarazione di nascita
dinanzi al funzionario consolare responsabile per quella circoscrizione.
Hanno l’obbligo di recarsi presso il posto consolare muniti di atto di nascita emesso
dall’Ufficio di stato civile competente e documento comprovante la cittadinanza italiana
di almeno uno di essi (carta d’identità, passaporto o certificato di cittadinanza).
Qualora la legislazione dello Stato di residenza lo imponga, la dichiarazione deve avvenire all’autorità locale competente; sarà poi il dichiarante ad inviarne una copia all’organo diplomatico o consolare (art. 15, co. 2).
L’autorità consolare (o diplomatica) trasmetterà infine l’atto di nascita all’ufficio di
stato civile del Comune italiano di pertinenza, individuato secondo i parametri predisposti dall’art. 17, affinché avvenga la trascrizione nell’apposito registro.
In caso di morte di cittadino italiano all’estero, la comunicazione va effettuata presentando l’atto di morte emesso dall’ufficio di stato civile competente e la documentazione relativa alla cittadinanza del defunto.
Il posto consolare registra il decesso e, nel rispetto della stessa normativa prevista per
l’atto di nascita, provvede agli adempimenti necessari per la trasmissione e trascrizione nei registri nazionali.
Per ciò che attiene al matrimonio tra due cittadini italiani, o di cui almeno uno sia
cittadino italiano, i soggetti interessati devono richiedere le relative pubblicazioni all’ufficio consolare competente.
Conseguentemente, il matrimonio viene celebrato dinanzi all’autorità diplomatica o
consolare (pur trattandosi di una pratica ormai in disuso) o dinanzi all’autorità locale
secondo le leggi dello Stato di residenza.
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Nell’ultima ipotesi gli interessati presentano all’ufficio consolare una copia dell’atto
di matrimonio, eventualmente accompagnata da traduzione conforme e legalizzazione, che verrà poi inviata al Comune italiano competente.
Prima della trascrizione, l’ufficio di stato civile accerterà la non contrarietà all’ordine
pubblico nel rispetto dei seguenti parametri:
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br
i
— validità del matrimonio in base alla legge dello Stato di celebrazione (trattasi
di un mero riscontro di quanto già verificato dall’organo diplomatico o consolare);
— rispetto della normativa nazionale di cui agli artt. 84 e ss. c.c.;
— accertamento di avvenute pubblicazioni (un eventuale riscontro negativo non inficia la validità dell’atto, ma espone gli sposi ed il celebrante alla sanzione prescritta
dall’art. 134 c.c.).
Es
se
Le pubblicazioni consistono in un verbale di promessa di matrimonio, redatto in presenza del funzionario consolare e previa presentazione, da parte degli sposi, di atto di
nascita, certificato di residenza (entrambi sostituibili da relative autocertificazioni),
certificato di cittadinanza e certificato di stato libero.
4. Le funzioni in materia di cittadinanza
A) Definizione di cittadinanza
yr
ig
ht
©
Nel diritto internazionale, la cittadinanza è la condizione giuridica della persona fisica che appartiene ad un determinato Stato; più propriamente, è l’insieme dei diritti e
dei doveri che l’ordinamento giuridico riconosce all’individuo e che definiscono lo
status di cittadino di quest’ultimo.
I soggetti che posseggono la cittadinanza di uno Stato terzo sono definiti stranieri; se
privi di cittadinanza, sono invece detti apolidi.
La legge ammette la cittadinanza doppia o plurima, ovvero il possesso contemporaneo della cittadinanza italiana e di una straniera, salvo norme internazionali pattizie,
nazionali o straniere che lo vietino.
La cittadinanza europea, disciplinata dal Trattato di Maastricht del 1992 agli artt. 1722, integra (non sostituisce) quella italiana.
C
op
I diritti connessi alla cittadinanza europea
Essa spetta di diritto ad ogni cittadino appartenente agli Stati dell’Unione europea, che acquisisce così la titolarità delle seguenti posizioni soggettive:
— libertà di circolazione e soggiorno nel territorio degli Stati membri;
— diritto di elettorato attivo e passivo alle elezioni comunali e a quelle per il Parlamento
europeo nello Stato di residenza;
— protezione diplomatica e consolare nei Paesi terzi da parte delle autorità competenti di
qualsiasi Stato membro;
.
A
冟 45
p.
La funzione consolare in materia di stato civile
— facoltà di inviare petizioni al Parlamento europeo e di rivolgersi al Mediatore europeo;
— diritto di accesso ai documenti di qualsivoglia istituzione, organo o organismo dell’Unione.
S.
Tali diritti non costituiscono un numerus clausus ma sono suscettibili di integrazione grazie ad
una clausola evolutiva che consente al Consiglio di adottare disposizioni in tal senso.
B) La legislazione italiana sulla cittadinanza
br
i
Attualmente, il regime giuridico in materia di cittadinanza è dettato dalla Legge 5
dicembre 1992, n. 91, che stabilisce le modalità di acquisizione, perdita e riacquisizione. Il corpus normativo vigente si differenzia da quello abrogato per il fatto di riconoscere espressamente il diritto alla titolarità della cittadinanza plurima, oltre che maggiori possibilità di acquisto e perdita della cittadinanza su volontà individuale.
li
Ciò premesso, ai sensi della legge italiana la cittadinanza si acquista:
op
yr
ig
ht
©
Es
se
— per nascita. È cittadino il figlio di padre o di madre cittadini (criterio dello ius
sanguinis); chi è nato nel territorio della Repubblica(ius soli), se entrambi i genitori sono apolidi o ignoti, o se il figlio non segue la cittadinanza dei genitori secondo
la legge dello Stato al quale questi appartengono; il figlio di ignoti trovato abbandonato in territorio italiano e di cui non si riesca a determinare lo status civitatis;
— per estensione. Il matrimonio fa acquistare al coniuge (straniero o apolide) la cittadinanza italiana, quando questi risieda da almeno sei mesi nel territorio dello Stato,
ovvero dopo tre anni dalla data del matrimonio a condizione che non vi sia stato
scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili e non sussista separazione legale (4). Acquistano la cittadinanza anche il minore straniero adottato ed il
figlio riconosciuto o dichiarato giudizialmente che sia minore d’età (se è maggiorenne può dichiarare, entro un anno dal riconoscimento o dalla dichiarazione, di
eleggere la cittadinanza determinata dalla filiazione);
— per beneficio di legge. Lo straniero o l’apolide che abbia padre, madre o un ascendente in linea retta fino al secondo grado, cittadini per nascita, può acquistare la
cittadinanza se:
a) presta servizio militare o assume un pubblico impiego e dichiara preventivamente di voler acquistare la cittadinanza stessa;
b) al raggiungimento della maggiore età risiede da almeno due anni in Italia e
dichiara, entro un anno, di voler acquistare la cittadinanza italiana.
Anche lo straniero, nato in Italia e quivi residente ininterrottamente, diviene cittadino se ne fa richiesta entro un anno dal raggiungimento della maggiore età;
C
(4) Ulteriori condizioni riguardano la condotta personale dell’individuo: assenza di condanne penali per delitti
contro la personalità interna e internazionale dello Stato e contro i diritti politici dei cittadini; assenza di condanne penali per delitti non colposi, la cui pena edittale non sia inferiore a tre anni; assenza di condanne penali per
reati non politici, con pena detentiva non superiore a un anno, inflitte da autorità giudiziarie straniere con sentenze riconosciute in Italia; insussistenza di fondati motivi che facciano sospettare la pericolosità del soggetto per
l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato.
.
A
冟
Capitolo 3
p.
46
se
li
br
i
S.
— per naturalizzazione. La cittadinanza può essere concessa con decreto presidenziale, previo parere obbligatorio del Consiglio di Stato:
a) allo straniero residente legalmente in Italia da almeno tre anni e del quale il
padre, la madre o uno degli ascendenti in linea retta di secondo grado sono stati
cittadini per nascita;
b) allo straniero nato nel territorio della Repubblica e quivi residente legalmente
da almeno tre anni;
c) allo straniero maggiorenne adottato da cittadino italiano, se dopo l’adozione ha
risieduto in Italia per almeno cinque anni;
d) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della
Repubblica o che abbia reso eminenti servizi all’Italia, ovvero quando ricorre
un interesse eccezionale dello Stato;
e) al cittadino di uno Stato membro della Comunità europea, se risiede da almeno
quattro anni nel territorio della Repubblica e all’apolide o rifugiato che vi risieda almeno da cinque;
f) allo straniero che ha prestato servizio, anche all’estero, alle dipendenze dello
Stato per almeno cinque anni.
Es
Per la richiesta di acquisto di cittadinanza italiana, in particolare, il soggetto interessato deve munirsi di una serie di documenti. Tra essi rientrano la dichiarazione di rinuncia alla protezione diplomatica e consolare italiana nei confronti del Paese di origine e
l’autorizzazione alle competenti autorità del Paese di origine a rilasciare informazioni
sul proprio conto che fossero richieste dagli organi diplomatici italiani. Entrambe vanno compilate su modello prestampato ritirabile presso la Prefettura.
©
La cittadinanza italiana si perde:
yr
ig
ht
— per rinuncia, qualora il cittadino italiano risieda o stabilisca la propria residenza all’estero; o quando, essendo figlio di persona che ha acquistato o riacquistato la cittadinanza, abbia raggiunto la maggiore età e sia in possesso di altra
cittadinanza;
— per assunzione di impiego o prestazione di servizio militare presso uno Stato estero, nel caso in cui il cittadino italiano non cessi tale rapporto, entro il termine fissato, in ottemperanza all’intimazione del Governo;
— per assunzione di carica o impiego pubblico, prestazione di servizio militare o
acquisto volontario della cittadinanza presso uno Stato estero che si trovi in stato
di guerra con l’Italia.
op
La cittadinanza italiana, infine, si riacquista:
C
— per prestazione del servizio militare o accettazione di un impiego pubblico in Italia
da parte di un ex cittadino, previa dichiarazione di volerla acquisire nuovamente;
— per rinuncia di un ex cittadino alla cittadinanza straniera, all’impiego o al servizio
militare svolti all’estero, previa dichiarazione di volerla riacquisire e a seguito di
trasferimento, per almeno due anni, della propria residenza in Italia;
.
A
冟 47
p.
La funzione consolare in materia di stato civile
S.
— per dichiarazione di volerla riacquistare dopo aver stabilito la Residenza nella
Repubblica per almeno un anno;
— dopo un anno dalla data in cui ha stabilito la residenza nel territorio della Repubblica, salvo espressa rinuncia entro lo stesso termine.
C) L’adeguamento dell’ordinamento italiano al diritto internazionale pattizio in materia di
cittadinanza
op
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Es
se
li
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i
La legge riconosce espressamente il diritto a mantenere la cittadinanza italiana pur
essendo già in possesso di una cittadinanza straniera, ovvero dopo averla acquistata o
riacquistata.
Tale facoltà è però soggetta a restrizioni derivanti dal diritto internazionale pattizio o
da norme statali straniere: l’art. 26, co. 3, della L. 91/1992, in particolare, riconosce la
prevalenza delle disposizioni contenute in accordi internazionali sottoscritti dall’Italia
sulla disciplina interna.
In quest’ambito va pertanto citata la Convenzione di Strasburgo del 6 maggio 1963
sulla riduzione dei casi di cittadinanza plurima e sugli obblighi militari, ratificata
con Legge 4 ottobre 1966, n. 876, di cui risultano Parti contraenti Austria, Belgio,
Danimarca, Francia, Gran Bretagna, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi,
Spagna e Svezia (5).
L’art. 1, 1° comma stabilisce che il cittadino, residente all’estero, di uno dei Paesi
aderenti alla Convenzione, perde la cittadinanza precedente se acquista o riacquista
volontariamente la cittadinanza di uno degli altri Paesi sottoscrittori. La norma esclude
cioè ogni possibilità di mantenere la vecchia cittadinanza.
Ne deriva, per il cittadino italiano residente all’estero, che l’acquisto volontario della
cittadinanza di uno dei Paesi summenzionati comporta automaticamente la perdita di
quella italiana. La norma non va però applicata qualora si acquisti la cittadinanza di
Regno Unito, Irlanda o Spagna, che hanno aderito esclusivamente al II Capitolo della
Convenzione relativo agli obblighi militari in caso di cittadinanza plurima.
Gli artt. 1, co. 3, e 2 disciplinano le vicende relative alla cittadinanza del minorenne,
stabilendone la dipendenza da quelle relative alla cittadinanza dei genitori.
