STORIA DELLA FILOSOFIA PRINCIPALI FIGURE E CORRENTI DEL PENSIERO OCCIDENTALE PAOLO REBAUDO Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ INDICE Capitolo 1 Capitolo 2 Capitolo 3 Capitolo 4 Capitolo 5 Capitolo 6 Capitolo 7 Capitolo 8 Capitolo 9 Capitolo 10 Capitolo 11 Capitolo 12 Capitolo 13 Capitolo 14 Capitolo 15 Capitolo 16 Capitolo 17 Capitolo 18 Capitolo 19 Capitolo 20 Capitolo 21 Capitolo 22 Capitolo 23 Capitolo 24 Origini e concetto della filosofia I filosofi naturalisti La sofistica e Socrate Platone Aristotele La filosofia in età ellenistica La filosofia medioevale La filosofia rinascimentale La rivoluzione scientifica Razionalismo ed empirismo L‘illuminismo Kant Romanticismo e idealismo Schopenhauer Kierkegaard Feuerbach e Marx Il positivismo Nietzsche Freud Husserl e la fenomenologia L‘esistenzialismo e Heidegger Gadamer Il neopositivismo Popper e le nuove epistemologie 3 9 30 44 66 85 103 129 146 185 218 229 244 278 291 298 322 336 356 364 384 403 412 417 2 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ CAPITOLO 1 Origini e concetto della filosofia Civiltà greca e filosofia La filosofia occidentale nasce per opera dei Greci che elaborano per primi un metodo di indagine razionale sull'origine e sulla natura dell'universo. Il pensiero e la discussione prendono il posto della fede, della rivelazione e della poesia. Il nuovo metodo di indagine si diffonde presto nelle colonie greche del Mediterraneo, in madre patria e in Magna Grecia. La filosofia è nata in Grecia e i greci sono stati gli iniziatori del pensiero occidentale in quanto essi risultano gli autori dei primi testi scritti di filosofia della civiltà europea. Se la sapienza orientale è di tipo religioso e tradizionalistico, poiché è privilegio di una casta sacerdotale ed è ancorata ad una tradizione ritenuta sacra ed immodificabile, la sapienza greca si presenta come una ricerca razionale che nasce da un atto fondamentale di libertà di fronte alla tradizione, al costume e alle credenze. I fattori che possono aver permesso la nascita della filosofia sono da individuare in alcune caratteristiche della società greca intorno al VI secolo a.C.: la posizione geografica di ponte fra Europa e Asia, una religione che non pone ostacoli allo sviluppo della riflessione, una struttura politica che garantisce un certo margine di libertà ai cittadini, un commercio in costante sviluppo e che richiedeva lo sviluppo di una riflessione e un‘esigenza di spiegazione dei fenomeni secondo una visione naturalistica presente nei miti di Omero e di Esiodo. 3 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Entrando un po‘ di più nel dettaglio, occorre dire che le civiltà pregreche sono quasi tutte monarchie, con potenti caste sacerdotali e guerriere che detengono il potere e hanno un carattere autoritario e tradizionalista, tendenti a conservare la loro cultura. In Grecia la situazione appare invece diversa. Innanzitutto, fin dai tempi omerici, si sono avuti governi e repubbliche di tipo aristocratico. In secondo luogo, al posto di uno stato accentratore si è costituita una variopinta e frazionata costellazione di cittàstato. Infine, le aristocrazie dominanti non sono affatto assimilabili alle caste guerriere o sacerdotali dell‘Oriente, poiché quella greca è una civiltà in cui i sacerdoti, nonostante l‗importanza della religione, hanno poco potere. Lo sviluppo della polis greca conduce verso nuove forme di direzione dello Stato, le prime democrazie della storia del mondo. Ma la discussione fra le varie opinioni presuppone una mentalità che non si accontenta più del delle sue forme culturali tradizionali. In un ambiente socio-politico del genere la filosofia ha modo di emergere, contribuendo essa stessa ad un ulteriore sviluppo e laicizzazione della cultura. Questo spiega anche perché la filosofia greca sia nata prima nelle colonie e solo successivamente nella madrepatria. In un primo tempo, solo le colonie ioniche dell‘Asia Minore, presentano condizioni economiche, sociali e politiche atte a favorire il sorgere di una cultura e di una mentalità più elastica, propizia la diffusione della filosofia. Infatti nella Ionia troviamo quella dinamica circolazione di merci, idee ed esperienze, e quelle libere istituzioni che concorrono a determinare quel tipo di società aperta, stimolante per la razionalità filosofica. 4 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ La mitologia, la religione dei Misteri e la poesia L‘arte e la religione greca erano già, in parte, riflessioni generali sull‘uomo e la realtà. Nelle cosmologie mitiche, nelle dottrine religiose dei Misteri e nella poesia si possono rintracciare i primordi del pensiero filosofico. Il più antico documento della cosmologia mitica presso i Greci è la Teogonia di Esiodo nella quale certo confluirono antiche tradizioni. Di natura filosofica appare qui il problema dello stato originario dal quale le cose sono uscite e della forza che le ha prodotte. Ma se il problema è filosofico, la risposta rimane mitica. Il caos, la terra, l‘amore, ecc. sono personificati in entità mitiche. Un‘ulteriore affermazione dell‘esigenza filosofica si nota nella religione dei Misteri diffusasi in Grecia a cominciare dal VI secolo a.C. e soprattutto nell‘orfismo. L‘orfismo era dedicato al culto di Dioniso e la rivelazione era attribuita ad Orfeo che era disceso nell‘Ade. Lo scopo dei riti che la comunità celebrava era quello di purificare l‘anima dell‘iniziato per sottrarla alla trasmigrazione nel corpo di altri esseri viventi. Ma il clima nel quale poté nascere e fiorire la filosofia greca fu preparato dalla poesia. Il concetto di una legge unitaria del mondo umano si trova per la prima volta in Omero. L‘Odissea è tutta dominata dalla fede in una legge di giustizia, di cui gli dèi sono custodi e garanti, legge che determina nelle vicende umane un ordine provvidenziale, per il quale il giusto trionfa e l‘ingiusto viene punito. Da Esiodo questa legge viene personificata in Dike, figlia di Zeus, che vigila affinché siano puniti gli uomini che 5 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ commettono ingiustizia. Solone afferma con grande energia l‘infallibilità della punizione che colpisce Siro, colui che infrange la norma di giustizia, sulla quale è fondata la vita associata: anche dice quando il colpevole si sottrae alla punizione, questa colpisce infallibilmente i suoi discendenti. Pertanto la legge di giustizia è anche norma di misura. Eschilo è infine il profeta religioso di questa legge universale di giustizia, della quale la sua tragedia vuole esprimere il trionfo. Prima, dunque, che la filosofia scoprisse l‘unità della legge al di sotto della molteplicità dispersa dei fenomeni naturali, la poesia greca ha scoperto l‘unità della legge al di sotto delle vicende apparentemente disordinate della vita umana associata. Il concetto di filosofia Pitagora avrebbe usato per primo la parola filosofia in un significato il specifico. Alla saggezza si erano ispirati i Sette Savi, che però erano ancora chiamati sofisti (sapienti), come sofista era chiamato Pitagora. Più tardi, la parola filosofia verrà ad assumere due significati fondamentali. Il primo e più generale è quello della ricerca autonoma o razionale in qualsiasi campo; in questo senso tutte le scienze fanno parte della filosofia. Il secondo significato, più specifico, indica una particolare ricerca, che ha come oggetto di studio ciò che in qualche modo è fondamentale o basilare, sia in relazione alla realtà (= la metafisica come dottrina delle cause ultime o supreme delle cose), sia in relazione alla conoscenza (= la gnoseologia e la logica come studio dell‘origine o della validità ultima delle nozioni e dei ragionamenti), sia in 6 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ relazione al comportamento (= l‘etica e la politica come studio dei motivi e degli scopi ultimi dell‘azione individuale e sociale) ecc. In sintesi, la filosofia, presso i Greci, assunse il carattere di una ricerca radicale sui fondamenti dell‘essere, del conoscere e dell‘agire e fu perciò considerata la regina del sapere. Nella Metafisica di Aristotele vengono indicate almeno tre caratteri tipici che distinguono la filosofia da altri tipi di conoscenze come le scienze particolari, l'arte e la religione: 1) totalità: l'oggetto o contenuto della filosofia è l'intero, la totalità delle cose, tutta quanta la realtà - per cui si ha la ricerca del primo principio di tutte le cose. Conoscere tutte le cose non significa conoscere tutte le singole cose, ma conoscere un universale in cui rientrano tutte le cose particolari da esso unificate, un principio o più principi da cui tutte le cose derivano. Fu questo il tentativo dei fisici, trovare quella realtà naturale che resta sempre, da cui tutto ha origine.; 2) razionalità: il metodo di ricerca è il logos, la spiegazione puramente razionale, - per cui si ha la ricerca delle cause; il metodo distingue la filosofia dall'arte e dalla religione;3) ricerca disinteressata: lo scopo della ricerca filosofica è la verità, conoscere e contemplare la verità. La filosofia ha un carattere esclusivamente teoretico, ossia mira a conoscere la verità per se stessa, prescindendo dalle sue utilizzazioni,pratiche; è "disinteressato amore del vero". Le scuole filosofiche Fin dall‘inizio la ricerca filosofica fu in Grecia una ricerca associata. Gli scolari si riunivano a vivere una vita comune 7 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ e vivevano tra loro in comunanza di pensiero e di costumi, in uno scambio continuo di dubbi, di difficoltà e di ricerche. Quasi tutte le grandi personalità della filosofia greca sono i fondatori di una scuola, di un centro di ricerche. La ricerca filosofica non chiudeva, secondo i Greci, l‘individuo in se stesso; esigeva anzi una concordanza di sforzi, una comunicazione incessante tra gli uomini che ne facevano lo scopo fondamentale della vita e determinava quindi una solidarietà salda ed effettiva tra coloro che vi si dedicavano. 8 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ CAPITOLO 2 I filosofi naturalisti La scuola di Mileto Nella storiografia tradizionale il termine presocratici indica i filosofi, per lo più anteriori a Socrate, che si sono principalmente occupati del problema della natura. I filosofi naturalisti (o presocratici, o meglio, presofisti) non costituiscono un insieme compatto di filosofi, ma si distinguono in numerose scuole e tendenze: Gli Ionici di Mileto: Talete, Anassimandro e Anassimene. I Pitagorici: Pitagora e seguaci. Gli Eracitei: Eraclito e seguaci. Gli Eleati: Parmenide e seguaci. I Fisici posteriori: Empedocle, Anassagora e Democrito. Geograficamente operano, in un primo tempo, nelle colonie greche della Ionia (scuola di Mileto ed Eraclito) oppure nella Magna Grecia (Pitagorici ed Eleati). La civiltà ionica Nel VI secolo a.C. si sviluppò nella Ionia, che si trova nella parte meridiana dell‘Asia Minore, una fiorente civiltà, che ebbe i suoi centri più importanti in Mileto, Efeso, Colofone, Clazomene, Samo e Chio. In queste città una classe intraprendente di mercanti, desiderosa di sbocchi commerciali e di materie prime, aveva costruito una flotta mercantile, il cui spazio di manovra si estendeva dal Mar Nero all‘Egitto, dal Caucaso alla Francia meridionale, dalla Sicilia alla Spagna. La pressione 9 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ demografica aveva favorito l‘emigrazione in altre terre; colonie ioniche erano sorte in Sicilia, nella Magna Grecia (Elea e Crotone) e sulle coste del Mar Nero. Il rapido sviluppo di forme politiche democratiche, il rigoglio delle tecniche, i contatti con le civiltà del vicino Oriente, sono tutti fattori che contribuiscono all‘elaborazione di una nuova cultura, impegnata a liberarsi dalle credenze mitiche e religiose, e volta ad un‘osservazione più attenta e razionale dei fenomeni naturali. Da ciò l‘emergere di una figura di intellettuale che è contemporaneamente filosofo, scienziato e tecnico. La ricerca dell‘arché Il pensiero dei primi filosofi si incentra soprattutto sul problema della realtà primaria. Di fronte allo spettacolo multiforme del mondo, costituito da una molteplicità di cose in continuo mutamento, gli Ionici si convincono che, al di sotto di tutto, esiste una realtà unica ed eterna, di cui ciò che esiste è solo temporanea manifestazione. Essi denominano tale sostanza arché (principio), intendendo, con questo concetto, la materia da cui tutte le cose derivano e la forza o legge che spiega la loro nascita e morte. Da ciò l‘ilozoismo e il panteismo di questi primi filosofi: ilozoismo (dal greco materia vivente) in quanto essi ritengono che la materia primordiale sia fornita di una forza intrinseca che la fa muovere; panteismo (dal greco tutto è Dio) poiché tendono ad identificare il principio eterno del mondo con la divinità. 10 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ L‘iniziatore della scuola ionica è Talete, che visse tra la fine del VII secolo e la prima metà del VI, e fu uomo politico, astronomo, matematico e fisico, oltre che filosofo. Come astronomo predisse una eclisse solare. Come matematico trovò vari teoremi di geometria e come fisico scoprì le proprietà del magnete. La sua fama di saggio è testimoniata dall‘aneddoto riferito da Platone, secondo cui osservando il cielo, cadde in un pozzo, suscitando il riso di una servetta. Non pare che abbia lasciato scritti filosofici e dobbiamo ad Aristotele la conoscenza della sua dottrina. Talete dice che il principio l‘acqua, perciò anche sosteneva che la terra sta sopra l‘acqua; prendeva forse argomento dal fatto che il nutrimento d‘ogni cosa è umido e persino il caldo si genera e vive nell‘umido; ora ciò da cui tutto si genera è il principio di tutto. Aristotele osserva che questa credenza è antichissima; Omero ha cantato che Oceano e Teti sono principi della generazione. Concittadino e contemporaneo di Talete, Anassimandro nacque nel 610-609. Fu anch‘egli uomo politico ed astronomo. È il primo autore di scritti filosofici in Grecia e la sua opera in prosa Intorno alla natura segna una tappa notevole nella speculazione cosmologica. Per primo egli chiamò la sostanza originaria col nome di arché; e riconobbe tale principio non nell‘acqua nell‘aria o in altro particolare elemento, ma in un principio infinito o indeterminato (ápeiron) dal quale tutte le cose hanno origine e nel quale tutte le cose si dissolvono. L'ápeiron ("senza perimetro") è tradotto comunemente con infinito, indeterminato, indefinito. Questo stato originario non si 11 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ identifica con un elemento fisico, è l'inizio e la fine di tutto. Uno stato in cui acqua, fuoco, terra e aria si mescolano in una sola cosa. Questo principio infinito abbraccia e governa ogni cosa; per suo conto è immortale, quindi divino. Anassimandro si è anche posto il problema del processo attraverso il quale le cose derivano dalla sostanza primordiale. Tale processo è la separazione: la sostanza infinita è animata da un eterno movimento, in virtù del quale si separano da essa i contrari, caldo e freddo, secco ed umido, ecc. Per mezzo di questa separazione si generano i mondi infiniti, che si succedono secondo un ciclo eterno. Per ogni mondo, il tempo della nascita, della durata e della fine è segnato. Tutti gli esseri devono, secondo l‘ordine del tempo, pagare gli uni agli altri il fio della loro ingiustizia Evidentemente, questa separazione è la rottura dell‘unità, che è propria dell‘infinito; è il subentrare della diversità, quindi del contrasto, là dove erano l‘omogeneità e l‘armonia. Con la separazione dunque si determina la condizione propria degli esseri finiti: molteplici, diversi e contrastanti fra loro, perciò inevitabilmente destinati a scontare con la morte la loro stessa nascita e a ritornare all‘unità. Anassimene, più giovane di Anassimandro e forse suo discepolo, visse fra il 546-545 e il 528-525 a.C. Come Talete, egli riconosce come principio una materia determinata, che è l‘aria; ma a tale materia attribuisce i caratteri del principio di Anassimandro: l‘infinità e il movimento incessante. Egli vedeva nell‘aria anche la forza che anima il mondo. Anassimene ci dice anche il modo in cui l‘aria determina la trasformazione delle cose: questo 12 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ modo è il doppio processo della rarefazione e della condensazione: rarefacendosi, l‘aria diventa fuoco; condensandosi diventa vento, poi nuvola e, condensandosi ancora, acqua, terra e quindi pietra. I Pitagorici Pitagora nacque a Samo, probabilmente nel 571-570, venne in Italia nel 532-531 e morì nel 497-496. A Crotone fondò una scuola che fu anche un‘associazione religiosa e politica e si diffuse ben presto in tutte le città greche dell‘Italia meridionale, assumendo molte volte il potere politico ed esercitandolo in senso aristocratico. La sola dottrina filosofica che gli si può con certezza attribuire è quella della metempsicosi, cioè della trasmigrazione dell‘anima, dopo la morte, in corpi di animali o di altri uomini. Pitagora considerava il corpo come una prigione dell‘anima e la vita corporea come una punizione. La filosofia è la via per liberare l‘anima dal corpo, via che esige la sapienza da un lato e dall‘altro i riti purificatori, che la setta praticava. La scienza viene così ad assumere per i Pitagorici il valore di un mezzo per purificare l‘anima e condurla alla salvezza e alla liberazione. Ai Pitagorici si deve la creazione della matematica come scienza. Anche se è vera la tradizione che Pitagora abbia desunto l‘ispirazione delle sue dottrine matematiche dagli Egiziani e da altri popoli orientali, presso i quali si sarebbe intrattenuto durante i suoi viaggi, egli non poteva apprendere da questi popoli se non la conoscenza delle semplici operazioni geometriche. I Pitagorici invece 13 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ cominciarono a trattare la matematica (che deve ad essi il suo nome) come una vera e propria scienza, elaborando concettualmente i suoi termini fondamentali (quantità, punto, linea, superficie, angolo, corpo) e facendo astrazione da tutte le applicazioni pratiche. Essi inoltre stabilirono quel carattere rigoroso della dimostrazione matematica, che fu poi la norma della matematica greca e ha costituito, da allora in poi, l‘ideale di ogni disciplina che si voglia organizzare scientificamente. La filosofia dei Pitagorici era un riflesso della loro matematica. La tesi fondamentale di questa filosofia è che il numero è il principio delle cose. Invece dell‘acqua, dell‘aria o di altri elementi materiali, i Pitagorici riconobbero il numero come l‘elemento di cui sono costituite le cose. Il numero era considerato dai Pitagorici come un insieme di unità e l‘unità era considerata identica al punto geometrico. Il numero 10, considerato come il numero perfetto, era rappresentato come un triangolo che ha il quattro per lato e costituiva la sacra figura della tetraktis. Aritmetica e geometria venivano così fuse, un numero era nello stesso tempo una figura geometrica; e una figura geometrica era un numero. Ma la figura geometrica è una disposizione, un ordinamento di punti nello spaio: il numero esprime la misura di questo ordinamento. Il concetto che è alla base del principio pitagorico che le cose sono numeri è, dunque, quello di un ordine misurabile. Affermare, come facevano i Pitagorici, che le cose sono costituite di numeri e che quindi tutto il mondo è fatto di numeri, significa che la vera natura del mondo, come delle singole cose, consiste in un ordinamento geometrico esprimibile in numeri (misurabile). Infatti, mediante il numero è 14 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ possibile spiegare moltissimi fenomeni naturali. In effetti qualunque cosa è riconducibile ad una struttura quantitativa e quindi misurabile. E qui è veramente la grande importanza dei Pitagorici, che per primi hanno ricondotto la natura all‘ordine misurabile, oggettivo. Il numero si divide in dispari e pari: questa opposizione si riflette in tutte le cose, quindi anche nel mondo. Il dispari è, nella sua essenza, un‘entità limitata, ovvero terminata e compiuta. Il pari è ne un‘entità illimitata, ossia non compiuta e non terminata. Il pitagorismo è quindi una filosofia dualistica poiché intende spiegare la realtà sulla base di una contrapposizione di principio fra limite e illimitato, fra pari e dispari. A queste opposizioni i Pitagorici ne aggiunsero altre, nelle quali l‘ordine, il bene e la perfezione stanno sempre dalla parte del limite e del dispari, mentre il disordine, il male e l‘imperfezione stanno sempre dalla parte del pari e dell‘illimitato. Abbiamo così dieci opposizioni fondamentali: 1) limite, illimitato; 2) o dispari, pari; 3) unità, molteplicità; 4) destra, sinistra; 5) maschio, femmina; 6) quiete, ai movimento; 7) retta, curva; 8) luce, tenebra; 9) bene, male; 10) quadrato, rettangolo. La fisica In astronomia, i Pitagorici sostennero per primi la sfericità della terra e dei corpi celesti in genere. A ciò essi furono condotti dalla credenza che la sfera è la più perfetta tra le figure solide, perché, avendo tutti i suoi punti equidistanti dal centro, è l‘immagine stessa dell‘armonia. Ma essi ebbero anche altre geniali intuizioni che li fanno 15 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ riconoscere come i più antichi precursori di Copernico. Il pitagorico Filolao sostenne che la terra stessa e tutti gli altri corpi celesti si muovono intorno a un fuoco centrale, altare dell‘universo, che ordina e plasma la materia illimitata circostante, dando origine al mondo. Egli ritenne pure che intorno al Fuoco centrale si muovono, da occidente a oriente, dieci corpi celesti: il cielo delle stelle fisse, che è il più lontano dal centro, e poi, a distanza sempre minore, i cinque pianeti (Saturno, Giove, Marte, Mercurio, Venere), il sole (che come una grande lente raccoglie i raggi del fuoco centrale e li riflette intorno), la luna, la terra e l‘antiterra, il pianeta ipotetico che Filolao ammise per completare il sacro numero di dieci. I Pitagorici utilizzavano la matematica anche per l‘interpretazione dell‘uomo. Essi consideravano l‘anima umana come armonia: essa risulterebbe dalla composizione armonica degli elementi che compongono il corpo, così come l‘armonia musicale risulta dagli elementi che compongono lo strumento musicale. Eraclito Di Eraclito, che visse ad Efeso, tra il VI e il V secolo, sappiamo pochissimo. Scrisse un‘opera in prosa, Intorno alla natura, costituita da aforismi che per la loro enigmaticità spiegano l‘appellativo di oscuro con cui Eraclito è stato soprannominato dalla tradizione. Alla base del pensiero di Eraclito vi è la contrapposizione tra la filosofia, da lui identificata con la verità, e la comune mentalità degli uomini, da lui ritenuta luogo di errore. Eraclito è passato alla tradizione come il filosofo dei 16 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ divenire, in quanto concepisce il mondo come un flusso perenne, in cui ―tutto scorre‖ (panta réi), analogamente alla corrente di un fiume le cui acque non sono mai le stesse: non è possibile discendere due volte nello stesso fiume, né toccare due volte una sostanza mortale nello stesso stato. Ogni cosa è soggetta al tempo e alla trasformazione, ed anche ciò che sembra statico e fermo in realtà è dinamico. Questa concezione della realtà come fluire si concretizza nella tesi secondo cui l‘arché delle cose è il Fuoco, elemento mobile e distruttore per eccellenza, che ben simboleggia la visione eraclitea del cosmo come energia in perpetua trasformazione, in cui tutto ciò che esiste proviene dal Fuoco e ritorna al Fuoco, secondo il duplice processo della ―via in giù‖ (il fuoco, condensandosi, diventa acqua e poi terra) e della ―via in su‖ (la terra, rarefacendosi, si fa acqua e poi fuoco). La legge dei contrari La parte più originale del pensiero eracliteo è la teoria dell‘unità dei contrari. I molti, dice Eraclito, ritengono che un opposto possa esistere senza l‘altro (ad esempio il bene senza il male). Questa credenza è un‘illusione, poiché la legge segreta del mondo risiede proprio nella stretta connessione dei contrari, che lottano fra di loro. Ciò che a prima vista può sembrare disordine e irrazionalità, cioè la lotta delle cose fra di loro, manifesta invece, ad uno sguardo più profondo, una sua interiore razionalità (lògos), consistente nel fatto che un opposto non può esistere indipendentemente dall‘altro. Eraclito individua l‘arché originario nel Fuoco o nel Lògos, intendendo con il primo concetto il principio fisico che costituisce le cose e con il 17 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ secondo la legge universale che le governa. La scoperta dell‘unità degli opposti porta Eraclito a ritenere che l‘armonia del mondo non risieda nella conciliazione dei contrari, ma nel mantenimento del conflitto. La vita è lotta ed opposizione e la sua armonia risiede proprio in questo fatto, senza di cui non ci sarebbe l‘essere. Questa visione cosmologica sfocia nell‘identificazione panteistica del Tutto con Dio, inteso come Unità di tutti i contrari. In un celebre frammento Eraclito scrive: ―la divinità è giornonotte, inverno-estate, guerra-pace, sazietà-fame‖. Questo Dio-Tutto, che comprende in sé ogni cosa, costituisce una realtà increata che esiste da sempre e per sempre. La scuola di Elea L‘Eleatismo, che fiorisce nelle colonie greche dell‘Italia meridionale, pretende dì giungere ad un Essere unico, eterno e immutabile, di fronte a cui il nostro mondo è solo apparenza ingannatrice. Gli Eleati sostengono infatti che le cose non sono come i sensi e l‘esperienza le manifestano, ma come la ragione le pensa secondo una logica rigorosa. Tradizionalmente, l‘iniziatore dell‘Eleatismo è ritenuto Senofane di Colofone. Il punto di partenza di Senofane è una critica risoluta dell‘antropomorfismo religioso, qual è proprio delle credenze comuni dei Greci e quale si ritrova anche in Omero ed Esiodo. Gli uomini credono che gli dèi hanno avuto nascita e hanno voce e corpo simile al loro. Perciò gli Etiopi fanno i loro dèi camusi e neri, i Traci dicono che hanno occhi azzurri e capelli rossi; e anche i buoi, i cavalli e i leoni, se potessero, immaginerebbero la divinità a loro somiglianza. In realtà, c‘è una sola divinità che non somiglia agli uomini né per il corpo né per il 18 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ pensiero. Quest‘unica divinità si identifica con l‘universo, è un dio-tutto, e ha l‘attributo dell‘eternità: non nasce e non muore, poiché se nascesse, ciò significherebbe che prima non era; ma ciò che non è, neppure può nascere. Parmenide Il fondatore della scuola eleatica è Parmenide di Elea, colonia greca situata sul costa della Campania a sud di Paestum. Visse in un periodo di tempo compreso fra 550 e il 450. Espose il suo pensiero in un‘opera in versi che fu poi titolata Intorno alla natura. Il poema può essere diviso in quattro parti. La prima consiste in un proemio nel quale il filosofo descrive un suo viaggio all‘interno del territorio della città di Elea, che si svolge su di un carro trainato da cavalle e si conclude con l‘incontro con una dea. Nella seconda parte la dea descrive quali sono i limiti e le possibilità della conoscenza razionale e, in particolare, distingue fra conoscenze sicuramente vere, sicuramente false e solo probabili. Nella terza parte la dea descrive dettagliatamente le conoscenze assolutamente vere e certe cui può giungere la conoscenza razionale. Nella quarta parte la dea descrive le conoscenze intorno ai singoli enti della natura che la ragione deve considerare solamente probabili, ma non sicuramente vere. Secondo Parmenide di fronte all‘uomo si aprono sostanzialmente due vie: il sentiero della verità, basato sulla ragione, che ci porta a conoscere l‘Essere vero, e il sentiero dell‘opinione, basato sui sensi, che ci porta a conoscere l‘Essere apparente. Parmenide, fondandosi sui principi d‘identità e di noncontraddizione, sostiene che la strada della ragione ci dice una cosa: l‘essere è e non può non essere, mentre il non 19 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ essere non è e non può essere. Con questa tesi Parmenide intende affermare che solo l‘essere esiste, mentre il non essere, per definizione, non esiste e non può venir pensato. Il non essere risulta impensabile ed inesprimibile: è necessario il dire e il pensare che l‘essere sia: l‘essere è; il nulla non è; la stessa cosa è pensare ed essere. Da questa premessa, mediante una logica rigorosa, Parmenide ricava una serie di attributi basilari che, a suo parere, caratterizzano l‘essere autentico. Partendo dal presupposto che bisogna rifiutare tutto ciò che comporta il non essere. Parmenide sostiene che l‘essere è ingenerato e imperituro, perché se nascesse e perisse implicherebbe in qualche modo il non-essere (in quanto nascendo verrebbe nulla e morendo si dissolverebbe nel nulla). Di conseguenza, l‘essere è eterno, poiché fosse nel tempo implicherebbe il non essere del passato (che è ciò che non è più) non essere del futuro (che è ciò che non è ancora). L‘essere vero è immutabile ed immobile, perché se muta si muovesse implicherebbe di nuovo il non-essere, in quanto si troverebbe in una serie di stati in cui prima non era. L‘essere è unico ed omogeneo, perché se fosse molteplice o in sé differenziato implicherebbe degli intervalli di nonessere. Infine, l‘essere è finito, poiché, secondo la mentalità greca di Parmenide, la finitudine è sinonimo di perfezione. Il mondo dell‘apparenza e dell‘opinione Come deve essere inteso il mondo in cui viviamo, cioè quella zona della realtà che i sensi ci testimoniano e che presenta degli attributi diametralmente opposti a quelli dell‘essere vero, essendo molteplice, generato, perituro, 20 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ temporale, mutevole? Parmenide, conseguentemente rispetto alle premesse del suo pensiero, risponde che esso, in quanto implica il non essere, risulta pura apparenza o illusione. Nella seconda parte del suo poema, dedicata all‘opinione, come la prima era dedicata alla verità, Parmenide si proponeva di fornire una teoria verosimile del mondo dell‘esperienza e dell‘apparenza. Zenone di Elea Fu scolaro di Parmenide. Gli avversari di Parmenide affermavano che, se la realtà è una, come Parmenide ritiene, ci si trova imbrogliati in molte e ridicole contraddizioni. Zenone risponde che se si ammette che la realtà è molteplice e mutevole, si incontrano contraddizioni anche maggiori. Zenone perciò vuole ridurre all‘assurdo le dottrine che ammettono la molteplicità e il mutamento e così confermare indirettamente le tesi di Parmenide. Il metodo di cui Zenone si serve è quello della dialettica: la quale consiste nell‘ammettere in via d‘ipotesi l‘affermazione dell‘avversario per ricavarne conseguenze che la confutano. Tale è il procedimento di Zenone che ammette ipoteticamente la molteplicità e il mutamento per dimostrarne l‘assurdità. Gli argomenti contro la pluralità Alcuni degli argomenti di Zenone sono contro la pluralità delle cose, altri contro il movimento. Uno degli argomenti contro la pluralità è il seguente. Se le cose sono molte, il loro numero è, contemporaneamente, finito e infinito: finito, perché esse non possono essere né più né meno di 21 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ quante sono; infinito, perché tra due cose ce ne sarà sempre una terza e tra questa e le altre due ce ne saranno altre ancora; e così via all‘infinito. Ammettere dunque che le cose sono molte significa chiudersi in una contraddizione. Gli argomenti contro la realtà del movimento Il primo è quello cosiddetto dello stadio. Non si può arrivare all‘estremità dello stadio, giacché bisognerebbe arrivare prima alla metà di esso e prima ancora alla metà di questa metà e così via all‘infinito. Ma non è possibile percorrere in un tempo finito infinite parti di spazio. Il secondo argomento è quello dell‘Achille. Se una tartaruga ha un passo di vantaggio, non sarà mai raggiunta dal pié veloce Achille. Difatti, prima di raggiungerla, dovrà raggiungere la posizione occupata precedentemente dalla tartaruga, che si sarà spostata di un intervallo, sia pure piccolissimo, di spazio; così la distanza tra Achille e la tartaruga non si ridurrà mai a zero. Il terzo argomento è quello della freccia. La freccia che appare in movimento è in immobile: difatti essa occuperà ad ogni istante soltanto uno spazio determinato, rari alla sua lunghezza; e poiché il tempo in cui essa si muove è fatto di molteplici istanti, per ognuno di questi istanti, e per tutti, la freccia sarà immobile. Il quarto argomento, più complesso, è quello delle masse nello stadio. Esso afferma che in uno stadio un punto mobile va ad una certa velocità, e simultaneamente al doppio di essa, a seconda che sia rapportato ad un punto immobile oppure ad un punto che si muove in senso contrario alla stessa velocità, generando in tal modo l‘assurdo logico che la metà del tempo è uguale al doppio. 22 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ I fisici pluralisti I filosofi tornano ad interessarsi del problema della natura. Tuttavia, anche per essi, Parmenide non è passato invano. Anzi la loro filosofia rappresenta un primo tentativo di sintesi fra l‘Eraclitismo e l‘Eleatismo. Da Eraclito e dalla scuola ionica essi accettano l‘idea del divenire incessante delle cose. Da Parmenide accolgono invece il concetto dell‘eternità ed immutabilità dell‘essere. Ma come conciliare le opposte affermazioni del divenire delle cose e dell‘eternità ed immutabilità di fondo della natura? Questi filosofi risolvono genialmente il problema distinguendo tra composti (mutevoli) ed elementi (immutabili). Essi ritengono, infatti, che le cose del mondo siano costituite di elementi eterni, ad esempio gli atomi, che unendosi tra di loro danno origine a ciò che noi chiamiamo nascita e disunendosi provocano ciò che noi chiamiamo morte. In tal modo essi finiscono per giungere al principio secondo cui, in natura, nulla si crea e nulla si distrugge veramente, ma tutto si trasforma soltanto. Tali filosofi vengono anche detti fisici pluralisti, in quanto ritengono che i principi della natura siano molteplici (ad esempio le radici di Empedocle, i semi di Anassagora e gli atomi di Democrito). Empedocle Empedocle di Agrigento nacque verso il 492. Di lui ci sono rimasti frammenti più abbondanti che di qualsiasi altro filosofo presocratico, appartenenti a due poemi, Sulla natura e Purificazioni: il primo è di carattere cosmologico, il secondo è di carattere teologico. Come Parmenide, 23 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Empedocle ritiene che l‘essere non possa nascere né perire; ma a differenza di Parmenide vuole spiegare l‘apparenza della nascita e della morte e la spiega ricorrendo al combinarsi e dividersi degli elementi che compongono la cosa. La nascita e la morte consistono nel mescolarsi e nel dissolversi di alcuni elementi originari, sempre uguali a se stessi, indistruttibili, immutabili ed eterni. Questi elementi, che Empedocle chiama radici di tutte le cose, sono quattro: acqua, aria, terra e fuoco. Empedocle recupera in tal modo la fisica degli Ionici, ma attribuisce alle radici i caratteri dell‘essere parmenideo, che viene diviso in più entità originarie. Tutte le cose sono quindi dei composti in cui sono sempre presenti tutti e quattro gli elementi, ma in differente misura. Mescolanza e dissoluzione presuppongono il movimento. Il movimento è dato da due forze cosmiche opposte, una di attrazione e l‘altra di repulsione: Philìa (Amore, Amicizia) e Néikos (Contesa, Odio). C‘è una fase in cui l‘Amore domina completamente ed è lo Sfero nel quale tutti gli elementi sono unificati e legati nella più completa armonia. Ma in questa fase non c‘è né il sole né la terra né il mare, perché non c‘è altro che un Tutto uniforme, una divinità che gode della sua solitudine. L‘azione della Contesa rompe questa uniti e comincia ad introdurre la separazione degli elementi. Ma ad un certo punto, essa determina la formazione delle cose quali sono nel nostro mondo, il quale è il prodotto dell‘azione combinata delle due forze e sta a metà strada tra il regno dell‘Amore e quello dell‘Odio. Continuando l‘Odio ad agire, le cose stesse si dissolvono e si ha il regno del caos: il puro dominio dell‘Odio. Ma, allora, spetta di nuovo all‘Amore 24 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ il ricominciare la riunificazione degli elementi: a metà strada si avrà di nuovo il mondo attuale, mescolato d‘odio e d‘amore e finalmente si ritornerà allo Sfero, dal quale ricomincerà un nuovo ciclo. Anassagora Anassagora ammette il principio di Parmenide che nulla nasce e nulla perisce; ma l‘interpreta nel senso che nascere significa riunirsi e perire significa separarsi. Gli elementi che si separano e si uniscono sono i ―semi‖, particelle piccolissime e invisibili di materia. Queste particelle sono di qualità diverse: ci sono semi di oro, di pietra, di carne, di ossa ecc. Esse sono chiamate semi perché, come dal seme si genera la pianta, così da quelle particelle si generano tutte le cose corporee. Da Aristotele furono dette omeomerie, cioè parti simili, perché hanno gli stessi caratteri del tutto che entrano a costituire. Dai semi Anassagora distingue la forza che li fa muovere e li ordina. Questa forza è una intelligenza divina (Nous) che unisce i semi originariamente confusi e determina così l‘ordine nel mondo. L‘intelligenza, secondo Anassagora, ha prodotto, nel caos primordiale dei semi, un movimento turbinoso che per la sua rapidità ha fatto dividere le sostanze secondo l‘opposizione del caldo e del freddo, della luce e dell‘oscurità. Lo stesso movimento turbinoso ha fatto staccare, dalla terra, masse che si sono infiammate e, divenute così luminose, hanno formato gli astri e lo stesso sole. Gli animali e l‘uomo si sono formati dai semi provenienti dall‘aria, la quale, come tutte le altre cose, comprende tutti i semi possibili. Platone e Aristotele notarono come Anassagora, nelle sue spiegazioni, ricorra 25 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ il meno possibile al principio intelligente e solo quando gli difetta la spiegazione naturalistica. Va sottolineato comunque come in Anassagora sia apparsa per la prima volta la teoria di una Mente ordinatrice e di un‘Intelligenza che sta alla base del mondo. Democrito e l‘atomismo Democrito, cronologicamente parlando, è un postsocratico, in quanto risulta contemporanèo non solo di Socrate, ma anche dei suoi primi discepoli, come Platone. Fondatore dell‘atomismo fu Leucippo di Mileto, che sembra abbia scritto una grande cosmologia. In assenza di informazioni precise, il suo pensiero non viene distinto da quello del discepolo Democrito, il quale nacque ad Abdera probabilmente intorno al 460-459 a.C. La distinzione eleatica fra apparenza e realtà rivive in tutta la sua forza anche nell‘atomismo. Democrito, sulla scia di Parmenide, e in parte di Eraclito, ritiene che l‘occhio del filosofo, spingendosi oltre la mutevole e variopinta scena del mondo, debba cercare di raggiungere la realtà autentica delle cose, conscio che la verità dimora nel profondo. Come già in Parmenide, questa convinzione si traduce in un‘antitesi fra la conoscenza sensibile, detta oscura, e la conoscenza razionale detta genuina. Infatti, mentre i sensi si limitano a vagare alla superficie delle cose, la conoscenza intellettuale riesce a cogliere l‘essere vero del mondo: gli atomi, il vuoto e il loro movimento. Gli atomisti identificano l‘essere con il pieno e il nonessere con il vuoto. Il pieno è la materia, il vuoto è lo spazio in cui essa si muove, la materia è a sua volta 26 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ costituita da un insieme di atomi, cioè di particelle indecomponibili (secondo l‘etimologia stessa di a-torno, che in greco significa non-divisibile). Tale concetto è il frutto di una deduzione razionale, che discende da una riflessione sulla problematica della divisibilità all‘infinito sollevata da Zenone. Contro quest‘ultimo, gli atomisti affermano che la divisibilità vale solo in campo logico, ma non in quello reale, in quanto non è assolutamente possibile pensare di dividere all‘infinito la realtà materiale, perché altrimenti a furia di dividere la materia, la realtà si dissolverebbe nel nulla e quindi dalla materia si passerebbe alla non-materia, Ma se al fondo della natura vi fosse il nulla, non si capirebbe come da tale niente possa derivare la realtà concreta e materiale dei corpi, esattamente come dalla somma di tanti zeri possa derivare un numero qualsiasi. Di conseguenza, secondo Democrito, se si vuole spiegare razionalmente ciò che appare, si è obbligati ad ammettere che esistano delle particelle minime della materia, non ulteriormente divisibili. Le proprietà degli atomi Democrito assegna agli atomi gli attributi dell‘essere di Parmenide: sono pieni, immutabili, ingenerati ed eterni. Tra di loro non vi sono differenze qualitative, perché son fatti tutti della medesima stoffa materiale. Essi si distinguono solo per le note quantitative della forma geometrica e della grandezza. Gli atomi determinano la nascita e la morte delle cose con la reciproca unione e separazione. Essi sono, atomi secondo il paragone di Aristotele, simili alle lettere dell‘alfabeto, che differiscono tra loro per la forma e danno luogo a parole e a discorsi 27 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ diversi disponendosi e combinandosi diversamente. Tutte le qualità dei corpi dipendono o dalla figura degli atomi o dall‘ordine e dalla combinazione di essi. Gli atomi sono immersi in uno spazio vuoto, che viene anch‘esso dedotto per via razionale. Infatti, se c‘è il movimento, sostiene Democrito, ci deve per forza essere il vuoto. Poiché gli atomi sono infiniti ed infinite sono le loro possibilità di combinazione, Democrito ritiene che vi siano infiniti mondi che perpetuamente nascono e muoiono. Esisteranno mondi senz‘acqua, e quindi privi di esseri viventi oppure mondi con più soli e con più lune, ma anche mondi analoghi al nostro. Il materialismo e il meccanicismo La filosofia atomistica si presenta così come una compiuta concezione materialistica e meccanicistica. Materialistica, perché l‘essere si risolve integralmente negli atomi ossia in entità materiali; meccanicistica, perché nell‘universo non è rinvenibile nessun fine, nessuna disegno intelligente, ma tutto viene spiegato col semplice movimento degli atomi. In questo senso Dante dirà che «Democrito il mondo a caso pone». Tuttavia, che il mondo non sia il prodotto di una Intelligenza divina non significa affatto che esso non sia governato da leggi necessarie, al contrario: il cosmo rimane un meccanismo ordinato, in cui ogni evento è il prodotto di una ferrea catena di cause e tutto ciò che accade è rigidamente determinato. 28 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ CAPITOLO 3 La sofistica e Socrate I sofisti Anticamente il termine sophistés (= sapiente) alludeva ad un uomo esperto, conoscitore di tecniche particolari e di una vasta cultura generale. Con questo nome si indicavano ad esempio i Sette Savi, Pitagora e quanti altri si segnalassero per una qualsiasi attività teorica o pratica. Sono detti specificamente ―sofisti‖ quei sapienti di professione che si spostavano di città in città nel V e IV secolo per tenere lezioni soprattutto di retorica, di grammatica e teoria del linguaggio, di diritto, di politica e di morale. Tant‘è vero che Senofonte, ad esempio, bollò i sofisti come prostituti della cultura. E Platone e Aristotele li giudicarono infatti falsi sapienti, interessati al successo e ai soldi più che alla verità. Oggi l‘aggettivo ―sofistico‖ ha perso il significato filosofico originario e, nel linguaggio comune, è sinonimo di ―artificioso‖. La critica contemporanea tende ad una rivalutazione globale della sofistica e della sua importanza storica e filosofica. L‘ambiente storico-politico I sofisti hanno operato una vera e propria ―rivoluzione filosofica‖, spostando l‘asse della speculazione dalla natura all‘uomo. Invece di ricercare il ―principio‖ del cosmo, i sofisti si concentrano sulla politica, le leggi, la religione, la lingua, l‘educazione, ecc., divenendo in tal modo filosofi dell‘uomo e della città. Storicamente i dati più importanti di questo periodo sono la crisi 29 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ dell‘aristocrazia, l‘accresciuta potenza della borghesia cittadina, l‘allargarsi dei traffici e dei commerci, il raffinarsi delle tecniche e l‘avvento della democrazia. Tutto ciò comporta l‘affermarsi di nuovi parametri di giudizio e un‘accresciuta consapevolezza, da parte dell‘uomo greco, delle sue prerogative. Democrazia e insegnamento sofistico La democrazia è lo spazio operativo entro cui si è mossa storicamente la corrente dei Sofisti. Infatti, vivere attivamente in democrazia significa partecipare ad assemblee, prendervi la parola, far valere con efficace discorso la propria opinione. A questa necessità vengono incontro i Sofisti, i quali si ritengono sapienti proprio nel senso antico del termine: cioè nel senso di rendere gli uomini abili nelle loro faccende, adatti a vivere insieme, capaci di avere la meglio nelle competizioni civili. Sapienza che essi si propongono di insegnare, dietro pagamento, al ceto dirigente. Per questo motivo, la loro lezione si limitava a discipline formali, quali la retorica o la grammatica, oppure a nozioni varie e brillanti quali potevano essere utili alla carriera di un avvocato o di un uomo politico. Caratteristiche della Sofistica La Sofistica è stata definita come una sorta di Illuminismo greco. Illuminismo è il movimento culturale che si è verificato in Europa nel XVIII secolo, avendo come sua insegna l‘uso libero della ragione in tutti i campi. Un carattere analogo presenta la Sofistica e la cultura ateniese dell‘epoca. I miti e le credenze della tradizione vengono 30 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ esplicitamente criticati e sostituiti con nozioni razionali o che almeno si credono tali. I sofisti, per primi, hanno elaborato il concetto occidentale di cultura (paidéia), intesa come la formazione globale di un individuo nell‘ambito di un popolo o di un contesto sociale. Con essi il problema educativo balza infatti in primo piano, poiché si ritiene che la virtù non dipenda dai natali, ma dal sapere, il quale è insegnabile. Infine, i sofisti si fecero portatori di istanze panelleniche e cosmopolitiche, che contribuirono ad un allargamento della mentalità greca ed antica in genere, per lo più particolaristica e nazionalistica. Protagora Il primo e più importante esponente della Sofistica fu Protagora, che nacque ad Abdera intorno al 490 a.C. Fra le opere di sicura attribuzione ricordiamo Ragionamenti demolitori e Le Antilogie. La dottrina dell‘uomo-misura La tesi fondamentale di Protagora è espressa dalla formula: ―L‘uomo è misura di tutte le cose, delle cose che sono in quanto sono, delle cose che non sono quanto non sono‖. Alla lettera, questa espressione vuol dire che l‘uomo è il metro, cioè il soggetto di giudizio, della realtà o irrealtà delle cose e del loro modo d‘essere e significato. Sul preciso senso filosofico della tesi esistono però varie interpretazioni, a seconda del valore che si attribuisce alle nozioni di uomo e di cose. Una prima interpretazione, intende per uomo l‘individuo singolo e per cose gli oggetti percepiti attraverso i sensi. In altre parole, la tesi di Protagora alluderebbe al fatto che le cose appaiono 31 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ diversamente a seconda degli individui e dei loro stati fisici e psichici, per cui tante teste e tante situazioni, tante misure: ad esempio un cibo appare dolce o amaro a seconda delle persone. Una seconda interpretazione attribuisce alla parola uomo un significato universale (―umanità, natura umana‖) e alla parola ‗cose il significato più vasto di ―realtà in generale‖. Da questo punto di vista, la tesi di Protagora vorrebbe dire che gli individui giudicano la realtà tramite parametri comuni tipici della specie razionale cui appartengono, cioè dell‘umanità. Per una terza interpretazione l‘uomo sarebbe invece la comunità o civiltà cui l‘individuo appartiene e le cose sarebbero soprattutto i valori o gli ideali che ne stanno alla base. In altre parole, Protagora intenderebbe dire che ognuno valuta le cose secondo la ―mentalità‖ del gruppo sociale cui appartiene. La posizione di Protagora è una forma di umanismo (in quanto ciò che si afferma o si nega intorno alla realtà presuppone sempre l‘uomo come criterio di valutazione), di fenomenismo (in quanto noi non abbiamo mai a che fare con la realtà in se stessa, ma con il ―fenomeno‖, ossia con la realtà quale ―appare‖ a noi), di relativismo conoscitivo e morale (in quanto non esiste una verità ―assoluta‖, ma ogni verità, ideale o modello di comportamento, è ―relativa‖ a chi giudica nell‘ambito di una certa situazione). Il relativismo culturale Uno scritto anonimo, Ragionamenti doppi che si propone di dimostrare che le stesse cose possono essere buone o cattive, belle o brutte, giuste o ingiuste, viene presentato dal suo autore come summa dell‘insegnamento sofistico. 32 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Ad esempio la morte per chi muore è un male, ma per gl‘impresari di pompe funebri e per i becchini è un bene. Che l‘agricoltura dia abbondante raccolto, è un bene per gli agricoltori, ma per i commercianti è male ecc. La seconda parte dello scritto è particolarmente interessante perché contiene l‘esposizione di quello che oggi si chiama il relativismo culturale, ossia della disparità dei valori che presiedono alle diverse civiltà umane. Ecco alcuni esempi: Presso i Macedoni si ritiene bello che le fanciulle prima di sposarsi amino e si congiungano con un uomo. e dopo le nozze, brutto; presso i Greci, è brutta l‘una e l‘altra cosa. Considerazioni di questo genere non sono isolate nel mondo greco e ricorrono frequentemente nell‘ambiente sofistico. Ippia negava che la proibizione dell‘incesto fosse legge naturale dal momento che presso alcuni popoli è trasgredita. L‘opposizione tra natura e legge, propria di Ippia e di altri Sofisti, era una conseguenza della concezione relativistica che i Sofisti avevano dei valori che presiedono alle diverse civiltà umane. L‘utile come criterio di scelta Questo relativismo conoscitivo e morale poteva condurre alla tesi della equivalenza ideale delle opinioni, cioè alla dottrina secondo cui, in teoria, tutto è vero‘ (come sembra dicesse Protagora). Ma Protagora credeva, nonostante tutto, in un principio di scelta. In quanto principio di scelta, l‘utile — inteso come il bene del singolo e della comunità — diviene, per Protagora, lo strumento di verifica delle teorie stesse. In tal modo, alla concezione oggettivistica ed assolutistica della verità (= il vero è qualcosa di già dato e scoperto una volta per sempre, che 33 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ si impone a tutti allo stesso modo), Protagora sostituisce una concezione umanistico-storicistica di essa (= la verità è l‘umanamente verificato come giovevole, ossia ciò che si è dimostrato storicamente e socialmente utile all‘individuo, alla comunità e alla specie). Gorgia L‘altra grande figura della Sofistica, Gorgia di Lentini, presenta una dottrina più negativa circa le possibilità conoscitive e pratiche dell‘uomo. Tra le sue opere ricordiamo Sul non essere o sulla natura e l’Encomio di Elena. Nel primo scritto egli stabilisce le sue tre tesi fondamentali: 1. Nulla c‘è. 2. Se anche qualcosa c‘è, non è conoscibile dall‘uomo. 3. Se anche è conoscibile, è incomunicabile agli altri. Questo scritto è stato tradizionalmente interpretato alla stregua di un radicale nichilismo filosofico. Oggi è possibile considerarlo diversamente. Innanzitutto, quando Gorgia sostiene che ―nulla esiste‖ egli non intende far sparire la realtà testimoniata dai nostri sensi, ma la possibilità di una sua concettualizzazione filosofica. In altri termini, più che il mondo concreto che ci sta dinanzi, Gorgia, con il suo paradosso, intende probabilmente negare la pensabilità logica ed ontologica dell‘essere in generale e, in particolare, di quella struttura metafisica (la Natura, il Principio) di cui i vari pensatori erano andati alla ricerca. Gorgia intende appunto chiarire (la tesi) che tale struttura non risulta filosoficamente asseribile, a meno di cadere nei sopraelencati non-sensi concettuali; oppure che se anche esistesse, noi non la potremmo conoscere, in 34 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ quanto, per conoscerla, dovremmo presupporre che la nostra mente sia una fotografia esatta della realtà. Ma ciò non accade. Infatti, se pensiamo spesso l‘inesistente, vuol dire che il pensiero non rispecchia necessariamente la realtà o che la realtà non si rispecchia necessariamente nel pensiero. In tal modo, Gorgia colpisce al cuore l‘equazione eleatica pensiero-essere, introducendo una frattura radicale fra la mente e le cose. Analogamente, la terza tesi sostiene che se anche la realtà fosse conoscibile non sarebbe spiegabile con parole, poiché il linguaggio è altra cosa dalla realtà e non possiede un‘adeguata capacità rivelativa. Queste tesi di Gorgia acquistano ulteriore densità speculativa se riferite a quella Realtà assoluta che va sotto il nome di Dio. Infatti, un‘entità del genere, o Non c‘è (1a tesi), o è Inconoscibile (2a tesi), o è Inesprimibile (3a tesi). Il risultato conclusi‘vo della sua dottrina è dunque la distruzione di ogni possibile metafisica, cosmologia o teologia e la sfiducia completa nelle possibilità conoscitive della nostra mente, soprattutto quando, andando oltre l‘esperienza, pretende di accedere a qualche Assoluto metafisico. In tal modo con Gorgia troviamo la prima, esasperata messa in discussione occidentale della metafisica e l‘anticipazione di schemi di pensiero che vanno dagli empiristi a Kant e a gran parte del pensiero contemporaneo. Ora, se nulla è vero, cioè dimostrabile come tale, vuoi dire, per Gorgia, che ―tutto è falso. Mentre in Protagora abbiamo ancora un criterio di verità, ossia l‘utile, in Gorgia non troviamo più nessun criterio. L‘unica cosa che conta — in assenza di ogni verità— è la potenza del Linguaggio, inteso come forza che permette il dominio degli stati d‘animo, in quanto 35 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ ―riesce a calmare la paura e ad eliminare il dolore, a suscitare la gioia e ad aumentare la pietà‖. Da ciò l‘importanza attribuita da Gorgia alla retorica. Un altro aspetto importante del pensiero gorgiano, che la critica contemporanea ha debitamente messo in luce, è la concezione tragica del reale. Di fronte al sostanziale razionalismo e ottimismo dei filosofi precedenti che vedono la vita e l‘essere come una vicenda dominata dal logos, cioè dalla ragione, Gorgia sembra ritenere che l‘esistenza sia qualcosa di fondamentalmente irrazionale e misterioso. Per Gorgia le azioni degli uomini non sono rette dalla logica e dalla verità, ma dalle circostanze, dalla menzogna, dalle passioni. Socrate (470/399) Socrate rinunciò a scrivere e il fatto che Socrate non abbia scritto nulla genera tuttavia delle grosse difficoltà per la ricostruzione del suo pensiero. Infatti le testimonianze indirette che possediamo sono parecchie e non sempre coerenti fra di loro. Le fonti principali sono quelle di Aristofane, Policrate, Senofonte, i socratici minori, Platone e Aristotele. La testimonianza di Aristofane, l‘unica che risale a Socrate ancora vivente. è contenuta nella commedia Le Nuvole. In essa Aristofane, concentra in Socrate il tipo dell‘intellettuale, accomunandolo ai naturalisti e ai Sofisti e presentandolo come un chiacchierone perdigiorno con la testa fra le nuvole. Nella Accusa contro Socrate del 393, poco tempo dopo la sua morte, Policrate taccia il filosofo di aver disprezzato le procedure della democrazia e di essere stato il cattivo 36 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ demone di certi aristocratici ateniesi più oltranzisti. Senofonte, che scrive le sue opere molto tempo dopo la morte del filosofo, ci presenta un Socrate per lo più moralista e predicatore. Platone nei suoi dialoghi, ci offre invece la più suggestiva ed amorosa presentazione del maestro, da cui è scaturita l‘immagine ―tradizionale di Socrate. Aristotele schematizza Socrate come ―lo scopritore del concetto. La posizione storica di Socrate Socrate è legato alla Sofistica da una rete complessa di rapporti, che sono fondamentalmente i seguenti: 1) l‘attenzione per l‘uomo e il disinteresse per le indagini sulla natura; 2) la mentalità razionalistica, anticonformistica ed antitradizionalistica, portata a mettere tutto in discussione e a non accettare nulla se non attraverso il vaglio critico e la discussione; 3) la tendenza alla dialettica e al paradosso. Ciò che lo allontana dai Sofisti è invece: 1) il rifiuto di ridurre la filosofia a retorica; 2) il tentativo di andare oltre lo sterile relativismo conoscitivo e morale in cui si era avviluppata la sofistica. La filosofia come ricerca sull‘uomo Sembra quasi certo che Socrate, in un primo periodo della sua vita, abbia seguito con interesse le ricerche degli ultimi naturalisti, in particolare di quelli della scuola di Anassagora. Tuttavia, deluso da tali indagini, si convinse ben presto, anche sotto evidenti suggestioni sofistiche, che alla mente umana sfuggono inevitabilmente i perché ultimi delle cose e che ad essa non è dato di conoscere con certezza l‘Essere e i principi del mondo. Perciò, 37 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ abbandonati gli studi cosmologici, Socrate cominciò ad intendere la filosofia come un‘indagine in cui l‘uomo, Per questo, Socrate fece suo il motto dell‘oracolo delfico Conosci te stesso, vedendo in esso la motivazione ultima del filosofare e la missione stessa del filosofo. E poiché, secondo Socrate, non sì è uomini se non fra uomini, in quanto ciò che ci costituisce come tali è proprio il rapporto con gli altri, la sua filosofia affronta e discute le questioni relative alla propria umanità. E in questo colloquio incessante, in questa ricerca senza fine, Socrate ha posto il valore stesso dell‘esistenza, convinto, come si dice nella platonica Apologia di Socrate, che una vita senza esame non è degna di essere vissuta. I momenti del dialogo socratico Per Socrate la prima condizione della ricerca e del dialogo filosofico è la coscienza della propria ignoranza. Quando ebbe la risposta dell‘oracolo di Delfi, che lo proclamava il più sapiente fra gli uomini, interpretò il responso divino come se avesse voluto dire che sapiente è soltanto chi sa di non- sapere. Sostenere che vero sapiente unicamente chi sa di non sapere è anche un modo polemico per dire che filosofo è soltanto colui che ha compreso che intorno alle cause e alle strutture del Tutto non si può dire nulla con sicurezza. Questa importante rilevazione non equivale tuttavia ad una interpretazione di Socrate in chiave scettica. Agnostico verso le questioni cosmologiche ed ontologiche, Socrate non lo è altrettanto sui problemi etico-esistenziali. per cui, se riferita all‘uomo, la formula socratica assume il significato di una denuncia verso i sofisti. Essa non esclude la possibilità di una ricerca 38 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ sull‘uomo, ma la incoraggia, costituendosi come sua condizione preliminare, poiché solo chi sa di non sapere cerca di sapere, mentre chi si crede già in possesso della verità non sente il bisogno interiore di cercarla. L‘ironia L‘ironia è il metodo usato da Socrate per svelare all‘uomo la sua ignoranza e per gettarlo nel dubbio, impegnandolo nella ricerca. Facendo ironicamente finta di non sapere, Socrate chiede al suo interlocutore, per lo più illustre e celebrato maestro di qualche arte, di renderlo edotto circa il settore di cui egli è competente. La maieutica Socrate non vuole comunicare dall‘esterno una propria dottrina, ma soltanto stimolare l‘ascoltatore a ricercarne dall‘interno una sua propria. Da ciò la celebre maieutica o arte di far partorire di cui parla Platone, dicendo che Socrate aveva ereditato da sua madre la professione di ostetrico. Come costei, essendo levatrice, aiutava le donne a partorire i bambini, cosi Socrate, ostetrico di anime, aiuta gli intelletti a partorire il loro genuino punto di vista sulle cose. Socrate e le definizioni Nella struttura circolare del dialogo socratico, fatto di domande, risposte la molla dell‘intero processo sta nella domanda ―che cos‘è?‖, ossia la richiesta di una definizione precisa di ciò di cui si sta parlando. Egli parlava sempre di cose umane esaminando che cosa è santità, che cosa 39 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ empietà, che cosa bellezza, che cosa turpitudine, che cosa giustizia, che cosa ingiustizia, che cosa saggezza, che cosa pazzia, che cosa Stato, che cosa politica, che cosa governo, che cosa uomo di governo, e simile cose. All‘interrogativo che ―cos‘è la virtù?‖ l‘interlocutore risponde dì solito mediante un catalogo di casi virtuosi: virtuoso è chi onora le leggi, virtuoso è chi rispetta i genitori, ecc. Ma Socrate non si accontenta di questa sterile elencazione, perché a lui non interessano esempi di virtù, ma la definizione della virtù in se stessa. Ai lunghi discorsi ammaliatori dei Sofisti (macrologie), Socrate contrappone dunque i discorsi brevi (brachilogie), fatti di battute corte e veloci, volte ad obbligare l‘avversario a risposte precise. La domanda ―che cos‘è?‖ ha un duplice scopo: uno negativo, mirato a escludere le risposte acritiche; l‘altro positivo, teso a condurre l‘interlocutore verso una definizione soddisfacente dell‘argomento trattato. La morale di Socrate La tesi-chiave della morale di Socrate è la virtù come ricerca e scienza. Per virtù (areté) i Greci intendevano, in generale, il modo di essere ottimale di qualcosa (ad esempio la virtù del ghepardo è la velocità). Socrate, che in questo si colloca in scia dei Sofisti, sostiene, che la virtù non è un dono gratuito, ma una faticosa conquista, in quanto l‘esser-uomini è il frutto di un arte. La virtù come scienza Socrate ritiene che la virtù, intesa come arte del ben comportarsi, è sempre una forma di sapere, ossia un fatto 40 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ intellettuale. Dal punto di vista socratico, per essere uomini nel modo migliore è indispensabile riflettere, cercare e ragionare (razionalismo morale). Intesa come sapere razionale, la virtù socratica, può essere insegnata e comunicata a tutti e deve costituire un patrimonio di ogni uomo. Infatti, secondo Socrate, non basta che ciascuno sappia il proprio mestiere e sia esperto in una delle tecniche particolari, ma bisogna che ciascuno impari bene anche il mestiere di vivere, ossia la scienza del bene e del male. Solo il virtuoso, che segue i dettami della ragione, è felice, mentre il non-virtuoso, non ragionando a sufficienza sulla vita, si abbandona ad istinti, che alla lunga lo rendono infelice. I paradossi dell‘etica socratica Dalla teoria della virtù come scienza Socrate deriva i paradossi secondo cui nessuno pecca volontariamente e chi fa il male, lo fa per ignoranza del bene. Socrate vuol dire che nessuno fa il male volontariamente in quanto nessuno lo compie scientemente, ossia sapendo veramente di farlo, poiché chi opera il male è semplicemente un individuo che ignora quale sia il vero, bene. Infatti chi agisce fa sempre ciò che per lui è bene. Di conseguenza, se scambia ad esempio un vizio per un bene, ciò è dovuto alla sua ignoranza, che non sa cogliere, al di là di un‘apparenza momentanea di piacere, la futura realtà di patimento. Un altro paradosso del socratismo, almeno nei confronti della mentalità greca contemporanea, è la massima secondo cui è meglio subire il male che commetterlo. 41 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ La religione di Socrate Socrate, come appare dai Dialoghi platonici, considera il filosofare come una missione e un compito che gli sono stati affidati dalla divinità. Egli parla di un dèmone che lo consiglia in tutti i momenti decisivi della vita, invitandolo a non fare certe cose. Questo dèmone è stato letto come la voce della coscienza, il comando morale che risuona nella persona. Ma esso è probabilmente un concetto religioso, non semplicemente morale. Certamente Socrate va oltre le credenze religiose antropomorfiche dei Greci, che già Senofane aveva criticato. Egli prestava agli dèi della religione popolare un ossequio formale perché ciò rientrava negli obblighi di cittadino. Dopo la condanna, egli dichiara ai giudici di essere certo che per l‘uomo onesto non vi è male né nella vita né nella morte e che la sua causa è nelle mani degli dèi. La divinità è dunque la custode del destino degli uomini, il presidio dei valori morali. Questa fu senza dubbio l‘essenza della religiosità di Socrate, una religiosità la quale non posa su credenze, ma anima la sua ricerca filosofica. 42 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ CAPITOLO 4 Platone Della produzione platonica ci sono state tramandate un'Apologia di Socrate, 34 dialoghi e 13 lettere; le opere sono state ordinate convenzionalmente in nove tetralogie dal grammatico Trasillo, vissuto al tempo dell'imperatore Tiberio. 1. Eutifrone, Apologia, Critone, Fedone. 2. Cratilo, Teeteto, Sofista, Politico. 3. Parmenide, Filebo, Convito, Fedro. 4. Alcibiade I, Alcibiade II, Ipparco, Amanti. 5. Teagete, Carmide, Lachete, Liside. 6. Eutidemo, Protagora, Gorgia, Menone. 7. Ippia maggiore, Ippia minore, Ione, Menesseno. 8. Citofonte, Repubblica, Timeo, Crizia. 9. Minosse, Leggi, Epinomide, Lettere. Platone tenne anche dei corsi intitolati Intorno al Bene che non volle mettere per iscritto, lasciandoli alla sola comunicazione orale. In queste cosiddette ―dottrine non scritte‖ egli sviluppava una metafisica a sfondo pitagorico fondata sui concetti di Uno e di Diade. Rapporti con Socrate La fedeltà all‘insegnamento e alla persona di Socrate è il carattere dominante dell‘intera attività filosofica di Platone. Certamente, non tutte le dottrine filosofiche di Platone possono essere attribuite a Socrate. Ma la ricerca platonica tende a configurarsi come uno sforzo di 43 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ interpretazione della personalità filosofica di Socrate. La stessa forma dell‘attività letteraria di Platone, il dialogo, è un atto di fedeltà al silenzio letterario di Socrate. Per cui, la stessa convinzione che ha trattenuto Socrate dallo scrivere ha spinto Platone ad adottare e a mantenere la forma dialogica nei suoi scritti. Il dialogo è il solo mezzo per esprimere e comunicare agli altri la vita della ricerca filosofica. Esso riproduce l‘andamento stesso della ricerca che procede lentamente e faticosamente di tappa in tappa; e soprattutto ne riproduce il carattere di socialità, per il quale essa rende solidali gli sforzi degli individui che la coltivano. Mito e filosofia Accanto alla forma dialogica, una delle caratteristiche dell‘opera platonica è l‘uso dei miti, ossia di racconti fantastici attraverso cui vengono esposti concetti e dottrine filosofiche. Il mito è uno strumento di cui si serve il filosofo per comunicare in maniera intuitiva le proprie dottrine, ma è anche un mezzo di cui si serve il filosofo per poter parlare di realtà profonde e ultimative. Il mito è qualcosa che si inserisce nelle lacune della ricerca filosofica, permettendole, di formulare una teoria verosimile che, come tale, non è né una semplice favola né un‘argomentazione pienamente dimostrativa, bensì qualcosa che pur essendo indimostrabile si può ragionevolmente ritenere vero. Primo periodo: la difesa di Socrate e la polemica contro i Sofisti 44 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ La prima parte dell‘attività filosofica di Platone è finalizzata all‘illustrazione e alla difesa dell‘insegnamento di Socrate e alla polemica contro i Sofisti. L‘Apologia è sostanzialmente l‘esaltazione della vita consacrata alla ricerca filosofica. Socrate dichiara ai giudici che egli non tralascerà mai il compito che gli è stato affidato dalla divinità: l‘esame di se stesso e degli altri per rintracciare la via del sapere e della virtù. Già nella presentazione che Platone fa di Socrate nell‘Apologia è evidente che egli vede incarnata nella figura del maestro quella filosofia come ricerca alla quale egli stesso doveva dedicare l‘intera esistenza. L‘accettazione serena che Socrate fa del destino cui è condannato è l‘ultima prova della serietà del suo insegnamento. Un numeroso gruppo di dialoghi spiega i tre principali insegnamenti di Socrate: 1) la virtù è una sola e si identifica con la scienza; 2) solo come scienza, la virtù è insegnabile; 3) nella scienza consiste la felicità dell‘uomo. Nel Protagora, Socrate critica il protagonista che si dice maestro di virtù, mostrando che la virtù di cui parla Protagora non è scienza, ma un semplice insieme di abilità acquisite accidentalmente per esperienza. Nel Gorgia Platone attacca l‘arte che era la principale creazione. dei sofisti e la polemica contro base del loro insegnamento, la retorica. La retorica voleva essere una tecnica della persuasione alla quale riuscisse completamente indifferente la tesi da difendere o l‘argomento trattato. Al concetto di quest‘arte Platone oppone che ogni arte o scienza riesce veramente persuasiva solo intorno all‘oggetto che le è proprio. La retorica non ha un oggetto proprio: consente di parlare di tutto, ma non riesce a persuadere se non quelli che hanno 45 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ una conoscenza inadeguata e sommaria delle cose di cui tratta e cioè gli ignoranti. Essa non è dunque un‘arte ma soltanto una pratica adulatoria. Secondo periodo: la dottrina delle idee Nei dialoghi del primo periodo, Platone ha per lo più illustrato e difeso teorie che erano proprie di Socrate. Con l‘elaborazione della teoria delle idee, il filosofo va esplicitamente al di là delle dottrine che Socrate aveva insegnato. La teoria delle idee nasce con l‘approfondimento platonico del concetto di scienza (epistéme, sophia). In antitesi ai Sofisti, ma procedendo oltre lo stesso Socrate, Platone ritiene che la scienza abbia i caratteri della stabilità e dell‘immutabilità, e quindi della perfezione. Ma essendo convinto che il pensiero rifletta l‘essere, ossia che la mente sia uno specchio o una riproduzione di ciò che esiste (= realismo gnoseologico), Platone si chiede quale sia l‘oggetto proprio della scienza. Ovviamente, non possono costituire oggetto della scienza le cose del mondo, apprese dai sensi, che sono mutevoli ed imperfette, e quindi oggetto solo di quella corrispondente forma di conoscenza mutevole ed imperfetta (opinione, dòxa). Per Platone l‘idea indica un‘entità perfetta e autonoma, esistente per proprio conto. Il fatto che le idee presentino caratteristiche strutturali diverse dalle cose, non esclude in loro stretto rapporto con gli oggetti. Per il filosofo le cose sono infatti copie o imitazioni imperfette delle idee. Ad esempio, nel nostro mondo esiste una pluralità di cose più o meno belle o giuste, ma nel mondo delle idee esiste la Bellezza e la Giustizia. L‘idea platonica è dunque il modello unico e perfetto delle cose molteplici 46 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ e imperfette di questo mondo. In Platone esistono due gradi di conoscenza, che sono l‘opinione e la scienza (= dualismo gnoseologico), cui fanno riscontro due tipi d‘essere distinti, che sono le cose e le idee (= dualismo ontologico). Da quanto si è detto, emerge pure come la filosofia platonica, la quale si pone alla confluenza di diverse tradizioni filosofiche, rappresenti una sorta di integrazione sintetica dell‘eraclitismo ed eleatismo. Da Eraclito Platone accetta la teoria secondo cui il nostro mondo è il regno della mutevolezza, mentre da Parmenide trae il concetto secondo cui l‘Essere autentico è immutabile. L‘idea platonica presenta infatti taluni caratteri essenziali dell‘Essere parmenideo: Platone nel Fedro dice ad esempio che essa è ―semplice e imperitura‖. I tipi di Idee Nella maturità del pensiero platonico compaiono due tipi fondamentali di idee: 1) le idee-valori, corrispondenti ai supremi principi etici, estetici e politici. Tali sono, la Bellezza, la Giustizia ecc., che formano appunto ciò che denominiamo ideali o valori; 2) le idee-matematiche, corrispondenti alle entità. dell‘aritmetica e della geometria. Infatti, secondo Platone, vi sono idee anche del pensiero matematico (ad esempio l‘uguaglianza; numeri, il circolo ecc.), poiché nella realtà non troviamo mai l‘uguaglianza perfetta o il quadrato perfetto di cui parla il matematico, ma solo copie approssimative ed imperfette di essi. Insieme a questi due tipi di idee, Platone scrive talvolta anche di idee di cose naturali (ad esempio l‘Umanità) o di cose artificiali (ad esempio il letto). Solo negli ultimi dialoghi Platone tenderà a lasciar cadere la 47 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ precedente nozione matematico-etica di idea, a favore di una nozione logico-ontologica propensa a far corrispondere, ad ogni realtà, la sua specifica ―forma‖. In tal modo, l‘idea platonica finirà per essere la forma di qualsiasi gruppo o classe di cose che vengono designate con un medesimo nome e che possono essere fatte oggetto di scienza. Le idee non costituiscono affatto una pluralità disorganizzata. Esse costituiscono infatti una trama di essenze aventi un ordine gerarchico-piramidale, con le idee-valori in cima e l‘idea del Bene al vertice. Tale idea è stata talora assimilata a Dio. Nei testi risulta assente l‘idea di un Dio creatore. Infatti, pur essendo al di là dell‘essere, cioè delle idee, e pur superandole tutte per valore e potenza‘, il Bene non crea le idee, che sono tutte eterne, ma si limita a comunicare loro la perfezione. In linea generale, possiamo dire sin d‘ora che nell‘universo metafisico di Platone non esiste un Dio personale, ma solamente il ―divino‖. Platone usa infatti il termine impersonale ―divino‖ per designare una molteplicità di cose diverse: divine sono le idee, divina è l‘idea del bene, divina è l‘anima, divine sono le stelle e gli astri ecc. Rapporti idee-cose Le idee, sotto un punto di vista, sono i criteri di giudizio delle cose, in quanto noi, per giudicare circa gli oggetti, non possiamo fare a meno di riferirci ad esse. Ad esempio, diciamo che due cose sono uguali sulla base dell‘idea di Uguaglianza, oppure diciamo che due azioni sono giuste sulla base dell‘idea di Giustizia e così via. In questo senso, possiamo dire che le idee sono la condizione per la quale gli oggetti possono essere pensati e causa delle cose, 48 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ poiché gli individui sono in quanto imitano o partecipano, delle essenze. Ad esempio, le realtà che diciamo belle sono tali in quanto imitano o partecipano della Bellezza, che rappresenta dunque la causa per cui esse vengono ritenute belle. Tuttavia, il rapporto idee-cose non è stato bene definito dal Platone della maturità, in quanto egli, pur parlando di mimesi(= le cose imitano le idee), di metessi (partecipazione delle idee), e di parousìa (= presenza delle idee alle cose), è rimasto incerto sulla questione. Come e dove esistono le idee Le idee sono senz‘altro ―trascendenti‖, in quanto esistono oltre la mente ed oltre le cose. La critica tradizionale, prendendo alla lettera l‘espressione platonica di iperuranio, ha considerato il mondo platonico delle idee come qualcosa di analogo al Paradiso cristiano. A questa lettura si è contrapposta quella di alcuni neokantiani del nostro secolo, che hanno considerato le idee platoniche non come delle cose, bensì come dei modelli di classificazione delle cose, ossia come dei criteri mentali con cui pensiamo gli oggetti. In conclusione, stando ai Dialoghi ciò che si può affermare con un buon margine di sicurezza è che le idee, comunque intese, costituiscono una zona d‘essere diversa dalle cose. La conoscenza Secondo Platone le idee non possono derivare dai sensi, poiché questi ci testimoniano solo un mondo di cose materiali ed imperfette. Le idee sono esclusivamente 1‘oggetto di una visione mentale. Sulla base della credenza orfica nella metempsicosi Platone spiega che noi 49 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ abbiamo il concetto delle forme ideali perché la nostra anima, prima di calarsi nel presente corpo, è vissuta, disincarnata, nel mondo delle idee, dove, fra una vita e l‘altra, ha potuto contemplare gli esemplari perfetti delle cose. Una volta discesa nel nostro mondo, l‘anima conserva un ricordo sopito di ciò che ha veduto. Grazie all‘esperienza delle cose, che fungono da stimolo per la memoria, l‘anima ricorda ciò che ha visto nell‘Iperuranio. In questo senso, dice Platone, conoscere è ricordare, in quanto le idee, sia pur sfocate, le portiamo dentro di noi e basta uno sforzo per tirarle fuori, tanto più che esse, come le cose, sono legate fra loro da una sorta di parentela, per cui basta rammentarcene una per farci tornare alla mente tutte le altre. La gnoseologia di Platone rappresenta dunque una forma di innatismo, in quanto ritiene che la conoscenza non derivi dall‘esperienza sensibile bensì da metri di giudizi preesistenti e connaturati con il nostro intelletto. Una prova di questa teoria, secondo Platone, risiede nel fatto che anche un ignorante, opportunamente interrogato, può rispondere con esattezza intorno a cose di cui non ha mai inteso discorrere. Celebre l‘esempio del Menone, in cui troviamo il caso dello schiavo, che, pur essendo a digiuno di geometria, viene aiutato da Socrate a ricordare gli elementi di fondo di essa, riuscendo così a intuire il teorema del quadrato doppio. La maieutica, che in Socrate alludeva soltanto al fatto che la verità è una conquista che viene nostra interiore, in Platone subisce una evidente radicalizzazione metafisica, venendo a coincidere con la teoria stessa della reminiscenza, cioè con la tesi secondo cui portiamo dentro di noi una verità 50 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ prenatale, che è il frutto di una precedente contemplazione delle idee. Reminiscenza, verità ed eristica Agli occhi di Platone, la teoria della reminiscenza rappresenta la definitiva vittoria sul principio sofistico secondo cui non è possibile, all‘uomo, indagare né ciò che sa, né ciò che non sa, giacché sarebbe inutile indagare ciò che si sa e impossibile indagare ciò che non si sa. A questo discorso il filosofo contrappone invece la tesi per cui apprendere non significa partire da zero, bensì ricordare ciò che si era obliato. L‘uomo non possiede già, tutt‘intera, la verità (altrimenti non la cercherebbe) e neanche la ignora completamente (perché in tal caso neppure inizierebbe a cercare), ma la porta in sé a titolo di ―ricordo‖, ovvero sotto forma di un patrimonio che egli è impegnato ad esplicitare all‘infinito. L‘immortalità dell‘anima. Il mito d Er La reminiscenza implica l‘immortalità dell‘anima, che infatti diviene oggetto di uno dei dialoghi più ricchi di ―pathos‖ umano e religioso: il Fedone. A parte l‘argomento appena esaminato della reminiscenza, in quest‘opera Platone elenca altre prove dell‘immortalità dell‘anima. Una prima, detta dei contrari, afferma che come in natura ogni cosa si genera dal suo contrario (il freddo dal caldo, il sonno dalla veglia ecc.), così la morte si genera dalla vita e la vita si genera dalla morte, nel senso che l‘anima rivive dopo la morte del corpo. Una seconda, della somiglianza, sostiene che l‘anima, essendo simile alle idee, che sono eterne, sarà anch‘essa tale. Una 51 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ terza, della vitalità, argomenta che l‘anima, in quanto soffio vitale, è vita e partecipa dell‘idea di vita, onde non può accogliere in sé l‘opposta idea, l‘idea della morte. Sempre nel Fedone troviamo la nota dottrina platonica della filosofia come preparazione alla morte. Infatti, se filosofare significa morire nei sensi, per poter cogliere meglio le idee, la vita del filosofo risulta tutta una preparazione alla morte, cioè al momento in cui l‘anima, finalmente libera dai ceppi del corpo, potrà unirsi direttamente alle idee, beandosi della loro totale contemplazione. La teoria dell‘immortalità dell‘anima, oltre che per spiegare perché l‘uomo possegga in se stesso la conoscenza delle idee, serve anche, a Platone, per chiarire il problema del destino. Platone ritiene infatti che la nostra sorte attuale dipenda da una scelta precedentemente compiuta nel mondo delle idee. Questa tesi viene illustrata con il mito di Er, con cui si chiude la Repubblica: Er, morto in battaglia e risuscitato dopo dodici giorni, ha potuto raccontare agli uomini la sorte che li attende dopo la morte. La parte centrale del suo racconto è quella che riguarda la scelta del destino alla quale le anime sono invitate nel momento della loro reincarnazione. La parca Làchesi, che bandisce la scelta, ne afferma la libertà: ―La virtù è libera a tutti: ognuno ne parteciperà più o meno a seconda che la stima o la spregia. Ognuno è responsabile del proprio destino, la divinità non ne è responsabile‖. Ogni anima sceglie quindi il modello di vita che incarnerà prossimamente: tutto sta a compiere una scelta giudiziosa e a non lasciarsi abbagliare dall‘apparenza brillante di certe vite che celano il peccato e l‘infelicità. Ma la scelta è guidata il più delle volte dalle 52 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ esperienze che l‘anima ha raccolto nella sua vita anteriore. Ulisse, che i lunghi travagli hanno spogliato di ogni ambizione, sceglie la vita più modesta ed oscura, che era stata trascurata da tutte le altre anime. Quindi nel momento decisivo l‘uomo sceglie il suo destino sulla base di quello che ha voluto essere ed è stato in vita. Superamento del relativismo Se la teoria delle idee costituisce il cuore della filosofia platonica, l‘opposizione al relativismo sofistico costituisce il cuore della dottrina delle idee. Per Platone il relativismo sofistico tende ad identificarsi con una filosofia negatrice di ogni stabile punto di vista sulle cose e di ogni certezza teorica e pratica. La dottrina delle idee diviene lo strumento che restaura una forma di assolutismo, perché permette a Platone di sostenere l‘esistenza di forme ideali che, esistendo per proprio conto e indipendentemente dall‘arbitrio degli individui, hanno una validità oggettiva ed universale. In tal modo, l‘umanismo sofistico e socratico, che poneva nell‘uomo e non fuori dell‘uomo la fonte dei giudizi e il criterio del conoscere e dell‘agire, risulta messo da parte e sostituito da una concezione per cui è di nuovo qualcosa di extraumano, le ―idee‖, a regolare l‘uomo. Infatti, nel platonismo non è più l‘uomo a misurare la verità, come voleva Protagora, ma è la verità (= le idee) a misurare l‘uomo e a fornirgli le regole del pensare e del vivere. Per cui la conoscenza torna ad avere un valore assoluto e cessa di essere relativa all‘uomo e al soggetto giudicante. Esempio tipico di ciò è, per Platone, la matematica, che parla un linguaggio che vale per tutti e in tutte le circostanze. Ma il superamento platonico del 53 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ relativismo conoscitivo e morale rivela il suo significato più importante nella politica. Con la dottrina delle idee Platone volle offrire agli uomini uno strumento che consentisse loro di uscire dal caos delle opinioni e che li traesse fuori dalle lotte e dalle violenze in cui la molteplicità dei punti di vista li aveva fatti inevitabilmente cadere. L‘assolutismo della teoria delle idee rappresenta, dunque, in Platone, il principale strumento contro il relativismo politico e l‘anarchia sociale. Secondo periodo: la dottrina dell‘amore e dell‘anima Il sapere stabilisce tra l‘uomo e le idee un rapporto che non è puramente intellettuale, perché impegna la totalità dell‘uomo quindi anche la volontà. Questo rapporto è definito da Platone come amore (eros). Il Convito considera prevalentemente l‘oggetto dell‘amore, cioè la bellezza, e mira a determinare di essa i gradi gerarchici. Il Fedro considera invece prevalentemente l‘amore nella sua oggettività, come aspirazione verso la bellezza ed elevazione progressiva dell‘anima al mondo delle idee, al quale la bellezza appartiene. I discorsi che gli interlocutori del Convito pronunciano un dopo l‘altro in lode di eros esprimono i caratteri accessori dell‘amore, caratteri che la dottrina proposta da Socrate unifica e giustifica. Pausania distingue dall‘eros volgare, che si rivolge ai corpi, l‘eros celeste, che si rivolge alle anime. Il medico Erissimaco vede nell‘amore una forza cosmica che determina le proporzioni e l‘armonia di tutti i fenomeni così nell‘uomo come nella natura. L‘amore è dunque desiderio di bellezza; e la bellezza si desidera perché è il bene che rende felice. L‘uomo che è mortale tende a generare nella 54 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ bellezza e quindi a perpetuarsi attraverso la generazione. La bellezza è il fine, l‘oggetto dell‘amore. Ma la bellezza ha gradi diversi ai quali l‘uomo può sollevarsi solo successivamente attraverso un lento cammino. In primo luogo, è la bellezza di un bel corpo quella che attrae ed avvince l‘uomo. Poi egli si accorge che la bellezza è uguale in tutti i corpi e così passa a desiderare e ad amare tutta la bellezza corporea. Ma al di sopra di essa c‘è la bellezza dell‘anima; al di sopra ancora, la bellezza delle istituzioni e delle leggi e poi la bellezza delle scienze. Infine, al di sopra di tutto, la bellezza in sé, che è eterna, superiore alla morte, perfetta, sempre uguale a se stessa, fonte di ogni altra bellezza e oggetto della filosofia. Lo Stato ideale Tutti i temi speculativi e i risultati fondamentali dei dialoghi precedenti si trovano riassunti nella massima opera di Platone, la Repubblica, che li ordina e li connette intorno al motivo centrale di una comunità ideale, nella quale il singolo, trovi la sua perfetta formazione. Il progetto di una tale comunità è fondato sul principio che costituisce la direttiva di tutta la filosofia platonica. Se i filosofi non governano le città o se i re o governanti non coltiveranno davvero la filosofia, è impossibile che cessino i mali delle città. La Repubblica è esplicitamente diretta alla determinazione della natura della giustizia. Nessuna comunità umana può sussistere senza la giustizia. All‘istanza sofistica che vorrebbe ridurla al diritto del più forte, Platone oppone che. neppure una banda di briganti o di ladri potrebbe venire a capo di nulla, se i suoi componenti violassero le norme della giustizia l‘uno a 55 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ danno degli altri. La giustizia è condizione fondamentale della nascita e della vita dello Stato. Lo Stato deve essere costituito da tre classi: quella dei governanti, quella dei guerrieri e quella dei cittadini, che esercitano un‘altra qualsiasi attività (agricoltori, artigiani, commercianti ecc.). La saggezza appartiene alla prima di queste classi. Il coraggio appartiene alla classe dei guerrieri. La temperanza, come accordo tra governanti e governati su chi deve comandare lo Stato, è virtù comune a tutte le classi. Ma la giustizia comprende tutte tre queste virtù: essa si realizza quando ciascun cittadino attende al suo compito proprio ed ha ciò che gli spetta. Ma essa garantisce altresì l‘unità e l‘efficienza dell‘individuo. Nell‘anima individuale Platone distingue, come nello Stato, tre parti: la parte razionale, che è quella per cui l‘anima ragiona e domina gli impulsi; la parte concupiscibile, che è il principio di tutti gli impulsi corporei; e la parte irascibile, che è l‘ausiliario del principio razionale e si sdegna e lotta per ciò che la ragione ritiene giusto. Anche nell‘uomo singolo la giustizia si avrà quando ogni parte dell‘anima farà soltanto la propria funzione. Lo Stato è giusto quando ogni individuo attende solo al compito che gli è proprio; ma l‘individuo che attende solo al compito proprio è esso stesso giusto. La giustizia non è solo l‘unità dello Stato in se stesso e dell‘individuo in se stesso; è, nello stesso tempo, l‘unità dello Stato e quindi l‘accordo dell‘individuo con la comunità. La divisione in classi sociali 56 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Lo Stato deve per forza essere diviso in classi poiché in uno Stato vi sono compiti diversi che devono essere esercitati da individui diversi. Ci sono gli individui prevalentemente razionali (portati quindi alla sapienza e al governo), gli individui prevalentemente impulsivi (portati ad essere guerrieri) e gli individui prevalentemente soggetti al corpo ed ai suoi desideri (portati al lavoro manuale). Per Platone la divisione degli individui in classi-funzioni non dipende quindi da un fatto ereditario, cioè dall‘essere nati in una certa classe, ma da un fatto antropologico e psicologico, ossia da come si è come uomini. Tutto ciò trova un‘esemplificazione nel celebre mito delle stirpi, ossia in quell‘antica leggenda fenicia secondo cui. alcuni nascono con una natura ―aurea‖, altri con una natura ―argentea‘, altri con una natura ―ferrea o bronzea‖. Il comunismo platonico Affinché lo Stato funzioni bene e la giustizia sia realizzata, Platone suggerisce l‘eliminazione della proprietà privata e la comunanza dei beni per le classi superiori. I custodi dovranno avere case piccole e cibo semplice, vivendo come in un accampamento e mangiando insieme; non avranno alcun compenso, se non i mezzi per vivere, L‘oro e l‘argento saranno proibiti, in quanto lo scopo della città è il bene di tutti: ―Il nostro scopo nel fondare lo Stato, scrive Platone, non è di rendere felice un unico tipo di cittadini, ma che sia felice quanto più è possibile lo Stato nella sua totalità... Non dobbiamo distinguere nello Stato una parte di pochi cittadini da rendere felici, ma vogliamo la felicità di tutti‖. Sia la ricchezza sia la povertà sono nocive, per 57 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ cui nella città ideale non dovrà esistere nessuna delle due. Questo non implica tuttavia un‘organizzazione comunistica dell‘intera società, in quanto la terza classe non viene esclusa dalla proprietà privata dei mezzi di produzione, Analogamente, la classe al potere non avrà famiglia. Estendendo il comunismo economico a quello sessuale, Platone ritiene che i governanti debbano avere in comune anche le donne. Le degenerazioni Platone sa che uno Stato del genere non esiste in alcun luogo sulla terra, ma che si tratta solo di un modello ideale. Tre sono le degenerazioni dello Stato e tre le corrispondenti degenerazioni del singolo. La prima la timocrazia, governo fondato sull‘onore, che nasce quando i governanti si appropriano di terre e di case; ad esso corrisponde l‘uomo timocratico, ambizioso e amante del comando e degli onori, ma diffidente verso i sapienti. La seconda forma è l‘oligarchia, governo fondato sul censo, in cui comandano i ricchi; ad esso corrisponde l‘uomo avido di ricchezze, parsimonioso e laborioso. La terza forma è la democrazia, nella quale i cittadini sono liberi e ad ognuno è lecito di fare quello che vuole; ad essa corrisponde l‘uomo democratico che non è parsimonioso come l‘oligarchico, ma tende ad abbandonarsi a desideri smodati. Infine la più bassa di tutte le forme di governo è la tirannide, che spesso nasce dall‘eccessiva libertà della democrazia. È la forma più spregevole perché il tiranno, per guardarsi dall‘odio dei cittadini, deve circondarsi degli individui peggiori. L‘uomo tirannico è schiavo delle sue 58 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ passioni alle quali si abbandona disordinatamente ed è il più infelice degli uomini. I gradi della conoscenza e l‘educazione Filosofo è colui che ama la conoscenza nella sua totalità Ma che cos‘è la conoscenza? Platone, esplicitando il proprio concetto del sapere come fotografia dell‘oggetto afferma che ciò che assolutamente è, è assolutamente conoscibile, ciò che in nessun modo è, in nessun modo è conoscibile. Perciò all‘essere, e quindi alle idee, corrisponde la scienza, che è la conoscenza vera; al nonessere, l‘ignoranza; e al divenire, che sta in mezzo tra l‘essere ed il non essere, corrisponde l‘opinione, che è a metà strada tra a conoscenza e l‘ignoranza. In particolare, Platone paragona la conoscenza ad una linea che viene divisa in due segmenti (conoscenza sensibile e conoscenza razionale), i quali vengono a loro volta divisi in altri due segmenti (immaginazione e credenza da un lato, ragione scientifica ed intelligenza filosofica dall‘altro). Abbiamo così quattro gradi del sapere cui corrispondono quattro gradi della realtà. La conoscenza sensibile (dòxa, opinione) rispecchia il nostro mondo mutevole e si divide in ―immaginazione‖ che ha per oggetto le ombre o le immagini degli oggetti e ―credenza‖, che ha come oggetto le cose sensibili nei loro rapporti scambievoli (ovvero la percezione chiara degli oggetti). La conoscenza razionale o scientifica (epistéme, che rispecchia il mondo immutabile delle idee), comprende la ragione ―matematica‖ che ha per oggetto le idee matematiche e l‘intelligenza ―filosofica‖, che ha per oggetto le idee. Nonostante esalti la matematica al punto da far scrivere 59 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ sulla porta dell‘Accademia ―non entri chi non è matematico‖, Platone pensa che le discipline scientificomatematiche rimangano legate al mondo sensibile, in quanto le loro nozioni primitive sono attinte od intravviste proprio attraverso le cose sensibili (punto, linea, …). Platone enumera nella Repubblica cinque discipline matematiche fondamentali: l‘aritmetica cioè l‘arte del calcolo; la geometria come scienza degli enti immutabili; l‘astronomia come scienza del movimento più ordinato e perfetto, quello dei cieli; la musica come scienza dell‘armonia. Queste discipline matematiche costituiscono la propedeutica della filosofia: esse preparano il filosofo alla scienza suprema, che è la dialettica, la scienza delle idee. Platone descrive in modo molto minuzioso l‘educazione dei giovani. Dapprima i futuri filosofireggitori studieranno musica e ginnastica, poi le discipline propedeutiche. Tra i trenta e trentacinque anni i migliori si cimenteranno con la filosofia o dialettica. Fra i trentacinque ed i cinquanta coloro che saranno stati in grado di seguire bene il corso di filosofia dovranno fare il tirocinio pratico nelle cariche militari e civili. Solo a cinquant‘anni, superato con esito favorevole tutte queste prove, gli ottimi potranno diventare governanti. Il racconto della caverna La teoria della conoscenza e dell‘educazione trova un‘esemplificazione allegorica nel racconto della caverna, che rappresenta uno dei miti più noti di Platone. Immaginiamo vi siano schiavi incatenati in una caverna sotterranea e costretti a guardare solo davanti a sé. Sul fondo della caverna si riflettono immagini di statuette, che 60 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ sporgono al di sopra di un muricciolo alle spalle dei prigionieri e raffigurano tutti i generi di cose. Dietro il muro si muovono, senza essere visti, i portatori delle statuette, e più in là brilla un fuoco che rende possibile il proiettarsi delle immagini sul fondo. I prigionieri scambiano quelle ombre per la sola realtà esistente. Ma se uno di essi riuscisse a liberarsi dalle catene, voltandosi si accorgerebbe delle statuette e capirebbe che esse, e non le ombre, sono la realtà. Se egli riuscisse in seguito a risalire all‘apertura della caverna scoprirebbe, con ulteriore stupore, che la vera realtà non sono nemmeno le statuette, poiché queste ultime sono a loro volta imitazione di cose reali, nutrite e rese visibili dall‘astro solare. Dapprima, abbagliato da tanta luce, non riuscirà a distinguere bene gli oggetti e cercherà di guardarli riflessi nelle acque. Solo in un secondo tempo li scruterà direttamente. Ma, ancora incapace di volgere gli occhi verso il sole, guarderà le costellazioni e il firmamento durante la notte. Dopo un po‘ sarà finalmente in grado di fissare il sole di giorno e di ammirare lo spettacolo scintillante delle cose reali. Se lo schiavo, per far partecipi i suoi antichi compagni di schiavitù di ciò che ha visto, tornasse nella caverna, i suoi occhi sarebbero offuscati dall‘oscurità e non saprebbero più discernere le ombre: perciò sarebbe deriso dai compagni. E alla fine, infastiditi dal suo tentativo di scioglierli e di portarli fuori della caverna, lo ucciderebbero. La simbologia filosofica di questo mito è ricchissima. La caverna oscura = il nostro mondo; gli schiavi incatenati = gli uomini; le ombre delle statue = l‘immagine superficiale delle cose; le statuette = le cose del mondo sensibile; il fuoco = il principio fisico con cui i 61 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ primi filosofi spiegarono le cose; la liberazione dello schiavo = l‘azione della conoscenza e della filosofia; il mondo fuori della caverna = le idee; lo schiavo che ritorna nella caverna = il dovere del filosofo di far partecipi gli altri delle proprie conoscenze; lo schiavo deriso = la sorte dell‘uomo di pensiero di venir scambiato per pazzo da coloro che sono attaccati ai pregiudizi; l‘uccisione del filosofo = la sorte toccata a Socrate. In questo mito si trova gran parte di Platone. In esso c‘è innanzitutto il dualismo gnoseologico od ontologico sotteso alla teoria delle idee; c‘è poi il senso religioso che spinge Platone a riguardare il nostro mondo come ad un regno delle tenebre contrapposto al regno della luce rappresentato dalle idee. Ma soprattutto c‘è il concetto della finalità politica della filosofia, ossia l‘idea di un‘utilizzazione di tutte le conoscenze che il filosofo ha potuto acquistare per la fondazione di una comunità giusta e felice. Secondo Platone, infatti, fa parte dell‘educazione del filosofo il ritorno alla caverna, che consiste nella riconsiderazione e nella rivalutazione del mondo umano alla luce di ciò caverna come che si è visto al di fuori di questo mondo. Soltanto col ritorno nella caverna, soltanto cimentandosi nel mondo umano, l‘uomo avrà compiuto la sua educazione e sarà veramente filosofo. Nella Repubblica si trova anche la celebre digressione platonica sull‘arte, che si conclude con la sua messa al bando dall‘educazione dei filosofi. Platone condanna l‘arte, e la esclude dal curriculum dei futuri reggitori dello Stato, perché ritiene che l‘arte sia sostanzialmente imitazione di una imitazione, tre gradi lontana dal vero, in 62 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ quanto essa si limita a riprodurre l‘immagine di cose e di eventi naturali, che sono a loro volta riproduzione delle idee. L‘ultimo Platone Nei grandi dialoghi della vecchiaia, che nel loro insieme costituiscono la terza fase del pensiero platonico, abbiamo un ulteriore approfondimento delle teorie del filosofo, che rivedendo le proprie dottrine perviene ad esiti in parte nuovi I problemi cruciali che si impongono al vecchio Platone nascono in parte dall‘esigenza di mitigare il rigido dualismo fra il mondo immutabile delle idee ed il mondo mutevole delle cose. A questo scopo Platone elabora la cosiddetta teoria dei ―generi sommi‖, cioè degli attributi fondamentali delle idee, che per il filosofo sono cinque: l‘essere, l‘identico, il diverso, la quiete e il movimento. Innanzitutto ogni idea è o esiste, e quindi rientra nel genere dell‘essere. In secondo luogo, ogni idea è identica a se stessa e quindi rientra nel genere dell‘ identico. Essere ed essere identico sono dunque due generi differenti e non coincidenti fra loro. Infatti tutte le idee, pur esistendo, non per questo sono identiche, altrimenti si avrebbe la fusione di tutte quante le idee in un‘unica idea. Se ogni idea è identica a sé, ma distinta dalle altre, significa che essa è diversa da loro, per cui ogni dea rientra anche nel genere del diverso. Qui siamo al vero e proprio parmenicidio platonico. L‘errore di fondo di Parmenide, secondo Platone, è stato quello di confondere i1 diverso con il nulla. Infatti, quando discorriamo della molteplicità delle cose col termine ―non‖, sostenendo ad esempio che A non 63 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ è B, non intendiamo il niente assoluto, ma soltanto che è diverso dall‘essere, ossia un niente relativo. Il mito del Demiurgo Nel Timeo viene approfondito il problema cosmologico dell‘origine e della formazione dell‘Universo. Platone introduce la figura del Demiurgo, un Dio che è causa del mondo sensibile e proprio per questo è a conoscenza della struttura stessa del mondo delle idee. Il Demiurgo è l'intelligenza che progetta il mondo. Ma per plasmare il mondo, al Demiurgo occorre una materia che si lasci plasmare. In questo, Platone vede la necessità di separare l'intelligenza creatrice dalla creazione della stessa materia. Il Demiurgo non può far altro che intervenire sulla materia madre, ovvero una materia informe, eterna, non corruttibile e plasmabile, da sempre presente nell'universo. La materia madre è il principio femminile del cosmo, ciò che si lascia fecondare dall'azione creatrice del Demiurgo, Platone la chiama anche ―chora‖ (=spazio) o Madre del Mondo. 64 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ CAPITOLO 5 Aristotele Il problema degli scritti Le opere che ci sono pervenute comprendono solo gli scritti che Aristotele compose per le necessità del suo insegnamento. Oltre a questi scritti che sono stati chiamati esoterici, segreti, ma che in realtà sono soltanto gli appunti per l‘insegnamento, Aristotele compose altri scritti in forma dialogica, che egli stesso chiamò essoterici, cioè destinati al pubblico, e si serviva di miti e di altri ornamenti vivaci e appariva altrettanto eloquente quanto è scarno e severo negli scritti scolastici. Gli scritti esoterici cominciarono a essere conosciuti soltanto quando furono pubblicati da Andronico di Rodi. Scritti essoterici (per il pubblico) Nei suoi dialoghi Aristotele non solo riprese la forma letteraria del maestro ma anche gli argomenti e qualche volta i titoli delle opere di lui. Il dialogo Sulla filosofia segna il primo distacco di Aristotele dal platonismo. C‘è una prima critica delle idee platoniche: Le opere acroamatiche (per l‘insegnamento) 1. Opere di Logica: denominati Organon (―strumento‖), poiché forniscono i mezzi mediante i quali è possibile ottenere una conoscenza certa: Categorie, Interpretazione, Analitici primi (sul sillogismo), Analitici secondi (sulla dimostrazione), Topici (sulla dialettica) e Confutazioni sofistiche (lo studio dei metodi contraffatti del confutare). 65 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ 2. Opere di fisica Fisica: (fenomeni della natura e la loro interpretazione), Il cielo (astronomia e cosmologia), Nascita e morte, Meteorologia, Storia degli animali, Generazione degli animali (genetica), Parti degli animali (anatomia e fisiologia), Locomozione degli animali, L'anima, Il senso, La memoria. 3. Metafisica: Riguardano l'essere, la trattazione del motore immobile, o causa prima (nell'edizione di Andronico furono raccolti sotto il titolo di Metafisica, poiché erano collocati dopo, in greco méta, la Fisica) 4. Opere morali, politiche, di poetica e di retorica: Etica nicomachea, Grande etica, Politica, Poetica, Retorica Distacco da Platone Platone crede nella finalità politica della conoscenza. Aristotele fissa lo scopo della filosofia nella conoscenza disinteressata. Diversa è anche la concezione della struttura del sapere e della realtà. Platone guarda il mondo secondo un‘ottica verticale e gerarchica, che distingue tra realtà vere e realtà apparenti (e fra conoscenze superiori e conoscenze inferiori). Soprattutto negli ultimi scritti Aristotele tende a guardare il mondo secondo un‘ottica orizzontale, che considera tutte le realtà e tutte le scienze su di un piano di pari dignità. L‘enciclopedia delle scienze Aristotele ritiene che la filosofia, intesa come metafisica, si differenzi dalle altre scienze perché essa, anziché prendere in considerazione i vari aspetti dell‘essere, si 66 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ interroga sull‘essere o sulla realtà in generale. La filosofia diviene la scienza prima, ossia studia l‘oggetto comune a tutte le scienze (l‘essere). Aristotele classifica le scienze in rapporto all'ente di cui si occupano. 1. Le scienze poietiche (arti e tecniche), che riguardano un particolare aspetto dell'ente (la medicina studia l'ente in quanto ―corpo‖, l'astronomia l'ente in quanto ―oggetto celeste‖, la biologia l'ente in quanto ―organismo vivente); 2. Le scienze pratiche, l'etica e politica che riguardano l'ambito umano e la vita sociale; 3. Le scienze teoretiche, che riguardano il necessario, non si occupano di analizzare gli aspetti particolari degli enti ma ne individuano le cause necessarie. Esse sono la fisica, la matematica e metafisica. La metafisica Il termine ―metafisica‖ non è aristotelico. Con esso la tradizione ha indicato quella parte della filosofia che indaga le cause ultime del reale, che vanno al di là delle apparenze immediate dei sensi o del campo di studio della fisica. Aristotele usava il termine ‗filosofia prima‘. Il termine risale ad Andronico di Rodi, che nel I secolo dell‘era cristiana, ordinando i testi aristotelici, mise ―dopo i libri di fisica‖, le opere di filosofia prima. Nella sua opera Aristotele dà quattro definizioni di metafisica: a) la metafisica studia le cause e i principi primi; b) la metafisica studia l‘essere in quanto essere; c) la metafisica studia la sostanza; d) la metafisica ―studia Dio e la sostanza immobile‖. Di questi quattro significati, quello su cui ha insistito maggiormente Aristotele è il secondo. 67 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Sostenere che la metafisica studia l‘essere in quanto essere equivale a dire che essa non ha per oggetto una realtà particolare, bensì la realtà in generale, cioè l‘aspetto fondamentale e comune a tutta la realtà. I significati dell‘essere e la sostanza La metafisica è dunque ―lo studio dell‘essere‖. Ma l‘essere, osserva subito Aristotele, ha una molteplicità di aspetti e di significati. Fra tutti i possibili ed innumerevoli modi di darsi dell‘essere, Aristotele, ha cercato di mettere in luce quelli basilari o supremi, raccogliendoli in una apposita tavola: a) l‘essere come accidente; b) l‘essere come categorie (o essere per sé); c) l‘essere come vero; ci) l‘essere come atto e potenza. Per categorie Aristotele intende le caratteristiche fondamentali dell‘essere. Esse sono: la sostanza, la qualità, la quantità, la relazione, l‘agire, il patire, il dove (il luogo), il quando (il tempo). A queste otto Aristotele ne aggiunge altre due, che sono l‘avere e il giacere, ossia lo stato e l‘essere in una certa situazione. Se dal punto di vista ontologico le categorie sono i generi supremi dell‘essere, dal punto di vista logico sono i vari modi con cui l‘essere si predica: quando diciamo, ad esempio, che questo individuo è un uomo (sostanza), che è bello o brutto (qualità), alto o basso, che sta facendo o subendo qualcosa (agire e patire) ecc. Di tutte le categorie la più importante è la sostanza, poiché tutte le altre, la presuppongono. Infatti la qualità è sempre qualità di qualche cosa, la quantità sempre la quantità di qualche cosa ecc. 68 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Il principio di non-contraddizione e la sostanza Le varie scienze procedono per astrazione, cioè eliminando le cose da tutti i caratteri che sono diversi da quelli che esse prendono in considerazione. Il matematico riduce le cose alla quantità, cioè al numero. Il fisico astrae da tutte le qualità che non si riducono al movimento, poiché egli intende considerare solo l‘essere in movimento. Allo stesso modo deve procedere la filosofia, la quale deve ridurre tutti i molteplici significati della parola essere ad un significato unico e fondamentale, giacché deve considerare l‘essere, non come quantità né come movimento, o in altro aspetto qualsiasi, ma proprio e solo in quanto essere. Per far questo, essa ha bisogno di un principio o assioma fondamentale, che è il principio di non-contraddizione. Aristotele esprime questo principio in due modi: 1) È impossibile che la stessa cosa insieme inerisca. e non inerisca alla medesima cosa e secondo il medesimo rispetto; 2) È impossibile che la stessa cosa sia e insieme non sia. La prima formula esprime l‘impossibilità logica di affermare e negare nello stesso tempo uno stesso predicato intorno ad uno stesso soggetto. La seconda formula esprime l‘impossibilità ontologica che un determinato essere sia, e insieme non sia, quello che è. Ogni essere ha una natura determinata che è impossibile negare di esso è che è necessaria, non potendo essere diversa da così com‘è. Aristotele chiama appunto sostanza la natura necessaria di un essere qualsiasi. In questo senso, la sostanza è l‘equivalente ontologico del principio logico di non-contraddizione. Qualunque via si imbocchi, alla 69 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ fine si è dunque costretti a riconoscere che la sostanza è l‘essere dell‘essere. La sostanza Per sostanza Aristotele intende l‘individuo concreto che funge da soggetto reale di proprietà e da soggetto logico di predicati. Sostanza è ad esempio questo uomo, cui io riferisco delle proprietà o qualità (bruno, biondo, alto ecc.) e che assumo come soggetto grammaticale e logico dei predicati che lo caratterizzano. Ognuna di queste sostanze forma un sinolo, un‘unione di due elementi: la forma e la materia. Per forma Aristotele non intende l‘aspetto esterno di una cosa, ma la sua natura propria, ossia la struttura che la rende quella che è. Ad esempio, negli esseri viventi la forma è la specie cui essi appartengono (l‘umanità). Per materia Aristotele intende il materiale recettivo che la compone (ad es. il bronzo di cui è fatta la sfera), La forma è l‘elemento attivo del sinolo, che struttura la materia, mentre la materia è l‘elemento passivo e determinato, che viene strutturato dalla forma. Dalla sostanza si deve dunque distinguere l‘accidente (un altro dei significati basilari dell‘essere), che in senso forte e caratteristicamente aristotelico designa le qualità che una cosa può avere o non avere, senza per questo cessare di essere quella determinata sostanza (ad es Socrate non può cessare di essere uomo, mentre può essere, a seconda dei vari momenti della vita, pallido colorito, allegro o malinconico). Le quattro cause 70 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ La teoria della sostanza è strettamente connessa alla dottrina delle quattro cause. Aristotele enumera infatti quattro tipi di cause: causa materiale, formale, efficiente e finale. La causa materiale è la materia, ossia ciò di cui una cosa è fatta e che rimane nella cosa: per esempio il bronzo a causa della statua. La causa formale è la forma o il modello di una cosa: per esempio la natura razionale è la causa formale dell‘uomo. La causa efficiente è ciò che dà inizio al mutamento o alla quiete, per esempio il padre è la causa del figlio. La causa finale è lo scopo cui una cosa tende: per esempio il divenire adulto è il fine del bambino. La critica alle idee platoniche Le idee platoniche sono nient‘altro che la natura o l‘essenza necessaria di una cosa, cioè la loro forma. Tuttavia essendo le idee fuori delle cose o separate da esse, non si capisce bene in che senso possano essere causa delle cose stesse. Tant‘è vero che i concetti platonici di partecipazione o imitazione sono soltanto metafore poetiche che non risolvono il problema. Il principio delle cose non può che risiedere nelle cose stesse, ossia nella loro forma interiore. Aristotele pone dunque le forme intese come strutture immanenti degli individui ad esempio l‘umanità non è un‘idea esistente nell‘iperuranio, ma semplicemente la specie biologica immanente negli individui che denominiamo uomini. A questa critica la più importante e decisiva, quella che segna il definitivo distacco del discepolo dal maestro, Aristotele fa seguire altre obiezioni minori. 71 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Il divenire La dottrina delle quattro cause è connessa al problema del divenire, che ai tempi di Aristotele continuava ad essere una delle questioni più controverse tra i filosofi. Che il divenire esista è un fatto. Parmenide aveva dichiarato che il divenire è qualcosa di logicamente impensabile, poiché implicherebbe un passaggio dall‘essere al non essere, comportando quindi l‘esistenza del nulla. Aristotele ritiene invece che il divenire non implichi un passaggio dal nonessere all‘essere, e viceversa, ma semplicemente un passaggio da un certo tipo di essere ad un altro certo tipo di essere. Aristotele elabora i concetti di potenza e atto. Per potenza si intende la possibilità, da parte della materia, di assumere una determinata forma. Per atto si intende la realizzazione di tale capacità. Ad esempio, il pulcino è la gallina in potenza. La potenza sta dunque alla materia come l‘atto sta alla forma. Infatti la materia, per definizione, è la possibilità di assumere forme diverse, mentre la forma, per definizione è la realtà in atto di tali possibilità. Il punto di partenza del divenire è quindi la materia prima come privazione, o pura potenza, di una certa forma, mentre il punto di arrivo è la realizzazione (atto) di tale forma. Forma e materia, atto e potenza danno ragione del divenire. Accanto a queste, il movimento presuppone le altre due cause: la causa efficiente, che dà inizio al divenire, e la causa finale, che è il fine del divenire. Ora, se tutti i movimenti che avvengono in natura vanno da una materia ad una forma. Spesso ciò che è forma, cioè punto di arrivo di un movimento, diventa materia, ossia punto di partenza di un movimento 72 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ ulteriore. Perciò una stessa cosa può essere considerata materia (potenza) o forma (atto) dal punto di vista del movimento che ad essa mette capo (ad esempio, il pulcino è potenza rispetto alla gallina ma atto rispetto all‘uovo). La concezione aristotelica di Dio Dei quattro significati sopraccitati di metafisica rimangono da chiarire gli altri due, quello per cui la metafisica è la scienza delle cause ultime e quello per cui essa è la scienza di Dio. La metafisica come teologia indaga l‘essere più alto: Dio. Nella Metafisica Aristotele fornisce una prova dell‘esistenza di Dio che diverrà celebre. Essa è tratta dalla teoria generale del movimento in generale, e quindi comprendente ogni tipo dì movimento, da quello dei corpi nello spazio a quello della generazione e della corruzione. Tutto ciò che è in moto è necessario sia mosso da altro. Quest‘altro poi, se è a sua volta in moto, è necessario sia mosso da altro ancora. In questo processo di rimandi, non è possibile risalire all‘infinito, poiché altrimenti resterebbe inspiegato il movimento iniziale dalla cui constatazione si è partiti. Per cui, essendo necessario fermarsi e non andare all‘infinito, ci deve per forza essere un principio assolutamente ―primo‖ e immobile‖, causa iniziale di ogni movimento possibile. Aristotele identifica il ―motore immobile‖ richiesto dal movimento con Dio, riferendogli una serie di attributi strettamente connessi tra di loro. Innanzitutto Dio è atto puro. ossia atto senza potenza, poiché dire potenza è dire possibilità di movimento, Dio, essendo immobile, non può essere soggetto al divenire. Come tale, esso non può contenere in 73 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ sé alcuna materia, dato che la materia sta alla potenza come la forma sta all‘atto. Quindi Dio sarà pura forma o sostanza incorporea. Inoltre, poiché Aristotele ritiene che l‘universo e il movimento siano eterni, egli considera Dio, causa di tali movimenti, come realtà eterna. Secondo Aristotele esso non muove come causa efficiente, cioè comunicando un impulso, ma come causa finale, cioè come oggetto d‘amore, allo stesso modo in cui l‘oggetto amato, pur rimanendo immobile, muove l‘amante verso di sé. In altri termini, Dio è una Perfezione che, pur rimanendo impassibile, esercita, come tale, una forza calamitante. Dio che è Atto puro. A questa perfezione massima deve appartenere il genere di vita più alto, quella dell‘intelligenza. Ma che cosa pensa Dio? Non può che pensare la perfezione stessa, ossia se medesimo. Dio sarà dunque pensiero di pensiero. La logica o analitica Nella classificazione aristotelica delle scienze non trova posto la logica, poiché essa ha per oggetto il metodo comune dì tutte le scienze, cioè il procedimento dimostrativo, di cui esse si avvalgono. Il termine Organon (strumento) non è aristotelico, ma fu adoperato per la prima volta da Alessandro di Afrodisia per designare la logica e, in seguito per designare l‘insieme degli scritti aristotelici relativi a tale argomento. L‘Organon aristotelico tratta di oggetti che vanno dal semplice al complesso e si articola sostanzialmente in una logica del concetto, in una logica della proposizione e in una logica del ragionamento (trattata soprattutto negli Analitici primi 74 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ e negli Analitici secondi). Nei Topici Aristotele si sofferma invece sul sillogismo dialettico e nelle Confutazioni sofistiche sulle argomentazioni sofistiche. I concetti Secondo Aristotele i concetti, possono venir disposti entro una scala di maggiore o minore universalità e classificati mediante un rapporto di genere e specie. Ogni concetto di un determinato settore è infatti specie (il contenuto) di un concetto più universale e genere (il contenente) di un concetto meno universale. Ad esempio, il concetto geometrico di quadrilatero è specie rispetto a quello di poligono e genere rispetto a quello di quadrato. La scala complessiva dei concetti, percorsa dall‘alto in basso offre quindi un progressivo aumento di comprensione ed una progressiva diminuzione di estensione, sino a giungere al concetto di una specie che non ha sotto dì sé altre specie (specie infima) e che presenta quindi la massima comprensibilità e la minima estensione. Tale è l‘individuo o sostanza prima, che Aristotele distingue dalle sostanze seconde. Percorsa dal basso in alto la piramide dei concetti offre invece un graduale aumento di estensione ed una graduale diminuzione di comprensione, sino ad arrivare a dei generi sommi che hanno il massimo di estensione. Tali sono le dieci categorie. Le proposizioni Le frasi che costituiscono asserzioni sono le proposizioni, che costituiscono l‘espressione verbale dei giudizi, cioè 75 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ degli atti mentali con cui uniamo o disuniamo determinati concetti nella forma soggetto-predicato. Aristotele distingue le proposizioni in vari tipi. Innanzitutto per quanto concerne la qualità le proposizioni si distinguono in affermative o negative, a seconda che attribuiscano qualcosa a qualcosa o separino qualcosa da qualcosa. Per quanto concerne la quantità le proposizioni possono essere universali (quando il soggetto è universale: ad es. ―tutti gli uomini‖) o particolari (quando il soggetto si riferisce ad una classe particolare: ad es. ―alcuni uomini‖). A queste due proposizioni, che sono quelle su cui si basa specificamente la sillogistica aristotelica, si possono aggiungere le proposizioni singolari (quando il soggetto è un ente singolo). Il sillogismo Aristotele, negli Analitici primi, spiega le forme del ragionamento. Quando formuliamo proposizioni, noi non ragioniamo ancora. Noi ragioniamo, invece quando passiamo da giudizi, da proposizioni a proposizioni che abbiano determinati nessi, e che siano, in certo qual modo, le une cause di altre, le une antecedenti, le altre conseguenti. Il sillogismo è precisamente un ragionamento, ovvero un discorso in cui poste certe premesse segue necessariamente una conclusione. Il sillogismo-tipo risulta composto di tre proposizioni, due delle quali (la premessa maggiore e la premessa minore) fungono da antecedenti e la terza (la conclusione) da conseguente. Inoltre, nel sillogismo si hanno tre termini o elementi: il maggiore, che ha l‘estensione maggiore e 76 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ compare come predicato nella prima premessa; il minore, che ha l‘estensione minore e compare come soggetto nella seconda premessa; il medio, che ha estensione media e si trova in entrambe le premesse, una volta come soggetto e l‘altra come predicato. Il termine maggiore ed il termine minore compaiono pure nella conclusione, ove si presentano uniti fra di loro nelle vesti di soggetto (il minore) e di predicato (il maggiore). L‘elemento grazie a cui avviene l‘unione è il termine medio‖, che funge appunto da cerniera o elemento connettivo fra gli altri due e quindi da perno o leva dell‘intero sillogismo. Ciò accade perché il termine medio (animale) da un lato risulta incluso nel termine maggiore (mortale) e dall‘altro include in sé il termine minore (uomo). Di conseguenza, la caratteristica espressa dal termine maggiore (la mortalità), appartenendo al termine medio, apparterrà per forza anche al termine minore. In base alla posizione occupata dal termine medio, Aristotele distingue varie figure di sillogismo. Il problema delle premesse Gli Analitici primi studiano la struttura formale del sillogismo, cioè la coerenza interna dei suoi passaggi. Aristotele è ben consapevole del fatto che la validità di un sillogismo non si identifica con la sua verità, in quanto un sillogismo, pur essendo logicamente corretto, può partire da premesse false (ovvero non corrispondenti alla realtà) e quindi condurre a conclusioni false. Ad es. il sillogismo ogni animale è immortale, ogni uomo è animale, ogni uomo è immortale, pur essendo formalmente valido, in 77 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ quanto rispetta appieno la forma del sillogismo di prima figura (B è A, C è B, C è A), è però materialmente falso, perché sono false la premessa maggiore e la conclusione. La dialettica I Topici sono dedicati allo studio della dialettica, che si occupa dei ragionamenti adoperati nell‘oratoria politica, che Aristotele studia nella Retorica. A differenza di Platone che vedeva nella dialettica la scienza più alta, Aristotele vede nella dialettica soltanto un ragionamento che non arriva a concludere necessariamente. Aristotele si è anche preoccupato di classificare e confutare i ragionamenti eristici dei Sofisti. Per ragionamento eristico si intende quello le cui premesse non sono né necessari come quelle della scienza, né probabili come quelle della dialettica, ma solo apparentemente probabili. La fisica Le sostanze immobili o intelligenze motrici dei cieli costituiscono l‘oggetto della teologia. Le sostanze in movimento che sono percepibili coi sensi, costituiscono l‘oggetto della fisica. La fisica è, secondo Aristotele, la seconda scienza teoretica, ché viene subito dopo la filosofia prima o metafisica. L‘oggetto della fisica è l‘essere in movimento. Aristotele indica quattro tipi fondamentali di movimento: 1) il movimento sostanziale, cioè la generazione e la corruzione; 2) il movimento qualitativo, mutamento o l‘alterazione; 3) il movimento quantitativo, cioè l‘aumento e la diminuzione 4) il 78 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ movimento locale, cioè il movimento propriamente detto. Quest‘ultimo è il movimento fondamentale a cui tutti gli altri si riducono. Dunque soltanto il movimento locale è il movimento fondamentale che consente di distinguere e di classificare le varie sostanze fisiche. Il movimento locale può essere: 1) Movimento circolare (intorno al centro del mondo). 2) Movimento dal centro del mondo verso l‘alto 3) Movimento dall‘alto verso il centro del mondo. I luoghi naturali I movimenti dall‘alto in basso e dal basso in alto sono propri dei quattro elementi terrestri: acqua, aria, terra e fuoco. Per spiegare il movimento di questi elementi, Aristotele stabilisce la teoria dei luoghi naturali. Ognuno di questi elementi ha nell‘universo un suo luogo naturale. Se una parte di essi viene allontanata dal suo luogo naturale (il che non può avvenire che con un moto violento, cioè contrario alla situazione naturale dell‘elemento) essa tende a ritornarvi con un moto naturale. I luoghi naturali dei quattro elementi sono determinati dal loro rispettivo peso. Al centro del mondo c‘è l‘elemento più pesante, la terra; intorno alla terra ci sono le sfere degli altri elementi nell‘ordine del loro peso decrescente: acqua, aria e fuoco. Il fuoco costituisce la sfera estrema dell‘universo sublunare; al di sopra c‘è la prima sfera eterea o celeste, quella della luna. Aristotele era portato a questa teoria da esperienze assai semplici: la pietra immersa nell‘acqua affonda, cioè tende a situarsi al di sotto dell‘acqua; una bolla d‘aria rotta nell‘acqua sale alla superficie dell‘acqua Dunque l‘aria tende a disporsi al 79 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ di sopra dell‘acqua; il fuoco fiammeggia sempre verso l‘alto, cioè tende a congiungersi alla sua sfera che è al di sopra dell‘aria. Perfezione e finitezza dell‘universo L‘universo fisico, che comprende i cieli formati dall‘etere e il mondo sublunare formato dai quattro elementi, è, secondo Aristotele, perfetto, unico, finito ed eterno. Egli invoca la teoria pitagorica sulla perfezione del numero 3 ed afferma che il mondo, possedendo tutte e tre le dimensioni possibili (altezza, larghezza e profondità), e' perfetto perché non manca di nulla. Ma se il mondo è perfetto, esso è anche finito. Infinito significa incompiuto. Etica e politica I metodi rigorosi della logica si applicano nel loro senso più pieno al contesto delle scienze teoretiche, ma quando si passa al mondo umano le cose si complicano, dato che in tale ambito non si ha una certezza dimostrativa. Aristotele propone di separare la sophia dalla phrònsis, una forma di sapere pratico, che si occupa delle cose contingenti e variabili. La phrònèsis fornisce una guida razionale all‘azione umana, pur non giungendo a una conoscenza certa: copre il campo del ragionevole, piuttosto che quello del razionalmente dimostrato. Essa non va confusa con la virtù: quest‘ultima individua i fini, mentre alla phronesis compete la ricerca dei mezzi. Per quanto riguarda il contenuto delle dottrine etiche di Aristotele, la sua Etica Nicomachea individua il fine dell‘agire umano nella felicità, la quale però non risiede né 80 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ nei piaceri sensibili (che l‘uomo ha in comune con gli animali) né nella ricchezza (concepita come un mezzo e non un fine in sé). Felicità significa dedicarsi a ciò cui siamo destinati: far bene il proprio compito, il che per l‘uomo equivale all‘esercizio dell‘ intelligenza. La vita felice è dunque la vita intellettiva, anche se ciò non esclude che si possa godere dei piaceri sensibili, o si debbano disprezzare le ricchezze. Sulla base della contrapposizione tra intelligenza e sensibilità, Aristotele introduce la distinzione tra virtù dianoetiche ed etiche. Le prime riguardano l‘esercizio del pensiero razionale, le seconde il rapporto tra intelligenza e sensibilità. Esempi di virtù dianoetiche sono la saggezza, l‘intelligenza, la sapienza (che unisce le due precedenti ed è la più alta delle virtù); esempi di virtù etiche sono la giustizia, il coraggio, la temperanza, la liberalità. Il comportamento virtuoso è quello basato sulla ricerca del giusto mezzo tra atteggiamenti opposti (per es. il coraggio è il giusto mezzo rispetto alla viltà e alla temerarietà). Nella politica, Aristotele non ritiene utile teorizzare a priori sulla forma dello Stato e dedica molta attenzione ai dati della tradizione e della storia (con l‘aiuto dei discepoli raccoglie e studia le costituzioni di 158 Stati, grandi e piccoli). Egli distingue le forme di governo in democrazia, aristocrazia e monarchia. A parte le degenerazioni di ciascuna (rispettivamente in demagogia, oligarchia e tirannia), non è possibile decidere in astratto quale è la migliore, ma occorre sempre che chi governa miri al bene dei governati. Aristotele propende personalmente per una forma mista di governo, che prevede tanto l‘azione democratica dei cittadini quanto l‘autorità del monarca. 81 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Poetica e retorica Se Platone aveva condannato l‘arte, definendola imitazione di un‘imitazione, Aristotele adotta un atteggiamento più moderato e nella Poetica delinea una visione positiva dell‘arte. Dopo aver notato che la poesia ―è più filosofica della storia‖, in quanto racconta le vicende umane con un ordine razionale, anche quando questo è all‘origine apparentemente assente, egli sviluppa la teoria della catarsi. La catarsi è la purificazione delle passioni per gli spettatori. Essi assistono alla tragedia e provano pietà (per l‘eroe) e timore (al pensiero che potrebbe capitar loro una sorte simile); ma una volta sciolta la vicenda tragica, i fatti trovano sempre una spiegazione razionale: per cui vengono meno la pietà e il terrore. La tragedia ha quindi valore conoscitivo e conduce a una migliore comprensione del mondo umano. Anche nel caso della retorica Aristotele si contrappone a Platone, sottolineandone soprattutto il valore sociale. 82 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ CAPITOLO 6 Le scuole dell‘età ellenistica La scienza alessandrina La formazione dei regni ellenistici, seguita alla morte di Alessandro Magno, comportò la fine dell‘influenza politica delle poleis greche e ne seguì anche una profonda trasformazione della cultura. Fiorirono le scienze particolari e cadde invece in declino la filosofia. Di qui il carattere delle scuole filosofiche dell‘ellenismo, indifferenti all‘impegno politico-sociale e interessate invece al problema della felicità individuale e della saggezza pratica. Se Atene rimase il centro del dibattito filosofico, lo sviluppo delle scienze particolari fiorì invece nelle grandi capitali ellenistiche, come Alessandria d‘Egitto, che in ogni modo tentarono di ostacolare il primato culturale dei Tolomei d‘Egitto. Ma Alessandria rimase per secoli il modello della nuova cultura ellenistica della quale fu espressione tipica il Museo (dal nome degli antichi cenacoli pitagorici), il più grandioso centro culturale del mondo antico, dotato di una biblioteca di oltre 700.000 volumi, di grandi sale di lettura e di dibattito, di un osservatorio astronomico, di un orto botanico, di un giardino zoologico, di sale anatomiche per la dissezione dei cadaveri, e così via. Gli scienziati alessandrini Uno dei principali campi di studio che fiorì ad Alessandria fu la filologia. I filologi alessandrini curarono le prime edizioni critiche delle opere greche di letteratura e di 83 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ scienza e sebbene gran parte del loro prezioso lavoro sia andata perduta, noi dobbiamo a esso le basi essenziali e indispensabili per la comprensione della lingua e della cultura greca. Grande sviluppo ebbero anche gli studi di medicina. I medici alessandrini raccolsero il Corpus hyppocraticum, cioè un insieme di scritti con i quali, a partire dal V secolo a.C., si era sviluppata in Grecia una medicina scientifica, distinta dalle pratiche magicoreligiose tradizionali. Protagonista principale di questa rivoluzione scientifica era stato Ippocrate, il più grande medico del mondo antico. Ancora più grande fu il contributo degli scienziati alessandrini alla matematica e all‘astronomia. Per la matematica abbiamo l‘opera scientifica forse più universale di tutti i tempi: gli Elementi di geometria di Euclide e nell‘astronomia Aristarco divenne celebre per aver formulato l‘ipotesi eliocentrica, ipotesi che doveva esser ripresa in età moderna da Copernico. Nello stesso campo di studi Ipparco catalogò e divise a seconda dello splendore circa 850 stelle fisse; formulò la teoria della precessione degli equinozi e la teoria degli epicicli, preparando, con le sue straordinarie osservazioni, la grande sintesi tolemaica. L‘opera di Tolomeo è, invece, la summa dell‘astronomia antica, basata sull‘ipotesi del geocentrismo. Il sistema astronomico tolemaico ricostruisce l‘universo e il moto dei corpi celesti in nove orbite o cieli che circondano la terra. Tale sistema dominò indiscusso fino all‘età moderna. Ad Alessandria si formò il siracusano Archimede, che fece scoperte in matematica, in geometria, in fisica (come il peso specifico dei corpi e l‘equilibrio dei piani), ma fu anche l‘unico scienziato antico a intuire le possibilità 84 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ tecnico-applicative della scienza, e in particolare della matematica. Intuizione che doveva attendere l‘età moderna e l‘opera di Galilei per trovare adeguato sviluppo. Infine Eratostene diede contributi importanti alla matematica ma fu come geografo che il suo nome diventò importante: sostenne la sfericità della terra; disegnò una mappa del mondo e calcolò il diametro della terra, ottenendo un risultato di soli cento chilometri inferiore alla cifra reale. La scuola stoica II fondatore della scuola stoica fu Zenone di Cizio, nato nel 336 a.C. e morto nel 264-263. Ad Atene fondò la sua scuola del ―portico dipinto‖, dal quale i suoi discepoli trassero il nome di Stoici. Morì suicida, come molti altri maestri che gli successero. Dei suoi numerosi scritti restano solo frammenti. Fondamentale l‘apporto del successore, Crisippo di Tarso, considerato il secondo fondatore dello stoicismo, scrittore fecondo. Lo seguirono Zenone di Tarso e Diogene detto il Babilonese. Diogene andò nel 156 a Roma, con un‘ambasceria di cui faceva parte anche l‘accademico Carneade. Nonostante l‘interesse suscitato fra i giovani, i filosofi furono espulsi dalla città per volontà di Catone, che considerava potenzialmente eversivo il carattere ―critico‖ della speculazione filosofica. Gli Stoici pongono come fine della ricerca non la scienza, ma la felicità per mezzo della virtù. La scienza stessa è virtù e, dunque, anche la filosofia è virtù. La filosofia si propone di raggiungere la sapienza, ma, per conseguire tale obiettivo, occorre esercitare la virtù. Le virtù più 85 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ generali sono tre: la razionale, la naturale, la morale, dunque, anche la filosofia si divide in tre parti: la logica, la fisica, l‘etica. La logica: il criterio di verità e la teoria del significato. Col termine logica gli Stoici intendono la dottrina che ha per oggetto i logoi o discorsi. Come scienza dei discorsi, la logica è retorica; come scienza dei discorsi divisi per domanda e risposta, la logica è dialettica. Più precisamente la dialettica è definita come la scienza di ciò che è vero e di ciò che è falso e di ciò che non è né vero né falso. A sua volta, la dialettica si divide in due parti, a seconda che tratti delle parole o delle cose: quella che tratta delle parole è la grammatica, quella che ha per oggetto le nozioni significate è la logica in senso proprio. Di conseguenza, la logica degli Stoici si divide sostanzialmente in due grandi sezioni: una che si occupa del problema della conoscenza e dei concetti e l‘altra che si occupa dei meccanismi e delle forme del ragionamento. Gli Stoici si preoccupano in primo luogo di trovare il criterio della verità. Gli Stoici ritennero che tutta la conoscenza umana derivasse dai sensi e paragonano l‘anima ad una carta bianca (tabula rasa) sulla quale vengono a registrarsi le rappresentazioni sensibili. Altre conoscenze universali si formano artificialmente in virtù del ragionamento e costituiscono la scienza. Fra le varie dottrine della logica stoica, quella che ha avuto forse la maggiore importanza in tutta la tradizione filosofica è la dottrina del significato. Tale dottrina costituisce un‘alternativa alla teoria dell‘essenza di Aristotele. Per 86 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Aristotele il concetto è l‘essenza delle cose. Per gli stoici il concetto è un segno che significa le cose. Per esempio il concetto uomo come animale ragionevole è per Aristotele l‘essenza o la sostanza dell‘uomo. Per gli Stoici è un segno che si riferisce a più cose, cioè a quel gruppo di cose che per l‘appunto chiamiamo uomini. In ogni segno bisogna distinguere tre aspetti: 1) la cosa che significa, cioè la parola, per esempio Dione; 2) il significato, cioè l‘immagine o la rappresentazione mentale che c‘è o si forma in noi quando utilizziamo la parola Dione; 3) la cosa che è significata, cioè l‘oggetto reale, Dione in persona. Di questi tre elementi, due sono corporei, la parola e l‘oggetto reale; uno è incorporeo, cioè il significato. Nella logica medievale e moderna la coppia significato-cosa (rappresentazione e oggetto rappresentato) è stata designata con altri nomi come significatosupposizione; connotazione-denotazione; comprensioneestensione; senso-significato, ecc. Con tutte queste coppie di termini, si intendono sempre le stesse cose: da un lato il concetto o la rappresentazione dell‘oggetto, dall‘altro l‘oggetto reale; per esempio da un lato la rappresentazione uomo, pensato, ad esempio, come animale ragionevole; dall‘altro, l‘oggetto cui questa rappresentazione corrisponde, cioè gli uomini reali. La teoria dei ragionamenti anapodittici Un‘altra sezione tipica della logica stoica è quella dei cosiddetti ragionamenti anapodittici. Secondo gli Stoici un significato è compiuto se può essere espresso in una frase, per esempio: Socrate scrive. La parola scrive non ha 87 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ invece significato compiuto perché lascia senza risposta la domanda ―chi?‖. Un significato compiuto si identifica pertanto con l‘enunciato, ossia con una proposizione linguistica di senso compiuto che può essere vera o falsa. Più proposizioni legate danno un ragionamento. Per gli Stoici il ragionamento per eccellenza non è il sillogismo dimostrativo di Aristotele, ma il ragionamento anapodittico, un tipo di ragionamento (cui sono riportabili tutti gli altri tipi di ragionamento) nel quale risulta immediatamente evidente non solo la premessa, ma anche la conclusione. Gli Stoici enumeravano cinque figure di base di ragionamenti anapodittici, che esprimevano con gli esempi seguenti: 1) Se è giorno c‘è luce. Ma è giorno. Dunque c‘è luce; 2) Se è giorno c‘è luce. Ma non c‘è luce. Dunque non è giorno; 3) Non può essere insieme giorno e notte. Ma è giorno. Dunque non è notte; 4) O è giorno o è notte. Ma è giorno. Dunque non è notte; 5) O è giorno o è notte. Ma non è notte. Dunque è giorno. Tra le varie forme di ragionamento, gli stoici presero in considerazione anche una serie di discorsi insolubili (paradossi, antinomie, dilemmi). I più famosi, ampiamente diffusi, erano quelli di origine megarica (tradizionalmente attribuiti ad Ebulide). Tra i più celebri, quello del Mentitore (Epimenide, cretese, diceva che tutti i cretesi erano bugiardi. Ma allora: diceva il vero o il falso, Epimenide? Situazione paradossale perché se diceva il vero, in quanto cretese, asserendo che tutti i cretesi erano bugiardi, quindi diceva il falso. Se diceva il falso, non mentiva, come cretese, quindi diceva il vero). Più elaborato è il dilemma del coccodrillo (un coccodrillo, rapito un bimbo, promise alla madre di renderglielo, a 88 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ patto che essa avesse indovinato la sua intenzione di restituirlo. Avendo la madre risposto che il coccodrillo non l‘avrebbe restituito, il predone cadde in un terribile dilemma. Infatti, non restituendolo, avrebbe reso vera la risposta della madre, e quindi avrebbe dovuto, in base al patto, procedere alla consegna del bimbo. Viceversa, restituendolo, avrebbe reso falsa la risposta della madre, e quindi, in base al patto, non avrebbe dovuto consegnare il bambino. In entrambi i casi, il coccodrillo si sarebbe trovato in una paralizzante contraddizione con se stesso). Sia che questi siano palesi sofismi sia autentiche antinomie, queste questioni hanno finito per contribuire al progresso delle ricerche logiche, in quanto obbligarono gli studiosi ad escogitare appositi schemi di risoluzione. La fisica Il concetto fondamentale della fisica stoica è quello di un ordine immutabile, perfetto e necessario che governa e sorregge tutte le cose. Quest‘ordine è identificato dagli Stoici con Dio stesso, per cui la loro dottrina è un rigoroso panteismo. Alle quattro cause aristoteliche gli Stoici sostituiscono due principi. Il principio passivo è la materia; il principio attivo è la ragione, cioè Dio che agendo sulla e il principio materia produce gli esseri singoli. La materia è inerte, e se ne starebbe oziosa se nessuno la muovesse. La Ragione divina forma la materia e ne produce le determinazioni. La sostanza da cui ogni cosa nasce è la materia, il principio passivo; la forza da cui ogni cosa è fatta è la causa o Dio, il principio attivo. Ma la distinzione tra principio attivo e principio passivo non 89 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ coincide, secondo gli Stoici, con la distinzione tra l‘incorporeo e il corporeo. Entrambi i principi, sono corpo e nient‘altro che corpo: giacché solo il corpo esiste. Tra le cose incorporee non c‘è neppure Dio. Dio stesso, come ragione e causa di tutto, è corpo: più precisamente è fuoco. Non però il fuoco di cui l‘uomo si serve, che distrugge ogni cosa; è piuttosto un soffio caldo pneuma e vitale che tutto conserva, alimenta, accresce e sostiene. Esso è chiamato la ragione seminale del mondo perché contiene in sé le ragioni seminali secondo le quali tutte le cose si generano. La vita del mondo ha un suo ciclo. Quando, dopo un lungo periodo di tempo, gli astri tornano allo stesso segno e nella stessa posizione in cui erano al principio, accade una conflagrazione e la distruzione di tutti gli esseri; e si riforma lo stesso ordine cosmico, e di nuovo tornano a verificarsi gli avvenimenti del ciclo precedente, senza alcuna modificazione. E questo ciclo si ripete eternamente. Il destino è l‘ordine del mondo. Ogni fatto segue ad un altro ed è necessariamente determinato da esso come dalla sua causa; e ad ogni fatto ne segue un altro che esso determina come causa. L‘etica Alla base dell‘etica stoica vi è l‘idea secondo cui ogni essere tende ad attuare o conservare se stesso in armonia con l‘ordine perfetto del mondo. L‘etica degli Stoici è sostanzialmente una teoria dell‘uso pratico della ragione, cioè dell‘uso della ragione al fine di stabilire l‘accordo tra la natura e l‘uomo. Pare che Zenone abbia adottato la formula del ―vivere secondo natura‖. E indubbiamente 90 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ questa è la massima fondamentale dell‘etica stoica. Per tutti gli Stoici, la natura è l‘ordine razionale, perfetto e necessario che è il destino o Dio stesso; l‘azione che si prospetta conforme all‘ordine razionale è il dovere: l‘etica stoica è quindi fondamentalmente un‘etica del dovere e la nozione del dovere, diventa per la prima volta la nozione fondamentale dell‘etica. Difatti né l‘etica platonica né l‘etica aristotelica fanno riferimento all‘ordine razionale del tutto, assumendo a loro fondamento la prima la nozione di giustizia, la seconda quella di felicità. Delle azioni compiute per istinto alcune sono doverose, altre contrarie al dovere, altre né doverose né contrarie al dovere. Doverose sono quelle che la ragione consiglia di compiere, come onorare i genitori, i fratelli, la patria e andar d‘accordo con gli amici. Contro il dovere sono quelle che la ragione consiglia di non fare. Né doverose né contrarie al dovere sono quelle che la ragione né consiglia né vieta, come sollevare una pagliuzza, tenere una penna ecc. Questa prevalenza della nozione del dovere conduce gli Stoici fino alla giustificazione del suicidio. Quando infatti le condizioni che sono contrarie all‘adempimento del dovere prevalgono su quelle favorevoli, il sapiente ha il dovere di abbandonare la vita, e molti dei maestri dello Stoa seguirono questo precetto. Fa parte integrante dell‘etica stoica la negazione totale dell‘emozione (pathos). Essa infatti non ha alcuna funzione nell‘economia generale del cosmo che provveduto in modo perfetto alla conservazione e al bene degli esseri viventi. Le emozioni invece non sono provocate da situazioni naturali: sono opinioni o giudizi dettati da leggerezza. Gli Stoici distinguevano quattro emozioni 91 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ fondamentali alle quali riducevano tutte le altre: due aventi origine da beni presunti: la brama dei beni e la letizia dei beni presenti; due aventi origine da mali presunti: il timore dei mali e l‘afflizione dei mali presenti. Le emozioni sono vere e proprie malattie che colpiscono lo stolto ma di cui il sapiente è immune. La condizione del sapiente è quindi l‘indifferenza ad ogni emozione, l‘apatia. La legge naturale e il cosmopolitismo La legge che si ispira alla ragione divina è la legge naturale della comunità umana: una legge superiore a quelle riconosciute dai diversi popoli della terra. Questi concetti costituirono e costituiscono la base della teoria del diritto naturale che per molti secoli è stato a fondamento di ogni dottrina del diritto. L‘uomo che si conforma alla legge è cittadino del mondo (cosmopolita) e dirige le azioni secondo il volere della natura conforme al quale tutto il mondo si governa. Perciò il sapiente non appartiene a questa o a quella nazione ma alla città universale in cui tutti gli uomini sono concittadini e nella quale non esistono liberi e schiavi ma tutti sono liberi. L‘Epicureismo Epicuro nacque nel 341 a.C. a Samo. A 18 anni, Epicuro si recò ad Atene, fondando una scuola che aveva sede nel ―giardino‖. Epicuro vede nella filosofia la via per raggiungere la felicità, intesa come liberazione dalle passioni. Il valore della filosofia è quindi strumentale: il fine è la felicità. ―Se non fossimo turbati dal pensiero delle 92 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ cose celesti e della morte e dal non conoscere i limiti dei dolori e dei desideri, non avremmo bisogno della scienza della natura‖. La filosofia indica all‘uomo un quadruplice farmaco: 1. Liberare gli uomini dal timore degli dèi, dimostrando che essi non si occupano delle faccende umane. 2. Liberare gli uomini dal timore della morte dimostrando che essa non è nulla per l‘uomo: quando ci siamo noi la morte non c‘è, quando c‘è la morte non ci siamo noi. 3. Dimostrare la facile raggiungibilità del piacere stesso. 4. Spiegare la brevità e la provvisorietà del dolore. Epicuro distinse tre parti della filosofia: la canonica, la fisica e l‘etica. La canonica Epicuro chiamò canonica la logica o teoria della conoscenza, in quanto la considerò diretta a dare il criterio della verità e quindi una regola o canone della verità per orientare l‘uomo verso la felicità. Il criterio della verità è costituito dalle sensazioni, dalle anticipazioni e dalle emozioni. La sensazione è prodotta nell‘uomo dal flusso degli atomi che si staccano dalla superficie delle cose (secondo la teoria di Democrito). Questo flusso produce immagini che sono in tutto simili alle cose da cui sono prodotte. Da queste immagini derivano le sensazioni; dalle sensazioni derivano le rappresentazioni fantastiche che risultano dalla combinazione di due immagini diverse (come, per esempio, la rappresentazione del centauro deriva dall‘unione dell‘immagine dell‘uomo con quella del cavallo. Dalle sensazioni ripetute e conservate nella 93 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ memoria derivano i concetti. La sensazione è sempre vera ed evidente ed è dunque il criterio della verità. Ma poiché anche i concetti o anticipazioni derivano da sensazioni, anch‘essi sono veri e costituiscono insieme alla sensazione il criterio della verità. Infine il terzo criterio di verità è l‘emozione, cioè il piacere o il dolore, che costituisce la norma per la condotta pratica. La fisica La fisica di Epicuro ha lo scopo di escludere dalla spiegazione del mondo ogni causa soprannaturale e di liberare così gli uomini dal timore di dipendere da forze sconosciute. Per raggiungere questo scopo la fisica deve essere: 1) materialistica, cioè escludere la presenza nel mondo di ogni anima o principio spirituale; 2) meccanicistica, cioè avvalersi nelle sue spiegazioni unicamente del movimento dei corpi escludendo qualsiasi finalismo. Epicuro afferma che tutto ciò che esiste è corpo perché solo il corpo può agire o subire un‘azione. Solo il vuoto è incorporeo, ma il vuoto ha l‘unica funzione di permettere ai corpi di muoversi attraverso se stesso. Epicuro perciò ammette con Democrito che nulla viene dal nulla e che ogni corpo è composto di corpuscoli indivisibili (atomi) che si muovono nel vuoto. Nel vuoto infinito, gli atomi si muovono eternamente urtandosi e combinandosi tra loro. Le loro forme sono diverse; ma il loro numero, per quanto indeterminabile, non è infinito. Il loro movimento non ubbidisce ad alcun disegno provvidenziale, ad alcun ordine finalistico. Gli Epicurei escludono esplicitamente la provvidenza stoica e la critica 94 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ a tale provvidenza costituisce uno dei temi preferiti della loro polemica. Epicuro ammette però l‘esistenza delle divinità. E l‘ammette in virtù del suo stesso empirismo: perché gli uomini hanno l‘immagine della divinità; e quest‘immagine, come ogni altra, non può essere stata in loro prodotta che da flussi di atomi emanati dalle divinità stesse. Gli dèi hanno la forma umana, che è la più perfetta e quindi la sola degna di esseri razionali. Essi intrattengono abitano gli spazi vuoti tra mondo e mondo. Ma non si curano né del mondo né degli uomini. L‘anima è, secondo Epicuro, composta di particelle corporee, più sottili, che sono diffuse in tutto il corpo come un soffio. Con la morte gli atomi dell‘anima si separano ed ogni possibilità di sensazione cessa: la morte è privazione di sensazioni. L‘etica L‘etica epicurea pone nella felicità il fine dell‘esistenza. La felicità consiste nel piacere: ―il piacere è il principio e il fine della vita beata‖, dice Epicuro. Il piacere è infatti il criterio della scelta e dell‘avversione: si tende al piacere, si sfugge il dolore. Ma vi sono due tipi di piaceri: il piacere stabile, che consiste nella privazione del dolore, e il piacere dinamico, che consiste nella gioia. La felicità consiste soltanto nel piacere stabile o negativo, nel non soffrire e nel non agitarsi ed è quindi definita come atarassia (assenza di turbamento) e aponia (assenza di dolore). Questo carattere negativo del piacere impone la scelta e la limitazione dei bisogni. Epicuro distingue i bisogni naturali e quelli vani; dei bisogni naturali alcuni 95 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ sono necessari (ad es. mangiare), altri no (ad es. il mangiare troppo). Solo i desideri naturali e necessari vanno appagati, gli altri vanno abbandonati e rimossi. Bisogna rinunciare ai piaceri da cui deriva un dolore maggiore e sopportare anche a lungo i dolori da cui deriva un piacere maggiore. Ad ogni desiderio bisogna porre la domanda: che avverrà, se esso viene appagato? Che cosa avverrà se non viene appagato? Soltanto il calcolo dei piaceri può far sì che l‘uomo basti a se stesso e non diventi schiavo dei bisogni. La dottrina di Epicuro non si può quindi confondere con un volgare edonismo. Inoltre il culto dell‘amicizia fu caratteristico della teoria e della condotta pratica degli Epicurei. ―Di tutte le cose che la saggezza ci offre per la felicità della vita, la più grande è di gran lunga l‘amicizia‖ (Massime capitali). L‘amicizia nasce dall‘utile, ma essa è un bene per sé. L‘atteggiamento dell‘epicureo verso gli uomini in generale è nella massima: ―È non solo più bello ma anche più piacevole fare il bene anziché riceverlo‖. Quanto alla vita politica, Epicuro riconosceva i vantaggi che essa procura agli uomini, tenendoli obbligati a leggi che impediscono loro di danneggiarsi a vicenda. Ma consigliava al saggio di rimanere estraneo alla vita politica. Lo scetticismo Contrariamente alle altre filosofie, impegnate nella ricerca del vero e nella costruzione di un determinato sistema metafisico sull‘universo, lo scetticismo dichiara che l‘uomo non può accedere alla verità ultima delle cose e 96 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ che la più alta forma di saggezza consiste proprio nel riconoscere questo fatto, inequivocabilmente dimostrato, secondo gli Scettici, dalla molteplicità delle filosofie in lotta fra di loro. Gli scettici, di fronte alla varietà sconcertante delle visioni del mondo presenti fra gli uomini, concludono che l‘unico modo per raggiungere la tranquillità della mente, è riconoscere come ugualmente fallaci tutte le dottrine. Il termine scetticismo deriva da sképsis, che indica indagine, ricerca, dubbio. Infatti, secondo gli scettici, la quiete dello spirito non si raggiunge accettando una qualche dottrina metafisica, ma rifiutando ogni dottrina. Parte integrante del mondo ellenistico e della sua concezione della filosofia come terapia mentale ed esistenziale, lo scetticismo, analogamente alle altre scuole, subordina l‘indagine speculativa ad un fine pratico: l‘ottenimento della pace interiore generato dalla critica consapevolezza delle chiacchiere dei dogmatici. Di conseguenza, lo scetticismo si dedica prevalentemente alla distruzione delle altre dottrine filosofiche, specialmente di quelle contemporanee: lo stoicismo e l‘epicureismo. Pirrone e Timone Secondo Pirrone non ci sono cose vere o false, belle o brutte, buone o cattive per natura e assolutamente, ma soltanto per convenzione e relativamente. Sono le abitudini degli uomini, i loro costumi e le loro decisioni a rendere buona o cattiva, vera o falsa, una cosa. Al di fuori di tali credenze e convenzioni, sempre mutevoli, non è possibile nessun giudizio, giacché la realtà in sé, per l‘uomo, risulta inafferrabile, per cui l‘unico atteggiamento 97 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ legittimo, come diranno più tardi altri scettici, rimane la sospensione di ogni giudizio (epoché). Secondo Pirrone solo lo scetticismo procura l‘atarassia, cioè l‘imperturbabile serenità della mente. Infatti il sapiente. messosi il cuore in pace, per aver compreso che al mondo non esiste la verità con la lettera maiuscola, poiché sulla natura profonda delle cose non si può dire nulla con certezza, guarda con superiorità le dispute dei metafisici, che continuano a battersi, con ―guerre di parole‖, circa questioni su cui non è possibile decidere. Questo raffinato distacco intellettuale dalle verità e dai dogmi dei più non impedisce affatto che lo scettico pirroniano, nella pratica, possa vivere come tutti gli altri, facendo più o meno esattamente le stesse cose: accudire alle proprie faccende, riposarsi, svagarsi ecc. Timone affermava che l‘uomo per essere felice dovrebbe conoscere tre cose: 1) quale sia la natura delle cose; 2) quale atteggiamento bisogna assumere rispetto ad esse; 3) quali conseguenze risulteranno da questo atteggiamento. Ma è impossibile conoscere queste tre cose e perciò l‘unico atteggiamento possibile è quello dell‘afasia. 98 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ CAPITOLO 7 La filosofia medioevale Il Cristianesimo nel mondo occidentale determinò un nuovo indirizzo filosofia. Ogni religione implica un insieme di credenze, che consistono nell‘accettazione di una rivelazione. La religione è l‘adesione a verità che l‘uomo accetta in virtù di una testimonianza superiore. Ai Farisei che gli dicevano: ―Tu testimoni di te stesso, quindi la tua testimonianza non è valida, Gesù rispose: Io non sono solo, ma siamo io e Colui che mi ha mandato‖ (S. Giov., VIII, 13, 16), fondando così il valore del suo insegnamento sulla testimonianza del Padre. Ma riconosciuta la verità nel suo valore assoluto, quale viene rivelata da una potestà trascendente, si determina immediatamente l‘esigenza di avvicinarsi ad essa e di comprenderla nel suo significato autentico, vivere veramente con essa e di essa. A questa esigenza solo la ricerca filosofica può soddisfare. Dalla religione cristiana è nata così la filosofia cristiana. Gli strumenti per questo compito la filosofia cristiana li trovò in parte nella Filosofia greca. Ma la Chiesa stessa, nelle sue assise solenni (Concili) definisce le dottrine che esprimono il significato fondamentale della rivelazione (dogmi). Da ciò deriva il carattere proprio della filosofia cristiana, nella quale la ricerca individuale trova segnati anticipatamente i suoi limiti. Essa non è, come la filosofia greca, ricerca completamente autonoma che deve muovere in primo luogo a fissare i termini e il significato del suo problema; i termini e la natura del problema le sono già dati. Ciò non diminuisce il suo significato vitale: attraverso la ricerca 99 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ filosofica il messaggio cristiano, nell‘immutabilità del suo significato fondamentale, ha rinnovato e conservato attraverso i secoli la forza e l‘efficacia del suo magistero spirituale. Caratteri della Patristica Quando il Cristianesimo, per difendersi dagli attacchi polemici e dalle persecuzioni dovette organizzarsi in un sistema di dottrine, si presentò come l‘espressione compiuta e definitiva della verità che la filosofia greca aveva cercata, ma solo imperfettamente e parzialmente raggiunta. Una volta postosi sul terreno della filosofia, il Cristianesimo tenne ad affermare la propria continuità con filosofia greca ed a porsi come l‘ultima e più compiuta manifestazione di essa. Giustificò questa continuità con l‘unità della ragione (Logos), che Dio ha creata identica in tutti gli uomini di tutti i tempi e alla quale la rivelazione cristiana ha dato l‘ultimo fondamento; e con ciò affermò implicitamente l‘unità della filosofia e della religione. Era naturale, da questo punto di vista, che si tentasse da un lato dì interpretare il cristianesimo mediante concetti desunti dalla filosofia greca, dall‘altro di ricondurre il significato di quest‘ultima allo stesso Cristianesimo. Il periodo di questa elaborazione dottrinale è la Patristica. E Padri della chiesa sono gli scrittori cristiani dell‘antichità, che hanno contribuito all‘elaborazione dottrinale del Cristianesimo e la cui opera è stata accettata e fatta propria dalla Chiesa. 