L’Italia, infine, ha ratificato con Legge 14 dicembre 1994, n. 703, il Secondo Protocollo di emendamento alla Convenzione di Strasburgo, attualmente sottoscritto anche
da Francia e Paesi Bassi.
Conformemente ad esso, quando un cittadino di uno degli Stati contraenti acquisisce
la nazionalità di un altro di essi in cui è nato e risiede, oppure vi ha risieduto abitualmente a partire da una data anteriore al compimento del diciottesimo anno di età, ognuno
dei due Stati può disporre che il soggetto conservi la cittadinanza d’origine.
In caso di matrimonio tra cittadini di due Parti contraenti diverse, ciascuna di esse può
provvedere affinché il cittadino che acquisisce volontariamente la nazionalità del coniuge, conservi al tempo stesso quella di origine.
C
(5) La Germania, in origine Parte contraente, non aderisce più alla Convenzione.
.
A
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Capitolo 3
p.
48
D) Le funzioni consolari in materia di cittadinanza
op
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Es
se
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i
S.
Il diritto internazionale generale predispone, nell’ambito delle funzioni consolari, anche delle competenze in materia di cittadinanza.
Nella «legge consolare» italiana (D.P.R. 200/1967), in particolare, le norme a riguardo
sono contenute nel Capo III del Titolo III, agli artt. 77 e 78.
Il primo di essi, rubricato «Attribuzioni in materia di cittadinanza», recita che «L’autorità consolare dà comunicazione ai competenti uffici in Italia dell’acquisto di cittadinanza straniera da parte di cittadini residenti nella circoscrizione e di tutti gli altri atti
o fatti che possano influire sul loro stato di cittadinanza, ai fini delle conseguenti
annotazioni».
A tal fine, collaborando con gli uffici di stato civile dei Comuni italiani e con le autorità locali competenti, il funzionario consolare cura l’anagrafe dei cittadini residenti
nella propria circoscrizione, riceve tutti gli atti relativi al riconoscimento, all’acquisto
o al riacquisto della cittadinanza e svolge i relativi accertamenti.
Per accertare lo stato di cittadinanza, ai sensi del successivo art. 78, il capo del posto
consolare conduce le indagini d’ufficio necessarie, avvalendosi di tutti i mezzi di prova
leciti ai sensi della legislazione nazionale; può anche ricorrere ai mezzi predisposti
dall’ordinamento dello Stato di residenza, qualora lo ritenga opportuno e dopo averne
valutato discrezionalmente l’efficacia probatoria.
Per quanto riguarda il possesso della cittadinanza italiana, esso va accertato nel caso in
cui la discendenza di un soggetto da genitore o avo italiano non risulti dai registri dello
stato civile italiano: occorre verificare la discendenza, e conseguentemente il fatto che
che gli ascendenti abbiano mantenuto e poi trasmesso la cittadinanza italiana (6).
Nel silenzio della legge consolare, l’autorità responsabile dell’accertamento viene individuata in base al luogo di residenza del soggetto: sarà pertanto l’organo diplomatico
o consolare territorialmente competente, per il residente all’estero; l’ufficiale di stato
civile del Comune di residenza, per il residente in Italia.
Una volta accertato lo stato di cittadinanza, l’ufficio consolare è altresì incaricato di
rilasciare tutta la certificazione relativa.
C
(6) Nell’ipotesi di ascendenza materna, la cittadinanza viene trasmessa solo per i nati a decorrere dal 1° gennaio 1948.
.
A
冟 49
p.
La funzione consolare in materia di stato civile
Modulistica
S.
Fac-simile - Domanda di trascrizione di atto di nascita all’estero (cittadino
minorenne)
Marca da bollo
14,62 euro
br
i
All’Ufficiale dello Stato Civile
del Comune di ____________
se
li
Io
Cognome/Nome: ______________________________________________________
data di nascita: _ _ / _ _ / _ _ _ _
luogo di nascita ___________________________ Stato: ________________________
residente a: ____________________________ Via _______________________ n. ___
genitore del minore:
Es
Cognome/Nome: _______________________________________________________
data di nascita: _ _ / _ _ / _ _ _ _
luogo di nascita ___________________________ Stato: ________________________
residente a: _____________________________Via _______________________ n. ___
CHIEDO
ig
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©
ai sensi dell’art. 12 comma 11 del D.P.R. 3-11-2000, n. 396, la trascrizione nei registri
di nascita del Comune di _______ dell’unito atto di nascita, documento redatto (1):
su modello plurilingue rilasciato in base alla vigenti convenzioni internazionali in lingua ________________________________________________, tradotto nel testo italiano (2) e legalizzato da (3) ____________________________________ , relativo al
suindicato/a figlio/a.
_________, li ________________________
op
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In fede
___________________________________ (4)
======================================================================
Comune di ________ - Ufficio dello Stato Civile (5)
C
La presente richiesta è stata sottoscritta in mia presenza
Richiedente riconosciuto con _____________________________________________
L’Ufficiale dello Stato Civile
.
A
冟
Capitolo 3
p.
50
Avvertenze
Es
se
li
br
i
S.
1) Barrare la condizione ricorrente.
2) Gli atti e i documenti redatti in lingua straniera devono essere accompagnati da una
traduzione in lingua italiana che deve essere certificata conforme al testo straniero
dall’autorità diplomatica o consolare ovvero da un traduttore ufficiale o da un interprete che attesti, con giuramento davanti all’ufficiale dello stato civile la conformità al testo straniero (art. 22 D.P.R. 3-11-2000, n. 396).
3) I documenti e gli atti dello stato civile formati all’estero da autorità straniere devono essere legalizzati, salvo la vigenza di convenzioni esentative (art. 21, 3° comma
D.P.R. 3-11-2000, n. 396).
Le firme sugli atti e documenti formati all’estero da autorità estere e da valere nello
Stato italiano sono legalizzate dalle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane all’estero. Quelle su atti e documenti rilasciati da una rappresentanza diplomatica o consolare estera residente nello Stato, da valere nello Stato italiano, devono
essere legalizzate a cura delle Prefetture (art. 33, 2° e 4° comma, D.P.R. 28-122000, n. 445).
4) Apporre la firma per esteso e leggibile.
5) La domanda, corredata dalla copia dell’atto da trascrivere può essere presentata
personalmente dall’interessato o inoltrata a mezzo posta unitamente alla fotocopia
di un documento di identità personale.
Domanda di trascrizione di atto di nascita all’estero (cittadino maggiorenne)
ht
©
Marca da bollo
14,62 euro
ig
All’Ufficiale dello Stato Civile
del Comune di ____________
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Io
Cognome/Nome: ______________________________________________________
data di nascita: _ _ / _ _ / _ _ _ _
luogo di nascita _____________________________ Stato: _____________________
residente a : ____________________________Via ______________________ n. ____
CHIEDO
C
ai sensi dell’art. 12 comma 11 del D.P.R. 3-11-2000, n. 396, la trascrizione nei registri
di nascita del Comune di _______ dell’unito atto di nascita, documento redatto (1):
su modello plurilingue rilasciato in base alla vigenti convenzioni internazionali in lingua ________________________________________________, tradotto nel testo ita-
.
A
冟 51
p.
La funzione consolare in materia di stato civile
liano (2) e legalizzato da (3) __________________________________________, relativo alla mia persona.
S.
________, li _______________________
br
i
In fede
___________________________________ (4)
======================================================================
Comune di ________ - Ufficio dello Stato Civile (5)
La presente richiesta è stata sottoscritta in mia presenza
Richiedente riconosciuto con _____________________________________________
li
L’Ufficiale dello Stato Civile
se
Avvertenze
C
op
yr
ig
ht
©
Es
1) Barrare la condizione ricorrente.
2) Gli atti e i documenti redatti in lingua straniera devono essere accompagnati da una
traduzione in lingua italiana che deve essere certificata conforme al testo straniero
dall’autorità diplomatica o consolare ovvero da un traduttore ufficiale o da un interprete che attesti, con giuramento davanti all’ufficiale dello stato civile la conformità al testo straniero (art. 22 D.P.R. 3-11-2000, n. 396).
3) I documenti e gli atti dello stato civile formati all’estero da autorità straniere devono essere legalizzati, salvo la vigenza di convenzioni esentative (art. 21, 3° comma
D.P.R. 3-11-2000, n. 396).
Le firme sugli atti e documenti formati all’estero da autorità estere e da valere nello
Stato italiano sono legalizzate dalle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane all’estero. Quelle su atti e documenti rilasciati da una rappresentanza diplomatica o consolare estera residente nello Stato, da valere nello Stato italiano, devono
essere legalizzate a cura delle Prefetture (art. 33, 2° e 4° comma, D.P.R. 28-122000, n. 445).
4) Apporre la firma per esteso e leggibile.
5) La domanda, corredata dalla copia dell’atto da trascrivere può essere presentata
personalmente dall’interessato o inoltrata a mezzo posta unitamente alla fotocopia
di un documento di identità personale.
.
A
冟
Capitolo 3
p.
52
Domanda di trascrizione di matrimonio all’estero
S.
Marca da bollo
14,62 euro
i
All’Ufficiale dello Stato Civile
del Comune di ____________
CHIEDO
li
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Io
Cognome/Nome: ______________________________________________________
data di nascita: _ _ / _ _ / _ _ _ _
luogo di nascita _____________________________ Stato: _____________________
residente a : ______________________ Via ____________________________ n. ____
©
Es
se
ai sensi dell’art. 12 comma 11 del D.P.R. 3-11-2000, n. 396, la trascrizione nei registri
di stato civile del Comune di _______ dell’unito atto di matrimonio
avvenuto in (1) ______________________________________________________
il (2) _ _ / _ _ / _ _ _ _ con (3) ______________________________________________
____________________________________________________________________________________________________________
L’atto di matrimonio è redatto (4):
su modello plurilingue rilasciato in base alla vigenti convenzioni internazionali in lingua ________________________________________________, tradotto nel testo italiano (5), e legalizzato da (6) __________________________________________.
ht
________, li _______________________
ig
In fede
___________________________________ (7)
======================================================================
Comune di ________ - Ufficio dello Stato Civile (8)
yr
La presente richiesta è stata sottoscritta in mia presenza
Richiedente riconosciuto con _____________________________________________
L’Ufficiale dello Stato Civile
op
Avvertenze
C
1)
2)
3)
4)
Indicare il luogo di matrimonio (città e Stato).
Indicare la data del matrimonio.
Indicare i dati relativi al coniuge.
Barrare la condizione ricorrente.
.
A
冟 53
p.
La funzione consolare in materia di stato civile
Es
se
li
br
i
S.
5) Gli atti e i documenti redatti in lingua straniera devono essere accompagnati da una
traduzione in lingua italiana che deve essere certificata conforme al testo straniero
dall’autorità diplomatica o consolare ovvero da un traduttore ufficiale o da un interprete che attesti, con giuramento davanti all’ufficiale dello stato civile la conformità al testo straniero (art. 22 D.P.R. 3-11-2000, n. 396).
6) I documenti e gli atti dello stato civile formati all’estero da autorità straniere devono essere legalizzati, salvo la vigenza di convenzioni esentative (art. 21, 3° comma
D.P.R. 3-11-2000, n. 396).
Le firme sugli atti e documenti formati all’estero da autorità estere e da valere nello
Stato italiano sono legalizzate dalle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane all’estero. Quelle su atti e documenti rilasciati da una rappresentanza diplomatica o consolare estera residente nello Stato, da valere nello Stato italiano, devono
essere legalizzate a cura delle Prefetture (art. 33, 2° e 4° comma, D.P.R. 28-122000, n. 445).
7) Apporre la firma per esteso e leggibile.
8) La domanda, corredata dalla copia dell’atto da trascrivere può essere presentata
personalmente dall’interessato o inoltrata a mezzo posta unitamente alla fotocopia
di un documento di identità personale.
©
Domanda di trascrizione di decesso all’estero
Marca da bollo
14,62 euro
ht
All’Ufficiale dello Stato Civile
del Comune di ____________
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Io
Cognome/Nome: ______________________________________________________
data di nascita: _ _ / _ _ / _ _ _ _
luogo di nascita _____________________________ Stato: _____________________
residente a : ______________________ Via ____________________________ n. ____
CHIEDO
C
op
ai sensi dell’art. 12 comma 11 del D.P.R. 3-11-2000, n. 396, la trascrizione nei registri
di stato civile del Comune di _______ dell’unito atto di morte, documento redatto (1):
su modello plurilingue rilasciato in base alla vigenti convenzioni internazionali in lingua ________________________________________________, tradotto nel testo italiano (2), e legalizzato da (3) __________________________________________,
relativo a:
Cognome/Nome: ______________________________________________________
.