100 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ AGOSTINO d‘Ippona (354-430) Ragione e fede Nei Soliloqui, Agostino così dichiarava lo scopo della sua ricerca: Io desidero conoscere Dio e l‘anima (Deum et animam scire cupio). Ma Dio e l‘anima non richiedono per Agostino due indagini parallele o diverse. Cercare l‘anima significa cercare Dio, nella commossa persuasione che ―Tu, o Dio, ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto, finché non trovi riposo in te‖. Ora, in quello sforzo verso Dio ragione e fede sono strettamente unite e in grado di collaborare e di rafforzarsi a vicenda. Infatti, la teoria agostiniana dei rapporti fra ragione e fede è sintetizzata nella duplice formula crede ut intelligas (credi per capire) e intellige ut credas (capisci per credere). Agostino intende dire che per capire, ossia per far filosofia in modo corretto e trovare la verità, è indispensabile credere, cioè possedere la fede, la quale è simile alla luce che ci indica il cammino da seguire. Viceversa, per avere una salda fede è indispensabile comprendere ed esercitare l‘intelletto, cioè filosofare. Di conseguenza, per Agostino ragione e fede, essendo strettamente congiunte, si configurano come facce diverse di quella medesima realtà esistenziale che è il rapporto dell‘uomo con Dio. L‘oggetto della ricerca agostiniana non è il cosmo, ma l‘uomo o l‘io, ossia la, persona nella sua singolarità irripetibile e nella sua apertura a Dio (da ciò il carattere marcatamente esistenziale delle Confessioni). La confutazione dello scetticismo dell‘illuminazione: dal dubbio alla Verità e la teoria 101 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Contro lo scetticismo, Agostino sostiene che non è possibile dubitare e ingannarsi su tutto, perché la nostra esistenza, ad esempio, è indubitabile, in quanto se anche dubitiamo e ci inganniamo su di essa, dobbiamo per forza esistere: ―Se m‘inganno vuoi dire che sono. Non si può ingannare chi non esiste: se dunque m‘inganno, per ciò stesso io sono. Poiché dunque esisto, dal momento che m‘inganno, come posso ingannarmi a credere che esisto, quando è certo che io esisto dal momento che m‘inganno? Poiché dunque, anche nell‘ipotesi che mi inganni, esisterei pur ingannandomi, non mi inganno certamente nel conoscere che esisto. In altri termini, il dubbio presuppone, per sua stessa natura, un rapporto dell‘uomo con la verità. Tuttavia, pur essendo nella verità, l‘uomo non è, lui stesso, la verità. Infatti l‘uomo è ricercatore della verità, è imperfetto e mutevole, mentre la vera Verità è immutabile e perfetta e possiede totalmente se medesima: ―Confessa di non essere tu ciò che è la verità, poiché essa non cerca se stessa. Di conseguenza, la Verità non può essere che Dio. L‘uomo non è la Verità, ma solo colui che ne accoglie una parte come dono. La cosiddetta teoria dell‘illuminazione‖ di Agostino sostiene infatti che l‘uomo, non essendo e non possedendo di per sé la verità, la riceve da Dio, il quale simile ad una vivida luce, illumina la nostra mente, permettendole di apprendere. Questa dottrina agostiniana, nonostante la forte valenza religiosa, ha come presupposto filosofico ben preciso, senza il quale non la si intenderebbe adeguatamente: la teoria platonica della conoscenza. Analogamente a P1atone, Agostino ritiene infatti ch e Platone nell‘uomo esistano delle verità o dei criteri di giudizio (ad es. la 102 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Giustizia, il Bene ecc.), che non possono derivare dalla mutevole percezione dei sensi e dall‘esperienza. Tuttavia, mentre Platone, con la teoria della reminiscenza, faceva derivare tali verità dal mondo delle idee, Agostino, con la teoria dell‘illuminazione li fa cristianamente provenire da Dio. Infatti se la ragione è superiore alle cose di cui giudica, la legge in base alla quale essa giudica è superiore alla ragione, poiché viene da quella Legge o Ragione suprema che è Dio. Dio come Essere, Vita e Amore La verità è Dio: questo è il principio fondamentale della teologia agostiniana. Proprio in quanto l‘uomo ricerca Dio nell‘interiorità della sua coscienza, Dio è per lui Essere e Verità, Trascendenza e Rivelazione, Padre e Logos. Dio si rivela come trascendenza all‘uomo che incessantemente e amorosamente lo cerca nella profondità del suo io: ciò vuoi dire che Egli non è essere se non in quanto è insieme manifestazione di sé come tale, cioè Verità, che non è trascendenza, se non in quanto è insieme rivelazione, che non è Padre se non in quanto è insieme Figlio, Logos o Verbo che muove incontro all‘uomo per trarlo a sé. Le due prime persone della Trinità si manifestano all‘uomo nella ricerca; e così l‘altra, lo Spirito Santo, che è l‘amore. La struttura trinitaria dell‘uomo La possibilità di cercare Dio e di amarlo è radicata nella stessa natura dell‘uomo. Se fossimo animali, potremmo amare soltanto la vita carnale e gli oggetti sensibili. Se fossimo alberi, non potremmo amare nulla di ciò che ha movimento e sensibilità. Ma siamo uomini, creati ad 103 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ immagine del nostro creatore che è la vera Eternità, l‘eterna Verità, l‘eterno e vero Amore; abbiamo dunque la possibilità di ritornare a lui. Questa possibilità di ritornare a Dio e inscritta nella natura stessa dell‘uomo, che presenta una struttura trinitaria la quale è a immagine di Dio. Infatti l‘uomo è, conosce e ama proprio come Dio è Essere (il Padre), Intelligenza (il Figlio) e Amore (lo Spirito Santo) In altri termini ancora, l‘uomo è composto di tre facoltà, che riproducono tre aspetti di Dio. La prima è la memoria, la seconda è l‘intelligenza, la terza è la volontà o l‘amore. Il problema della creazione e del tempo In quanto è Essere, Dio è il fondamento di tutto ciò che è; è dunque il creatore di tutto. E difatti la mutevolezza del mondo che ci sta intorno dimostra che esso è l‘essere: ha dovuto dunque essere creato dal nulla. Dio ha creato tutto attraverso la. Parola, ma la parola di cui parla il racconto della Genesi non è la parola sensibile, ma il Logos o Figlio d che è coeterno con lui. Il Logos o Figlio ha in sé le idee, cioè le forme o le idee delle cose, che sono eterne come eterno è egli stesso. Queste forme o idee non costituiscono dunque, come voleva Platone, un mondo intelligibile, ma l‘eterna ed immutabile ragione attraverso la quale Dio ha creato il mondo. Le idee divine sono da Agostino avvicinate alle ragioni seminali di cui parlavano gli Stoici. L‘ordine del mondo, che dipende dalla divisione delle cose in generi e specie, è garantito appunto dalle ragioni seminali, che, implicite nella mente divina, determinano, nell‘atto della creazione, la divisione e l‘ordinamento delle cose singole. ―Che cosa faceva Dio prima di creare il cielo 104 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ e la terra? In realtà, Dio è 1‘autore non solo di ciò che esiste nel tempo, ma del tempo stesso. Prima della creazione non c‘era tempo: non c‘era dunque un ―prima‖ e non ha senso domandarsi che cosa Dio facesse ―allora‖. L‘eternità è al disopra di ogni tempo: in Dio nulla è passato e nulla è futuro perché il suo essere è immutabile e l‘immutabilità è un presente eterno in cui nulla trapassa. Ma, che cosa è il tempo? Certamente, la realtà del tempo non è nulla di permanente. Il passato è tale perché non è più, il futuro è tale perché non è ancora; e se il presente fosse sempre presente e non trapassasse continuamente nel passato, non sarebbe tempo, ma eternità. Nonostante questa fuggevolezza del tempo, noi, però, riusciamo a misurarlo e parliamo di un tempo breve o lungo. L‘anima è la misura del tempo. Non si può certo misurare il passato che non è più, o il futuro che non è ancora; ma noi conserviamo la memoria del passato e siamo in attesa del futuro. Il futuro non c‘è ancora, ma c‘è nell‘anima l‘attesa delle cose future; il passato non c‘è più, ma c‘è nell‘anima la memoria delle cose passate. Il presente è privo di durata e in un istante trapassa, ma dura nell‘anima l‘attenzione alle cose presenti. Il tempo trova nell‘anima la sua realtà: nel distendersi (distensio) della vita interiore dell‘uomo attraverso l‘attenzione, la memoria e l‘aspettazione. Partito alla ricerca della realtà oggettiva del tempo, Agostino giunge invece a chiarirne la soggettività. Il problema del male Agostino è uno dei filosofi occidentali che hanno vissuto con maggior tormento il problema del male. Agostino aveva abbracciato, in un primo tempo, la soluzione 105 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ professata dal principe persiano Mani (III sec. d.C.), che ammetteva nel mondo due Principi, uno del Bene e l‘altro del Male, in lotta eterna fra di loro. In un secondo tempo S. Agostino aveva abbandonato il manicheismo, ritenendolo filosoficamente insostenibile, poiché esso presupponendo uno scontro cosmico della divinità del Bene con quella del Male, metteva in forse il concetto di incorruttibilità di Dio. S. Agostino, trovando inconciliabili la realtà del male e la bontà perfetta di Dio, si risolve a negare la realtà sostanziale del negativo, utilizzando lo schema neoplatonico secondo cui il male è una forma di non-essere del bene. Poiché Dio ha creato tutte le cose sostiene S. Agostino — tutto ciò che è, in è, è bene. Per cui essere e bene coincidono. Se essere = bene, in quanto ogni sottrazione di essere è nel contempo una sottrazione di bene e viceversa, il, male, metafisicamente parlando, non ha una sua propria realtà, cioè un essere sostanziale autonomo, in quanto esso è sempre male di qualcosa, cioè l‘accidente di un soggetto che di per sé è bene.‘‘il male di cui cercavo l‘origine — scrive S. Agostino — non è — sostanza, perché, se fosse una sostanza, sarebbe un bene. E invero o sarebbe una sostanza incorruttibile e perciò senz‘altro un bene grande, o una sostanza corruttibile e perciò un bene, ché, altrimenti, non potrebbe andar soggetto a corruzione. Perciò vidi come Tu facesti buone tutte le cose (Confessioni, VII, 12). I mali fisici e morali La negazione della realtà metafisica del male, ovvero della sua autonoma consistenza, non toglie però che nel mondo esista una somma verificabile di mali fisici e morali. 106 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Infatti quella privazione di bene la si può incontrare sia nell‘ordine delle realtà naturali sia nell‘ordine delle azioni umane. Per quanto riguarda le supposte imperfezioni derivanti dal fatto che alcune cose di per sé buone sembrano non accordarsi con altre — S. Agostino afferma che esse non sono veramente tali, se pensate dal punto di vista dell‘ordine universale. S. Agostino sostiene infatti che i cosiddetti mali di natura: a) o derivano dalla struttura gerarchica dell‘universo, che per la sua completezza richiede non solo gli esseri superiori, ma anche quelli inferiori; b) o fungono da elementi necessari dell‘armonia cosmica, così come le ombre, in un quadro, sono indispensabili per dar risalto alle -luci o -come i silenzi e le dissonanze sono indispensabili per una sinfonia. In tutti questi casi il male, come tale, non esiste, poiché è semplicemente il momento o la funzione di una totalità che di per sé è bene. A loro volta, i mali fisici che affliggono l‘uomo, come le malattie, le sofferenze, la morte, sono un effetto del peccato originale e nell‘economia della salvezza hanno un significato positivo. Per quanto riguarda il male morale, esso risiede nel peccato, che consiste, come si è visto, nella deficienza della volontà che rinunzia a Dio e si attacca a ciò che è inferiore. In conclusione, per S. Agostino il male non esiste, poiché esso è parte di un ordine cosmico che globalmente considerato è bene oppure è dovuto all‘uomo. La polemica contro il pelagianesimo Una decisiva polemica agostiniana è quella contro il pe1agianesimo. La polemica che ha avuto la maggiore portata nella formulazioni della dottrina agostiniana, 107 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ conducendo Agostino a fissare con straordinaria energia e chiarezza il suo pensiero sul problema del libero arbitrio e della grazia. Il punto di vista di Pelagio consisteva essenzialmente nel negare che la colpa di Adamo avesse indebolito radicalmente la libertà originaria dell‘uomo quindi la sua capacità di fare il bene. Il peccato di Adamo è solo un esempio cattivo che pesa bensì sulle nostre capacità e rende ad esse più difficile il compito di operare bene, ma non lo rende impossibile e soprattutto non toglie ad esse la possibilità di reagire e decidersi per il meglio. Per Pelagio l‘uomo, sia prima del peccato di Adamo sia dopo, è naturalmente capace di operare virtuosamente senza bisogno del soccorso straordinario della grazia. Ma questa dottrina conduceva a ritenere inutile l‘opera redentrice del Cristo. Agostino reagisce energicamente, affermando che con Adamo ha peccato tutta l‘umanità e che quindi il genere umano è una massa dannata, nessun membro della quale può essere sottratto alla dovuta punizione, se non dalla misericordia e dalla grazia di Dio. Libertà, grazia e predestinazione La dottrina agostiniana della grazia dà luogo ad una serie di complessi interrogativi,che hanno diviso gli studiosi e che esploderanno, in tutta la loro forza dirompente, con la Riforma protestante. Innanzitutto, la grazia, in relazione alla salvezza, è un fattore determinante o solo concomitante? Di fronte a questo problema non ci sono, evidentemente, che due soluzioni possibili, e due sono in realtà le dottrine tipiche della grazia: 1) la grazia è determinante, cioè è Dio stesso che, conferendola o non conferendola, determina gli abiti o le disposizioni che 108 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ renderanno l‘uomo giusto e lo porteranno alla salvezza; 2) la grazia non è determinante nel senso che la sua concessione da parte di Dio, pur essendo condizione necessaria della salvezza, non determina la salvezza stessa, che esige il concorso o la cooperazione dell‘uomo. Ora l‘ambiguità della posizione agostiniana consiste nel fatto che in essa ci sono degli appigli per entrambe le soluzioni. Inoltre, posto che la grazia divina sia indispensabile, sorge la domanda: la grazia è concessa a tutti indistintamente o solo ad alcuni? Anche in questo caso, Agostino oscilla tra due esigenze opposte: da un lato quella che consiste nell‘ammettere che Dio concede a tutti la grazia sufficiente alla salvezza, pur lasciando a tutti la possibilità di perdersi; dall‘altro quella che consiste nell‘esaltare la potenza della grazia quale dono gratuito concesso solo ad alcune anime. Tant‘è vero che talora Agostino parla di una grazia che non viene distribuita a tutti, ma solo agli ―eletti‖ che Dio ha ―predestinati‖ alla salvezza. Egli è indotto a ciò dall‘osservazione di alcuni fatti della vita spirituale: ad es., i bambini che muoiono senza battesimo, oppure il destino di quei milioni di individui che sono stati esclusi dalla Chiesa (―fuori della quale non c‘è salvezza‖) e ai quali non è neppure giunta notizia del nome di Cristo. Possiamo quindi affermare che in Agostino non esiste una teoria univoca sulla salvezza. In Agostino c‘è piuttosto un ambiguo oscillare fra sistemi concettuali opposti, e talora contraddittori, con una oggettiva prevalenza, nella fase antipelagiana, di uno schema teorico propenso ad affidare a Dio, più che all‘uomo o alla cooperazione uomo- Dio, l‘impresa della salvezza. Ed è proprio su questo punto che la Chiesa si 109 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ sforzerà di ―mitigare il dettato di Agostino, al fine di salvaguardare quello che, soprattutto in antitesi alla Riforma, ha finito per imporsi come uno dei principi vitali e irrinunciabili del cattolicesimo: ossia la teoria della cooperazione uomo-Dio. Teoria fondata sulla persuasione per cui se la grazia è la condizione che rende fruttuoso il libero arbitrio, quest‘ultimo è la condizione in virtù della quale la grazia è davvero un dono e non una costrizione o una necessità. La città di Dio Il sacco di Roma perpetrato nel 410 dai Goti di Alarico aveva ridato attualità alla vecchia tesi che la sicurezza e la forza dell‘impero romano fossero legati al paganesimo, e che il cristianesimo rappresentasse, per esso, un elemento di debolezza e dissolvimento. Contro questa tesi e contro la paura, da parte dei cristiani, di essere sommersi dalla catastrofe storica, Agostino compose, tra il 413 e il 426, il suo capolavoro: La città di Dio. In quest‘opera egli afferma che la vita dell‘uomo singolo è dominata dall‘alternativa fondamentale: vivere secondo la carne o vivere secondo lo spirito. La stessa alterativa domina la storia dell‘umanità. Questa è costituita dalla lotta di due città o regni: il regno la città terrena della carne e il regno dello spirito, la città terrena o città del diavolo, che è la società e la città celeste degli empi, e la città celeste o città di Dio che è la comunità dei giusti. Queste due città non si dividono mai nettamente il loro campo d‘azione nella storia. Nessun periodo della storia, nessuna istituzione è dominata esclusivamente dall‘una o dall‘altra delle due città. Nessun contrassegno esteriore distingue le due città e 110 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ sono mescolate insieme sin dall‘inizio della storia umana e lo saranno sino alla fine. Solo interrogando se stesso ognuno potrà scorgere a quale delle due città appartenga. Sulla base del suo schema teologico, Agostino, in corrispondenza dei sei giorni della creazione, distingue sei epoche. La prima va da Adamo al diluvio universale, la seconda da Noè ad Abramo, la terza da Abramo a Davide, la quarta da Davide fino alla cattività babilonese, la quinta da quest‘ultima fino alla nascita di Cristo, la sesta da Cristo fino al suo ritorno alla fine del mondo. Le origini della Scolastica La parola scolastica designa la filosofia cristiana del Medioevo. I1 nome scholasticus nei primi secoli del Medioevo l‘insegnante delle arti liberali, cioè di quelle discipline che costituivano il trivio (grammatica, logica o dialettica, e retorica) e il quadrivio della (geometria, aritmetica, astronomia e musica). In seguito si chiamò scholasticus anche il docente di filosofia o di teologia, il cui titolo ufficiale era magister in theologia e che teneva le sue lezioni dapprima nella scuola del chiostro, poi nell‘università (studium generale). Poiché le forme fondamentali dell‘insegnamento erano due, la lectio, che consisteva nel commento di un testo, e la disputatio, che consisteva nell‘esame di un problema fatto con la considerazione di tutti gli argomenti che si possono addurre pro e contra, l‘attività letteraria degli Scolastici assunse prevalentemente la forma di Commentari (alla Bibbia, alla logica di Aristotele e in seguito alle Sentenze di Pietro Lombardo e alle altre opere di Aristotele) o di 111 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ raccolte di questioni. La connessione della Scolastica con la funzione dell‘insegnamento non è un fatto semplicemente accidentale ed estrinseco, ma fa parte della natura stessa della Scolastica. Ogni filosofia è determinata nella sua natura dal problema che costituisce il centro della sua ricerca; ed il problema della Scolastica era quello di portare l‘uomo alla comprensione della verità rivelata. Ora questo era un problema di scuola, cioè di educazione: il problema della formazione dei chierici. La coincidenza tipica e totale del problemi speculativo e del problema educativo giustifica pienamente il nome della filosofi, medievale e ne spiega i tratti fondamentali. In primo luogo, la Scolastica non è, come filosofia greca, una ricerca autonoma che affermi la propria indipendenza critica di fronte ad ogni tradizione. La tradizione religiosa è, per essa, il fondamento della ricerca. La verità è stata rivelata all‘uomo attraverso le Sacre Scritture. Per l‘uomo, si tratta soltanto di accedere a questa verità, di comprenderla, per quanto è possibile, mediante i poteri naturali e con l‘aiuto della grazia divina, e di farla propria per assumerla a fondamento della propria vita religiosa. Ma anche in questo compito, che è quello della ricerca filosofica, l‘uomo non può e non deve essere affidato alle sole sue forze. Di qui l‘uso costante delle auctoritates. Auctoritas è la decisione di un concilio, un detto biblico, una sentenza di un Padre della Chiesa. Il suo scopo è quello di intendere la già data nella rivelazione, non quella di trovare la verità. Il problema della scolastica 112 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Il problema del rapporto ragione e fede non è un problema puramente speculativo. È soprattutto il problema della parte che può e deve avere l‘iniziativa razionale dell‘uomo nella ricerca della verità e nella direzione della vita singola e associata. Perciò è anche il problema della libertà che l‘uomo può rivendicare per sé e delle limitazioni che tale libertà deve incontrare nelle gerarchie che governano il mondo. E infine il problema dei nuovi campi indagine (la natura, la società) che si aprono all‘uomo a misura che egli rivendica per ì sua ragione una maggiore autonomia. Se è inteso nei termini che si sono esposti, il problema scolastico può essere agevolmente adoperato per rendersi conto della continuità della varietà, delle concordanze e delle polemiche del pensiero medievale. Esso consente di rendersi conto che l‘ortodossia e l‘eterodossia religiose fanno parte ugualmente di questo pensiero come ne fanno parte le speculazioni politiche e i sopravvissuti o risorgenti interessi per la natura per la scienza; e che le tendenze ereticali, le ribellioni filosofiche o teologiche o politiche che lo hanno sempre, seppure in varia misura, caratterizzato, ne costituiscono aspetti storici fondamentali allo stesso titolo delle grandi sintesi dottrinali in cui l‘inizia:iva razionale dell‘uomo e le esigenze della fede e della gerarchia ecclesiastica sembrano aver trovato un riuscito compromesso. Ciò che questo concetto del problema esclude è il tentativo di considerare la Scolastica stessa nel suo insieme come una sintesi dottrinale omogenea in cui si siano unificati e fusi i contributi individuali. Anselmo d‘Aosta (1033-1109) 113 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Il contrasto esasperato tra fede e ragione non ebbe molta fortuna nella filosofia medioevale, che preferì attenersi costantemente al principio della loro possibile armonia. La maggiore figura di questo periodo, S. Anselmo, pur insistendo sulla superiorità indiscutibile della fede, non ritiene possibile un contrasto tra essa e la ragione. Nato ad Aosta nel 1033, Anselmo fu abate del monastero di Bec, poi dal 1093 sino al 1109, anno della morte, arcivescovo di Canterbury. Le sue opere principali sono: il Monologion o Soliloquio; il Proslogion o discorso rivolto ad altri; e un gruppo di quattro dialoghi su argomenti teologici vari. Per Anselmo non si può intendere nulla se non si ha fede; ma occorre confermare e dimostrare la fede con motivi razionali (credo ut intelligam, credo per capire). Gli argomenti sull‘esistenza di Dio La verità fondamentale della religione, l‘esistenza di Dio, è secondo Anselmo una pura verità di ragione: la ragione può dimostrarla con le sole sue forze. Nel Monologion Anselmo la dimostra con l‘argomento dei gradi. Vi sono molte cose buone nel mondo, ma tutte sono buone più o meno, non assolutamente; presuppongono dunque un bene assoluto che sia la loro misura e dal quale esse traggano il grado di bontà che posseggono; e questo Bene assoluto è Dio. Lo stesso ragionamento si può fare per ogni valore o perfezione esistente nel mondo ed anche per l‘essere delle cose, che sono tutte, più o meno, e presuppongono l‘Essere unico e sommo. Il Proslogion ricorre a un‘argomentazione (prova ontologica) che muove dal semplice concetto di Dio per 114 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ giungere a dimostrare l‘esistenza di Dio. L‘argomento è diretto contro chi nega risolutamente tale esistenza, come fa lo sciocco del XIII Salmo: che disse in cuor suo: Dio non c‘è. Evidentemente, anche chi nega l‘esistenza di Dio deve avere il concetto di Dio, giacché è impossibile negare la realtà di qualcosa che non si pensa neppure. Ora il concetto di Dio è il concetto di un essere ―di non si può pensare nulla di maggiore‖ (quo maius cogitari nequit). Ma ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore non può esistere nel solo intelletto. Se fosse nel solo intelletto, si potrebbe pensare che esistesse anche in realtà e cioè che fosse maggiore; ma in tal caso ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore sarebbe anche ciò di cui si può pensare qualcosa di maggiore. È impossibile dunque che ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore esista nel solo intelletto e non nella realtà. L‘argomento si fonda su due punti: 1) ciò che esiste in realtà è maggiore, cioè più perfetto, di ciò che esiste solo nell‘intelletto; 2) negare che ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore esista in realtà, significa contraddirsi perché significa ammettere nello stesso tempo che si può pensarlo maggiore, cioè esistente in realtà. L‘argomento ontologico nella storia del pensiero L‘argomento ontologico dell‘esistenza di Dio è stato rifiutato dalla maggioranza dei filosofi, anche se non è mancato un nutrito drappello di pensatori, talora illustri, che li hanno difeso ed accettato. Già un contemporaneo di Anselmo, il monaco Gaunilone, nel suo Libro a difesa dell‘insipiente, oppose sostanzialmente che, anche ammesso che si abbia il concetto di Dio come di un essere perfettissimo, da questo concetto non può dedursi l‘esistenza di Dio, più che non possa dedursi dal concetto 115 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ di un‘isola perfettissima la realtà di quest‘isola. Anselmo replicò col Libro apologetico, dicendo sostanzialmente che il discorso di Gaunilone non regge, perché l‘idea delle isole non coincide ancora con l‘idea della perfezione assoluta, che risiede unicamente nell‘idea di Dio. In realtà, nella sua risposta, S. Anselmo ―svicola‖ di fatto il problema non rendendosi conto che l‘obiezione sollevata da Gaunilone è molto più profonda. Infatti Gaunilone ha voluto dire che un conto è il piano del pensiero e delle possibilità logiche e un conto è il piano della realtà effettiva, per cui dalla possibilità concettuale dell‘esistenza di Dio non deriva, per ciò stesso, la sua realtà. Grandi filosofi come S. Tommaso e Kant svolgono fondamentalmente le intuizioni Gaunilone, rifiutando l‘argomento ontologico. Nel Medioevo essa è stata accettata da parecchi dottori (Alberto Magno, Bonaventura ecc.). Nel mondo moderno è stata accolta da Cartesio, Spinoza e Leibniz e, dopo Kant, da Hegel. Tommaso d'Aquino (1225-1274) Opere principali: De ente et essentia, Summa contra Gentiles; Summa theologiae. Ragione e fede Il sistema tomistico ha la sua base nella determinazione rigorosa del rapporto tra la ragione e la rivelazione. All‘uomo, che ha come suo fine ultimo Dio, il quale eccede la comprensione della ragione, non basta la sola ricerca filosofica fondata sulla ragione. Ma la rivelazione 116 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ non annulla né rende inutile la ragione: la grazia non elimina la natura, ma la perfeziona. La ragione non può dimostrare ciò che è di pertinenza della fede, altrimenti la fede stessa perderebbe ogni merito, ma può servire alla fede in tre modi: 1) dimostrando i preamboli della fede, cioè quelle verità la cui dimostrazione è necessaria alla fede stessa. Non si può credere a ciò che Dio ha rivelato, se non si sa che Dio c‘è. La ragione naturale dimostra che Dio esiste, che è uno e che ha quegli attributi che possono essere ricavati dalla considerazione delle cose da lui create; 2) la filosofia può essere adoperata a chiarire mediante similitudini le verità della fede; 3) può controbattere le obiezioni che si fanno alla fede dimostrando che sono false. La metafisica Ente, essenza ed esistenza (o ―atto d‘essere‖) Il pensiero di Tommaso si configura come una filosofia dell‘essere che si colloca nell‘ambito di una tradizione di pensiero che va dai Greci agli arabi. Nell‘opuscolo giovanile L‘ente e l‘essenza tale Tommaso si propone di mettere a fuoco alcuni termini venuti di moda in quel periodo (specialmente in seguito alla traduzione della Metafisica di Avicenna). Termini che rischiavano di essere usati in significati diversi e forieri di equivoci. Tali erano ad es. i concetti di ente ed essenza. Ente (ens) ed essenza (essentia), afferma Tommaso rifacendosi ad Avicenna, sono le prime cose che l‘intelletto concepisce (Proemio). L‘ente può essere reale o logico. Nel primo caso, l‘ente è ciò che è presente nella realtà e che si divide nelle dieci 117 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ categorie enumerate da Aristotele. Nel secondo caso, l‘ente è tutto ciò che viene espresso, tramite la copula, in una proposizione affermativa anche se questa non pone alcunché nella realtà, ossia senza che alla proposizione debba necessariamente corrispondere qualcosa di reale, come quando diciamo ad es. che la cecità è nell‘occhio (dove risulta chiaro che non esiste la cecità, ma solo degli occhi non-vedenti). Lasciando da parte il significato logico del termine ente, Tommaso si sofferma sull‘ente reale, a proposito del quale soltanto ha senso parlare di essenza. L‘essentia è ciò che una cosa è, ovvero la sua quidditas (= ciò che risponde alla domanda ―quid est?‖, ―che cos‘è?‖). L‘essenza, che Tommaso chiama anche natura, comprende non solo la forma, ma anche la materia delle cose composte, giacché comprende tutto ciò che espresso nella definizione della cosa. Per es., l‘essenza dell‘uomo, che è definito animale ragionevole, comprende non solo la ―ragionevolezza‖ (forma), ma anche ―l‘animalità‖ (materia). Dall‘essenza così intesa si distingue l‘essere (esse) o l‘atto d‘essere (actus essendi), ovvero l‘esistenza. Infatti, puntualizza Tommaso, noi possiamo ad es. comprendere ―che cosa è l‘uomo o la fenice, e tuttavia non sapere se esistano in natura. Sostanze come l‘uomo e la fenice risultano perciò composte di essenza e di esistenza, che, pur essendo tra di loro inseparabili, risultano realmente distinte l‘una dall‘altra. Negli esseri finiti, essenza ed esistenza stanno fra di loro in un rapporto di potenza ed atto, in quanto l‘esistenza rappresenta l‘atto (actus essendi) grazie a cui le essenze che hanno l‘essere solo in potenza, di fatto esistono. Ora, ogni realtà in cui si distinguano l‘essenza e l‘esistenza, ossia ogni realtà che ha 118 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ l‘essere ma non è l‘essere (tale è appunto la condizione degli esseri finiti e contingenti) deve per forza aver ricevuto l‘essere da altro, e precisamente da un essere che, non derivando la propria esistenza da altro, è, esso stesso, l‘Essere (tale è la condizione del l‘esser infinito e necessario, cioè di Dio). Nella sostanza divina l‘essenza è la medesima esistenza. Dio è perciò necessario ed eterno, ovvero esistente per definizione da sempre; 2) nelle sostanze finite l‘esistenza è aggiunta dall‘esterno ed il loro essere è quindi creato e contingente. In quest‘ultima condizione si trovano non solo gli uomini e le cose del mondo, ma anche gli angeli. Infatti, secondo Tommaso, in quelle sostanze che sono pura forma senza materia (come le intelligenze angeliche) manca evidentemente la composizione di materia e forma, ma non quella di essenza ed esistenza. Per cui, anche il loro essere risulta il frutto di una creazione divina. Partecipazione e analogia Dire che gli esseri finiti sono stati creati da Dio equivale a dire che essi hanno la loro esistenza per partecipazione. Con questo termine, Tommaso intende l‘atto con cui le creature, grazie a Dio, prendono partecipazione parte all‘essere: allo stesso modo che quanto è infocato e non è fuoco, è infuocato per partecipazione, così ciò che ha l‘essere e non è l‘essere, è ente per partecipazione. La dottrina della partecipazione implica che il termine essere, riferito alle creature, abbia un significato non di identità ma solo di somiglianza. E questo il principio dell‘analogicità dell‘essere che Tommaso desume da Aristotele. Aristotele aveva distinto bensì vari significati 119 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ dell‘essere, ma solo rispetto alle varie categorie e li aveva poi tutti riportati all‘unico significato fondamentale che è quello della sostanza (ousia). Egli perciò non distingueva né poteva distinguere tra l‘essere di Dio e l‘essere delle altre cose; per esempio, Dio e la mente sono sostanze proprio nello stesso senso. Tommaso, invece, in virtù della distinzione reale tra essenza ed esistenza, deve distinguere l‘essere delle creature, separabili dall‘essenza e quindi creato, e l‘essere di Dio, identico con l‘essenza e quindi necessario. Questi due significati dell‘essere non sono univoci, cioè identici, e neppure equivoci, cioè semplicemente diversi; sono analoghi, cioè simili, ma di proporzioni diverse. L‘essere come perfezione e i trascendentali La concezione dell‘essere costituisce anche il presupposto della dottrina dei trascendentali. Mentre le categorie sono gli aspetti che distinguono l‘essere in diversi generi (qualità. quantità ecc.), i trascendentali sono invece quei caratteri che, trascendendo le stesse categorie, qualificano l‘essere in quanto tale e competono, per ciò stesso, ad ogni ente. Tommaso enumera cinque proprietà trascendentali: res, unum, aliquid, verum. bonum. Poiché res non significa se non l‘essere preso assolutamente e aliquid implica l‘unum, i trascendentali si riducono a tre: unum, verum, bonum. Dire che ogni ente è uno significa che ogni ente è indiviso in sé e distinto da qualsiasi altro. Ad esempio, un mucchio di sassi in tanto può dirsi una realtà, un ente, in quanto ha una certa indivisione in sé (è un mucchio, i sassi son dunque riuniti) e una certa distinzione. Dire che ogni ente è vero significa che esso 120 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ corrisponde all‘Intelletto divino che lo ha creato (o progettato) e risulta quindi intrinsecamente intelligibile e razionale (verità ontologica), cioè in grado di farsi cogliere da un‘intelligenza e di configurarsi come fondamento dell‘adeguatezza del pensiero (verità logica). A sua volta, dire che ogni ente è buono significa che esso corrisponde ad una ben precisa volontà o progetto divino e costituisce, in quanto tale, una perfezione appetibile o desiderabile anche dall‘uomo: ogni ente, in quanto ente, è in atto, e in qualche modo perfetto. L‘essere, secondo Tommaso, presenta quindi un indubbio primato metafisico rispetto al vero e al bene. Tant‘è che la verità e la bontà di un ente risultano proporzionali al grado di essere che esso possiede (sino ad arrivare al caso di Dio, che è somma Verità e sommo Bene in quanto sommo Essere). Ciò non toglie, tuttavia, che il vero e il bene siano così inseparabili dall‘essere da convertirsi con l‘essere. Da questa teoria dei trascendentali‘, che scorge ovunque perfezione, verità e bene, scaturisce quindi una delle più radicali forme di ottimismo metafisico della storia. Le cinque ―vie‖ Sebbene la filosofia dell‘essere di Tommaso sia tutta una dimostrazione dell‘esistenza di Dio, egli raccoglie ed articola le sue prove (chiamate ―vie‖) in cinque argomenti di fondo. Secondo Tommaso, se Dio è primo nell‘ordine dell‘essere, non lo è nell‘ordine delle conoscenze umane, che cominciano dai sensi. Una dimostrazione dell‘esistenza di Dio è dunque necessaria; ed essa deve muovere da ciò che è prima per noi, cioè dagli effetti sensibili ed essere a posteriori. Tommaso respinge perciò, 121 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ esplicitamente, la prova ontologica di Anselmo: anche se si intende Dio come ―ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore‖ non ne segue che egli sia in realtà (in rerum natura) e non solo nell‘intelletto. Le vie torniste, già esposte nella Somma contro i Gentili, trovano la loro formulazione classica nella Somma teologica. La prima via è la prova cosmologica, desunta dalla Fisica e dalla Metafisica di Aristotele. Essa parte dal principio che ―tutto ciò che si muove è mosso da altro‖. Ora se ciò da cui è mosso a sua volta si muove, bisogna che anch‘esso sia mosso da un‘altra cosa; e questa da un‘altra. Ma non è possibile procedere all‘infinito; altrimenti non ci sarebbe un primo motore e neppure gli altri muoverebbero, come, per esempio, il bastone non muove se non è mosso dalla mano. Dunque, è necessario giungere a un primo motore che non sia mosso da null‘altro; e per esso tutti intendono Dio. La seconda via è la prova causale. Nell‘ordine delle cause efficienti non si può risalire all‘infinito, altrimenti non vi sarebbe una prima causa e quindi neppure una causa ultima e cause intermedie: vi deve essere dunque una causa efficiente prima, che è Dio. La terza via è desunta dal rapporto tra possibile e necessario. Le cose possibili esistono solo in virtù delle cose necessarie: ma queste hanno la causa della loro necessità o in sé o in altro. Quelle che hanno la causa in altro rinviano a quest‘altro, e poiché non è possibile procedere all‘infinito, bisogna risalire a qualcosa che sia 122 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ necessario di per sé e sia causa della necessità di ciò che è necessario per altro; e questo è Dio. La quarta via è quella dei gradi. Si trova nelle cose il meno e il più del vero, del bene e di tutte le altre perfezioni: vi sarà dunque anche il grado massimo ditali perfezioni e sarà esso la causa dei gradi minori, come il fuoco, che è massimamente caldo, è la causa di tutte le cose calde. Ora la causa dell‘essere e della bontà e di ogni perfezione è Dio. La quinta via è quella che si desume dal governo delle cose. Le cose naturali, prive di intelligenza, appaiono tuttavia dirette a un fine e questo non potrebbe essere se non fossero governate da un Essere dotato di intelligenza, come la saetta non può essere diretta al bersaglio se non dall‘arciere. Vi è dunque un Essere intelligente dal quale tutte le cose naturali sono ordinate a un fine; e questo Essere è Dio. Le cinque vie pervengono all‘affermazione di Dio come Motore immobile, Causa prima, Essere necessario, Perfezione somma e Intelligenza ordinatrice. Procedendo su questa strada, la ragione può arrivare a scoprire anche altri attributi, sia per via negativa che per via positiva. La via negativa consiste nel negare di Dio tutte le imperfezioni e via positiva delle creature, giungendo in tal modo all‘idea della semplicità, unità, spiritualità ecc. di Dio. La via positiva consiste nel conoscere Dio dalle perfezioni che egli comunica alle creature; le quali perfezioni si ritrovano in Dio in grado ben più eminente che nelle creature. In concreto, la via positiva si articola 123 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ nella via causalitatis nella via eminentiae. La prima consiste nel derivare dall‘effetto, cioè dal mondo. qualche informazione circa la causa che lo ha prodotto. La seconda consiste nel liberare l‘attributo in questione dai limiti che esso possiede nelle creature e nel pensarlo al superlativo. Ora, poiché tali attributi sono affermati da Dio in modo eminente, essi non sono predicati di Dio e delle creature in modo univoco. D‘altra parte, poiché ogni perfezione mondana ha un rapporto di partecipazione e di somiglianza con Dio, essi non sono neppure predicati in modo puramente equivoco, cioè ponendo, sotto lo stesso nome, realtà completamente differenti. Imboccando una terza strada fra l‘univocità assoluta e l‘equivocità pura, Tommaso sostiene invece che fra gli attributi delle creature e quelli di Dio esiste analogia, ossia parziale somiglianza e parziale dissomiglianza. La teoria di Tommaso cerca quindi di dar ragione sia della conoscibilità di Dio, sia del carattere approssimativo ed imperfetto di tale conoscenza chiaro-scura: si sa qualcosa di Dio, altrimenti non se ne parlerebbe, neppure per negarlo: ma il nostro sapere di lui è un non-sapere: Dio è il Deus absconditus, come ci è nascosta la struttura profonda delle cose, che pure è la loro essenza. CAPITOLO 8 La filosofia rinascimentale La filosofia rinascimentale si estende lungo tutto il Quattrocento e il Cinquecento ed è dominata dalla disputa fra platonici e aristotelici. I platonici hanno un interesse di tipo religioso, mentre gli aristotelici hanno un interesse di 124 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ tipo naturalistico e ritengono che la filosofia di Aristotele sia la più adatta per studiare il mondo naturale. Il centro della scuola platonica è Firenze mentre quello della scuola aristotelica è l‘università di Padova. Inoltre, il centro degli studi platonici è un‘accademia, centro ideale per studiare l‘inquietudine del Rinascimento, mentre la sede degli studi aristotelici è l‘università, cioè la sede deputata alla ricerca sistematica. Pietro Pomponazzi Nasce a Mantova nel 1462, studia a Padova e lì insegna. Quando l‘università viene chiusa in seguito alla sconfitta di Venezia, va a Bologna ad insegnare e lì muore suicida nel 1524. In particolare nel De immortalitate anime sostiene dottrine in aperto contrasto con la chiesa cattolica ma si difende con la dottrina della doppia verità. La tesi fondamentale sostenuta da Pomponazzi è l‘identificazione dell‘ordine naturale con un ordine immutabile e necessario tale che non può essere diverso da com‘è. La filosofia di Aristotele è quella che meglio garantisce la presenza di quest‘ordine immutabile e necessario che è la condizione per ogni studio della natura in quanto se noi studiamo qualcosa che muta la nostra conoscenza sarà sempre un'opinione e non sarà mai una scienza. In una delle sue opere fondamentali, il De Incantationibus, egli esamina miracoli, magie e avvenimenti che sembrano sospendere l‘ordine naturale. Ritiene che tutti questi avvenimenti, apparentemente miracolosi e magici, appartengono all‘ordine naturale come ogni avvenimento della natura; solo si verificano raramente e gli uomini non ne hanno memoria e ritengono che siano delle sospensioni delle 125 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ leggi di natura. Il concetto di cui si serve è quello del determinismo astrologico: ogni avvenimento naturale avviene per via gerarchica e cioè Dio non agisce direttamente sulle cose del mondo ma attraverso gli astri. Una volta che egli ha causato il moto celeste, siccome la volontà di Dio è immutabile e necessaria, tutto dipende poi dal movimento astrale e non può esistere sospensione della legge di natura. Al determinismo astrologico non appartengono solo le leggi che fanno muovere e vivere le cose animate o inanimate ma anche la storia dell‘uomo e quindi anche la religione. Infatti ogni religione al suo inizio è caratterizzata da avvenimenti che gli uomini ritengono miracolosi ma poi inizia a discendere fino a quando scompare. Questo lo porta alla tesi del De immortalitate anime dove dimostra come l‘anima sia mortale. Infatti se ogni cosa nasce, vive e muore, nulla può sfuggire a quest‘ordine, compresa l‘anima dell‘uomo. Se scompaiono i corpi scompare anche l‘anima perché non ha più ragione d‘essere. Non solo non è necessario che l‘anima sia immortale dal punto di vista conoscitivo, ma neanche un‘esigenza morale determina la sua immortalità poiché non è assolutamente necessario che ci sia un premio o un castigo dopo la morte in quanto la virtù è premio a se stessa. Se poi viene anche premiata, questo fatto è accidentale, non essenziale. Così come il peccato è castigo di per se e se viene punito, è solo un fatto accidentale. L‘essenza della virtù sta nella virtù stessa, non nell‘avere un premio mentre l‘essenza del peccato sta nel peccato stesso, non nell‘essere punito. Neanche dal punto di vista morale è necessario ammettere l‘immortalità dell‘anima. 126 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Platonismo rinascimentale Una delle correnti fondamentali della filosofia rinascimentale è il Platonismo. Il ritorno a Platone è motivato dal fatto che si ritiene che il filosofare platonico, non essendo chiuso in un sistema, sia molto più moderno di quello aristotelico e quindi più idoneo alla sensibilità rinascimentale che intende la filosofia come una ricerca, un muoversi verso una verità che non è data. Inoltre si ritiene che la filosofia platonica sia quella che maggiormente si presta a intendere anche la sensibilità religiosa cristiana in quanto si reputa che Platone sia il filosofo che si è avvicinato maggiormente allo spirito del cristianesimo. Durante il Rinascimento si viene a conoscenza di quasi tutti i dialoghi di Platone. Il maggior sostenitore della superiorità della filosofia di Platone è Gemisto Pletone mentre il maggior sostenitore della di Aristotele è Giorgio Trapesunzio. Esiste un tentativo di conciliazione tra queste due posizioni operato dal cardinale Bessarione. In realtà il motivo del conflitto ideologico deriva da una diversità di interessi: per i platonici è un interesse di tipo religioso, mentre per gli aristotelici è un interesse di tipo naturalistico cioè vedono nella filosofia di Aristotele la condizione fondamentale per un approccio allo studio della natura. Nicola Cusano Nicolas Krebs è il maggior rappresentante della filosofia platonica in età rinascimentale. La sua opera più importante è il De docta ignorantia la quale tratta l‘argomento della conoscenza. Egli ritiene che la 127 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ conoscenza dell‘uomo si modelli sulla conoscenza matematica. Nell‘ambito della conoscenza noi conosciamo ciò che è ignoto solo se esso ha una proporzionalità con ciò che è già noto. Quindi la conoscenza si basa sull‘omogeneità tra noto ed ignoto come in matematica: tanto più le verità sono vicine a ciò che già conosciamo, tanto più facilmente le conosciamo. Di fronte a ciò che non è assolutamente omogeneo a quanto conosciamo noi non possiamo che proclamare la nostra ignoranza, la quale sarà però una ―dotta ignoranza‖ in quanto ne siamo consapevoli. Qui Cusano si riallaccia alla tradizione pitagorica ê la nostra conoscenza si muove nel finito. Ciò che non è omogeneo all‘oggetto della nostra conoscenza è l‘infinito che sfugge al nostro sapere. Esso sta alla finitudine della nostra conoscenza come la circonferenza ai poligoni inscritti e circoscritti. All‘uomo sfugge quindi la verità assoluta, egli conosce solo le verità relative che possono essere aumentate ma che non coincideranno mai con l‘assoluto. Questo però ci dice che l‘infinito è aldilà delle norme che regolano la nostra conoscenza e il principio logico su cui si fonda la nostra conoscenza è quello di non-contraddizione. Quindi l‘infinito sfugge al principio di non-contraddizione. Di conseguenza l‘infinito, cioè Dio è coincidenza degli opposti, quindi in Dio ci sono quegli opposti che assolutamente nel mondo umano non possono coincidere. Cusano spiega tutto questo ancora con un principio matematico. Questa separazione però non implica un‘inaccessibilità perché dopo aver separato l‘essere dal mondo lo si ritrova nel mondo con un riferimento al Parmenide. Di fronte a Dio l‘unico atteggiamento possibile è la congettura cioè il riconoscere 128 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ che è altro da noi. Una delle sue opere si intitola Non aliud. Questa gli permette di dare una spiegazione del rapporto tra Dio e il mondo che lo porta poi a presupporre delle tesi di tipo astronomico che lo avvicinano a quelle sostenute nell‘ambito della rivoluzione scientifica. Cusano usa i termini di complicatio ed esplicatio. Dio è la complicazione del molteplice nell‘Uno cioè il mondo che si piega fino a ridursi all‘unità in Dio ma contemporaneamente Dio è l‘esplicarsi dell‘unicità nella molteplicità del mondo. Questo permette una conoscenza del divino che è pura congettura e che comunque si fonda sulla soggettività umana. Cusano dice che noi vediamo Dio così come noi siamo. Il Neoplatonismo viene qui usato per spiegare la realtà partendo dalla soggettività umana. Se Dio è complicatio ed esplicatio è ovunque quindi non esiste nell‘Universo una differenza di qualità perché Dio è ovunque e l‘universo è infinito come Dio ma è un infinito costrutto in quanto si esplica nella pluralità. Marsilio Ficino Il Neoplatonismo in Italia si afferma soprattutto a Firenze dove nasce un vero e proprio centro di studi neoplatonici grazie alla collaborazione tra Cosimo il Vecchio e Marsilio Ficino. Marsilio si occupa della filologia platonica ed è anche un traduttore dei suoi dialoghi. E‘ convinto che la teologia e la filosofia siano strettamente congiunte fra loro. La separazione tra le due fa si che la teologia diventi superstizione e la filosofia malvagità. Ritiene che la filosofia platonica sia il pensiero in cui meglio si uniscono ambedue. Si tratta di platonismo filtrato. Distingue la realtà in gradi: corpo, qualità, anima, 129 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Angelo, Dio. L‘anima occupa il gradino centrale cioè essa è parimenti distante dal corpo quanto da Dio. La sua centralità fa si che essa abbia una funzione fondamentale per determinare l‘armonia del mondo. Essa può scegliere se degradarsi fino al corpo o innalzarsi fino a Dio. In questo modo costituisce tutta la realtà. L‘anima è copula mundi. Senza l‘anima non sarebbe possibile comprendere il rapporto tra quelli che sono gli estremi della realtà in quanto essa è l‘essenza media, appartiene ad ambo i mondi. Questa sua funzione fondamentale determina quelle che sono le connotazioni dell‘anima. Essa è infinita ed eterna perché spiega la ragion d‘essere del cosmo. Infatti è la misura del tempo ma siccome lo strumento di misurazione non può che essere pari a ciò che misura, allora è infinita ed eterna. E‘ libera di scegliere se scendere o salire. Dio ha creato l‘uomo attraverso un atto d‘amore quindi il cosmo è bello e quindi l‘anima nel mondo, attraverso la bellezza, può tornare a Dio. Siamo di fronte ad una concezione neoplatonica della realtà con un‘ispirazione umana non religiosa in quanto fa dell‘anima l‘essenza media perché essa è l‘unica che può apprezzare la bellezza del cosmo, quindi tutto il cosmo è in funzione dell‘anima e quindi dell‘uomo, il quale è l‘unico che può giudicare il bello. Rinascimento e naturalismo Nel Rinascimento lo studio del mondo naturale non appare più all‘uomo come un‘inutile distrazione dalla meditazione interiore. L‘uomo è diventato consapevole che il suo destino deve realizzarsi appunto nel mondo: egli si è radicato nel mondo ed è deciso a conquistarlo. La 130 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ ricerca naturale gli appare quindi indispensabile. La magia, la filosofia naturale ed infine la scienza sono le fasi attraverso le quali la ricerca naturale del Rinascimento si sviluppa e raggiunge la sua maturità. La magia si fonda su due presupposti: 1) il mondo della natura è animato, cioè mosso da forze che sono intrinsecamente simili all‘uomo; 2) è possibile all‘uomo assoggettare a sé queste forze con lusinghe e incantesimi, al modo in cui si avvince a sé, con trattamento opportuno, un essere animato. I maghi furono numerosi ed ebbero successi e favori in tutti i paesi d‘Europa. Il più delle volte praticarono la medicina promettendo guarigioni miracolose. Essi si vantavano di poter asservire le più nascoste forze della natura, di manipolarle a loro piacimento. Uno dei più famosi fu lo svizzero Paracelso, che curava le malattie con la quinta essenza di certi corpi, cioè con certi estratti che avrebbero dovuto contenere il potere attivo e curativo di metalli e di piante. Medico fu anche Gerolamo Cardano, un altro mago. vissuto tra stravaganze di ogni sorta, al quale però spetta un posto importante nella storia delle matematiche di quest‘epoca. La magia rinascimentale non è tutta fatta di superstizioni e di vecchi filosofemi rimessi a nuovo. Soprattutto nel campo della matematica essa ha dato i suoi migliori frutti. Essa ha inoltre praticato e diffuso il metodo dell‘esperimento, sia pure complicandolo con presupposti animistici che portavano spesso ad affermazioni fantastiche, a pregiudizi e a credenze contrarie allo spirito critico della scienza, quale si doveva organizzare e si veniva organizzando per opera di menti più rigorose. Telesio 131 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Vicina alla magia e spesso intrecciata con essa, è la filosofia della natura del Rinascimento, che conta i nomi di Telesio, di Bruno e Campanella. Bernardino Telesio nacque a Cosenza nel 1509 e si addottorò a Padova nel 1535. Pubblicava nel 1565 i primi due libri dell‘opera La natura secondo i propri principi e tre anni prima della morte l‘opera intera in 9 libri. Telesio considera la natura come un mondo a sé, che si regge su principi propri e può essere spiegato solo in base a questi principi, escludendo ogni forza metafisica. Come sensibilità., l‘uomo è infatti esso stesso natura: perciò ciò che la natura stessa rivela‖ e ciò che i sensi testimoniano s( n( la stessa e medesima cosa. La sensibilità non è altro che l‘autorivelazione della natura nell‘uomo. Queste affermazioni di Telesio hanno grande importanza per lo sviluppo ulteriore dell‘indagine naturalista. Telesio ritiene che la natura debba essere spiegata mediante le due forze principali che agiscono in essa, il caldo e il freddo: il caldo ha sede nel sole, dilata le cose e le rende leggere e adatte al movimento: il freddo ha sede nella terra, condensa le cose, le rende pesanti e quindi immobili. Il caldo e il freddo, come forze corporee, hanno bisogno di una massa corporea che possa subire l‘azione dell‘uno e dell‘altro: questa massa, provvista di inerzia, è il terzo principio naturale. Conseguentemente Telesio ritiene che soltanto il sole e la terra siano elementi originari: non sono tali invece l‘acqua e l‘aria che risultano dalla composizione dei due primi. La sua fisica si mantiene sul piano qualitativo, Tuttavia egli avverte l‘esigenza di un‘analisi quantitativa, necessaria per determinare la quantità di 132 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ calore sufficiente a produrre i singoli effetti naturali. Pur dichiarando di non poter per suo conto soddisfare questa esigenza, per la limitatezza del tempo che ha potuto dedicare allo studio della natura, egli afferma che solo questa analisi quantitativa può rendere gli uomini non solo sapienti, ma potenti, cioè può dare ad essi il controllo delle forze naturali. Contro Aristotele, Telesio svolge una critica minuta che investe tutti i punti della fisica peripatetica. La fisica di Telesio ha conservato il presupposto fondamentale della magia. l‘animazione della natura, che dovrà essere eliminato dalla vera e propria considerazione scientifica del mondo naturale. Tuttavia Telesio ha affermato l‘oggettività del mondo naturale in un modo che ha aperto la strada all‘indagine scientifica. Sotto questo aspetto il suo vero continuatore può dirsi Galilei. Bruno e Campanella ritornano invece alla metafisica e alla magia. Giordano Bruno (1548-1600) Giordano Bruno nacque a Nola nel 1548 ed entrò nell‘ordine domenicano. Venuto in urto con l‘ambiente ecclesiastico, andò in giro per l‘Europa. Per invito del patrizio veneziano Mocenigo, dalla Germania si recò a Venezia; ma qui dal Mocenigo stesso fu denunciato all‘Inquisizione e arrestato: Bruno si sottomise all‘abiura. Ma, trasferito all‘Inquisizione di Roma, rimase in carcere sette anni rispondendo, ai ripetuti inviti a ritrattare le sue dottrine, di non aver nulla da ritrattare. Veniva perciò condannato e il 17 febbraio 1600 arso vivo in Campo dei Fiori. Gli scritti principali di Bruno sono i dialoghi italiani e i poemi latini. Dei dialoghi italiani alcuni espongono la 133 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ filosofia naturale (La cena delle ceneri, Della causa, principio et uno, De l’infinito universo e mondi); altri sono di carattere morale (Lo spaccio della bestia trionfante, Cabala del cavallo Pegaseo, Degli eroici furori). I poemi latini sono tre: De minimo, De monade, De immenso et innumerabilibus. La religione della natura La religiosità del Bruno è una religione dell‘infinito. Bruno vuole abolire ogni limite dell‘universo e proiettare nell‘infinito l‘anima, il movimento, la vita. Quanto alle vere e proprie religioni positive e allo stesso cristianesimo, Bruno ne ammette l‘utilità per il governo dei rozzi, ma le considera come ignoranza e superstizione. Egli porta la sua indagine esclusivamente sul mondo naturale e si rifiuta ad ogni speculazione teologica. A Dio non si può risalire partendo dagli effetti naturali, come non si può conoscere uno scultore dalle sue statue. Perciò Bruno considera Dio solo in quanto è il principio immanente della natura. In questo senso, Dio è causa e principio del mondo. Ma sia come causa sia come principio delle cose naturali Dio non si distingue dalla natura: La natura o è Dio o è la virtù divina che si manifesta nelle cose. Come principio Dio è l‘intelletto universale, cioè la prima facoltà dell‘anima del inondo. Il mondo è un tutto animato e Dio è l‘artefice interno che anima e forma tutte le cose. C‘è un‘unica materia del mondo e c‘è un‘unica forma. cioè un unico principio animatore: materia e forma insieme costituiscono la Natura o Dio. Ma come unità di materia e forma. Dio è il Tutto, l‘Universo, l‘Essere nella sua totalità: l‘attributo fondamentale è l‘infinità. Del mondo si può dire che il 134 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ centro è dappertutto e la circonferenza in nessun luogo. A difendere e ad esaltare liricamente l‘infinità del mondo sono dedicati la Cena delle ceneri, il De l’infinito universo e mondi e il De immenso. La difesa che Bruno fa del sistema di Copernico è mossa appunto dalla possibilità che questo sistema gli offre di intendere e di affermare l‘infinità del mondo. Bruno è in realtà indifferente ai vantaggi scientifici dell‘ipotesi copernicana ed è assai dubbio che ne abbia veramente inteso l‘impostazione geometrica. Alla predilezione di Bruno per l‘infinito si deve il suo disprezzo per Aristotele che aveva negato la realtà all‘infinito e aveva affermato la finitezza del mondo, scorgendo nell‘infinito incompiutezza, assenza di determinazioni e quindi disordine. Nel De immenso egli controbatte la tesi aristotelica, affermando che non è perfetto ciò che è completo e chiuso, ma ciò che comprende innumerevoli mondi e quindi ogni genere, ogni specie, ogni misura, ogni ordine e ogni potere. Ma la vera infinità secondo Bruno non è quella spaziale propria della massa corporea dell‘universo, ma quella di Dio, che è tutto n tutto il mondo e tutto in ciascuna parte di esso. L‘infinito e l‘uomo Il più alto grado della conoscenza umana è, secondo Bruno, l‘unione intima con la natura nella sua sostanziale unità. Questo è il significato del mito di Atteone esposto negli Eroici furori. Atteone che giunse a contemplare Diana ignuda e fu trasformato in cervo, diventando caccia da cacciatore che era, è il simbolo dell‘anima umana che, andando in cerca della natura e giunta finalmente a vederla, diventa essa stessa natura. Il termine più alto della 135 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ speculazione filosofica è la visione della natura nella sua unità. Quest‘identificarsi dell‘uomo con la natura è il termine ultimo non soltanto della conoscenza, ma anche dell‘azione. In Dio necessità e libertà si identificano: egli non può volere in ogni caso che l‘ottimo e quindi non conosce l‘indecisione e la scelta. Se la libertà umana fosse perfetta, sarebbe come quella di Dio: coinciderebbe con la necessità della natura. Le tesi cosmologiche rivoluzionarie di Bruno Bruno giunge ad una nuova visione dell‘universo, che non deriva osservazioni astronomiche o calcoli matematici, in cui il filosofo fu poco competente, bensì da una intuizione di fondo del suo pensiero circa l‘infinità. L‘idea è la seguente: se la terra è un pianeta che gira attorno al sole, le stelle che si vedono nelle notti serene e che gli antichi vedevano attaccate all‘ultima parete del mondo, non potrebbero essere tutte immobili soli circondati dai rispettivi pianeti? Per cui l‘universo, anziché essere composto da un sistema unico, il nostro, non potrebbe ospitare in sé un numero il1imitato di stelle-soli? Di fronte a questi interrogativi Bruno, pur ammettendo che ―non è chi l‘abbia mai osservato‖, conclude razionalmente che ―sono dunque soli innumerabili, sono terre infinite, che similmente circuiscono quei soli, come veggiamo questi sette circuire questo sole a noi vicino‖. Le tesi cosmologiche rivoluzionarie presenti in Bruno, sono: 1) Abbattimento delle mura esterne dell‘universo; 2) Pluralità dei mondi e loro abitabilità; 136 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ 3) Identità di struttura fra cielo e terra: 4) Geometrizzazione dello spazio cosmico: 5) Infinità dell‘universo La prima tesi implica la distruzione dell‘idea secolare dei confini del mondo, cui lo stesso Copernico era rimasto fedele, parlando dell‘ultima sfera mundi. In realtà, per Bruno le muraglie celesti non esistono, perché l‘universo è aperto in ogni direzione e le supposte stelle fisse si trovano disperse in uno spazio senza limite. La seconda tesi, implica la moltiplicazione all‘infinito dei corpi che ―corrono‘ per il cielo, ossia il concetto di una pluralità illimitata di sistemi solari, che Bruno ritiene popolati da creature viventi, senzienti e razionali: abitati i pianeti del nostro mondo, abitate le costellazioni più lontane, abitati gli ―abissi‖ più remoti dello spazio. 137 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ CAPITOLO 9 La rivoluzione scientifica La Rivoluzione scientifica è il periodo culturale che va dalla pubblicazione del capolavoro di Copernico, Le rivoluzioni dei corpi celesti (1543), all‘opera di Newton, i Principi matematici della filosofia naturale (1687). A caratterizzare questo nuovo periodo culturale sono nuove teorie e nuovi esperimenti, metodi, strumenti, ma soprattutto una nuova immagine della scienza e dello scienziato. Nell‘ambito del pensiero scientifico, per la prima volta diviene preminente il principio della matematizzazione della natura e l‘attenzione all‘aspetto quantitativo della realtà. Le grandi scoperte scientifiche disegnano i confini di un mondo nuovo rispetto a quello medioevale e rinascimentale. Le teorie di Copernico, Keplero e Galileo, che mettono in crisi la fisica aristotelica e avviano l‘elaborazione del nuovo sistema della natura che sarà poi edificato nella grande sintesi di Newton, sono solo alcuni esempi delle innovazioni culturali apportate dalla nuova scienza. A esse possiamo aggiungere la scoperta della circolazione del sangue operata da Harwey e gli studi sul magnetismo di Gilbert. le ricerche di chimica, di biologia, che avviano una nuova era per queste discipline. Le grandi istituzioni scientifiche che sorgono in questo periodo (come la Royal Society in Inghilterra) rappresentano un chiaro segnale di questo mutato clima intellettuale, mentre le questioni metodologiche e metafisiche proposte da pensatori come Bacone e Cartesio mostrano l‘esigenza avvertita dalla filosofia di offrire una 138 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ nuova interpretazione del problema della conoscenza e della realtà alla luce della nuova aria culturale. La rivoluzione astronomica Il modello dell‘astronomia aristotelico-tolemaica che Copernico sovverte, sosteneva: il mondo celeste era perfetto e incorruttibile, quello terrestre imperfetto e corruttibile; i corpi celesti erano infissi entro sfere e si muovevano con moto circolare; la Terra era immobile e collocata al centro del cosmo; l‘universo era finito; la scienza astronomica si fondava su un impianto qualitativo e non quantitativo. Con Copernico gran parte di questi capisaldi dell‘astronomia vengono a cadere, così come verrà a cadere, soprattutto con Keplero, quell‘impianto qualitativo della fisica, sostituito da un nuovo modello matematico. Per la verità, la concezione eliocentrica non era nuova, essendo stata sostenuta nell‘antichità, ad esempio da Aristarco di Samo. D‘altra parte, il sistema elaborato da Aristotele, Eudosso e Tolomeo, pur essendo in grado di spiegare molti dei fenomeni celesti noti nell‘antichità e nel Medioevo, aveva lasciato irrisolti numerosi problemi, in particolare quelli legati alle diverse traiettorie delle stelle e dei pianeti. Le stelle si muovevano come se fossero infisse su un‘immensa sfera ruotante; i pianeti, invece, sembravano avere traiettorie irregolari (Marte, ad esempio, si avvicinava alla Terra, poi rallentava, invertiva la direzione e si allontanava). Si cercò di spiegare queste traiettorie attraverso un complicatissimo sistema di circonferenze (gli epicicli, il cui centro si muoveva a sua volta su un‘altra orbita circolare (il deferente), rispetto alla quale la Terra risultava 139 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ leggermente eccentrica, cioè spostata rispetto al centro geometrico, I dati osservativi raccolti nel corso dei secoli, avevano costretto astronomi e matematici a complicare ulteriormente il modello tolemaico, aggiungendo sfere ed epicicli. Copernico (1473-1543) descrive il suo sistema nell‘opera De revolutionibus orbium caelestium. Al centro dell‘universo sta immobile il Sole, attorno al Sole ruotano i pianeti; la Terra è uno di questi ed essa gira anche su se stessa, dando origine al moto apparente, attorno ad essa, del Sole, dei pianeti, delle stelle. La Luna ruota attorno alla Terra; infine, lontano dal Sole e dai pianeti stanno fisse le stelle. Per Copernico dunque l‘universo era ancora sferico, unico e chiuso dal cielo delle stelle fisse; egli accettava inoltre il principio della perfezione dei moti circolari uniformi delle sfere cristalline, pensate ancora come entità reali e incorruttibili. Tykho Brahe (1546-1601) Attraverso un grande lavoro di osservazione mette in evidenza alcuni limiti dell‘impianto aristotelico-tolemaico, ancora presenti nel sistema copernicano. Descrivendo, ad esempio, l‘orbita di una grande cometa, l‘astronomo stabilisce che essa interseca quella dei pianeti, eliminando così la possibilità che esistano delle sfere cristalline. La cometa osservata possiede, inoltre, un‘orbita ovale: ciò esclude, quindi, la circolarità dei moti celesti. Per superare queste difficoltà, Brahe elabora un modello astronomico che si colloca in una posizione intermedia fra quelli di Tolomeo e di Copernico: la Terra è al centro dell‘universo, soggetta al solo movimento rotatorio e non alla rivoluzione annua:il 140 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Sole le ruota intorno e gli altri pianeti ruotano intorno al Sole. La soluzione presenta il duplice vantaggio di soddisfare le autorità religiose (mantenendo la centralità della Terra) e gli scienziati (sostenendo il moto dei pianeti). Keplero (1571-1630), pur accettando il sistema eliocentrico, è consapevole delle difficoltà e dei limiti riscontrabili nel modello copernicano. Dalla sua ispirazione platonica e pitagorica Keplero deriva l‘esigenza di formulare leggi rigorose capaci di dare ragione del funzionamento del cosmo e di evidenziarne la struttura essenzialmente matematica. Giunge così alla elaborazione di tre leggi: 1. le orbite dei pianeti sono ellissi di cui il Sole occupa uno dei fuochi; 2. nel moto di ogni pianeta il raggio vettore descrive aree uguali in tempi uguali; 3. i quadrati dei periodi di rivoluzione dei pianeti sono proporzionali ai cubi della loro distanza media dal Sole. Con l‘introduzione delle orbite ellittiche Keplero riesce a prevedere la posizione dei pianeti e a far coincidere le previsioni con le osservazioni. Con la seconda legge egli stabilisce che, essendo le orbite ellittiche e non circolari, la velocità di un pianeta non può essere uniforme, ma è maggiore quando esso è più vicino al Sole (si trova cioè nel perielio) e minore quando è più lontano. La rivoluzione scientifica Dalla rivoluzione scientifica in genere e dalla metodologia galileiana in particolare emerge: 1) la concezione della natura come ordine oggettivo e causalmente strutturato di 141 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ relazioni governate da leggi; 2) la concezione della scienza come sapere sperimentale, matematico e valido intersoggettivamente, che ha come scopo la conoscenza progressiva del mondo e il suo dominio a vantaggio dell‘uomo (da qui lo sviluppo della tecnica e della tecnologia). La natura è un ordine oggettivo perché non si riferisce a fini umani. Solo escludendo il punto di vista antropologico dalla natura risulta possibile studiare oggettivamente la realtà. La natura è un ordine causale, intendendo per causalità un rapporto costante ed univoco fra due o più fatti, dei quali dato l‘uno è dato anche l‘altro. L‘unico tipo di causa ammessa è quella efficiente: alla scienza non interessa il perché finale o lo scopo dei fatti, ma solo le loro cause efficienti cioè le forze che li producono. La natura è un insieme di relazioni perché il ricercatore indaga le relazioni causali riconoscibili che legano i fatti. I fatti sono governati da leggi, che rappresentano i modi necessari o i principi invarianti (i codici) con cui pera la natura. La scienza è un sapere sperimentale perché si fonda sull‘osservazione dei fatti e le sue ipotesi vengono giustificate su base empirica e non puramente teorica o razionale. L‘esperienza di cui parla la scienza è una costruzione complessa, su basi matematiche, che mette capo all‘esperimento, ad una procedura appositamente costruita per la verifica delle ipotesi. La scienza è un sapere matematico che si fonda sul calcolo e sulla misura: la quantificazione è una delle condizioni imprescindibili dello studio della natura. La scienza è un sapere intersoggettivo perché i suoi procedimenti vogliono essere pubblici, cioè accessibili a tutti, e le sue scoperte pretendono di essere valide, ossia controllabili, da 142 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ chiunque. In tal senso essa vuole distinguersi dalla magia e dalle scienze occulte che considerano la conoscenza un patrimonio di una cerchia ristretta di individui. La scienza ha come fine la conoscenza oggettiva del mondo e delle sue leggi. Conoscere le leggi naturali vuol dire poter controllare e dirigere a nostro vantaggio la natura. In tal modo si profila quella alleanza tra tecnici e scienziati che porta al superamento dell‘abisso tra scienza pura e le sue applicazioni pratiche. D‘ora in poi la scienza apparirà come il prototipo del sapere rigoroso e universale. Sul piano pratico, la scienza apparirà come socialmente utile, capace di migliorare le condizioni dell‘uomo. L‘idea della scienza come sapere vero ed utile sarà alla base, nell‘Illuminismo, della lotta contro l‘ignoranza, la superstizione e le ingiustizie sociali. Galileo Galilei Autonomia della scienza e rifiuto del principio di autorità Il primo risultato storicamente decisivo dell‘opera di Galileo è la difesa dell‘autonomia della scienza, cioè la salvaguardia dell‘indipendenza del nuovo sapere da ogni ingerenza esterna. Da ciò la sua lotta, che riguardò sostanzialmente due fronti: l‘autorità religiosa, personificata dalla Chiesa, e l‘autorità culturale, personificata dagli aristotelici. La polemica contro la Chiesa La Controriforma aveva stabilito che ogni forma di sapere dovesse essere in armonia con la Sacra Scrittura, nella precisa interpretazione che ne aveva fornito la Chiesa 143 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ cattolica. Il cardinal Bellarmino, sosteneva che il negare certi dati di fatto delle Scritture, pur non intaccando i fondamenti della fede, invalidasse la verità della Bibbia, che essendo scritta sotto ispirazione dello Spirito Santo, non poteva che essere vera in tutte le sue affermazioni. Galileo, scienziato e uomo di fede, pensa invece che una posizione del genere avrebbe ostacolato il libero sviluppo del sapere e danneggiato la religione stessa, che rimanendo ancorata a tesi dichiarate false dal progresso scientifico, avrebbe inevitabilmente finito per squalificarsi dinanzi agli occhi dei credenti. Di conseguenza, nelle cosiddette lettere copernicane (una inviata a don Benedetto Castelli, due a monsignor Dini e una a madama Cristina di Lorena, granduchessa di Toscana) Galileo affronta il problema dei rapporti fra scienza e fede. La natura (oggetto della scienza) e la Bibbia (base della religione) derivano entrambe da Dio. Come tali, esse non possono contraddirsi fra di loro. Eventuali contrasti fra verità scientifica e religiosa sono quindi soltanto apparenti e vanno risolti rivedendo l‘interpretazione della Bibbia, dato che le Scritture hanno dovuto accomodarsi alle capacità dei popoli rozzi ed usare quindi un linguaggio antropomorfico e popolare, mentre la Natura e le sue leggi seguono un corso inesorabile ed immutabile, senza doversi piegare alle esigenze umane; la Bibbia non contiene principi che riguardano le leggi di natura, ma verità che riguardano il destino ultimo dell‘uomo, premendo ad essa d‘insegnarci ―come si vadia, e non come vadia il cielo‖ (Lettera a Madama Cristina). In conclusione, se la Bibbia è arbitra nel campo etico-religioso, la scienza è arbitra nel campo naturale, in relazione alle quali non è la scienza che 144 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ deve adattarsi alla Bibbia, ma l‘interpretazione della Bibbia che deve adattarsi alla scienza. La polemica contro gli aristotelici Indipendente dall‘autorità religiosa della Bibbia, la scienza deve esserlo altrettanto nei confronti di quella culturale di Aristotele e del passato. Galileo mostra grande stima per lui e per gli altri scienziati antichi, ritenendoli uomini amanti della verità e della ricerca. Il suo disprezzo colpisce piuttosto gli aristotelici contemporanei, che anziché osservare direttamente la natura e conformare ad essa le loro opinioni, si limitano a consultare i testi delle biblioteche, vivendo in un astratto mondo di carta, con la convinzione che il mondo sta come scrisse Aristotile e non come vuole la natura. Ma se il filosofo greco tornasse al mondo, sostiene Galileo, egli riconoscerebbe lui come suo genuino discepolo e si mostrerebbe certo disposto a cambiare le proprie idee, in armonia con le nuove scoperte. Invece gli aristotelici continuano ad offrire il triste spettacolo di un dogmatismo antiscientifico che ostacola l‘avanzamento del sapere. Emblematico, a questo proposito, il racconto di uno dei personaggi del Dialogo, che avendo potuto osservare insieme ad altri, in casa di un medico, che in un cadavere umano i nervi partono dal cervello e non dal cuore, secondo quanto scrive Aristotele, ebbe occasione di sentir fare da un uomo ch‘egli conosceva per filosofo peripatetico un discorso di questo tipo: Voi mi avete fatto veder questa cosa talmente aperta e sensata, che quando il testo d‘Aristotele non fusse in contrario, che apertamente dice i nervi nascer dal cuore, bisognerebbe per forza confessarla per vera. 145 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Il metodo della scienza Un altro risultato storicamente decisivo dell‘opera di Galileo, padre della scienza moderna, è l‘elaborazione del metodo della fisica, anche se, in Galileo, non vi è una teoria sistematica del metodo, ma piuttosto una serie di applicazioni concrete nei campi dalla fisica e dell‘astronomia. Tuttavia Galileo tende ad articolare il lavoro della scienza in due parti fondamentali: il momento risolutivo o analitico e quello compositivo o sintetico. Il primo consiste nel risolvere un fenomeno complesso nei suoi elementi semplici, quantitativi e misurabili, formulando un‘ipotesi matematica sulla legge da cui dipende. Il secondo momento risiede nella verifica e nell‘esperimento, attraverso cui si tenta di comporre o riprodurre artificialmente il fenomeno, in modo tale che se l‘ipotesi supera la prova, risultando quindi verificata, essa venga accettata e formulata in termini di legge. Sensate esperienze e necessarie dimostrazioni Nella lettera a Cristina di Lorena Galileo scrive: ―pare che quello degli effetti naturali che a sensata esperienza ci pone dinanzi agli occhi o le necessarie dimostrazioni ci concludono, non debba in conto alcuno esser revocato in dubbio‖. Questo passo è altamente significativo, poiché in esso Galileo ha messo il cuore stesso del suo metodo e la strada effettivamente seguita nelle sue scoperte. Con l‘espressione ―sensate esperienze‖ (esperienze dei sensi), con primario riferimento alla vista, Galileo ha voluto evidenziare il momento osservativo della scienza, fondamentale in talune scoperte (come quelle relative ai 146 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ corpi celesti). Infatti, in certi casi, la scienza galileiana, attraverso un‘attenta ricognizione dei fatti e dei casi particolari induce, sulla base dell‘osservazione, una legge generale (ad esempio quella relativa alle fasi di Venere). È questo il momento più noto del metodo scientifico, denominato appunto sperimentale. Con l‘espressione ―necessarie dimostrazioni‖ Galileo ha voluto evidenziare il momento teorico o deduttivo della scienza, fondamentale in altre scoperte (ad esempio quella sul principio d‘inerzia o sulla caduta dei gravi). Le necessarie dimostrazioni, o matematiche dimostrazioni, sono i ragionamenti logici. condotti su base matematica, attraverso cui il ricercatore, partendo da una intuizione di base e procedendo per una ―supposizione‖ formula in teoria le sue ipotesi, riservandosi di verificarle nella pratica. Tipica, in questo senso, è la via seguita da Galileo nell‘intuizione teorica del principio di inerzia. Immaginiamo — scrive Galileo — una superficie ―piana, pulitissima come uno specchio e di materia dura come l‘acciaio, e che fusse non parallela all‘orizzonte, ma alquanto inclinata, e che sopra di essa voi poneste una palla perfettamente sferica e di materia grave e durissima, come, verbigrazia, di bronzo‖. Anche senza fare l‘esperimento concreto, argomenta Galileo. sappiamo che si muoverà lungo la superficie. E se ipotizziamo mentalmente che sia tolta anche l‘azione frenante dell‘aria e di altri possibili ―impedimenti esterni ―, come pensiamo si comporterà? Ovviamente ‗ella continuerebbe a muoversi all‘infinito, se tanto durasse la inclinazione del piano e con movimento accelerato continuamente; ché tale è la natura dei mobili gravi, che acquistano forza muovendosi, che quanto maggior fusse la 147 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ declività, maggior sarebbe la velocità‖. Sostituendo poi la superficie inclinata con una orizzontale, si potrà anche dedurre che la medesima palla ―perfettissimamente rotonda‖, se fosse spinta sul medesimo piano continuerebbe indefinitamente il suo moto, ammesso che lo spazio ―fosse interminato‖ e che non intervenisse una forza esterna ‘a variarne o arrestarne il moto. Procedendo teoricamente e giustificando tramite un esperimento ―ideale‖ una propria intuizione, Galileo è quindi pervenuto ad una basilare scoperta fisica, Induzione e deduzione La compresenza, nella visione metodologica di Galileo, delle sensate esperienze e delle necessarie dimostrazioni ha fatto sì che Galileo sia stato presentato talora come un sostanziale ―induttivista‖, cioè come un ricercatore che dall‘osservazione instancabile dei fatti naturali perviene a scoprire le leggi che regolano i fenomeni; oppure, al contrario, come un convinto deduttivista‖, più fiducioso nelle capacità della ragione che in quelle dell‘osservazione. Galileo non è solo, o prevalentemente, induttivista, né solo, o prevalentemente, deduttivista, poiché è tutte e due le cose insieme. Innanzitutto le sensate esperienze presuppongono sempre un riferimento alle necessarie dimostrazioni, in quanto vengono rielaborate in un contesto matematico-razionale e quindi spogliate dei loro caratteri qualitativi e ridotte alla loro struttura puramente quantitativa. In secondo luogo esse, sin dall‘inizio, sono ‗cariche di teoria‘, in quanto illuminate da un‘ipotesi che le sceglie e le seleziona, fungendo, nei loro confronti, da freccia indicatrice e setaccio discriminatore, 148 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Galileo scoprì ignoti fenomeni astronomici basandosi sul senso della vista, potenziata dal telescopio, ma la decisione stessa di studiare i cieli e di puntare il cannocchiale su determinati fenomeni deriva dalla iniziale accettazione dell‘ipotesi copernicana. Presupposti filosofici del metodo Galileo, pur non essendo un filosofo e pur non avendo mai proceduto ad una fondazione sistematica del proprio metodo, si è ispirato, in concreto, ad alcune idee generali, di tipo filosofico, attinte dalla tradizione o da dottrine contemporanee, ma originalmente rielaborate ed atteggiate. La fiducia galileiana nella matematica, ad esempio, richiama la dottrina platonico-pitagorica della struttura matematica del cosmo: ―La filosofia è scritta in questo grandissimo libro, che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (io dico l‘Universo), ma non si può intendere se prima non s‘impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri ne‘ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto‖. La credenza nella validità del rapporto causale e delle leggi generali scoperte dalla scienza, basate sul principio che a cause simili corrispondano necessariamente effetti simili, viene suggerita e avvalorata dalla persuasione dell‘uniformità dell‘ordine naturale. La fiducia nella verità assoluta della scienza viene confortata mediante la teoria secondo cui la conoscenza 149 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ umana, pur differendo da quella divina per il modo di apprendere e per l‘estensione di nozioni possedute, risulta simile per il grado di certezza. Infatti, mentre Dio conosce intuitivamente, cioè in modo immediato, la verità, l‘uomo la conquista progressivamente attraverso il ragionamento discorsivo. Inoltre Dio conosce tutte le infinite vendi, mentre l‘uomo solo alcune di esse. Tuttavia, per quanto riguarda le dimostrazioni matematiche, la della certezza è identica (in quanto, ad esempio, 2 + 2 = 4 sia per noi che per Dio). Non c‘è una conoscenza dell‘assoluto, ma ci sono bensì conoscenze assolutamente certe. F. Bacone (1561-1620) Francis Bacon, italianizzato in Francesco Bacone (Londra, 1561–1626) è stato oltre che un filosofo anche uomo politico. Il profeta della tecnica Se Galilei ha chiarito il metodo della ricerca scientifica, Bacone ha concepito la scienza essenzialmente diretta a realizzare il dominio dell‘uomo sulla natura. Dunque può dirsi il filosofo e il profeta della tecnica, poiché voleva rendere la scienza attiva e operante al servizio dell‘uomo, al servizio di una tecnica che doveva dare all‘uomo il dominio di ogni parte del mondo naturale. Quando nella Nuova Atlantide, ricorrendo al pretesto della descrizione di un‘isola sconosciuta, immagina una società ideale, pensa a un paradiso della tecnica dove vengono realizzate le più grandi invenzioni. E difatti in questo scritto (rimasto 150 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ incompiuto) l‘isola della Nuova Atlantide è descritta come un enorme laboratorio sperimentale, nel quale gli abitanti cercano di conoscere tutte le forze nascoste della natura per estendere i confini dell‘impero umano ad ogni cosa possibile. I numi tutelari dell‘isola sono i grandi inventori di tutti i paesi; e le sacre reliquie sono gli esemplari di tutte le più rare e grandi invenzioni. Bacone ha dedicato la sua maggiore attività al progetto di un‘enciclopedia delle scienze che doveva rinnovare completamente la ricerca scientifica. Il piano grandioso di questa enciclopedia ci è dato nello scritto Sulla dignità e sull’accrescimento delle scienze pubblicato nel 1623 e comprende: le scienze che si fondano sulla memoria; quelle che si fondano sulla fantasia; e quelle che si fondano sulla ragione. Di tutte queste scienze egli avrebbe dovuto dare le direttive nella sua Instauratio magna. Di questo vasto progetto Bacone ha realizzato adeguatamente soltanto il Nuovo Organo. La nuova logica della scienza Il Nuovo Organo è una logica del procedimento tecnicoscientifico che viene polemicamente contrapposta alla logica aristotelica, ritenuta adatta soltanto alle dispute verbali. Con la vecchia logica si espugna l‘avversario, con la nuova si espugna la natura. Questa espugnazione della natura è il compito fondamentale della scienza. La scienza è posta così interamente al servizio dell‘uomo; e l‘uomo, ministro e interprete della natura, tanto opera e intende, quanto dell‘ordine della natura ha osservato o con l‘esperienza o con la riflessione. La scienza e la potenza umana coincidono: l‘ignoranza della causa rende impossibile conseguire l‘effetto. Non si vince la natura se 151 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ non obbedendole. Ma i sensi soltanto non bastano a fornire una guida sicura, solo gli esperimenti forniscono responsi certi. L‘esperimento rappresenta per Bacone ―il connubio della mente e dell‘universo‖, dal quale egli si attende una prole numerosa di invenzioni e gli strumenti atti a domare e a mitigare almeno in parte la necessità. e le miserie degli uomini. Ma l‘unione tra la mente e l‘universo non si può celebrare finché la mente rimane irretita in errori e pregiudizi che le impediscano di interpretare la natura. Bacone oppone l‘interpretazione della natura all‘anticipazione della natura. L‘anticipazione della natura prescinde dall‘esperimento e passa immediatamente dalle cose particolari sensibili ad assiomi generali. L‘interpretazione della natura utilizza un metodo graduale che va dai sensi e dalle cose particolari agli assiomi. Il primo libro del Novum Organum è diretto a purificare l‘intelletto da una serie di pregiudizi (idòla) e stabilisce una triplice critica: critica delle filosofie e critica della ragione umana naturale, rispettivamente dirette ad eliminare i pregiudizi che si sono radicati nella mente umana o attraverso dottrine filosofiche attraverso dimostrazioni desunte da principi errati o per la natura stessa dell‘intelletto umano. Le anticipazioni che si radicano nella stessa natura umana sono quelle che Bacone chiama idòla tribus e idòla specus: gli idòla tribus sono comuni a tutti gli uomini, gli idola specus sono propri di ciascun individuo. L‘intelletto umano è portato a supporre nella natura un‘armonia molto maggiore di quella che c‘è. Inoltre è impaziente, vuol procedere sempre al di là di ciò che gli è dato, e pretende che la natura si adatti alle sue esigenze, respingendo così di essa ciò che non gli 152 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ conviene. Tutte queste disposizioni naturali sono fonti di idòla tribus; e la principale fonte di tali idòla è poi l‘insufficienza dei sensi ai quali sfuggono tutte le forze nascoste della natura. Gli idòla specus invece dipendono dall‘educazione, dalle abitudini e dai casi fortuiti in cui ciascuno viene a trovarsi. E così in generale ogni uomo ha le sue propensioni per gli antichi o per i moderni, per il vecchio o per il nuovo, per ciò che è semplice o per ciò che è complesso, per le somiglianze o per le differenze; e tutte queste propensioni sono fonti di idòla specus, quasi che ogni uomo avesse nel suo interno una spelonca o caverna (= specus) che rifrange e distorce il lume della natura. Oltre queste due specie naturali di idoli, ci sono quelli avventizi o provenienti dal di fuori: idòla fori e idòla theatri. Gli idoli della piazza derivano dal linguaggio. Gli uomini credono d‘imporre la loro ragione alle parole: ma accade anche che le parole nascondano errori. Gli idoli che derivano dalle parole sono di due specie: o sono nomi di cose che non esistono o sono nomi di cose che esistono ma confusi e male determinati. Della prima specie sono i nomi di fortuna, primo mobile, elemento del fuoco, e simili che hanno origine da false teorie. Alla seconda specie appartengono, per esempio. la parola umido, che indica cose diversissime, le parole che indicano qualità come grave, leggero, poroso, denso ecc. Tali sono gli idòla fori, così detti perché generati da quelle convenzioni umane che sono rese necessarie dai rapporti tra uomo e uomo. L‘ultimo genere di pregiudizi è quello degli idòla theatri che derivano dalle dottrine filosofiche del passato o da dimostrazioni errate. Bacone li chiama così perché paragona i sistemi filosofici del passato a favole, che sono 153 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ come mondi fittizi o scene di teatro. Le dottrine filosofiche, e quindi gli idola theatri, sono moltissime e Bacone non se ne propone la confutazione particolare. Fra le cause che impediscono agli uomini di liberarsi dagli idoli e di procedere nella conoscenza effettiva della natura, Bacone pone in primo luogo la sudditanza nei confronti della sapienza antica. Al contrario, dovremmo aspettarci dall‘età nostra molte più verità che dagli antichi tempi, perché essa è stata arricchita nel corso del tempo da infiniti esperimenti ed osservazioni. La verità, scrive Bacone, è figlia del tempo non dell‘autorità. Il metodo induttivo La ricerca scientifica non si fonda né soltanto sui sensi né soltanto sull‘intelletto. Se l‘intelletto per suo conto non produce che nozioni arbitrarie e infeconde e se i sensi dall‘altro lato non danno che indicazioni inconcludenti, la scienza non potrà costituirsi come conoscenza vera e feconda di risultati se non in quanto imporr. all‘esperienza sensibile la disciplina dell‘intelletto e all‘intelletto la disciplina dell‘esperienza sensibile. Il procedimento che realizza questa esigenza è, secondo Bacone, quello dell‘induzione. Bacone si preoccupa di distinguere nettamente la sua induzione da quella aristotelica. L‘induzione aristotelica, cioè l‘induzione puramente logica che non morde sulla realtà, è un‘induzione per semplice numerazione dei casi particolari. Invece l‘induzione che è utile all‘invenzione e alla dimostrazione delle scienze e delle arti si fonda sulla scelta e sull‘eliminazione dei casi particolari: scelta ed eliminazione ripetute successivamente più volte sotto il 154 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ controllo dell‘esperimento, fino a giungere alla determinazione della vera legge del fenomeno. Questa induzione procede quindi senza salti e per gradi: risale cioè gradualmente dai fatti particolari a principi più generali e solo da ultimo giunge agli assiomi generalissimi. A questo fine servono le tavole, che sono coordinazioni delle istanze, cioè dei particolari aspetti di un fatto. Le tavole di presenza saranno la raccolta dei casi nei quali un determinato fenomeno (ad es. il calore) si presenta ugualmente benché in circostanze diverse (ad es, le fiamme, i raggi solari, i fulmini). Le tavole di assenza raccolgono i casi in cui lo stesso fenomeno non si presenta, pur verificandosi condizioni e circostanze vicine o simili a quelle notate nelle tavole di presenza (ad es. la luce della luna. delle stelle). Le tavole dei gradi o comparative sono quelle che raccolgono i casi in cui il fenomeno si presenta nei suoi gradi decrescenti. Sulla scorta delle precedenti tavole si possono poi formare delle tavole esclusive che escludono il verificarsi del fenomeno, Le tavole approntano l‘intero materiale della ricerca e consentono di formulare una prima ipotesi (vindemiatio prima) intorno alla natura del fenomeno studiato. Quest‘ipotesi è un‘ipotesi di lavoro, che guida l‘ulteriore sviluppo della ricerca. L‘induzione in successivi esperimenti che Bacone chiama istanze prerogative. Di tali istanze egli enumera molte specie. Quella decisiva è l‘istanza crucis cui nome Bacone deriva dalle croci che sono erette nei bivi per indicare la ne delle vie. Il valore di questa istanza consiste in questo, che, quando si è in ‗Sulla causa del fenomeno studiato per i suoi rapporti con molti altri fenomeni, cruciale dimostra la sua connessione 155 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ necessaria con uno dei fenomeni; e perciò consente di riconoscere la causa vera del fenomeno. Per quanto concerne il calore, dopo aver escluso che la causa di esso sia la quella lunare, ad es., è fredda) o la tenuità (ad es. sono caldi non soltanto i corpi come l‘aria, ma anche quelli densi, come l‘oro), si può ipotizzare che la causa del risieda nel movimento delle parti minime di un corpo. Movimento che si verifica quando il caldo è presente, manca quando è assente, aumenta o diminuisce a seconda della maggiore o minore intensità. Se questa ipotesi supera l‘istanza cruciale si può ritenere giusta La teoria delle forme e i limiti del metodo baconiano L‘intero processo dell‘induzione tende, secondo Bacone, a stabilire la causa delle cose naturali. E questa causa è la forma. Egli accetta la distinzione aristotelica delle quattro cause: materiale, formale, efficiente e finale. Ma elimina subito la causa finale come quella che nuoce alla scienza più che giovarle. Delle altre cause aristoteliche Bacone ritiene che l‘efficiente e la materiale siano superficiali ed inutili per la scienza vera. Rimane la forma, che Bacone ha la pretesa di intendere in modo molto diverso da Aristotele. E che cosa egli intenda veramente per forma è il più difficile problema della critica baconiana. Per intendere il significato della forma è necessaria un‘osservazione preliminare. Bacone distingue in ogni fenomeno naturale due aspetti diversi: 1° lo schematismo latente, cioè la struttura o l‘ordine intrinseco dei corpi considerati staticamente; 2° il processo latente, cioè il movimento intrinseco dei corpi stessi, che li porta alla realizzazione della forma. 156 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Bacone ha esercitato una scarsa influenza sugli sviluppi teorici della scienza, la. quale è stata interamente dominata dalle intuizioni metodologiche di Leonardo, Keplero e Galilei, ma ha pressoché ignorato lo sperimentalismo baconiano. E in realtà lo sperimentalismo scientifico non poteva essere innestato sull‘aristotelismo; e la teoria dell‘induzione baconiana doveva fallire in questo tentativo. Lo sperimentalismo scientifico aveva gi trovato la sua logica e con essa la sua capacità di sistemazione, Questa logica era, come si è visto, la matematica. È significativo come nell‘induzione baconiana non trovi posto la matematica. Bacone si preoccupò bensì di situare la matematica nella sua enciclopedia delle scienze, aggregandola talvolta alla metafisica, talvolta alla fisica; ma non riconobbe alla matematica stessa nessuna funzione efficace nella ricerca scientifica, ed affermò anzi esplicitamente che essa è al termine della filosofia naturale, ma non la deve generare né procreare‘. Anzi nello stesso luogo ritiene che la matematica sia causa di corruzione della filosofia naturale; e altrove dice che l‘astronomia è stata annoverata tra le matematiche non senza scapito della sua dignità. La grandezza di Bacone consiste piuttosto nell‘aver riconosciuto la stretta connessione tra la scienza e la potenza umana. Isaac Newton (1643-1727) Già Copernico aveva riconosciuto la gravità come una forza che attrae tra loro i corpi celesti. Huygens aveva dato la formula della forza centrifuga e aveva formulato la prima teoria ondulatoria della luce. L‘italiano Giovanni Alfonso Borelli aveva già osservato nel 1666 che, per 157 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ mantenere i pianeti nelle loro orbite, deve corrispondere alla forza centrifuga un‘altra forza, centripeta o attrattiva. Nel 1682 il francese Picard, in una seduta della Royal Society di Londra, fornì l‘esatta misura del raggio della Terra. Newton fece i suoi calcoli e trovò allora la conferma definitiva della sua legge. Solo dopo questa conferma egli si decise a comunicare al mondo la sua scoperta, dapprima con le Proposizioni sul moto (1684) e poi nel suo capolavoro, i Principi matematici della filosofia naturale (1687). La sua legge della gravitazione universale sostiene che i corpi si attraggono proporzionalmente al prodotto delle masse e in ragione inversa del quadrato delle distanze. La teoria della gravitazione di Newton si fonda sulle leggi di Keplero ma essa permette di correggere quelle leggi stesse: vi sarà infatti attrazione non solo tra il Sole e i pianeti e tra pianeti e satelliti, ma anche tra i pianeti stessi. Newton poté così riconoscere che la Terra non descrive intorno al sole un‘ellisse, ma una curva più complicata, una ellisse perturbata dalla azione degli altri pianeti che le sono intorno. La dottrina di Newton non riesce tuttavia a spiegare il fatto che il pianeta abbia una velocità iniziale. Da dove gli deriva questa velocità? Newton ammette qui come causa l‘atto creativo di Dio, che avrebbe comunicato ai corpi celesti l‘impulso iniziale. Nel campo della dinamica, Newton ha distinto la massa dal peso: la massa è la quantità di materia che non cambia mai, mentre il peso è una forza che varia a seconda della luogo dove il corpo si trova. Per primo, Newton ha enunciato inoltre il principio secondo cui ad ogni azione segue una reazione uguale e contraria. Ha così stabilito i tre principi 158 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ fondamentali della dinamica: il principio di inerzia; quello della proporzionalità tra la forza e l‘accelerazione; quello di azione e reazione. Alla meccanica di Newton è fondamentale il principio del moto assoluto, che suppone a sua volta quello di uno spazio e di un tempo assoluti. Infine, per quanto riguarda la luce, egli sostenne la teoria corpuscolare della luce (si ricordi che tali concetti saranno messi in crisi solo con la teoria della relatività di Einstein). L‘ideale di Newton è quello di una scienza puramente descrittiva (hypotheses non fingo, non invento ipotesi). Egli afferma che vi sono quattro regole del metodo scientifico: 1) si devono ammettere solo quelle cause che sono necessarie per spiegare i fenomeni, poiché la natura non fa nulla invano; 2) effetti dello stesso genere devono sempre essere attribuiti alla stessa causa; 3) le qualità che appartengono ai corpi di cui si può fare esperienza possono essere considerate come appartenenti a tutti i corpi in generale: è il principio della induzione scientifica; 4) le proposizioni raggiunte mediante induzioni devono essere considerate vere fino al momento in cui altri fenomeni le confermino interamente. 159 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ CAPITOLO 10 Razionalismo ed empirismo Il razionalismo E‘ una corrente filosofica basata sulla tesi che la ragione umana può in principio essere la fonte di ogni conoscenza, ovvero attingere ad essa attraverso l'esperienza razionale dei propri strumenti di indagine e comprensione. Trasse origine dal pensiero di Cartesio e si diffuse nel corso del XVII e XVIII secolo in Europa, mentre in Gran Bretagna si affermava l'empirismo, secondo il quale tutte le idee sorgono in noi attraverso l'esperienza e dunque la conoscenza ha origini essenzialmente empiriche. La distinzione tra le due correnti è tuttavia una ricostruzione successiva, ed inoltre non è così netta, visto che i più importanti filosofi razionalisti concordavano sull'importanza della scienza empirica. Il razionalismo in particolare considera la ragione umana innata e indipendente dall'esperienza, immutabile ed identica in ogni essere umano, ma tanto da essere così alla portata dell'individuo capace di riconoscere in sé le proprie facoltà. In genere i filosofi razionalisti sostenevano che, partendo da principi fondamentali, individuabili intuitivamente, come gli assiomi della geometria, si possa arrivare tramite un processo deduttivo a tutto il resto della conoscenza. I filosofi che espressero con maggior chiarezza questo pensiero furono Spinoza e Leibniz, i cui tentativi di risolvere i problemi epistemologici e metafisici posti da Cartesio, condussero allo sviluppo del razionalismo. 160 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Entrambi pensavano che in principio tutta la conoscenza, compresa la conoscenza scientifica, potesse essere raggiunta mediante il solo uso della ragione, sebbene accettassero in pratica questo non fosse concretamente possibile per gli esseri umani, ad eccezione che in campi specifici come la matematica. Cartesio fu d'altro canto più vicino a Platone, pensando che solamente la conoscenza delle verità eterne, che comprendeva le verità della matematica e le basi epistemologiche e metafisiche delle altre scienze, potesse essere raggiunta dalla sola ragione. Le altre conoscenze richiedevano invece l'esperienza del mondo, aiutata dal metodo scientifico. Sarebbe probabilmente corretto dunque affermare che Cartesio sia stato razionalista riguardo alla metafisica ed empirista riguardo ai campi del sapere scientifico. L'Empirismo L'Empirismo è la corrente che si sviluppa tra Seicento e Settecento in ambito anglosassone, che si caratterizza con la teoria della ragione vista come un insieme di poteri limitati dall'esperienza intendendo quest'ultima, come fonte e origine del processo conoscitivo e come criterio di verità o strumento di certificazione delle tesi dell'intelletto, che risultano adeguate e certe solo se passibili di controllo empirico. Se il primo punto del pensiero di questo movimento filosofico definisce la negazione di ogni conoscenza o principio innato (Locke), il secondo aspetto può definirsi sicuramente il più determinante dell'empirismo moderno, espresso compiutamente soprattutto da Hume. David Hume vuole costruire una scienza della natura umana, a partire da una concezione 161 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ empirista della conoscenza. Egli distingue le percezioni in due classi: le impressioni, percezioni vivide, forti, immediate, e le idee, percezioni illanguidite e meno chiare. Le impressioni costituiscono il confine invalicabile della conoscenza. Le idee sono collegate mediante un principio di associazione, basato sulla somiglianza, sulla contiguità nel tempo e nello spazio e sulla causalità. Non esistono idee generali, ma solo idee particolari: vi è, però, la possibilità che, con l‘impiego di un nome comune, vengano designate idee particolari fra loro simili. La relazione causale tra i fenomeni si basa sulla supposizione che ciò che abbiamo finora sperimentato si verificherà anche in futuro. Ma la previsione e l‘attesa di un evento in virtù del nesso causale non sono giustificabili in base alla sola esperienza: solo l‘abitudine ci induce a supporre il futuro conforme al passato. Quindi, il postulato dell‘uniformità della natura ha il proprio fondamento non sulla ragione e nemmeno sull‘esperienza, ma su una funzione psichica non razionale. Hanno carattere di oggettività e di certezza solo le conoscenze della matematica, che consistono in relazioni tra idee, indipendenti dall‘esperienza. R. Descartes (1596-1650) René Descartes, italianizzato in Renato Cartesio (La Haye en Touraine, 1596 – Stoccolma, 1650) è ritenuto fondatore della filosofia e della matematica moderna. Cartesio estese la concezione razionalistica di una conoscenza ispirata alla precisione e certezza delle scienze matematiche. 162 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Opere principali: Il mondo o Trattato sulla luce (16291633); Diottrica, Meteore e Geometria (1637); Discorso sul metodo (1637); Meditazioni metafisiche (1641); I principi della filosofia (1644); Le passioni dell'anima (1649). Il metodo: la necessità di una revisione critica del sapere Il metodo deve essere un criterio unico e semplice di orientamento che serva all‘uomo. Questa idea viene formulata da Cartesio nelle Regulae ad directionem ingenii. Nel formulare le regole del metodo, Cartesio si avvale soprattutto delle matematiche. ―Quelle lunghe catene di ragionamenti, semplici e facili, di cui i geometri si servono per giungere alle loro più difficili dimostrazioni, mi dettero motivo a supporre che tutte le cose di cui l‘uomo può avere conoscenza si seguono nello stesso modo‖. Le scienze matematiche sono dunque già pervenute in possesso del metodo. Ora si tratta di prendere questo metodo, di astrarlo dalle matematiche e di formulano in generale. per poterlo applicare a tutte le altre branche del sapere. Si tratta anche di giustificare il metodo stesso e la possibilità della sua universale applicazione, riportandolo al suo fondamento ultimo, cioè all‘uomo come soggetto o ragione. Cartesio doveva dunque: 1) formulare le regole del metodo tenendo soprattutto presente il procedimento matematico; 2) fondare con una ricerca metafisica il valore assoluto di questo metodo; 3) dimostrare la fecondità del metodo nelle varie branche del sapere. Nel Discorso la formulazione più semplice delle regole del metodo. Esse sono quattro: 1) Non accogliere mai nulla per vero che non conoscessi esser tale con 163 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ evidenza. Questa era per Cartesio la regola fondamentale: l‘evidenza, l‘intuizione chiara e distinta di tutti gli oggetti del pensiero e l‘esclusione di ogni elemento sul quale il dubbio fosse possibile. 2) Dividere ciascuna delle difficoltà da esaminare nel maggior numero di parti per meglio risolverla. È la regola dell‘analisi per la quale un problema viene risolto nelle parti più semplici. 3) Condurre i miei pensieri ordinatamente, cominciando dagli oggetti più semplici e più facili a conoscersi per risalire a poco a poco, quasi per gradi, fino alle conoscenze più complesse: supponendo che vi sia un ordine anche tra gli oggetti che non precedono naturalmente gli uni agli altri. È la regola della sintesi, per la quale si passa dalle conoscenze più semplici alle più complesse gradatamente. 4) Fare in ogni caso enumerazioni così complete e revisioni così generali da essere sicuro di non omettere nulla. L‘enumerazione offre così il controllo delle due precedenti. Queste regole non hanno in se stesse la loro giustificazione. Il fatto che la matematica se ne serva con successo non costituisce una giustificazione. Cartesio deve quindi proporsi di giustificarle risalendo alla loro radice: l‘uomo come soggetto pensante o ragione. Cogito ergo sum Bisogna sospendere l‘assenso ad ogni conoscenza comunemente accettata, dubitare di tutto e considerare almeno provvisoriamente come falso tutto ciò su cui il dubbio è possibile. Se, persistendo in questo atteggiamento di critica radicale, si giunge a un principio sul quale il dubbio non è possibile, questo principio dovrà 164 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ essere ritenuto derto e tale da poter servire di fondamento a tutte le altre conoscenze. In questo principio si troverà la giustificazione del metodo (dubbio metodico). Si può dubitare delle conoscenze sensibili sia perché i sensi qualche volta ci ingannano e quindi possono ingannarci sempre, sia perché si hanno nei sogni conoscenze simili a quelle che sì hanno nella veglia senza che si possa trovare un sicuro criterio di distinzione fra le une e le altre. Nemmeno le conoscenze matematiche (due più tre fanno sempre cinque, sia che si dorma sia che si vegli) si sottraggono al dubbio perché anche la loro certezza può essere illusoria. S può sempre supporre che l‘uomo sia stato creato da un genio o da una potenza maligna che si sia proposta di ingannarlo facendogli apparire chiaro ed evidente ciò che è falso ed assurdo. In tal modo, il dubbio si estende a ogni cosa e diventa assolutamente universale (dubbio iperbolico). Ma proprio nel carattere radicale di questo dubbio si presenta il principio di una prima certezza. Io posso ammettere di ingannarmi o di essere ingannato; ma per ingannarmi io debbo esistere. La proposizione io esisto è dunque la sola assolutamente ver. Tuttavia posso dire per certo soltanto: io non esisto se non come una cosa che dubita, cioè che pensa. Le cose pensate, immaginate, sentite ecc. possono non essere reali; ma è reale certamente il mio pensare, sentire ecc. La proposizione io esisto equivale dunque a quest‘altra io sono un soggetto pensante. La mia esistenza di soggetto pensante è certa come non lo è l‘esistenza di nessuna delle cose che penso. Può ben darsi che ciò che io percepisco (per esempio un pezzo di cera) non esista; ma è impossibile che non esista io che penso di percepire 165 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ quell‘oggetto. Su questa certezza originaria, che è nello stesso tempo verità necessaria, deve essere dunque fondata ogni altra conoscenza. Dio come giustificazione metafisica delle certezze Il principio del cogito non mi rende sicuro se non della mia esistenza come pensante. Non sono invece sicuro se alle mie idee corrispondono realtà effettive fuori di me. Queste idee esistono nel mio spirito; ma esistono pure le cose corrispondenti fuori di me? Per rispondere a questa domanda Cartesio divide tutte le idee in tre categorie: quelle che mi sembrano essere innate; quelle che mi sembrano venute dal di fuori avventizie (idee di cose naturali) e quelle formate o trovate da me stesso (fittizie), le idee delle cose chimeriche o inventate. Per quel che riguarda le idee che rappresentano altri uomini o cose naturali, esse non contengono nulla di così perfetto che non possa essere stato prodotto da me. Per quel che riguarda l‘idea di Dio, cioè di una sostanza infinita, eterna, onnisciente, onnipotente e creatrice, è difficile supporre che possa averla creata io stesso. Difatti io sono privo delle perfezioni che quell‘idea rappresenta; e la causa di un‘idea deve sempre avere almeno tanta perfezione quanta è quella che l‘idea stessa rappresenta. La causa dell‘idea di una sostanza infinita non posso essere io, che sono una sostanza finita; questa causa deve essere una sostanza infinita la quale, pertanto, deve essere ammessa come esistente (prima prova dell‘esistenza di Dio). Cartesio riprende anche la tradizionale prova ontologica. Non è possibile concepire Dio come Essere perfetto senza ammettere la sua esistenza, perché l‘esistenza è una delle 166 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ sue perfezioni necessarie. Come non si può concepire un triangolo che non abbia gli angoli interni uguali a due retti, così non si può concepire un essere perfetto che non esista. Una volta riconosciuta l‘esistenza di Dio, il criterio dell‘evidenza trova la sua ultima garanzia. Dio, essendo perfetto, non può ingannarmi; la facoltà di giudizio. che ho ricevuta da lui, non può essere tale da indurmi in errore, se viene adoperata rettamente. Tutto ciò che appare chiaro ed evidente deve essere vero, perché Dio lo garantisce. Ma com‘è allora possibile l‘errore? Esso dipende, secondo Cartesio, dal concorso di due cause, cioè dall‘intelletto e dalla volontà, L‘intelletto umano è limitato La volontà umana invece è libera e quindi assai più estesa dell‘intelletto. L‘errore non ci sarebbe mai, se io dessi il mio giudizio solo intorno a ciò che l‘intelletto mi fa concepire con sufficiente chiarezza. Ma poiché la mia volontà, che è libera, può venir meno a questa regola e indurmi a pronunciarmi su ciò che non è evidente abbastanza, nasce la possibilità dell‘errore. L‘errore dipende dunque unicamente dal libero arbitrio che Dio ha dato all‘uomo e si può evitare soltanto attenendosi alle regole del metodo e in primo luogo a quella dell‘evidenza. L‘evidenza, fondata sull‘esistenza di Dio, consente di eliminare il dubbio che è stato avanzato in principio sulla realtà delle cose corporee. Io ho l‘idea di cose corporee che esistono fuori di me e che agiscono sui miei sensi. Dualismo e meccanicismo Accanto alla sostanza pensante, che costituisce l‘io, si deve ammettere, come si è visto, una sostanza corporea, divisibile in parti, quindi estesa. Tale sostanza estesa non 167 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ possiede però tutte le qualità che noi percepiamo di essa. Cartesio fa sua la distinzione già stabilita da Galilei e che in realtà risale a Democrito. La grandezza, la figura, il movimento, la situazione, la durata, il numero (cioè tutte le determinazioni quantitative) sono certamente qualità reali della sostanza estesa; ma il colore, il sapore, l‘odore, il suono ecc, non esistono come tali nella realtà corporea e corrispondono in questa realtà a qualcosa che noi non conosciamo. Cartesio ha spezzato la realtà in due zone distinte ed eterogenee: la res cogitans, inestesa, da un lato; la res extensa, spaziale, inconsapevole e meccanicamente determinata dall‘altro (= dualismo cartesiano). Ma dopo aver diviso, Cartesio si trova di fronte al difficile problema di spiegare il rapporto scambievole fra queste due sostanze, rendendo intelligibile, per ciò che riguarda l‘uomo, la relazione fra anima e corpo. Cartesio pensa di risolvere la questione con la teoria della ghiandola pineale (epifisi), concepita come la sola parte del cervello che, non essendo doppia, può unificare le sensazioni che vengono dagli organi di senso, che sono tutti doppi. La fisica cartesiana, sulla base della rigorosa separazione tra res cogitans e res extensa, poté eliminare tutti residui finalistici, antropomorfici, animistici, magici e astrologici che ancora infestavano la fisica agli inizi del ‗600. Leibniz (1646-1716) La dottrina di Lebniz si sforza di conciliare il meccanicismo con il finalismo, la nuova scienza della natura con i principi della metafisica. Le sue opere principali sono De arte combinatoria, Discorso di 168 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ metafisica, Nuovi saggi sull'intelletto umano, Saggi di teodicea e la Monadologia. L‘ordine contingente del mondo Il pensiero principale è questo: esiste un ordine. non geometricamente determinato e quindi necessario, ma spontaneamente organizzato e quindi libero. Si può dire che il lavoro di Leibniz sia consistito nel ricercare quest‘ordine in tutti i campi dello scibile. Per Leibniz ―nulla accade nel mondo che sia assolutamente irregolare‖. Se qualcuno traccia una linea continua, ora retta ora circolare, ora dall‘altra natura, è possibile trovare una nozione o regola o equazione comune a tutti i punti di questa linea, in virtù della quale i mutamenti stessi della linea risultano spiegati... Così si può dire che in qualunque modo Dio avesse creato il mondo, il mondo sarebbe stato sempre regolare e fornito di un ordine generale. Leibniz presenta Dio come colui che ha scelto tra i vari ordini possibili dell‘universo il migliore o più perfetto. La ricerca di un‘arte combinatoria capace di stabilire l‘ordine del sapere nel tentativo — che costituisce il nucleo più decisivo del suo pensiero — di conciliare meccanicismo e finalismo, scienza e metafisica. L‘esigenza dell'ordine universale fondato sulla libertà e sul rispetto della pluralità sta anche alla base degli ideali della pace politica e della riconciliazione fra le chiese. L‘appello a un ordine libero e intelligente di origine divina sta anche alla base della distinzione fra piano filosofico (che spiega la realtà nei suoi aspetti finalistici) e piano scientifico (che spiega la natura nei suoi aspetti di tipo matematico e meccanicistico). 169 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Verità di ragione e verità di fatto Leibniz vuole giustificare la possibilità di un ordine contingente. Primo aspetto di questa giustificazione è la dimostrazione che ordine non significa necessità. La necessità è al suo posto nel mondo della logica, non nel mondo della realtà. Un ordine reale non è mai necessario. Le verità di ragione sono necessarie (ad es. la proposizione il triangolo ha tre lati) ma non riguardano la realtà. Esse sono ―identiche‖ (nel senso che fanno che ripetere la medesima cosa senza dire nulla di nuovo) e risultano fondate sui principi di identità e non-contraddizione. Tutte le verità fondate su questi principi sono necessarie ma non dicono nulla circa la realtà esistente di fatto. Esse non possono derivare dall‘esperienza sono quindi innate. Le idee innate non sono chiare e distinte ma confuse; sono piccole percezioni. L'esperienza rende attuali, cioè pienamente chiare e distinte, quelle idee che prima erano semplici possibilità. Ma le idee innate non potrebbero derivare dall‘esperienza perché hanno una necessità assoluta che le conoscenze empiriche non hanno. Le verità di ragione delineano il mondo della pura possibilità, che è assai più vasto ed esteso di quello della realtà. Le verità di fatto invece sono contingenti e concernono la realtà effettiva. Esse delimitano il dominio ristretto di quella realtà nel campo molto più esteso del possibile. Sono fondate invece sui principio di ragion sufficiente. Questo principio significa che nulla si verifica senza una ragion sufficiente, cioè senza che sia possibile, a colui che conosca sufficientemente le cose, di dare una ragione che basti a spiegare perché è così e non altrimenti. È il principio proprio di quell‘ordine che Leibniz, come si è 170 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ accennato, si è costantemente sforzato di trovare in tutti gli aspetti dell‘universo: un ordine che non escluda, ma includa la scelta libera. Per esempio se si chiede perché tra tutti i mondi possibili questo solo è reale, bisognerà trovare la ragion sufficiente della sua realtà, cioè della sua scelta da parte di Dio. E questa ragion sufficiente sarà che esso è il migliore di tutti i mondi possibili e che Dio nella sua perfezione doveva fare questa scelta. Il doveva qui non implica una necessità assoluta ma l‘atto della volontà di Dio che ha liberamente scelto in conformità della sua natura perfetta. La sostanza individuale Il principio di ragion sufficiente conduce Leibniz a formulare il concetto centrale della sua metafisica, quello di sostanza individuale. Una verità di ragione è quella nella quale il soggetto e il predicato sono identici onde non si può negare il predicato al soggetto senza contraddirsi. Invece, nella verità di fatto, il predicato non è identico al soggetto, tanto che può essere anche negato da esso. Il soggetto deve però contenere la ragion sufficiente del suo predicato. Un soggetto di questo genere è ciò che Leibniz chiama sostanza individuale. La sua caratteristica è di avere una nozione così compiuta da essere sufficiente a comprendere e a farne dedurre tutti i predicati dal soggetto. Per esempio, la nozione di Alessandro Magno include la ragion sufficiente di tutti i predicati che si possono dire di lui con verità, per esempio che egli vinse Dario, fino a conoscere a priori se egli è morto di morte naturale o di veleno. L‘uomo, che non ha mai una nozione compiuta della sostanza individuale, è costretto a 171 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ desumere dall‘esperienza o dalla storia gli attributi che le si riferiscono. Ma Dio, la cui conoscenza è perfetta. è in grado di scorgere nella nozione di ogni sostanza la ragione sufficiente di tutti i suoi predicati. Fisica e metafisica: la forza La natura non costituisce un‘eccezione al carattere non necessario dell‘ordine universale. Invece di vedere nell‘estensione e nel movimento, che erano gli elementi della fisica cartesiana, gli elementi originari del mondo fisico, vide l‘elemento originario nella forza. Ciò accadde quando si convinse che il principio affermato da Cartesio della immutabilità della quantità di movimento era falso e che bisognava sostituirlo col principio della conservazione della forza o azione motrice. Ciò che rimane costante nei corpi che si trovano in un sistema chiuso non è la quantità di movimento ma la quantità di azione motrice forza viva (l‘energia cinetica) la quale è pari al prodotto della massa per il quadrato della velocità. Il concetto di forza serve a Leibniz per oltrepassare il meccanicismo nella spiegazione dei fenomeni naturali. Leibniz ammette che nella natura tutto avviene meccanicamente e cioè che tutto si possa spiegare in essa con le nozioni di figura e di movimento. Ma nello stesso tempo ritiene che i principi stessi della meccanica e le leggi del movimento nascano da qualcosa di superiore, che dipende piuttosto dalla metafisica che dalla geometria. La forza è appunto questo superiore principio metafisico che fonda le leggi stesse della fisica. L‘ultimo risultato della fisica di Leibniz è la risoluzione della realtà fisica in una realtà incorporea. L‘elemento costitutivo della natura, riconosciuto nella forza, gli si 172 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ rivela di natura spirituale. Il dualismo cartesiano di sostanza estesa e di sostanza pensante viene negato giacché nell‘universo non esiste veramente né estensione né corporeità: tutto è spirito e vita perché tutto è forza. Le caratteristiche della monade L‘acquisizione del concetto di monade segna per Leibniz la possibilità di estendere al mondo fisico il suo concetto dell‘ordine contingente e di unificare perciò il mondo fisico e il mondo spirituale in un ordine universale libero. La monade è un atomo spirituale, una sostanza semplice e quindi priva di estensione e indivisibile. Come tale, non si può disgregare ed è eterna: soltanto Dio può crearla o annullarla. Ogni monade è diversa dall‘altra: non vi sono in natura due esseri perfettamente uguali. Leibniz insiste su questo principio che egli chiama della identità degli indiscernibili. Due cose non possono differire solo localmente, ma c‘è sempre fra di esse una differenza interna. Due cubi uguali esistono solo in matematica, non in realtà. In quanto sostanze semplici e immateriali, le monadi non possono influenzarsi a vicenda, ma sussistono come altrettanti mondi chiusi, privi di finestre attraverso cui qualcosa possa uscire o entrare. Di conseguenza, le altre monadi sono presenti alla singola monade soltanto in maniera ideale, cioè sotto forma di rappresentazione al punto che ogni monade si configura come uno specchio vivente dell‘universo, sia pure da uno specifico e particolare punto di vista. Ma dire che la monade è un centro attivo di rappresentazioni significa dire che essa è costituita a somiglianza della nostra anima e consta di quelle due attività fondamentali che sono la percezione e 173 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ l‘appetizione (cioè il suo tendere da una percezione all‘altra). Attribuire a tutte le monadi la capacità della percezione può apparire paradossale solo a chi confonda la vita rappresentativa con la vita cosciente, ossia il percepire con la consapevolezza d percepire. Consapevolezza che Leibniz denomina appercezione. e che riferisce soltanto a quelle monadi più elevate che sono le anime in senso stretto. C‘è una differenza fondamentale tra Dio (che è anch‘egli una monade) e le monadi create, in quanto queste rappresentano il mondo soltanto da un determinato punto di vista, mentre Dio lo rappresenta da tutti i possibili punti di vista. Le percezioni delle monadi create sono in qualche misura confuse, simili a quelle che si hanno quando si cade in uno deliquio o di sonno. Le monadi pure e semplici sono quelle che posseggono soltanto percezioni confuse mentre le monadi fornite di memoria sono quelle che costituiscono le anime degli animali e tornite di ragione costituiscono gli spiriti umani. Ma anche la materia è costituita di monadi. Essa non è veramente né sostanza corporea né sostanza spirituale ma piuttosto un aggregato di sostanze spirituali e per questo è infinitamente divisibile. I rapporti tra monadi e l‘armonia prestabilita Sul problema del rapporto tra l‘anima e il corpo Leibniz distingue tre possibili soluzioni. Se si paragonano l‘anima e il corpo a due orologi, il primo modo di spiegare il loro accordo è quello di ammettere l‘influenza reciproca dell‘uno sull‘altro; questa la dottrina della filosofia volgare, che urta contro l‘incomunicabilità delle monadi e l‘impossibilità di ammettere un influsso tra due sostanze 174 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ che seguono nelle loro azioni leggi eterogenee. La seconda maniera di spiegare l‘accordo è quella che Leibniz chiama dell‘assistenza, e che è propria del sistema delle cause occasionali: due orologi anche cattivi possono essere tenuti in armonia da un abile operaio che provveda ad essi in ogni istante. Questo sistema ha, secondo Leibniz, il torto di introdurre un Deus ex machina in un fatto naturale e ordinario. Non resta allora che la terza maniera, cioè di supporre che i due orologi sono stati costruiti con tanta arte e perfezione da essere sempre d‘accordo per il futuro. Questa è la dottrina dell‘armonia prestabilita sostenuta da Leibniz. Per essa l‘anima e il corpo seguono ognuno le proprie leggi; ma l‘accordo è stato stabilito preventivamente da Dio nell‘atto di stabilire queste leggi. Il corpo seguendo le leggi meccaniche e l‘anima seguendo la propria interna spontaneità sono ad ogni istante in armonia, e questa armonia è stata prestabilita da Dio all‘atto della creazione. Dio e i problemi della teodicea Concludendosi nel sistema dell‘armonia prestabilita, la filosofia di Leibniz diventa speculazione teologica. E in tale speculazione Leibniz accoglie i temi tradizionali della teologia, a cominciare dalle prove dell‘esistenza di Dio, che egli elabora. B. Spinoza Baruch Spinoza (1632–1677), filosofo olandese, esponente del razionalismo del XVII secolo, precursore 175 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ dell'Illuminismo, fu noto, in vita, per il Trattato teologicopolitico che difendeva ad oltranza la libertà di pensiero da ogni ingerenza religiosa e statale. La sua più celebre opera filosofica fu l'Ethica more geometrico demonstrata (Etica dimostrata con metodo geometrico), pubblicata postuma nel 1677, dove il suo pensiero è esposto nel modo sistematico. Spinoza elabora un sistema del tutto alternativo alle tradizioni religiose monoteistiche e alle filosofie che hanno cercato di armonizzare la rivelazione cristiana con la ragione. Nell‘Ethica propone, infatti, un concetto di Dio inteso come assoluto, immanente all‘universo e alle leggi necessarie e eterne che lo costituiscono. Deus sive Natura: le due realtà, non sono separate, ma si identificano. Il rifiuto del dualismo cartesiano fra pensiero e estensione è il cuore del pensiero di Spinoza. Se con la parola sostanza si vuol designare ciò che è reale, allora né il pensiero, né estensione sono propriamente sostanze. La sostanza ha in se stessa il suo fondamento, è auto sussistente e ha in sé la propria essenza. Questi requisiti non appartengono né alla res cogitans, né alla res extensa ,che non sono dunque sostanze, ma aspetti, attributi della sostanza. La quale poi non può che esser unica (due o più sostanze, avendo i medesimi requisiti, non sarebbero altro che una medesima sostanza, non essendo fra loro in alcun modo distinte) e deve coincidere perciò con l‘essere infinito di Dio. È Dio dunque l‘unica sostanza, l‘unica realtà vera. Solo Dio è infatti causa sui ed è necessariamente causa infinita. A questa infinità della causa corrisponderanno di conseguenza effetti infiniti. La sostanza cioè potrà concepirsi in infinite maniere, sotto 176 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ infiniti attributi. Due di essi (a noi è impossibile concepirne di più) sono appunto il pensiero e l‘estensione. Superamento del dualismo cartesiano L‘analisi della sostanza e degli attributi è condotta da Spinoza secondo il modello dimostrativo della geometria di Euclide (sicché l‘Ethica procede mediante definizioni, assiomi, dimostrazioni, ecc.). Riconducendo il pensiero e l‘estensione alla sostanza come attributi di quest‘ultima, Spinoza supera il problema dell‘occasionalismo: non è necessario immaginare occasionali interventi divini atti ad accordare le due supposte sostanze (materia e spirito); se pensiero ed estensione sono attributi di Dio, aspetti di un‘unica sostanza, essi sono già accordati in partenza. Identici, dice Spinoza, sono l‘ordine e la connessione delle cose e l‘ordine e la connessione dei pensieri. Ciò che noi ci rappresentiamo ha una corrispondenza parallela con ciò che accade sul piano delle realtà materiali. Questi accadimenti del pensiero e dell‘estensione Spinoza li chiama modi. I modi sono particolarizzazioni degli attributi (una singola idea o pensiero è un modo dell‘attributo pensiero; un singolo corpo è un modo dell‘attributo estensione). I modi dunque accadono nell‘attributo, e l‘attributo accade a sua volta nella sostanza. La sostanza stessa, Dio, non è altro che l‘ordine e la connessione geometrica che si manifesta negli attributi e nei modi. Il panteismo II concetto spinoziano di Dio differisce totalmente sia dalla tradizione cristiana, sia da quella ebraica. Dio non è 177 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ persona, ma l‘impersonale ordine geometrico che regge l‘universo; Dio e l‗universo si identificano (Deus sive natura). Se guardiamo la natura dal punto di vista dell‘infinità della sua essenza, ci solleviamo al concetto della natura naturans; se guardiamo l‘infinità delle sue manifestazioni, consideriamo la natura naturata. Ma entrambe queste facce, poi, in Dio coincidono; insieme, esse costituiscono l‘ordine necessario del tutto, di tutto ciò che è. L‘idea di un Dio creatore, che agisce secondo certi fini e facendo uso di certi mezzi, non è altro, per Spinoza, che un indebito travestimento antropomorfico del divino. Dio non ha fini da raggiungere (il che contrasterebbe con la perfezione della sua natura); Dio non ha bisogno di scegliere tra necessità e libertà (in lui questi aspetti coincidono, poiché la necessità geometrico-razionale dell‘universo è l‘espressione della stessa infinita essenza divina). Infine, non hanno senso, dal punto di vista di Dio le umane valutazioni di bene e male, giusto e ingiusto: ogni cosa è come deve essere, per la sua appartenenza alla necessaria armonia della sostanza. Tale armonia non abbisogna della volontà umana per attuarsi e non coincide certo con quelli che sono i bisogni psicologici degli uomini. Spinoza condanna dunque tutte le religioni, considerandole superstizione o pregiudizio. Il pensiero politico Prima della costituzione dello Stato, vige il diritto del più forte, ma, in questo stato, nessuno può vivere tranquillamente e sicuro di mantenere ciò che ha. In ragione di ciò, vengono stabilite per patto determinate regole comuni di condotta e ciascuno rinuncia al proprio 178 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ diritto in favore di un terzo, cui è attribuito un potere assoluto. Se però colui che ha ricevuto il potere politico limita eccessivamente e senza motivo la libertà dei cittadini, egli agirà contro la finalità per cui gli è stato conferito il potere, sarà legittima l‘opposizione da parte dei cittadini stessi. Peraltro, uno Stato intollerante rispetto ad ogni critica si espone facilmente al pericolo dell‘insurrezione da parte dei sudditi e la libertà d‘espressione è il maggiore deterrente contro l‘insurrezione. Il benessere dei sudditi e la libertà d‘espressione sono perciò lo strumento migliore di cui un governante può servirsi per mantenersi al governo. T. Hobbes (1588-1679) La filosofia di Hobbes è legata a presupposti materialistici, mentre quella di Cartesio è legata a una metafisica spiritualistica. La sua opera principale è Il Leviatano che fu pubblicato nel 1651. Nella trilogia costituita da Il cittadino, da Il corpo e da L’uomo, espose ordinatamente il suo sistema in tutte le sue parti. La filosofia di Hobbes ha come scopo di porre i fondamenti di una comunità pacifica, che egli crede possibile soltanto sulla base del potere assoluto dello stato. Hobbes vuoi costruire una filosofia puramente razionale, che escluda ogni rivelazione soprannaturale, l‘autorità dei libri e degli autori antichi e prenda la sua ispirazione esclusivamente dai mondo della natura. 179 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Hobbes ha voluto costruire la sua politica sul fondamento di principi necessari ed ha concepito questa scienza per analogia alla geometria ossia come fondata su pochi principi, dai quali l‘intera costruzione viene necessariamente dedotta. Due sono i postulati certissimi della natura umana dai quali discende l‘intera scienza politica: 1) la tendenza naturale per la quale ognuno pretende di godere da solo dei beni comuni; 2) la ragione naturale per la quale ognuno rifugge dalla morte violenta come dal peggiore dei mali naturali. Il primo punto esclude che l‘uomo sia, come voleva Aristotele, per natura un ―animale politico‖. Hobbes non nega che gli uomini abbiano bisogno gli uni degli altri (i bambini hanno bisogno dell‘aiuto altrui per vivere, gli adulti per vivere bene): ma nega che gli uomini abbiano per natura un istinto che li porti alla concordia reciproca. Ciò che Hobbes nega è l‘esistenza di un amore naturale dell‘uomo verso il suo simile, ―ogni associazione spontanea nasce o dal bisogno reciproco o dall‘ambizione, mai dall‘amore o dalla benevolenza verso gli altri‖. Pertanto all‘origine delle società è solo il timore reciproco. La causa di questo timore è, in primo luogo, l‘uguaglianza di natura fra gli uomini per la quale tutti desiderano la stessa cosa, l‘uso esclusivo dei beni comuni. In secondo luogo, è la volontà naturale di danneggiarsi a vicenda o anche l‘antagonismo che deriva dal contrasto delle opinioni e dall‘insufficienza del bene. Il diritto di tutti su tutto comporta che lo stato di natura sia uno stato di guerra incessante di tutti contro tutti. In questo stato, non c‘è nulla di giusto: la nozione del diritto e del torto, della giustizia e dell‘ingiustizia, nasce dove c‘è una legge e la legge nasce dove c‘è un potere 180 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ comune: dove non c‘è né legge né potere manca la possibilità della distinzione tra il giusto e l‘ingiusto. Ognuno ha diritto su tutto, compresa la vita degli altri. Questo diritto non ha ovviamente nulla a che fare con la legge di natura: la quale consiste piuttosto nell‘eliminazione o almeno nella radicale limitazione di esso, è un istinto naturale insopprimibile giacché ciascuno è portato a desiderare ciò che per lui è bene e a fuggire ciò che per lui è male e soprattutto a fuggire il maggiore di tutti i mali naturali che è la morte. La ragione calcolatrice Questa condizione di guerra universale non può tuttavia realizzarsi in modo totale, perché coinciderebbe ovviamente con la distruzione totale del genere. La ragione umana è la capacità di prevedere, mediante un calcolo accorto, ai bisogni e alle esigenze dell‘uomo. È la ragione naturale quindi che suggerisce all‘uomo la norma del vivere civile, proibendo a ciascun uomo di fare ciò che reca la distruzione della vita o gli toglie i mezzi di evitarla e di omettere ciò che serve a conservarla meglio. Le norme fondamentali della legge naturale sono dirette a sottrarre l‘uomo al gioco autodistruttivo degli istinti e a imporgli una disciplina che gli procuri una sicurezza almeno relativa. Di conseguenza, la prima norma è: Cercare la pace in quanto si ha la speranza di ottenerla; e, quando non si può ottenerla, cercare e usare tutti gli ausili e i vantaggi della guerra. Da questa legge fondamentale derivano le altre: l‘uomo deve rinunciare al suo diritto su tutto e accontentarsi di avere tanta libertà rispetto agli altri quanta egli stesso ne riconosce agli altri rispetto a sé. 181 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Questa seconda legge non è che lo stesso precetto evangelico: non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te. Essa significa l‘abbandono o il trasferimento del diritto illimitato su tutto e perciò consente di uscire dallo stato di natura, cioè dalla guerra continua di tutti contro tutti, e implica che gli uomini stringano tra loro patti con i quali appunto rinuncino al loro diritto originario o lo trasferiscano a persone determinate. Ma ovviamente i patti per essere tali devono essere mantenuti: Dunque la terza legge naturale è per l‘appunto che bisogna o, stare ai patti, cioè osservare la parola data. Da queste leggi seguono tutte le altre, che Hobbes condensa in una minuziosa casistica. Lo Stato e l‘assolutismo L‘atto fondamentale che segna il passaggio dallo stato di natura allo stato civile è quello compiuto in conformità della seconda legge naturale: la stipulazione di un contratto con il quale gli uomini rinunziano al diritto illimitato dello stato di natura e lo trasferiscono ad altri. Questo trasferimento è indispensabile affinché il contratto possa costituire una stabile difesa per tutti. Solo se ciascun uomo sottomette la sua volontà a un unico uomo o a una sola assemblea e si obbliga a non fare resistenza all‘individuo o all‘assemblea cui si è sottomesso, si ha una stabile difesa della pace e dei patti di reciprocità in cui essa consiste. Quando questo trasferimento è effettuato, si ha lo Stato o società civile, detto anche persona civile perché, includendo la volontà di tutti, si può considerare una sola persona. Colui che rappresenta questa persona (che può essere individuo o assemblea) è il sovrano ed ha 182 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ potere sovrano; ogni altro è suddito. Questa è l‘origine di quel grande Leviatano o di quel Dio mortale al quale, dopo il Dio immortale, dobbiamo pace e difesa: giacché, per l‘autorità conferitagli da ogni singolo uomo della comunità, ha tanta forza e potere che può disciplinare, col terrore, la volontà di tutti in vista della pace interna e dell‘aiuto scambievole contro i nemici esterni. La teoria hobbesiana dello Stato è tipica dell‘assolutismo politico ed è caratterizzata dai seguenti punti: 1. La irreversibilità del patto fondamentale. Una volta costituito lo Stato, i cittadini non possono dissolverlo negando ad esso il suo consenso: il diritto dello Stato difatti nasce dai patti dei sudditi fra loro, non da un patto tra i sudditi e lo Stato, che potrebbe essere revocato da parte dei primi. 2. Il potere sovrano è indivisibile nel senso che non può essere distribuito tra poteri diversi che si limitino a vicenda. Secondo Hobbes, questa divisione non garantirebbe neppure la libertà dei cittadini: perché se i poteri divisi agissero d‘accordo, questa libertà, ne soffrirebbe e, se fossero discordi, s‘arriverebbe presto alla guerra civile. 3. Appartiene allo Stato, e non ai cittadini, il giudizio sul bene e sul male. La regola che consente di distinguere tra bene e male, tra giusto e ingiusto ecc., è data dalla legge civile e non può essere affidata all‘arbitrio dei cittadini. 4. Fa parte della sovranità la prerogativa di esigere obbedienza anche per ordini ritenuti ingiusti o peccaminosi; 183 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ 5. La stessa sovranità esige che si escluda il tirannicidio. Ma il tratto più caratteristico dell‘assolutismo di Hobbes è la sua negazione che lo Stato (o il sovrano) sia comunque soggetto alle leggi dello Stato: tesi che egli difende con l‘argomento che lo Stato non si può obbligare né verso i cittadini, il cui obbligo è unilaterale e irreversibile, né verso se stesso, perché nessuno si può obbligare se non verso un altro. Tutto questo però non significa che la teoria politica di Hobbes non ponga alcun limite all‘azione dello Stato. Neppure lo Stato può comandare ad un uomo di uccidere o ferire se stesso o una persona cara o di non difendersi o di non prendere cibo o altra cosa necessaria alla vita; né può comandargli di confessare un delitto, nessuno può essere costretto ad accusare se stesso. L‘empirismo anglosassone Locke è il fondatore dell‘empirismo anglosassone. Sul piano storico l‘empirismo si innesta sulla tradizione del pensiero (da Ruggero Bacone a Ockham a Francesco Bacone) e rappresenta un punto di incontro di essa con il cartesianesimo (da cui desume concetti e terminologia) e con rivoluzione scientifica (da cui deriva l‘appello all‘esperienza ed una nuova metodo del sapere). Filosoficamente parlando, nei confronti del razionalismo, l‘empirismo risulta caratterizzato dalla teoria della ragione come un insieme di poteri limitati dall‘esperienza, intesa, quest‘ultima come fonte ed origine del processo conoscitivo e come criterio di verità o strumento di certificazione delle tesi dell‘intelletto, che o valide solo se suscettibili di controllo empirico. 184 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Locke (1632-1704) Per Locke la ragione non possiede nessuno di quei caratteri che Cartesio le aveva attribuito. Non è unica o uguale in tutti gli uomini perché essi ne partecipano in misura diversa. Non è infallibile perché spesso le idee di cui dispone sono in numero troppo limitato o non si lasciano concatenare tra loro nella forma dei ragionamenti. Inoltre la ragione non può ricavare da sé le idee: deve ricavarle dall‘esperienza che ha sempre limiti e condizioni. L‘opera di Locke è diretta a estendere il campo della sua azione a tutto ciò che interessa l‘uomo, quindi alla morale, alla politica e alla religione. Con il Saggio sull’intelletto umano è nata a prima indagine critica della filosofia moderna, la prima indagine cioè diretta a stabilire le effettive possibilità e i limiti della conoscenza. Questi limiti sono propri dell‘uomo perché sono propri della sua ragione, la quale è limitata dall‘esperienza. È l‘esperienza che fornisce alla ragione il materiale che essa adopera. Le idee semplici sono gli elementi di ogni sapere umano. La ragione può bensì ordinare questo materiale a suo modo, formando idee complesse e ragionamenti; ma anche in questa sua attività deve essere controllata dall‘esperienza perché altrimenti le sue costruzioni sono arbitrarie o fantastiche. La passività della mente Locke desume da Cartesio il punto di partenza della sua indagine, l‘oggetto della nostra conoscenza è l‘idea. Pensare e avere idee sono la stessa cosa. E qui Locke introduce la prima fondamentale limitazione: le idee 185 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ derivano esclusivamente dall‘esperienza, cioè sono il frutto non di una spontaneità creatrice dell‘intelletto umano, ma piuttosto della sua passività di fronte alla realtà. E poiché la realtà, o è realtà esterna (le cose naturali) o è realtà interna (lo spirito), così le idee possono derivare dall‘una o dall‘altra di queste realtà e si chiameranno idee di sensazione se derivano dal senso esterno, idee di riflessione se derivano dal senso interno. Sono idee di sensazione, o più semplicemente sensazioni, per esempio, il giallo, il caldo, il duro, l‘amaro ecc, e in generale tutte le qualità che attribuiamo alle cose. Sono idee di riflessione la percezione, il pensiero, il dubbio, il ragionamento, la conoscenza e in generale tutte le idee che si riferiscono ad operazioni del nostro spirito. Locke critica le idee innate sostanzialmente con un unico argomento. Le idee non ci sono quando non sono pensate; giacché, per l‘idea, esistere significa essere pensata. Le idee innate dovrebbero esistere in tutti gli uomini, quindi anche nei bambini, negli idioti e nei selvaggi; ma poiché da queste persone non sono pensate, esse non esistono in loro, perciò non possono considerarsi innate. Si dice che i bambini giungono alla coscienza di esse nell‘età della ragione; ma nell‘età della ragione si giunge anche a conoscenze che non sono ritenute innate: nulla vieta dunque che si possa giungere anche a quelle che si ritengono tali. Locke adduce come esempi di principi pretesi innati i principi logici di identità e contraddizione e ripete la stessa critica per i principi morali. Se tutta la nostra conoscenza risulta di idee e se le idee derivano dall‘esperienza, l‘analisi della nostra capacità conoscitiva dovrà in primo luogo fornire una classificazione di tutte le 186 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ idee che l‘esperienza ci fornisce. L‘esperienza ci fornisce soltanto idee semplici; le idee complesse sono prodotte dal nostro spirito mediante la riunione di varie idee semplici. Difatti quando l‘intelletto è stato provvisto, dalla sensazione e dalla riflessione, di idee semplici, esso ha la capacità di ripropone, riunirle in modi infinitamente vari. La conoscenza umana è la costruzione che risulta da questa capacità di combinazione che è propria dell‘intelletto. Ma nessun intelletto può inventare o creare una idea semplice nuova, cioè non derivante dall‘esperienza, o distruggere qualcuna di quelle che l‘esperienza fornisce. Le idee Nel ricevere le idee semplici lo spirito è puramente passivo: diventa attivo nel riunire e organizzare in vario modo le idee semplici. Questa attività dello spirito può dar luogo a idee complesse o a idee generali. Le idee complesse, per quanto infinite di numero, si lasciano ricondurre a tre categorie fondamentali: modi, sostanze e relazioni. I modi sono quelle idee non considerate sussistenti di per sé, ma solo come manifestazioni di una sostanza, per esempio triangolo, gratitudine, delitto ecc. Sostanze sono le idee complesse che vengono considerate come esistenti di per se stesse: per esempio uomo, piombo, pecora ecc. L‘attività dello spirito si manifesta, anche, nella formazione di idee generali. Tali idee non indicano nessuna realtà ma sono soltanto segni delle cose particolari. Alle idee generali non corrisponde quindi una realtà generale o universale, ma soltanto un certo rapporto di somiglianza tra le cose particolari, che sono le sole 187 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ esistenti. Non c‘è una realtà universale uomo; il nome, l‘idea generale di uomo sono segni di quegli esseri, ai quali, dati i loro comuni caratteri, noi appunto riferiamo il termine uomo. Formatasi l‘idea generale di uomo, mediante l‘osservazione delle somiglianze che sussistono fra gli uomini, il nostro intelletto attribuisce alla specie uomo tutti gli individui somiglianti. La specie uomo è quindi soltanto un segno, cioè una parola adoperata nei discorsi in luogo di un gruppo di cose particolari. La conoscenza L‘esperienza fornisce il materiale della conoscenza, ma non è la conoscenza stessa. Questa ha sempre a che fare con idee, ma non si riduce alle idee perché consiste nella percezione di un accordo o di un disaccordo delle idee tra di loro. Come tale, la conoscenza può essere di due specie diverse. È conoscenza intuitiva quando l‘accordo o il disaccordo di due idee è visto immediatamente e in virtù di queste idee stesse, senza l‘intervento di altre idee. Così si percepisce immediatamente che il bianco non è nero, che tre sono più di due ecc. Questa conoscenza è la più chiara e la più certa che l‘uomo possa raggiungere ed è quindi il fondamento della certezza e dell‘evidenza di ogni altra conoscenza. La conoscenza è invece dimostrativa quando l‘accordo o il disaccordo tra due idee non è percepito immediatamente ma viene reso evidente mediante l‘uso di idee intermedie che si chiamano prove. La conoscenza dimostrativa consiste evidentemente in una catena di conoscenze intuitive. Accanto a queste due specie di conoscenze, ce n‘è un‘altra ed è la conoscenza delle cose esistenti al di fuori delle idee. Ora ci sono tre 188 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ ordini di realtà: l‘io, Dio e le cose e ci sono tre modi diversi di giungere alla certezza di queste tre realtà. Noi abbiamo la conoscenza dell‘esistenza del nostro io attraverso l‘intuizione, dell‘esistenza di Dio attraverso la dimostrazione, e dell‘esistenza delle cose attraverso la sensazione. Per ciò che riguarda l‘esistenza dell‘io, Locke si avvale del procedimento cartesiano. Io penso. ragiono, dubito e con ciò intuisco la mia propria esistenza e non posso dubitare di essa. Per ciò che riguarda l‘esistenza di Dio, Locke rielabora la prova causale della tradizione. Il nulla, egli dice, non può produrre nulla: se qualcosa c‘è, vuol dire che è stata prodotta da un‘altra cosa. e non potendosi risalire all‘infinito, si deve ammettere un essere eterno che ha prodotto ogni cosa. Questo essere eterno, potentissimo ed intelligentissimo, è Dio. Quanto all‘esistenza delle cose, l‘uomo non ha altro mezzo di conoscerla tranne che la sensazione e precisamente la sensazione attuale. Non c‘è nessun rapporto necessario tra l‘idea e la cosa a cui essa si riferisce: l‘idea potrebbe esserci anche se non ci fosse la cosa come ci può essere un‘immagine o un dipinto senza che esista o sia mai esistita la persona o la cosa che l‘immagine o il dipinto rappresenta. Ma il fatto che noi riceviamo attualmente l‘idea dall‘esterno ci fa conoscere che qualcosa esiste in questo momento fuori di noi e produce in noi l‘idea. Nel momento in cui noi riceviamo una sensazione, siamo certi che esiste la cosa che la produce in noi: e questa certezza basta, secondo Locke, a garantire la realtà della cosa esterna. Quando l‘oggetto non è più testimoniato dai sensi, la certezza della sua esistenza sparisce ed è sostituita da una semplice probabilità. 189 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Il diritto naturale Nell‘ambito politico e religioso Locke ci ha lasciato contributi fondamentali. Le opere da lui pubblicate, l‘Epistola sulla tolleranza, i Due trattati sul governo civile, la Ragionevolezza del cristianesimo sono scritti che assicurano a Locke in questo campo un posto altrettanto importante di quello che il Saggio gli assicura nel campo più strettamente filosofico. Queste opere fanno di Locke uno dei primi e più efficaci difensori delle libertà dei cittadini, della tolleranza religiosa e della libertà delle chiese. Esiste, secondo Locke, una legge di natura che è la ragione stessa in quanto ha per oggetto i rapporti tra gli uomini e che prescrive la reciprocità perfetta di tali rapporti. Locke, come Hobbes, connette strettamente questa regola di reciprocità con quella dell‘uguaglianza originaria degli uomini; ma, a differenza di Hobbes ritiene che questa regola limiti il diritto naturale di ciascuno col pari diritto degli altri. Lo stato di natura è governato dalla legge di natura, che collega tutti: e la ragione, la quale è questa legge, insegna a tutti gli uomini, purché vogliano consultarla, che, essendo tutti uguali e indipendenti, nessuno deve danneggiare l‘altro nella vita, nella salute, nella libertà e nella proprietà. Nello stato di natura, cioè anteriormente alla costituzione di un potere politico, essa è la sola legge valida Dunque la libertà degli uomini in questo stato consiste nel non sottostare ad alcuna volontà o autorità altrui ma nel rispettare soltanto la norma naturale. Neanche in questo stato quindi la libertà consiste per ciascuno nel vivere come gli piace. Il diritto naturale dell‘uomo è limitato alla propria persona ed è quindi diritto alla vita, alla libertà e alla proprietà. Questo diritto 190 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ implica indubbiamente anche quello di punire l‘offensore e di essere l‘esecutore della legge di natura; ma neppure questo secondo diritto implica l‘uso di una forza assoluta o arbitraria. ma solo quella reazione che la ragione indica come proporzionata alla trasgressione. Stato e libertà Lo stato di natura non è perciò necessariamente, come voleva Hobbes, uno stato di guerra; ma può diventare uno stato di guerra quando una o più persone ricorrono alla forza per ottenere ciò che la norma naturale vieterebbe di ottenere, cioè un controllo sulla libertà, sulla vita e sui beni degli altri. Proprio per evitare questo stato di guerra, gli uomini si pongono in società e abbandonano lo stato di natura: perché un potere cui si possa fare appello per ottenere soccorso esclude la permanenza indefinita nello stato di guerra. Ma la costituzione di un potere civile non toglie agli uomini i diritti di cui godevano nello stato di natura tranne quello di farsi giustizia da sé giacché, anzi, la giustificazione del potere civile consiste nella sua efficacia a garantire agli uomini, pacificamente, questi diritti. Se la libertà naturale consiste per l‘uomo nell‘essere limitato soltanto dalla legge di natura, la libertà dell‘uomo nella società consiste nel non sottostare ad altro potere legislativo che a quello stabilito per consenso. Pertanto la legge di natura esclude che il contratto che dà origine a una comunità civile formi un potere assoluto o illimitato. L‘uomo, che non possiede alcun potere sulla propria vita, non può, con un contratto, rendersi schiavo di un altro e porre se stesso sotto un potere assoluto che disponga della vita di lui come gli piace. Soltanto il 191 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ consenso di coloro che partecipano ad una comunità stabilisce il diritto di questa comunità sui suoi membri; ma questo consenso, come è un atto di libertà, cioè di scelta. così è diretto a mantenere o garantire questa libertà stessa e non può convalidare l‘assoggettamento dell‘uomo all‘incostante, incerta e arbitraria volontà di un altro uomo. Tolleranza e religione L‘Epistola sulla tolleranza è uno dei più solidi monumenti elevati alla libertà di coscienza. Compito dello Stato è conservare e promuovere soltanto i beni civili (la vita, la libertà, l‘integrità del corpo, il possesso delle cose esterne). Questo compito dello Stato stabilisce i limiti della sovranità; e la salvezza dell‘anima è chiaramente al di fuori di questi limiti. L‘unico strumento infatti di cui il magistrato civile dispone è la costrizione; ma la costrizione è incapace di condurre alla salvezza perché nessuno può essere salvato suo malgrado. Dall‘altro lato, nè i cittadini né la Chiesa stessa possono chiedere l‘intervento del magistrato in materia religiosa. La Chiesa, dice Locke, è una libera società di uomini che si riuniscono spontaneamente per onorare pubblicamente Dio nel modo che credono sarà accetto alla divinità, per ottenere la salvezza dell‘anima. Come società libera, la Chiesa non fa nulla né può far nulla che concerna la proprietà dei beni civili,né può far ricorso alla forza per alcun motivo, dal momento che la forza è riservata magistrato civile. Certamente, la Chiesa ha il diritto di espellere coloro le cui credenze ritiene incompatibili con i propri principi. Ma la scomunica non deve in alcun modo trasformarsi in una diminuzione dei diritti civili del 192 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ condannato. Per quanto neppure nell‘Epistola la tolleranza trovi un riconoscimento radicale perché Locke ritiene che ―coloro che negano l‘esistenza di Dio non possono essere tollerati in alcun modo‖ lo scritto di Locke rappresenta tutt‘oggi la migliore giustificazione che la storia della filosofia ci abbia data della libertà di coscienza. D. Hume (1711-1776) L‘opera principale di Hume è il Trattato sulla natura umana, sebbene nella Ricerca sull’intelletto umano e nella Ricerca sui principi della morale egli abbia riesposto in modo assai più rapido e chiaro i capisaldi essenziali di quell‘opera. Alla base del filosofare di Hume vi è l‘ambizioso progetto di costruire una scienza della natura umana su base sperimentale, analoga a quella teorizzata da Bacone per quanto riguarda la natura fisica. Hume è persuaso che la natura umana costituisca la capitale del regno del sapere e che quindi risulti ancor più basilare ed urgente delle altre scienze. La tendenza empiristica ed anti-metafìsica che sta a monte del procedimento di Hume è riassunta dalla celebre immagine di gettare nel fuoco i libri di teologia e metafisica! Questa scelta empiristica finirà per mettere capo ad una forma di scetticismo nel quale le pretese conoscitive della natura umana risultano fortemente limitate. Da ciò la funzione storicamente provocatoria esercitata dalla filosofia di Hume, a cui Kant riconoscer il merito di averlo svegliato ‗dal sonno dogmatico‘. 