A
冟
Capitolo 3
p.
54
data di nascita: _ _ / _ _ / _ _ _ _
luogo di nascita _____________________, già residente in _____________________.
S.
________, li _______________________
br
i
In fede
___________________________________ (4)
======================================================================
Comune di ________ - Ufficio dello Stato Civile (5)
La presente richiesta è stata sottoscritta in mia presenza
Richiedente riconosciuto con _____________________________________________
li
L’Ufficiale dello Stato Civile
se
Avvertenze
C
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ig
ht
©
Es
1) Barrare la condizione ricorrente.
2) Gli atti e i documenti redatti in lingua straniera devono essere accompagnati da una
traduzione in lingua italiana che deve essere certificata conforme al testo straniero
dall’autorità diplomatica o consolare ovvero da un traduttore ufficiale o da un interprete che attesti, con giuramento davanti all’ufficiale dello stato civile la conformità al testo straniero (art. 22, D.P.R. 3-11-2000, n. 396).
3) I documenti e gli atti dello stato civile formati all’estero da autorità straniere devono essere legalizzati , salvo la vigenza di convenzioni esentative (art. 21, 3° comma
D.P.R. 3-11-2000, n. 396).
Le firme sugli atti e documenti formati all’estero da autorità estere e da valere nello
Stato italiano sono legalizzate dalle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane all’estero. Quelle su atti e documenti rilasciati da una rappresentanza diplomatica o consolare estera residente nello Stato, da valere nello Stato italiano, devono
essere legalizzate a cura delle Prefetture (art. 33, 2° e 4° comma, D.P.R. 28-122000, n. 445).
4) Apporre la firma per esteso e leggibile.
5) La domanda, corredata dalla copia dell’atto da trascrivere può essere presentata
personalmente dall’interessato o inoltrata a mezzo posta unitamente alla fotocopia
di un documento di identità personale.
.
A
冟 55
p.
La funzione consolare in materia di stato civile
1. In cosa consistono essenzialmente le funzioni di stato civile?
(par. 1)
2. Cos’è l’AIRE?
(par. 2)
S.
Questionario
3. In cosa consiste la legalizzazione e da cosa può essere sostituita?
i
(par. 3)
br
4. Quali sono gli atti di stato civile?
(par. 3)
5. Cosa compete all’ufficio consolare in materia di cittadinanza?
C
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(par. 4)
C
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Es
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S.
p.
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A
p.
冟
i
S.
Capitolo 4 La giurisdizione volontaria in materia
di successioni, disabili, minori
br
Sommario 冟 1. La giurisdizione volontaria. - 2. La giurisdizione volontaria in materia di
li
successioni ereditarie. - 3. La giurisdizione volontaria nei confronti di particolari soggetti.
se
1. La giurisdizione volontaria
C
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©
Es
La volontaria giurisdizione (vedasi anche il capitolo precedente), nel diritto processuale civile, è l’attività esercitata allo scopo non di comporre una lite, bensì di gestire
un negozio o un affare nell’interesse di uno o più soggetti. Trattasi, in sostanza, di
attività di amministrazione del diritto privato affidata ad organi giurisdizionali (MANDRIOLI)
Essa comporta, dunque, l’intervento di un terzo (il giudice) estraneo ed imparziale,
che permetta alle parti di porre in essere un rapporto giuridico, nei casi in cui la legge
non lascia autonomia ai privati.
La differenza più evidente con la giurisdizione contenziosa sta nella natura del provvedimento finale. Mentre in sede contenziosa i giudici emettono un provvedimento in
grado di regolare con stabilità il rapporto controverso tra le parti in lite, in contraddittorio delle parti, per risolvere una controversia, sono adottate in affianco alle stesse
(es.: nomina di un tutore) e, nel campo della volontaria giurisdizione, i provvedimenti
del giudice possono essere revocati e modificati perché emessi sulla base di una valutazione di opportunità variabile nel tempo: trattasi essenzialmente di autorizzazioni,
omologazioni, nomine, revoche, etc.
Come si evince dal nomen iuris, tali atti hanno natura sostanzialmente amministrativa,
sia sotto il profilo strutturale, non essendo idonea al giudicato in quanto caratterizzata
dalla revocabilità e modificabilità, sia sotto il profilo funzionale, essendo diretta ad
attuare non diritti, ma interessi semplici o legittimi. In ambito nazionale, vengono
adottati dal giudice con decreto emesso in camera di consiglio, così come predisposto
dalle norme di cui agli artt. 737-742bis c.p.c. e salvo i casi in cui la legge prevede
espressamente una disciplina diversa.
All’estero, invece, essi possono essere prodotti dal capo dell’ufficio consolare, poiché
li si ritiene talmente connessi con l’attività di protezione dei connazionali, da apparire
una particolare estrinsecazione di quest’ultima.
.
A
冟
Capitolo 4
p.
58
Inoltre, la legge predispone una disciplina tripartita, individuando:
S.
Le attribuzioni consolari in materia di volontaria giurisdizione sono dettate dal D.P.R.
200/1967 agli artt. 31-43.
La legge definisce direttamente quali sono atti di competenza consolare, senza condizionamenti da parte del diritto internazionale e degli usi locali (che però, d’altra parte,
hanno un peso rilevante sulla scelta dei mezzi da sperimentare).
se
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— settori in cui ai funzionari consolari spetta il compito di emanare provvedimenti di
volontaria giurisdizione (nomina di tutori, di curatori e atti di affiliazione, art. 34;
amministrazione di successioni, art. 41);
— settori in cui i funzionari consolari possono adottare provvedimenti solo a condizione che se ne avverta l’esigenza (atti in materia di famiglia e di successione, art.
35);
— settori in cui i funzionari consolari, pur non essendo abilitati ad emanare provvedimenti, possono sollecitarli presso le competenti autorità nazionali e collaborare
con esse (interdizione e inabilitazione, art. 31; parzialmente, adozione e successione, artt. 33 e 43).
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2. La giurisdizione volontaria in materia di successioni ereditarie
A) La successione nel diritto italiano
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Si ha successione in un rapporto giuridico quando questo, pur restando inalterato nei
suoi elementi oggettivi, viene trasmesso da un soggetto, detto autore o dante causa,
ad un altro, detto successore o avente causa. La successione comporta quindi il subingresso di un soggetto ad un altro nella titolarità di uno o più rapporti giuridici. Il nostro
ordinamento individua due fattispecie: la successione a titolo particolare e quella a
titolo universale.
La successione a titolo particolare viene posta in essere allorché si trasferisce solo
una determinata posizione soggettiva, attiva o passiva. Può avvenire mortis causa o
inter vivos.
Nella successione a titolo universale, invece, un soggetto subentra in tutti i rapporti
patrimoniali attivi e passivi. L’ordinamento italiano riconosce solo la fattispecie mortis
causa, che mira ad assicurare la continuità dei rapporti patrimoniali facenti capo al de
cuius.
Le successioni mortis causa, siano esse a titolo particolare o universale, sono sottoposte ad una dettagliata disciplina giuridica.
L’art. 42 Cost., ult. co., predispone una riserva assoluta di legge nel definire sia le
norme e i limiti della successione legittima e testamentaria, sia i diritti dello Stato
sull’eredità.
La successione legittima indica la successione per volontà di legge e si verifica allorquando il de cuius non abbia disposto dei suoi beni con atto testamentario; essa viene
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La giurisdizione volontaria in materia di successioni, disabili, minori
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disciplinata dagli artt. 565 e ss. c.c., che individuano le categorie dei successibili in
base ad un rapporto di parentela o di coniugio e le quote loro attribuite nella successione. I criteri utilizzati dalla legge si ispirano all’intensità dei vincoli di parentela che
uniscono i congiunti al defunto, ragion per cui i più prossimi escludono i più lontani.
La successione testamentaria, invece, prevede che il soggetto dante causa disponga,
per il tempo in cui avrà cessato di vivere, la sorte delle proprie sostanze tramite la
stesura di un testamento e l’istituzione di uno o più eredi o legatari.
Riguardo alla capacità di testare, la legge richiede per il compimento del testamento la
piena capacità di agire e la piena capacità di intendere e di volere.
Il testamento è definito come «l’atto revocabile col quale taluno dispone, per il tempo
in cui avrà cessato di vivere, tutte le proprie sostanze o di parte di esse» (art. 587, co.
1). Esso è un negozio giuridico, unilaterale, non recettizio, revocabile, unipersonale (in
quanto posto in essere da un unico soggetto) e formale.
Può essere olografo, ovvero scritto, datato e firmato di pugno dal testatore; pubblico,
quando è redatto da un notaio e firmato dal testatore alla presenza di due testimoni;
segreto, se scritto dal testatore o da un terzo e consegnato sigillato al notaio.
Ha un contenuto tipico, costituito da disposizioni di carattere patrimoniale in cui il de
cuius individua i propri eredi e legatari; ma può avere altresì un contenuto atipico, per le
disposizioni riguardanti, ad esempio, la designazione di un tutore, il riconoscimento di
figlio naturale, la riabilitazione dell’indegno, la nomina dell’esecutore testamentario.
Gli eredi sono i soggetti che, chiamati a succedere, accettano l’eredità solo dopo aver
espresso la loro volontà in tal senso.
I legatari sono successori ipso iure unicamente in uno o più diritti reali o rapporti
determinati, senza che occorra accettazione. La ratio del diverso trattamento sta nel
fatto che il legatario non è mai esposto al rischio di una perdita economica, poiché a
differenza dell’erede non succede nel patrimonio del defunto e, dunque, se non abbia
accettato con il «beneficio dell’inventario» non è tenuto ad accollarsi i debiti ereditari.
Per il diritto internazionale privato, la successione mortis causa è regolata dalla legge
nazionale del soggetto della cui eredità si tratta al momento della morte. Il de cuius
può però sottoporre l’intera successione, con dichiarazione espressa in forma testamentaria, alla legge dello Stato in cui risiede (art. 46 L. 218/1995), senza che da ciò
derivi pregiudizio ai diritti che la legge italiana riconosce ai legittimari residenti in
Italia.
La legge scelta dal testatore designerà il diritto sostanziale applicabile a tutti gli aspetti
della successione: i beni oggetto della successione, i destinatari, i soggetti a cui vanno
eventuali debiti ereditari, i rimedi giuridici, i provvedimenti ammissibili, etc.
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B) Le funzioni consolari in materia di successioni ereditarie
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In materia di successioni, il funzionario consolare ha competenza per le sole fattispecie mortis causa (Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari, art. 5, lettera g).
Egli deve tutelare il connazionale all’estero sia in qualità di autore che di successore:
deve cioè accertare da un lato, che i beni lasciati dai cittadini italiani vengano ripartiti fra
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i destinatari; dall’altro, che in quanto eredi o legatari, i cittadini italiani ricevano ciò che
spetta loro per legge o testamento. L’art. 41 del D.P.R. 200/1967 fa infatti riferimento ad
entrambi i casi di «successioni di cittadini» e «successioni a favore di cittadini».
Affinché si eserciti la competenza consolare in quest’ambito, è necessario che il soggetto sia morto intestato, non abbia nominato un esecutore testamentario o questi non
sia presente, e che gli eredi siano minori, incapaci o assenti.
La prima responsabilità che incombe al funzionario consolare consiste nell’informare
le autorità italiane e straniere competenti, ammesso che il de cuius risiedesse nella
propria circoscrizione consolare.
Se anche i beni dati in successione si trovano all’interno del suo distretto di assegnazione, il funzionario consolare può esercitare sopra di essi «i poteri conservativi, di
vigilanza e di amministrazione attribuiti all’autorità giudiziaria in Italia dalle leggi
dello Stato» (art. 41).
Qualora tali beni vengano a lui consegnati, ne diventa depositario e provvede alla loro
custodia «negli interessi degli aventi diritto, presso l’ufficio consolare» (art. 42). Tra
questi, le somme di denaro e gli oggetti preziosi vengono prontamente trasmessi agli
eredi, a condizione che essi si trovino in Italia (poiché ciò permette di individuarne la
località di residenza, attraverso il lavoro coordinato di posto consolare, Ministero degli
esteri e Comune competente) e che non vi si oppongano creditori o altri aventi diritto.
Sugli altri effetti lasciati dal defunto, il funzionario consolare provvede ad apporre i
sigilli (le autorità locali possono solo assistere o, eventualmente, aggiungere i propri
sigilli). Una volta rimossi, egli ne effettua l’inventario, ordina la vendita degli oggetti
mobili che non possono essere conservati, assicura la conservazione dei beni inventariati, dà pubblicità all’avvenuto decesso del cittadino italiano qualora eventuali creditori vogliano avanzare le loro pretese, soddisfa queste ultime, amministra l’intero asse
ereditario e provvede, da ultimo, alla sua liquidazione.