193 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Impressioni e idee Nella sua analisi della conoscenza umana Hume divide le percezioni della mente in due classi, che sì distinguono fra loro per il grado diverso di forza e di vivacità. con cui colpiscono lo spirito. Le percezioni che penetrano con maggior forza ed evidenza nella coscienza si chiamano impressioni; e sono tutte le sensazioni, passioni ed emozioni, nell‘atto in cui vediamo o sentiamo, amiamo o odiamo, desideriamo o vogliamo. Le immagini illanguidite di queste impressioni si chiamano idee o pensieri. La differenza tra impressione e idea è. per esempio, quella tra il dolore di un calore eccessivo e l‘immagine di questo dolore nella memoria. Ogni idea deriva dalla corrispondente impressione e non esistono idee o pensieri di cui non si sia avuta precedentemente l‘impressione. L‘uomo può senza dubbio comporre le idee fra loro nei modi più arbitrari e fantastici ma non fari mai realmente un passo al di là di se stesso. Hume si tiene rigidamente fedele a questo principio fondamentale. Locke, pur dopo aver ammesso che l‘unico oggetto della conoscenza umana è l‘idea, aveva riconosciuto, al di là dell‘idea, la realtà dell‘io, di Dio e delle cose. Berkeley, pur negando la materia, aveva ammesso la realtà degli spiriti finiti e dello spirito infinito di Dio, realtà entrambe irriducibili alle idee. Hume solo risolve totalmente l‘intera realtà nel molteplice delle idee attuali (delle impressioni sensibili e delle loro copie) e nulla ammette al di là di esse. Per spiegare la realtà del mondo e dell‘io, egli non ha a sua disposizione se non le impressioni, le idee e i loro rapporti. La conclusione scettica è inevitabile. Hume accetta e fa sua la negazione dell‘idea astratta, già operata da Berkeley. Non 194 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ esistono idee astratte, cioè idee che non abbiano caratteri particolari e singoli (un triangolo che non sia né equilatero né isoscele né scaleno; un uomo che non sia questo o quell‘uomo ecc.); esistono solo idee particolari assunte come segni di altre idee particolari ad esse simili. Ma per spiegare la funzione del segno, cioè la possibilità di un‘idea di richiamare altre idee simili, Hume ricorre al principio dell‘abitudine. Quando abbiamo scoperto una certa somiglianza tra idee che per altri aspetti sono diverse (per esempio, tra le idee di diversi uomini e di diversi triangoli), noi adoperiamo un unico nome (uomo o triangolo) per indicarle. Si forma così in noi l‘abitudine di considerare in qualche modo unite fra loro le idee designate da un unico nome; Dunque il nome stesso risveglierà in noi, non una sola di quelle idee, ma l‘abitudine che abbiamo di considerarle assieme. La funzione puramente logica del segno concettuale diventa in Hume un fatto psicologico, un‘abitudine. Il principio di associazione La facoltà di stabilire relazioni fra idee è detta, da Hume, immaginazione. Sebbene tale facoltà operi liberamente, essa non risulta completamente affidata al caso, poiché anche nei sogni e nelle fantasticherie più sfrenate e vagabonde troviamo che viene sempre mantenuta una connessione tra le diverse idee che si succedono l‘una all‘altra. Questa connessione è garantita da una forza che rappresenta, per la mente, ciò che la forza di gravità rappresenta per la natura. Tale è il cosiddetto principio di associazione delle idee, che Hume descrive come una dolce forza che comunemente s‘impone, facendo che la 195 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ mente venga trasportata da un‘idea all‘altra. Questa forza di attrazione opera secondo tre criteri fondamentali: la somiglianza, la contiguità nel tempo e nello spazio e la causalità. Un ritratto, per esempio, conduce naturalmente i nostri pensieri al suo originale (somiglianza): il ricordo dell‘appartamento di una casa porta a discorrere degli altri appartamenti della stessa casa (contiguità); una ferita fa pensare subito al dolore che ne deriva (causa ed effetto). Hume ritiene che l‘associazione stia alla base delle ―idee complesse‖. Fra queste idee le più importanti sono quelle di spazio e di tempo, di causa ed effetto, di sostanza (corporea o spirituale). A tali idee noi attribuiamo consistenza ed oggettività. Hume si propone di mostrare come ad esse non corrisponda alcuna impressione. Lo spazio e il tempo non sono delle impressioni, ma delle nostre maniere di sentire le impressioni e altrettanto destituite di oggettività sono le idee di causa-effetto e di sostanza materiale e spirituale. Proposizioni di relazione fra idee e di relazione fra fatti Come Leibniz aveva distinto fra verità di ragione e verità di fatto, Hume distingue fra proposizioni che concernono relazioni fra idee (come le proposizioni matematiche) e le proposizioni che concernono fatti (come le proposizioni delle scienze naturali). Le prime, precisa Hume, si possono scoprire ―per mezzo della sola operazione del pensiero, indipendentemente da ciò che è realmente esistente in una qualsiasi parte dell‘universo‖. Si tratta infatti di proposizioni che noi costruiamo basandoci semplicemente sul principio di non-contraddizione. Ad esempio, posta la definizione di triangolo, ricaviamo per 196 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ via puramente razionale che ―il quadrato dell‘ipotenusa è uguale al quadrato di due lati‖. Invece, le proposizioni che concernono dati o materie di fatto‖ non sono fondate sul principio di non contraddizione, bensì sull‘esperienza, giacché il contrario di un fatto è sempre possibile ed ―ogni cosa che è, può non essere‖. Infatti, argomenta Hume con una celebre immagine, la proposizione il sole domani non si leverà è una proposizione non meno intelligibile né più contraddittoria dell‘altra il sole domani si leverà. La critica del principio di causa Tutti i ragionamenti che riguardano realtà o fatti si fondano sulla relazione di causa ed effetto. Se si chiede ad una persona perché creda a un fatto qualsiasi, per esempio, che un suo amico è in campagna o altrove, egli addurrà un altro fatto, per esempio che ha ricevuto da lui una lettera o che ha precedentemente conosciuto la sua intenzione. La tesi fondamentale di Hume è che la relazione tra causa ed effetto non può essere mai conosciuta a priori, ma soltanto per esperienza. Nessuno, messo di fronte a un oggetto che per lui sia nuovo, è in grado di scoprire le sue cause e i suoi effetti prima di averli sperimentati e soltanto ragionando su di essi, ―Adamo, anche se le sue facoltà razionali siano supposte dal principio perfette, non avrebbe mai potuto inferire dalla fluidità e trasparenza dell‘acqua che essa poteva soffocarlo o dalla luce e dal calore del fuoco che esso poteva consumano. Causa ed effetto sono due fatti diversi, ognuno dei quali non ha nulla in sé che richiami necessariamente l‘altro. Quando vediamo una palla di biliardo che corre diritto verso l‘altra, anche supponendo che nasca per caso in noi il 197 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ pensiero del movimento della seconda palla come risultato del loro incontro, potremmo benissimo concepire altre possibilità differenti: per esempio, che le due palle rimangano entrambe ferme o che la prima ritorni indietro diritto o scappi da uno dei lati. Queste possibilità non possono essere escluse perché non sono contraddittorie. L‘esperienza ci dice che una sola si verifica e che l‘urto della prima palla mette in movimento la seconda; ma l‘esperienza non ci illumina se non intorno ai fatti che abbiamo sperimentato nel passato e non ci dice nulla circa i fatti futuri. Poiché anche dopo che l‘esperienza è stata fatta, la connessione tra la causa e l‘effetto rimane arbitraria, questa connessione non potrebbe essere assunta come fondamento in nessuna previsione. Che il corso della natura possa cambiare è ipotesi che non implica nessuna contraddizione e che perciò rimane sempre possibile. Né la continua conferma che l‘esperienza fa nella maggior parte dei casi delle connessioni causali muta la questione: perché questa esperienza riguarda sempre il passato, mai il futuro. Se ci fosse qualche sospetto che il corso della natura potesse cambiare e che il passato non servisse di regola per il futuro, ogni esperienza diverrebbe inutile e non potrebbe dare origine a nessuna conclusione. È impossibile quindi che argomenti tratti dall‘esperienza possano dimostrare la rassomiglianza del passato con il futuro: tutti questi argomenti sono fondati sulla supposizione di quella rassomiglianza. Queste considerazioni di Hume escludono che il legame tra causa ed effetto possa essere dimostrato oggettivamente necessario, cioè assolutamente valido. L‘uomo tuttavia lo crede necessario e fonda su di esso l‘intero corso della sua 198 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ vita. La sua necessità è quindi puramente soggettiva e va cercata in un principio della natura umana. Questo principio è l‘abitudine (o costume). La ripetizione di un atto qualsiasi produce una disposizione a rinnovare lo stesso atto senza che intervenga il ragionamento: questa disposizione è l‘abitudine. Quando abbiamo visto più volte congiunti due fatti od oggetti, per esempio, la fiamma e il calore, il peso e la solidità, siamo portati dall‘abitudine ad aspettarci l‘uno quando l‘altro si mostra. Senza l‘abitudine noi saremmo interamente ignoranti di ogni questione di fatto, fuori di quelle che ci sono immediatamente presenti alla memoria o ai sensi. Ma l‘abitudine spiega la congiunzione che noi stabiliamo tra i fatti, non la loro connessione necessaria. Spiega perché noi crediamo alla necessità dei legami causali, non giustifica questa necessità.. E veramente questa necessità è ingiustificabile. La credenza nel mondo esterno e nell‘identità dell‘io Ogni credenza in realtà o fatti, in quanto è il risultato di un‘abitudine, è un sentimento o un istinto, non un atto di ragione. Tutta la conoscenza della realtà è così priva di necessità razionale e rientra nel dominio della probabilità, non della conoscenza scientifica. Hume non intende annullare la differenza che c‘è tra la finzione e la credenza. La credenza è un sentimento naturale, che non soggiace ai poteri dell‘intelletto. Se essa dipendesse dall‘intelletto o dalla ragione, poiché questo potere ha autorità su tutte le idee, potrebbe riuscire a farci credere qualsiasi cosa gli piaccia; noi possiamo, nel nostro concetto, congiungere la testa di un uomo con il corpo di un cavallo ma non è in nostro potere credere che un tale 199 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ animale esiste realmente. La credenza è quindi dovuta alla maggiore vivacità. delle impressioni rispetto alle idee. Ma gli uomini credono abitualmente nell‘esistenza di un mondo esterno. Hume comincia col distinguere la credenza nell‘esistenza continua delle cose, che è propria di tutti gli uomini e anche degli animali; e la credenza nell‘esistenza esterna delle cose stesse, la quale ultima suppone la distinzione pseudofilosofica delle cose dalle impressioni sensibili. Dalla coerenza e dalla costanza di certe impressioni, l‘uomo è tratto a immaginare che esistano cose dotate di un‘esistenza continua e ininterrotta e quindi tali che esisterebbero anche se ogni creatura umana fosse assente o annientata. In altri termini la stessa coerenza e costanza di certi gruppi di impressioni ci fa dimenticare o trascurare che le nostre impressioni sono sempre interrotte e discontinue e ce le fa considerare come oggetti persistenti e stabili. Questa credenza che appartiene alla parte non filosofica del genere umano è però presto distrutta dalla riflessione filosofica la quale insegna che ciò che si presenta alla mente è soltanto l‘immagine e la percezione dell‘oggetto e che i sensi sono soltanto le porte attraverso le quali queste immagini entrano, senza che ci sia mai un rapporto immediato tra l‘immagine stessa e l‘oggetto. La tavola che vediamo sembra impiccolirsi quando noi ce ne allontaniamo. ma la tavola reale, che esiste indipendentemente da noi, non subisce alterazioni; perciò alla nostra mente era presente soltanto l‘immagine di essa. La riflessione filosofica conduce così a distinguere le percezioni, soggettive, mutevoli e interrotte, dalle cose oggettive, esternamente e continuamente esistenti. In verità la sola realtà di cui 200 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ siamo certi è costituita dalle percezioni; le sole inferenze che possiamo fare sono quelle fondate sul rapporto tra causa ed effetto, che si verifica anch‘esso solo tra le percezioni. Una realtà che sia diversa dalle percezioni ed esterna ad esse non si può affermare né sulla base delle impressioni dei sensi né sulla base del rapporto causale. La realtà esterna è dunque ingiustificabile ma l‘istinto a credere in essa è ineliminabile. È vero che neppure il dubbio filosofico intorno a tale realtà si può sradicare, ma la vita ci distoglie da questo dubbio e ci riaffida alla credenza istintiva. Una spiegazione analoga trova, nelle analisi di Hume, la credenza nell‘unità e nell‘identità dell‘io. Infatti, secondo Hume, noi non abbiamo esperienza o impressione del nostro io, ma solo dei nostri stati d‘animo successivi, che fanno apparizione nella nostra coscienza come in una specie di teatro, In altri termini, ciò che noi sperimentiamo come io è soltanto, rigorosamente parlando, un fascio di impressioni che si susseguono nel tempo. Ancora una volta, la credenza e la filosofia, l‘istinto e la ragione appaiono in contrasto fra di loro. 201 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ CAPITOLO 11 L'illuminismo L‘illuminismo è un movimento di idee caratterizzato, anzitutto, dalla certezza del primato della ragione e dalla fede nel progresso dell‘umanità. A tali caratteri si aggiungono una più forte idea dell‘autonomia della cultura rispetto alla religione, una viva tensione riformatrice e una visione cosmopolitica e pacifica della società umana, ispirata all‘idea dell‘universalità della ragione. L‘Enciclopedia descrive un nuovo ordine del sapere, nel quale, accanto alle scienze e alle ―arti belle‖, vi sono le tecniche, che vedono così riconosciuta la loro pari dignità culturale. Gli intellettuali dell‘illuminismo sono fortemente impegnati nella diffusione e promozione delle loro idee in ogni campo culturale, in ogni settore e classe della società. La critica illuministica investe valori consolidati e ogni settore della vita sociale, del costume, delle istituzioni. Pur essendo, in larga maggioranza, convinti dell‘esistenza di Dio (e fautori del Deismo, cioè di una fede razionale), gli esponenti dell‘illuminismo attaccano le religioni storiche, il loro dogmatismo, la loro intolleranza e il ruolo conservatore che esse hanno assunto nella vita politica e socia le Criticano, inoltre, le pretese totalizzanti, lo ―spirito di sistema‖ delle filosofie del Seicento. Sono fautori del paradigma newtoniano di razionalità e scienza, basato sul rifiuto di ipotesi aprioristiche, non fondate sull‘analisi dell‘esperienza e non suscettibili di verifiche sperimentali. Pur essendo duramente critici verso la tradizione, gli Illuministi sono 202 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ portatori di una filosofia della storia, ispirata all‘idea di progresso dell‘umanità. E saranno essi stessi promotori di una storiografia ispirata a moderne esigenze di scientificità, consapevolezza metodologica, apertura alla dimensione socio-economica e di costume dei processi storici e alla vita delle popolazioni extra-europee. Inoltre, promuoveranno l‘avvio di nuove scienze sociali, come l‘etnologia e l‘antropologia e, soprattutto, l‘economia politica. Quest‘ultima, con i Fisiocratici in Francia e Adam Smith in Inghilterra, si oppone alle teorie mercantiliste e sostiene il libero mercato, individuando nella sfera della produzione (e non in quella della distribuzione) la fonte del profitto. Viene affermato, inoltre, il valore morale e sociale dell‘arte, la sua funzione positiva nell‘opera di rischiaramento condotta dalla ragione. Si discute del gusto estetico e, con Kant, si punta a una fondazione dell‘estetica come campo autonomo di riflessione teorica. Montesquieu descrive i rapporti fra i diversi sistemi di norme e i rispettivi contesti storici e le differenze che esistono fra le tre fondamentali costituzioni, repubblicana, monarchica e dispotica. Soprattutto, pone a cardine dello Stato la divisione dei poteri, cioè l‘attuazione di un regime di autonomia reciproca fra i poteri esecutivo, legislativo e giudiziario. Beccaria afferma che le leggi devono garantire ―la massima felicità divisa nel maggior numero‖. La pena di morte non è un diritto della comunità, ma solo ―una guerra della nazione con un cittadino‖. Voltaire sostiene l‘orientamento empiristico della scienza newtoniana. Afferma il fondamento morale della religione e la necessità della tolleranza irride all‘ottimismo leibniziano, ma ritiene che, grazie agli sforzi dell‘uomo, la condizione 203 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ umana possa un giorno migliorare. Identifica il bene con ciò che utile alla società. Condillac afferma il carattere acquisito empirico e non innato, delle funzioni mentali, descrivendo, con l‘esempio della statua, come quelle funzioni si attivino gradualmente anche attraverso la sollecitazione di un unico organo sensoriale. Diderot considera la sensibilità come un insieme coordinato e unitario, critica il modello meccanicistico e descrive la natura come dotata di interne capacità di evoluzione. Più apertamente materialistiche sono le posizioni di La Mettrie, di Helvétius e d‘Holbach. Jean Jacques Rousseau (1712-1778) Discorso sull'origine e i fondamenti della disuguaglianza tra gli uomini (1754) Economia politica (1755) La Nuova Eloisa (1761) - Il contratto sociale (1762) - Emilio o dell'educazione (1762) Anti-illuminismo e illuminismo Un posto a parte nell‘Illuminismo ha Rousseau. L‘Illuminismo non aveva fatto della ragione la sola realtà umana; aveva riconosciuto i limiti di essa nonché il valore dei bisogni, degli istinti e delle passioni. Aveva tuttavia posto nella ragione la vera natura dell‘uomo: cioè l‘ordine normativo al quale la vita umana va ricondotta la guida nella molteplicità dei suoi elementi costitutivi. Rousseau sembra infrangere su questo punto l‘ideale illuministico. La natura umana non è ragione; è istinto, sentimento. La ragione stessa devia se non assume come sua guida 204 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ l‘istinto naturale L‘Illuminismo vuoi riportare l‘istinto alla ragione, Rousseau la ragione all‘istinto. Ma il risultato finale è lo stesso. Lo stato di natura e la critica della civiltà Il motivo dominante dell‘opera di Rousseau è il contrasto tra l‘uomo naturale e l‘uomo artificiale. Tutto è bene, egli dice al principio dell‘Emilio, quando esce dalle mani dell‘Autore delle cose; tutto degenera fra le mani dell‘uomo. Di questa degenerazione, Rousseau fa un‘analisi amara e spietata. I beni che l‘umanità crede di avere acquistati, i tesori del sapere, dell‘arte, della vita raffinata non hanno contribuito alla felicità e alla virtù dell‘uomo, ma lo hanno allontanato dalla sua origine ed estraniato dalla sua natura. Le scienze e le arti devono la loro nascita ai nostri vizi e hanno contribuito a rinforzarli. L‘astronomia è nata dalla superstizione; l‘eloquenza dall‘ambizione, dall‘odio, dall‘adulazione, dalla menzogna; la geometria dall‘avarizia; la fisica da una vana curiosità; tutte, e la morale stessa, dall‘orgoglio umano. Esse hanno inoltre contribuito a stabilire l‘ineguaglianza fra gli uomini. Ineguaglianza dalla quale nascono tutti i mali sociali. L‘egoismo, il bisogno di dominio governano i rapporti fra gli uomini, Dunque la stessa vita sociale si regge sui vizi più che sulle virtù. Tuttavia questa situazione in cui l‘uomo si trova non è, come riteneva Pascal, costitutiva di lui né dovuta al peccato originale. I casi accidentali che hanno perfezionato la ragione e rovinato la natura umana originaria sono, secondo Rousseau, la nascita della proprietà in primo luogo, poi l‘istituzione della magistratura, infine il mutamento del 205 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ potere legittimo in potere arbitrario; alla prima si deve lo stato di ricco e di povero, alla seconda quello di potente e di debole e al terzo quello di padrone e di schiavo, che è l‘ultimo grado dell‘ineguaglianza. E evidente che l‘uomo può risalire dallo stato in cui si trova verso lo stato originario. difatti la decadenza è dovuta a cause accidentali ed estranee sulle quali la volontà umana può agire. Perciò Rousseau intende il progresso come un ritorno alle origini, cioè alla natura; e si ferma a delineare con compiacenza le meta e il termine ideale di questo ritorno: la condizione naturale dell‘uomo. Ma egli non intende questa condizione come uno stato di fatto. Essa è uno stato che non esiste più, che forse non è mai esistito, che probabilmente non esisterà mai, ma di cui è necessario tuttavia aver nozioni giuste per ben giudicare del nostro stato presente. Lo stato di natura è dunque soltanto una norma di giudizio, un criterio direttivo per sottrarre l‘uomo al disordine della sua condizione presente e riportarlo all‘ordine e alla giustizia. La Nuova Eloisa, il Contratto sociale e l‘Emilio sono le opere nelle quali Rousseau stabilisce le condizioni per le quali la famiglia, la società e l‘individuo possono ritornare alla loro condizione naturale, uscendo dalla degenerazione artificiale in cui sono caduti. Il ritorno alla natura (famiglia e politica). Il Contratto sociale La Nouvelle Héloise, che narra la vicenda di due giovani amanti contrastati nel loro amore dalla volontà dei parenti e dalle convenienze sociali, è l‘affermazione della santità del vincolo familiare fondato sulla libera scelta degli istinti 206 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ naturali. Così Rousseau fa parlare un personaggio (Milord Edouard) che difende la giovane coppia: Il legame coniugale non è forse il più libero come il più sacro degli impegni? Sì, tutte le leggi che lo mortificano sono ingiuste, tutti i padri che osano formarlo o romperlo sono tiranni. Questo casto nodo della natura non è sottomesso né al potere sovrano né all‘autorità paterna, ma alla sola autorità del Padre comune che sa comandare i cuori e che, ordinando loro di unirsi, li può costringere ad amarsi... Che il rango sia regolato dal merito e l‘unione dei cuori dalla loro scelta, ecco il vero ordine sociale; coloro che lo regolano con la nascita o con le ricchezze sono i veri perturbatori di quest‘ordine e sono essi che vanno condannati o puniti (Il, lett. 2a). Per il vincolo coniugale il ritorno alla natura significa quindi la libertà della scelta guidata dall‘istinto. Il Contratto Sociale vuol essere per la società politica ciò che la Nuova Eloisa è per la famiglia: il riconoscimento delle condizioni per le quali la comunità può ridursi alla natura, cioè a una forma di fondamentale giustizia. L‘opera è difatti la delineazione di una comunità etico-politica nella quale ciascun individuo non obbedisce ad una volontà estranea, ma ad una volontà generale che egli riconosce per propria e quindi in ultima analisi a se stesso. L‘ordine sociale non è un ordine naturale: nasce tuttavia per una necessità naturale quando gli individui non sono più in grado di vincere le forze che si oppongono alla loro conservazione: a questo punto il genere umano perirebbe se non mutasse la sua maniera di vivere. Il problema che allora si pone è il seguente: ‗Trovare una forma d‘associazione che difenda e protegga con tutta la forza comune la persona e i beni di ciascun associato, e 207 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ per la quale ciascuno, unendosi con tutti, non obbedisca tuttavia che a se stesso e rimanga così libero come prima‘. Questo problema è risolto dal patto che è alla base della società politica. La clausola fondamentale di questo patto è l‘alienazione totale di ciascun associato, con tutti i suoi diritti, a tutta la comunità. In cambio della sua persona privata, ciascun contraente riceve la nuova qualità di membro o parte indivisibile del tutto; e si genera così un corpo morale e collettivo, composto di tanti membri quanti voti ha l‘assemblea, corpo che ha la sua unità, il suo io comune, la sua vita e la sua volontà. Col passaggio dallo stato di natura allo stato civile, l‘uomo sostituisce nella sua condotta la giustizia all‘istinto e dà alle sue azioni la moralità di cui prima mancavano. Il passaggio dallo stato di natura allo stato civile non è dunque una decadenza dell‘uomo, se lo stato civile è la continuazione e il perfezionamento dello stato di natura. E tutta l‘opera di Rousseau è dedicata a illustrare le condizioni per le quali esso sia e si mantenga tale. La volontà propria del corpo sociale o sovrano è la volontà generale, che non è la somma delle volontà particolari, ma la volontà che tende sempre all‘utilità generale e che quindi non può sbagliare. Di questa volontà sono emanazioni le leggi, che sono gli atti della volontà generale; e non sono quindi gli ordini di un uomo o di più uomini, ma le condizioni per la realizzazione del bene pubblico. Intermediario tra i sudditi e il corpo politico sovrano è il governo, a cui è dovuta l‘esecuzione delle leggi e il mantenimento della libertà civile e politica. I governi tendono a degenerare opponendosi alla sovranità. del corpo politico con una loro volontà particolare che si oppone alla volontà generale. 208 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Ma i depositari del potere esecutivo non hanno nessuna autorità legittima verso il popolo che è il vero sovrano. Un patto sociale stabilito a tali condizioni garantisce, secondo Rousseau, la libertà dei cittadini perché garantisce che ciascuno dei suoi membri non obbedisca che a se stesso. Difatti la volontà generale non è che la volontà diretta all‘interesse di tutti, e obbedendo alla volontà generale l‘individuo non subisce alcuna diminuzione o limitazione. Perciò da un lato Rousseau distingue la volontà generale dalle decisioni che in linea di fatto il popolo prende e perfino dalla volontà di tutti; dall‘altro esige la completa subordinazione dell‘individuo alla volontà generale perché fuori della volontà generale egli non può avere che interessi o moventi particolari e quindi ingiusti. La natura dell‘uomo è libertà; ma la comunità politica non può garantire all‘individuo la libertà dell‘istinto disordinato. ma solo quella di un istinto disciplinato e moralizzato dalla ragione, il che appunto accade con la coincidenza della volontà singola con la volontà generale. Assunta la necessità di una vita associata, il ritorno alla natura di questa vita associata è apparso a Rousseau come l‘ordine e la disciplina razionale dell‘istinto spontaneo. Democrazia e totalitarismo In Rousseau rimane un‘ambiguità di fondo, la quale fa si che da un lato egli sia potuto sembrare un teorico della democrazia e della libertà, per l‘esplicita affermazione secondo cui la sovranità risiede nel popolo e per l‘idea di una comunità di cittadini liberi ed eguali, e dall‘altro lato sia potuto apparire come il fautore di una forma di governo totalitaria, per la celebrazione della volontà 209 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ generale. Secondo questa interpretazione, Rousseau finirebbe per porsi come il profeta e ideologo dei moderni totalitarismi di massa, quali saranno incarnati dal nazismo di Hitler e dal comunismo di Stalin. L‘educazione secondo natura L‘Emilio è un‘opera pedagogica. All‘educazione tradizionale che opprime con una soprastruttura artificiale la natura originaria, bisogna sostituire un‘educazione che si proponga come unico fine la conservazione e il rafforzamento di tale natura. L‘Emilio è la storia di un fanciullo educato appunto a questo fine, rispetto al quale, l‘opera dell‘educatore deve essere, almeno in un primo tempo, negativa: non deve insegnare la virtù e la verità ma salvaguardare il cuore dal vizio e la mente dall‘errore. L‘azione dell‘educatore deve essere unicamente diretta a far sì che lo sviluppo fisico e spirituale del fanciullo avvenga in modo del tutto spontaneo, che ogni sua nuova acquisizione sia una creazione che nulla venga dall‘esterno, ma tutto dall‘interno, cioè dal sentimento dell‘educando. La religione naturale La religione naturale esposta nella Professione di fede del Vicario Savoiardo. pur facendo appello all‘istinto e al sentimento naturale, s‘indirizza soprattutto alla ragione, la quale sola può illuminare e chiarire ciò che l‘istinto e il sentimento oscuramente testimoniano, Il canone di cui si serve il Vicario Savoiardo è difatti quello d‘interrogare il lume interiore nell‘analizzare le diverse opinioni e di dare l‘assenso soltanto a quelle verosimili. Il lume interiore, 210 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ che è la coscienza o sentimento naturale, non è qui che la ragione, come equilibrio o armonia delle passioni e degli interessi spontanei dell‘anima, Il primo dogma della religione naturale è l‘esistenza di Dio, ricavata dalla necessità di ammettere una causa del movimento che anima la materia e di spiegare l‘ordine e la finalità dell‘universo. Il secondo dogma è la spiritualità, l‘attività e la libertà dell‘anima. Nel Contratto sociale Rousseau precisa che lo Stato non può obbligare a credere agli articoli di fede, ma può bandire chiunque non li creda, non come empio ma come insocievole. Gli articoli di questo credo civile sono gli stessi della religione naturale con in più la santità del contratto sociale e delle leggi e con l‘aggiunta di un dogma negativo, l‘intolleranza. Si può notare il contrasto tra l‘assoluta libertà religiosa che sembra il presupposto dell‘Emilio e l‘obbligatorietà del credo civile nel Contratto sociale. 211 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ CAPITOLO 12 I. KANT Konigsberg (1724 – 1804. Si distingue un periodo precritico (ossia precedente allapubblicazione della prima edizione della Critica della ragion pura, avvenuta nel 1781 – laseconda edizione è del 1787) e il periodo critico, caratterizzato dalle sue tre opere principali: laCritica della ragion pura, la Critica della ragion pratica (1788) e la Critica del giudizio (1790). Al periodo critico appartengono anche: Prolegomeni ad ogni futura metafisica che voglia presentarsi come scienza (1783); Fondazione della metafisica dei costumi (1785); Principi metafisici della scienza della natura (1786); La religione nei limiti della semplice ragione (1793); La metafisica dei costumi (1797); Antropologia dal punto di vista pragmatico (1798) e scritti minori. Il criticismo come filosofia del limite Il pensiero di Kant è detto criticismo perché, contrapponendosi al dogmatismo, fa della critica lo strumento della filosofia. Si definisce così perché è una critica (dal greco kríno, ―giudico‖) della ragione, operata dalla ragione stessa, ―un tribunale, che la garantisca nelle sue pretese legittime, ma condanni quelle che non hanno fondamento, non arbitrariamente, ma secondo le sue eterne ed immutabili leggi‖. ―Criticare‖, nel linguaggio di Kant, significa dunque interrogarsi sul fondamento di determinate esperienze chiarendone le possibilità (= le condizioni che ne permettono l‘esistenza), la validità (legittimità o non-legittimità che le caratterizzano) e i 212 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ limiti. Kant si propone di rinunciare ad ogni evasione dai limiti dell‘uomo e, come egli stesso riconosce, deve questa rinuncia a Hume, che ha rotto il suo ―sonno dogmatico‖. Il kantismo si inserisce infatti nello specifico orizzonte storico del pensiero moderno e risulta definito da quelle coordinate di base che sono la rivoluzione scientifica da un lato e la crisi progressiva delle metafisiche tradizionali dall‘altro. Da questo punto di vista, il kantismo può essere considerato come la prosecuzione di quell‘indirizzo critico che l‘empirismo inglese aveva iniziato, riconoscendo e segnando i limiti della ragione e del mondo umano, e che l‘illuminismo aveva difeso e propagandato nel Settecento. Tuttavia, il kantismo si distingue dall‘empirismo non solo per il rifiuto dei suoi esiti scettici, ma anche per il suo spingere più a fondo l‘analisi critica, cioè per un metodo di filosofare che, più che soffermarsi sulla descrizione dei meccanismi conoscitivi, etici, sentimentali, ecc., si sforza di fissarne le condizioni e i limiti di validità La Critica della Ragion Pura La Critica della ragion pura è un‗analisi critica dei fondamenti del sapere. Ai tempi di Kant l‘universo del sapere si articolava in scienza e metafisica, il suo capolavoro prende la forma di un‘indagine valutativa circa queste due attività conoscitive. Agli occhi del filosofo la scienza e la metafisica si presentavano in modo diverso. Infatti, la prima, grazie ai successi conseguiti da Galileo e da Newton, appariva come un sapere fondato. Tuttavia, poiché il pensiero scettico di Hume aveva minato alla base non solo i fondamenti ultimi della metafisica, ma anche quelli della scienza, si profilava, secondo Kant, la 213 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ necessità di un riesame globale della struttura e della validità della conoscenza che fosse in grado di rispondere in modo esauriente alla domanda sulla scientificità di questi due campi del sapere. Da ciò le quattro domande di base: Come è possibile la matematica pura? Com‘è possibile la fisica pura? Com‘è possibile la metafisica in quanto disposizione naturale? Come è possibile la metafisica come scienza? Mentre nel caso della matematica e della fisica semplicemente di giustificare una situazione di fatto, chiarendo le condizioni rendono possibili, nel caso della metafisica si tratta di scoprire se esistano le condizioni di porsi come scienza. I giudizi sintetici a priori Kant è convinto che la conoscenza umana e in particolare la scienza offra il tipico esempio di principi assoluti, a di verità universali e necessarie, che valgono ovunque e sempre allo stesso modo. Tali sono ad es. le proposizioni: ―Tutto ciò che accade ha una causa, i fenomeni in generale cadono nel tempo e stanno necessariamente fra di loro apporti di tempo‖. Kant denomina principi di questo tipo ―giudizi sintetici a priori, giudizi poiché consistono nell‘aggiungere un predicato ad un soggetto; sintetici perché il predicato dice qualcosa di nuovo e di più rispetto ad esso; a priori ché essendo universali e necessari non possono derivare dall‘esperienza. Dal punto di vista di Kant, i giudizi fondamentali della scienza non sono quindi né giudizi analitici a priori né giudizi sintetici a posteriori. I primi sono giudizi che gono enunciati a priori, senza bisogno di ricorrere all‘esperienza, in quanto in essi predicato non fa che esplicitare, con un processo di analisi 214 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ basato sul principio di non contraddizione, quanto è gi. implicitamente contenuto nel soggetto: ad esempio ―i corpi o estesi. Di conseguenza tali giudizi, pur essendo universali e necessari (= a priori) o infecondi, perché non ampliano il nostro preesistente patrimonio conoscitivo I secondi sono giudizi in cui il predicato dice qualcosa di nuovo rispetto al soggetto, sintetizzandosi a quest‘ultimo in virtù dell‘esperienza, ovvero a posteriori: ad esempio i corpi sono pesanti. Questi giudizi, pur essendo fecondi (= sintetici) sono privi di universalità e necessità perché poggiano esclusivamente sull‘esperienza. Invece i principi della scienza — i cosiddetti giudizi sintetici a priori — risultano sintetici, ossia fecondi, e a priori, ossia universali e necessari. Pur essendo formulata in modo logico, questa teoria kantiana dei giudizi sottintende un confronto con le scuole filosofiche precedenti. I giudizi analitici a priori richiamano infatti la concezione razionalistica della scienza. I giudizi sintetici a posteriori richiamano invece l‘interpretazione empiristica della scienza. La rivoluzione copernicana Dopo aver messo in luce che il sapere poggia su giudizi sintetici a priori, Kant si trova di fronte al problema di spiegare la provenienza di questi ultimi. Se non derivano dall‗esperienza, da dove deriveranno i giudizi sintetici a priori Per materia della conoscenza si intende la molteplicità caotica e mutevole delle pressioni sensibili che provengono dall‘esperienza (= elemento empirico o a posteriori. Per forma si intende l‘insieme delle modalità, fisse attraverso cui la mente umana ordina, secondo determinati rapporti, tali impressioni (= elemento 215 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ razionale o a priori). Kant ritiene infatti che la mente filtri attivamente i dati empirici attraverso forme innate che risultano comuni ad ogni soggetto pensante. Come tali, queste forme sono a priori rispetto all‘esperienza e sono fornite di validità universale e necessaria, in quanto tutti le possiedono e le applicano allo stesso modo. Per chiarire la teoria delle forme a priori di Kant gli studiosi sono ricorsi all‘esempio che le paragona a delle specie di lenti colorate, o di occhiali permanenti, attraverso cui guardiamo la realtà. Ma se in noi esistono determinate forme a priori universali e necessarie (lo spazio ed il tempo e le 12 categorie) attraverso cui incapsuliamo i dati della realtà, resta spiegato perché si possano formulare dei giudizi sintetici a priori intorno ad essa senza timore i essere smentiti dall‘esperienza. Un esempio: se sapessimo di portare sempre delle lenti azzurre, potremmo dire, con tutta sicurezza, che il mondo, anche in futuro, per noi continuerà ad essere azzurro. Analogamente, noi possiamo asserire con certezza che ogni evento, anche in futuro, dipenderà da cause o sarà nello spazio e nel tempo, in quanto non possiamo percepire le cose se non attraverso la causalità e mediante lo spazio ed il tempo. In conclusione, ―noi tanto conosciamo a priori delle cose quanto noi stessi poniamo in esse‖. Questa nuova impostazione del problema della conoscenza è la ‗rivoluzione copernicana‘ che Kant ritiene di aver operato in filosofia. Come Copernico, per spiegare i moti celesti, aveva ribaltato i rapporti fra la terra e il sole, così Kant, per spiegare la scienza, ribalta i rapporti fra soggetto ed oggetto, affermando che non è la mente che si modella passivamente sulla realtà bensì la realtà che si adegua alle 216 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ forme a priori attraverso cui la percepiamo. Questo comporta, inoltre, la distinzione kantiana tra fenomeno e cosa in sé. Il fenomeno è la realtà quale ci appare tramite le forme a priori che sono proprie della nostra struttura conoscitiva. Il fenomeno non è un‘apparenza illusoria, poiché è un oggetto, ed un oggetto reale, ma reale soltanto nel rapporto con il soggetto conoscente. La cosa in sé è la realtà considerata indipendentemente da noi e dalle forme a priori mediante cui la conosciamo. Le facoltà della conoscenza e le partizioni della Critica Kant articola la conoscenza in tre facoltà principali: Ogni nostra conoscenza viene dai sensi, da qui va all‘intelletto, per finire nella ragione. La sensibilità è la facoltà con cui gli oggetti ci sono dati intuitivamente attraverso i sensi e tramite le forme a priori di spazio e tempo. L‘intelletto è la facoltà attraverso cui pensiamo i dati sensibili tramite i concetti puri o categorie. La ragione è la facoltà attraverso cui, procedendo oltre l‘esperienza, cerchiamo di spiegare la realtà mediante le tre idee di anima, mondo e Dio. Su questa tripartizione della facoltà conoscitiva in generale è sostanzialmente basata anche la divisione della Critica della ragion pura. Questa si biforca in due tronconi principali: la dottrina degli elementi, che si propone di scorre, isolandoli, quegli elementi formali della conoscenza che Kant chiama puri o a priori: e la dottrina del metodo, che consiste nel determinare il metodo della conoscenza medesima. La dottrina degli elementi, che è la parte più estesa della Critica, si ramifica a sua volta in Estetica trascendentale e Logica trascendentale. L‘Estetica trascendentale (intesa nel senso greco di dottrina della 217 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ sensibilità) studia la sensibilità e le sue forme - spazio e di tempo, mostrando come su di essa si fondi la matematica. La Logica trascendentale si sdoppia a sua volta in Analitica trascendentale, che studia l‘intelletto - le sue forme a priori — le 12 categorie — mostrando come su di esse si fondi la fisica.. La Dialettica trascendentale, che studia la ragione e le sue tre idee di anima, mondo, Dio, mostrando come su di esse si fondi la metafisica. La matematica si fonda sulle forme a priori della sensibilità, la fisica sulle forme a priori dell‘intelletto, la metafisica sulle idee della ragione . Trascendentale non significa qualcosa che oltrepassa ogni esperienza, bensì qualcosa che certo la precede (a priori) ma non è determinato a nulla più che a render possibile la conoscenza nell‘esperienza‘. Chiamo trascendentale ogni conoscenza che si occupi, in generale, non tanto di oggetti quanto del nostro modo di conoscere gli oggetti nella misura in cui questo deve essere possibile a priori. L‘estetica trascendentale La teoria dello spazio e del tempo Nell‘Estetica Kant studia la sensibilità e le sue forme a priori. Kant considera la sensibilità recettiva perché essa non genera i propri contenuti. Tuttavia la sensibilità non è soltanto recettiva, ma anche attiva, in quanto organizza il materiale delle sensazioni (= le intuizioni empiriche tramite lo spazio ed il tempo che costituiscono le forme a priori (= le intuizioni pure) della sensibilità. Lo spazio è la forma del senso esterno, cioè quella rappresentazione a priori necessaria, che sta a fondamento 218 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ di tutte le intuizioni esterne e del disporsi delle cose l‘una accanto all‘altra. Il tempo è la forma del sen interno, cioè quella rappresentazione a priori che sta a fondamento dei nostri stati terni e del loro disporsi l‘uno dopo l‘altro. ovvero secondo un ordine di successione. Tuttavia, poiché è unicamente attraverso il senso interno che ci giungono i dati senso esterno, il tempo si configura anche, indirettamente come la maniera universale attraverso la quale percepiamo tutti gli oggetti. La matematica Kant vede nella geometria e nell‘aritmetica delle scienze sintetiche a priori per eccellenza. Sintetiche, in quanto ampliano le nostre conoscenze mediante costruzioni mentali che vanno oltre il già noto. Ad esempio, la proposizione 7 + 5 = 12, è sintetica in quanto il risultato 12 viene aggiunto tramite l‘operazione del sommare e non può quindi esser ricavato per via puramente analitica (ciò risulta evidente se si prendono in esame cifre più alte). Inoltre, le matematiche sono a priori in quanto i teoremi geometrici ed aritmetici valgono indipendentemente dall‘esperienza. Qual è, allora, il punto di appoggio delle costruzioni sintetiche a priori delle matematiche? Kant non ha dubbi che esso risieda nelle intuizioni di spazio e di tempo. Infatti la geometria è la scienza che dimostra sinteticamente a priori le proprietà. delle figure mediante l‘intuizione pura di spazio, stabilendo ad esempio, senza ricorrere all‘esperienza del mondo esterno, che fra le infinite linee che uniscono due punti la più breve è la retta, che due parallele non chiudono uno spazio, che in una circonferenza il raggio è minore del diametro ecc. 219 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Analogamente, l‘aritmetica è la scienza che determina sinteticamente a priori la proprietà delle serie numeriche, basandosi sull‘intuizione pura di tempo e di successione, senza la quale lo stesso concetto di numero non sarebbe mai sorto. In quanto a priori, la matematica è anche universale e necessaria, immutabilmente valida per tutte le menti pensanti. L‘analitica trascendentale La seconda parte della Dottrina degli elementi è la Logica trascendentale, cioè un tipo di logica che presenta una fisionomia originale rispetto a quella della tradizione e che ha come specifico oggetto di indagine l‘origine, l‘estensione e la validità oggettiva delle conoscenze a priori che sono proprie dell‘intelletto (studiato nell‘Analitica trascendentale e della ragione (studiata nella Dialettica trascendentale).Sensibilità e intelletto precisa Kant in un passo famoso sono entrambi indispensabili alla conoscenza, poiché ―senza sensibilità, nessun oggetto ci verrebbe dato e senza intelletto nessun oggetto verrebbe pensato‖. Nella Analitica dei concetti, che è la prima parte dell‘Analitica trascendentale, Kant sostiene che le intuizioni sono delle affezioni (qualcosa di passivo), mentre i concetti sono delle funzioni, ovvero delle operazioni attive, che consistono nell‘ordinare o nell‘unificare diverse rappresentazioni sotto una rappresentazione comune. Ad es. quello di corpo è un concetto in quanto sotto di esso si trovano raccolte altre rappresentazioni (v. quella di metallo). Ora, i concetti possono essere empirici, cioè costruiti con materiali ricavati dall‘esperienza, o puri, cioè contenuti a priori 220 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ nell‘intelletto. I concetti puri si identificano con le categorie (nel senso aristotelico del termine), cioè con quei concetti basilari della mente che rappresentano le supreme funzioni dell‘intelletto. E poiché ciascun concetto è ―il predicato dì un giudizio possibile‖, le categorie coincidono con i predicati primi, cioè con quelle grandi caselle entro cui rientrano tutti i predicati possibili. Tuttavia, a differenza delle categorie aristoteliche, che hanno un valore ontologico e gnoseologico al tempo stesso, essendo simultaneamente forme dell‘essere e del pensiero e quindi leges entis et mentis. le categorie kantiane hanno una portata esclusivamente gnoseologica, in quanto rappresentano dei modi di funzionamento dell‘intelletto (e quindi solo leges mentis) che non valgono per la cosa in sé, ma solo per il fènomeno. Stabilita la nozione di categoria, si tratta di redigerne una tavola completa. Kant. che rimprovera Aristotele di aver rinvenuto le categorie in modo casuale, ossia senza valersi di un principio sistemati, comune, formula il suo inventano sulla base del seguente schema: poiché pensare è giudicare, ci saranno tante categorie quante sono le forme di giudizio. E poiché la logica generale, secondo Kant, raggruppa i giudizi secondo la quantità, la qualità, la relazione e la modalità, egli fa corrispondere a ogni tipo di giudizio un tipo di categoria La deduzione trascendentale Formulata la tavola delle categorie, Kant si trova di fronte al problema della giustificazione della loro validità. Problema che egli denomina ―deduzione trascendentale‘. Kant usa il termine ―deduzione‘ non in senso logico- 221 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ matematico, bensì in quello giuridico. Analogamente, la deduzione‖ delle categorie non consiste nella semplice prova che esse sono adoperate. :n linea di fatto, nella conoscenza scientifica; ma nella giustificazione che quest‘uso è legittimo. Il problema della deduzione suona perciò in questo modo: perché le categorie, pur essendo forme soggettive le/la nostra mente, pretendono di valere anche per li oggetti, ossia per la natura che non è l‘intelletto a creare? Detto altrimenti, che cosa ci garantisce, di diritto, che la natura obbedirà alle categorie. manifestandosi, nell‘esperienza, secondo le nostre maniere di pensarla? Nei confronti delle forme della sensibilità, cioè per lo spazio e per l tempo, tale problema non si affaccia. Infatti, un oggetto non può apparire all‘uomo, cioè essere percepito da lui, se non attraverso queste forme. Invece, per quanto concerne le categorie, non è per nulla evidente che gli oggetti debbano sottostare ad esse. In altri termini, dire che la realtà obbedisce, oltre che alle forme delle nostre intuizioni, anche ai nostri pensieri, è un paradosso che esige una giustificazione adeguata. Didatticamente ridotto all‘osso, il ragionamento kantiano consiste quindi nel mostrare che: a) poiché tutti i pensieri presuppongono l‘io penso e b)poiché ―l‘io penso pensa tramite le categorie, ne segue c) che tutti gli oggetti pensati presuppongono le categorie. Il che equivale a dire che la natura (fenomenica) obbedisce necessariamente alle forme (a priori) del nostro intelletto. L‘io penso si configura dunque come ―il principio supremo della conoscenza umana. ossia come ciò cui deve sottostare ogni realtà per poter entrare nel campo dell‘esperienza e per divenire un oggetto-per-noi. Nello stesso tempo, esso 222 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ rappresenta ciò che rende possibile l‘oggettività (= l‘universalità e la necessità) del sapere. Infatti, senza 1‘io penso e le categorie tramite cui esso opera, saremmo chiusi nel cerchio della soggettività individuale e potremmo stabilire soltanto delle connessioni particolari e contingenti. Kant insiste inequivocabilmente sul carattere formale dell‘io penso, il quale si limita semplicemente ad ordinare una realtà che gli preesiste e senza di cui la sua stessa conoscenza non avrebbe senso. Gli schemi trascendentali Se nell‘analitica dei concetti Kant si è occupato delle categorie, nell‘analitica dei principi indaga il modo in cui esse si possono applicare ai fenomeni. Ciò avviene innanzitutto con la dottrina dello schematismo che mostra come ciò possa avvenire in concreto. Se la sensibilità e l‘intelletto sono due facoltà eterogenee, quale sarà l‘elemento mediatore per cui l‘intelletto possa applicare i propri concetti a priori alle intuizioni? Kant risolve il problema affermando che l‘intelletto, non potendo agire direttamente sugli oggetti della sensibilità, agisce indirettamente su di essi tramite il tempo, che è medium universale attraverso cui tutti gli oggetti sono percepiti. In altre parole. se il tempo condiziona gli oggetti, l‘intelletto, condizionando il tempo, condizionerà gli oggetti. Gli schemi trascendentali sono la prefigurazione intuitiva (= temporale) delle categorie, ovvero le regole attraverso cui l‘intelletto condiziona il tempo in conformità ai propri concetti a priori. In altri termini, potremmo dire che gli schemi trascendentali sono le categorie calate nel tempo, ovvero le categorie tradotte in linguaggio temporale. Per 223 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ quanto concerne le categorie di relazione, lo schema della categoria di sostanza è la permanenza nel tempo; lo schema della categoria di causa-effetto è la successione nel tempo; lo schema dell‘azione reciproca è la simultaneità nel tempo. E così via per le altre categorie. Il concetto di noumeno L‘originalità di Kant, che anziché cercare negli oggetti la garanzia ultima della conoscenza, la scopre nella mente stessa dell‘uomo, fondando le istanze dell‘oggettività nel cuore stesso della soggettività, appare in tutta la sua forza ed evidenza. Di conseguenza, il conoscere, per Kant, non può estendersi al di là dell‘esperienza, in quanto una conoscenza che non si riferisca ad un‘ esperienza possibile non è conoscenza, ma un vuoto pensiero. Questo principio implica che le categorie abbiano il loro unico uso possibile in quello empirico, per il quale vengono riferite solo ai fenomeni, ossia agli oggetti di un‘esperienza determinata. La delimitazione della conoscenza al fenomeno comporta un esplicito rimando alla nozione di cosa in sé che, pur essendo inconoscibile, si staglia sullo sfondo di tutta la gnoseologia. Infatti Kant non ha mai pensato di ridurre la realtà al fenomeno, in quanto egli afferma che se c‘è un per-noi, deve per forza esserci un in-sé. In questo senso, la cosa in sé costituisce il presupposto o il postulato immanente del discorso gnoseologico di Kant, il quale, nel momento stesso in cui afferma che l‘essere si dà a noi attraverso delle forme a priori, è costretto a distinguere immediatamente tra fenomeno e cosa in sé. Kant ritiene che l‘ambito della conoscenza umana è rigorosamente limitato al fenomeno, poiché la cosa in sé, che egli 224 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ denomina con il termine greco noumeno (= la realtà pensabile, l‘intelligibile puro), non può essere oggetto di un‘esperienza possibile. In senso positivo. il noumeno è ―l‘oggetto di un intuizione non sensibile‖, cioè di una conoscenza extra-fenomenica che a noi è preclusa e che, invece, potrebbe essere propria di un ipotetico intelletto divino dotato di una intuizione intellettuale delle cose. In senso negativo, il noumeno è invece il concetto di una cosa in sé come di una X che non può mai entrare in rapporto conoscitivo con noi ed essere quindi oggetto della nostra intuizione sensibile‖. In questo senso, che è l‘unico in cui possiamo legittimamente adoperare tale nozione, la cosa in sé, più che essere una realtà, è per noi un concetto, e precisamente un concetto-limite che serve ad arginare le nostre pretese conoscitive. La dialettica trascendentale La genesi della metafisica e delle tre idee Nell‘Estetica e nell‘Analitica Kant ha portato a termine solo la prima parte del suo programma: la dimostrazione di come sia possibile il sapere scientifico, Nella Dialettica egli affronta la seconda parte di esso: il problema se la metafisica possa anch‘essa costituirsi come scienza. Già il termine dialettica — assunto a significare la ―logica della parvenza‖,— lascia intuire la risposta negativa di Kant a tal proposito. Riconnettendosi al significato peggiorativo del termine, per ―Dialettica trascendentale‖ Kant intende lo smascheramento dei ragionamenti fallaci della ragione.. La metafisica è come la colomba, che, presa dall‘ebbrezza del volo, immaginasse di poter volare anche senza l‘aria, 225 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ non rendendosi conto che quest‘ultima, pur essendo un limite al suo volo, ne è anche la condizione immanente, senza di cui essa precipiterebbe a terra. Kant ritiene che questo voler procedere oltre i dati esperienziali derivi dalla innata tendenza all‘ incondizionato e alla totalità. Spiegazione che fa leva sulle tre idee trascendentali che sono proprie della ragione. Infatti, quest‘ultima è portata ad unificare i dati del senso interno mediante l‘idea di anima, che è l‘idea della totalità assoluta dei fenomeni interni, ad unificare i dati del senso esterno mediante l‘idea di mondo, che è l‘idea della totalità assoluta dei fenomeni esterni; infine, ad unificare i dati interni ed esterni mediante l‘idea di Dio, inteso come totalità di tutte le totalità e fondamento di tutto ciò che esiste. L‘errore della metafisica consiste nel trasformare queste tre esigenze (mentali) di unificazione dell‘esperienza in altrettante realtà, dimenticando che noi non abbiamo mai a che fare con la cosa in sé, ma solo con la realtà non oltrepassabile del fenomeno. Per questo, i metafisici, secondo Kant, sono simili a quei già citati navigatori degli oceani burrascosi, che, non contenti della loro isola (cioè della terraferma del fenomeno e della scienza) vogliono spingersi in alto mare con l‘irrealizzabile speranza di trovare nuovi insediamenti. La Dialettica trascendentale vuoi appunto essere lo studio critico e la denuncia delle peripezie e dei naufragi della metafisica, cioè delle avventure e dei fallimenti del pensiero quando procede oltre gli orizzonti dell‘esperienza possibile, guidato da un‘ illusione strutturale così forte, che non cessa neppure quando si rende conto he essa è tale, proprio come l‘astronomo, ad esempio, non può impedire che la Luna 226 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ gli appaia più grande al suo levarsi, pur sapendo che ciò non è vero nella realtà, Per dimostrare l‘infondatezza della metafisica, Kant prende in considerazione le tre pretese scienze che da sempre ne costituiscono l‘ossatura: la psicologia razionale, che studia l‘anima, la cosmologia razionale, che indaga sul mondo, la teologia razionale o naturale, che specula su Dio. Critica della psicologia, della cosmologia e della teologia razionali Kant ritiene che la psicologia razionale o metafisica sia fondata su di un paralogisma cioè su di un ragionamento errato, che consiste nell‘applicare la categoria di sostanza all‘io penso, trasformandolo in una ‗realtà permanente‖ chiamata ―anima‖. In realtà, osserva Kant, l‘io penso non è un oggetto empirico, ma soltanto un‘unità formale e per di più sconosciuta, a cui non possiamo quindi applicare alcuna categoria. Anche la cosmologia razionale, che pretende di far uso della nozione di mondo, inteso come la totalità assoluta dei fenomeni cosmici, è destinata, a fallire, Infatti, poiché la totalità dell‘esperienza non è mai un‘esperienza, in quanto noi possiamo sperimentare questo o quel fenomeno, ma non la serie completa dei fenomeni, l‘idea di mondo cade, per definizione, al di fuori di ogni esperienza possibile. Tant‘è vero che quando i metafisici, dimentichi di ciò, pretendono di fare un discorso intorno al mondo nella sua totalità, cadono inevitabilmente nei reticolati logici delle cosiddette antinomie, veri conflitti della ragione con se stessa, che si concretizzano in coppie di affermazioni opposte, dove l‘una (la tesi) afferma e l‘altra (l‘antitesi) nega, ma tra le 227 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ quali, in assenza di un‘esperienza corrispondente, non è possibile decidere. Anche la teologia razionale. che si occupa del più arduo problema della metafisica, cioè della questione di Dio, risulta priva di valore conoscitivo. Dio, secondo Kant, rappresenta l‘ideale della ragion pura, cioè quel supremo modello personificato di ogni realtà perfezione che i filosofi hanno designato con il nome di Ens realissimum, concependolo come l‘Essere da cui derivano e dipendono tutti gli esseri. La tradizione ha elaborato tutta una serie di prove dell‘esistenza di Dio, che Kant raggruppa in tre classi: prova ontologica, cosmologica e fisico-teologica. a) La prova ontologica, che risale a S. Anselmo, ma che Kant assume nella forma cartesiana, pretende di ricavare l‘esistenza di Dio dal semplice concetto di Dio come essere perfettissimo, affermando che, in quanto tale, Egli non può mancare dell‘attributo dell‘esistenza. Distinguendo criticamente fra piano mentale e piano reale. Kant obbietta che non risulta possibile ―saltare‖ dal piano della possibilità logica a quello della realtà ontologica, in quanto l‘esistenza è qualcosa che possiamo constatare solo per via empirica, e non gi dedurre per via puramente intellettiva. Kant sostiene infatti che ―l‘esistenza non è un predicato‖, intendendo dire che l‘esistenza non è una proprietà logica, ma un fatto d‘esperienza. Tant‘è vero che quando si è ben descritta la natura di una realtà qualsiasi in tutti i suoi caratteri, ci si può ancora chiedere se esista o meno. Per cui, scrive Kant, la differenza tra cento talleri reali e cento talleri pensati non sta nel concetto, ma nel fatto che gli uni esistono e gli altri no. b) La prova cosmologica, si basa sulla distinzione fra contingente e 228 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ necessario, affermando che ―se qualcosa esiste, deve anche esistere un essere assolutamente necessario; poiché io stesso, almeno, esisto, deve quindi esistere un essere assolutamente necessario‖. Secondo Kant, il primo limite di questo argomento consiste in un uso illegittimo del principio di causa, in quanto esso, partendo dall‘esperienza della catena degli enti causati (contingenti), pretende di innalzarsi, oltre l‘esperienza, ad un primo anello incausato e Necessario. Ma il principio di causa è una regola con cui connettiamo i fenomeni tra di loro e che quindi non può affatto servire a connettere i fenomeni con qualcosa di trans-fenomenico. c) La prova fisico-teologica fa leva sull‘ordine, sulla finalità del mondo per innalzarsi ad una Mente ordinatrice. identificata con un Dio creatore, perfetto ed infinito. Essa, rileva Kant, è la più antica, la più chiara e la più adatta alla comune ragione. Anche questa prova, secondo Kant, risulta internamente minata da una sene di forzature logiche e dall‘utilizzazione mascherata dell‘argomento ontologico. Questa parte dall‘esperienza dell‘ordine del mondo e giunge subito all‘ idea di una causa ordinante trascendente, dimenticando che l‘ordine della Natura potrebbe essere una conseguenza della leggi immanenti alla Natura. La funzione regolativa Le idee della ragion pura, anche se non possono avere un uso costitutivo perché non servono a conoscere alcun oggetto possibile, possono avere, per Kant, un uso regolativo. Infatti ogni idea è, per la ragione, una regola che la spinge a dare al suo campo d‘indagine, che è 229 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ l‘esperienza, non solo la massima estensione, ma anche la massima unità sistematica. Così l‘idea psicologica spinge a cercare i legami fra tutti i fenomeni del senso interno e a rintracciare in essi una sempre maggiore unità proprio come se fossero manifestazioni di un‘unica sostanza semplice. L‘idea cosmologica spinge a passare incessantemente da un fenomeno naturale all‘altro, dall‘effetto alla causa e alla causa di questa causa e via all‘infinito, proprio come se la totalità dei fenomeni costituisse un unico mondo. L‘idea teologica infine addita all‘intera esperienza un ideale di perfetta organizzazione sistematica, che essa non raggiunger mai, ma che perseguir sempre, proprio come se tutto dipendesse da un unico creatore. Le idee, cessando di valere dogmaticamente come realtà, varranno in questo caso problematicamente, come condizioni che impegnano l‘uomo nella ricerca naturale. La Critica della Ragion pratica La ragione non serve solo a dirigere la conoscenza, ma anche l‘azione. Accanto alla ragione teoretica abbiamo quindi una ragione pratica. Il motivo che sta alla base della Critica della ragion pratica è la persuasione che esista, scolpita nell‘uomo, una legge morale a priori valida per tutti e per sempre. Kant considera questo punto ―un fatto‖. Essendo indipendente dagli impulsi del momento, la legge risu1terà anche, per definizione, universale e necessaria, ossia mutabilmente uguale a se stessa in ogni tempo e luogo. L‘equazione moralità = incondizionatezza = libertà = universalità e necessità rappresenta quindi il fulcro dell‘analisi etica di Kant. La morale implica la 230 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ bidimensionalità umana di ragione e sensibilità. Se l‘uomo fosse esclusivamente sensibilità, ossia animalità ed impulso, è ovvio che essa non esisterebbe, perché l‘individuo agirebbe sempre per istinto. Viceversa, se l‘uomo fosse pura ragione, la morale perderebbe ugualmente di senso, in quanto l‘individuo sarebbe sempre in una situazione di perfetta adeguazione alla legge. Invece la bidimensionalità dell‘essere umano fa sì che per Kant l‘agire morale prenda la forma severa del dovere e si concretizzi in una lotta permanente fra la ragione e gli impulsi egoistici. Kant distingue i principi che regolano la nostra volontà in massime e imperativi. La massima è una prescrizione di valore puramente soggettivo, cioè valida esclusivamente per l‘individuo che la fa propria (ad es. può essere una massima quella di vendicarsi di ogni offesa subita o di alzarsi presto al mattino per fare ginnastica). L‘imperativo è una prescrizione di valore oggettivo, ossia che vale per chiunque. Gli imperativi si dividono a loro volta in imperativi ipotetici e in imperativo categorico. Gli imperativi ipotetici prescrivono dei mezzi in vista di determinati fini ed hanno la forma del se... devi (ad es.: se vuoi conseguire buoni risultati scolastici, devi impegnarti in modo costante). L‘imperativo categorico ordina invece il dovere in modo incondizionato, ossia a prescindere da qualsiasi scopo, e non ha la forma del se,.. devi, ma del ―devi‖ puro. Ora, essendo la morale strutturalmente incondizionata, cioè indipendente dagli impulsi sensibili e dalle mutevoli circostanze, risulta evidente che essa non potrà risiedere negli imperativi ipotetici, che sono, per definizione, condizionati e variabili. Infatti, solo l‘imperativo categorico, in quanto in-condizionato, ha i 231 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ connotati della legge, ovvero di un comando che vale in modo perentorio per tutte le persone e per tutte le circostanze. In conclusione, solo l‘imperativo categorico, che ordina un tu devi assoluto, e quindi universale e necessario, ha in se stesso i contrassegni della moralità. Posto che la legge etica assuma la forma di un imperativo categorico, che cosa comanda quest‘ultimo? Kant risponde che esso, in quanto incondizionato consiste nell‘elevare a legge l‘esigenza stessa di una legge. E poiché dire legge è dire universalità, esso si concretizza nella prescrizione di agire secondo una massima che può valere per tutti. Da ciò la formula-base dell‘imperativo categorico: ―Agisci in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere nello stesso tempo come principio di una legislazione universale‖. L‘imperativo categorico è quel comando che prescrive di tener sempre presenti gli altri e che ci ricorda che un comportamento risulta morale solo se la sua massima appare universalizzabile. Ad esempio, chi mente compie un atto chiaramente immorale, poiché qualora venisse universalizzata la massima dell‘inganno i rapporti umani diventerebbero impossibili. Nella Fondazione della metafisica dei costumi troviamo anche una seconda ed una terza formula. La formalità della legge Un‘altra caratteristica strutturale dell‘etica kantiana è la formalità, in quanto la legge non ci dice che cosa dobbiamo fare, ma come dobbiamo fare ciò che facciamo. Anche ciò discende dalla riconosciuta incondizionatezza della norma etica. Infatti, se quest‘ultima non fosse formale, bensì ―materiale e prescrivesse quindi dei 232 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ contenuti concreti, sarebbe ―vincolata ad essi, perdendo inevitabilmente in termini di universalità, non potendo, qualsiasi contenuto o precetto particolare, possedere l‘universale portata della legge. Questo significa che l‘imperativo etico non può risiedere in una casistica o manualistica concreta di precetti, ma soltanto in una legge formale, la quale afferma semplicemente: quando agisci tieni presente gli altri e rispetta la dignità umana che è in te e nel prossimo. Ovviamente secondo Kant, sta poi ad ognuno di noi tradurre in concreto, nell‘ambito delle varie situazioni esistenziali, sociali e storiche, la parola della legge. Il cuore della moralità kantiana risiede nel dovereper-il dovere, ossia nello sforzo di attuare la legge della ragione solo per ossequio ad essa, e non sotto la spinta di inclinazioni o in vista di risultati. L‘autonomia e la rivoluzione copernicana morale Le varie determinazioni della legge etica convergono in quella dell‘autonomia, che tutte le implica e riassume. Il senso profondo dell‘etica kantiana, e della sua sorta di ―rivoluzione copernicana morale‖, consiste infatti nell‘aver posto nell‗uomo e nella sua ragione il fondamento dell‗etica, al fine di salvaguardarne la piena libertà e purezza. Se la libertà, presa in senso negativo, risiede nell‘indipendenza della volontà dalle inclinazioni, in senso positivo si identifica con la sua capacità di autodeterminarsi, ossia nella prerogativa autolegislatrice della volontà, la quale fa sì che l‘umanità sia norma a se stessa. Di conseguenza, Kant polemizza aspramente contro tutte le morali eterononie. cioè contro tutti quei sistemi che pongono il fondamento del dovere in forze esterne 233 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ all‘uomo o alla sua ragione. facendo scaturire la morale, anziché dalla pura forma‘ dell‘imperativo categorico, da principi ‗materiali‖. I postulati pratici La felicità non può mai erigersi a motivo del dovere, perché in tal caso metterebbe in forse l‘incondizionatezza della legge etica e quindi la sua categoricità, formalità, purezza ed autonomia. Tuttavia la virtù, pur essendo il ‗bene supremo‘, non è ancora, secondo Kant, quel sommo bene cui tende irresistibilmente la nostra natura, che consiste nell‘unione di virtù e felicità. Ma in questo mondo virtù e felicità non sono mai congiunte, in quanto lo sforzo di essere virtuosi e la ricerca della felicità sono due azioni distinte e per lo più opposte. L‘unico modo per uscire da tale antinomia, è di ―postulare‖ un mondo dell‘aldilà in cui possa realizzarsi l‘equazione virtùfelicità. Kant trae il termine ―postulato‖ dal linguaggio della matematica classica. In quest‘ultima, mentre si dicono assiomi le verità fornite di auto-evidenza, si chiamano postulati quei principi che, pur essendo indimostrabili, vengono accolti per rendere possibili determinate entità o verità geometriche. Analogamente, i postulati di Kant sono quelle proposizioni non dimostrabili che ineriscono alla legge morale come condizione della sua stessa esistenza, ovvero quelle esigenze della morale che vengono ammesse per rendere possibile la realtà della morale stessa, ma che di per se stesse non possono venir dimostrate. I postulati tipici di Kant sono l‘immortalità dell‘anima e l‘esistenza di Dio. Accanto ai due postulati ―religiosi‖ dell‘immortalità dell‘anima e dell‘esistenza di 234 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Dio, Kant pone un altro postulato: la libertà. Quest‘ultima è infatti la condizione stessa dell‘etica, che nel momento stesso in cui prescrive il dovere presuppone anche che si possa agire o meno in conformità di esso e che quindi si sia sostanzialmente liberi, ―Devi. dunque puoi‖, afferma Kant, se c‘è la morale deve, per forza, esserci la libertà. I postulati kantiani non possono affatto valere come conoscenze. Se i postulati fossero delle verità dimostrate, la morale scivolerebbe immediatamente verso l‘eteronomia e sarebbe nuovamente la religione (o la metafisica) a fondare la morale, con tutti gli inconvenienti gi esaminati. Rovesciando il modo tradizionale di intendere il rapporto tra morale e religione, Kant sostiene che non sono le verità religiose a fondare la morale, bensì la morale, sia pur sotto forma di postulati, a fondare le verità religiose. In altri termini, Dio, per Kant, non sta all‘inizio e alla base della vita morale, ma eventualmente alla fine, come suo possibile completamento. La critica del giudizio Dalla Critica della ragion pura emergeva una visione della realtà. in termini meccanicistici, in quanto la natura, dal punto di vista fenomenico, appariva come una struttura causale e necessaria, entro la quale non trovava posto la libertà umana. Dalla Critica della ragion pratica affiorava invece una visione della realtà in termini indeterministici e finalistici, in quanto si postulava, come condizione della morale, la libertà dell‘uomo e l‘esistenza di Dio. Da ciò l‘abisso fra due mondi tanto diversi. La Critica del Giudizio si domanda se non vi siano vie per superare questo ―abisso‖, questa ―spaccatura‖. Le vie per arrivare a 235 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ questa persuasione non sono evidenze scientifiche, ma la bellezza e l‘ordine della natura che sono oggetto della Critica del Giudizio. Vi sono due tipi di giudizio: Giudizio determinante – E‘ il giudizio scientifico (sintetico a priori) studiato dalla Critica della ragion pura e Giudizio riflettente – L'accordo tra il mondo della necessità naturale e quello della libertà Kant lo trova in quello che chiama ―giudizio riflettente‖, col quale il soggetto ―riflette‖ (come uno specchio) dall'interno all'esterno, attribuisce agli oggetti esterni una finalità che come tale appartiene solo al soggetto (i critici denominano questo spostamento come rivoluzione copernicana estetica), alla sua interiorità. Il giudizio riflettente quindi serve a stabilire un ponte tra il mondo naturale (necessità) e il mondo della libertà (rivelato dalla volontà morale).Il principio guida a-priori è l‘ipotesi della finalità della natura. Vi sono due modi per scoprire il ―finalismo‖ nella natura: il giudizio estetico (Kant utilizza ora il termine estetico nel suo significato comune) e il giudizio finalistico. Nel giudizio estetico noi vediamo immediatamente la finalità della natura (es. di fronte a un bel paesaggio). Il giudizio estetico ha una pretesa di universalità, di oggettività e si può specificare attraverso tre definizioni: Bello è l‘oggetto di un piacere disinteressato; Bello è ciò che piace universalmente; Bello è una ―finalità senza scopo‖ (espressione volutamente contraddittoria per significare che l‘armonia che percepiamo in un oggetto bello non rientra in schemi concettuali precisi). Kant introduce anche il concetto di Sublime, che è ―ciò che è assolutamente grande al di là di ogni comparazione‖; Sublime matematico (immensamente grande) e sublime 236 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ dinamico (forze immensamente grandi). Essi riguardano ciò che è ―informe‖, cioè illimitato (diametro terrestre, la via lattea, le galassie ecc.). Il sublime è in un certo modo presentito quando, di fronte a certi spettacoli naturali che superano il potere della nostra immaginazione, proiettiamo su quest‘ultimi quella grandezza assoluta che è propria del sovrasensibile. Nel giudizio teleologico non vediamo immediatamente la finalità, ma la pensiamo attraverso il concetto di fine (es. riflettendo su uno scheletro capiamo che è stato prodotto per sorreggere l‘animale). Cosa sia in sé la natura non lo sappiamo, perché la conosciamo solo fenomenicamente; tuttavia non possiamo fare a meno di considerarla come finalizzata: ―per la particolare struttura della mia facoltà conoscitiva io non posso giudicare della possibilità di quelle cose (naturali) e della loro produzione se non pensando ad una causa che agisce intenzionalmente‖. Non possiamo fare a meno di scorgere nella natura anche cause finali (sebbene possiamo solo conoscere le cause meccaniche). Tuttavia ―Non c‘è nessuna ragione umana che possa sperare di comprendere secondo cause meccaniche la produzione sia pure di un filetto d‘erba‖. La considerazione teleologica ha un uso regolativo e risponde a un bisogno della natura umana. 237 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ CAPITOLO 13 Romanticismo e idealismo Il Romanticismo è un vasto movimento letterario, artistico e culturale che si sviluppò tra la fine del'700 e gli inizi dell'800, prima in Germania e poi nel resto dell‘Europa. Pur essendo un movimento molto eterogeneo, si caratterizza per alcuni aspetti comuni di fondo: 1. Il senso dell‘infinito: in tutto il romanticismo vi è una tensione ad andare oltre qualsiasi limite materiale e spirituale, verso l'assoluto o l'infinito. I romantici si differenziano per il diverso modo di intendere l‘Infinito e di concepirne i rapporti con il finito (l‘uomo, la natura, ecc.). Il modello dominante è quello panteistico, secondo il quale il finito è la realizzazione vivente dell‘Infinito. Un secondo modello, che afferma invece la distinzione tra finito e Infinito, è una forma di trascendentismo e di teismo, che ammette la trascendenza dell‘Infinito rispetto al finito. 2. L'esaltazione del sentimento e dell‘arte: contro il razionalismo dell'illuminismo, il romanticismo propone la riscoperta del sentimento. Nel romanticismo viene rifiutata ogni visione ottimistica di derivazione illuminista (rifiuto del progresso e della scienza). Dai poeti e dagli artisti, l‘organo più funzionale per rapportarsi alla vita e per penetrare nell‘essenza più riposta dell‘universo viene rintracciato nel sentimento, che è la principale eredità che il Romanticismo riceve dallo Sturm und Drang. Il pensiero è soltanto un sogno del sentimento (Novalis). Goethe nel Faust scrive: Quando in cotesto sentire ti senti veramente 238 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ felice, chiamalo pure allora come vuoi: chiamalo felicità, cuore, amore, Dio. Per questo io non ho nome alcuno. Sentimento è tutto. La parola è soltanto suono e fumo. L‘esaltazione del sentimento procede parallelamente al culto dell‘arte: la poesia, ma soprattutto la musica, sono gli organi capaci di raggiungere intuitivamente l‘Infinito. l'arte come suprema forma di conoscenza e disciplina intellettuale, vista come espressione massima della spiritualità immanente al mondo 3. La concezione spiritualistica e antimeccanicistica della natura, per cui il mondo naturale è l'espressione di una divinità immanente. Da Galileo in poi, la Natura era stata prevalentemente considerata come sistema di materia in movimento retto da un insieme di leggi meccaniche, senza ulteriori finalità. Riprendendo dall‘altro la visione anticorinascimentale della natura, i romantici giungono ad una filosofia della natura organicistica (la natura è una totalità organizzata nella quale le parti vivono solo in funzione del tutto), vitalista (la natura è una forza dinamica, vivente, animata), finalistica (la natura è un processo in vista secondo determinati scopi, immanenti o trascendenti), spiritualistica (la natura è anch‘essa spirituale o uno spirito in divenire) e dialettica (la natura è organizzata secondo coppie di forze opposte, formate da un polo positivo ed uno negativo, e costituenti delle unità dinamiche). La scoperta della pila voltaica e i progressi del chimismo e del magnetismo parvero, ad un certo punto, confermare talune intuizioni romantiche, come ad esempio quelle relative alla ―dialettica‖ dei fenomeni naturali. 239 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ 4. La riscoperta della fede: la riscoperta del sentimento religioso in grado di cogliere gli aspetti più trascendenti e mistici della vita, in risposta all'antireligiosità dell'illuminismo; 5. La rivalutazione della storia: la rivalutazione, ad esempio, del periodo medievale, in contrapposizione all'antistoricismo illuminista che aveva svalutato il medioevo definendolo il periodo buio dell'umanità; Storicamente viene indicato come movimento ispiratore del Romanticismo lo Sturm und Drang ("tempesta ed impeto"), che prese il nome da un dramma di Klinger del 1776. La filosofia della fede si può considerare nel suo complesso come l‘espressione filosofica del movimento letterario dello Sturm und Drang. La ragione contro cui questa filosofia polemizza è la ragione finita, cioè la ragione di cui Kant aveva individuato i limiti; alla quale contrappone la fede come organo capace di cogliere ciò che ad essa è inaccessibile. Allo Sturm und Drang parteciparono Schiller e Goethe. Il poeta Friedrich Schiller vede nell‘arte il principio che armonizza insieme la natura e lo spirito. Johann Wolfgang Goethe fa della natura stessa il tema ispiratore di ogni riflessione. Per Goethe, la natura e Dio sono strettamente congiunti e fanno tutt‘uno. La natura non è che l‘abito vivente della divinità. L‘idealismo L‘idealismo è l‘espressione filosofica del romanticismo. Per idealismo tedesco Tutto è Spirito e la Natura esiste non come realtà a sé stante, ma come momento dialettico necessario della vita dello Spirito. Questa idea viene 240 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ espressa magistralmente nel racconto di Novalis I discepoli di Sais, dove si dice che: Accadde ad uno di alzare il velo della dea di Sais, Ma cosa vide? Egli vide — meraviglia delle meraviglie — se stesso. Secondo l‘interpretazione idealistica, la dea velata sarebbe il simbolo del mistero dell‘universo; quell‘uno che giunge a scoprirla è il filosofo idealista, che dopo una lunga ricerca si rende conto che la chiave di spiegazione di ciò che esiste, vanamente cercata dai filosofi fuori dell‘uomo, ad esempio in un Dio trascendente o nella Natura, si trova invece nell‘uomo stesso, ovvero nello Spirito, Ma se l‘uomo è la ragion d‘essere e lo scopo dell‘universo, che sono gli attributi fondamentali che la filosofia occidentale ha riferito alla divinità, vuol dire che egli coincide con l‘Assoluto e con l‘Infinito, cioè con Dio stesso, A questo punto risultano evidenti anche i rapporti che uniscono e dividono l‘idealismo dalla tradizione ebraico-cristiana. Gli idealisti pensano anch‘essi, da un lato, che l‘uomo sia il re del creato tuttavia l‘idealismo tedesco, laicizzando il biblico Dio creò i cieli e la terra per l‘uomo‖, conclude che l‘uomo stesso è Dio. Tant‘è vero che la figura classica di un Dio trascendente e staticamente perfetto, per il primo Fichte, è solo una ‗ciarla scolastica o una chimera‘, in quanto presupporrebbe l‘esistenza di un positivo senza il negativo. Invece, per gli idealisti, l‘unico Dio possibile è lo Spirito dialetticamente inteso, ovvero il soggetto che si costituisce tramite l‘oggetto. la libertà che opera attraverso l‘ostacolo, l‘io che si sviluppa attraverso il non-io. Con l‘idealismo ci troviamo di fronte, per la prima volta nella storia del pensiero, ad una forma di panteismo spiritualistico (Dio è lo Spirito operante nel Mondo) 241 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Linee fondamentali dell‘idealismo tedesco Si definiscono genericamente idealiste quelle visioni del mondo che ritengono che la realtà ―vera‖ non sia quella materiale ma sia quella spirituale (Platonismo e Cristianesimo). In senso specifico Idealismo è la corrente filosofica tedesca (Fichte, Schelling e Hegel) che giunge a dire che tutto è Spirito. L'idealismo tedesco nasce a seguito della negazione dell'esistenza della cosa in sé. Questo era un concetto fondamentale del pensiero di Kant, il quale aveva sostenuto che il mondo, così come noi lo vediamo e descriviamo, dipende anche dalla particolare struttura della nostra sensibilità e del nostro intelletto, in definitiva del nostro pensiero. Questo è il mondo dei fenomeni, che quindi per definizione sono non ciò che è in sé (cosa in sé), ma ciò che a noi appare. Per gli idealisti la cosa in sé è un concetto insostenibile, dato che non si può ammetterne l'esistenza, nel momento in cui se ne dichiara l'inconoscibilità. Ma, una volta tolta la cosa in sé, tutta la realtà si risolve nel pensato. Il pensiero non è più qualche cosa di rappresentativo di una realtà che sta al di fuori, ma è l'essere stesso. Al di là del contenuto del pensiero non c'è nulla. Naturalmente il pensiero non è quello dell'individuo, ma dell'umanità tutta intera; non di un soggetto singolo, ma dello spirito. Entro questo quadro, l‘idealismo di Fichte è detto soggettivo, perché considera il fondamento di tutto un Soggetto o Io, che crea la natura, ed etico, perché impone ad ogni individuo il dovere di tendere verso la libertà. L'idealismo di Schelling è detto oggettivo, perché considera il fondamento come identità di Io e Natura, ed 242 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ estetico, perché l'Assoluto può essere colto solo tramite l'intuizione estetica. L'idealismo di Hegel è detto assoluto, perché costituisce un superamento dei primi due grazie alla completa realizzazione del finito. Aspetti comuni dell‘idealismo sono: 1. l‘identificazione della realtà con lo Spirito; 2. l‘idea di Dio come processo continuo di auto-realizzazione; 3. la tesi che l‘infinito vive nel finito. Se tutto è Spirito il concetto di Natura viene rivisto completamente alla luce del nuovo concetto di dialettica degli opposti: nella realtà non esiste mai un positivo (tesi) senza un negativo (antitesi), un Soggetto senza un Oggetto, un Io senza un Non-Io. Lo Spirito ―crea‖ la Natura come suo opposto e la Natura esiste solo per lo Spirito, in funzione dello Spirito, come la scena dell‘attività dello Spirito. La natura esiste solo come polo dialettico negativo, necessario per la vita dello Spirito. Ecco il senso delle righe di Novalis. Il mistero dell‘universo (simbolizzato dalla dea velata) è risolto dal filosofo idealista che dopo aver inutilmente cercato la risposta fuori dell‘uomo (la Natura, Dio trascendente ecc.), finalmente la trova nell‘Uomo stesso, nello Spirito. Ma se l‘Uomo (lo Spirito) è il senso del tutto, allora l‘Uomo coincide con il Tutto, con l‘Infinito, con Dio. L‘uomo è Dio stesso. Mentre tutte le filosofie naturalistiche e materialistiche avevano concepito la Natura come causa dello Spirito (nel senso che l‘Uomo è un prodotto della Natura), l‘idealismo rovescia questa convinzione sostenendo che è lo Spirito (l‘Uomo) ad essere causa della natura. Con l‘idealismo tedesco si ha la prima 243 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ formulazione nella storia della filosofia di una forma di panteismo spiritualistico (Dio è lo Spirito che opera nel Mondo, è l‘Uomo), che si distingue nettamente dal panteismo naturalistico (Dio è la natura) e dal Trascendentismo (Dio ebraico-cristiano trascendente la natura). J. Fichte (1762-1814) Kant aveva riconosciuto nell‘io-penso il principio supremo di tutta la conoscenza. Schulze, Maimon e Beck hanno dichiarata chimerica la stessa cosa in sé in quanto esterna alla coscienza e indipendente da essa. Maimon e Beck avevano quindi giù tentato di attribuire all‘attività soggettiva la produzione del materiale sensibile e di risolvere nell‘io l‘intero mondo della conoscenza, Fichte trae per la prima volta le conseguenze da queste premesse. Se l‘io è l‘unico principio, non solo formale ma anche materiale del conoscere, se alla sua attività è dovuto non solo il pensiero della realtà oggettiva, ma questa realtà stessa nel suo contenuto materiale, è evidente che l‘io è non solo finito, ma infinito. Tale è il punto di partenza di Fichte. Il quale è il filosofo dell‘infìnità dell‘Io, della sua assoluta attività, quindi della sua assoluta libertà. La deduzione di Fichte mette capo ad un principio assoluto, che pone o crea il soggetto e l‘oggetto fenomenici in virtù di un‘attività creatrice, cioè di un‗intuizione intellettuale. La Dottrina della scienza ha lo scopo di dedurre da questo principio l‘intero mondo del sapere; e di dedurlo necessariamente, in modo da dare il sistema unico e compiuto di esso. Non deduce tuttavia il principio stesso della deduzione, che è l‘Io, e il problema in cui urta è 244 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ appunto quello che verte sulla natura dell‘Io. Le successive elaborazioni della Dottrina della scienza si differenziano sostanzialmente nel rapporto che stabiliscono tra l‘infinito e l‘uomo. La Dottrina della scienza e i suoi tre principi. L‘ambizione di Fichte è di costruire un sistema grazie al quale la filosofia, cessando di essere semplice ricerca del sapere (secondo l‘etimologia greca del termine), divenga finalmente un sapere assoluto e perfetto. Infatti il concetto della Dottrina della scienza è quello di una scienza della scienza, cioè di un sapere che metta in luce il principio su cui si fonda la validità di ogni scienza e che a sua volta si fondi, quanto alla sua validità, sullo stesso principio. I1 principio della dottrina della scienza è l‘lo o l‘Autocoscienza. Noi possiamo dire che qualcosa esiste, afferma il filosofo, solo rapportandolo alla nostra coscienza, ossia facendone un essere-per-noi, A sua volta la coscienza è tale solo in quanto è coscienza di se medesima, ovvero autocoscienza. In sintesi: l‘essere per noi (l‘oggetto) è possibile soltanto sotto la condizione della coscienza (del soggetto) e questa soltanto sotto la condizione dell‘autocoscienza. La coscienza è il fondamento dell‗essere, l‘autocoscienza è il fondamento della coscienza. La Dottrina della scienza è il tentativo sistematico di dedurre dal principio dell‘autocoscienza la vita teoretica e pratica dell‘uomo. Fichte comincia in essa con lo stabilire i tre principi di questa deduzione. 1. l‘Io pone se stesso; 2. L‘Io oppone a sé un non—io, ossia il mondo, in cui si trova anche il nostro io finito, pensa a se 245 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ stesso come contrapposto agli oggetti (non-io). 3. L‘lo oppone nell‘Io all‘io divisibile un non-io divisibile Il primo principio è ricavato da una riflessione sulla legge d‘identità (per cui A = A), che la filosofia tradizionale aveva considerato come base universale del sapere. In realtà, osserva Fichte, tale legge non rappresenta il primo principio della scienza, poiché essa implica un principio ulteriore che è l‘Io. Infatti, tale legge presuppone che se A è dato, deve essere formalmente uguale a se stesso (A = A; es. il triangolo è triangolo). In tal modo essa assume ipoteticamente la presenza cii A. Ora, l‘esistenza iniziale cli A dipende dall‘Io che la pone, poiché senza l‘identità dell‘lo (Io = Io) l‘identità logica (A = A) non si giustifica. In altri termini, il rapporto d‘identità è posto dall‘lo, perché è l‘Io che giudica cli esso. Ma l‘Io non può porre quel rapporto, se non pone se stesso. L‘esistenza dell‘lo ha dunque la stessa necessità del rapporto logico A = A, in quanto l‘Io non può affermare nulla senza affermare in primo luogo la propria esistenza. Di conseguenza, il principio supremo del sapere non è quello d‘identità, che è posto dall‘lo, ma l‘Io stesso. Questi, a sua volta, non è posto da altri, ma si pone da sé, Infatti la caratteristica dell‘Io consiste nell‘auto-creazione, Tale auto-creazione coincide con l‘intuizione intellettuale che l‘Io ha di se stesso. Il primo principio della Dottrina della scienza stabilisce quindi che ―l‘lo pone se stesso‖, chiarendo come il concetto di Io in generale si identifichi con quello di un‘attività auto-creatrice ed infinita, Il secondo stabilisce che ―l‘Io pone il non-io‖, ovvero che l‘Io non solo pone se stesso, ma oppone anche a se stesso qualcosa che, in quanto gli è opposto, è un non-io (oggetto, mondo, 246 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ natura). Tale non-io è tuttavia posto dall‘Io ed è quindi nell‘lo. Infatti, che senso avrebbe un Io senza un non-io, cioè un soggetto senza oggetto, un‘attività senza un ostacolo, un positivo senza un negativo? Il terzo principio mostra come l‘Io, avendo posto il non-io, si trovi ad essere limitato da esso, esattamente come quest‘ultimo risulta limitato dall‘Io, In altri termini, con il terzo principio perveniamo alla situazione concreta del mondo, nella quale abbiamo una molteplicità di io finiti che hanno di fronte a sé una molteplicità di oggetti a loro volta finiti. E poiché Fichte usa l‘aggettivo divisibile per denominare il molteplice e il finito, egli esprime il principio in questione con la seguente formula: ―L‘lo oppone nell‘Io all‘io divisibile un non-io divisibile‖. Questi tre principi delineano l‘intera teoria di Fichte, perché stabiliscono: a) l‘esistenza di un Io infinito, attività assolutamente libera e creatrice b) l‘esistenza di un io finito (perché limitato dal non-io), cioè di un soggetto empirico (l‘uomo come intelligenza o ragione); c) la realtà di un non-io, cioè dell‘oggetto (mondo o natura), che si oppone all‘io finito, ma è ricompreso nell‘Io infinito, dal quale è posto. Nello stesso tempo essi sono la sintesi della deduzione idealistica del mondo, ossia di quella spiegazione della realtà alla luce dell‘Io, che contrapponendosi all‘antica metafisica dell‘essere (oggetto) giunge ad una nuova metafisica dello spirito (Soggetto). I tre principi non vanno interpretati in modo cronologico, bensì logico, in quanto Fichte, con essi, non intende dire che prima esista l‘Io infinito, poi l‘io che pone il non-io ed infine l‘io finito, ma semplicemente che esiste un Io che, per poter essere tale, 247 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ deve presupporre di fronte a sé il non-io, trovandosi in tal modo ad esistere concretamente sotto forma di io finito. Friedrich Schelling (1755-1854) Lo sviluppo del pensiero di Schelling risulta estremamente complesso e oggetto di discussioni critiche. In generale gli studiosi tendono a distinguere alcuni momenti del suo filosofare: 1) Il momento fichtiano 2) la fase della filosofia della natura 3) il periodo dell‘idealismo trascendentale 4) lo stadio della filosofia dell‘identità 5) il periodo teosofico 6) la fase della filosofia positiva e della filosofia della religione. L‘assoluto come indifferenza di Spirito e Natura Il principio che aveva assicurato il successo della filosofia di Fichte è quello dell‘infinito: infinita attività che spiega ad un tempo l‘Io e il non-io, lo spirito e la natura. L‘Io di Fichte è il principio dell‘infinità soggettiva, Schelling vuole unire le due infinità nel concetto di un Assoluto che non è riducibile né al soggetto né all‘oggetto, perché dev‘essere il fondamento dell‘uno e dell‘altro. Ben presto egli si accorge che una pura attività soggettiva (l‘Io di Fichte) non potrebbe spiegare la nascita del mondo naturale, e che un principio puramente oggettivo (la Sostanza spinoziana) non potrebbe spiegare l‘origine dell‘intelligenza e dell‘io, Il principio supremo deve essere quindi un Assoluto o Dio che sia insieme soggetto e oggetto, ragione e natura; cioè che sia l‘unità, l‘identità o l‘indifferenza di entrambi. La natura, secondo Schelling, 248 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ ha vita, razionalità, e quindi valore, in se stessa. Deve avere in sé un principio autonomo che la spieghi in tutti i suoi aspetti. E questo principio deve essere identico a quello che spiega il mondo della ragione e dell‘io, quindi la storia. Il principio unico deve essere insieme soggetto e oggetto, attività razionale e attività inconsapevole, idealità e realtà. Tale è l‘Assoluto. Il riconoscimento del valore autonomo della natura e la tesi dell‘Assoluto come identità o indifferenza di natura e spirito conducono Schelling ad ammettere due possibili direzioni della ricerca filosofica: l‘una, la filosofia della natura, diretta a mostrare come la natura si risolva nello spirito, l‘altra, la filosofia trascendentale, diretta a mostrare come lo spirito si risolva nella natura. La filosofia della natura La filosofia della natura di Schelling è una costruzione tipicamente romantica e si oppone ai due tradizionali modelli interpretativi della natura: quello meccanicisticoscientifico e quello finalistico-teologico. Il primo, parlando in termini di materia, movimento e causa si trova in difficoltà, come aveva già notato Kant, a spiegare gli organismi viventi. Il secondo, ricorrendo alla magia di un Dio che agisce dall‘esterno sul mondo, finisce per compromettere l‘autonomia dei processi naturali. A questi due modelli Schelling contrappone il proprio organicismo finalistico e immanentistico, ossia uno schema secondo cui: 1) ogni parte ha senso solo in relazione al tutto e alle altre parti (= organicismo); 2) l‘universo non si riduce ad una miracolosa collisione di atomi, poiché al di là del meccanismo delle sue forze si manifesta una finalità 249 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ superiore (oggettiva e reale) che, tuttavia, non deriva da un intervento esterno, ma è interno alla Natura stessa (finalismo immanentistico). La Natura è un ―organismo che organizza se stesso‖ e l‘idea di uno Spirito o di una entità spirituale inconscia immanente nella Natura. Una forza che Schelling, rifacendosi agli antichi, denomina anche con il termine di ―Anima del mondo‖, precisando che la natura è un Tutto vivente, ovvero un immenso Organismo in cui ogni cosa, compresa la sfera inorganica, risulta dotata di vita. La Natura si polarizza in due principi di base: l‘attrazione e la repulsione. Le tre manifestazioni universali della Natura, nelle quali si concretizza la polarità attrazione-repulsione, sono il magnetismo, l‘elettricità e il chimismo. La prima potenza è rappresentata dal mondo inorganico; la seconda dalla luce, in cui la Natura si fa visibile a se stessa, la terza dal mondo organico, nel quale. con la sensibilità, abbiamo il l‘inizio aurorale dell‘autocoscienza. Nel complesso la natura, appare come la ―preistoria dello spirito‖ che, attraverso un lungo processo, giunge all‘uomo. Fisica speculativa e pensiero scientifico La filosofia della natura di Schelling è una fisica speculativa. Un merito di questa concezione è di aver mostrato i limiti del meccanicismo tradizionale e di aver posto l‘esigenza di studiare la natura, in particolare il mondo organico, con schemi più appropriati. Un altro pregio è di aver contribuito a preparare una mentalità evoluzionistica in senso lato. Infine è bene ricordare che l‘idea di una finalità immanente della natura, ossia l‘originale concetto di un fine inconscio interno ai 250 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ fenomeni naturali, continua a suscitare l‘interesse di quei filosofi e di quegli scienziati che, pur rifiutando l‘ottica meccanistica, non accettano, per questo, il finalismo teologico tradizionale (ossia la nozione di un Dio-Artefice e Programmatore del mondo). La teoria dell‘arte Nella filosofia teoretica e pratica Spirito e Natura, Conscio e Inconscio, nonostante la loro puntuale corrispondenza, continuano a configurarsi come due poli distinti, separati da una divaricazione originaria, che è quella fra soggetto ed oggetto. Secondo Schelling, l‘unica maniera per risolvere questo nodo è di rintracciare un‘attività nella quale si armonizzino completamente spirito e natura, il produrre inconscio e quello conscio. Schelling ritiene che l‘arte si configuri come l‘organo di rivelazione dell‘Assoluto nei suoi caratteri di infinità, consapevolezza e inconsapevolezza al tempo stesso. Infatti, nella creazione estetica l‘artista risulta in preda ad una forza inconsapevole, che lo ispira e lo entusiasma, facendo sì che la sua opera si presenti come sintesi di un momento inconscio (l‘ispirazione) e di un momento conscio e meditato (l‘esecuzione cosciente). L‘intero fenomeno dell‘arte rappresenta quindi la miglior chiave per intendere la struttura dell‘Assoluto come sintesi differenziata di natura e spirito. L‘esaltazione romantica dell‘arte trova quindi in Schelling la sua più significativa forma filosofica. 251 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ G. W. F. Hegel (1770-1831) Gli scritti giovanili rimasero inediti e sono quasi tutti di natura teologica: La positività della religione cristiana; Lo spirito del cristianesimo e il suo destino. La prima grande opera di Hegel è la Fenomenologia dello spirito (1807) nella cui prefazione (1806) egli dichiarava il suo distacco dalla dottrina di Schelling. A Norimberga Hegel pubblicò la Scienza della logica, le cui due parti apparvero rispettivamente nel 1812 e nel 1816. A Heidelberg l‘Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (1817) che è la più compiuta formulazione del sistema di Hegel. A Berlino Hegel pubblicava i Lineamenti di filosofia del diritto (1821). Dopo la sua morte gli scolari raccolsero, ordinarono e pubblicarono i suoi corsi dì Berlino. Già negli scritti giovanili Hegel critica la cultura illuministica, la quale separa, secondo Hegel, aspetti e momenti della realtà concettualmente uniti. Nella Positività della religione cristiana Hegel confronta la civiltà moderna con la polis greca, evidenziando come oggi la società sia separata e frammentaria. Questo è dovuto alle diverse forme di religiosità: nella Grecia arcaica la divinità era inserita nella vita dell‘uomo mentre nella religione cristiana Dio è trascendente all‘uomo stesso. Ne Lo spirito del cristianesimo Hegel corregge la sua posizione e il cristianesimo non è più inteso come opposizione tra Dio e uomo ma come unione realizzata concretamente nella figura di Gesù, incarnazione di Dio. Nel periodo di Jena l‘esigenza di riconciliazione si sposta dal piano religioso a quello filosofico. Hegel critica in 252 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ particolare le filosofie di Kant (la cui filosofia lascia irrisolto il contrasto fra soggetto e oggetto) e di Fichte (l‘Io assoluto mantiene l‘opposizione tra sé e l‘infinità delle rappresentazioni). Con la Fenomenologia dello spirito, Hegel attacca Schelling nella cui filosofia l‘assoluto è inteso come unità totale ed inscindibile tra oggetto e soggetto. Hegel paragona tale concetto al buio della notte. Le tesi di fondo del sistema Per poter seguire lo svolgimento del pensiero di risulta indispensabile aver chiare, sin dall‘inizio, le fondo del suo idealismo: 1) la risoluzione del nell‘infinito; 2) l‘identità fra ragione e realtà; funzione giustificatrice della filosofia. Hegel tesi di finito 3) la 1. Con la prima tesi Hegel intende dire che la realtà non è un insieme di sostanze autonome, ma un organismo unitario di cui tutto ciò che esiste è parte o manifestazione. Tale organismo coincide con l‘Assoluto e con l‘infinito, mentre i vari enti del mondo, essendo manifestazioni di esso, coincidono con il finito. Di conseguenza, il finito, come tale, non esiste. perché ciò che noi chiamiamo finito è nient‘altro che un‘espressione parziale dell‘infinito. Infatti, la parte non può esistere se non in connessione con il Tutto. L‘hegelismo si configura quindi come una forma di monismo panteistico, cioè come una teoria che vede nel mondo (= il finito) la manifestazione o la realizzazione di Dio infinito. Mentre per Spinoza l‘Assoluto è una sostanza statica che coincide con la Natura, per Hegel si identifica invece con un Soggetto spirituale in divenire, di cui tutto 253 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ ciò che esiste è momento o tappa. Dire che la realtà non è ―Sostanza‖, ma ―Soggetto‖, significa dire, secondo Hegel, che essa non è qualcosa di immutabile e di già dato, ma un processo di auto-produzione che soltanto alla fine, cioè con l‘uomo (lo Spirito) e le sue attività più alte (arte, religione e filosofia), giunge a rivelarsi per quello che è veramente: il vero è l‘intero. Ma l‘intero è soltanto l‘essenza che si completa mediante il suo sviluppo. Dell‘Assoluto devesi dire che esso è essenzialmente Risultato, che solo alla fine è ciò che è in verità. 2. Il Soggetto spirituale infinito che sta alla base della realtà viene denominato da Hegel con il termine Idea o Ragione, intendendo con queste espressioni l‘identità di pensiero ed essere, o meglio, di ragione e realtà. Da ciò il noto aforisma in cui si riassume il senso stesso dell‘hegelismo: ― Ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale‘.Con la prima parte della formula, Hegel intende dire che la razionalità non è pura idealità, astrazione, schema, ma la forma stessa di ciò che esiste. Viceversa, con la seconda parte della formula, Hegel intende affermare che la realtà non è una materia caotica, ma il dispiegarsi di una struttura razionale (l‘idea o la Ragione) che si manifesta in modo inconsapevole nella natura e in modo consapevole nell‘uomo. Per cui, con il suo aforisma, Hegel non esprime la semplice possibilità che la realtà sia penetrata o intesa dalla ragione, ma la necessaria, totale e sostanziale identità di realtà e ragione. Tale identità implica‘anche l‘identità fra essere e dover— essere, in quanto ciò che è risulta anche ciò che razionalmente deve essere. Il mondo, in quanto è, e così com‘è, è razionalità dispiegata, ovvero ragione reale e 254 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ realtà razionale — che si manifesta attraverso una serie di momenti necessari che non possono essere diversi da come sono. Infatti. da qualsiasi punto di vista guardiamo il mondo, troviamo ovunque, secondo Hegel, una rete di connessioni necessarie e di ―passaggi obbligati‖ che costituiscono l‘articolazione vivente dell‘unica Idea o Ragione. 3. Hegel ritiene che il compito della filosofia consista nel prendere atto della realtà e nel comprenderne le strutture razionali che la costituiscono: Comprendere ciò che è, è il compito della filosofia, poiché ciò che è, è la ragione. La filosofia arriva sempre troppo tardi; giacché sopraggiunge quando la realtà ha compiuto il suo processo di formazione. Essa, afferma Hegel, è come la nottola di Minerva che inizia il suo volo sul far del crepuscolo, cioè quando la realtà è già belle fatta. La filosofia deve dunque mantenersi in pace con la realtà‖ e rinunciare alla pretesa assurda di determinarla. Questi chiarimenti delineano il tratto essenziale della filosofia e della personalità di Hegel. L‘autentico compito che Hegel ha inteso attribuire alla filosofia è la giustificazione razionale della realtà. Idea, Natura e Spirito: le partizioni della filosofia Hegel ritiene che il farsi dinamico dell‘Assoluto passi attraverso i tre momenti dell‘Idea in sé e per sé (tesi), dell‘Idea fuori di sé (antitesi) e dell‘Idea che ritorna in sé‘ (sintesi). Tant‘è vero che il disegno complessivo dell‘Enciclopedia hegeliana è quello di una grande triade dialettica. L‘Idea in sé e per sé o Idea pura è l‘Idea considerata in se stessa, a prescindere dalla sua concreta 255 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ realizzazione nel mondo. Da questo angolo prospettico. l‘Idea, secondo un noto paragone teologico di Hegel, è assimilabile a Dio ―prima della creazione della natura e di uno spirito finito‖, ovvero, in termini meno equivocanti (visto che l‘Assoluto hegeliano è un infinito immanente. che non crea il mondo, ma è il mondo) al programma o all‘ossatura logico-razionale della realtà. L‘Idea fuori di sé o Idea ―nel suo esser altro è la Natura, cioè l‘alienazione dell‘Idea nelle realtà spazio-temporali del mondo. L‘Idea che ritorna in sé è lo Spirito, cioè l‘Idea che dopo essersi fatta natura torna presso di sé‖ nell‘uomo. Ovviamente, questa triade non è da intendersi in senso cronologico, come se prima ci fosse l‘Idea in sé e per sé, poi la Natura e infine lo Spirito, ma in senso ideale. Infatti ciò che concretamente esiste nella realtà è lo Spirito (la sintesi), il quale ha come sua coeterna condizione la Natura (l‘antitesi) e come suo coeterno presupposto il programma logico rappresentato dall‘Idea pura (la tesi). A questi tre momenti strutturali dell‘Assoluto Hegel fa corrispondere le tre sezioni in cui divide il sapere filosofico: 1) la logica, 2) la filosofia della natura, 3) la filosofia dello spirito. La dialettica L‘Assoluto, per Hegel, è divenire. La legge che regola tale divenire è la dialettica, che rappresenta, al tempo stesso, la legge (ontologica) di sviluppo della realtà e la legge (logica) di comprensione della realtà. Hegel distingue tre momenti o aspetti del pensiero: 1) l‘astratto o intellettuale; 2) il dialettico o negativo-razionale; 3) lo speculativo o positivo-razionale. Il momento intellettuale è quello per cui il pensiero si ferma alle definizioni rigide della realtà, 256 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ limitandosi a considerarne nelle loro differenze reciproche e secondo il principio di identità e di non-contraddizione (secondo cui ogni cosa è se stessa ed è assolutamente diversa dalle altre). Il momento dialettico consiste nel relazionare le determinazioni della realtà con altre determinazioni. Il momento speculativo consiste invece nel cogliere l‘unità delle determinazioni opposte, ossia nel rendersi conto che tali determinazioni sono aspetti unilaterali di una realtà più alta che li ricomprende o sintetizza entrambi Globalmente considerata, la dialettica consiste quindi: 1) nell‘affermazione o posizione di un concetto astratto e limitato‖, la tesi; 2) nella negazione di questo concetto come qualcosa di limitato o di finito e nel passaggio ad un concetto opposto, l‘antitesi; 3) nell‘unificazione della precedente affermazione e negazione in una sintesi positiva comprensiva di entrambe. La sintesi che si configura come una ri-affermazione potenziata dell‘affermazione iniziale (tesi), ottenuta tramite la negazione della negazione intermedia (antitesi). Riaffermazione che Hegel focalizza con il termine Aufhebung il quale esprime l‘idea di un superamento che è, al tempo stesso, un togliere (l‘opposizione fra tesi ed antitesi) ed un conservare (la verità della tesi, dell‘antitesi e del loro conflitto). Ogni sintesi diviene, a propria volta, tesi di un‘altra antitesi, cui succede un‘ulteriore sintesi e così via, sino al compimento del processo globale dell‘Assoluto La dialettica illustra il principio della risoluzione del finito nell‘infinito. Infatti essa ci mostra come ogni finito, ogni 257 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ parte di realtà, non possa esistere in se stesso, ma solo in un contesto di rapporti. Poiché il tutto di cui parla Hegel, ovvero l‘Idea, è una entità dinamica, la dialettica esprime appunto il processo mediante cui le varie parti o determinazioni della realtà perdono la loro rigidezza, si fluidificano e diventano momenti di un‘Idea unica ed infinita. La Fenomenologia dello Spirito Il principio della risoluzione del finito nell‘infinito, o dell‘identità di razionale e reale, è stato illustrato da Hegel in due forme diverse. Dapprima Hegel si è fermato a illustrare la via che per giungere fino ad esso ha dovuto percorrere la coscienza umana. In secondo luogo, Hegel ha illustrato quel principio quale appare in atto in tutte le determinazioni fondamentali della realtà. La prima illustrazione è quella che Hegel ha dato nella Fenomenologia dello spirito: la seconda è quella che ha dato nella Enciclopedia delle scienze filosofiche e nelle opere che approfondiscono le singole parti di essa (Scienza della logica, Filosofia dell‘arte, Filosofia della religione, Filosofia del diritto, Filosofia della storia). Le vicende dello spirito nella prima opera sono le vicende del principio hegeliano dell‘infinito nelle sue prime apparizioni, nel suo progressivo affermarsi e svilupparsi attraverso una serie di figure esprimenti i settori più disparati della vita umana (la conoscenza, la società. la religione, la politica ecc.). La coscienza cresce seguendo un percorso: le tappe intermedie di tale percorso (figure) sono delle manifestazioni del sapere assoluto (la fenomenologia è infatti la scienza delle manifestazioni). 258 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ L‘opera è divisa in sei sezioni: Coscienza, Autocoscienza, Ragione, Spirito, Religione e Sapere assoluto. E‘ la storia della coscienza, che attraverso una serie di contrasti, esce dalla sua individualità, raggiunge l‘universalità e si riconosce come ragione che è realtà e realtà che è ragione. Perciò l‘intero ciclo della fenomenologia si può vedere riassunto in una delle sue figure particolari che non per nulla è diventata la più popolare: quella della coscienza infelice. La prima parte della Fenomenologia si divide in tre momenti: Coscienza (tesi). Autocoscienza (antitesi) e Ragione (sintesi). Coscienza La prima tappa che la coscienza percorre verso il sapere assoluto è detta certezza sensibile. Con tale espressione si indica quella certezza che deriva dagli oggetti sensibili, ovvero la credenza per cui la verità sta nell‘oggetto dei sensi. Successivamente la coscienza arriva alla percezione: questa rappresenta la negazione della certezza sensibile, in quanto sposta la verità dall‘oggetto all‘atto della percezione, compiuto dal soggetto. L‘ultima figura della coscienza è detta intelletto: è in tale figura che si completa lo spostamento dall‘oggetto al soggetto: ora la verità è nell‘Io conoscente. Autocoscienza Con la sezione dell‘autocoscienza, che contiene le figure più celebri, il centro dell‘attenzione si sposta dall‘oggetto al soggetto, ovvero all‘attività concreta dell‘io, considerato nei suoi rapporto con gli altri. Di conseguenza, tale sezione non si muove più in un ambito astrattamente 259 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ gnoseologico, ma riguarda anche la società, la storia della filosofia e la religione. L‘autocoscienza postula la presenza di altre autocoscienze in grado di darle la certezza di essere tale. Ma il riconoscimento non può che passare attraverso un momento di lotta e di sfida, ossia attraverso il conflitto fra le autocoscienze. Tale conflitto, nel quale ogni autocoscienza. pur di affermare la propria indipendenza, deve essere pronta a tutto. anche a rischiare la vita, non si conclude con la morte delle autocoscienze contendenti (poiché in tal caso sarebbe annullata l‘intera dialettica del riconoscimento) ma con il subordinarsi dell‘una all‘altra nel rapporto servo-signore. Il signore è colui che, per affermare la propria indipendenza, ha messo valorosamente a repentaglio la propria vita, sino alla vittoria, mentre il servo è colui che, ad un certo punto, ha preferito la perdita della propria indipendenza, cioè la schiavitù, pur di avere salva la vita. Tuttavia, argomenta Hegel con una penetrante analisi dialettica, la dinamica del rapporto servo-signore (che corrisponde al tipo di società del mondo antico) porta ad una paradossale inversione di ruoli, ossia ad una situazione per cui il signore diviene servo del servo e il servo signore del signore. Infatti, il signore, che inizialmente appariva indipendente, nella misura in cui si limita a godere passivamente del lavoro altrui, finisce per rendersi dipendente dal servo. Invece quest‘ultimo, che inizialmente appariva dipendente, nella misura in cui padroneggia e trasforma le cose da cui il signore riceve il proprio sostentamento, finisce per rendersi indipendente. La figura hegeliana del servosignore, è stata apprezzata soprattutto dai marxisti, i quali hanno visto in essa un‘intuizione dell‘importanza del 260 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ lavoro e della configurazione dialettica della storia, nella quale, grazie all‘esperienza della sottomissione, si generano le condizioni per la liberazione. Stoicismo e scetticismo Il raggiungimento dell‘indipendenza dell‘io nei confronti delle cose, trova la sua manifestazione filosofica nello stoicismo, ossia in un tipo di visione del mondo che celebra l‘autosufficienza e la libertà del saggio nei confronti di ciò che lo circonda. Ma nello stoicismo l‘autocoscienza, la quale pretende di svincolarsi dai condizionamenti della realtà (passioni, ricchezze ecc.), ritenendo di essere libera sul trono o in catene‖, raggiunge soltanto una astratta libertà interiore, giacché quei condizionamenti permangono e la realtà esterna non e fatto negata. Chi pretende di mettere completamente tra parentesi quel mondo esterno da cui lo stoico si sente indipendente (e che lascia invece sussistere) è lo scetticismo, ossia un tipo di visione del mondo che sospende l‘assenso su tutto ciò che è comunemente ritenuto per vero e reale (di conseguenza, lo scetticismo è per sé, ossia in modo consapevole, ciò che lo stoicismo è in sé, ossia in modo inconsapevole; esattamente come lo stoicismo è per sé ciò che la servitù è in sé). Tuttavia lo scetticismo dà luogo ad una situazione contraddittoria ed insostenibile. Hegel non fa che usare, contro lo scetticismo, l‘argomento tradizionale: quello secondo cui lo scettico si auto-contraddice poiché da un lato dichiara che tutto è vano e non-vero, mentre dall‘altro pretende di dire qualcosa di reale e di vero. 261 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ La coscienza infelice La scissione, presente nello scetticismo, fra una coscienza immutabile ed una mutevole diviene esplicita nella figura della coscienza infelice ed assume la forma di una separazione radicale fra l‘uomo e Dio. E‘ questa la situazione propria dell‘ebraismo, nel quale l‘essenza, l‘Assoluto, la realtà vera è sentita come lontana dalla coscienza ed assume le sembianze di un Dio trascendente padrone assoluto della vita e della morte, ovvero di un Signore inaccessibile di fronte a cui l‘uomo si trova in uno stato di dipendenza (la coscienza infelice ebraica rappresenta la traduzione, in chiave religiosa. della situazione sociale espressa dal rapporto servo-signore). Nel secondo momento assume la figura di un Dio incarnato. E questa la situazione propria del cristianesimo medioevale, il quale, anziché considerare Dio come un Padre o un Giudice lontano, lo prospetta sotto forma di una realtà effettuale. Tuttavia, come Dio incarnato, vissuto in uno specifico ed irripetibile periodo storico, risulta pur sempre, per i posteri, inevitabilmente lontano: ―accade necessariamente ch‘esso sia dileguato nel tempo e nello spazio, e che sia stato lungi e senz‘altro lungi rimanga‖. Di conseguenza, con il cristianesimo, la coscienza continua ad essere ―infelice‖ e Dio continua a configurarsi come un ―irraggiungibile al di là che sfugge‖. anzi, che è ―già sfuggito nell‘atto in cui si tenta d‘affermarlo‖. Tale vicenda prosegue e si esaspera con la mortificazione di sé, in cui si ha la più completa negazione dell‘io a favore di Dio. Infatti, con l‘ascetismo e le sue pratiche di umiliazione della carne, ci troviamo di fronte ad una personalità tanto misera quanto infelice e ―limitata a sé e 262 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ al suo fare meschino‖, ovvero come aggiunge caratteristicamente Hegel, ad una personalità ―che non riesce se non a covare se stessa. Ma il punto più basso toccato dal singolo (il quale cerca un estremo punto di contatto fra sé e l‘immutabile nella figura mediatrice della Chiesa) è destinato a trapassare dialetticamente nel punto più alto allorquando la coscienza, nel suo vano sforzo di unificarsi con Dio, si rende conto di essere, lei stessa, Dio, ovvero l‘Universale o il Soggetto assoluto. Ciò non avviene nel Medioevo, ma nel Rinascimento e nell‘età moderna. La ragione Come Soggetto assoluto l‘autocoscienza è diventata Ragione ed ha assunto in sé ogni realtà. Mentre nei momenti anteriori la realtà del mondo le appariva come alcunché di diverso e di opposto (come la negazione di sé), ora invece può sopportarla: perché sa che nessuna realtà è niente di diverso da essa. La ragione, dice Hegel, è la certezza di essere ogni realtà. La ragione si rivolge da principio al mondo della natura. È questa la fase del naturalismo del Rinascimento e dell‘empirismo. Qui la coscienza crede, bensì, di cercare l‘essenza delle cose, ma in realtà non cerca che se stessa; e quella credenza deriva dal non aver fatto ancora della ragione l‘oggetto della propria ricerca. Si determina così l‘osservazione della natura che, partendo dalla semplice descrizione, si approfondisce con la ricerca della legge e con l‘esperimento; e che si trasferisce poi nel dominio del mondo organico, per passare infine a quello stesso della coscienza con la psicologia. Seguono le tre figure della 263 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ ragione attiva, la prima è quella in cui l‘individuo, deluso dalla scienza e dalla ricerca naturalistica, si getta nella vita e va alla ricerca del proprio godimento. Ma nella ricerca del piacere l‘autocoscienza incontra la necessità del destino, che, incurante delle sue personali esigenze di felicità, lo travolge inesorabilmente. ―Egli prendeva la vita, ma con ciò afferrava piuttosto la morte‖. L‘autocoscienza cerca allora di opporsi al corso ostile del mondo appellandosi alla ―legge del cuore‖ (il filone sentimentale che va da Rousseau ai romantici). Nasce in tal modo la seconda figura della ragione attiva, che Hegel denomina ―la legge del cuore e il delirio della presunzione‘, nella quale l‘individuo, dopo aver cercato di individuare e di abbattere i responsabilità dei mali nel mondo (preti fanatici, despoti corrotti), entra in conflitto con altri presunti portatori dei vero progetto di miglioramento della realtà: ‗La coscienza che propone la legge del suo cuore avverte dunque la resistenza da parte di altri, perché essa contraddice alle leggi altrettanto singole del cuore loro. Nasce in tal modo la terza figura della ragione attiva, che Hegel chiama ―La virtù e il corso del mondo‖. Ma il contrasto tra la virtù, che è il bene astrattamente vagheggiato dall‘individuo nella sua speranza di invertire l‘invertito corso del mondo e la concreta realtà non può che concludersi con la sconfitta del ‗cavaliere della virtù‘ e dei suoi donchisciotteschi propositi di moralizzazione dell‘esistente (Robespierre). Seguono ulteriori figure. Lo spirito, la religione, il sapere assoluto 264 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ La seconda parte della Fenomenologia comprende tre sezioni (lo spirito, la religione e il sapere assoluto), che anticipano il contenuto della filosofia dello spirito. La logica In quanto scienza dell‘idea pura, la logica — alla quale Hegel ha dedicato la seconda delle sue opere fondamentali, la Scienza della logica (1812-1816), che ha poi ricapitolato nella prima parte della Enciclopedia — prende in considerazione la struttura programmatica o l‘impalcatura originaria del mondo. Tale impalcatura si specifica in un organismo dinamico di concetti, i quali, in virtù dell‘equazione fra pensiero ed essere, costituiscono altrettanti aspetti della realtà. La logica si divide in tre parti, che corrispondono ai tre momenti dello sviluppo dell'idea. a) La logica dell'essere, che prende in esame i concetti più astratti, primo dei quali è il concetto di puro essere indeterminato, principio di tutto. "II puro essere," dice Hegel, "costituisce il cominciamento", esso "preso nella sua immediatezza, è il nulla". Il cominciamento è dunque l'unità di essere e nulla, e questa unità è il concetto di divenire, col quale si ha la prima sintesi, il superamento della prima opposizione. Dalla contraddizione esistente nella prima triade dialettica vengono dedotte le categorie dell'intuizione sensibile: qualità, quantità, misura. b) La logica dell'essenza, che prende in esame concetti più concreti, perché nel movimento dialettico l'essenza si esprime e si manifesta completamente nell'esistenza. Da questa vengono dedotte le categorie dell'intelletto, cioè della scienza: forma e materia, legge e fenomeno, causalità e azione reciproca. c) La logica del concetto, che prende in 265 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ esame la realtà come "sviluppo vivente" di se stessa. Da questa vengono dedotte le categorie della concezione idealistica: concetti, giudizi, sillogismi. La filosofia della natura Il testo fondamentale della filosofia della Natura di Hegel è la seconda parte dell‘Enciclopedia. L'idea, quando si aliena da se stessa, si dispiega nell'esteriorità, dando origine alla natura, che è, appunto, "l'idea nella forma dell'essere altro" La filosofia della natura costituisce, nel sistema hegeliano, la fondamentale mediazione nel movimento dialettico che ha la sua sintesi nella filosofia dello spirito. Solo questa può a cogliere lo sviluppo organico della natura e a trarne una "considerazione concettuale", mentre la scienza empirica non riesce ad andare oltre la classificazione. Tuttavia, anche la filosofia della natura non è priva di limiti, a causa delle accidentalità che la natura stessa presenta. Infatti la natura non mostra, nella sua esistenza, alcuna libertà, solo necessità ed accidentalità, e perciò deve essere divinizzata. Il mondo della natura viene dedotto in tre gradi: la meccanica, dedicata all'esteriorità come tale (occupandosi dello spazio, del tempo e della loro sintesi, il luogo, culminante nella gravità); la fisica, dedicata alla materia individualizzata (occupandosi della luce, del peso specifico, del calore, ecc.); l'organica, dedicata all'individualità soggettiva (occupandosi della natura geologica, di quella vegetale e di quella animale). La filosofia dello spirito 266 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ La filosofia dello Spirito, che Hegel definisce la conoscenza ―più alta e difficile‘ è lo studio dell‘Idea che, dopo essersi estraniata da sé, sparisce come natura, cioè come esteriorità e spazialità. per farsi soggettività e libertà. Lo sviluppo dello Spirito avviene attraverso tre momenti principali: lo spirito soggettivo (che è lo spirito individuale nell‘insieme delle sue facoltà), lo spirito oggettivo (che è lo spirito sovra-individuale o sociale), lo spirito assoluto (che è lo spirito il quale sa e conosce se stesso nelle forme dell‘arte, della religione e della filosofia). Anche lo Spirito procede per gradi, ma diversamente da quanto accade nella Natura, nella quale i gradi sussistono l‘uno accanto all‘altro (come ad es. il mondo vegetale e quello animale), nello Spirito ciascun grado è compreso e risolto nel grado superiore, il quale, a sua volta, è già presente nel grado inferiore. Lo spirito soggettivo è lo spirito individuale, considerato nel suo lento e progressivo emergere dalla natura, attraverso un processo che va dalle forme più elementari di vita psichica alle più elevate attività conoscitive e pratiche. La filosofia dello spirito soggettivo si divide in tre parti; antropologia, fenomenologia e psicologia. Nella sfera dello spirito oggettivo, in cui lo Spirito si manifesta in istituzioni sociali concrete, ovvero in quell‘insieme di determinazioni sovra-individuali che Hegel raccoglie sotto il concetto di diritto in senso lato. I momenti dello spirito oggettivo — che è la sezione storicamente più importante del pensiero hegeliano — sono tre: il diritto astratto, la moralità e l‘eticità. Il diritto astratto— che coincide con il diritto privato e con una 267 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ parte di quello penale — riguarda l‘esistenza esterna della libertà delle persone, concepite come puri soggetti astratti di diritto, indipendentemente dai caratteri specifici e dalle condizioni concrete che diversificano i vari individui fra loro. La persona trova il suo primo compimento in una cosa esterna, che diventa sua proprietà (definita come sfera esterna del libero volere). La proprietà diviene però effettivamente tale soltanto in virtù del reciproco riconoscimento fra le persone, ossia tramite l‘istituto giuridico del contratto. Ovviamente, l‘esistenza del diritto rende possibile l‘esistenza del suo contrario, cioè la comparsa del torto (o dell‘illecito), che nel suo aspetto più grave è il delitto. Ma la colpa richiede una sanzione o una pena, che si configura, dialetticamente, come un ripristino del diritto violato. La pena, intesa come una riaffermazione potenziata del diritto, ovvero come una negazione del delitto, il quale è a sua volta una negazione del diritto, appare quindi come una necessità oggettiva del nostro razionale e giuridico vivere insieme. Tuttavia, perché la pena sia efficacemente punitiva e formativa occorre che essa sia riconosciuta interiormente dal colpevole. Ma questa esigenza, oltrepassando l‘ambito del diritto, che concerne l‘esteriorità legale, richiama la sfera della moralità, della volontà soggettiva, la quale si manifesta nell‘azione, Quest‘ultima ha una portata morale solo in quanto sgorga da un proponimento (infatti il soggetto riconosce come sue soltanto le azioni che rispondono ad un suo deliberato e responsabile proposito. In quanto procede da un essere ―pensante, il proponimento prende la forma dell‘intenzione. Il dominio della moralità è caratterizzato dalla separazione tra la soggettività, che 268 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ deve realizzare il bene, e il bene che deve essere realizzato, Bene che assume inevitabilmente l‘aspetto di un dover-essere, ovvero, come scrive Hegel, di un essere assoluto, che tuttavia insieme non è. Da ciò la contraddizione tra essere e dover-essere, che è tipica della morale, soprattutto di quella kantiana, che Hegel critica per la sua formalità ed astrattezza, cioè per la sua mancanza di contenuti concreti. La separazione fra la soggettività ed il bene, che è tipica della moralità, viene annullata e risolta nell‘eticità, nella quale il bene si è attuato concretamente ed è divenuto esistente. Infatti, mentre la moralità è la volontà soggettiva, cioè interiore e privata, del bene, l‘eticità è la moralità sociale, ovvero la realizzazione del bene in quelle forme istituzionali che sono la famiglia, la società civile e lo Stato. Il primo momento dell‘eticità è la famiglia, nella quale il rapporto naturale dei sessi assume la forma di un‘unità spirituale fondata sull‘amore e sulla fiducia. La famiglia si articola nel matrimonio, nel patrimonio e nell‘educazione dei figli. Ma una volta cresciuti e divenuti personalità autonome, i figli escono dalla famiglia originaria per dare origine a nuove famiglie, aventi, ognuna, interessi propri. In tal modo si passa al secondo momento dello spirito oggettivo. Con la formazione di nuovi nuclei familiari si ha la società civile. La società civile non si riduce alla sola base economica, in quanto il sistema economico moderno presuppone, secondo Hegel, una serie di meccanismi giuridici che fanno parte integrante della vita sociale. La società civile si articola in tre momenti: il sistema dei 269 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ bisogni, l‘amministrazione della giustizia, la polizia e le corporazioni. L‘idea di porre, fra l‘individuo e lo Stato, quella sorta di terzo termine che è la società civile è stata ritenuta una delle maggiori intuizioni di Hegel. Infatti tale idea sarà largamente utilizzata dagli studiosi di problemi economici e sociali e troverà in Marx un originale interprete. Lo Stato rappresenta il momento culminante dell‘eticità, ossia la ri-affermazione dell‘unità della famiglia (tesi) al di là della dispersione della società civile (antitesi). Lo Stato, che è una sorta di famiglia in grande, nella quale l‘ethos di un popolo esprime se stesso, sta infatti alla società civile come l‘universale (= la ricerca del bene comune) sta al particolare (= la ricerca dell‘utile privato): ―Lo Stato è la sostanza etica consapevole di sé. … la riunione del principio della famiglia e della società civile‖. Questa concezione etica dello Stato, visto come incarnazione suprema della moralità, sociale e del bene comune, si differenzia nettamente dalla teoria liberale dello Stato (Locke) come strumento volto a garantire la sicurezza e i diritti degli individui. Lo Stato di Hegel si differenzia pure dal modello democratico (Rousseau), ovvero dalla concezione secondo cui la sovranità risiederebbe nel popolo. La critica hegeliana ai modelli liberale e democratico si fonda sull‘idea secondo cui non sono gli individui a fondare lo Stato, ma lo Stato a fondare gli individui, sia dal punto di vista cronologico (in quanto lo Stato è prima degli individui, che già nascono nell‘ambito di esso), sia dal punto di vista assiologico (in quanto lo Stato è superiore agli individui, come il tutto e superiore alle parti che lo compongono). La monarchia 270 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ costituzionale rappresenta il modello statale più alto, anche perché riunisce organicamente in sé le forme classiche di governo: monarchia, aristocrazia e democrazia. La filosofia della storia Hegel non nega che la storia possa apparire, da un certo punto di vista, un tessuto di fatti contingenti, insignificanti e mutevoli e quindi priva di ogni piano razionale. Ma tale può apparire soltanto dal punto di vista dell‘intelletto finito, cioè dell‘individuo che non sa elevarsi al punto vista puramente speculativo della ragione assoluta. In realtà ―il grande contenuto della storia del mondo è razionale, e razionale deve essere‖. Il fine della storia del mondo è che lo spirito giunga al sapere di ciò che esso è veramente, e oggettivi questo sapere, lo realizzi facendone un mondo esistente, manifesti oggettivamente se stesso. Questo spirito che si manifesta e realizza nella realtà storica, è lo spirito del mondo che s‘incarna negli spiriti dei popoli che si succedono nelle epoche della storia. I mezzi della storia del mondo sono gli individui con le loro passioni. Ma le passioni sono semplici mezzi che conducono nella storia a fini diversi da quelli a cui esse esplicitamente mirano. Così il progresso trova i suoi strumenti negli eroi o individui della storia del mondo. Soltanto a tali individui Hegel riconosce il diritto di avverare la condizione di cose presenti e di lavorare per l‘avvenire. Il segno del loro destino eccezionale è il successo: resistere ad essi è impresa vana. Apparentemente tali individui (Alessandro, Cesare, Napoleone) non fanno che seguire la propria passione e la 271 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ propria ambizione; ma si tratta, dice Hegel, di un‘astuzia della Ragione che si serve degli individui e delle loro passioni come di mezzi per attuare i suoi fini, L‘individuo a un certo punto perisce o è condotto a rovina dal suo stesso successo: l‘idea universale, che l‘aveva suscitato, ha già raggiunto il suo fine. Rispetto a tale fine, individui o popoli sono soltanto mezzi. Il disegno provvidenziale della storia si rivela nella vittoria che di volta in volta consegue il popolo che ha concepito il più alto concetto dello spirito. Se il fine ultimo della storia del mondo è la realizzazione della libertà dello spirito, lo Stato è l‘ambito nel quale si realizza questa libertà. La storia del mondo è, da questo punto di vista, la successione di forme statali che costituiscono momenti di un divenire assoluto. I tre momenti di essa, il mondo orientale, il mondo grecoromano, il mondo germanico, sono i tre momenti della realizzazione della libertà dello spirito del mondo. Nel mondo orientale uno solo è libero; nel mondo grecoromano alcuni sono liberi; nel mondo cristiano-germanico tutti gli uomini sanno di essere liberi. Infatti la monarchia moderna, abolendo i privilegi dei nobili e pareggiando i diritti dei cittadini, fa libero l‘uomo in quanto uomo. Lo spirito assoluto Lo spirito assoluto è il momento in cui l‘Idea giunge alla piena coscienza della propria infinità o assolutezza (cioè del fatto che tutto è Spirito e che non vi è nulla al di fuori dello Spirito). Tale auto-sapersi assoluto dell‘Assoluto non è qualcosa di immediato, ma il risultato di un processo dialettico rappresentato dall‘arte, dalla religione e dalla filosofia. Queste attività si differenziano soltanto per la 272 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ forma nella quale ciascuna di esse presenta lo stesso contenuto, che è Dio. L‘arte conosce l‘assoluto nella forma dell‘intuizione sensibile, la religione nella forma della rappresentazione, la filosofia nella forma del puro concetto. L‘arte La storia dell‘arte si compone di tre momenti fondamentali: l‘arte simbolica, quella classica e e quella romantica. Nell‘arte simbolica (antico Egitto) vi è l‘incapacità tecnica di esprimere i concetti che dunque sono rappresentati da puri simboli (es. graffiti). Nell‘arte classica (Grecia) vi è invece un perfetto equilibrio tra forma e contenuto. Nell‘arte romantica (età contemporanea) vi è una netta superiorità tecnica rispetto al contenuto sensibile. Ne consegue la ―morte dell‘arte‖. La religione La religione è la seconda forma dello spirito assoluto, quella in cui l‘assoluto si manifesta nella forma della rappresentazione. Si ha così la rappresentazione degli attributi divini singolarmente presi, delle relazioni tra Dio e il mondo nella creazione. della relazione tra Dio e la storia del mondo nella provvidenza ecc. Tutte queste rappresentazioni vengono unite in modo puramente esteriore, Dunque si giunge a riconoscere l‘inconcepibilità dell‘essenza divina che le unifica. In altri termini, la religione non è in grado di pensare Dio dialetticamente e finisce per arenarsi di fronte ad un presunto mistero dell‘Assoluto. Lo sviluppo della religione è lo sviluppo dell‘idea di Dio nella coscienza umana. Nel primo stadio 273 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ di questo sviluppo troviamo la religione naturale in cui Dio appare ancora come ―sepolto‖ nella natura. Le forme più basse di religione naturale sono la stregoneria ed il feticismo delle tribù primitive dell‘Asia e dell‘Africa. Le forme più alte di religione naturale sono quelle in cui Dio appare come la potenza che sta nei fenomeni. Tali sono le religioni panteistiche dell‘estremo Oriente (cinese. indiana, buddistica). Nel secondo stadio troviamo le religioni della libertà, cioè le religioni che già preludono alla visione di Dio come spirito libero, ma che si muovono ancora in un orizzonte naturalistico (come accade nella religione persiana, siriaca ed egiziana). Nel terzo stadio ci sono le religioni dell‘individualità (giudaica, greca, romana) in cui Dio appare in forma spirituale (o in sembianze umane). Nel quarto stadio troviamo la religione assoluta, cioè la religione cristiana, in cui Dio appare come puro spirito. Sebbene il cristianesimo sia la religione più alta e la più vicina, con i suoi dogmi, alle verità della filosofia (Cristo, Uomo-Dio, esprime ad es. l‘identità di finito e infinito; la Trinità di Padre, Figlio e Spirito Santo la triade dialettica di Idea, Natura e Spirito), essa presenta pur sempre il limite di cogliere Dio nella forma inadeguata della rappresentazione, anziché in quella adeguata del concetto. Filosofia e storia della filosofia Nella filosofia, che è l‘ultimo momento dello spirito assoluto, l‘Idea giunge alla piena e concettuale coscienza di se medesima. Hegel ritiene che la filosofia, al pari della realtà, sia una formazione storica, ossia una totalità processuale che si è sviluppata attraverso una serie di 274 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ gradi. In altre parole, la filosofia è nient‘altro che l‘intera storia della filosofia giunta finalmente a compimento con Hegel. Di conseguenza. i vari sistemi filosofici che si sono succeduti nel tempo non devono essere considerati come un insieme disordinato ed accidentale, in quanto ognuno di essi costituisce una tappa necessaria del farsi della Verità, che supera quello che precede ed è superato da quello che segue. La filosofia, che è ultima nel tempo, è insieme un risultato di tutte le precedenti e deve contenere i principi di tutte. L‘ultima filosofia è quella di Hegel. 275 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ CAPITOLO 14 A. Schopenhauer Opere principali: Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente. Il mondo come volontà e rappresentazione, pubblicata nel dicembre del 1818, ma con la data dell'anno successivo. Parerga e paralipomena, 1851 Radici culturali del sistema Schopenhauer si pone come punto di incontro (o di scontro) di esperienze filosofiche eterogenee: Platone, Kant, l‘illuminismo, il Romanticismo, l‘idealismo e la sapienza indiana. Di Platone lo attrae soprattutto la teoria delle idee, intese come forme eterne sottratte alla finitezza del nostro mondo. Da Kant, che egli considera come il filosofo più grande e più originale della storia del pensiero, deriva l‘impostazione soggettivistica della sua gnoseologia. Dell‘Illuminismo lo interessano il filone materialistico e quello dell‘ideologia, da cui eredita la tendenza a considerare la vita psichica e sensoriale in termini di fisiologia del sistema nervoso. inoltre da Voltaire desume lo spirito ironico e brillante e la tendenza demistificatrice nei confronti delle credenze tramandate. Dal Romanticismo Schopenhauer trae alcuni temi di fondo del suo pensiero, come ad esempio l‘irrazionalismo, la grande importanza attribuita all‘arte e alla musica, e, soprattutto, il tema dell‘infinito, cioè la tesi della presenza. nel mondo, di un Principio assoluto di cui le varie realtà sono manifestazioni transeunti. Altro motivo 276 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ indubbiamente romantico è quello del dolore. Tuttavia mentre il Romanticismo, sul piano filosofico, mostra una tendenza globalmente ottimistica, che si concretizza in un tentativo di riscattare il negativo tramite il positivo (Dio, lo Spirito, la storia, il progresso ecc.), Schopenhauer appare decisamente orientato verso il pessimismo, di cui è uno dei maggiori teorici. L‘idealismo, soprattutto nella versione hegeliana, è il vero bersaglio polemico. Schopenhauer è stato invece un ammiratore della sapienza orientale ed un ‗profeta‘ del suo successo in Occidente. Il mondo come rappresentazione Il punto di partenza della filosofia di Schopenhauer è la distinzione kantiana tra fenomeno e cosa in sé. Ma per Schopenhauer il fenomeno è solo parvenza illusione, sogno, ovvero ciò che nell‘antica sapienza indiana è detto velo di Maya; mentre il noumeno è una realtà che si nasconde dietro l‘ingannevole trama del fenomeno, e che il filosofo ha il compito di scoprire. Fin da principio, Schopenhauer riconduce quindi il concetto di fenomeno ad un significato estraneo allo spirito del kantismo, che appare vicino, almeno in parte, alla filosofia indiana e buddistica. Tant‘è vero che egli crede di poter esprimere l‘essenza del kantismo con la tesi, che apre il suo capolavoro, secondo cui il mondo è la mia rappresentazione‖. Per Schopenhauer questo è un principio simile agli assiomi di Euclide: ognuno ne riconosce la verità appena lo intende ed è uno dei grandi risultati della filosofia moderna, a partire da Cartesio. La rappresentazione ha due aspetti essenziali e inseparabili, la cui distinzione costituisce la forma generale della 277 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ conoscenza: da un lato c‘è il soggetto rappresentante, dall‘altro c‘è l‘oggetto rappresentato, Soggetto e oggetto esistono soltanto all‘interno della rappresentazione, come due lati di essa, e nessuno dei due precede o può sussistere indipendentemente dall‘altro. Di conseguenza. non ci può essere soggetto senza oggetto. Il materialismo è falso perché nega il soggetto riducendolo all‘oggetto o alla materia. L‘idealismo è parimenti errato poiché compie il tentativo opposto e altrettanto impossibile di negare l‘oggetto riducendolo al soggetto. Sulle orme del criticismo, anche Schopenhauer ritiene che la nostra mente, o più esattamente il nostro sistema nervoso e cerebrale (1), risultino corredati di una serie di forme a priori, la scoperta delle quali è un capitale merito di Kant, un immenso merito. Tuttavia, a differenza di Kant, Schopenhauer ammette solo tre forme a priori: spazio, tempo e causalità. Quest‘ultima è l‘unica categoria, in quanto tutte le altre sono riconducibili ad essa e poiché la realtà stessa dell‘oggetto si risolve completamente nella sua azione causale su altri oggetti. La causalità assume forme diverse a seconda degli ambiti in cui opera, manifestandosi come necessità fisica, logica, matematica e morale, ovvero come principio del divenire (che regola i rapporti fra gli oggetti naturali), del conoscere (che regola i rapporti fra premesse e conseguenze). dell‘essere (che regola i rapporti spazio-temporali e le connessioni matematiche) e dell‘agire (che regola le connessioni fra un‘azione e i suoi motivi). Andando alla ricerca di precedenti illustri di questa intuizione, Schopenhauer cita i filosofi Veda che considerano l‘esistenza comune come una sorta di illusione ottica, ma anche Platone, Pindaro e 278 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Sofocle. Ma al di là del sogno esiste la realtà vera, sulla quale l‘uomo, non può fare a meno di interrogarsi. Infatti, sostiene Schopenhauer, l‘uomo è un ―animale metafisico‖, che, a differenza degli altri esseri viventi, è portato a stupirsi della propria esistenza e ad interrogarsi sull‘essenza della vita. Ciò avviene proporzionalmente alla sua intelligenza: nessun essere, eccetto l‘uomo, si stupisce della propria esistenza: per tutti gli animali essa è una cosa che si intuisce per se stessa, nessuno vi fa caso La via d‘accesso alla cosa-in-sé Schopenhauer ritiene di aver individuato quella via d‘accesso al noumeno che Kant aveva precluso. Ma se la nostra mente è chiusa nell‘orizzonte della rappresentazione, com‘è possibile ―lacerare‖ il velo di Maya? Se noi fossimo soltanto conoscenza o una testa senza corpo, argomenta Schopenhauer non potremmo mai uscire dalla rappresentazione puramente esteriore di noi e delle cose. Ma poiché siamo dati a noi medesimi non solo come rappresentazione, ma anche come corpo, non ci limitiamo a vederci dal di fuori, bensì ci viviamo anche dal di dentro, godendo e soffrendo. Ed è proprio questa esperienza di base, simile ad un raggio di sole che penetra oltre la nuvola, che permette all‘uomo di squarciare il velo del fenomeno e di afferrare la cosa in sé. Infatti, ripiegandoci su noi stessi, ci rendiamo conto che l‘essenza profonda del nostro io, o meglio, la cosa in sé del nostro essere globalmente considerato, è la ―volontà di vivere‖, cioè un impulso prepotente e irresistibile che ci spinge ad esistere e ad agire. Più che intelletto o conoscenza, noi siamo vita e volontà di vivere, e il nostro stesso corpo non 279 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ è che la manifestazione esteriore dell‘insieme delle nostre brame interiori: l‘apparato digerente non è che l‘aspetto fenomenico della volontà di nutrirsi, l‘apparato sessuale non è che l‘aspetto oggettivato della volontà di accoppiarsi e di riprodursi, e così via. E l‘intero mondo fenomenico non e altro che la maniera attraverso cui la volontà si manifesta o si rende visibile a se stessa nella rappresentazione spazio-temporale. Da ciò il titolo del capolavoro di Schopenhauer: Il mondo come volontà e rappresentazione. Fondandosi sul principio di analogia, Schopenhauer afferma che la volontà di vivere non è soltanto la radice noumenica dell‘uomo, ma anche l‘essenza segreta di tutte le cose, ossia la cosa in sé dell‘universo, finalmente svelata. Essendo al di là del fenomeno, la Volontà presenta caratteri contrapposti a quelli del mondo della rappresentazione, in quanto si sottrae alle forme proprie di quest‘ultimo: lo spazio, il tempo e la causalità. La Volontà primordiale è inconscia, poiché la consapevolezza e l‘intelletto costituiscono soltanto delle sue possibili manifestazioni secondarie. Il termine Volontà, preso in senso metafisico, non si identifica con quello di volontà cosciente, ma con il concetto più generale di energia o di impulso (e in questo senso si comprende perché Schopenhauer attribuisca la volontà anche alla materia inorganica e ai vegetali). La Volontà non è qui più di quanto non sia là, più oggi di quanto non sia stata ieri o sarà domani, Essa, dice Schopenhauer, è in una quercia come in un milione di querce. Essendo oltre la forma del tempo, la Volontà è anche eterna e indistruttibile, ossia un Principio senza inizio né fine. La Volontà primordiale non 280 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ ha una meta oltre se stessa: la vita vuole la vita, la volontà vuole la volontà, ed ogni motivazione o scopo cade entro l‘orizzonte del vivere e del volere. Miliardi di esseri (vegetali, animali, umani) non vivono che per vivere e continuare a vivere. È questa. secondo Schopenhauer, l‘unica crudele verità sul mondo. Il mondo delle realtà naturali si struttura a propria volta attraverso una serie di gradi disposti in ordine ascendente. Il grado più basso dell‘oggettivazione della Volontà è costituito dalle forze generali della natura. I gradi superiori sono le piante e gli animali e il vertice della piramide è rappresentato dall‘uomo, nel quale la Volontà diviene pienamente consapevole. Il pessimismo Se l‘essere è la manifestazione di una Volontà infinita, questo comporta, secondo Schopenhauer, che la vita è dolore per essenza. Infatti volere significa desiderare, e desiderare significa trovarsi in uno stato di tensione, per la mancanza di qualcosa che non si ha e si vorrebbe avere. Il desiderio risulta quindi, per definizione, assenza, vuoto, indigenza: ossia dolore. E poiché nell‘uomo la Volontà è più cosciente, egli risulta il più bisognoso e mancante degli esseri, e destinato a non trovare mai un appagamento verace e definitivo: Ogni volere scaturisce da bisogno, ossia da mancanza, ossia da sofferenza. A questa dà fine l‘appagamento; tuttavia per un desiderio che venga appagato, ne rimangono almeno dieci insoddisfatti; inoltre la brama dura a lungo, le esigenze vanno all‘infinito; l‘appagamento è breve. Anzi, la stessa soddisfazione finale è solo apparente: il desiderio appagato dì tosto 281 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ luogo a u desiderio nuovo: quello è un errore riconosciuto, questo un errore non conosciuto ancora. Per di più, ciò che gli uomini chiamano godimento (fisico) e gioia (psichica) è nient‘altro. come avevano già. sostenuto Pietro Verri e Giacomo Leopardi, che una cessazione di dolore, ossia lo scarico da uno stato preesistente di tensione, che ne rappresenta la condizione indispensabile. Infatti, argomenta Schopenhauer, perché ci sia piacere bisogna per forza che vi sia uno stato precedente di tensione o di dolore (ad esempio il godimento del bere presuppone la sofferenza della sete). La stessa cosa non vale tuttavia per il dolore, che non può affatto essere ridotto, con un puro gioco dialettico di parole, a cessazione di piacere. Detto negli incisivi termini figurati di una battuta dei Parerga e paralipomena: Non v‘è rosa senza spine, ma vi sono parecchie spine senza rose! Di conseguenza, mentre il dolore, identificandosi con il desiderio, che è la struttura stessa della vita, è un dato primario e permanente, il piacere è solo una funzione derivata del dolore, che vive unicamente a spese di esso. Accanto al dolore, che è una realtà durevole, e al piacere, che è qualcosa di momentaneo, Schopenhauer pone, come terza situazione esistenziale di base, la noia, la quale subentra quando vien meno l‘aculeo del desiderio oppure il frastuono delle attività. Di conseguenza, conclude Schopenhauer. la vita umana è come un pendolo che oscilla fra il dolore e la noia, passando attraverso l‘intervallo, per di più illusorio, del piacere e della gioia. Tracce della lettura di Verri da parte di Schopenhauer emergono anche confrontando testi delle due opere. Schopenhauer cita invece Leopardi, manifestando grande considerazione per ―l‘italiano.‘ che 282 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ saputo rappresentare in maniera profonda il dolore. Sembra invece che Leopardi non abbia avuto modo di conoscere il pensatore tedesco. Schopenhauer perviene ad una delle più radicali forme di pessimismo di tutta la storia del pensiero, ritenendo che il male non sia solo nel inondo, ma il Principio stesso da cui esso dipende. Le vie di liberazione dal dolore: l‘arte, l‘etica, l‘ascesi Schopenhauer fa proprie le sentenze pessimistiche dei saggi dell‘Oriente (―esistere è soffrire‖), di Platone (―è meglio non essere nati piuttosto che vivere‘), di Calderòn de la Barca (―il delitto maggiore per l‘uomo è di essere nato‖), nonché di certa tradizione biblico-cristiana e afferma che l‘esistenza, in virtù del dolore che la costituisce, risulta tal cosa che si impara poco per volta a non volerla. Si potrebbe pensare che il sistema di Schopenhauer finisca in una ―filosofia del suicidio universale‖. Ma Schopenhauer condanna il suicidio per due motivi di fondo: 1) perché suicidio, lungi dall‘essere negazione della volontà, è invece un atto di forte affermazione della volontà stessa in quanto il suicida anziché negare veramente la volontà egli nega piuttosto la vita; 2) perché il suicidio sopprime unicamente l‘individuo, ossia una manifestazione fenomenica della Volontà di vivere, lasciando intatta la cosa in sé, che pur morendo in un individuo rinasce in mille altri, simile al sole che, appena tramontato da un lato, risorge dall‘altro. Di conseguenza, secondo Schopenhauer, la vera risposta al dolore del mondo non consiste nell‘eliminazione, tramite il suicidio, di una vita o più vite, ma nella liberazione dalla stessa Volontà di vivere. Ma com‘è possibile, per l‘uomo, 283 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ spezzare le catene della Volontà se quest‘ultima costituisce la sua essenza e la struttura metafisica dell‘universo? Schopenhauer indica tre possibili vie di liberazione dal dolore: l‘arte, la morale e l‘ascesi. L‘arte è libera e disinteressata e si rivolge alle idee, ossia alle forme pure o ai modelli eterni delle cose. Per questa sua capacità di muoversi in un mondo di forme eterne, l‘arte sottrae l‘individuo alla catena infinita dei bisogni e dei desideri quotidiani, con un appagamento immobile e compiuto. Di conseguenza l‘arte, secondo Schopenhauer risulta catartica per essenza, in quanto l‘uomo, grazie ad essa, contempla la vita, elevandosi al di sopra della volontà, del dolore e del tempo. Fra le arti spicca la tragedia che è la rappresentazione del dramma della vita. Posto a sé occupa invece la musica. Infatti essa non riproduce mimeticamente le idee, come le altre arti, ma si pone come immediata rivelazione della volontà a se stessa. Ma la funzione liberatrice dell‘arte è pur sempre temporanea e parziale ed ha i caratteri,di un gioco effimero o di un breve incantesimo. Di conseguenza essa non è una via per uscire dalla vita, ma solo un conforto alla vita stessa. La via della redenzione presuppone quindi altri sentieri. A differenza della contemplazione estetica, che è un estraniarsi trasognato dalla realtà, la morale implica un impegno nel mondo a favore del prossimo. Infatti l‘etica è un tentativo di superare l‘egoismo e di vincere quella lotta incessante degli individui fra di loro, che costituisce l‘ingiustizia e che rappresenta una delle maggiori fonti di dolore. Contro Kant, sostiene che l‘etica non sgorga da un 284 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ imperativo categorico dettato dalla ragione, ma da un sentimento di pietà attraverso cui avvertiamo come nostre le sofferenze degli altri. La morale si concretizza in due virtù cardinali: la giustizia e la carità. La giustizia, che è un primo freno all‘egoismo, ha un carattere negativo, poiché consiste nel non fare il male e nell‘essere disposti a riconoscere agli altri ciò che siamo pronti a riconoscere a noi stessi. La carità si identifica invece con la volontà positiva e attiva di fare del bene al prossimo. Diversamente dall‘eros, che essendo egoistico e interessato, è un falso amore, l‘agàpe, essendo disinteressato, è vero amore: ogni puro e sincero amore è pietà. Ai suoi massimi livelli la pietà consiste nel far propria la sofferenza di tutti gli esseri passati e presenti e nell‘assumere su di sé il dolore cosmico. Sebbene la morale della pietà implichi una vittoria sull‘egoismo, essa rimane pur sempre all‘interno della vita e presuppone un qualche attaccamento ad essa. Ma Schopenhauer, non pago di approfondire l‘esperienza della pietà, o di formulare eventuali tecniche per tradurla efficacemente in atto, si propone il traguardo di una liberazione totale non solo dall‘egoismo e dall‘ingiustizia, ma dalla stessa volontà di vivere. Questa liberazione è l‘ascesi, che nasce dall‘orrore dell‘uomo per l‘essere di cui è manifestazione il suo proprio fenomeno, per la volontà di vivere, per il nocciolo e l‘essenza di un mondo riconosciuto pieno di dolore, è l‘esperienza per la quale l‘individuo, cessando di volere la vita ed il volere stesso, si propone di estirpare il proprio desiderio di esistere, di godere e di volere: Il primo passo dell‘ascesi è la castità perfetta, che libera dalla prima e 285 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ fondamentale manifestazione della volontà di vivere: l‘impulso alla generazione e alla propagazione della specie. La rinuncia .i piaceri, l‘umiltà, il digiuno, la povertà, il sacrificio che sono le altre manifestazioni tipiche dell‘ascetismo, tendono tutte al medesimo scopo, che è quello di sciogliere la volontà di vivere dalle proprie catene. La soppressione della volontà di vivere, di cui l‘ascesi rappresenta la tecnica, è l‘unico vero atto di libertà che sia possibile all‘uomo. Infatti l‘individuo, come fenomeno, è in anello della catena causale ed è necessariamente determinato dal suo carattere. Ma quando egli riconosce la volontà come cosa in sé, si sottrae alla determinazione dei motivi che agiscono su di lui come fenomeno. Quando succede ciò, l‘uomo diviene libero, si rigenera ed entra in quello stato che i cristiani chiamano di grazia. Tuttavia, mentre nei mistici del Cristianesimo l‘ascesi si conclude con l‘estasi, che è lo stato di unione con Dio, nel misticismo ateo di Schopenhauer il cammino nella salvezza mette capo al nirvana buddista, che è l‘esperienza del nulla. Un nulla che secondo quanto insegnano i testi e i maestri dell‘Oriente non è il niente, bensì un nulla relativo al mondo, cioè una negazione del mondo stesso. Se il mondo, con tutte le sue illusioni, le sue sofferenze e i suoi rumori, e un nulla, il nirvana, per l‘asceta schopenhaueriano, è un tutto, cioè un oceano di pace o ano spazio luminoso di serenità, in cui si dissolve la nozione stessa di io e di soggetto. Secondo un punto di vista largamente diffuso tra i critici, la teoria orientalistica dell‘ascesi costituisce la parte più debole e contraddittoria del sistema schopenhaueriano. 286 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ CAPITOLO 15 S. Kierkegaard Filosofo danese (1813 – 1855), ha scritto: Sul concetto dell‘ironia (1841), Aut - Aut (1843), Timore e tremore (1843), La ripresa (1843), Briciole di filosofia (1844), Il concetto dell‘angoscia (1844),Stadi sul cammino della vita (1845) Kierkegaard è un precursore dell'esistenzialismo, la corrente filosofica che ha dominato in Europa, nella prima metà del '900. In particolare il suo pensiero è stato rivalutato subito dopo la prima guerra mondiale, quando non si poteva più credere in alcuna filosofia sistematica che spiegasse, con fiducia nel progresso, il senso della vita. A lui si richiama la filosofia esistenziale tedesca di Heidegger e Jaspers e l‘esistenzialismo francese Marcel, Lavelle, Le Senne, Camus, Gide. In Italia suoi seguaci sono stati Abbagnano e Paci, Cantoni, Pareyson e molti altri ancora. Si deve però sottolineare che l'esistenzialismo francese, tedesco e italiano non ha tenuto in particolare considerazione la problematica religiosa di Kierkegaard; dal suo pensiero ha piuttosto tratto quei concetti generali validi per ogni uomo, come "possibilità", "scelta", "paradosso", "angoscia", "disperazione", "singolo. La critica ad Hegel "Nella specie animale vale sempre il principio: il singolo è inferiore al genere. Il genere umano ha la caratteristica, appunto perché ogni singolo è creato ad immagine di Dio, che il Singolo è più alto del genere". L‘esistenza 287 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ corrisponde alla realtà individuale, al Singolo; e non coincide mai con il concetto: un uomo singolo, concreto, determinato non ha certo un‘esistenza puramente concettuale. Invece la filosofia hegeliana pare solo interessata ai concetti: essa non si preoccupa di quell‘esistente concreto che siamo io o tu. Il sistema hegeliano ha inoltre la pretesa di spiegare tutto e di dimostrare la necessità di ogni evento. Ma l‘esistenza non può essere chiusa in un sistema. Gli stadi della vita L‘esistenza è il regno della libertà: l‘uomo è ciò che sceglie di essere, è quello che diventa. Ci sono tre alternative fondamentali nella vita umana: lo stadio estetico, quello etico e quello religioso. Tra uno stadio e l‘altro vi è un salto e un abisso; ognuno di essi rappresenta un‘alternativa che esclude l‘altra. Nello stadio estetico l‘esteta è colui che vuole vivere nell‘attimo, cercando do coglierne la pienezza. Egli intende fare della sua vita un‘opera d‘arte, da cui sia bandita la noia, la tristezza, la monotonia. "Godi la vita e vivi il tuo desiderio", dice l‘estetica, che trova il suo modello nella figura del Don Giovanni, il quale sa porre il suo godimento nella limitazione e nell‘intensità dell‘appagamento. In questo stadio però non è possibile, secondo Kierkegaard, né scelta autentica né libertà: infatti l‘esteta lascia alle circostanze decidere per lui. Inoltre l‘ultimo sbocco della vita estetica è la disperazione. Essa sorge dall‘aver voluto basare la vita solo su se stesso e non sugli altri e su Dio. "Chiunque vive esteticamente è disperato, lo sappia o non lo sappia; anzi, forse più di ogni altro è disperato colui che non sente in sé 288 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ nessuna disperazione". Ma se la radice della disperazione sta nel volersi accettare dalle mani di Dio, allora è chiaro che l‘esistenza autentica è quella disponibile all‘amore di Dio, quella di colui che non crede più a se stesso ma soltanto a Dio. Vi è poi la vita etica: essa implica una stabilità e una continuità che la vita estetica, come incessante ricerca della varietà, esclude da sé. Nella vita etica, l‘uomo si sottopone ad una forma, si adegua all‘universale e rinuncia ad essere l‘eccezione. La vita etica è raffigurata dalla figura del marito e dall‘elogio del matrimonio. E‘ l‘uomo che sceglie se stesso, che in questa scelta afferma la continuità della sua vita, l‘impegno e non la fuga dalle responsabilità; in una parola, accetta la ripetizione. Essa è la possibilità di riconfermare il passato, accettando ogni volta e in modo nuovo di amare la stessa donna, di avere gli stessi amici, di esprimersi nella stessa professione. La ripetizione indica la serietà della vita, è il coraggio etico della vita. Come uomo etico, il marito ha il dovere di conformarsi alla legge morale che è universale, ma nello stesso tempo egli rischia di perdere nella anonimità e nella folla la sua personalità e la sua autonomia. Inoltre nello stadio etico ci si imbatte nella contraddizione del pentimento. Infatti, se l‘uomo sceglie se stesso fino in fondo, trova, secondo Kierkegaard, la propria origine, cioè Dio, nel senso che c‘è in noi un‘ansia di infinito che non si lascia racchiudere nei limiti di marito e lavoratore. Ma poiché di fronte alla maestà divina l‘unico sentimento che l‘uomo può provare è quello della propria inadeguatezza morale, cioè della propria colpevolezza, l‘esito finale della vita etica è appunto il pentimento. L‘uomo etico viene così 289 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ messo di fronte al peccato, il quale però non è più una categoria etica bensì religiosa. Col pentimento dunque si esce dalla sfera dell‘etica per entrare in quella della religione, il che richiede il salto della fede. La vita religiosa, la fede, va al di là dello stesso ideale etico della vita. Il simbolo della fede è visto da Kierkegaard nella figura di Abramo, che accetta il rischio della prova impostagli da Dio, accetta il rischio di porsi di fronte a Dio, come un singolo di fronte all‘Altissmo. La fede va al di là della stessa morale perché Dio ordina ad Abramo di sacrificargli il figlio, quindi di commettere un omicidio. Come poter accettare una simile prova? Ma la fede consiste proprio in quel rischio, nell‘accettazione del paradosso e della prova. L‘atto di fede implica una rottura recisa con la razionalità ed esige il passaggio, il salto, ad una sfera che è incommensurabile con la ragione naturale. L‘oggetto della fede urta contro la ragione che pretende di spiegare e di esaurire tutto e non ammette nulla sopra di sé: per essa, che non vuole credere, l‘oggetto della fede è un assurdo. Per il credente, che ammette la trascendenza ed è convinto che a Dio nulla è impossibile, esso è un paradosso. Il paradosso nella verità religiosa dipende dal fatto che essa è la verità così come lo è per Dio. Qui si usano una misura ed un criterio sovraumani, e rispetto a questo una sola situazione è possibile: quella della fede. Proprio per il paradosso come tale il credente è portato a credere, e non per una evidenza logica. Kierkegaard esprime questo con la formula: "Comprendere che non si può né si deve comprendere". Lo scandalo è per Kierkegaard il momento cruciale nella prova della fede, il punto di resistenza e perciò il segno della trascendenza 290 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ della verità cristiana di fronte alla ragione. Lo scandalo indica il soccombere della ragione perché è il rifiuto di "comprendere di non comprendere", giacché la ragione vuole solo comprendere. Per Kierkegaard l‘origine dello scandalo nasce dal fatto che l‘uomo non si pone come "singolo davanti a Dio", e cioè non accetta la misura di Dio. Quando ci poniamo davanti a Dio non c‘è più spazio per finzioni, ma la scoperta che "c‘è un‘infinita abissale differenza qualitativa tra Dio e l‘uomo", e cioè che l‘uomo non può assolutamente nulla, che è Dio a dare tutto. Ma oltre a questo si tratta, nel Cristianesimo, di ammettere che Dio stesso si è messo in rapporto con l‘uomo, che Dio è entrato nel tempo, che l‘Eterno si è incarnato in un uomo, di accettare lo ―scandalo‖ di credere che un uomo singolo sia Dio, che Gesù sia Dio. Ora, la fede in Cristo è proprio superamento dello scandalo ed accettazione del paradosso che è l‘uomo-Dio; è accettazione del fatto che la Chiesa sia militante e non trionfante. E questo può essere fatto solo con una scelta di fede. La scelta di fede, quindi l‘accettazione del paradosso e il superamento dello scandalo, può portare all‘angoscia. L‘angoscia è la coscienza della nostra terribile libertà: tutto ci è possibile, quindi possiamo anche perderci, andare in contro al disvalore, al nulla. L‘angoscia è il puro sentimento del possibile; è il senso di quello che può accadere e che può essere molto più terribile della realtà. L‘angoscia caratterizza la condizione umana: chi vive nel peccato è angosciato dalla possibilità del pentimento; chi è libero dal peccato, vive nell‘angoscia di ricadervi. Se l‘angoscia è tipica dell‘uomo nel suo rapportarsi col mondo, la disperazione è propria dell‘uomo nel suo rapporto con se 291 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ stesso. Il credente però possiede il "contravveleno" sicuro contro la disperazione: è la fede, il credere che a Dio tutto è possibile. La fede è l‘eliminazione della disperazione, per cui l‘uomo, pur orientandosi verso se stesso e volendo essere se stesso, non si illude della sua autosufficienza ma riconosce la sua dipendenza da Dio. La fede sostituisce alla disperazione la speranza e la fiducia in Dio. Ma porta l‘uomo al di là della semplice razionalità: essa è, come sappiamo, paradosso e scandalo. La verità Ma la verità cristiana non è per Kierkegaard una verità da dimostrare, quanto piuttosto una verità da testimoniare. Kierkegaard afferma, a questo proposito, che "la soggettività, l‘interiorità è la verità" intendendo non certo che la verità è soggettiva o relativa, ma che la verità è tale quando è scelta e vissuta in prima persona, quando è una "verità per me", per la quale io possa vivere e anche morire. Esistere vuol dire rapportarsi alla verità che è Cristo, vuol dire scegliere di vivere la fede, testimoniando con la propria vita l‘importanza della verità in cui si crede, contro ogni speculazione astratta, che non mette in questione il singolo. La critica al cristianesimo mondano Nella cristianità si è purtroppo dimenticato cosa vuol dire essere cristiani. Si è dimenticato che la fede esige il salto supremo, cioè l‘accettazione dell‘uomo-Dio; si è dimenticato che la fede in Cristo è superamento dello scandalo e accettazione della croce, che è perciò l‘accettazione del modello (Gesù), sofferente. Kierkegaard 292 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ vede in Lutero il primo responsabile della mondanizzazione del Cristianesimo. Il protestantesimo, abolendo ad esempio il celibato e l‘ascesi, ha abolito il Cristianesimo del Nuovo Testamento e lo ha tradito trasformandosi in una sorta di comodo paganesimo. 293 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ CAPITOLO 16 Feuerbach e Marx Ludwig Feuerbach (1804– 1872) E‘ stato un filosofo tedesco tra i più influenti critici della religione ed esponente della sinistra hegeliana. L'essenza del cristianesimo (1841) Principi della filosofia dell'avvenire (1844) L'essenza della religione (1845) Il rovesciamento dei rapporti di predicazione soggettooggetto E‘ il metodo caratteristico usato da Feuerbach nella sua battaglia contro la mentalità idealistico-religiosa. Metodo che consiste nel ri-capovolgere ciò che l‘idealismo ha capovolto, ossia nel riconoscere di nuovo ciò che è realmente soggetto (= il concreto) e ciò che è realmente predicato (= l‘astratto). Ad es. non è la natura a fungere da predicato o attributo dello spirito (idealismo), ma lo spirito a fungere da predicato o attributo della natura (naturalismo). Dio secondo Feuerbach, è nient‘altro che l‘essenza oggettivata del soggetto, cioè la proiezione illusoria di qualità umane: ―Tutte le qualificazioni dell‘essere divino sono... qualificazioni dell‘essere umano‖ (L‘essenza del cristianesimo). Circa l‘origine dell‘idea di Dio Feuerbach si è variamente espresso. Talora ne ha individuato la genesi nella distinzione fra individuo e specie; talora nel sentimento di dipendenza che l‘uomo prova nei confronti 294 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ della Natura. In ogni caso, la religione ha una chiara matrice antropologica Antropologia capovolta È il modo con cui Feuerbach concepisce la religione, intesa come ―la prima, ma indiretta autocoscienza dell‘uomo‖. Infatti, puntualizza il filosofo come l‘uomo pensa, quali sono i suoi principi, tale è il suo dio. Tu conosci l‘uomo dal suo Dio, e, reciprocamente, Dio dall‘uomo. Da ciò la possibilità di una riduzione, in chiave antropologica, di tutti i dogmi della teologia. Alienazione Quello di alienazione è un termine, presente in Hegel e ripreso da Marx, che indica l‘elemento patologico dell‘esperienza religiosa descritta da Feuerbach, ovvero quello stato per cui l‘uomo, scindendosi, proietta fuori di sé una Potenza superiore (Dio) e alla quale si sottomette. ―L‘uomo — questo è il mistero della religione — proietta il proprio essere fuori di sé e poi si fa oggetto di questo essere metamorfosato in soggetto, in persona; egli pensa, ma come oggetto del pensiero di un altro essere, e questo essere è Dio‖. L‘alienazione è collegata al fatto che quanto più l‘uomo pone in Dio, tanto più toglie a se stesso: ―Nella religione l‘uomo opera una frattura nel proprio essere, scinde sé da se stesso, ponendo di fronte a sé Dio come un essere antitetico. Nulla è Dio di ciò che è l‘uomo, nulla è l‘uomo di ciò che è Dio. Dio è l‘essere infinito, l‘uomo l‘essere finito; Dio perfetto, l‘uomo imperfetto; Dio eterno, l‘uomo perituro; Dio onnipotente, l‘uomo impotente; Dio santo, l‘uomo peccatore. Dio e l‘uomo 295 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ sono due estremi: Dio il polo positivo, assomma in sé tutto ciò che è reale, l‘uomo il polo negativo, tutto ciò che è nullo‖. La presa di coscienza del fenomeno dell‘alienazione, in quanto stato di ―scissione‖ interiore e di ―dipendenza‖, genera, per Feuerbach, la necessità dell‘ateismo, come riappropriazione, da parte dell‘uomo, della propria essenza alienata. L‘ateismo di Feuerbach non ha solo un significato negativo, poiché si presenta anche, in positivo, come proposta di una nuova divinità: l‘Uomo. All‘ateismo Feuerbach finisce quindi per sostituire una forma di antropoteismo. La filosofia dell‘avvenire è la nuova filosofia in antitesi alla vecchia filosofia teologizzante. Filosofia che si identifica sostanzialmente con una forma di umanismo naturalistico. Umanismo, perché fa dell‘uomo l‘oggetto e lo scopo del discorso filosofico; naturalistico perché fa della Natura la realtà ontologica primaria da cui tutto dipende, compreso l‘uomo e i suoi bisogni: ―La nuova filosofia fa dell‘antropologia la scienza universale‖. 