Nei casi in cui sorgano controversie nella fase di liquidazione, contestazioni da parte di
cittadini stranieri e procedure concorsuali (1) ad opera di creditori non interamente
soddisfatti, il funzionario consolare è tenuto a rappresentare gli interessi dei connazionali.
Il funzionario consolare può anche «promuovere» atti conservativi, di vigilanza ed,
eccezionalmente, di amministrazione dell’interesse dei cittadini (art. 43): ciò implica
che, nell’impossibilità di esercitare i propri poteri, è autorizzato a richiedere l’intervento delle autorità locali.
I funzionari consolari, ex art. 43, non possono accettare procure relative a procedure
amministrative o giudiziarie, concernenti l’amministrazione o la liquidazione di successioni, o comunque attinenti ad interessi privati, se non con l’assenso del Ministero
degli esteri o, su nulla osta di questo, dell’amministrazione competente per materia.
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(1) Procedure giudiziarie attivate da creditori quando l’imprenditore si trova in uno stato d’insolvenza che gli
impedisce di pagare i debiti contratti. Con esse, il giudice provvede a liquidare l’intero patrimonio dell’insolvente
al fine di soddisfare i diritti avanzati dai creditori.
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La giurisdizione volontaria in materia di successioni, disabili, minori
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Tale autorizzazione è necessaria a prescindere dalle norme interne dello Stato di residenza e da quelle internazionali da questo riconosciute.
Il funzionario consolare è autorizzato ad aprire il testamento, pubblicarlo o richiederne
la pubblicazione alle autorità locali.
Ai sensi dell’art. 41, se il soggetto chiamato ad una successione apertasi in Italia si
trova all’estero, può rivolgersi all’ufficio consolare e presentare dichiarazione di rinuncia, accettazione col beneficio dell’inventario o qualsiasi altra manifestazione di
volontà (come la richiesta di apposizione di sigilli sui beni). Il posto consolare trasmette tali atti all’autorità competente per via più breve.
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3. La giurisdizione volontaria nei confronti di particolari soggetti
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All’autorità consolare spettano importanti attribuzioni anche in riferimento a cittadini minorenni e incapaci residenti all’estero, così come espressamente previsto dal diritto internazionale generale (ovvero dalla Convenzione codificatrice redatta a Vienna nel 1963, all’art.
5, lettera h), nonché dalle disposizioni italiane del D.P.R. 200/1967 agli artt. 33 e 34.
Tali competenze si esplicano in ambito di adozione, tutela, curatela e affiliazione, ma
fanno parte di un più ampio quadro di assistenza e protezione di soggetti a cui viene
attribuito un particolare status.
Ad esse si aggiungono funzioni di interdizione e inabilitazione, ai sensi dell’art. 31
della summenzionata legge consolare.
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A) Le nozioni di minore, incapace, interdetto, inabilitato
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Nel diritto civile, il minore è la persona fisica sfornita della capacità di agire perché
non ha ancora compiuto il diciottesimo anno di età.
La minore età dà luogo ad una figura di incapacità legale assoluta, nel senso che
esclude ogni attitudine del soggetto al compimento di quegli atti per i quali la legge
richiede la capacità di agire.
Al minore non sono infatti riconosciuti il diritto di voto alle elezioni politiche e amministrative e la capacità di curare i propri interessi. Quest’ultima, in particolare, viene
affidata ai genitori o al tutore che, in qualità di rappresentanti legali, possono compiere
tutti gli atti di ordinaria amministrazione e, previa autorizzazione del giudice tutelare,
anche quelli di straordinaria amministrazione.
Gli atti posti in essere personalmente dal minore possono essere annullati, su richiesta
rivolta al Tribunale, dai suoi rappresentanti legali o dallo stesso minore una volta raggiunta la maggiore età.
In ambito penale, la minore età incide sull’imputabilità del reato. Il codice vigente
distingue tra età fino ai 14 anni, in cui vi è una presunzione assoluta di assenza della
capacità di intendere e volere che rende il minore non imputabile; ed età compresa fra
i 14 e i 18 anni, in cui è impossibile qualsiasi presunzione di capacità o incapacità, che
devono pertanto essere accertate caso per caso dal giudice.
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L’incapace è la persona non ritenuta idonea, da sola, ad acquistare ed esercitare diritti
o ad assumere obblighi.
La legge predispone dei particolari istituti di protezione, che consentono agli incapaci di
svolgere un’attività giuridica, in via mediata, attraverso l’ausilio del tutore o del curatore.
L’incapacità si distingue in due figure:
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— incapacità legale di agire, tassativamente determinata dalla legge nei casi di minore età, interdizione giudiziale e inabilitazione. Trattasi di incapacità assoluta per i
minori o gli interdetti, o relativa per il minore emancipato (2) o l’inabilitato, poiché
ad essi è consentito compiere atti di ordinaria amministrazione in via autonoma, e
atti di straordinaria amministrazione su assistenza del curatore;
— incapacità naturale di agire, quando consiste nell’effettiva e reale inettitudine psichica che induce all’incapacità di intendere o volere.
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L’interdetto è l’individuo per il quale la legge ha previsto un’incapacità che può essere di tipo giudiziale o legale.
La prima si verifica quando colui che è affetto da abituale infermità di mente viene
dichiarato incapace di provvedere ai propri interessi a seguito di emissione di sentenza. L’interdizione viene disposta allo scopo di fornire un’adeguata protezione all’incapace, poiché ad essa segue la nomina di un tutore definitivo sulla base di un decreto
emanato dal giudice tutelare.
Tutti gli atti giuridici eventualmente compiuti dall’interdetto sono annullabili su istanza del tutore, del soggetto stesso o dei suoi aventi causa (3).
L’interdizione legale, invece, è una pena accessoria che comporta la perdita della capacità di agire e consegue alla condanna all’ergastolo o alla reclusione per un tempo non
inferiore ai cinque anni. Gli atti annullabili sono quelli di natura patrimoniale, non
quelli aventi carattere personale o familiare.
A differenza dell’interdizione giudiziale e della minore età, non si giustifica come
forma di intervento a favore di un soggetto incapace di provvedere personalmente ai
suoi interessi, ma piuttosto come misura sanzionatoria per aver commesso un reato
particolarmente grave.
L’inabilitato è un soggetto che, a causa di particolari condizioni fisiche e psichiche,
versa in condizione di parziale incapacità. Ciò rende necessario un atto giudiziario
che attesti lo stato di diminuita capacità di agire.
I casi di inabilitazione previsti dalla legge sono: infermità abituale di mente non così
grave da giustificare l’interdizione; prodigalità che esponga il soggetto e la sua famiglia a gravi pregiudizi economici; abuso di bevande alcoliche e stupefacenti; sordità o
cecità dalla nascita o dalla prima infanzia, non accompagnate da un’educazione correttiva tale da rendere autonomo il soggetto.
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(2) Minore che ha contratto matrimonio.
(3) Si rammenti che l’avente causa è il soggetto che subentra ad un altro a seguito di una successione; in caso
di successione ereditaria mortis causa , egli viene definito erede se accetta l’eredità con atto volontario.
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La giurisdizione volontaria in materia di successioni, disabili, minori
A protezione dell’inabilitato viene predisposto un curatore, che lo assiste nello stare in
giudizio, nel riscuotere capitali e negli atti di straordinaria amministrazione.
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B) La funzione consolare nei casi di interdizione e inabilitazione
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Cos’è la rogatoria?
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L’art. 31 D.P.R. 200/1967 autorizza il capo di ufficio consolare di I categoria (ovvero
console di carriera) a richiedere al Pubblico Ministero del tribunale italiano competente di promuovere un provvedimento di interdizione o inabilitazione nei confronti
del connazionale residente nella propria circoscrizione consolare.
Da quanto detto al paragrafo precedente, risulta ovvio che l’interdizione di cui all’art.
31 è di tipo giudiziale (poiché per quella legale non è richiesta l’emissione di sentenza
da parte dell’autorità giudiziaria).
Ai sensi dell’art. 31.3, la competenza ad accertare se ricorrano o meno gli estremi di
abituale infermità di mente, prodigalità, abuso di sostanze alcoliche o stupefacenti, etc.
spetta di norma al tribunale; ma può anche formare oggetto di rogatoria al console, che
nell’eseguire l’esame sull’individuo deve essere assistito da un consulente tecnico nominato dalla missione diplomatica o, in sua mancanza, approvato dal Ministero degli esteri.
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La rogatoria è la richiesta, trasmessa da un giudice ad un altro, di compiere un atto processuale (generalmente, l’assunzione di un mezzo di prova) che esula dal suo ambito di competenza territoriale o dalla sua
sfera di giurisdizione. Se la persona che deve essere interrogata, esaminata o deve rendere una dichiarazione è un cittadino italiano residente all’estero, il giudice istruttore rivolge la rogatoria al consola italiano competente.
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Qualora non gli sia possibile esaminare l’interdicendo o l’inabilitando, per motivi che
non sono esplicitati e che pertanto sembrano rientrare nella discrezionalità del console,
egli deve comunque trasmettere all’autorità rogante (ovvero il tribunale competente)
qualsiasi elemento di prova in suo possesso.
Il tribunale a cui spetta l’emissione della sentenza, individuato dal 4° comma, è quello
di ultima residenza in Italia o, qualora il soggetto non abbia mai risieduto in patria, il
tribunale di Roma.
Vale la pena di notare che la disciplina prevista dalla legge consolare sacrifica una
delle garanzie che l’ordinamento italiano in genere predispone per provvedimenti di
una certa gravità: il tribunale competente non è quello territoriale, ovvero relativo al
luogo in cui il soggetto è residente, bensì un tribunale italiano, che non può provvedere
direttamente alla fase inquisitoria e di raccolta delle prove.
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C) La tutela e la curatela
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La tutela è un ufficio di diritto privato, gratuito ed irrinunciabile, istituito allo scopo di
realizzare l’interesse pubblico alla protezione degli interdetti e dei minori privi di genitori in condizione di verificare la potestà sui figli. In questi casi, dunque, è necessaria
la nomina di un tutore.
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Costui provvede alla cura della persona dell’incapace, all’inventario dei suoi beni,
compie atti di ordinaria amministrazione del suo patrimonio, ecc.
Nell’adempiere alle sue mansioni, viene assistito dal protutore, che controlla il suo
operato e può anche rappresentare l’incapace qualora vi sia un conflitto di interessi
con il tutore.
La curatela è un istituto simile, ma posto a tutela di soggetti solo parzialmente incapaci
legalmente. In virtù di ciò, la volontà dell’inabilitato o del minore emancipato (ovvero
che ha contratto matrimonio) viene integrata dall’intervento di un terzo, il curatore.
Egli ha funzioni di assistenza, intervenendo negli atti di natura patrimoniale eccedenti
l’ordinaria amministrazione.
Il codice civile prevede anche la figura del curatore speciale, ovvero persona con attribuzioni analoghe a quelle della curatela ordinaria, ma limitate ad una sfera particolare,
o alla gestione di un patrimonio separato.
L’art. 34 del D.P.R. 200/1967 consente al capo d’ufficio consolare di prima categoria
la possibilità di nominare personalmente un tutore, protutore, curatore o curatore speciale che assista le suddette categorie di connazionali all’estero.
La ratio di riservare tale competenza al console di carriera, escludendo quello onorario, deriva dal fatto che, in materia di protezione di minorenni e incapaci, gran parte
della disciplina viene dettata da norme del codice civile italiano.
Il c.c. stabilisce che la tutela dei minori e degli incapaci si apre dove essi hanno la sede
principale dei loro affari e interessi e che la competenza alla nomina del tutore spetta al
relativo giudice tutelare (con decreto).
Quando i connazionali si trovano all’estero, come recita espressamente il 1° comma
dell’art. 34, il giudice tutelare viene sostituito dal capo del posto consolare competente
per il distretto in cui risiedono. Va dunque notato che ai sensi del codice civile, il
giudice tutelare competente è quello del luogo in cui i soggetti hanno il domicilio,
mentre la legge consolare fa riferimento alla residenza.
Il 3° comma predispone una ripartizione di competenze tra il console all’estero ed il
giudice tutelare in Italia: il primo nomina il tutore, il protutore, il curatore ed il curatore
speciale, affinché provvedano alla cura dei loro assistiti sul territorio dello Stato di
residenza; ma in relazione ad interessi localizzati in Italia, essi possono svolgere il
proprio incarico solo a condizione che il giudice tutelare competente territorialmente
disponga in tal senso.