296 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Karl MARX (1818-1883) Marx nasce a Treviri, da famiglia di origine ebraica. Studiò a Bonn e poi a Berlino e nel 1841 si laureò in filosofia. Dedicatosi alla carriera giornalistica, fu redattore della Gazzetta Renana ma in seguito alla censura e in conseguenza delle sue idee rivoluzionarie si vide costretto a trasferirsi a Parigi. Qui conobbe Engels, Proudhon, e Bakunin, ovvero anarchici e precursori di quel più vasto e organico movimento politico che fu il socialismo (e quindi il comunismo).Nel 1848, assieme ad Engels, pubblica a Bruxelles il Manifesto del partito comunista. Espulso anche da Bruxelles si trasferì definitivamente a Londra, dove per mantenere la famiglia si vide costretto ad accettare gli aiuti economici del compagno Engels. Nel 1864 fondò la Prima Internazionale dei lavoratori, a conferma del suo attivo impegno politico in favore degli operai e delle classi meno abbienti. Nel 1867 viene stampato il primo libro del Capitale, la sua più celebre e monumentale opera, pubblicata interamente in tre volumi (1885 il secondo, 1894 il terzo). Morì a Londra nel 1883. Opere principali: Differenza tra le filosofie della natura di Democrito e di Epicuro (sua tesi di laurea, 1841); Tesi su Feuerbach (1845); La sacra famiglia (1845); L'ideologia tedesca (1846); Miseria della filosofia (1847); Manifesto del partito comunista (1848); Critica dell'economia politica (1859); Il Capitale (1867-1894). In Marx confluiscono diverse posizioni precedenti: la filosofia hegeliana, le modifiche di Feuerbach alla stessa, le analisi degli economisti classici (Smith e Ricardo), 297 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ quelle dei socialisti utopistici. Il concetto di filosofia come attività puramente teoretica viene criticata: ―i filosofi hanno finora solo interpretato il mondo, si tratta ora di cambiarlo‖. Caratteristiche del marxismo Il primo contrassegno del pensiero di Marx è la il suo porsi come analisi globale della società e della storia. Un secondo contrassegno del marxismo è il suo legame con la prassi, ovvero la tendenza a fornire un‘interpretazione dell‘uomo e del suo mondo che sia anche impegno di trasformazione rivoluzionaria. Le influenze culturali che stanno alla base del marxismo sono essenzialmente tre: la filosofia classica tedesca da Hegel a Feuerbach; l‘economia politica borghese da Smith a Ricardo; il pensiero socialista da Saint-Simon ad Owen. Queste tre esperienze intellettuali, che fungono da coordinate teoriche della genesi del marxismo, vengono ripensate da Marx alla luce di una sintesi creativa che procede criticamente oltre i loro risultati, mettendo capo ad una nuova visione dei mondo. La critica del misticismo logico di Hegel Il rapporto Hegel-Marx risulta assai complesso e oggetto di divergenti interpretazioni critiche. Il primo testo in cui Marx si misura con il maestro è la Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico (1843). Lo scritto è fìlosofico-politico al tempo stesso: il primo momento colpisce al cuore il metodo di Hegel, cioè il suo modo stesso di filosofare. Secondo Marx lo stratagemma di 298 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Hegel consiste nel fare delle realtà empiriche delle manifestazioni necessarie dello Spirito. Questo significa che invece di limitarsi a constatare, ad esempio, che in certi ordinamenti storici esiste la monarchia, Hegel afferma che lo Stato presuppone per forza una sovranità, la quale si incarna necessariamente nel monarca, che è la sovranità statale personificata. Inoltre, poiché ciò che è necessario, per Hegel, è anche razionale, egli deduce la piena ―logicità‖ della monarchia. identificandola con la razionalità politica in atto. Marx definisce questo procedimento misticismo logico, poiché in virtù di esso le istituzioni, anziché comparire per ciò che di fatto sono, finiscono per essere allegorie. o personificazioni di una realtà spirituale che se ne sta occultamente dietro di essi. Al metodo mistico di Hegel, Marx, ispirandosi alle feuerbachiane Tesi provvisorie per la riforma della filosofia (1843), oppone polemicamente il metodo trasformativo, che consiste nel ri-capovolgere ciò che l‘idealismo ha capovolto. ossia nel riconoscere di nuovo ciò che è veramente soggetto e veramente predicato. Oltre che essere fallace sul piano filosofico, il metodo mistico‖ di Hegel è anche conservatore sul piano politico, poiché porta a canonizzare‖ o a ――santificare‖― la realtà esistente, ossia a razionalizzare‖― i dati di fatto, trasformandoli in manifestazioni razionali e necessarie dello Spirito. La demistificazione‖ dell‘hegelismo non toglie che Marx riconosca ad esso dei meriti notevoli, che si assommano nella sua visuale dialettica‖―, ossia nella concezione generale della realtà come totalità storico-processuale, costituita di elementi concatenati fra di loro e mossa dalle opposizioni. 299 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ La critica della civiltà moderna e del liberalismo Alla base della teoria di Marx e della sua adesione al comunismo, vi è una critica globale della civiltà moderna e dello Stato liberale, che rappresenta uno dei nuclei teorici più importanti del marxismo. Il punto di partenza del discorso di Marx è la convinzione, mutuata da Hegel, che la categoria del moderno si identifichi con quella della ――scissione‖―, che prende corpo innanzitutto, nella frattura fra società civile e Stato. Mentre nella polis greca l‘individuo si trovava in un‘‖―unità sostanziale‖― con la comunità di cui faceva parte, e non conosceva antitesi fra ego pubblico ed ego privato, fra sfera individuale e sfera sociale, fra società e Stato, nel mondo moderno l‘uomo è costretto a vivere come due vite: una ――in terra‖― come borghese‖―, cioè nell‘ambito dell‘egoismo e degli interessi particolari della società civile. e l‘altra ――in cielo‖― come ――cittadino‖―, ovvero nella sfera superiore dello Stato e dell‘interesse comune. Marx scorge i tratti essenziali della civiltà moderna nell‘individualismo e nell‘atomismo, ossia nella ―separazione‖ del singolo dal tessuto comunitario. E siccome lo Stato post-rivoluzionario legalizza questa situazione, riconoscendo, quali ―diritti dell‘uomo‖, la libertà individuale (che nella Costituzione del ‗93 viene intesa come l‘esercizio di tutto ciò che non nuoce ad altri) e la proprietà privata, esso non è altro che la proiezione politica di una società strutturalmente a-sociale. Marx, denunciando tutto ciò come ―mistificazione‖, ritiene che l‘unico modo per realizzare tale modello di comunità solidale sia l‘eliminazione delle diseguaglianze reali fra gli uomini, ed in particolare del principio stesso di ogni diseguaglianza: la proprietà privata. Ma come tradurre 300 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ concretamente in atto questa vera democrazia, che coincide con il comunismo stesso? Mentre nella Critica del 1843 lo strumento cui ricorre Marx è il ―suffragio universale‖, negli Annali franco-tedeschi e nei Manoscritti economico-filosofici del 1844, l‘arma cui egli fa appello è la rivoluzione sociale. La critica dell‘economia borghese e l‘alienazione I Manoscritti economico-filosofici, composti a Parigi nel 1844, segnano il primo decisivo approccio di Marx all‘economia politica e rappresentano l‘applicazione, in sede economica. degli schemi critico-dialettici applicati precedentemente al campo politico. Nei confronti dell‘economia borghese l‘atteggiamento di Marx è duplice, poiché da un lato egli la considera come un‘espressione teorica della società capitalistica, e quindi come una valida anatomia di essa, e dall‘altro le muove l‘accusa di fornire un‘immagine globalmente mistifìcata, falsa, del mondo borghese. Ciò è dovuto principalmente, secondo Marx, alla sua incapacità di pensare in modo dialettico e storico. Infatti, essa considera il sistema capitalistico come un sistema naturale e immutabile e non come uno dei tanti possibili sistemi economici. Inoltre l‘economia politica non scorge la struttura contraddittoria del proprio oggetto, ossia la conflittualità che caratterizza il sistema capitalistico e che si incarna soprattutto nell‘opposizione reale fra capitale e lavoro, fra borghesia e proletariato. Nei Manoscritti tale contraddizione viene espressa mediante il concetto di alienazione. Questo concetto è ripreso dalla filosofia tedesca precedente. Marx si rifà soprattutto a Feuerbach, da cui accetta la struttura 301 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ formale del meccanismo dell‘alienazione, intesa appunto come una condizione patologica di autoestraniazione. Tuttavia, a differenza di Feuerbach, per il quale l‘alienazione è ancora un fatto prevalentemente coscienziale, derivante da un‘errata interpretazione di sé, in Marx essa diviene un fatto reale, di natura socioeconomica, in quanto si identifica con la condizione storica del salariato nell‘ambito della società capitalistica. L‘alienazione dell‘operaio viene descritta da Marx sotto quattro aspetti fondamentali, strettamente connessi fra di loro: a) Il lavoratore è alienato rispetto al prodotto della sua attività, in quanto egli, in virtù della sua forza-lavoro, produce un oggetto (il capitale), che non gli appartiene e che si costituisce come una potenza dominatrice nei suoi confronti. b) Il lavoratore è alienato rispetto alla sua stessa attività, la quale prende la forma di un lavoro forzato o costrittivo, in cui egli è strumento di fini estranei (il profitto del capitalista), con la grave conseguenza che l‘uomo si sente ―bestia‖ quando dovrebbe sentirsi veramente uomo, cioè nel lavoro sociale, e si sente uomo quando fa la bestia. cioè si ―stordisce‖ nel mangiare, nel bere e nel procreare. c) Il lavoratore è alienato rispetto al suo stesso Wesen, ossia alla sua essenza o ―genere‖. Infatti la prerogativa dell‘uomo nei confronti dell‘animale è il lavoro libero, creativo e universale (in quanto egli sa produrre secondo la misura di ogni specie‖), mentre nella società capitalistica è costretto ad un lavoro forzato, ripetitivo e unilaterale. d) Il lavoratore è alienato rispetto al prossimo. perché ―l‘altro‖, per lui, è soprattutto il capitalista, ossia un individuo che lo tratta come un mezzo e lo espropria del frutto della sua fatica, facendo sì che il 302 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ suo rapporto con lui, e con l‘umanità in genere, sia per forza conflittuale. La causa del meccanismo globale dell‘alienazione risiede dunque nella proprietà privata dei mezzi di produzione, in virtù della quale il possessore della fabbrica (= il capitalista) può utilizzare il lavoro di una certa categoria di individui (= i salariati) per accrescere la propria ricchezza, secondo una dinamica che Marx, nel capitale, descriver in termini di ―sfruttamento‖ e logica del profitto. Il distacco da Feuerbach Analogamente ad Hegel, anche Feuerbach ha giocato, nel pensiero del giovane Marx, un ruolo di primo piano. Infatti nei Manoscritti del 1844 Marx afferma che Feuerbach è il solo che si trovi in un rapporto critico, con la dialettica hegeliana, ed abbia fatto in questo campo delle autentiche scoperte‖. Ma nelle Tesi su Feuerbach e nella Ideologia tedesca, il contributo di Feuerbach viene ridimensionato. Pur avendo sottolineato la naturalità dell‘uomo (e questo è il passo in avanti rispetto ad Hegel), Feuerbach (e questo è il passo indietro rispetto a lui) ha perso di vista la sua storicità, non rendendosi debitamente conto che l‘uomo. più che natura è società, e quindi storia, in quanto l‘essere umano non è un‘astrazione immanente all‘individuo singolo bensì l‘insieme dei rapporti sociali (VI tesi). Contro Feuerbach, Marx sostiene che l‘individuo è reso tale dalla società storica in cui egli vive, per cui non esiste l‘Uomo in astratto, ma l‘uomo prodotto di una determinata società e di uno specifico mondo storico. In tal modo, Marx corregge Hegel con Feuerbach e Feuerbach con Hegel, poiché, contro l‘uno, può difendere 303 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ la naturalità vivente dell‘uomo, e, contro l‘altro, la sua socialità e storicità. Marx è andato elaborando la sua nota teoria della religione come oppio dei popoli, ossia come il prodotto di un‘umanità alienata e sofferente per causa delle ingiustizie sociali, che cerca illusoriamente nell‘aldilà ciò che le è negato di fatto nell‘aldiquà. Se la religione è il frutto malato di una società malata, l‘unico modo per sradicarla è quello di distruggere le strutture sociali che la producono. La disalienazione religiosa ha dunque, come suo presupposto, la disalienazione economica, ossia l‘abbattimento della società di classe. ―I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta di mutarlo‖ (XI tesi). La concezione materialistica della storia La critica a Feuerbach segna il passaggio di Marx dall‘umanismo al materialismo storico. Nell‘Ideologia tedesca Marx e Engels spiegano che la storia non è un evento spirituale, ma un processo materiale fondato sul rapporto bisogno-soddisfacimento: vivere implica prima di tutto il mangiare e bere, l‘abitazione, il vestire e altro ancora. Struttura e sovrastruttura Nell‘ambito della storia, bisogna distinguere due elementi di fondo: le forze produttive e i rapporti di produzione. Per forze produttive Marx intende tutti gli elementi necessari al processo di produzione, ossia: 1) gli uomini che producono (= la forza-lavoro); 2) i mezzi (terra, macchine ecc.) che utilizzano per produrre = i mezzi di produzione); 3) le conoscenze tecniche e scientifiche di cui si servono 304 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ per organizzare la loro produzione. Per rapporti di produzione Marx intende i rapporti che si instaurano fra gli uomini nel corso della produzione e che giuridicamente consistono in rapporti di proprietà. Forze produttive e rapporti di produzione costituiscono, nella loro globalità, il modo di produzione di un certo periodo. L‘insieme dei rapporti di produzione costituisce la struttura, ossia la base economica della società, mentre i rapporti giuridici, le forze politiche, le dottrine etiche, artistiche, religiose e filosofiche sono le espressioni più o meno dirette dei rapporti che definiscono la struttura di una certa società storica. Di conseguenza, non sono le leggi, lo Stato, le forze politiche, le religioni, le filosofie ecc. che determinano la struttura economica della società (= idealismo storico), ma è la struttura economica che determina le leggi, le religioni, le filosofie ecc. (= materialismo storico). La dialettica della storia Forze produttive e rapporti di produzione sono la chiave di lettura della statica della società, ma si configurano anche come lo strumento interpretativo della sua dinamica, poiché si identificano con la legge stessa della storia. Marx ritiene infatti che ad un determinato grado di sviluppo delle forze produttive tendano a corrispondere determinati rapporti di produzione e di proprietà (ad esempio. rapporti di produzione di tipo feudale corrispondono a forze produttive di tipo agricolo). Ora, poiché le forze produttive, in connessione con il progresso tecnico, si sviluppano più rapidamente dei rapporti di produzione, che esprimendo delle relazioni di proprietà tendono a 305 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ rimanere statici, ne segue periodicamente una situazione di frizione o di contraddizione dialettica fra i due elementi, che genera un‘epoca di rivoluzione sociale. Infatti le nuove forze produttive sono sempre incarnate da una classe in ascesa, mentre i vecchi rapporti di proprietà sono sempre incarnati da una classe dominante al tramonto. Di conseguenza, risulta inevitabile lo scontro fra di esse, che si gioca non solo a livello sociale, ma anche politico e culturale. Alla fine finisce quasi sempre per trionfare la classe che risulta espressione delle nuove forze produttive, che in tal modo riesce ad imporre la propria maniera di produrre e di distribuire la ricchezza, nonché la sua specifica visione del mondo, poiché ‗le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè la classe che è la potenza materiale dominante è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante‖. Questo modello teorico, secondo Marx, trova la sua tipica esemplificazione nella Francia del Settecento, dove, ad un certo punto, vi fu uno scontro aperto fra la borghesia (espressione delle nuove forze produttive di tipo capitalistico) e l‘aristocrazia (espressione dei vecchi rapporti di proprietà agrario-feudali). Vinse alla fine la borghesia, che riuscì ad imporre i suoi rapporti di proprietà e la sua visione del mondo. Analogamente, nel capitalismo moderno si sta delineando una contraddizione fra forze produttive e sociali e rapporti di produzione privatistici. Infatti la fabbrica moderna, pur essendo proprietà di un capitalista, produce soltanto grazie al lavoro collettivo di operai, tecnici, impiegati, dirigenti ecc, Ma se sociale è la produzione della ricchezza, sociale deve essere, secondo Marx, la distribuzione di essa. Ma questo significa che il 306 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ capitalismo porta in sé. come esigenza dialettica, il socialismo. Infatti Marx afferma che il capitalismo pone le basi del socialismo, in quanto genera, per la prima volta nella storia, le condizioni oggettive favorevoli ad una rivoluzione comunista mondiale. La legge della corrispondenza‖ e della contraddizione‖ tra forze produttive e rapporti di produzione permette dunque a Marx di delineare un quadro generale della storia passata e presente. Marx distingue quattro epoche‘ della formazione economica della società: quella asiatica (fondata su forme comunitarie di proprietà), quella antica di tipo schiavistico, quella feudale e quella borghese. Tuttavia, poiché sia Marx che Engels accennano talora ad una comunità primitiva‖ di stampo comunista (sia intesa alla stregua di un tipo generale di cui la società asiatica sarebbe un sottotipo, sia intesa come tipo distinto e a sé stante) si può dire che le grandi formazioni economicosociali siano la comunità primitiva, la società asiatica, la società antica, la società feudale, la società borghese e la futura società socialista. Sebbene queste epoche non costituiscano, a rigore, delle tappe necessarie, in quanto molte società hanno saltato l‘una o l‘altra fase, è indubbio che esse costituiscano altrettanti gradini di una sequenza che procede dall‘inferiore al superiore. Altrettanto indubbio è che la storia, secondo i classici del marxismo, proceda dal comunismo primitivo al comunismo futuro, attraverso il momento intermedio della società di classe, la quale si basa sulla divisione del lavoro e sulla proprietà privata. Parimenti indubbio è che questo diagramma storico dello sviluppo della civiltà poggi sulla tesi- 307 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ convinzione del socialismo come sbocco inevitabile della dialettica storica. Il Manifesto Il Manifesto del partito comunista (1848), nel quale Marx si propone di esporre gli scopi e i metodi dell‘azione rivoluzionaria, rappresenta una stringata somma della concezione marxista del mondo. I punti salienti sono: 1) l‘analisi della funzione storica della borghesia; 2) il concetto della storia come ―lotta di classe‖ ed il rapporto fra proletari e comunisti; 3) la critica dei socialismi nonscientifici. A differenza delle classi che hanno dominato nel passato, che tendevano alla conservazione statica dei modi di produzione, la borghesia, secondo Marx, non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione e tutto l‘insieme dei rapporti sociali. Di conseguenza, la borghesia appare una classe dinamica, che ha dissolto non solo le vecchie condizioni di vita, ma anche idee e credenze tradizionali. Ma il proletariato, classe oppressa della società borghese, non può fare a meno di mettere in opera una dura lotta di classe, volta al superamento del capitalismo e delle sue forme istituzionali e ideologiche. Il concetto della storia come lotta di classe è uno dei più significativi del Manifesto. ―La storia di ogni società, esistita fino a questo momento, è storia di lotte di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in breve, oppressori e oppressi, furono continuamente in reciproco contrasto, e condussero una lotta ininterrotta, ora latente ora aperta; lotta che ogni volta è finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la 308 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ comune rovina delle classi in lotta. Conformemente alle sue analisi del capitalismo come fatto mondiale, Marx insiste inoltre sull‘internazionalismo della lotta proletaria e termina il Manifesto con il noto slogan rivoluzionario: ―Proletari di tutti i Paesi, unitevi!‖. La critica dei falsi socialismi Una delle sezioni più importanti del Manifesto è costituita dalla critica di Marx ai socialismi precedenti. Marx raggruppa e divide la letteratura socialista e comunista in tre tendenze di fondo: il socialismo reazionario, il socialismo conservatore o ―borghese‖ e il socialismo e comunismo critico-utopistici. In generale a questi tipi di socialismo ―utopistico‖ Marx contrappone invece il proprio socialismo ―scientifico‖, basato su un‘analisi critico-scientifica dei meccanismi sociali del capitalismo e sull‘individuazione del proletariato come forza rivoluzionaria destinata ad abbattere il sistema borghese. Il Capitale Il Capitale si propone di mettere in luce i meccanismi strutturali della società borghese, al fine di ―svelare la legge economica del movimento della società moderna‖. Il fatto che Il Capitale rechi, come sottotitolo, Critica dell’economia politica, rivela l‘esplicita contrapposizione di Marx all‘economia classica. Marx si differenzia dai grandi teorici dell‘economia classica soprattutto per il suo metodo storicistico-dialettico. Marx è convinto che non esistano leggi universali dell‘economia e che ogni formazione sociale abbia caratteri e leggi storiche specifiche (le leggi che valgono per il feudalesimo, ad 309 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ esempio, non valgono per il capitalismo). In secondo luogo, Marx è convinto che la società borghese porti in se stessa delle contraddizioni strutturali che ne minano la solidità, ponendo le basi oggettive della sua fine. In terzo luogo, Marx è persuaso che l‘economia debba far uso dello schema dialettico della totalità organica, studiando il capitalismo come una struttura i cui elementi risultano strettamente connessi. Un‘altra caratteristica del metodo di Marx è di studiare il capitalismo distinguendone gli elementi di fondo ed astraendo da quelli secondari, al fine di metterne in luce le caratteristiche strutturali e le tendenze di sviluppo, per poi formulare, su di esso, alcune previsioni. Merce, lavoro, plusvalore Secondo Marx, la caratteristica specifica del modo capitalistico di produzione, rispetto alle società precedenti, è di essere produzione generalizzata di merci. Innanzitutto, una merce deve possedere un valore d‘uso, in quanto deve poter servire a qualcosa, ossia essere utile, poiché nessuno acquista qualcosa che non venga incontro a determinati bisogni, sia che questi ‗provengano dallo stomaco o dalla fantasia‘. In secondo luogo, una merce, per essere veramente tale, deve possedere un valore di scambio, che ne garantisca la possibilità di essere scambiata con altre merci. Il valore di scambio di una merce discende dalla quantità di lavoro socialmente necessaria per produrla. Più lavoro è necessario per produrre una determinata merce e più essa vale. Secondo Marx il valore non si identifica con il prezzo, perché su quest‘ultimo influiscono altri fattori, per esempio l‘abbondanza o la scarsezza di una merce. 310 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Secondo Marx la caratteristica peculiare del capitalismo è il fatto che in esso la produzione non risulta finalizzata al consumo, bensì all‘accumulazione di denaro. Di conseguenza, il ciclo capitalistico non è quello semplice, prevalente nelle società pre-borghesi e descrivibile con la formula schematica M.D.M. (merce-denaro-merce), che descrive il processo per cui una certa quantità di merce viene trasformata in denaro ed una certa quantità di denaro viene ri-trasformata in merce (ad esempio il contadino che vende del grano per comperarsi un vestito). Il ciclo capitalistico è piuttosto quello descrivibile con la formula schematica D.M.D‘ (denaro- merce-più denaro). Infatti nella società borghese abbiamo un soggetto (= il capitalista) che investe del denaro in una merce, per ottenere, alla fine, più denaro. Da dove deriva questo plusvalore? Marx ritiene che l‘origine del plus-valore non debba essere cercata a livello di scambio delle merci, bensì a livello della produzione capitalistica delle medesime. Nel sistema capitalistico il capitalista compera una ―merce particolare‖, l‘operaio, che ha come caratteristica quella di produrre valore. Infatti il capitalista compera la sua forzalavoro, pagandola come una qualsiasi merce, ovvero secondo un valore corrispondente a quello dei mezzi che gli sono necessari per vivere, ossia al salario. Tuttavia l‘operaio, ed è questa la fonte del plusvalore, produce un valore maggiore di quello che gli è corrisposto col salario. Il plus-valore discende quindi dal plus-lavoro dell‘operaio, e si identifica con l‘insieme del valore da lui gratuitamente offerto al capitalista. Con questa teoria Marx ha voluto fornire una spiegazione scientifica dello sfruttamento capitalista, che si identifica quindi con la possibilità, da 311 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ parte dell‘imprenditore, di utilizzare la forza lavoro altrui a proprio vantaggio. Ciò avviene in quanto il capitalista dispone dei mezzi di produzione, mentre il lavoratore dispone unicamente della propria energia lavorativa ed è costretto, per vivere, a ‗vendersi‘ sul mercato, in vista del salario. Dal plus-valore deriva il profitto. Plus-valore e profitto, per Marx, non sono tuttavia la medesima cosa, come talora impropriamente si afferma, in quanto il profitto, pur presupponendo il plus-valore, non coincide totalmente con esso. Contraddizioni del capitalismo Poiché il capitalismo si regge sul ciclo D.M.D‘., il suo fine strutturale immanente è la maggior quantità possibile di plus-valore. Ciò fa sì che il capitalismo insegua tutte le vie possibili per raggiungere tale scopo, caratterizzandosi come un tipo di società retto dalla logica del profitto privato, anziché dalla logica dell‘interesse collettivo. Delineando un‘analisi del capitalismo a sfondo tragico, Marx descrive le varie strade imboccate da esso in vista del proprio auto-accrescimento, mostrando come tale sistema generi una serie di contraddizioni e difficoltà, che ne minano la sopravvivenza, preparandone la morte futura. Analizziamo alcune tappe significative cli questo processo. In un primo momento il capitale cerca di accrescere il plus-valore aumentando la giornata lavorativa (poniamo sino a quindici ore). Ma questa dilatazione d‘orario, pur generando maggior plus-lavoro, e quindi maggior plus-valore, presenta dei limiti invalicabili, poiché oltre un certo numero di ore la forza-lavoro dell‘operaio cessa di essere produttiva. Di conseguenza, 312 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ più che attraverso il prolungamento della giornata lavorativa (che Marx chiama plus-valore assoluto), il capitalismo punta alla riduzione della parte di giornata lavorativa necessaria ad integrare il salario (che Marx chiama plus-valore relativo). Infatti se l‘operaio, anziché impiegare sei ore per guadagnare il proprio salario ne impiega quattro, risulta evidente che il plus-valore intascato dal capitalista è più grande. Ovviamente, tutto ciò si può ottenere solo mediante una maggior produttività del lavoro. Da ciò discende la necessità strutturale, per il capitalismo, di introdurre in continuazione nuovi e più efficienti metodi e strumenti di lavoro. Storicamente questo processo di produzione del plus-valore relativo passa attraverso tre fasi successive: a) la cooperazione semplice; b) la manifattura c) la grande industria. La grande svolta del modo capitalistico di produzione è la nascita dell‘industria meccanizzata, che introduce, nel ciclo lavorativo, la macchina, capace di aumentare enormemente la quantità di merce prodotta nello stesso tempo con lo stesso numero di operai, e quindi di erogare maggior plus-valore relativo. Le macchine permettono anche un maggiore plus-valore assoluto, allungando la giornata lavorativa. Ma proprio l‘aumento di produttività conseguito con l‘uso delle macchine genera, accanto alla conflittualità operaia, il fenomeno delle crisi cicliche di sovrapproduzione proprie del capitalismo. Mentre nei secoli precedenti le crisi erano generate dalla scarsità di beni, nel capitalismo, paradossalmente, sono provocate da una sovrabbondanza di merci. Questo è dovuto al fatto che il capitalismo (ai tempi in cui Marx scrive) risulta caratterizzato dal fenomeno dell‘anarchia della 313 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ produzione, la quale fa sì che i capitalisti si precipitino alla cieca nei settori dove il profitto è più alto. Tutto ciò genera la crisi, che ha come effetti concomitanti sia la distruzione capitalistica dei beni (spesso proprio quelli di cui avrebbero più bisogno le classi povere: caffè, ecc.) sia la disoccupazione, che va ad accrescere il cosiddetto esercito industriale di riserva. La necessità, per il capitalismo, di un continuo rinnovamento tecnologico, genera anche un altro inconveniente strutturale: la caduta tendenziale del saggio di profitto. Con questa espressione Marx intende quella legge per cui, accrescendosi smisuratamente il capitale costante (costituito dalle macchine e dalle materie prime) rispetto al capitale variabile, ossia aumentando ciò che egli denomina la composizione organica del capitale‘, diminuisce per forza il saggio di profitto. Per comprendere adeguatamente questa legge, cui Marx attribuisce una grande importanza, bisogna tener presente che: 1) il plusvalore non è generato dalle macchine di per sé, ma dal lavoro vivo, che viene pagato con il capitale variabile; 2) il saggio di plus-valore è dato dal rapporto fra il plusvalore stesso e il capitale variabile; 3) il saggio di profitto è dato dal rapporto fra il plusvalore da un lato e il capitale costante ed il capitale variabile dall‘altro. Ora, se v (capitale variabile) resta stabile, resta stabile anche p (= il plus-valore); ma se nel frattempo c (= capitale costante) è accresciuto, risulta ovvio che il saggio di profitto è diminuito. La legge della caduta tendenziale del saggio di profitto equivale quindi ad una legge dei rendimenti decrescenti, demotivante ‘ rispetto agli investimenti capitalistici. Sebbene Marx abbia elencato talune cause antagonistiche che possono attenuare o rallentare 314 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ l‘efficacia della legge in questione, come ad esempio l‘acquisto di materie prime all‘estero, ad un prezzo minore di quello richiesto in patria, con la conseguente diminuzione del capitale costante, egli ha considerato la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto come il vero tallone d‘Achille‖ del sistema capitalistico, legge che, dal suo punto di vista, può essere eventualmente ritardata nei suoi effetti, ma non distrutta nei suoi esiti catastrofici per la società borghese. Marx ha una visione sostanzialmente dualistica della società di classe, in quanto ritiene che in ogni momento della storia le classi fondamentali siano due. Questa dottrina, portata ad attribuire minore importanza alle classi medie, riflette compiutamente, a giudizio di Marx, la situazione stessa del capitalismo industriale avanzato, nel quale. in seguito al fenomeno della concorrenza e delle crisi, da un lato abbiamo una progressiva espropriazione di molti capitalisti da parte di pochi‖. avente come effetto ―la diminuzione costante dei magnati del capitale, e dall‘altro abbiamo una massa sempre più grande di salariati, occupati e disoccupati. In altre parole. Marx tende a prospettare la situazione finale del capitalismo in termini dualistico—dialettici: da un lato una minoranza industriale, dall‘altro una maggioranza proletaria sfruttata. La rivoluzione e la dittatura del proletariato Le contraddizioni della società borghese rappresentano la base oggettiva della rivoluzione del proletariato, il quale, impadronendosi del potere politico, dà avvio alla trasformazione globale della vecchia società. attuando il passaggio dal capitalismo al comunismo. Di conseguenza, 315 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ il proletariato, nella prospettiva di Marx. appare investito di una specifica missione storica. La rivoluzione comunista non abolisce soltanto un tipo particolare di proprietà, di divisione del lavoro e di dominio di classe, ma cancella ogni forma di proprietà, di divisione del lavoro e di classe, dando origine ad un‘epoca nuova nella storia del mondo. Lo strumento tecnico della trasformazione rivoluzionaria è la socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio. Nella Critica del programma di Gotha, Marx scrive che tra la società capitalistica e la società comunista vi è un periodo politico di transizione, il cui Stato non può essere altro che la dittatura rivoluzionaria del proletariato. Anche la nozione di dittatura del proletariato discende coerentemente da tutto l‘impianto concettuale del marxismo e dalla sua filosofia dello Stato. Infatti se quest‘ultimo, nel capitalismo, esprime il ―dispotismo‖ di classe della borghesia, ne consegue che il proletariato, se vuole davvero costruire il comunismo, non può fare a meno di instaurare una sua dittatura che, a differenza delle altre dittature storicamente esistite, che sono sempre state dittature di una minoranza di oppressori su di una maggioranza di oppressi, appare invece come una dittatura della maggioranza degli oppressi su di una minoranza di (ex-)oppressori, destinata a scomparire. La dittatura del proletariato si configura dunque, per Marx, come la misura politica fondamentale per la transizione dal capitalismo al comunismo. Secondo Marx la dittatura del proletariato è solo una misura storica di transizione (sia pure a lungo termine), che mira tuttavia al superamento di se medesima e di ogni forma di Stato. 316 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Le fasi della futura società comunista Marx distingue fra un comunismo rozzo ed un comunismo superiore. Nel primo tipo di comunismo la proprietà privata è soltanto trasformata in proprietà di tutti. In questo stadio immaturo di comunismo, la proprietà, anziché venir totalmente soppressa, viene dunque universalizzata o nazionalizzata. Il comunismo, inteso come effettiva soppressione della proprietà privata, appare come quella situazione in cui l‘uomo, superato completamente l‘orizzonte dell‘avere, cessa di intrattenere con il mondo rapporti di puro possesso e consumo. Nella Critica del programma di Gotha, Marx spostando l‘analisi sul piano socio-politico, distingue invece due fasi della società futura. Nella prima fase si ha la socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio e quindi la società stessa è l‘unico datore di lavoro e tutti sono salariati. In essa ogni produttore riceve una quantità di beni equivalente al lavoro prestato. Il principio di uguaglianza che regge questo stadio comunista consiste dunque nel misurare con una misura eguale il lavoro erogato. Tuttavia, questo ‗uguale diritto‘ si rivela ancora di tipo borghese, in quanto non tiene conto delle differenze individuali. L‘uguaglianza ancora imperfetta di questa prima fase della società comunista richiede una ―superiore‖ forma di uguaglianza e di comunismo, che tenga conto dei bisogni e non solo delle capacità degli individui. Ognuno secondo le sue capacità e a ognuno secondo i suoi bisogni. 317 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ CAPITOLO 17 Il Positivismo Il Positivismo è una corrente filosofica che si sviluppa nella seconda metà del XIX secolo, caratterizzata da un'esaltazione della scienza, considerata l'unica fonte legittima della conoscenza. Questo movimento di pensiero, che nasce in Francia e si estende poi a livello europeo e mondiale, trae il suo nome dalla esaltazione della positività della scienza e dalla concretezza e oggettività dei fatti da essa studiati, in contrapposizione alle astrattezze e alle fantasticherie delle religioni e delle concezioni metafisiche in genere. Da questo punto di vista, tale movimento filosofico appare strettamente legato ai notevoli successi ottenuti dalle scienze esatte nei diversi campi di applicazione (chimica, meccanica, elettrologia, ottica e biologia). Nello stesso tempo non va sottovalutata l'influenza del processo di organizzazione scientifica e tecnica della società, dei sistemi di produzione, sulla maturazione delle nuove idee, le quali daranno, a loro volta, un impulso notevole a tale processo. Pur comprendendo pensatori che si diversificano tra loro sia per formazione intellettuale, che per temi affrontati e soluzioni specifiche, il positivismo può essere sintetizzato nei seguenti aspetti distintivi: La scienza è la sola forma di conoscenza possibile e il metodo della scienza è l'unico valido: pertanto il ricorso a cause o principi che non siano riconducibili al metodo della scienza non fa progredire il cammino della conoscenza, ma va considerato una pericolosa ricaduta nella metafisica. Il metodo della scienza, essendo l'unico valido, va esteso a tutti i campi 318 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ d'indagine, compresi quelli che riguardano l'uomo e i fenomeni sociali. Il progresso della scienza rappresenta la base del progresso umano e lo strumento per una riorganizzazione complessiva della vita sociale, capace di trovare adeguate soluzioni ai numerosi problemi di ordine politico e sociale posti dalla Restaurazione e dalla rivoluzione industriale. La filosofia, non avendo oggetti suoi propri, o campi privilegiati di indagine sottratti alla scienza, tende a coincidere con la totalità del sapere positivo o, più in particolare, con l'enunciazione dei principi comuni alle varie scienze. La funzione peculiare della filosofia consiste quindi nel riunire e nel coordinare i risultati delle singole scienze, in modo da realizzare una conoscenza unificata e generale. In ciò, il positivismo si contrappone alla convinzione, tipicamente romantica, che la filosofia debba essere separata dalla scienza in quanto disciplina contraddistinta da problemi e metodi del tutto diversi. RAPPORTI CON L'ILLUMINISMO Per certi aspetti, il positivismo è una ripresa dell‘illuminismo all'interno di una nuova situazione storico-sociale, caratterizzata dalla rivoluzione industriale e dallo sviluppo della scienza e della tecnica. I principali elementi di affinità tra positivismo e illuminismo, possono essere riassunti nei seguenti tre punti: 1) fiducia nella ragione e nel sapere, concepiti come strumenti di progresso al servizio dell'uomo e del miglioramento sociale; 2) esaltazione della scienza a scapito della metafisica e di ogni altro tipo di sapere non verificabile; 3) visione tendenzialmente laica ed immanentistica della vita. 319 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ D'altro canto, positivismo e illuminismo presentano anche alcune differenze di rilievo: 1) Sebbene i bersagli polemici del positivismo siano in parte identici a quelli dell'illuminismo (cioè la tradizione metafisica e religiosa, come pure il parassitismo dell'aristocrazia agraria, considerato un ostacolo al progresso), gli atteggiamenti politici sono differenti. Mentre l'illuminismo si configura come riformismo di carattere rivoluzionario (posto in atto dalla Rivoluzione francese), il positivismo si presente come un riformismo anti-rivoluzionario, che pur lottando contro la vecchia tradizione politica e culturale, è fondamentalmente contrario alle nuove forme rivoluzionarie rappresentate dal proletariato e dalle dottrine socialiste. 2) Diversità del modo di rapportarsi alla scienza e alla filosofia: rispetto alla prima, gli illuministi vedono nel sapere sperimentale un mezzo per dissolvere le antiche credenze della metafisica e della religione, mentre nei positivisti, il richiamo alla scienza tende a una riedificazione di certezze assolute, esplicitamente presentate come la forma "moderna" e "positiva" delle antiche religioni e metafisiche. Riguardo alla filosofia, mentre gli illuministi sono interessati soprattutto a una fondazione gnoseologica e critica della scienza (che sfocerà nella concezione di Kant), i positivisti, dando per scontata la validità del pensiero scientifico, ritengono che il compito della filosofia sia quello di ordinare e di unificare le diverse scienze. Il positivismo, colto nel suo nucleo storico-filosofico più decisivo, presenta anche caratteristiche che lo accomunano al romanticismo. La più importante di tali caratteristiche è l'idealizzazione della scienza, che si traduce in una 320 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ esaltazione del sapere positivo, assunto a unica verità ed unica guida della vita umana, in tutti i campi. Come i romantici e gli idealisti tendevano a caricare la poesia o la filosofia di significati assoluti, così i positivisti tendono ad attribuire alla scienza una portata assoluta, con atteggiamenti analoghi alla fede religiosa. In Francia, il maggiore rappresentante del positivismo fu Auguste Comte. Successivamente il positivismo si diffuse anche in Inghilterra, soprattutto per merito di John Stuart Mill, impegnato a sottrarre la scienza morale alle sue incertezze per stabilire invece per essa un insieme di regole ben definite. Di non minor statura fu lo scienziato naturalista Charles Darwin, ma una certa importanza ebbe anche Herbert Spencer. In Italia seguaci del positivismo furono Carlo Cattaneo e Roberto Ardigò. Auguste Comte (1798-1857) La legge dei tre stadi e la classificazione delle scienze Comte elabora la legge dei tre stadi, che dichiara di aver ricavato da considerazioni storiche oltre che dall‘osservazione dello sviluppo organico dell‘uomo, ciascuna branca della conoscenza umana passa successivamente per tre stadi teorici differenti: lo stadio teologico o fittizio, lo stadio metafisico od astratto, lo stadio scientifico o positivo. Il primo è il punto di partenza necessario dell‘intelligenza umana; il terzo il suo stadio fisso e definitivo; il secondo è unicamente destinato a servire di transizione. Nello stadio teologico, lo spirito umano, dirigendo essenzialmente le sue ricerche verso la natura intima degli esseri e le cause prime e finali, cioè 321 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ verso le conoscenze assolute, si rappresenta i fenomeni come prodotti dall‘azione diretta e continua di agenti soprannaturali, più o meno numerosi, il cui intervento arbitrario spiega tutte le anomalie appartenenti dell‘universo. Nello stadio metafisico, che è solo una modificazione del primo, gli agenti soprannaturali sono sostituiti da forze astratte (si pensi ad es. alle essenze) inerenti ai diversi enti del mondo e concepite capaci di generare da sé tutti i fenomeni osservati, la cui spiegazione consisterebbe quindi nell‘assegnare a ciascuno l‘entità corrispondente, Infine, nello stadio positivo, lo spirito umano, riconoscendo l‘impossibilità di raggiungere nozioni assolute, rinuncia a cercare l‘origine e il destino dell‘universo e a conoscere le cause intime dei fenomeni e si applica unicamente a scoprire, mediante l‘uso ben combinato del ragionamento e dell‘osservazione, le loro leggi effettive: cioè le loro relazioni invariabili di successione e di somiglianza. Comte (che parla del Medioevo come di un‘età teologica e del mondo moderno sino alla Rivoluzione francese come di un‘età metafisica o di crisi) fa corrispondere, ad ogni stadio, una specifica organizzazione politica e sociale (monarchia teocratica e militare; sovranità popolare; organizzazione scientifica della società industriale). Questa legge dei tre stadi sembra a Comte immediatamente evidente di per se stessa. Essa inoltre è appoggiata dall‘esperienza personale. Chi di noi non ricorda, contemplando la sua propria storia, che è stato successivamente, rispetto alle nozioni più importanti, teologo nella sua infanzia, metafisico nella sua giovinezza e fisico nella sua virilità?‘. Ora, sebbene varie branche della conoscenza umana siano entrate nella fase positiva, 322 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ la totalità della cultura intellettuale umana, e quindi dell‘organizzazione sociale che su di essa si fonda, non sono state ancora permeate dallo spirito positivo. In primo luogo, Comte nota che accanto alla fisica celeste, alla fisica terrestre, meccanica e chimica, e alla fisica organica, vegetale e animale, manca una fisica sociale, cioè lo studio positivo dei fenomeni sociali. In secondo luogo. la mancata penetrazione dello spirito positivo nella totalità della cultura intellettuale produce uno stadio di anarchia intellettuale e quindi la crisi politica e morale della società contemporanea. È evidente che se una delle tre filosofie possibili, la teologia, la metafisica e la positiva, ottenesse in realtà una preponderanza universale completa, ci sarebbe un ordine sociale determinato. Ma siccome le tre filosofie opposte continuano a coesistere, ne risulta una situazione incompatibile con un‘effettiva organizzazione sociale. Comte si propone perciò il compito di portare a termine l‘opera iniziata da Bacone, Cartesio e Galilei e di costruire il sistema delle idee generali che deve definitivamente prevalere nella specie umana, ponendo termine così alla crisi rivoluzionaria che tormenta i popoli civilizzati. Tale sistema di idee generali o filosofia positiva presuppone però che sia determinato il compito particolare di ciascuna scienza e l‘ordine complessivo di tutte le scienze: presuppone un‘enciclopedia delle scienze che muovendo da una classificazione sistematica fornisca il prospetto generale di tutte le conoscenze scientifiche. Comte comincia con l‘escludere dalla sua considerazione le conoscenze applicate della tecnica e delle arti, limitandosi alle conoscenze speculative; e anche di queste considera solo quelle generali ed astratte, escludendo 323 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ quelle particolari e concrete. Posto ciò, egli cerca di determinare una scala enciclopedica delle scienze che corrisponda alla storia delle scienze stesse. Le scienze si possono classificare considerando in primo luogo il loro grado di semplicità o, ciò che è lo stesso, il grado di generalità dei fenomeni che costituiscono il loro oggetto. I fenomeni più semplici sono infatti anche i più generali; ed i fenomeni semplici e generali sono anche quelli più facilmente osservabili. Perciò, graduando le scienze secondo l‘ordine della complessità crescente e della semplicità decrescente, si viene a riprodurre, nella gerarchia così formata, l‘ordine di successione con cui le scienze sono entrate nella fase positiva. Seguendo questo criterio si possono in primo luogo distinguere i fenomeni dei corpi bruti e i fenomeni dei corpi organizzati come oggetti di due gruppi principali di scienze. I fenomeni dei corpi organizzati sono evidentemente più complicati e più particolari degli altri; dipendono dai precedenti che a loro volta non ne dipendono. Di qui la necessità di studiare i fenomeni fisiologici dopo quelli dei corpi inorganici. La fisica si trova dunque divisa in fisica organica e fisica inorganica. A sua volta la fisica inorganica, secondo lo stesso criterio della semplicità e della generalità, sarà dapprima fisica celeste (o astronomia sia geometrica, sia meccanica) e poi fisica terrestre che a sua volta sarà fisica propriamente detta e chimica. Una divisione analoga sarà fatta per la fisica organica. Tutti gli esseri viventi presentano due ordini di fenomeni distinti, quelli relativi all‘individuo e quelli relativi alla specie: ci sarà dunque una fisica organica o fisiologica e una fisica sociale che è fondata su di essa. L‘enciclopedia delle scienze sarà 324 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ dunque costituita da cinque scienze fondamentali: astronomia, fisica, chimica, biologia e sociologia. L‘ordine logico delle scienze coincide con l‘ordine storico del loro sviluppo e con l‘ordine pedagogico del loro apprendimento. Di questa gerarchia non fanno parte, come si vede, né la matematica, né la logica, né la psicologia. La matematica è stata esclusa non perché non sia una scienza, ma perché costituisce la base di tutte le altre scienze. L‘enciclopedia può venir articolata secondo l‘ordine seguente: 1) matematica: 2) astronomia; 3) fisica; 4) chimica; 5) biologia: 6) sociologia. La logica è stata esclusa poiché Comte ritiene che essa si identifichi con il metodo concreto impiegato da ogni specifica branca del sapere. Infine, la psicologia deve la sua esclusione dall‘enciclopedia al fatto che non è una scienza e non è suscettibile di diventarlo. La cosiddetta osservazione interiore che si è destinata allo studio dei fenomeni intellettuali è impossibile. I fenomeni intellettuali non possono essere osservati nell‘atto stesso in cui si verificano. L‘individuo pensante non può dividersi in due, di cui l‘uno ragioni, mentre l‘altro lo guardi ragionare. L‘organo osservato e l‘organo osservatore essendo in questo caso identici, come potrebbe l‘osservazione aver luogo? Ciò che vi è di scientifico nella psicologia, da un lato è riconducibile all‘esame fisiologico del cervello (cioè alla biologia) e dall‘altro all‘esame del suo comportamento sociale (cioè alla sociologia). La sociologia La scienza alla quale tutte le scienze sono subordinate è la sociologia. Compito di questa scienza è quello di percepire 325 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ nettamente il sistema generale delle operazioni successive, filosofiche e politiche, che devono liberare la società dalla sua fatale tendenza alla dissoluzione imminente e condurla direttamente ad una nuova organizzazione, più progressiva e più salda di quella che riposava sulla filosofia teologica‘. A questo scopo la sociologia deve costituirsi nella stessa forma delle altre discipline positive e concepire i fenomeni sociali come soggetti a leggi naturali che ne rendano possibile la previsione sia pure nei limiti compatibili con la loro complessità superiore. La sociologia, o fisica sociale, è divisa da Comte in statica, che studia l‘ordine che unisce le varie parti del sistema sociale, e in dinamica che studia i fattori di cambiamento e di progresso. Poiché il perfezionamento effettivo risulta soprattutto dallo sviluppo spontaneo dell‘umanità, come potrebbe esso non essere essenzialmente, a ciascun‘epoca, ciò che poteva essere secondo l‘insieme della situazione?‖. Comte afferma che senza questa compiutezza di ciascun‘epoca della storia in se stessa, la storia sarebbe incomprensibile. E non esita neppure a ripristinare nella storia il concetto di causa finale. Gli eventi della storia sono necessari nel duplice significato del termine: nel senso che in essa è inevitabile ciò che si manifesta dapprima come indispensabile, e reciprocamente. Lo scopo dell‘indagine scientifica è la formulazione delle leggi perché la legge permette la previsione: e la previsione dirige e guida l‘azione dell‘uomo sulla natura. ―Scienza, previsione, azione tale è la formula semplicissima che esprime in modo esatto la relazione generale tra la scienza e l‘arte, prendendo questi due termini nella loro accezione totale‖. L‘osservazione dei 326 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ fatti e la formulazione di leggi esauriscono il compito della scienza. L‘opera di Comte risulta esplicitamente diretta a favorire l‘avvento di una società nuova che egli chiamò sociocrazia. cioè un regime fondato sulla sociologia, corrispondente alla teocrazia fondata sulla teologia. La religione della scienza Il Sistema di politica positiva è diretto esplicitamente a trasformare la filosofia positiva in una religione positiva. Esso tende cioè a fondare l‘unità dogmatica, culturale e pratica dell‘umanità. Il concetto fondamentale è quello dell‘Umanità, che deve prendere il posto di quello di Dio. L‘Umanità è il Grande Essere come l‘insieme degli esseri passati, futuri e presenti che concorrono liberamente a perfezionare l‘ordine universale. Il concetto dell‘umanità non è un concetto biologico (per quanto sia anche biologico), ma un concetto storico, fondato sull‘identificazione romantica di tradizione e storicità. Comte delinea, con minuziosi particolari, anche il culto positivistico dell‘umanità. Stabilisce un calendario positivista in cui i mesi e i giorni sono dedicati alle maggiori figure della religione, dell‘arte, della politica e della scienza. Propone perfino un nuovo segno, che dovrebbe sostituire il segno della croce dei cristiani. Il positivismo evoluzionistico L‘altro indirizzo del Positivismo è quello evoluzionistico. Questo indirizzo consiste nell‘assumere il concetto d‘evoluzione come il fondamento di una teoria generale della realtà naturale e nello scorgere nell‘evoluzione stessa 327 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ la manifestazione di una realtà, soprannaturale o metafisica, infinita ed ignota. Il punto di partenza di questo indirizzo, cioè il concetto di evoluzione, è desunto dalla dottrina del trasformismo biologico, quale è stata elaborata da Lamarck e Darwin. Se il principio romantico dell‘infinito che si rivela o realizza nel finito è la categoria tacitamente presupposta dalla filosofia positivistica dell‘evoluzione, la teoria biologica della trasformazione della specie è il suo punto di partenza di fatto. Charles Darwin (1809 - 1882) Dopo un viaggio per mare durato cinque anni. si dedicò a raccogliere e a riordinare il materiale per la sua grande opera L’origine della specie. Il merito di Darwin consiste nell‘aver dato una compiuta e sistematica teoria scientifica del trasformismo biologico fondandola su un numero enorme di osservazioni. La teoria di Darwin si fonda su due ordini di fatti: 1° l‘esistenza di piccole variazioni organiche che si verificano negli esseri viventi lungo il corso del tempo e sotto l‘influenza delle condizioni ambientali, variazioni che sono vantaggiose agli individui che le presentano: 2° la lotta per‘ la vita che si verifica necessariamente tra gli individui viventi per la tendenza di ogni specie a moltiplicarsi secondo una progressione geometrica. Quest‘ultimo presupposto è desunto dalla dottrina di Malthus. L‘accumularsi delle piccole variazioni e la loro conservazione per mezzo producono la variazione degli organismi animali che, nei suoi termini estremi, è il passaggio da una specie ad un‘altra. Ciò che l‘uomo fa per le piante e gli animali domestici producendo gradualmente le varietà di essi che sono più utili ai suoi bisogni, la 328 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ natura può ben farlo su scala immensamente più vasta. Dalla teoria segue che, tra le varie specie, han dovuto esistere innumerevoli varietà intermedie che collegano strettamente tutte le specie di uno stesso gruppo: ma la selezione naturale ha sterminato queste forme intermedie di cui tuttavia si possono trovare le tracce nei residui fossili. Darwin crede di aver stabilito l‘inevitabile progresso biologico allo stesso modo che il romanticismo idealistico e socialistico credeva all‘inevitabile progresso spirituale. L‘altra opera fondamentale di Darwin, La discendenza dell‘uomo, tende in primo luogo a stabilire che non esiste alcuna differenza fondamentale fra l‘uomo e i mammiferi più elevati per ciò che riguarda le loro facoltà mentali‘, La sola differenza tra l‘intelligenza e il linguaggio dell‘uomo e quelli degli altri animali è una differenza di grado che si spiega con la legge della selezione naturale ed anche, in parte, con la scelta sessuale alla quale Darwin attribuisce, per l‘evoluzione dell‘uomo, importanza assai maggiore che per l‘evoluzione degli animali. Darwin non crede che il riconoscimento della discendenza dell‘uomo da organismi inferiori diminuisca in qualche modo la dignità umana. Chi, egli dice, abbia veduto un selvaggio nella sua terra nativa non sentirà molta vergogna se sarò obbligato a riconoscere che il sangue di qualche creatura più umile gli scorre nelle vene. In quanto a me, vorrei tanto essere disceso da quell‘eroica scimmietta che affrontò il suo terribile nemico per salvare la vita al suo custode o da quel vecchio babbuino che sceso dal monte strappò trionfante il suo giovane compagno a una muta attonita di cani, quanto da un selvaggio che si compiace di torturare i suoi nemici, offre 329 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ sacrifici di sangue, pratica l‘infanticidio senza rimorsi, tratta le sue mogli come schiave, non conosce che cosa sia la decenza ed è dominato da grossolane superstizioni‖. Herbert Spencer ( 1820 – 1903 ) Spencer è il più importante rappresentante del positivismo evoluzionistico sviluppando la teoria darwiniana sulla totalità del reale, per Spencer secondo un processo graduale avviene un‘evoluzione pre-organica, organica e superorganica, si tratta quindi di un meccanismo biologico. Le opere più importanti di Spencer sono: ― Statica sociale ―, ― Principi di psicologia ―, ― Principi primi ―. Spencer a differenza di una certa corrente del positivismo ammette la conciliabilità della scienza e della religione, in quanto la scienza si deve occupare dell‘ ambito del conoscibile, la religione dell‘inconoscibile. Si tratta di una divisione fondamentale, la scienza offre una spiegazione sul piano fenomenico, del ―come―, la religione da un lato evidenzia i limiti della conoscenza umana, dall‘ altro svela il mistero profondo della realtà. La religione di cui parla Spencer è una teologia negativa; non definisce l‘inconoscibile ma si limita attraverso un processo negativo a dire cosa dietro la conoscenza scientifica non stia. Scienza e religione hanno ambiti diversi: non possiamo conoscere la realtà così come essa è al di là del suo manifestarsi fenomenico, lo scienziato quindi può solo indagare il conoscibile, lasciando ad una religione negativa l‘ analisi sull‘Inconoscibile. La filosofia diviene la scienza più importante, ma perde una sua autonomia 330 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ concettuale; la sua funzione è quella di esplicare le leggi generali ed universali della realtà nel processo evolutivo, leggi generali da cui dipendono quelle delle singole scienze, che arrivano ad intuizioni frammentarie. Le scienze analizzano aspetti particolari della realtà, aspetti che una volta analizzati vanno coordinati in una visione d‘ insieme, tale compito deve essere svolto dalla filosofia, che assurge ad un ruolo di sintesi. Tre sono i principi a cui pervengono le scienze: a) Indistruttibilità della materia, b) continuità del movimento, c) persistenza della forza. Tali principi vengono rielaborati magistralmente dalla filosofia, che costruisce un unico principio evoluzionistico, fondato su un processo triadico: a) passaggio dall‘ incoerente al coerente ( progressiva concentrazione), b) passaggio dall‘ omogeneo all‘ eterogeneo, dall‘ uniforme al multiforme (progressiva differenziazione), c) passaggio dall‘ indefinito al definito (progressiva determinazione ). La legge dell‘ evoluzionismo regola l‘ intera realtà dal mondo inorganico fino al mondo superorganico, dal Sistema Solare al mondo umano; Spencer formulando tale teoria non si accorge che sussiste una differenza evidente tra il mondo inorganico e quello umano, in quest‘ ultimo intervengono fattori come la cultura e la coscienza intesa come consapevolezza del proprio sviluppo. Spencer dirà nei Principi primi che l‘ evoluzione è una integrazione di materia accompagnata da dispersione di moto, durante la quale la materia passa da un‘omogeneità incoerente, indefinita, a una eterogeneità coerente, definita, mentre il moto subisce una trasformazione parallela. 331 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ CAPITOLO 18 Friedrich NIETZSCHE Opere principali: La nascita della tragedia in Grecia (1872); Considerazioni inattuali (1876); Umano, troppo umano (1878); Aurora (1882); La gaia scienza (1882); Così parlò Zarathustra (1883); Aldilà del bene e del male (1886); Sulla genealogia della morale (1887); Il caso Wagner (1888); Il crepuscolo degli idoli (1888); L'Anticristo (1888); Ecce homo (1888). Il pensiero di Nietzsche è complesso e non sempre di facile lettura. L'uso di metafore, simboli e aforismi rende possibile una molteplicità di interpretazioni e di punti di vista sull‘opera del filosofo tedesco e costituisce altresì il segno della fecondità intellettuale del suo pensiero che, ancora oggi, stimola la riflessione sull‘esistenza, i valori e la verità. Paul Ricoeur ha annoverato Nietzsche (insieme a Marx e a Freud) tra i ―filosofi del sospetto‖, poiché ha ingenerato il dubbio nelle certezze condivise della maggior parte degli uomini. LA SCRITTURA Nei primi scritti , "La nascita della tragedia" e le "Considerazioni inattuali", Nietzsche é ancora legato alla forma accademica del saggio, ma, al tempo stesso, egli già cerca di evitare il tono impersonale e distaccato di questa forma letteraria, rivolgendosi direttamente ai suoi lettori. "In tutte le opere che ho scritto, io ho messo dentro anima e corpo:non so che cosa siano problemi puramente intellettuali". A partire da "Umano, troppo umano" prende 332 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ corpo la forma dell' aforisma, ossia della definizione breve: "L'aforisma, la sentenza, sono le forme dell'eternità; la mia ambizione è dire in dieci frasi quello che chiunque altro dice in un libro, quello che chiunque altro non dice in un libro." L'aforisma é paragonato da Nietzsche alle figure in rilievo, che, essendo incomplete, richiedono all'osservatore di completare "col pensiero ciò che si staglia davanti". un libro composto di aforismi richiede, dunque, un tipo diverso di lettura: una lettura discontinua, per lascia tempo alla riflessione e all'interpretazione, ad una pratica che i moderni hanno disimparato e che Nietzsche chiama ruminare. Con "Così parlò Zarathustra" il modello stilistico é fornito dalla scrittura in versetti, propria dei Vangeli, una sorta di poesia in prosa, più conforme al tono rivelativo, intriso di simboli, e alieno da sviluppi troppo argomentativi. Esso si adatta maggiormente al senso della propria missione, che segna l'inizio di una nuova epoca storica, dopo il tramonto del cristianesimo, e della morale occidentale. Uno stile che scava, scalza di sottoterra i pregiudizi e i valori dominanti nel proprio tempo. "I miei scritti sono stati chiamati una scuola di sospetto e ancor più di disprezzo; per fortuna però anche di coraggio, anzi di temerarietà". FASI L‘opera di Nietzsche viene convenzionalmente suddivisa in alcune fasi, che non vanno intese alla stregua di scansioni rigide, ma come tappe transitorie di un pensiero in divenire. a) Gli scritti giovanili del periodo wagnerianoschopenhaueriano (1872-1876), che come, prendono La 333 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ nascita della tragedia (1872), le quattro Considerazioni inattuali (1873-1876) b) Gli scritti intermedi del periodo ―illuministico‖ o ―genealogico‖ (1878-1882), che comprendono Umano, troppo umano (1878-1880), Aurora (1881). La gaia scienza (1882) c) Gli scritti del meriggio o di ―Zarathustra‖ (1883-1885), che comprendono Così parlò la Zarathustra e frammenti d) Gli scritti del tramonto o degli ultimi anni (1886-1889). che comprendono Al di là del bene e del male (1886), Genealogia della morale (1887), Il caso Wagner, Crepuscolo degli idoli, L‗Anticristo, Ecce homo, Nietzsche contra Wagner (tutti del 1888). Il primo periodo: Apollineo e Dionisisaco La prima fase del pensiero di Nietzsche è caratterizzata dagli studi filologici e dalla passione per il mondo greco, dall'influenza di Schopenhauer e dall'ammirazione per l'opera di Wagner: La nascita della tragedia riunisce tali influssi per generare una nuova visione della civiltà greca. Il motivo centrale di La nascita della tragedia è la distinzione fra ―apollineo‖ e dionisiaco‘. Con questa coppia di opposti (che si concretizza in altre sotto-coppie, come forma-caos, stasi-divenire, finito-infinito, sognoebbrezza, luce-oscurità, serenità-inquietudine) Nietzsche intende, innanzitutto, i due impulsi di base dello spirito e dell‘arte greca. L‘apollineo (Apollo è il dio greco dell'armonia, in esso vengono identificati la proporzione e 334 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ la bellezza) che scaturisce da un impulso alla forma e da un atteggiamento di fuga di fronte al divenire, si esprime nelle forme limpide e armoniche della scultura e della poesia epica. Il dionisiaco (Dioniso è il dio greco -il corrispettivo greco del dio romano Bacco- che incarna tutto ciò che vi è di istintivo, caotico e irrazionale nella vita) che scaturisce dalla forza vitale e dalla partecipazione al divenire, si esprime nell‘esaltazione creatrice della musica. In contrasto con la filologia dominante e con l‘immagine neoclassica dell‘Ellade come mondo dell‘equilibrio (dell‘apollineo), Nietzsche insiste sul carattere originariamente dionisiaco della grecità, portata a scorgere ovunque il dramma della vita e della morte. La tragedia greca univa questi due aspetti: quello apollineo, espresso dalle arti figurative e dal logos, e quello dionisiaco, espresso dalle musica, simbolo della vitalità. I due momenti dello spirito si uniscono perfettamente nella tragedia di Eschilo ma già Euripide tende a eliminare dalla tragedia l'elemento dionisiaco, col predominio della razionalità. Socrate comunque è il principale responsabile della decadenza della cultura occidentale. Con Socrate si impone l'ideale della ragione e della scienza, in contrasto con la vita. Socrate e Platone sono "gli strumenti della dissoluzione greca, gli pseudogreci, gli antigreci". Socrate fu ostile alla vita, volendo dominare e soffocare l'istintività spontanea in nome della ragione. La decadenza della tragedia funge quindi da spia rivelatrice della decadenza della civiltà occidentale nel suo complesso. Da Schopenhauer Nietzsche deriva la tesi del carattere doloroso dell‘essere, ma ne respinge la tematica dell‘ascesi. Infatti, alla noluntas schopenhaueriana egli 335 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ contrappone un atteggiamento di entusiastica accettazione dell‘essere nella globalità dei suoi aspetti. La vita è dolore, lotta, distruzione. crudeltà, incertezza, errore. Essa non ha ordine, né scopo, il caso la domina e i valori umani non trovano in essa garanzie precostituite. Due atteggiamenti sono allora possibili di fronte a essa. Il primo è quello della rinuncia e della fuga. che mette capo all‘ascetismo. E l‘atteggiamento che Schopenhauer derivò dalla sua diagnosi ed è l‘atteggiamento proprio della morale cristiana e della spiritualità comune. Il secondo è quello dell‘accettazione della vita così com‘è ed è l‘atteggiamento che mette capo all‘esaltazione della vita e al superamento dell‘uomo. Nietzsche vuole essere un discepolo di Dioniso, poiché nell‘antica figura greca egli vede il simbolo del suo ―Sì totale al mondo". Questa esaltazione della tragedia, che si accompagna a una concezione della civiltà come processo di decadenza dovuto al progressivo imporsi dello spirito antitragico, di tipo socratico-platonico, sfocia nell‘ideale di una rinascita della cultura tragica, incentrata sull‘arte, in particolare sulla musica. di cui Nietzsche scorge un‘incarnazione emblematica in Wagner (a cui è dedicato il capolavoro giovanile). Fra il 1873 e il 1876 Nietzsche scrive le quattro Considerazioni inattuali, in cui l‘auspicata rinascita della cultura tragica, più che in un progetto alternativo di civiltà, si traduce in un‘opera di critica della cultura contemporanea. Strauss, Feuerbach e Comte sono filistei. Nietzsche combatte la saturazione di storia e l‘idolatria del fatto (i fatti ―sono stupidi‖; solo le teorie che li interpretano possono essere intelligenti). Periodo illuministico. Il metodo genealogico 336 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Nietzsche aveva dedicato a Wagner la Nascita della tragedia. Intanto, però, si distacca sia da Wagner che da Schopenhauer, come testimoniato da opere quali Umano, troppo umano , Aurora e La gaia scienza. Schopenhauer è ―null‘altro che l‘erede della tradizione cristiana‖; il suo è ―il pessimismo dei rinunciatari, dei falliti e dei vinti‖. E Wagner non è affatto lo strumento della rigenerazione della musica; Nietzsche ne Il caso Wagner scrive Wagner è una malattia: ―est une névrose‖. Umano, troppo umano segna l‘inizio di un periodo ―illuministico‖ di Nietzsche che coincide con l‘avvento della scrittura aforistica. La scienza (intesa come procedimento critico) diventa la guida: metafisica, religione e arte vengono sottoposte a giudizio e smascherate come menzogne. Nietzsche dedica la prima edizione di Umano, troppo umano a Voltaire. Nietzsche è illuminista, si intende, non perché creda nell'ingenua fiducia settecentesca nella ragione e nel progresso, ma perché impegnato in un‘opera di critica della cultura tramite la ragione e la scienza. Per scienza Nietzsche non intende l‘insieme delle scienze particolari, bensì un metodo di pensiero in grado di emancipare gli uomini dagli errori che gravano sulle loro menti. Metodo che Nietzsche finisce per identificare con un procedimento critico di tipo storico e genealogico. Critico perché eleva il sospetto a regola di indagine. Storico o genealogico poiché ritiene che non esistano realtà statiche o immutabili, ma che ogni cosa sia l‘esito di un processo da ricostruire. Questo metodo storico-genealogico assume la forma concreta di una chimica delle idee impegnata a far scaturire un atteggiamento dal suo opposto (la verità dalla menzogna, l‘altruismo dall‘egoismo ecc.) e a mettere a 337 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ nudo le origini umane, troppo umane, dei cosiddetti valori sovrumani. LA MORTE di DIO (Gott ist tot) Per Nìetzsche Dio è 1) il simbolo di ogni visione dualistica che ponga il senso dell‘essere al di là dell‘essere, ovvero in un altro mondo contrapposto a questo mondo; 2) la personificazione delle certezze ultime dell‘umanità, ossia di tutte le credenze metafisiche e religiose elaborate attraverso i millenni per dare un ordine rassicurante alla vita. Il primo punto è connesso alla convinzione nietzscheana secondo cui Dio e l‘oltre-mondo abbiano storicamente rappresentato una fuga dalla vita e una rivolta contro questo mondo. In Dio è dichiarata inimicizia alla vita, alla natura, alla volontà di vivere! Dio, la formula di ogni calunnia dell‘aldiquà. di ogni menzogna dell‘aldilà. Il secondo punto discende dalla maniera nietzscheana di concepire la metafisica. Secondo questo filosofo, l‘immagine di un cosmo ordinato e benefico è soltanto una costruzione della nostra mente, ai fini di sopportare la durezza dell‘esistenza: C‘è un solo mondo ed è falso, crudele. contraddittorio. corruttore, senza senso... Un mondo così fatto è il vero mondo... Noi abbiamo bisogno della menzogna per vincere questa realtà, questa ―verità‖, cioè per vivere 1...) La metafisica, la morale, la religione, la scienza (...l vengono prese in considerazione solo come diverse forme di menzogna: col loro sussidio si crede nella vita. Di fronte a una realtà che risulta contraddittoria, crudele e non-provvidenziale, gli uomini hanno dovuto convincere se stessi che il mondo è qualcosa di logico e di provvidenziale. Le metafisiche e le religioni 338 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ risultano decorazioni della realtà e bugie di sopravvivenza. Essendo la più antica delle bugie vitali (la nostra più lunga menzogna), Dio si configura come la quintessenza di tutte le credenze escogitate attraverso i tempi per poter fronteggiare il volto caotico dell‘esistenza. Per Nietzsche è la realtà stessa, cioè l‘essenza caotica del mondo, a confutare l‘idea di Dio ed è superflua ogni ulteriore contro-dimostrazione della non esistenza di Dio. Di conseguenza, più che la dimostrazione del carattere afinalistico, a-razionale e quindi a-teo dell‘universo, a Nietzsche premono ormai: 1) l‘annuncio dell‘evento in corso della morte di Dio: 2) la riflessione sulle conseguenze prodotte da questo fatto decisivo della storia umana. In La gaia scienza. in uno dei passi più significativi della sua opera Nietzsche drammatizza il messaggio della morte di Dio con il noto racconto dell‘uomo folle: ‖Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: ‗Cerco Dio! Cerco Dio!‖. E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa‖. Come il platonico mito della caverna, anche questo passo contiene una ricca simbologia filosofica. L‘uomo folle = il filosofo-profeta; le risa ironiche degli uomini del mercato = l‘ateismo ottimistico e superficiale dei filosofi dell‘Ottocento ecc. La tesi della morte di Dio non viene argomentata secondo le modalità della metafisica tradizionale, ma semplicemente affermata ―per istinto‖. L‘ateismo di Nietzsche vuol essere così radicale, che egli non contesta soltanto Dio, ma anche ogni suo ipotetico surrogato, ben conscio che gli uomini, abbattute le antiche 339 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ divinità, tendono inevitabilmente a crearne altre. E nelle pagine finali di Cosi parlò Zarathustra, Nietzsche racconta di uomini che si mettono ad adorare un asino, con grande ira del filosofo-profeta, il quale constata come il passaggio dall‘uomo all‘oltreuomo sia lento e difficile. L‘asino è simbolo di ogni sostituto idolatrico di Dio e allude alle varie forme dell‘ateismo positivo dell‘Ottocento, nelle quali il vecchio Dio per opera di una serie di pallidi ateisti, anticristi si trova sostituito da altrettanti supplenti (lo Stato, l‘Umanità, la scienza), che vengono a riempire il vuoto lasciato dalle precedenti strutture metafisiche; ―Dopo che Buddha fu morto, si continuò per secoli ad additare la sua ombra in una caverna — un‘immensa orribile ombra. Dio è morto; ma stando alla natura degli uomini, ci saranno forse ancora per millenni caverne nelle quali si additerà la sua ombra. E noi dobbiamo vincere anche la sua ombra!‖ (La gaia scienza). Così parlò Zarathustra (1883-1885) apre la terza la decisiva fase del filosofare nietzscheano. è una sorta di poema in prosa. Il tono profetico che lo caratterizza e il profluvio di immagini e di parabole in cui si articola lo rendono, di difficile lettura e interpretazione. Una fase che comincia là ove si era conclusa la filosofia del mattino, ossia con la consapevolezza che con l‘eliminazione del ―mondo vero è tolto di mezzo anche il mondo ―apparente‖, cioè ogni scissione dualistica della realtà. Dopo la ―morte di Dio‖ si aprono due possibilità; l‘ultimo uomo e il superuomo; ―‗L‘opposto del superuomo è l‘ultimo uomo; li ho creati insieme‖. Zarathustra insegna il superuomo mostrando l‘abiezione dell‘ultimo uomo. Zarathustra non 340 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ è il superuomo, ma soltanto il suo profeta: io sono un messaggero del fulmine e il fulmine si chiama superuomo. Perché Nietzsche ha eletto la figura arcaica di Zarathustra a portavoce delle proprie idee? Essendo stato il primo ad aver tradotto la morale in termini metafisici, sarebbe stato anche il primo ad essersi accorto dell‘errore della morale: "Zarathustra ha creato questo errore fatale, la morale: di conseguenza egli deve essere anche il primo a riconoscere quell‘errore". A trent‘anni (l‘età in cui Gesù di Nazareth comincia il suo insegnamento) Zarathustra ―si ritira ancora per dieci anni in montagna. nella solitudine, e giunto così vicino all‘essenza di tutte le cose, comincia il suo ―tramonto‖, la sua discesa tra gli uomini, per portar loro l‘insegnamento, che prima annuncia sul mercato e poi ai singoli. Ma ancora gli orecchi non sono svegli e aperti al suo messaggio: egli ritorna e tiene ai suoi seguaci la seconda serie di parabole. ma esita ad annunciare il suo il pensiero più profondo, il pensiero dell‘Eterno Ritorno dell‘Uguale. La quarta parte mostra il tentativo di vita degli uomini superiori, proprio di quelli che rappresentano il ―resto di Dio‖, degli idealisti, ai quali il cielo ideale è sprofondato e ora provano il grande terribile vuoto. Ma il pensatore supera anche questi uomini superiori. Dal punto di vista concettuale, i temi di base dello Zarathustra sono sostanzialmente tre: il superuomo, la volontà di potenza e l‘eterno ritorno. Il superuomo (Uebermensch) La morte di Dio coincide con l‘atto di nascita del superuomo. Solo chi ha il coraggio di guardare in faccia la realtà e di prendere atto del crollo degli assoluti è ormai 341 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ maturo, secondo Nietzsche, per varcare l‘abisso che divide l‘uomo dall‘oltre-uomo. Il superuomo ha dietro di sé, come condizione necessaria del suo essere, la morte di Dio e la vertigine da essa provocata, ma ha davanti a sé, a titolo di conquista, il ‗mare aperto‘ delle possibilità connesse a una libera progettazione della propria esistenza al di là di ogni struttura metafisica data; ‗Noi filosofi e ―spiriti liberi‖ alla notizia che il vecchio Dio è morto, ci sentiamo come illuminati dai raggi di una nuova aurora; il nostro cuore ne straripa di riconoscenza, di meraviglia, di presentimento, d‘attesa, — finalmente l‘orizzonte torna ad apparirci libero, anche ammettendo che non è sereno, — finalmente possiamo di nuovo scioglier le vele alle nostre navi, muovere incontro a ogni pericolo; ogni rischio dell‘uomo della conoscenza è di nuovo permesso; il mare, il nostro mare, ci sta ancora aperto dinanzi, forse non vi è ancora mai stato un mare così ―aperto‖. In linea generale, possiamo dire che il superuomo è un concetto filosofico di cui si serve Nietzsche per esprimere il progetto di un tipo di uomo qualificato da una serie di caratteristiche che coincidono con i temi di fondo del suo pensiero. Il superuomo è colui che è in grado di accettare la dimensione tragica e dionisiaca dell‘esistenza; di ―reggere‖ la morte di Dio e la perdita delle certezze assolute; di far propria la prospettiva dell‘eterno ritorno; di emanciparsi dalla morale e dal cristianesimo ; di porsi come volontà di potenza; di procedere oltre il nichilismo ; di affermarsi come attività interpretante e prospettica ecc. In quanto tale, il superuomo non può che stare nel futuro. Il superuomo nietzscheano, che non va confuso con un esteta di tipo dannunziano o con un‘entità biologica di tipo 342 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ darwiniano, ma un uomo diverso da quello che conosciamo. Nietzsche presenta il superuomo come il senso della terra: ―Vi scongiuro, fratelli, rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze‖. L‘uomo è terra ed è nato per vivere sulla terra. L‘anima, che dovrebbe essere il soggetto di un‘ipotetica esistenza ultraterrena, è insussistente: l‘uomo è sostanzialmente corpo. ―Anima non è altro che una parola per indicare qualcosa del corpo‖. L‘eterno ritorno La formulazione più completa della teoria dell‘eterno ritorno la troviamo in Così parlò Zarathustra. nel discorso su La visione e l’enigma, in cui Nietzsche parla della ―visione del più solitario tra gli uomini‖. Zarathustra narra di una salita su di un impervio sentiero di montagna (= simbolo del faticoso innalzarsi del pensiero), durante la quale egli, con il nano che lo segue, si trova di fronte a una porta carraia, su cui è scritta la parola ―attimo‖ (il presente) e dinanzi alla quale si uniscono due sentieri che ―nessuno ha mai percorso sino alla fine‖, in quanto si perdono nell‘eternità: il primo porta all‘indietro (= il passato) e l‘altro porta in avanti ( il futuro). Zarathustra chiede al nano se le due vie sono destinate a contraddirsi in eterno oppure no. Alla risposta un po‘ affrettata del nano, che allude alla circolarità del tempo (―Tutte le cose diritte mentono, borbottò sprezzante il nano. Ogni verità è ricurva, il tempo stesso è un circolo‖), Zarathustra espone un abbozzo di teoria dell‘eterno ritorno: ‗non dobbiamo tutti esserci stati un‘altra volta?