Se, ad esempio, il giudice tutelare nega al tutore la possibilità richiesta, deve allo stesso tempo provvedere alla nomina di un’autorità in situ, poiché gli interessi del minore
o dell’incapace non possono rimanere sprovvisti di tutela. Il soggetto incaricato sarà
necessariamente un curatore speciale, perché dotato di funzioni relative ad una sfera
particolare.
Una volta effettuate le nomine, il capo dell’ufficio consolare deve, ad esempio, prendere provvedimenti interinali per la conservazione del patrimonio del soggetto, per l’educazione del minore, concedere l’autorizzazione al tutore per gli atti che lo richiedono,
ricevere le contabilità della tutela o della curatela, etc.
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Non è però autorizzato ad esercitare tutti i poteri attribuiti normalmente al giudice
tutelare, nello specifico quelli che richiedono misure coercitive.
Ai sensi del 2° comma dell’art. 34, gli individui nominati dal console cessano la
loro attività se egli stesso provvede a sostituirli o se il connazionale rientra in
Italia, dove sarà il giudice tutelare a decidere se rimuoverli dal loro incarico o
meno.
Anche se la legge consolare tace a riguardo, la Convenzione di Vienna specifica che la
funzione consolare può essere esercitata solo «entro i limiti fissati dalle leggi e dai
regolamenti dello Stato di residenza»; dal diritto locale, infatti, dipende la possibilità
sia che il console possa svolgere la sua attività di investigazione, sia che i suoi atti
abbiano efficacia nell’ordinamento dello Stato di residenza, in modo da garantire una
protezione effettiva e concreta al minore o all’incapace.
D) L’affidamento temporaneo dei minori
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L’art. 34, co. 1, del D.P.R. 200/1967 prevede che, in caso di affiliazione al console sono
attribuiti gli stessi poteri normalmente spettanti al giudice tutelare.
Si tenga però presente che l’istituto dell’affiliazione è stato soppresso ex L. 184/1983
che ha disciplinato in maniera organica l’affidamento temporaneo del minore.
Si può ricorrere all’affidamento quando il minore, nonostante gli interventi di sostegno
e di aiuto alle famiglie previsti dalla legge, sia temporaneamente privo di un ambiente
familiare idoneo. Possono essere oggetto di affidamento tutti i minori, anche non cittadini, che si trovino nel territorio dello Stato. Tale circostanza induce a ritenere, quindi,
che competenze consolari in materia siano venute meno, dovendosi applicare, in caso
di minore straniero residente all’estero, le disposizioni sull’adozione internazionale (v.
infra lett. E).
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E) L’adozione internazionale
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L’adozione è un istituto tipico del diritto di famiglia con cui si costituisce, tra l’adottante e l’adottato, un rapporto di parentela legale e non naturale. Essa viene predisposta in situazioni di abbandono permanente, che comportano per il minore una totale
mancanza dell’assistenza morale e materiale di cui ha bisogno.
In tutte le ipotesi che vedono coinvolti adottanti e adottati di nazionalità diverse, si
parla di adozioni internazionali.
La disciplina ad esse relativa è stata integralmente modificata in seguito all’entrata in
vigore della L. 476/1998, che ha riformato il capo I del titolo III della L. 184/1983 in
materia di adozione e affidamento dei minori.
La nuova legge, nel suo primo articolo, autorizza il Presidente della Repubblica alla
ratifica della Convenzione de L’Aja del 29 maggio 1993 «sulla protezione dei minori e
sulla cooperazione in materia di adozioni internazionali».
Nella Convenzione viene innanzitutto affermato il principio di sussidiarietà dell’adozione internazionale, avente come scopo primario il miglior interesse del bambino ed
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il rispetto dei suoi diritti fondamentali, in modo da privilegiare le possibili soluzioni
alternative all’adozione internazionale nel Paese d’origine (art. 4, lett. b).
Viene poi ribadito il principio di parità (art. 5), con il quale si attua la piena equiparazione tra genitori naturali ed adottivi, per quanto attiene ai benefici e alla tutela dei diritti spettanti alle madri e ai padri che lavorano (art. 39quater come modificato).
Inoltre, si sottolineano l’assoluta libertà di consenso all’adozione (art. 4, lett. c e d),
sia dei genitori biologici che dello stesso minore, quando sia richiesto dalla legge nazionale; nonché la necessità di una stabile cooperazione tra Stati affinché il trasferimento del minore avvenga solo quando le prospettive di adozione si caratterizzano
favorevolmente nell’interesse dello stesso.
Nell’ottica di armonizzazione con la Convenzione de L’Aja, la L. 476/1998 introduce
agli artt. 38 e 39 la figura della Commissione centrale per le adozioni internazionali.
Tale organo svolge innanzitutto compiti d’impulso e coordinamento con le autorità
centrali degli altri Paesi, ma il suo ruolo è stato recentemente potenziato dal D.P.R.
108/2007 il quale, tra l’altro, ha posto a suo capo il Presidente del Consiglio o, su sua
delega, il Ministro delle politiche per la famiglia.
Per quanto riguarda l’ordinamento interno, la Commissione concede le autorizzazioni
agli enti competenti (ex art. 31 L. di riforma) alla gestione delle pratiche di adozione
per conto delle coppie di aspiranti genitori adottivi.
Tali coppie devono necessariamente rivolgersi agli enti all’uopo autorizzati, obbligo al
quale corrisponde un sistema sanzionatorio sul piano penalistico che tenta di porre fine
ad ogni forma di commercio di bambini.
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F) La procedura di adozione internazionale
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Il nuovo iter procedurale previsto per l’adozione si compone sostanzialmente di tre fasi:
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— iniziale. Gli aspiranti genitori adottivi richiedono una «dichiarazione di idoneità
all’adozione» al tribunale competente, che compie gli accertamenti del caso con
l’ausilio dei servizi socio-assistenziali degli enti locali, ed eventualmente emana
un decreto motivato di idoneità all’adozione;
— intermedia, che si svolge in parte in Italia, in parte all’estero. Consiste in una serie
di incontri tra gli adottanti ed il minore, resi possibili dal lavoro coordinato fra
l’ente autorizzato a svolgere le pratiche di adozione ed il Paese straniero. Se gli
incontri hanno esito positivo, l’autorità giudiziaria straniera emette il provvedimento di adozione;
— finale, con la quale l’adozione diviene pienamente efficace in Italia e la Commissione autorizza l’ingresso e la residenza permanente del minore in Italia. Il Tribunale per i minorenni trascrive il provvedimento di adozione nei registri di stato
civile ed il minore diventa ufficialmente cittadino italiano.
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All’interno di questo quadro si inserisce l’attività del Ministero degli esteri e della rete
diplomatico-consolare.
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G) La tutela dei minori sottratti
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Il Ministero si attiva per illustrare agli aspiranti genitori adottivi la normativa interna
ed internazionale in materia, sulle procedure vigenti in Italia e nei Paesi da cui provengono i flussi più consistenti di minori adottati.
I nostri organi rappresentativi all’estero hanno invece il compito di collaborare con l’ente
autorizzato per favorire il buon esito della procedura di adozione, ad esempio mediante la
legalizzazione ed il controllo della documentazione e l’agevolazione dei contatti con le autorità locali (soprattutto in merito ai Paesi che non hanno ratificato la Convenzione de L’Aja).
Gli uffici consolari, con il placet della Commissione, rilasciano il visto d’ingresso per
adozione a beneficio del minore, che viene poi apposto sul passaporto concesso dal
Paese d’origine.
Ulteriori competenze sono previste dalla legge consolare all’art. 33 (rubricato, appunto,
«Adozione»), che va letto alla luce dell’iter procedurale predisposto dalla L. 476/1998.
Come detto in precedenza, gli adottanti richiedono una dichiarazione di idoneità al
tribunale per i minorenni del luogo di residenza; nel caso in cui non abbiano la residenza in Italia, il D.P.R. 200/1967 prevede che essi si rivolgano al tribunale del luogo di
ultima residenza o, in difetto, del tribunale di Roma.
L’autorità consolare può compiere indagini o assumere informazioni per accertare che
esistano le condizioni dettate dalla legge, che l’adottante goda di buona reputazione e
che l’adozione risulti vantaggiosa per il minore.
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La sottrazione internazionale di minori (4) consiste nel trasferimento illecito all’estero degli stessi, spesso in conseguenza di separazioni conflittuali tra individui di
diversa o doppia cittadinanza.
Più esattamente, il genitore non esercente l’esclusiva potestà preleva illecitamente il
minore dal luogo di residenza abituale e lo conduce oltre i confini nazionali senza
permetterne poi il rientro, in violazione del diritto di affidamento e del diritto di visita.
Al fine di tutelare il minore dagli effetti nocivi del suo trasferimento indebito, nonché di
predisporre apposite procedure che ne facilitino l’immediato rientro, il 25 ottobre 1990 è
stata adottata a livello internazionale la Convenzione de l’Aja «sugli aspetti civili della
sottrazione internazionale di minori», che si aggiunge, integrandola, alla disciplina già
prevista in ambito europeo: la Convenzione di Lussemburgo del 25 maggio 1980 in
materia di «riconoscimento ed esecuzione delle decisioni relative all’affidamento di minori» ed il Regolamento CE 2201/2003 su «competenza, riconoscimento ed esecuzione
delle decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale».
Per adempiere agli obblighi derivanti dagli atti internazionali di cui sopra, in Italia è
stato istituito un Dipartimento di Giustizia Minorile presso il Ministero di Giustizia,
coadiuvato dalla rete diplomatico-consolare all’estero.
Qualora il Paese in cui il minore è stato condotto non sia parte della Convenzione de
L’Aja, né destinatario del regolamento comunitario, il Dipartimento di Giustizia non è
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(4) La sottrazione di minori costituisce ipotesi di reato ex art. 574 c.p.
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Capitolo 4
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abilitato ad esercitare le sue competenze. Il genitore deve perciò rivolgersi al Ministero
degli esteri o, se risiede all’estero, all’organo diplomatico o consolare competente.
Quest’ultimo può sensibilizzare le autorità o gli organismi presenti in loco, seguire
l’attività di ricerca condotta dall’autorità di polizia, intraprendere tentativi di conciliazione tra i genitori del minore sottratto, consigliare legali di fiducia e prendere parte
alle udienze riguardanti gli interessi e i diritti del minore.
Il console, in particolare, può effettuare visite consolari al minore conteso ed esercitare i suoi poteri di giudice tutelare.
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H) La legittimazione
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Con l’espressione legittimazione si intende il fenomeno in virtù del quale il figlio
naturale (5), riconosciuto o riconoscibile, può acquistare lo status di figlio legittimo a
tutti gli effetti, secondo quanto previsto dagli artt. 280 e ss. del codice civile.
Tale istituto si differenzia dal riconoscimento sia perché fa sorgere un rapporto di parentela tra il legittimato ed i familiari del genitore, sia per il fatto che la decorrenza
degli effetti è ex tunc per il riconoscimento, ed ex nunc (6) per la legittimazione.
Essa avviene due modi:
— per susseguente matrimonio, quando i due genitori naturali, dopo la nascita del
figlio, si sposano tra loro. Gli effetti si producono dal giorno del matrimonio, se il
riconoscimento è avvenuto con l’atto di matrimonio o anteriormente, o dal giorno
del riconoscimento, se questo è avvenuto posteriormente;
— per provvedimento del giudice, se vi è l’impossibilità o un ostacolo gravissimo (ad
esempio, insanabili contrasti tra i genitori naturali) a celebrare il matrimonio.
Le competenze consolari in quest’ambito, sancite dal D.P.R. 200/1967 all’art. 32, si
esplicano relativamente alla prima ipotesi.
Come già detto al cap. III, tra le attribuzioni del funzionario consolare rientra la celebrazione del matrimonio tra due connazionali residenti all’estero, o tra un cittadino
italiano ed uno straniero. In occasione del rito, egli può ricevere sia la dichiarazione di
riconoscimento, di cui all’art. 283 c.c.; sia la domanda di legittimazione, disciplinata
dai successivi artt. 284 e 288.
In quest’ultimo caso, l’autorità consolare è tenuta a trasmettere l’atto alla corte di appello competente o, in difetto, quella «nel cui distretto il richiedente ha avuto la sua
ultima residenza. Se il richiedente non ha mai avuto residenza in Italia, è competente la
corte d’appello di Roma» (art. 32).
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(5) Trattasi del figlio nato da genitori non sposati tra loro.
(6) Si rammenti che la locuzione latina ex nunc indica l’efficacia di un atto normativo nei confronti delle sole
situazioni giuridiche sorte in seguito alla sua entrata in vigore, mentre la locuzione ex tunc fa riferimento all’efficacia retroattiva di un atto, che dalla sua entrata in vigore disciplinerà anche le situazioni pendenti.
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La giurisdizione volontaria in materia di successioni, disabili, minori
I) Ulteriori casi di volontaria giurisdizione
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All’art. 35, la legge consolare attribuisce al capo d’ufficio consolare di I categoria un
generico potere di emanare tutti i provvedimenti di volontaria giurisdizione in materia
di diritto di famiglia e di successioni, normalmente di competenza del giudice tutelare
o del tribunale dei minorenni.
Trattasi di una funzione che il console può esercitare solo se circostanze particolari lo
richiedano (ad esempio, quando sia impossibile o eccessivamente oneroso il ricorso
alle autorità del Paese che lo ospita).
Non è sottoposto a restrizioni relative al rispetto del diritto locale o di eventuali accordi
bilaterali intercorrenti tra lo Stato d’invio e quello di residenza.
La norma non specifica la natura, né il contenuto degli atti da porre in essere; ma può
presumersi che tra essi rientrino, tra gli altri, i provvedimenti di nomina del curatore di
un nascituro, di un’eredità giacente, e tutti gli eventuali provvedimenti consequenziali.
Questionario
risdizione volontaria?
(par. 1)
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1. Come possono essere suddivisi gli atti di competenza consolare in materia di giu2. Quali sono le competenze consolari in materia successoria?
(par. 2)
3. Cosa sono la tutela e la curatela?
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(par. 3)
4. Quali altre competenze spettano all’autorità consolare in materia di minori?
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(par. 4)
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Capitolo 5 Le funzioni consolari in materia
giurisdizionale
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Sommario 冟 1. Le forme di cooperazione giudiziaria tra Italia e Paesi terzi. - 2. La coope-
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razione giudiziaria in materia civile. - 3. La cooperazione giudiziaria in materia penale. - 4. Le funzioni consolari in materia di assistenza giudiziaria.
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1. Le forme di cooperazione giudiziaria tra Italia e Paesi terzi
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Frequentemente si ricorre all’espressione «era globale» per definire il contesto storico
odierno, caratterizzato da un fitto intreccio di relazioni economico-commerciali e da
una maggiore permeabilità delle frontiere che agevola il libero movimento di beni,
servizi, persone e capitali.
In questo contesto, si rende necessaria una più intensa cooperazione interstatale in
campo giudiziario, sia per regolare i rapporti di diritto civile e commerciale attraverso
un apparato normativo condiviso, sia per contrastare, da un punto di vista penalistico,
l’emergere di organizzazioni criminali transnazionali, che sfuggono al potere coercitivo e di controllo del singolo Stato.
L’Italia si impegna a conseguire i suddetti obiettivi attraverso la negoziazione di accordi internazionali sulla cooperazione giudiziaria in materia civile e penale.
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2. La cooperazione giudiziaria in materia civile
A) La cooperazione in ambito europeo
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La materia civile attiene essenzialmente a tutte le fattispecie giuridiche riconducibili, oltre
al diritto civile, anche al diritto commerciale, del lavoro, dei contratti, di famiglia, societario, bancario, etc., alcune di esse disciplinate da norme la cui violazione, non costituendo
ipotesi di reato, comporta, comunque, l’irrogazione di sanzioni civili o amministrative.
È il campo in cui si è raggiunto il livello maggiore di cooperazione giudiziaria, soprattutto tra i Paesi dell’Unione europea.
Nel quadro del decennale processo di integrazione, sono state infatti gettate le basi per
la creazione di uno «spazio di libertà, sicurezza e giustizia» in cui i privati e le imprese
possano esercitare appieno i propri diritti.
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Capitolo 5
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L’istituzione della cooperazione giudiziaria in materia civile contribuisce alla definizione di questo spazio comune, perché consiste nello sforzo, da parte degli Stati membri
firmatari dei trattati, di rimuovere le incompatibilità tra i rispettivi sistemi giudiziari ed
amministrativi sia attraverso l’armonizzazione delle legislazioni nazionali, sia con il riconoscimento reciproco e l’esecuzione delle decisioni, dando, inoltre, la possibilità ai
cittadini europei di adire con facilità i tribunali di qualsiasi Stato membro.
Il Trattato di Maastricht del 1992 aveva inserito la cooperazione giudiziaria in materia
civile nel suo Capitolo VI, facendola dunque rientrare nel cosiddetto «terzo pilastro»,
di natura intergovernativa, e configurandola essenzialmente come un’attività di stipula di convenzioni multilaterali.
Il Trattato di Amsterdam del 1997 ha invece «comunitarizzato» l’intera disciplina trasferendola al Capitolo IV, prevedendo al contempo un periodo transitorio di cinque anni in
cui la Commissione ha condiviso con il Consiglio europeo il suo ruolo di iniziativa (che
nelle materie comunitarie dovrebbe invece essere esclusivo), il Consiglio ha adottato di
rigore la regola dell’unanimità e ha coinvolto il Parlamento europeo nel processo decisionale a titolo meramente consultivo, per riceverne pareri non vincolanti.
Le innovazioni sostanziali apportate ad Amsterdam sono state due: l’introduzione di
un nuovo articolo nel Trattato della Comunità europea (TCE), l’art. 65, e la conversione delle convenzioni precedentemente concluse in veri e propri regolamenti comunitari, con il vantaggio di sottoporli all’interpretazione estensiva e uniforme della Corte di
Giustizia.
Ai sensi dell’art. 65 TCE, gli obiettivi della cooperazione giudiziaria in materia civile
consistono nel migliorare e semplificare il sistema per la notificazione transnazionale
degli atti giudiziari ed extragiudiziari, rendere più efficiente la collaborazione nell’assunzione dei mezzi di prova, garantire il riconoscimento reciproco e l’esecuzione di
tutte le decisioni in materia civile e commerciale, promuovere la compatibilità delle
regole che gli Stati membri applicano ai conflitti di leggi e di competenza giurisdizionale, eliminare gli ostacoli al corretto svolgimento dei procedimenti civili, anche armonizzando le norme di procedura civile vigenti negli Stati membri.
Il Consiglio europeo tenutosi a Tampere nell’ottobre 1999 ha potenziato e promosso il
principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie, mentre il Trattato di
Nizza del 2001 ha emendato l’iter decisionale di cui all’art. 67 TCE introducendo il
voto a maggioranza qualificata e lo strumento della codecisione (1) in tutti i campi, ad
eccezione del diritto di famiglia.
A partire dalle riforme di Amsterdam, sono stati adottati numerosi regolamenti per
predisporre strumenti giudiziari omogenei (o quantomeno compatibili) e reprimere
pratiche e attività illegali, al fine di creare effettivamente uno spazio europeo di giustizia. Essi vengono raccolti all’interno dell’ATLAS, Atlante giudiziario europeo in
materia civile consultabile on-line, che consente al suo fruitore di visionare tutta la
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(1) Trattasi di una delle procedure legislative della Comunità europea, in cui al Parlamento spetta un potere di
emendamento sui testi normativi presentati dalla Commissione.
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Le funzioni consolari in materia giurisdizionale
B) I singoli settori di intervento
Tra i vari regolamenti vanno menzionati, a titolo esemplificativo:
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normativa comunitaria, individuare i tribunali e le autorità competenti, accedere direttamente alla modulistica multilingue, compilarla ed inviarla.
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— il Regolamento 1346/2000 sulle procedure di insolvenza, che individua le norme
comunitarie per il riconoscimento, l’esecuzione e la determinazione della legge
applicabile ai casi di insolvenza;
— il Regolamento 1348/2000 sulla notificazione e la comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile e commerciale. Dopo
essere stato oggetto di continui emendamenti, esso verrà totalmente abrogato e
sostituito dal regolamento 1393/2007, con decorrenza dal 13 novembre 2008;
— il Regolamento 44/2001 sulla competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale;
— il Regolamento 1206/2001 sulla cooperazione fra le autorità giudiziarie dei Paesi
membri nel settore dell’assunzione delle prove in materia civile e commerciale;
— il Regolamento 2201/2003 sulla responsabilità genitoriale, che ha abrogato il precedente regolamento 1347/2000 sulla competenza, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e di potestà dei genitori. In base alla
nuova normativa, l’autorità di riferimento è il Dipartimento di Giustizia Minorile
presso il Ministero della Giustizia;
— il Regolamento 805/2004, istitutivo del titolo esecutivo europeo per i crediti non
contestati, che rende direttamente esecutive in tutto il territorio comunitario le decisioni relative, appunto, a crediti non contestati emanate in uno degli Stati membri
(senza previo consenso dello Stato in cui ne viene data esecuzione);
— il Regolamento 1896/2006, istitutivo del procedimento europeo di ingiunzione di
pagamento che sarà applicabile a decorrere dal 12 dicembre 2008. Trattasi di un
procedimento semplificato e a costi ridotti con cui sarà possibile dirimere eventuali
controversie transfrontaliere in materia di crediti pecuniari non contestati (nei settori civile e commerciale);
— il Regolamento 861/2007 istitutivo del procedimento europeo per le controversie
di modesta entità, che mira a risolvere queste ultime secondo un iter più snello e
meno costoso;
— il Regolamento 864/2007sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali
(denominato Regolamento Roma II), che a decorrere dall’11 gennaio 2009 regolerà, nelle materie civile e commerciale, eventuali conflitti di leggi appartenenti a
diversi ordinamenti.
C) La rete per la cooperazione giudiziaria
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Con Decisione del 28 maggio 2001, il Consiglio ha inoltre istituito la Rete per la
cooperazione giudiziaria in materia civile, che si avvale di punti di contatto presenti in
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Capitolo 5
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tutti gli Stati membri (l’Italia ne ha due, localizzati presso il Ministero della Giustizia
e la Procura Generale della Cassazione).
Raccogliendo le informazioni trasmesse dai punti di contatto, la Rete si impegna in
molteplici attività: nel caso dell’Italia, agevola la cooperazione giudiziaria tra gli uffici
giudiziari nazionali e le autorità straniere in materia di rogatorie (stabilita dal Regolamento 1206/2001) e di notificazioni (Regolamento 1348/2000); fornisce informazioni
sul diritto interno ai tribunali stranieri che debbano applicarlo (e viceversa); inoltra alla
Commissione europea i dati relativi agli uffici giudiziari italiani competenti in materia
territoriale (compreso il loro distretto di appartenenza); aggiorna la propria documentazione sugli aspetti specifici del nostro ordinamento giuridico.
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Nel diritto internazionale, la rogatoria è la richiesta fatta dal giudice nazionale a quello straniero di
compiere un atto processuale (generalmente, l’assunzione di un mezzo di prova); esso verrà svolto in conformità con la legge del giudice estero, ma una volta rimesso al giudice della causa, avrà
la stessa efficacia che se fosse stato fatto in territorio nazionale. È ammessa soprattutto nell’ambito civilistico in quanto in quello penale deve rispettare una serie di principi e parametri relativi al
potere punitivo esclusivo di ciascuno Stato.
D) La cooperazione giudiziaria con i Paesi terzi
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Con i Paesi che non appartengono all’Unione europea esiste un consistente numero di
atti internazionali, sia convenzioni bilaterali che multilaterali aperte, tesi alla cooperazione giudiziaria nelle materie civile, economica e commerciale.
Importanti, in quest’ambito, sono i trattati che stabiliscono un rapporto di assistenza giudiziaria tra le Parti contraenti. Tra essi, occorre menzionare la Convenzione de L’Aja del 18
marzo 1970 sull’assunzione all’estero delle prove in materia civile e commerciale; la Convenzione de L’Aja del 15 novembre 1965 relativa alla notifica di atti giudiziari ed extragiudiziari in materia civile e commerciale; la Convenzione di Lugano del 16 settembre 1988
sulla competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale; e la Convenzione de L’Aja del 1° marzo 1954, relativa alla procedura civile.
Tali accordi mirano a risolvere alcuni delicati problemi che insorgono a seguito di una
controversia giudiziaria tra cittadini di Stati diversi: determinare quale sia il diritto
applicabile al caso concreto, individuare il tribunale competente servono a predisporre
tutti gli strumenti necessari ad una rapida soluzione del contenzioso transnazionale e a
garantire l’esecuzione delle sentenze all’estero. Essi, inoltre, tendono a favorire la celere trasmissione di atti da un ordinamento all’altro e, contestualmente all’ultimo punto, semplificare le procedure per richiedere la notificazione di atti o il compimento,
mediante rogatorie internazionali, di particolari fasi processuali (come l’assunzione di
prove) all’estero.
E) Il ricorso ad uno strumento particolare: l’arbitrato
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Nel diritto processuale civile italiano, l’arbitrato è lo strumento al quale le parti possono ricorrere per sottrarre alla giurisdizione ordinaria la decisione di una lite, realizzando così una sorta di giustizia privata.
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Le funzioni consolari in materia giurisdizionale
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È comunque richiesto l’intervento dello Stato per attribuire alla decisione privata il
valore giurisdizionale della sentenza.
L’ufficio arbitrale si costituisce con accettazione scritta.
Gli arbitri devono pronunciare il lodo, ossia la decisione che risolve la controversia,
nel termine stabilito dalle parti o ex lege; una volta adempiuto all’incarico, hanno diritto al rimborso delle spese e all’onorario per l’opera prestata, a meno che non vi abbiano rinunciato.
Le forme del procedimento arbitrale possono essere stabilite nel compromesso, da stipularsi per iscritto a pena di nullità, o nella clausola compromissoria; in mancanza,
gli arbitri possono regolarsi nel modo che ritengono più opportuno.
Non possono formare oggetto di arbitrato le controversie riguardanti i cosiddetti diritti
indisponibili (2), poiché alle parti non è dato delegare ad un terzo più di quanto esse
non possano perfezionare personalmente.
Nella sostanza, la struttura del procedimento è quella del processo ordinario, nonostante agli arbitri, a differenza dei giudici togati, non sia concesso predisporre sequestri e provvedimenti cautelari, salva diversa disposizione di legge.
Gli arbitri decidono la controversia conformemente alle norme di diritto, tranne i casi
in cui le parti li abbiano autorizzati a pronunciarsi secondo equità, ossia secondo l’idem
sentire sociale.
La loro decisione, o lodo, viene depositata presso la cancelleria del giudice competente territorialmente, e diventa effettiva quando il giudice che ha provveduto a constatarne la regolarità formale la dichiara esecutiva tramite decreto (cd. exequatur).
Nelle ipotesi in cui l’arbitrato venga concluso in uno Stato diverso da quello che deve
riconoscerlo ed eseguirlo, i soggetti coinvolti nella controversia risiedano in Paesi diversi, o parte delle prestazioni oggetto della lite debbano essere svolte all’estero, può
insorgere una situazione di conflitto tra i diversi ordinamenti giuridici coinvolti.
In tal caso, vanno applicate le Convenzioni sottoscritte internazionalmente; tra esse,
l’Italia partecipa alla Convenzione europea, firmata a Ginevra il 21 aprile 1961, sull’arbitrato commerciale internazionale, e la Convenzione di New York del 10 giugno
1958 per il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze arbitrali straniere.
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3. La cooperazione giudiziaria in materia penale
A) La cooperazione giudiziaria internazionale
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La materia penale riguarda tutti quei comportamenti umani antigiuridici classificabili
come reati, ovvero fattispecie criminose alle quali il giudice, a seguito di procedimento giurisdizionale, ricollega una sanzione penale.
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(2) I diritti indisponibili, o intrasmissibili, sono quelli che non possono essere trasferiti ad altri soggetti, così come
i cd. diritti personalissimi (alla vita, all’onore, etc.), alcuni diritti patrimoniali (agli alimenti legali, etc.), e in genere
quelli che disciplinano rapporti che soddisfano un interesse superiore (ad es. i diritti familiari).
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In ambito internazionale, si assiste alla proliferazione di organizzazioni criminali che
svolgono attività illecite oltrepassando i confini dello Stato di appartenenza. Tale fenomeno comporta la necessità di istituire strumenti di cooperazione interstatale e di reciproca assistenza giudiziaria in materia penale.
Il giudice che ha bisogno di svolgere indagini nel territorio di un Paese straniero può
chiedere alle autorità giudiziarie locali di effettuarle in sua vece, ricevendone poi tutta
la relativa documentazione, necessaria alla conclusione del processo.
Le autorità estere possono fornire la loro assistenza in un’ampia serie di attività riguardanti la fase istruttoria: l’audizione di testimoni ed imputati, il sequestro a titolo conservativo e la consegna di prove, documenti e beni pertinenti al reato, la perquisizione
del domicilio, la notifica di atti giudiziari che non possano essere eseguiti nello Stato
richiedente, etc.
In Italia, la materia dell’assistenza giudiziaria viene disciplinata dalla legislazione vigente (Libro XI, Titolo III, artt. 723 e ss. c.p.p. e artt. 201-206 delle norme di attuazione c.p.p.); e dalle norme di diritto internazionale generale e convenzionale che, ex art.
696 c.p.p., prevalgono sulle leggi ordinarie.
B) La rogatoria
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Il più incisivo strumento di assistenza giudiziaria è la rogatoria. Come detto in precedenza, trattasi della richiesta, presentata da un’autorità giudiziaria nazionale ad una
straniera, di compiere un atto processuale che solitamente consiste nell’assunzione di
una prova. Le autorità coinvolte, nei casi di processo penale, sono i giudici per le
indagini preliminari o dibattimentali ed i Pubblici Ministeri.
La rogatoria è regolata dalle norme della Convenzione europea di assistenza giudiziaria, firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959, dalle altre norme di diritto internazionale e,
in via suppletiva, dal codice di procedura penale.
Se ne individuano due tipi:
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— la rogatoria passiva, ovvero dall’estero all’Italia, che richiede una doppia valutazione: politica, rimessa al Ministro della giustizia, che gode di un potere di
veto qualora ritenga che la rogatoria leda gli interessi primari dello Stato (quali, ad esempio, la sovranità e la sicurezza nazionali) o non sia conforme ai
princìpi fondamentali dell’ordinamento; e giurisdizionale, di competenza della
Corte d’Appello (che eventualmente provvede a dare esecuzione alla rogatoria
ex art. 724 c.p.p.);
— la rogatoria attiva, ossia all’estero: in tal caso, la richiesta proviene da giudici
italiani, per cui è necessario il solo sindacato politico del Ministro della giustizia.
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Qualora la rogatoria riguardi atti di competenza di più distretti della Corte d’Appello,
la domanda viene inoltrata direttamente dall’autorità straniera, o dal Ministro della
giustizia, alla Corte di Cassazione, ed essa provvede a determinare il tribunale competente in base alla tipologia e alla natura degli atti da compiere.
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Le funzioni consolari in materia giurisdizionale
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Sul tema del regime di utilizzabilità degli atti assunti per rogatoria è recentemente
intervenuta la L. 5 ottobre 2001, n.367, stabilendo che i giudici italiani non possono
ricorrere a documenti o mezzi di prova acquisiti o trasmessi dall’estero in violazione
delle norme internazionali; ad atti compiuti dall’autorità giudiziaria straniera secondo
modalità, dettate dal suo ordinamento, che divergono da quelle italiane; a dichiarazioni, da chiunque rese, riguardanti gli atti di cui si è appena detto.
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C) L’estradizione
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Un ulteriore istituto di cooperazione giudiziaria è l’estradizione, ossia la consegna di
un soggetto da uno Stato all’altro affinché possa essere sottoposto a giudizio e purché
sia oggetto di un’ordinanza di custodia cautelare, nel caso dell’estradizione processuale, o debba scontare una pena già inflitta, nel caso dell’estradizione esecutiva.
Essa si distingue in attiva, se lo Stato richiede la consegna dell’individuo, e passiva, se
lo Stato è oggetto di tale richiesta.
La sua disciplina giuridica viene dettata dalla Costituzione (artt. 10 e 26), dalla legge
penale (art. 13 c.p. e artt. 696-722 c.p.p.), dagli usi e dalle convenzioni internazionali
(tra cui meritano menzione la Convenzione europea di estradizione del 1957 e il relativo secondo Protocollo del 1978).
L’estradizione non è ammessa nel caso di cittadini italiani, salvo quanto previsto da
accordi internazionali, o se il fatto considerato reato per il quale viene richiesta non è
contemplato come reato né dalla normativa interna, né da quella straniera. Può essere,
però, concessa o offerta per reati non previsti dalle convenzioni sottoscritte, purché
queste non ne facciano espresso divieto, è comunque esclusa sempre per reati politici
(art. 26 Cost.).
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D) Il trasferimento di persone condannate
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Va infine ricordato lo strumento internazionale del trasferimento di persone condannate, che consente agli stranieri detenuti in espiazione di pena in uno Stato di fare
rientro in quello di origine per continuare a scontare lì la pena detentiva.
L’accordo internazionale più significativo in materia è la Convenzione di Strasburgo
del 21 marzo 1983 sul trasferimento delle persone condannate, che potrebbe essere
integrato, a livello europeo, dall’adozione di una decisione del Consiglio europeo, attualmente in fase di discussione, sulla possibilità di trasferire i condannati senza il loro
consenso e a prescindere dall’accordo intercorrente tra lo Stato di condanna e quello di
esecuzione.
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E) La cooperazione giudiziaria in materia penale a livello europeo
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Ai sensi dell’art. 29 del Trattato sull’Unione europea (TUE), «[…] l’obiettivo che l’Unione si prefigge è fornire ai cittadini un livello elevato di sicurezza in uno spazio di
libertà, sicurezza e giustizia, sviluppando tra gli Stati membri un’azione comune nel
settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale […]».
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Capitolo 5
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La suddetta norma introduce il Titolo VI del Trattato (il cosiddetto terzo pilastro), relativo alla
prevenzione e alla lotta di razzismo, xenofobia, criminalità organizzata, terrorismo, tratta
degli esseri umani, crimini contro l’infanzia, traffico di droga e armi, corruzione e frode.
Inizialmente il terzo pilastro, introdotto dal Trattato di Maastricht nel 1992, prevedeva
una cooperazione in materia di giustizia e affari interni; il successivo Trattato di Amsterdam ha comunitarizzato le materie riguardanti i visti, l’asilo, l’immigrazione e le
altre politiche legate alla libera circolazione di persone, lasciando all’interno del Titolo
VI le norme sulla cooperazione di polizia e giudiziaria penale.
La cooperazione tra le autorità giudiziarie nazionali, in particolare, ha condotto all’istituzione della Rete giudiziaria europea e dell’Eurojust, quali agenzie speciali dell’Unione, nonché al progressivo sforzo di armonizzare le norme di diritto penale degli
Stati membri, attuare gli opportuni meccanismi di riconoscimento reciproco delle decisioni giurisdizionali e facilitare l’esecuzione delle rogatorie (ex art. 31 TUE).
Essa viene realizzata tramite il metodo intergovernativo che, a differenza di quello
comunitario, assegna un ruolo di primaria importanza al Consiglio europeo e al Consiglio, limitando al contempo le competenze degli organi propriamente comunitari (la
Commissione, il Parlamento europeo e la Corte di Giustizia).
Una delle decisioni più innovative è quella adottata dal Consiglio europeo il 13 giugno
2002 (3) e applicabile a partire dal 1° gennaio 2004, che ha dato vita allo strumento del
mandato di arresto europeo.
Trattasi di un istituto che, a livello europeo, sostituisce l’estradizione, sia processuale che
esecutiva, ed introduce una nuova disciplina che rende più agevole la cooperazione tra
autorità giurisdizionali e la consegna di ricercati sottoposti a condanna o a misure cautelari.
Si parla di procedura passiva di consegna quando un altro Stato membro richiede a
quello italiano la consegna di un imputato o di un condannato presente sul territorio.
Competente a dare esecuzione al mandato è la Corte d’Appello nel cui distretto è
residente la persona da consegnare.
Presupposto per l’accoglimento della richiesta è che il fatto per cui viene emesso il
mandato costituisca reato anche per il nostro ordinamento, nel rispetto del principio
della doppia incriminazione. Indipendentemente da essa, tuttavia, la consegna è obbligatoria per fatti di particolare gravità specificamente individuati.
La consegna è inoltre subordinata al principio di specialità, in base a cui la persona
che ne è oggetto non può essere sottoposta a procedimento penale per un fatto diverso
e commesso anteriormente a quello indicato nel mandato.
Quando invece è lo Stato italiano a richiedere ad un altro membro dell’Unione la consegna di un individuo, si incorre nel caso di procedura attiva di consegna.
Competente ad emettere il mandato è il giudice che ha applicato una misura di custodia in carcere o di arresti domiciliari (ad esempio il G.I.P., Giudice per le Indagini
Preliminari), ovvero il pubblico ministero che ha emesso l’ordine di esecuzione della
pena ai sensi dell’art. 658 c.p.p.
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(3) Attuata in Italia con L. 22 aprile 2005, n. 69.
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Le funzioni consolari in materia giurisdizionale
S.
Il mandato di arresto europeo è inoltrato al Ministero di giustizia, che lo trasmette,
dopo averne tradotto il testo, all’autorità straniera competente per l’esecuzione.
Il vantaggio rispetto al normale strumento internazionale di estradizione è che, non
essendo necessario il sindacato del Ministro di giustizia, la procedura di cattura e consegna risulta più agevole e rapida.
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4. Le funzioni consolari in materia di assistenza giudiziaria
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A) Notificazioni
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Non è possibile affermare sic et simpliciter che i consoli godano del potere giurisdizionale (4), poiché questo rappresenta una delle espressioni tipiche dell’esercizio di sovranità sul territorio.
La Convenzione di Vienna, tuttavia, codifica una serie di funzioni intimamente connesse con l’attività giurisdizionale, presumibilmente giustificate dal fatto che l’esercizio della giustizia è un’esigenza avvertita dagli Stati, che li induce a ricercare forme di
collaborazione ed assistenza reciproca.
Ai sensi dell’art. 5, lett. i) e j), il funzionario consolare può «rappresentare i cittadini
dello Stato d’invio o prendere disposizioni atte ad assicurare la loro appropriata rappresentanza davanti ai tribunali e alle altre autorità dello Stato di residenza», nonché
«trasmettere atti giudiziari o extragiudiziari o eseguire commissioni rogatorie».
Nell’ordinamento italiano, l’art. 142 c.p.c. disciplina la notificazione di atti emanati in
patria relativi a cittadini privi di cittadinanza, residenza e dimora in Italia, che non
abbiano un procuratore e di cui si conosca un recapito all’estero.
In tali casi, è necessario trasferire una copia dell’atto al Pubblico Ministero, il quale
provvede poi ad inoltrarla al Ministero degli esteri affinché sia recapitata al destinatario.
Come previsto all’art. 30 del D.P.R. 200/1967, la consegna spetta al console, che vi
provvede «direttamente o tramite le autorità locali»; nel farlo, però, egli è tenuto al
rispetto delle modalità di consegna previste dalle convenzioni internazionali e dalle
leggi dello Stato di residenza.
Il recapito diretto può assumere il carattere sia di notificazione vera e propria, mediante raccomandata con ricevuta di ritorno e in ottemperanza alle formalità previste, sia di
consegna informale, tramite un qualsiasi altro sistema di comunicazione idoneo del
documento (art. 91 D.P.R. 200/1967); in quest’ultimo caso, si potrebbe ricorrere comunque all’invio postale (senza particolari adempimenti formali), o alla convocazione
dell’interessato presso l’ufficio consolare e la consegna pro manibus.
Qualora il destinatario dell’atto risieda in un’altra circoscrizione consolare, è a quest’ultima che il console deve rimettere gli atti in suo possesso, informando l’autorità
giudiziaria che gli ha delegato la consegna o il Ministero degli esteri (ex art. 75).
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(4) In realtà i consoli sono autorizzati ad emettere atti giudiziari veri e propri, ma di questi si tratterà successivamente in riferimento alle funzioni consolari in materia di navigazione marittima ed aerea.
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Va precisato che la notificazione pertiene all’autorità consolare solo in riferimento ad
atti relativi al processo civile; in materia penale è lo stesso giudice nazionale competente a trasmettere i documenti a mezzo posta (ex. art. 177bis c.p.p.), probabilmente
per ragioni di urgenza che inducono ad evitare il tramite consolare.
Nel contesto europeo, va citato il Regolamento 1348/2000 relativo alla notificazione e
alla comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziari in materia civile e commerciale, entrato in vigore dal 1° luglio 2007.
La norma comunitaria prevede tre procedure: trasmissione tra organi mittenti e riceventi, trasmissione tramiti agenti diplomatici e consolari, notificazione per posta e
notificazione diretta.
B) Gli atti istruttori
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Qualora si debba procedere ad atti istruttori nei confronti di cittadini all’estero, in
conformità all’art. 30, co. 2, l’autorità consolare può essere incaricata dal giudice istruttore italiano tramite delega.
L’atto istruttorio, ad esempio l’assunzione di prove, ha generalmente luogo presso il
posto consolare, a meno che circostanze particolari non richiedano l’individuazione di
una sede diversa (art. 83).
Il tribunale rogante trasmette l’ordinanza al console, che provvede d’ufficio a fissare
l’udienza e convoca personalmente i soggetti interessati (art. 82), mediante lettera raccomandata con ricevuta di ritorno o qualsiasi altro mezzo idoneo.
La convocazione deve contenere tutte le informazioni di rilievo: gli estremi della causa, la natura e l’oggetto dell’atto da compiersi.
L’interessato ha l’obbligo di presentarsi entro venti giorni; in caso contrario, il giudice
rogante concede una proroga, e contestualmente l’autorità consolare, che non è provvista di poteri coercitivi, si limita a rinnovare la convocazione. Qualora anche questa
rimanga senza effetto, il console restituisce gli atti che gli sono stati trasmessi; l’autorità giudiziaria nazionale può ricorrere ad una rogatoria internazionale. Quest’ultima
in effetti, è lo strumento che più si predilige.
Il diritto internazionale generale non attribuisce al console, infatti, il diritto di pretendere, dal Paese che lo ospita, le facoltà disposte dal nostro ordinamento; le disposizioni
contenute nella legge consolare devono perciò essere integrate da un accordo, tacito o
formale, tra lo Stato territoriale e quello di residenza.
Da ciò deriva la preferenza assegnata ai giudici stranieri, piuttosto che ai consoli, di
compiere gli atti istruttori oggetto di rogatoria. Tale scelta è anzi obbligatoria in caso di
procedimenti penali, poiché l’art. 204 c.p.p. fa espressamente riferimento al solo istituto della rogatoria internazionale.
La trasmissione avviene per via diplomatica, ossia inviando la rogatoria all’autorità
consolare affinché la inoltri personalmente al giudice straniero competente.
A tal proposito, merita di essere citato il Regolamento CE 1206/2001 relativo alla
cooperazione fra le autorità giudiziarie degli Stati membri nel settore dell’assunzione
delle prove in materia civile o commerciale.
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Esso vige tra tutti gli Stati ad eccezione della Danimarca, per la quale va invece applicato l’accordo del 1970 relativo all’ottenimento delle prove in un Paese straniero in
materia civile o commerciale.
Il Regolamento stabilisce due sistemi di ottenimento delle prove: trasmissione
diretta delle richieste tra le autorità giudiziarie e ottenimento diretto delle prove
dall’autorità giudiziaria richiedente. Ne deriva che a livello comunitario gli uffici consolari perdono le loro prerogative sia in relazione alla trasmissione della
rogatoria per via diplomatica, che in relazione alla diretta esecuzione degli atti
istruttori.
C) Le attribuzioni in materia penale
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Ai sensi dell’art. 30, l’autorità consolare riceve dichiarazioni giurate rese da connazionali o da stranieri, che possano eventualmente essere utilizzate in procedimenti giudiziari nazionali, sia civili che penali; a tal fine non può avvalersi di mezzi coercitivi,
dovendo pertanto limitarsi ad accettare deposizioni spontanee.
Nell’ambito della giurisdizione penale, il medesimo articolo prevede che al console
possano essere presentate istanze di procedimento, querele e atti di impugnativa avverso provvedimenti emessi dalle autorità nazionali, allo scopo di inoltrare tali atti ai
tribunali competenti.
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L’istanza di procedimento è una condizione di procedibilità con cui viene manifestata una volontà punitiva in ordine ad un determinato fatto-reato. Può essere presentata all’agente consolare
entro tre mesi dalla notizia del fatto costituente reato ed entro tre anni dalla presenza del colpevole
nel territorio nazionale.
Similmente, la querela consiste nella manifestazione di volontà a perseguire penalmente una
fattispecie criminosa; ma diversamente dal’istanza di procedimento, può essere presentata dal
privato che risulti soggetto offeso.
Gli atti di impugnativa, infine, sono dei rimedi giuridici attribuiti alle parti (o eccezionalmente a
soggetti che non sono stati parti del processo) per rimuovere uno svantaggio derivante da un provvedimento giudiziario, nel presupposto che la sentenza sia inficiata da errori di fatto o di diritto.
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Il funzionario consolare è inoltre autorizzato a trasmettere un’istanza di ammissione al
gratuito patrocinio presso qualunque autorità italiana, chiedendo che venga prestata
assistenza legale al cittadino che non è in grado di sostenere le spese per promuovere
un giudizio o difendersi davanti al giudice. Tale diritto è riconosciuto a tutti dalla Costituzione, all’art. 24, e ai connazionali all’estero in attesa di procedimento giudiziario
dalla legge consolare, all’art. 30.
Per ciò che riguarda l’estradizione, le relative richieste devono essere presentate alle
autorità dello Stato di residenza dalla missione diplomatica presente in loco, ma in sua
assenza può provvedere l’agente consolare.
Quest’ultimo è anche competente a domandare l’arresto provvisorio del soggetto di
cui si vuole richiedere l’estradizione, qualora sia presente all’interno della circoscrizione e ricorrano ragioni di urgenza.
Se lo Stato territoriale dell’ufficio consolare necessita del rilascio di un certificato del
casellario giudiziario relativo ad un cittadino italiano, la domanda può essere inoltrata
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per il tramite diplomatico o consolare o, in alternativa, deve essere munita di nulla osta
da parte del Ministero degli esteri.
L’agente consolare collabora anche indirettamente con la giurisdizione penale nel caso
in cui le autorità nazionali debbano essere informate sui reati commessi dal cittadino
italiano, purché ne sia a conoscenza e gli illeciti interessino in qualche modo la giustizia italiana (art. 52 D.P.R. 200/1967).
Nonostante il suddetto articolo sia rubricato «attribuzioni di ufficiale di polizia giudiziaria», è improprio utilizzare questa definizione in riferimento al console, che non
gode di un reale potere inquisitorio; la sua figura si avvicina piuttosto a quella di un
investigatore che provvede ad effettuare accertamenti, indagini e ricostruzioni dal valore probatorio circoscritto, in quanto non ha poteri coercitivi.
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D) L’arbitrato
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Ai sensi dell’art. 29, co. 1, del D.P.R. 200/1967, il capo dell’ufficio consolare può
essere chiamato a comporre amichevolmente una controversia che vede coinvolti
due connazionali o, in alternativa, un cittadino italiano ed uno straniero. Ricevutane
domanda, è titolare della facoltà (ma non dell’obbligo) di accettare, sulla base di scelte
discrezionali.
Il comma successivo lo autorizza ad esplicare un’ulteriore funzione, quella arbitrale,
purché si pronunci secondo equità, ovvero contemperando le contrapposte richieste in
base alla coscienza sociale.
Per giungere alla risoluzione della lite, deve ricorrere ai criteri di convenienza e di
comparazione degli interessi delle parti. Una volta depositata, la sentenza consolare
acquista il valore di titolo esecutivo.
Anche nel caso dell’arbitrato il console non ha l’obbligo, bensì il potere di intervenire;
può farlo indipendentemente dall’ordinamento dello Stato di residenza, ma le parti
devono necessariamente avere entrambe la nazionalità italiana.
In caso contrario, il console può prestarsi come arbitro della controversia, ma in qualità di privato e non di pubblico ufficiale.
La pronuncia consolare diventa immediatamente esecutiva, senza ricorrere ad alcuna
procedura di omologazione. La sua efficacia si limita all’ordinamento italiano, poiché
in quello straniero il lodo consolare viene equiparato ad una qualsiasi sentenza arbitrale emessa all’estero.
I soggetti ricorsi all’arbitrato consolare possono contestarlo nei modi previsti dagli
artt. 827 e ss. c.p.p. e di fronte all’autorità giudiziaria competente del foro di Roma.
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Le funzioni consolari in materia giurisdizionale
Questionario
S.
1. Quali sono i principali strumenti di cooperazione giudiziaria in ambito europeo
ed internazionale?
(parr. 2 e 3)
2. Cos’è il mandato di arresto europeo?
(par. 3)
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3. In cosa consiste la funzione notificatrice dell’autorità consolare?
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(par. 4)
4. In riferimento a quali atti l’autorità consolare riceve una delega da parte del giudice italiano?
(par. 4)
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5. Quali sono le attribuzioni consolari in materia penale?
(par. 4)
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6. In cosa consiste la funzione arbitrale esercitata dall’autorità consolare?
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(par. 4)
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