‖, ―non dobbiamo ritornare in eterno?‘. A questo punto abbiamo una trasformazione di 343 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ scena, una sorta di visione nella visione, entro la quale. sullo sfondo di un desolato paesaggio lunare Zarathustra vede: un giovane pastore rotolarsi, soffocato, convulso, stravolto in viso, cui un greve serpente nero penzolava dalla bocca. Avevo mai visto tanto schifo e livido raccapriccio dipinto su di un volto? Forse, mentre dormiva, il serpente gli era strisciato dentro le fauci e — lì si era abbarbicato mordendo. La mia mano tirò con forza il serpente. tirava e tirava — invano! non riusciva a strappare il serpente dalle fauci. Allora un grido mi sfuggì dalla bocca: ―Mordi! Mordi! Staccagli il capo‘...‖. Il pastore, poi, morse così come gli consigliava il mio grido; e morse bene! Lontano da sé sputò la testa del serpente —: e balzò in piedi. Non più pastore, non più uomo — un trasformato, un circonfuso di luce, che rideva. Mai prima al mondo aveva riso un uomo, come lui rise!‖. Tuttavia, la scena centrale del pastore che trasformandosi in creatura luminosa e ―ridente‖, al fatto che l‘uomo può trasformarsi in creatura superiore e ridente (= il superuomo), solo se supera la ripugnanza soffocante del pensiero dell‘eterno ritorno ( il serpente, circolo). mediante una decisione coraggiosa nei suoi confronti (= il morso del serpente). La teoria de «l'eterno ritorno dell'uguale», significa che per l'essere non si può più ritenere che il tempo abbia una direzione lineare, che comporti una struttura articolata in passato, presente e futuro come momenti irripetibili, secondo la visione «storica» che si è imposta nella tradizione giudaico-cristiana. Dopo più di duemila anni. Nietzsche torna dunque a recuperare una visione precristiana del mondo presente nella Grecia presocratica e nelle civiltà indiane, la quale presuppone una visione 344 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ ciclica del tempo in opposizione a quella rettilinea di tipo cristiano-moderno: Tutto va, tutto torna eternamente ruota la ruota dell‘essere. Tutto muore, tutto torna a fiorire, eternamente corre l‘anno dell‘essere. Tutto crolla, tutto viene di nuovo connesso; eternamente l‘essere si costruisce la medesima abitazione. Tutto si diparte, tutto torna fedele a se stesso rimane l‘anello dell‘essere. Questa dottrina, che a tutta prima sembrerebbe la semplice ripresa di un antico mito, costituisce in realtà il punto più controverso dell‘intera filosofia nietzscheana. Mettersi nell‘ottica dell‘eterno ritorno vuol dire rifiutare una concezione lineare del tempo. Disporsi a vivere la vita, e ogni attimo di essa. Il tipo di uomo capace di decidere l‘eterno ritorno, e quindi di vivere come se tutto dovesse ritornare è un oltreuomo in grado di vivere la vita come un gioco creativo. L‘ultimo Nietzsche Nell‘ultima fase, Nietzsche si propone di distruggere definitivamente le credenze dominanti, per far posto all‘avvento di un nuovo pensiero, finalizzato alla creazione dell‘oltreuomo. Il tema dell‘accettazione della vita, centrale in tutto il percorso intellettuale di Nietzsche, si traduce in una forte polemica contro la morale e il cristianesimo, considerati come le tipiche forme di coscienza e di azione attraverso cui l‘uomo è giunto a porsi contro la vita stessa. Secondo Nietzsche la morale è sempre stata considerata come un fatto. Di conseguenza, il primo passo da compiere nei confronti della morale è di mettere in discussione la morale stessa: abbiamo bisogno di una critica dei valori morali, di cominciare a porre una 345 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ buona volta in questione il valore stesso di questi valori, Proprio in vista di ciò, Nietzsche intraprende un‘analisi genealogica della morale, al fine di scoprirne la genesi psicologica. Nell‘ambito di questo viaggio alle sorgenti dei comportamenti etici, il filosofo è guidato da una convinzione che esprime con una frase famosa: dove voi vedete cose ideali. io vedo cose umane, ahi troppo umane. Egli ritiene infatti che i pretesi valori trascendenti della morale e la morale stessa siano solo una proiezione di determinate tendenze umane, che il filosofo, in virtù della psicologia, signora delle scienze, ha il compito di svelare nei loro meccanismi segreti. Innanzitutto la cosiddetta ―voce della coscienza‖, da cui procederebbe la morale. secondo Nietzsche, è nient‘altro che la presenza, in noi, delle autorità sociali da cui siamo stati educati. Per cui, anziché essere ―la voce di Dio nel petto dell‘uomo‖, la coscienza risulta piuttosto ―la voce di alcuni uomini nell‘uomo‖, In altre parole, la moralità è ―l‘istinto del gregge nel singolo‖, ovvero il suo assoggettamento a determinate direttive fissate dalla società. In un primo momento, soprattutto nel mondo classico, la morale espressione di un‘aristocrazia cavalleresca, risulta improntata ai valori vitali della salute, della fierezza, della gioia (= la morale dei signori), in un secondo momento (ebraismo e cristianesimo), la morale appare improntata ai valori del disinteresse del sacrificio di sé ecc. (= la morale de schiavi) La civiltà occidentale abbia imboccato la strada della malattia e della decadenza, perché la morale dei signori originariamente comprendeva in sé non solo l‘etica dei guerrieri, ma anche quella dei sacerdoti. Il guerriero (virtù del corpo), il sacerdote invece tende a 346 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ perseguire le virtù dello spirito. Per sentimento di inferiorità, il sacerdote non può fare a meno di provare un certo risentimento verso i guerrieri, ovvero una segreta invidia e un desiderio di rivalsa nei loro confronti. Non potendo dominare la casta dei guerrieri sul loro stesso terreno, la casta sacerdotale cerca quindi di affermare se medesima elaborando una tavola di valori antitetica a quella dei cavalieri. In tal modo, al corpo viene anteposto lo ―spirito‖, all‘‖orgoglio‖. l‘umiltà‖, alla sessualità.‖ la castità‖― e così via. Questo rovesciamento di valori è rappresentato soprattutto dagli ebrei, nei quali Nietzsche vede il ―popolo sacerdotale‖ per eccellenza, che ha capovolto i valori del mondo antico e poi dal cristianesimo storico dell‘Occidente, nel quale Nietzsche vede il simbolo della vita che si mette contro la vita. Ma proprio perché ha inibito gli impulsi primari dell‘esistenza il cristianesimo ha prodotto un tipo d‘uomo preso da continui sensi di colpa. L‘uomo cristiano, nel suo risentimento, nasconde un‘aggressività rabbiosa contro la vita e uno spirito di vendetta contro il prossimo. Questo spiega perché dalla religione dell‘amore sia potuta scaturire una casta sacerdotale, spesso crudele, che lungo i secoli non ha esitato a bagnarsi del sangue altrui. Da ciò la sua proposta di una radicale trasvalutazione dei valori: ―la mia verità è tremenda: perché fino a oggi si chiamava verità la menzogna. Trasvalutazione di tutti i valori: questa è la mia formula per l‘atto con cui l‘umanità prende la decisione suprema su se stessa, un atto che in me è diventato carne e genio‖. In rapporto a questa trasvalutazione. Nietzsche si sente investito di una missione epocale. finalizzata a porre le basi di un nuovo tipo di civiltà. Da ciò la figura del 347 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ filosofo come legislatore e costruttore di storia. Gli operai della filosofia, come Kant e Hegel, non sono i veri filosofi. I veri filosofi sono dominatori e legislatori. Essi dicono ―così deve essere! e stabiliscono la meta dell‘uomo, utilizzando i lavori preparatori di tutti gli operai scientifici della filosofia e di tutti i dominatori del passato: Il loro conoscere è creare, il loro creare è una legislazione‖. Volontà di potenza Nietzsche identifica la volontà di potenza con ―l‘intima essenza dell‘essere‖:‗volete un nome per questo mondo? Una soluzione per i suoi enigmi? Una luce anche per voi ? Questo mondo è la volontà di potenza — e nient‘altro! E anche voi stessi siete questa volontà di potenza — e nient‘altro!‖- La volontà di potenza si identifica con la vita stessa, intesa come forza espansiva e autosuperantesi: ―Ogni volta che ho trovato un essere vivente, ho anche trovato la volontà di potenza. La molla fondamentale della vita non sono gli impulsi autoconservativi o la ricerca del piacere, ma la spinta all‘autoaffermazione‖. L‘espressione più alta della volontà di potenza si trova nel superuomo, perché la sua essenza consiste nel continuo superamento di sé. Ma se l‘essenza della vita è il potenziamento della vita e se tale potenziamento si identifica con la creazione che la vita fa di se stessa, ne segue che l‘arte, intesa nel senso ampio di forza creatrice, non è soltanto una forma della vita, ma la sua forma suprema. Zarathustra afferma il carattere creativo della volontà rispetto al tempo, grazie alla quale il macigno del ―così fu‖ si scioglie nel ―così volli‖ che fosse pronunciato dal superuomo: ‗Ogni ―così fu‖ è un frammento, un enigma, una casualità orrida fin 348 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ che la volontà che crea non dica anche: ―ma così volli che fosse!‖. Questa redenzione del tempo fa tutt‘uno con l‘accettazione della sua essenza eternamente ritornante (amor fati! formula di matrice stoica che in Nietzsche non ha un significato passivo, bensì attivo, in quanto il superuomo non subisce, ma istituisce l‘eterno ritorno). La volontà di potenza di cui parla Nietzsche non ha solo queste valenze teoriche — che sono certamente le più decisive sul piano filosofico. Essa ne contiene anche altre, ben più ―crude‖ (e storicamente funeste). Sono le valenze connesse al concetto della volontà di potenza come sopraffazione e dominio. Valenze che si trovano non solo nei frammenti postumi, ma anche nelle opere edite da Nietzsche. Il nichilismo Il problema del nichilismo costituisce uno dei motivi più attuali della riflessione di Nietzsche. In una prima accezione, Nietzsche intende per nichilismo ―la volontà del nulla‖, ovvero ogni atteggiamento di fuga e di disgusto nei confronti del mondo concreto. Atteggiamento che vede incarnato soprattutto nel platonismo e nel cristianesimo. In una seconda accezione, connessa alla precedente ma più caratterizzante. Nietzsche adopera il termine nichilismo la specifica situazione dell‘uomo moderno e contemporaneo, che, non credendo più nei ―valori supremi‖ (Dio. la verità, il bene ecc.) e in un senso o in uno ―scopo metafisico‖ delle cose, finisce per avvertire, di fronte all‘essere, lo sgomento del ‗vuoto‖ e del ‗nulla‘. Nietzsche allora presenta se stesso come ―il primo perfetto nichilista d‘Europa, che però ha già vissuto in sé fino in fondo il 349 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ nichilismo stesso — che lo ha dietro di sé, sotto di sé, fuori di sé‘- L‘equivoco del nichilismo moderno, come mostra il suo meccanismo -genealogico-. risiede dunque nel fatto che esso identifica la mancanza di fini e strutture metafisiche ‗razionali‖ e ―provvidenziali‘ con la mancanza di senso tout-court. In altre parole, l‘equivoco del nichilismo consiste nel dire che il mondo, non avendo quella serie di significati ―forti‖ che i metafisici gli attribuivano (unità. verità assoluta ecc.), non ha nessun senso: ‗Risultato: il credere nelle categorie di ragione è la causa del nichilismo — abbiamo misurato il valore del mondo in base a categorie che si riferiscono a un mondo puramente fittizio. Questo mostra come Nietzsche, pur essendo anch‘egli nichilista radicale lo sia in modo tale da superare il nichilismo stesso. Infatti, poiché patologica è la conclusione che non c‗è nessun senso, il nichilismo appare a Nietzsche soltanto uno stadio intermedio, ovvero un No alla vita che prepara il grande Sì ad essa, attraverso l‘esercizio della volontà di potenza. Nel nichilismo incompleto rimane ancora operante una fede; per rovesciare il mondo dei valori si deve ancora credere in qualcosa, in un ideale, si ha ancora un ―bisogno di verità‖. Come forme di nichilismo incompleto Nietzsche nomina: a) in ambito politico il nazionalismo, il socialismo e l‘anarchismo; b) in ambito scientifico lo storicismo e il positivismo; c) in ambito artistico il naturalismo e l‘estetismo francese‖.Il nichilismo completo è il nichilismo vero e proprio. Tale nichilismo può essere segno di debolezza o di forza. Nel primo caso, cioè come sinonimo di declino e regresso della potenza dello spirito, si ha il nichilismo passivo, che si limita a prendere atto del 350 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ declino dei valori e a crogiolarsi nel nulla o in una serie di narcotici posticci. Nel secondo caso, cioè come sinonimo della cresciuta potenza dello spirito, si ha il nichilismo attivo, che si esercita come ―forza violenta di distruzione‘. Nietzsche chiama estrema la forma di nichilismo attivo che distrugge ogni residua credenza in qualche verità in sé di tipo metafisico: ―Che non ci sia una verità; che non ci sia una costituzione assoluta delle cose, una ―cosa in sé‖, ciò stesso è un nichilismo, è anzi il nichilismo estremo‖ 351 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ CAPITOLO 19 Sigmund Freud Sigmund Freud nasce nel 1856 a Freiberg, in Moravia, da genitori ebrei. Fondatore della Psicoanalisi, una scienza che ha rivoluzionato i metodi di cura delle malattie mentali e ha disegnato una nuova immagine dell‘uomo, della sessualità e della civiltà. Opere principali Studi sull‘isteria (1892-95), con Breuer; L‘interpretazione dei sogni (1899) (è la prima opera in cui viene compiutamente formulata la teoria psicoanalitica), Psicopatologia della vita quotidiana (1901); Totem e tabù (1913); Introduzione alla psicoanalisi (1915-17); Al di là del principio di piacere (1920); L‘io e l‘es (1922); L‘avvenire di un‘illusione(1927); Il disagio della civiltà (1929). La medicina ufficiale ottocentesca si muoveva in un orizzonte teorico di tipo materialistico. Essa tendeva infatti a interpretare tutti i disturbi della personalità in chiave somatica. L‘isteria aveva attirato l‘attenzione di un gruppo di medici. Charcot era giunto a usare l‘ipnosi come metodo terapeutico, Breuer utilizzava l‘ipnosi non come strumento di inibizione dei sintomi, ma come mezzo per richiamare alla memoria avvenimenti penosi dimenticati. Nel caso di Anna O., un‘isterica gravemente ammalata, curata da Breuer, fra gli altri sintomi (paralisi motorie, turbe della vista e dell‘udito, tosse nervosa, anoressia, afasia ecc.) vi era pure una caratteristica idrofobia acuta 352 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ (paura di bere). Mediante l‘ipnosi, Breuer aveva scoperto che la paziente, avendo scorto da bambina il cane della governante bere in un bicchiere, aveva provato un forte senso di repulsione. Pur avendo rimosso quell‘episodio, la paziente manifestava sintomi idrofobici, che erano spariti soltanto quando Breuer, in virtù dell‘ipnosi, li aveva portati alla coscienza. Breuer e Freud mettono a punto il cosiddetto metodo catartico, consistente appunto nel tentativo di provocare una ―scarica emotiva‖ capace di ―liberare‖ il malato dai suoi disturbi. Freud arriva alla scoperta che la causa delle psiconevrosi è da ricercarsi in un conflitto tra forze psichiche inconsce, ossia operanti al di là della sfera di consapevolezza del soggetto, i cui sintomi risultano quindi psicogeni (non organici). La scoperta dell‘inconscio segna l‘atto di nascita della psicoanalisi. che si configura infatti come psicologia del profondo. Inconscio e vie d‘accesso Prima di Freud si riteneva comunemente che la ―psiche‖ si identificasse con la coscienza. Il medico viennese afferma invece che la maggior parte della vita mentale si svolge fuori della coscienza e che l‘inconscio costituisce la realtà abissale primaria di cui il conscio (come la punta di un iceberg) è solo la manifestazione visibile. L‘inconscio viene eletto a punto di vista privilegiato da cui osservare l‘uomo. Freud divide l‘inconscio in due zone. La prima comprende l‘insieme dei ricordi che pur essendo momentaneamente inconsci, possono, in virtù di uno sforzo dell‘attenzione, divenire consci. Tale è il ―preconscio‖. La seconda zona comprende quegli elementi 353 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ psichici stabilmente inconsci che sono mantenuti tali da una forza specifica — la ―rimozione‖ — che può venir superata solo in virtù di tecniche apposite. Freud pensò di usare l‘ipnosi per superare le ―resistenze‖ che ne sbarrano l‘accesso alla coscienza . Ma la scarsa efficacia di quest‘ultima lo indusse presto ad elaborare un nuovo metodo: quello delle associazioni libere. Mettere il paziente in grado di abbandonarsi al corso dei propri pensieri, produce delle catene associative con il materiale rimosso che si vuole portare alla luce. Questo metodo, pur avendo la capacità di aggirare più facilmente le censure presenta tuttavia, nella concretezza dell‘analisi, notevoli difficoltà. Scoperto quel nuovo continente scientifico che è l‘inconscio, Freud si propose di decodificarne i messaggi tramite lo studio di quelle sue manifestazioni privilegiate che sono i sogni, gli atti mancati e i sintomi nevrotici. La teoria della psiche Rifiutando la concezione intellettualistica dell‘Io come semplice Io cosciente, Freud afferma che la psiche è un‘unità complessa costituita da diversi metaforici luoghi (topoi) psichici. La prima topica psicologica viene elaborata da Freud nell‘interpretazione dei sogni e distingue tre sistemi: il conscio, il preconscio e l‘inconscio. La seconda topica viene elaborata da Freud a partire dal 1920 e distingue tre istanze: l‘Es, l‘Io e il Super-io. L‘Es (termine tedesco che indica il pronome neutro della terza persona singolare) è il polo pulsionale della personalità, la matrice originaria della nostra psiche. L‘Es non conosce né il bene, né il male, né la moralità ma obbedisce unicamente al principio del piacere. Esso esiste 354 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ inoltre al di là delle forze spazio-temporali codificate da Kant (in quanto le pulsioni rimosse vivono in una sfera senza luogo e senza tempo) e ignora le leggi della logica. Il Super-io è ciò che comunemente si chiama coscienza morale, ovvero l‘insieme delle proibizioni che sono state imposte all‘uomo nei primi anni di vita e che poi lo accompagnano sempre, anche in forma inconsapevole: Il Super-io è il successore e rappresentante dei genitori. L‘Io è la parte organizzata della personalità, è l‘istanza che si trova a dover equilibrare. Nell‘individuo normale l‘Io riesce abbastanza bene a padroneggiare la situazione. E fornisce, agendo sulla realtà, parziali soddisfazioni all‘Es, senza violare in forma clamorosa gli imperativi e le proibizioni che provengono dal Super-io. Ma se da un lato le esigenze dell‘Es sono eccessive, o se il Super-io è troppo debole, o invece troppo rigoroso, allora queste soluzioni pacifiche non sono più possibili. I sogni, gli atti mancati e i sintomi nevrotici. Nell‘Interpretazione dei sogni Freud vede nei fenomeni onirici la via regia che porta alla conoscenza dell‘inconscio nella vita psichica. Egli ritiene infatti che i sogni siano ―l‘appagamento (camuffato) di un desiderio (rimosso)‖. Per motivare questa tesi Freud distingue, all‘interno dei sogni, un contenuto manifesto (la scena onirica) e un contenuto latente (l‘insieme delle tendenze che danno luogo alla scena onirica). Il contenuto manifesto dei sogni è nient‘altro che la forma elaborata e travestita — sotto effetto della censura — in cui si presentano i desideri latenti. Ma se ogni sogno è la realizzazione di un desiderio, l‘interpretazione 355 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ psicoanalitica dei sogni consiste nel ripercorrere a ritroso il processo di traslazione del contenuto latente in quello manifesto. Nella Psicopatologia della vita quotidiana Freud prende in esame quei contrattempi della vita di tutti i giorni (lapsus. errori, dimenticanze, incidenti banali ecc.) che prima di lui si era soliti attribuire al caso. Applicando il principio del determinismo psichico — secondo cui, nella nostra mente, nulla avviene per caso, ma ogni evento è il prodotto necessario di determinate cause — Freud scopre invece come anche tali fenomeni abbiano un ben preciso significato. Questo schema risulta facilmente applicabile ai casi di lapsus linguae, tuttavia, secondo la psicoanalisi, esso vale per qualsiasi incidente (ad es. noi tendiamo a dimenticare determinati nomi, o a smarrire determinati oggetti, per il fatto che a essi sono associati sentimenti spiacevoli). Per i sintomi nevrotici, Freud fa un discorso analogo, sostenendo che il sintomo, come il sogno manifesto, rappresenta il punto di incontro fra una o più tendenze rimosse e quelle forze della personalità che si oppongono all‘ingresso ditali credenze nel sistema conscio. E poiché Freud scoprì ben presto che gli impulsi rimossi che stanno alla base dei sintomi psiconevrotici sono sempre di natura sessuale, egli fu portato a porre la sessualità al centro della propria attenzione. La teoria della sessualità Prima di Freud la sessualità era sostanzialmente identificata con la genitalità, ossia con il congiungimento con un individuo di sesso opposto, ai fini della procreazione. Di conseguenza, secondo questo schema la sessualità dovrebbe mancare nell‘infanzia, subentrare 356 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ intorno all‘epoca della pubertà.. Ora, se tutto ciò fosse vero, resterebbero inspiegate tutte le tendenze psicosessuali differenti dal coito. Ad es. resterebbero inspiegate la sessualità infantile la sublimazione (cioè il trasferimento di una carica originariamente sessuale sopra oggetti non-sessuali, come il lavoro, l‘arte, la scienza ecc.) e le perversioni. Di conseguenza, Freud fu condotto ad ampliare il concetto di sessualità, sino a vedervi un‘energia suscettibile di dirigersi verso le mete più diverse e in grado di investire gli oggetti più disparati. Energia che Freud denominò libido e che pensò alla stregua di un flusso migratorio localizzato di volta in volta, in corrispondenza dello sviluppo fisico, su alcune parti del corpo, dette zone erogene (generatrici di piacere erotico). Parallelamente a questa rifondazione del concetto di sessualità, Freud elaborò un‘originale dottrina della sessualità infantile. Respingendo la mistificante immagine del bambino come sorta di angioletto asessuato Freud giunse a definire il piccolo uomo come un essere perverso polimorfo, ossia come un individuo capace di perseguire il piacere indipendentemente da scopi riproduttivi e mediante i più svariati organi corporei. In particolare. Freud sostiene che lo sviluppo psicosessuale del soggetto avviene attraverso tre fasi, ognuna delle quali appare caratterizzata da una specifica zona erogena: fase orale, anale e genitale. 1) La fase orale, che caratterizza i primi mesi di vita e che dura sino a un anno e mezzo circa, ha come zona erogena la bocca e risulta connessa a quella che, in questo periodo, costituisce la principale attività del bambino: il poppare.2) La fase anale, che va da un anno e mezzo circa a tre anni, ha come zona erogena l‘ano ed è 357 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ collegata alle funzioni escrementizie, che per il bambino sono oggetto di particolare interesse e piacere.3) La fase fallica, che inizia alla fine del terzo anno, ha come fattore erogeno la zona genitale. La fase genitale in senso stretto, che segue a quella fallica dopo un periodo di latenza (che va dal declino della sessualità infantile — quarto o sesto anno — sino all‘inizio della pubertà) è caratterizzata dall‘organizzazione delle pulsioni sessuali sotto il primato delle zone genitali. La teoria del complesso di Edipo. In generale, il complesso edipico — che prende il nome dalla mitica vicenda del personaggio greco, destinato dal Fato a uccidere il padre e a sposare la madre — consiste in un attaccamento ―libidico‖ verso il genitore di sesso opposto e in un atteggiamento ambivalente (con componenti positive affettuosità e tendenza alla identificazione, e componenti negative di ostilità verso il genitore di egual sesso Tale complesso si sviluppa fra i tre cinque anni, ossia durante la fase fallica, e, a seconda della sua risoluzione o meno. determina la futura strutturazione della personalità. Religione e Civiltà Nell‘ultimo periodo della sua vita Freud si è espresso in modo originale sui temi della religione e della civiltà (Totem e tabù, L‘avvenire di un ‗illusione, Il disagio della civiltà, Mosè e il monoteismo). Per quanto riguarda le ―rappresentazioni religiose‖, Freud ritiene che esse siano ―illusioni, appagamenti dei desideri più antichi, più forti, più pressanti dell‘umanità‖. A sua volta, l‘amato e temuto Padre celeste (Dio) non sarebbe altro che la proiezione psichica dei rapporti ambivalenti con il padre terreno. Per 358 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ la civiltà, Freud afferma che essa implica un costo in termini libidici, essendo costretta a ―deviare‖ la ricerca del piacere in prestazioni sociali e lavorative. Inoltre la civiltà, proseguendo l‘opera paterna, dà origine a un Super-io collettivo, incarnato da una serie di norme e divieti: Il Super-io della civiltà, come quello individuale, affaccia severe esigenze ideali, il mancato conformarsi alle quali viene punito con l‘angoscia morale‖ (Il disagio della civiltà). L‘antropologia dell‘ultimo Freud, che presenta punti di contatto con quella di Schopenhauer, vuol essere decisamente ―realistica‖ e ―pessimistica‖. La sofferenza è componente strutturale della vita, che ci costringe a patire nel corpo e nella psiche, a decadere e a morire. L‘uomo è una creatura tra le cui doti istintive è da annoverare un forte quoziente di aggressività. Di conseguenza, lo stato civile è un male minore rispetto a un‘umanità-senzasocietà, che potesse dar sfogo a tutti i suoi desideri. Infatti, in una situazione del genere, non solo l‘uomo non sarebbe felice, ma diventerebbe ancor più pericoloso per il prossimo. Negli ultimi scritti Freud ha diviso le pulsioni in due specie, quelle che tendono a conservare e a unire, e sono quindi erotiche o genericamente sessuali: e quelle che invece tendono a distruggere e a uccidere, e sono quindi aggressive o distruttive. Nella lotta tra Eros e Thanatos Freud ha visto l‘intera storia del genere umano. 359 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ CAPITOLO 20 E. Husserl e la Fenomenologia La Fenomenologia Filosofia dell'aritmetica (1891)L'idea della fenomenologia (1907) Ricerche logiche (1900-1901) La filosofia come scienza rigorosa (1911), Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica (1913-1928), Logica formale e trascendentale (1929), Meditazioni cartesiane (1931), La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale (1935-1937) Nell‘opera di Husserl. la filosofia come indagine fenomenologica si presenta coi seguenti caratteri: 1) È scienza teoretica (contemplativa) e rigorosa, ―fornita di fondamenti assoluti‖. 2) È scienza intuitiva perché mira a cogliere essenze che si danno alla ragione in modo analogo a quello in cui le cose si danno alla percezione sensibile. 3) È scienza non-oggettiva, perciò completamente diversa dalle altre scienze particolari che sono scienze di fatti o di realtà (fisiche o psichiche) mentre essa prescinde da ogni fatto o realtà e si rivolge alle essenze. 4) È scienza delle origini e dei primi principi perché la coscienza contiene il senso di tutti i modi possibili in cui le cose possono essere date o costituite. 360 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ 5) È scienza della soggettività perché l‘analisi della coscienza mette capo all‘io come soggetto o polo unificante di tutte le intenzionalità costitutive. 6) È scienza impersonale perché i suoi collaboratori non hanno bisogno di saggezza ma di doti teoretiche. Bolzano e Brentano La fenomenologia di Husserl nasce in polemica contro l‘impostazione empiristica o psicologistica della logica e in generale della teoria della conoscenza. Bolzano (17811848): le verità in sé sono delle proposizioni valide anche al di fuori del fatto di essere riconosciute, pensate o espresse a parole. Si noti che "oggettivo", per Bolzano, non significa "vero perché esperibile da diversi soggetti", bensì vero perché anteriore, e comunque indipendente, dall'esperibilità di qualsiasi soggetto. Bolzano, pertanto, ha avuto il merito - di contro a Kant - di riconoscere la dimensione oggettiva degli oggetti della logica e di mettere in chiaro che, indipendentemente dalle condizioni soggettive del nostro conoscere , esiste una realtà ontologica del pensiero e, quindi, la possibilità di una fondazione logico-formale della scienza stessa. L‘altro presupposto fondamentale della fenomenologia, l‘intenzionalità della coscienza, deriva da Brentano. La tesi fondamentale di Brentano è il carattere intenzionale della coscienza o dell‘esperienza in generale. Intentio è termine scolastico, e fu usato per indicare il concetto in quanto si riferisce a qualcosa di altro da sé e sta in luogo di esso. Secondo Brentano, l‘intenzionalità è il carattere specifico dei fenomeni psichici in quanto si riferiscono 361 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ tutti a un oggetto immanente. L‘oggetto dell‘atto intenzionale è immanente in quanto cade nell‘ambito dell‘atto stesso, cioè nell‘ambito della stessa esperienza psichica. Il metodo fenomenologico Nelle Lezioni sull‘Idea di fenomenologia (1907) Husserl raggiunge una caratterizzazione più precisa della natura dell‘indagine sulla essenza dei modi di conoscenza. Quest‘indagine viene distinta nettamente dalla psicologia, alla quale viene riconosciuto il carattere di scienza naturale. La psicologia considera gli eventi psichici come appartenenti a certe coscienze d‘uomini o d‘animali e perciò attribuisce agli eventi psichici il carattere di fatti naturali che avvengono nel tempo. La psicologia non può dunque cogliere l‘essenza della coscienza e dei modi in cui alla coscienza stessa sono dati i suoi oggetti reali o possibili. A differenza della psicologia, la fenomenologia pura non è una scienza di fatti ma di essenze (è una scienza eidetica) e i fenomeni di cui essa si occupa non sono reali ma irreali. Per raggiungere il piano della fenomenologia è quindi indispensabile un mutamento radicale di atteggiamento, che consiste nel sospendere l‘affermazione della realtà e nell‘assumere l‘atteggiamento dello spettatore, interessato solo a cogliere l‘essenza degli atti con cui la coscienza si rapporta alla realtà. Questo mutamento di atteggiamento è l‘epoché fenomenologica. L‘epoché degli antichi Scettici era la sospensione totale del giudizio. Il dubbio cartesiano è anch‘esso la sospensione totale di tutta la conoscenza. L‘epoché fenomenologica è soltanto la sospensione di 362 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ quell‘affermazione di realtà che è implicita in tutti gli atteggiamenti naturali e in tutte le scienze naturali. Sospendendo l‘affermazione della realtà del mondo, il mondo stesso diventa un puro fenomeno di coscienza ma non si annulla. L‘attenzione del ricercatore si sposta dal mondo ai fenomeni con cui esso si presenta nella coscienza. In questo senso la coscienza costituisce il residuo fenomenologico, vale a dire ciò che rimane dopo l‘epoché, il suo essere non viene toccato dalla messa in parentesi del mondo e diventa così il campo specifico della ricerca fenomenologica. L‘atteggiamento fenomenologico così descritto ha dunque due condizioni fondamentali: la riduzione eidetica che sostituisce alla considerazione dei fatti o delle cose naturali l‘intuizione delle essenze e l‘epoché che sospende o mette in parentesi la tesi dell‘esistenza del mondo in generale. L‘INTENZIONALITA‘ E L‘IO Poiché la coscienza è sempre coscienza di qualcosa (ogni cogito ha il suo cogitatum), l‘analisi della coscienza è analisi dei modi in cui questi oggetti si danno alla coscienza. Gli atti della coscienza costituiscono l‘intenzionalità della coscienza. Intenzione è termine scolastico col quale s‘intendeva il riferimento di una rappresentazione, di un concetto o di un atto di volontà (per il quale ultimo il termine è passato anche nell‘uso comune), all‘oggetto rappresentato o pensato o voluto. Per Husserl l‘intenzionalità costituisce la natura stessa della coscienza. La coscienza è intenzionalità nel senso che ogni sua manifestazione (pensiero, fantasia, emozione ecc), si riferisce a qualche cosa di diverso da sé, a un oggetto 363 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ pensato, fantasticato, sentito, voluto ecc. Come intenzionalità, la coscienza non è che l‘atto di trascendere se stessa e di mettersi in rapporto con un oggetto. L‘oggetto è precisamente un oggetto, cioè una realtà trascendente che si annuncia e si presenta alla coscienza attraverso i fenomeni soggettivi della percezione. Nei fenomeni soggettivi (o esperienze vissute) bisogna distinguere la direzione verso l‘oggetto (il percepire, il ricordare, l‘immaginare) che è detta da Husserl noesis, e l‘oggetto considerato dalla riflessione nei suoi vari modi di esser dato (il percepito, il ricordato, l‘immaginato) che è detto da Husserl noema. Il noema è l‘elemento oggettivo dell‘esperienza vissuta, ma non è l‘oggetto stesso, che è la cosa. L‘oggetto della percezione per es. è l‘albero, ma il noema di questa percezione è il complesso dei predicati e dei modi d‘essere nell‘esperienza soggettiva: l‘albero verde, illuminato, non illuminato, percepito, ricordato ecc. La prima conseguenza di questo punto di vista è la differenza radicale tra il modo d‘essere della coscienza e il modo d‘essere della cosa. La cosa si dà alla coscienza attraverso i fenomeni soggettivi (del percepire, ricordare ecc.); la coscienza si dà invece a se stessa direttamente, senza alcun intermediario. La percezione della coscienza è una percezione immanente, di fronte alla percezione trascendente dell‘oggetto esterno. Apparire ed essere non coincidono per l‘oggetto esterno, ma coincidono per la coscienza. Un‘esperienza vissuta non può non esistere, invece l‘esperienza di un oggetto non garantisce l'esistenza dell‘oggetto. Per oggetto non devono intendersi soltanto le cose o gli oggetti materiali. Vi sono oggetti ideali che hanno un‘esistenza diversa da quella degli oggetti 364 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ materiali ma che si comportano allo stesso modo nei confronti della coscienza. Tra gli oggetti ideali vi sono le essenze, cioè i concetti universali di tutte le cose reali, materiali o spirituali che siano. Queste essenze sono date alla coscienza, sono intuite da essa; e tale intuizione è detta da Husserl intuizione eidetica (eidos = essenza). L‘intuizione delle essenze La coscienza non è mai vuota, si dirige sempre verso qualcosa: e questo ―qualcosa‖, questo suo ―oggetto‖ percepito, ricordato, immaginato, ecc. (secondo le operazioni che essa compie) ne costituisce il significato. Un significato che — al di là dei particolari contenuti in ogni intuizione sensibile — viene a configurarsi come qualcosa di stabile, di permanente: un‘essenza‖, una ―forma‖. Sì tratta di un ‗oggetto‖ ideale, simile alla ―forma‖ descritta da Platone ma che, a differenza di questa, non e da intendere come realtà in se, trascendente, e neppure come ―cosa in sè‖ (in senso kantiano), poiché essa è pur sempre immanente alla coscienza. La coscienza svolge un‘attività di tipo intuitivo che ha come oggetto le essenze ideali: si tratta di una vera e propria intuizione delle essenze, ed è per questo che si parla d intuizione eidetica (da eidos, idea). L‘intuizione eidetica è concreta, poiché presuppone sempre l‘esperienza, ma guarda all‘universale o all‘essenza. L‘intuizione della mente, all‘interno di una realtà percepita, coglie un contenuto universale, che appartiene a tutte le realtà di quel determini nato tipo: ad esempio, di una data realtà avente un determinato colore rosso (―questo ora‖, come può essere questa porta) la ragione coglie intuitivamente la 365 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ qualità universale del rosso (il rosso, che si accompagna altre esperienze come ―la porta‖, ―la casa‖ in generale). In quanto atto empirico, la percezione di questo rosso è contingente, cioè destinata a scomparire non appena mi rivolgo ad altro (oppure chiudo gli occhi): ma essa rinvia ad un noema, ad una essenza ideale, che costituisce il significato autentico, universale. di quelle realtà particolari e, come tale, differisce da esse. L‘aspetto caratterizzante dell‘intuizione eidetica e l‘evidenza razionale con cui l‘oggetto si presenta alla coscienza. La filosofia, dunque, si costituisce come scienza rigorosa proprio perché non riguarda i fatti, ma le essenze. E proprio in relazione a tali essenze, Husserl apre una prospettiva di ricerca che verrà seguita da molti suoi allievi in direzioni diverse — orientata alle cosiddette ontologie regionali cioè ad ambiti della realtà che vengono a configurarsi come vere e proprie ―regioni dell‘essere‖. Tali sono, ad esempio, l‖animalita‖, ‗―umanità‖, la ―società‖, il ―sacro‖: si tratta di essenze generali, ciascuna delle quali comprende insiemi di essenze che le specificano e le determinano. Ogni regione dovrebbe, inoltre, essere oggetto di una scienza filosofica speciale, tale da permetterne una ricognizione approfondita ed esauriente. Così, ad esempio, Max Scheler sviluppa un‘analisi fenomenologica dei ―valori materiali‖ che sono alla base dell‘etica, mentre Edith Stein conduce un‘analisi sulla dimensione religiosa dell‘esistenza. Nelle opere posteriori a partire dalle Meditazioni cartesiane il metodo della riduzione fenomenologica è applicato da Husserl alla costituzione dell‘io e ai suoi rapporti con gli altri. La riduzione fenomenologica mette 366 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ immediatamente in luce un io trascendentale che non ha niente a che fare con l‘io empirico e naturale dell‘uomo. Difatti l‘io empirico e naturale è già parte del mondo, e di fronte a lui esiste già il mondo come esistono gli altri io. Soltanto l‘io trascendentale si può proporre il problema della costituzione dell‘io empirico, del mondo in cui esso vive e degli altri io. Considerare la struttura dell‘io trascendentale significa cercare la possibilità di tutto ciò che nell‘io trova origine, in quanto possibilità dell‘io: la natura, la cultura, il mondo in generale. Con ciò l‘io trascendentale diventa, in qualche modo, tutta la realtà, giacché in esso è racchiusa la possibilità di tutto ciò che esiste. Il pensiero di Husserl in tal modo sembra passare da una forma di realismo (dottrina dell‘intenzionalità) a un radicale idealismo per il quale nulla c‘è fuori della coscienza trascendentale. Ma su questo punto i testi del filosofo sono piuttosto oscuri e quindi oggetto di controversie critiche. Innegabile è comunque una certa tendenza idealistica impressa dall‘ultimo Husserl alla fenomenologia. La crisi delle scienze europee La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale è l‘ultima opera di Husserl. Nella Crisi Husserl denuncia la decadenza che la cultura europea ha subito per il prevalere del punto di vista oggettivistico proprio delle scienze naturali. Infatti il mondo della scienza è un mondo simbolico, costruito secondo parametri fisico-matematici. Un mondo, insomma, che cela ciò che Husserl chiama mondo della vita (Lebenswelt), ossia la dimensione del vissuto e del 367 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ concreto. Questo carattere della scienza, evidente sin dalla fondazione galileiana della fisica, si è andato sempre più realizzando nel mondo contemporaneo. In realtà, sostiene Husserl, la scienza è una realizzazione dello spirito umano, che presuppone il mondo intuitivo e pre-riflessivo della vita. Lo stesso scienziato, è. prima di tutto, uomo fra gli uomini. Di conseguenza, la crisi delle scienze europee di cui parla Husserl non consiste tanto in una crisi della loro scientificità, ossia della loro capacità di conoscere con successo il mondo, quanto nell‘aver perso i contatti con la dimensione dei bisogni, delle emozioni. degli scopi, dimenticando che l‘origine, il significato e il fine di tutte le attività umane è l‘uomo stesso: questa scienza non ha niente da dirci. La mera scienza dei fatti non ha nulla da dirci a questo proposito: essa astrae appunto da qualsiasi soggetto. Il mondo della vita, che per un pregiudizio secolare è rimasto ai margini della riflessione occidentale, rappresenta quindi il mondo al quale la scienza deve ritornare, dopo esserne necessariamente partita. Occorre un ritorno all‘uomo concreto, alle operazioni reali del soggetto vivente. Non è un rifiuto della tecnica o delle scienze particolari, ma esige che le tecniche e le scienze non perdano il fine delle loro operazioni, inventate dall‘uomo per l‘uomo. I filosofi, in questa prospettiva, diventano allora funzionari dell‘umanità. 368 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ CAPITOLO 21 L‘esistenzialismo e Heidegger L‘esistenzialismo, oltre che essere una filosofia in senso stretto, è un clima‘ culturale che ha caratterizzato il periodo compreso fra i due conflitti mondiali e che ha di trovato la sua maggiore espressione nel periodo bellico e postbellico. L‘esistenzialismo risulta definito da una accentuata sensibilità nei confronti della finitudine umana e dei dati che la caratterizzano, ossia da ciò che Jaspers chiama situazioni limite la nascita, la lotta, la sofferenza, il passare del tempo, la morte ecc. Aspetti che l‘esperienza drammatica della guerra, con tutto il suo e lascito di orrori e di distruzioni, ha contribuito a rendere ancora più evidenti. Parallelamente alla delusione storica nei confronti della guerra, sulla sensibilità esistenzialista ha influito la delusione culturale nei confronti degli ideali e delle correnti di pensiero di tipo ottocentesco. Per questi motivi, l‘esistenzialismo si è collegato, sin dall‘inizio, con certe manifestazioni letterarie in cui era più vivo il senso della problematicità della vita umana (Dostoevskij e Kafka). Dopo la seconda guerra mondiale la cosiddetta letteratura esistenzialistica, e in primo luogo l‘opera letteraria di Sartre, costituisce l‘anello di congiunzione tra la situazione di quel momento e le forme concettuali dell‘esistenzialismo, che erano state elaborate in data anteriore. Infatti questa letteratura si è fermata soprattutto a descrivere le situazioni umane che recano in sé più fortemente impressa la traccia della problematicità radicale dell‘uomo; e perciò ha sottolineato le vicende 369 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ meno rispettabili e più tristi, peccaminose o dolorose, nonché l‘incertezza delle intraprese, sia buone che cattive, e l‘ambiguità del bene stesso che talora mette capo al suo contrario. L'esistenzialismo, ricollegandosi a Kierkegaard, prende le distanze da tutte quelle filosofie ottocentesche e novecentesche che: 1) misconoscono la finitudine esistenziale, identificando l‘uomo con l‘Assoluto; 2) risolvono la singolarità dell‘individuo in un processo impersonale e totalizzante (lo Spirito, la dialettica della storia) ove il problema del singolo in quanto tale cessa di avere importanza; 3) mettono in ombra la rilevanza delle situazioni-limite dell‘esistenza (nascita, morte, solitudine...) e degli stati d‘animo che le accompagnano (angoscia, paura, speranza ecc.); 4) negano la scelta, ritenendo l‘esistenza un fatto deterministico. Le figure principali dell‘esistenzialismo, o che hanno oggettivamente contribuito al diffondersi delle problematiche esistenzialistiche, sono Heidegger, Jaspers, Sartre e Marcel. In Italia l‘esistenzialismo ha trovato i suoi esponenti di spicco in Abbagnano, Paci e Pareyson. Per molto tempo (dal 1930 al 1945 e oltre) Heidegger è stato considerato come ―la maggior figura dell‘esistenzialismo contemporaneo. In seguito, con la pubblicazione degli inediti degli anni Trenta e dei nuovi scritti che lo state studioso andava elaborando nello spirito della svolta, è apparso evidente che il problema centrale di Heidegger, coerentemente con il programma Ontologico. di Essere e tempo, non era quello dell‘esistenza‖. bensì quello dell‘essere. Tuttavia Essere e tempo è un‘analitica esistenziale, sia pure condotta in vista dell‘elaborazione 370 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ del problema dell‘essere e il protagonista di Essere e tempo non è l‘essere (che rimane sullo sfondo) bensì l‘esistenza, che campeggia in tutta la sua specificità e rilevanza; Martin HEIDEGGER (1889-1976) Le opere di Heidegger sono in corso di pubblicazione in lingua originale con un‘edizione critica completa, che al momento prevede centodue volumi. La pubblicazione di Essere e tempo è uno spartiacque importantissimo: Heidegger ne interrompe infatti la redazione e dà inizio ad una ―svolta‖ decisiva per la sua filosofia. Intanto Essere e tempo diventa un libro-chiave per lo sviluppo del movimento esistenzialista. Nel 1929 escono la prolusione Che cos‘è la metafisica. Kant e il problema della metafisica e L‘essenza del fondamento, dove Heidegger avvia a una ricerca sulla metafisica che occupa buona parte degli scritti prodotti fra gli anni Trenta e Quaranta. La revisione della storia della metafisica occidentale prosegue quindi con L’essenza della verità del 1930, l’Introduzione alla metafisica del 1935, Hoelderlin e l’essenza della poesia del 1937, La dottrina di Platone sulla verità del 1942. Anche lo scritto su Nietzsche (1961), che riunisce le ricerche e i corsi universitari che Heidegger tenne su questo autore tra il 1936 e il 1946, indica il problema dell‘essere come ―l‘unica intima cosa comune in questione nella filosofia occidentale‖ e indaga il modo in cui Nietzsche si è posto rispetto ad esso. Nel frattempo le interpretazioni esistenzialiste di Heidegger incalzano: la Lettera sull’umanismo (1947) serve al filosofo a ribadire la centralità dell‘Essere nella propria filosofia, a discapito 371 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ di qualsiasi lettura di essa in chiave esistenzialista. Gli anni Cinquanta vedono molti interventi di Heidegger sul problema della tecnica e molti contributi sull‘arte. La sempre maggiore attenzione di Heidegger verso il tema del linguaggio trova in In cammino verso il linguaggio (1959) una piena espressione. ESSERE E TEMPO E L‘ESSER-CI Essere e tempo (1927) è una ricerca sulla questione ontologica fondamentale, ovvero sul problema del senso dell‘essere in generale. Heidegger affronta qui tale problema ―interrogando‖ l‘ente che si fa la domanda sul senso dell‘essere: questi è l‘uomo, definito come esser-ci, ente che si ―apre‖ all‘essere. Poiché in ogni domanda si possono distinguere tre cose: 1° ciò che si domanda; 2° ciò a cui si domanda o che è interrogato; 3° ciò che si trova domandando, nella domanda Che cosa è l‘essere? ciò che si domanda è l‘essere stesso, ciò che si trova è il senso dell‗essere, ma ciò che si interroga non può essere che un ente giacché l‘essere è sempre proprio di un ente. Stando ciò, il primo problema dell‘ontologia è quello di determinare qual è l'ente che deve essere interrogato, cioè al quale la domanda sull‘essere è specificamente rivolta. Ora, questa stessa domanda, con tutto ciò che essa implica (intendere, comprendere ecc.), è il modo d‘essere di un ente determinato che è l‘uomo, che perciò possiede un primato ontologico sugli altri enti in quanto su lui deve cadere la scelta dell‘interrogato. Questo esistente che noi stessi sempre siamo, dice Heidegger. e che, fra l‘altro, ha quella possibilità d‘essere che consiste nel porre il problema, lo designiamo con il termine Esserci (Dasein). 372 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ In sintesi, nel problema dell‘essere abbiamo un cercato (= l‘essere), un ricercato (= il senso dell‘essere) e un interrogato (= l‘uomo o l‘Esserci). L‘analisi del modo d‘essere dell‘Esserci è dunque essenziale e preliminare per l‘ontologia, giacché solo interrogando l‘Esserci si può cercare che cos‘è l‘essere e trovarne il senso. Ma il modo d‘essere dell‘Esserci è l‘esistenza: l‘analisi di questo modo d‘essere sarà quindi un‘analitica esistenziale e tale analitica sarà l‘unica strada per giungere alla determinazione di quel senso dell‘essere che è il termine finale dell‘ontologia. In questo modo Heidegger si propone di individuare la differenza ontologica fra l‘ente e l‘essere, quindi fra quegli enti che sono ―semplici presenze‖ utilizzabili (le cose) e quegli enti, gli esseri umani, che si caratterizzano come ―apertura all‘essere‖, cioè domanda sull‘essere e su1 suo senso. Il modo d‘essere caratteristico dell‘esserci è l‘esistenza, intesa come possibilità di rapportarsi in qualche modo all‘essere. Heidegger sviluppa quindi nella prima parte del suo scritto due sezioni fondamentali, dedicate rispettivamente allo studio dell‘esserci nel suo essere e all‘indagine del senso dell‘essere. L‘analitica esistenziale e l‘essere nel mondo Questa prima parte dell‘indagine viene descritta come ―analitica esistenziale‖ in base alla distinzione fra la riflessione ―esistenziale‖, che si rivolge all‘ente ponendo la questione del suo essere, e indagine esistentiva relativa solo all‘ente. Tale contrapposizione corrisponde, nel linguaggio di Heidegger, anche a quella fra ―ontologico‖ e ―ontico‖. Esistenziali sono i ―caratteri d‘essere‖ dell‘esserci come possibilità, al contrario delle categorie, semplici 373 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ determinazioni dell‘ente. Per Heidegger proprio dell‘esistenza è l‘essere-nel-mondo, il fatto che l‘uomo è sempre situato in un orizzonte di relazioni che segna il campo delle sue possibilità. In questo orizzonte esiste anzitutto un rapporto con la totalità delle cose come ―utilizzabili‖. Ciò significa che l‘uomo conosce le cose attraverso la propria intenzionalità, come strumenti per la realizzazione del proprio progetto di vita. L‘uomo può così ―prendersi cura‖ delle cose che gli occorrono, mentre l‘essere di queste ultime corrisponde alla loro utilizzabilità per lui. Allo stesso tempo l‘uomo si rapporta anche con la totalità dei significati, rispetto alla quale può attuare un processo di comprensione. La comprensione è l‘apertura originaria alla significatività delle cose, da cui può discendere l‘‖interpretazione‖ come articolazione dei significati nella comprensione, momento in cui si mette in evidenza ―qualcosa come qualcosa‖. Visto nel suo concreto e quotidiano esistere, l‘uomo è in primo luogo un essere-nel-mondo ossia un prendersi cura delle cose che gli occorrono: mutarle, manipolarle, ripararle, costruirle ecc. Poiché per l‘Esserci trovarsi nel mondo significa prendersi cura delle cose, l‘essere di queste ultime, in relazione all‘uomo, coincide dunque con il loro poter essere utilizzate. In altre parole, l‘uomo è nel mondo in modo tale da progettare il mondo stesso secondo un piano globale di utilizzabilità, volto a subordinare le cose ai suoi bisogni e ai suoi scopi. L‘uomo, innanzitutto e per lo più, non è nel mondo secondo la modalità della conoscenza, ma secondo la modalità del commercio, ovvero della manipolazione degli enti. Analogamente, le cose non sono, innanzitutto e per lo più, oggetti di studio, ma strumenti di 374 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ azione. Tant‘è vero che la semplice-presenza è solo un modo di essere derivato rispetto alla utilizzabilità, che si manifesta quando all‘atteggiamento del commercio subentra quello della contemplazione. Tale prendersi cura ha le caratteristiche della trascendenza e del progetto. Infatti, l‘Esserci, trascendendo la realtà di fatto come sì presenta a prima vista, costituisce (= progetta) la realtà secondo una totalità di significati facenti capo a lui stesso, ossia come un insieme di strumenti utilizzabili (la casa per abitare, il sentiero per camminare, la stella per orientarsi nella navigazione e così via). Poiché per l‘Esserci trovarsi nel mondo significa prendersi cura delle cose, l‘essere di queste ultime, in relazione all‘uomo, coincide dunque con il loro poter essere utilizzate. In altre parole, l‘uomo è nel mondo in modo tale da progettare il mondo stesso secondo un piano globale di utilizzabilità, volto a subordinare le cose ai suoi bisogni e ai suoi scopi. L‘uomo, innanzitutto e per lo più, non è nel mondo secondo la modalità della conoscenza, ma secondo la modalità del commercio, ovvero della manipolazione degli enti. Analogamente, le cose non sono, innanzitutto e per lo più, oggetti di studio, ma strumenti di azione. Il rapporto con gli altri Come l‘esistenza è sempre un essere nel mondo, così è anche un essere fra gli altri. Ciò accade perché la sostanza dell‘uomo non è ‗lo spirito come sintesi di anima e corpo a partire dal quale si debba giungere all‘essere delle cose e degli altri, ma è l‘esistenza, che è fin da principio apertura verso il mondo e verso gli altri. Come il rapporto tra l‘uomo e le cose è un prendersi cura delle cose, così il rapporto tra l‘uomo e gli altri è un aver cura degli altri. L‘essere nel mondo implica 375 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ il rapporto con gli altri. Tale rapporto si esprime attraverso l‘aver cura, nella forma di semplice ―essere insieme‖ o di autentico ―consistere‖. Questa duplice possibilità affonda nel fatto che l‘uomo ―è gettato‖ nel mondo, incontra il mondo senza averlo scelto, il che può produrre l‘oblio della verità dell‘essere e la dispersione dell‘uomo nel mondo dell‘impersonalità collettiva, del ―si dice‖ e ―si fa‖ senza precise motivazioni e giustificazioni. Questa esistenza inautentica si esprime quindi nella chiacchiera, nell‘equivoco (per cui si parla senza sapere esattamente di cosa), nella curiosità come ricerca costante e superficiale della novità. Il linguaggio, che è per sua natura lo svelamento dell‘essere, ciò in cui l‘essere stesso si esprime e prende corpo, diventa nell‘esistenza anonima chiacchiera inconsistente. Si fonda esclusivamente sul si dice‖ e obbedisce all‘assioma: ―la cosa sta così perché così si dice‘. Un‘esistenza così vuota cerca naturalmente di riempirsi e perciò è protesa verso il nuovo: la curiosità è quindi l‘altro suo carattere dominante: curiosità non per l‘essere delle cose ma per la loro apparenza visibile, che perciò reca con sé l'equivoco. L‘equivoco è il terzo contrassegno dell‘esistenza anonima che, in preda alle chiacchiere e alla curiosità, finisce per non sapere neppure di che si parla. LA CURA Queste determinazioni non implicano, nel pensiero di Heidegger, una condanna dell‘esistenza anonima, giacché l‘analisi esistenziale non pronuncia giudizì di valore. Essa si limita a riconoscere che l‘esistenza anonima fa parte della struttura esistenziale dell‘uomo ed è un suo costitutivo poter essere. Alla base di questo poter essere c‘è quella che Heidegger chiama la 376 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ deiezione, cioè la caduta dell‘essere dell‘uomo al livello delle cose del mondo. La totalità di queste determinazioni dell‘essere dell‘uomo viene compresa nell‘unica determinazione della Cura. La Cura (nel senso latino del termine) è la struttura fondamentale dell‘esistenza. ―Poiché infatti fu la Cura che per prima diede forma all'uomo, la Cura lo possieda finché esso viva‖, ripete Heidegger con il poeta latino Igino, cui attribuisce un‘intuizione pre-filosofica della struttura profonda dell‘esistenza. Si è visto che essere nel mondo significa per l‘uomo ‗prendersi cura delle cose‖ e aver cura degli altri‘. L‘esistenza è in primo luogo un essere possibile, cioè un progettarsi in avanti; ma questo progettarsi in avanti non fa che cadere all‘indietro, su ciò che già l‘esistenza è di fatto. Tale è la struttura circolare e perciò conclusa e compiuta della Cura, in quanto costituisce l‘essere stesso dell‘uomo. Esistenza autentica e la morte. L‘uscita da questa circolarità della cura come modo d‘essere caratteristico dell‘esistenza inautentica si colloca nell‘attività di comprensione che l‘uomo può attuare a partire da se stesso anziché dal mondo, attività che si collega al senso generale dell‘essere e che è affrontata da Heidegger nella seconda sezione di Essere e tempo. Qui egli afferma che la comprensione autentica si fonda su un riesame della possibilità come modo d‘essere dell‘uomo. Heidegger sottolinea a questo riguardo anzitutto la natura incerta o negativa della possibilità, la consapevolezza umana della morte come possibilità più autentica che nullifica tutte le altre. La morte, chiarisce Heidegger, non 377 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ è per l‘uomo un termine finale, la conclusione, la fine della sua esistenza; non è neppure un fatto perché in quanto tale non è mai la propria morte. Essa è come fine dell‘Esserci, la possibilità dell‘Esserci più propria, incondizionata, certa e, come tale, indeterminata e insuperabile. La consapevolezza della morte, possibilità propria, certa, incondizionata, insormontabile dell‘uomo può essere fuggita nell‘esistenza inautentica, oppure accettata con la ―decisione anticipatrice‖ di chi sceglie di essere-per-la-morte, di attuare la comprensione dell‘impossibilità dell‘esistenza. Ciò si caratterizza nell‘angoscia come sentimento della possibilità, rottura coi pregiudizi e apertura al nulla. L‘esistenza quotidiana anonima è una fuga di fronte alla morte. L‘individuo la considera come un caso fra i tanti della vita di ogni giorno, nasconde il suo carattere di possibilità immanente, la sua natura incondìzìonata e insormontabìle, e cerca di dìmenticarla, di non pensarci nelle cure quotidiane del vivere. La decisione anticipatrice progetta invece l‘esistenza autentica come un essere-per-la-morte. Tale essere-per-la-morte non è affatto un tentativo di realizzarla (suicidio). Poiché la morte, esistenzialmente parlando e una possibilità essa non puo venire intesa e realizzata che come pura minaccia sospesa sull‘uomo. Non è neppure un‘attesa, perché anche l‘attesa non mira che alla realizzazione, e la realizzazione nega la possibilità come tale. Essere-per-la-morte significa procedere al di là delle illusioni del Si, cioè dell‘esistenza anonima, e, tramite un atto di libertà, accettare la possibilità più propria del nostro destino. Il tempo è dunque il senso generale dell‘essere. ―Tempo ed essere‖, avrebbe dunque dovuto costituire 378 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ l‘ulteriore sviluppo di Essere e tempo: tuttavia Heidegger rinuncia a svolgerlo. INCOMPIUTEZZA DI ESSERE E TEMPO Stabilito che il senso dell‘Esserci è la temporalità e che il tempo, essendo l‘Esserci l‘interrogato di base dell‘ontologia, rappresenta l‘orizzonte di ogni comprensione e di ogni interpretazione dell‘essere, Heidegger avrebbe dovuto passare alla sezione intitolata Tempo ed essere, relativa al ‗problema del senso dell‘essere in generale. Ma tale sezione non è mai stata scritta.In questa sezione doveva essere discusso quel ―problema del senso dell‘essere in generale‖. Perché Heidegger ha interrotto la sua costruzione? E in che senso, dopo Essere e tempo, si parla di una svolta‘ (Kehre) del suo pensiero? La svolta In Essere e tempo, dopo aver citato un passo del Sofista platonico (È chiaro infatti che voi da tempo siete familiari con ciò che intendete quando usate l‘espressione ―essente‖; anche noi credemmo un giorno di comprenderlo senz‘altro, ma ora siamo caduti nella perplessità), Heidegger commenta: ―Abbiamo noi oggi una risposta alla domanda intorno a ciò che propriamente intendiamo con la parola ―essente‖? Per nulla. È dunque necessario riproporre il problema del senso dell‘essere. Ma siamo almeno in uno stato di perplessità per il fatto di non comprendere l‘espressione ―essere‖? Per nulla. In altri termini, oltre a non possedere una risposta al problema dell‘essere noi abbiamo anche smarrito il senso e 379 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ l‘importanza di tale problema. Da ciò la necessità di una sua esplicita riproposizione. Riproposizione che, in Essere e tempo, passa attraverso un‘analisi del modo di essere di quell‘ente che pone il problema dell‘essere, cioè attraverso uno studio dell‘uomo in quanto esistenza. Essere e tempo era un‘opera incompiuta, perché priva della sezione (―Tempo ed essere‖) in cui doveva essere discusso quel problema (―il problema del senso dell‘essere in generale‘). Da ciò la ―svolta‖ (Kehre) del suo pensiero. La svolta non coincide con un (soggettivo) evento biografico, ma con un (oggettivo) rovescio della questione dell‘essere. Rovescio che non allude a un cambiamento del problema centrale di Heidegger, ma ad un diverso modo di rapportarsi ad esso. Modo che non consiste più nel risalire all‘essere muovendo dall‘esistenza, ma nel porsi direttamente nell‘ottica dell‘essere, cioè nell‘ambito di un‘ indagine sull‘essere condotta dal punto di vista dell‘essere. Il problema della metafisica Essere e tempo era arrivato alla conclusione che l‘Esserci, in quanto Cura, è temporalità. Questa concezione dell‘essere alla luce della temporalità. implicava una contrapposizione di fondo nei confronti della tradizione occidentale e della sua idea dell‘essere in termini di ―semplice-presenza‖, modellata sulle categorie di sostanza e permanenza. Da ciò la critica heideggeriana alla metafisica, che rappresenta una componente di base del pensiero del ―secondo Heidegger‖. L‘essere, pur non risoivendosi nell‘ente, tende a configurarsi come la luce o l‘orizzonte che, tramite l‘Esserci, rende visibile l‘ente. Da ciò la nozione di differenza ontologica, che Heidegger 380 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ prospetta come il messaggio ultimo di questo scritto, ovvero la tesi secondo cui l‘essere non è l‘ente e non va quindi (metafisicamente) confuso con esso. La comprensione dell‘essere nell‘esistenza in Essere e tempo porta al problema dell‘essere in sé. Nella Lettera sull’umanismo, Heidegger affermerà che la sua ―svolta‖ (Kehre) dall‘analitica esistenziale verso l‘analisi del senso dell‘essere in generale non è stata realizzata perché il linguaggio, condizionato dalla tradizione concettuale della metafisica, l‘ha resa impossibile. Il pensiero di Heidegger successivo a Essere e tempo è dunque incentrato sul problema della metafisica e della sua storia, nonché sulle modalità con cui è possibile risalire all‘essere partendo dall‘essere stesso, pensando ―l‘uomo in rapporto all‘essere anziché il suo contrario‖. In Che cos’è la metafisica? e L’essenza del fondamento la metafisica è dunque descritta come il pensiero che pone il problema dell‘essere dell‘ente, concependo l‘essere come l‘ente, in qualità di semplice-presenza. L‘essere viene infatti identificato con il carattere comune, astratto e indeterminato, di tutti gli enti, ovvero come causa e fondamento degli enti, come accade con il Dio della teologia aristotelica e cristiana. Ciò porta ad oscurare la ―differenza ontologica‖ fra l‘essere l‘ente e al vero e proprio ―oblio dell‘essere‖ della metafisica occidentale. La storia della metafisica Heidegger è convinto che la storia della metafisica richieda di partire dal problema dell‘essenza della verità. Per i Greci la verità è svelamento della natura dell‘essere nel suo originario manifestarsi. Questo manifestarsi, secondo Heidegger, è opera dell‘essere stesso che si ―svela‖, si rende visibile. Con 381 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Platone, tuttavia, il vero diventa l‘idea, etimologicamente ciò che è ―visibile‖ al nostro intelletto. In questo caso non è più l‘essere a manifestarsi, ma lo sguardo dell‘uomo a coglierlo: la verità ―cade sotto il giogo dell‘idea‖ e si trasforma in corrispondenza tra l‘idea e la cosa. L‘essere diviene dunque presenza effettiva e oggetto di valutazione dell‘uomo e ciò, afferma Heidegger. pone le premesse del dominio della tecnica. Arte, linguaggio e tecnica Prima però di giungere ad esaminare questo discorso, dobbiamo notare che Heidegger tenta nel corso degli anni Trenta di giungere ad una ridefinizione del problema dell‘essere a partire dall‘arte e dalla poesia. A partire dalla nozione di verità come ―svelamento‖ dell‘essere (realizzato dall‘essere stesso e non dall‘uomo), Heidegger vede nella poesia e nell‘opera d‘arte in genere quelle caratteristiche di ―apertura‖ che permettono lo svelamento dell‘essere. Esse creano dunque ―eventi‖ per la verità, sono ―esperienze di verità‖ o sue ―messe in opera‖. Che cos‘è un‘opera d‘arte? Dopo aver distinto fra semplice cosa, mezzo e opera e dopo aver mostrato l‘insufficienza delle definizioni tradizionali della cosa (la cosa come portatrice qualità, come ciò che è percepito dai sensi, come materia formata), Heidegger mostra )me per comprendere l‘essere-cosa della cosa e l‘essere-strumento del mezzo sia indispensabile muovere dall‘opera, intesa come opera d‘arte. Secondo Heidegger, l‘arte si configura me ‗il porsi-in opera-della verità. Poiché la verità coincide con il non-esser-nascosto dell‘ente, dire che l‘arte è la messa in opera della verità significa che il nucleo 382 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ dell‘opera d‘arte è quello di mostrare la verità dell‘ente e quindi, in prima battuta, il significato autentico delle cose e dei mezzi. Heidegger illustra queste tesi con un riferimento al celebre quadro di Van Gogh, raffigurante un paio di scarpe da contadina: ―Nell‘orificio oscuro dall‘interno logoro si palesa la fatica del cammino percorso lavorando, Nel massiccio pesantore della calzatura è concentrata la durezza del lento procedere lungo i distesi e uniformi solchi del campo, battuti dal vento ostile. Il cuoio è impregnato dell‘umidore e dal turgore del terreno. Sotto le suole trascorre la solitudine del sentiero campestre nella sera che cala. Per le scarpe passa il silenzioso richiamo della terra, il suo tacito dono di messe mature e il suo oscuro rifiuto nell‘abbandono invernale. Dalle scarpe promana il silenzioso timore per la sicurezza del pane, la tacita gioia della sopravvivenza al bisogno, il tremore dell‘annuncio della nascita, l‘angoscia della prossimità della morte. Questo mezzo appartiene alla terra, e il mondo della contadina lo custodisce‖. Nell‘arte è la verità stessa — e quindi l‘essere — che si mette in opera. E poiché l‘essere coincide con la radura al cui interno gli enti diventano visibili, ossia con l‘aprirsi delle varie aperture storiche e dei vari orizzonti di senso, dire che l‘arte è messa in opera della verità significa dire che l‘arte è l‘automanifestazione stessa dell‘essere in quanto radura dell‘ente e accadere di aperture storiche. Il linguaggio Il tema della poesia ci porta a rivolgerci più in generale al linguaggio, che Heidegger definisce ―casa dell‘essere‖. Nella raccolta di saggi In cammino verso il linguaggio, la più nota su questo argomento e dotata di grandi influssi sulla filosofia ermeneutica, Heidegger trae 383 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ le sue considerazioni soprattutto dalla riflessione sui linguaggio poetico e su alcune poesie di autori come Trakl e George. A questo riguardo egli sostiene che la nostra esperienza del linguaggio e della parola consiste nel riconoscere in essi ciò che conferisce alle cose il loro essere: ―l‘essere di tutto ciò che è abita nella parola‖, il linguaggio ―fa venire alla presenza‖ ciò che è e non si lascia fissare come cosa. In questo senso il linguaggio poetico, centrato sul ―mistero della parola‖, si contrappone al parlare ―strumentalizzato‖ e all‘‖informazione‖. A differenza di quanto ritengono le definizioni tradizionali, il linguaggio non è un semplice segno o strumento di comunicazione (concezione strumentalistica del linguaggio). Esso è piuttosto la casa dell‘essere‖, ovvero il luogo in cui si eventualizza l‘evento dell‘essere: Da ciò il ―circolo ermeneutico che è proprio del linguaggio. Anzi, il linguaggio è la forma tipica e concreta in cui esiste il circolo ermeneutico. Il linguaggio che meglio rivela l‘essenza del linguaggio e che più di ogni altro si contrappone alla concezione strumentalistica di esso è il linguaggio poetico. Solo in quest‘ultimo, e non in qualsiasi linguaggio (ad es. nel linguaggio logico-matematico), avviene l‘automanifestazione dell‘essere: ―Il destino del mondo si annuncia nella poesia‖. La parola poetica coincide quindi con l‘area del Dire primordiale e, instaurando il contesto linguistico entro cui le cose vengono all‘essere, si configura, per definizione, come creatrice di civiltà e cultura, I poeti forniscono a un popolo la sua identità. e istituiscono usanze e costumi, presentandosi come gli autentici inventori della cultura di un popolo (e del complesso dei significati civili, etici, 384 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ religiosi ecc, in cui essa si incarna). Tutto ciò fa sì che il pensiero del secondo Heidegger si concretizzi in un assiduo colloquio con gli antichi filosofi greci e con la voce dei poeti. Nei frammenti di Anassimandro e Parmenide, negli aforismi di Eraclito, nella lirica di Hoelderlin, Rilke e Trakl Heidegger cerca spunti preziosi per pensare l‘enigma dell‘essere. Hoelderlìn, in particolare, viene eletto a interprete privilegiato della modernità e dei problemi del presente. La tecnica Nella riflessione heideggeriana ha un ruolo fondamentale, a partire dagli anni Trenta, anche la tecnica. La metafisica trova il proprio compimento nella tecnica, che è la metafisica realizzata a livello planetario, A partire dagli anni Trenta, anche per influsso di Scheler e di Ernst Jùnger, Heidegger comincia a scorgere, nella tecnica, la figura epocale tipica del nostro tempo, ossia il fenomeno che qualifica, in tutti i suoi aspetti, la civiltà contemporanea. Per Heidegger l‘importanza della tecnica nella cultura occidentale scaturisce direttamente dall‘‖oblio dell‘essere‖, a partire dal quale la filosofia si è volta allo studio degli enti, che devono essere conosciuti con la scienza e dominati con la tecnica. Ne La questione della tecnica (1953) Heidegger afferma dunque che ormai è la potenza tecnica, che foggia gli strumenti scientifici, la condizione per acquisire scienza della natura: è dunque la tecnica a ―fare‖ la verità, la quale muta con il mutare degli strumenti che pro-vocano, che chiamano la realtà innanzi a noi. La tecnica era pensata dai Greci in termini di produzione, ossia come un rendere manifesto (o dis-velato) ciò che prima non era tale (ad es. chi costruisce una cosa o modella un calice manifesta, o porta alla presenza, 385 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ qualcosa che prima risultava assente). Anche la tecnica moderna, prosegue Heidegger, è un modo del disvelamento, che tuttavia non si dispiega nella forma della semplice produzione. ma in quella della provocazione, ossia del trarre fiori dalla natura energia da accumulare e da impiegare. In altri termini, a differenza della tecnica degli antichi, che si limitava a favorire l‘opera della natura e a seguirla nei suoi autonomi meccanismi, la tecnica dei moderni si configura come un‘accumulazione di energia naturale messa a disposizione dell‘uomo.Tuttavia il disvelare tecnico è sottoposto alle logiche di dominio della tecnica stessa: non vi è più verità assoluta, la verità viene, di volta in volta, decisa per scopi strumentali e provvisori. Poiché, inoltre, la tecnica è stata sviluppata per dominare il reale, essa cessa di essere ―strumento‖ e istituisce un controllo totale e planetario, una signoria sulla natura al cui interno l‘uomo è semplice ―funzionario‖, in quanto il suo modo di sentire, percepire, pensare, progettare è deciso dalla tecnica. Heidegger è stato, a giudizio di molti suoi allievi illustri, una personalità straordinaria, la cui adesione al nazismo è stata percepita da molti con forte sconcerto e con grave perplessità rispetto al significato stesso che possono assumere le figure e gli atteggiamenti dei filosofi di fronte alla storia. Lasciata da parte tale questione, si deve tuttavia riconoscere che la filosofia di Heidegger ha prodotto la nascita di importanti sviluppi speculativi in almeno tre grandi direzioni, la cui cerniera è rappresentata dal passaggio dall‘analitica esistenziale di Essere e tempo alla riflessione sulla metafisica, sui linguaggio, sull‘arte, sulla 386 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ tecnica. Abbiamo già accennato che Essere e tempo influenza vastamente il pensiero esistenzialista (e in parte anche quello fenomenologico, stante che la fenomenologia di Husserl è perlomeno l‘alveo in cui Essere e tempo viene concepito). Da ciò è nata la questione interpretativa circa l‘esistenzialismo di Heidegger. questione cui hanno dato alimento anche le esplicite prese di distanza del filosofo da queste tematiche. Senza voler approfondire, si potrebbe dire che in un certo senso Heidegger è stato un esistenzialista suo malgrado, nel senso di avere messo a punto, pur rivolgendosi verso l‘essere, una serie di concetti e riflessioni cruciali per la tradizione di riflessione esistenzialista. La sua filosofia successiva ad Essere e tempo ha poi avuto almeno due chiavi di lettura distinte: da una parte quella dell‘Ermeneutica, che ha colto nella storicizzazione dell‘essere e nella centralità del linguaggio le basi per la costruzione di una filosofia dell‘uomo attraverso il tema complessivo dell‘interpretazione, dall‘altra quella di tutti i pensatori post-strutturalisti e postmoderni che hanno fatta propria soprattutto la lettura <nichilista‖ dell‘heideggerismo, portando avanti tematiche come quella della ―morte dell‘uomo‖, della decostruzione, della ―fine dei grandi racconti‖ e, talora, spunti per la ricostruzione di nuovi valori e dimensioni di senso. 387 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ CAPITOLO 22 H.G. Gadamer Sebbene l‘umanità sia sempre stata alle prese con problemi di tipo interpretativo, ossia con la necessità di risalire da determinati segni al loro significato. rendendo chiaro ciò che a prima vista risulta oscuro (un‘iscrizione, una legge, un testo religioso o poetico ecc.), l‘ermeneutica, intesa come metodologia o teoria elaborata dell‘interpretazione, è un prodotto tipicamente moderno. A partire dal Rinascimento e dalla Riforma protestante, l‘ermeneutica, inizialmente ristretta nel campo specifico dell‘esegesi dotta (tarda antichità) o dell‘esegesi biblica (cristianesimo) si è aperta a questioni riguardanti ogni tipo di testo. Con Heidegger il comprendere si configura come una delle strutture costitutive dell‘Esserci e ad Heidegger si rifà esplicitamente Gadamer. Il nome ermeneutica (che derisa da hermenéia, un termine greco affine al latino sermo) contiene in sé una famiglia di significati, come ―esprimere‖, ―portare messaggi‖, ‗tradurre‖. Heidegger, con una connessione forzata, lo fa derivare da Hermes, il nunzio degli dèi. Gadamer dichiara che lo scopo della sua indagine non è quello di fissare una serie della di norme tecniche del processo interpretativo, ma quello di mettere in luce le condizioni del comprendere. Come Kant non aveva avuto l‘intenzione di prescrivere alla scienza le norme del suo procedimento, ma si era limitato a porre il problema filosofico delle condizioni che lo rendono possibili la conoscenza e la scienza, così Gadamer non si propone di esibire una metodologia normativa per le scienze dello spirito, ma solo di suscitare un dibattito 388 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ filosofico circa le condizioni di possibilità della comprensione. In secondo luogo, Gadamer intende mostrare come il comprendere non sia uno dei possibili atteggiamenti del soggetto, limitato soltanto ad ambiti particolari della sua :unto. esperienza, ma coincida con ―il modo d‘essere dell‘esistenza come tale‖. In terzo luogo, Gadamer si propone di illustrare come nel comprendere si realizzi un‘esperienza di verità irriducibile al ―metodo‖ della scienza, ossia a quel tipo di sapere che persegue l‘ideale di una conoscenza obiettiva e neutrale del mondo. Da ciò il rapporto di tensione‘, suggerito dal titolo del capolavoro di Gadamer, fra verità (ermeneutica) e metodo (scientifico). Ci sono esperienze extrametodiche di verità che, pur collocandosi al di fuori dell‘area conoscitiva della scienza, risultano fondamentali per l‘uomo: l‘arte, la storia ecc.: La ricerca che segue si oppone alla pretesa di universale dominio della metodologia scientifica. Il suo intento è quello di studiare, ovunque essa si dia, l‘esperienza di verità che oltrepassa l‘ambito sottoposto al controllo della metodologia scientifica, e di ricercarne la specifica legittimazione. Le scienze dello spirito vengono così ad avvicinarsi a quei tipi di esperienza che stanno al di fuori della scienza: all‘esperienza filosofica. La teoria dell‘arte Gadamer critica la tendenza moderna a scorgere, nel fatto artistico, una zona asettica dello spirito, che non avrebbe più nulla da spartire 1) con la realtà della vita; 2) con le questioni del vero e del falso. A questa teoria dell‘arte come bella apparenza, derivante dal fatto che ―il dominio del modello conoscitivo delle scienze naturali conduce a 389 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ screditare ogni possibilità di conoscenza che si collochi fuori di questo nuovo ambito metodologico, Gadamer fa corrispondere la coscienza estetica, la cui operazione tipica è di mettere in moto un processo astraente, che consiste nella separazione dell‘opera dal suo contesto vitale originario e nella fruizione del suo puro valore estetico. Un esempio concreto di tutto ciò è il museo, nel quale l‘opera d‘arte viene strappata al suo mondo originario per divenire patrimonio di un‘atemporale coscienza estetica. Parallelamente, assistiamo ad un‘opera di sradicamento sociale dell‘artista, il quale viene assimilato ad un outsider a un bohèmien, privo di radici e di ruoli definiti. Contro questo modo di rapportarsi al fenomeno estetico, Gadamer obietta che l‘arte non è una fantasticheria surreale priva di qualsiasi portata veritativa e di qualsiasi effetto concreto. L‘arte non è un evento onirico, ma un‘esperienza del mondo e nel mondo che modifica radicalmente chi la fa, ampliando la comprensione che egli ha di se stesso e della realtà che lo circonda. Un poema, un dipinto o una sinfonia sono eventi che aprono un mondo, che offrono un‘illuminazione del senso delle cose. La fruizione dell‘opera d‘arte comporta il problema più generale dell‘interpretazione, ossia della messa in luce, per il presente, del significato proprio del passato. Il circolo ermeneutico Gadamer sostiene che l‘interpretante può accedere all‘interpretato solo tramite una serie di ―precomprensioni‖ o di ―pre-giudizi‖. Lungi dall‘essere una tabula rasa, la mente dell‘interprete è abitata da un insieme 390 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ di attese o di schemi di senso, ovvero da una molteplicità di ―linee orientative provvisorie‖, che costituiscono, nel loro insieme, delle preliminari ipotesi di decodificazione dell‘interpretato stesso. Questa situazione circolare, per cui ciò che si deve comprendere è già in parte compreso, costituisce il cosiddetto a ―circolo ermeneutico‖. Heidegger ci avrebbe fatto capire come il problema non sia quello di sbarazzarsi del circolo, ma di acquistarne coscienza, mettendo ―alla prova‖ i pregiudizi che lo costituiscono e mostrandosi eventualmente disposti — di fronte all‘urto‖ con i testi — a rinnovare le proprie presupposizioni. Tanto più che i primi ―urti‖ del soggetto interpretante con l‘oggetto interpretato rivelano, di solito, l‘inadeguatezza delle pre-comprensioni iniziali, obbligando l‘interpretans a ritornare su di esse, a rivederle e a correggerle, tramite un reiterato confronto con l‘interpretandum. Quindi, il circolo ermeneutico non comporta una chiusura dell‘interpretante in se stesso, ma una sua programmatica apertura all‘alterità del testo. Chi vuoi comprendere un testo deve essere pronto a lasciarsi dire qualcosa da esso. Pregiudizi e tradizione La teoria del circolo ermeneutico si accompagna alla riabilitazione dei pregiudizi, dell‘autorità e della tradizione. Gadamer chiarisce come i pregiudizi non siano qualcosa di necessariamente falso, poiché accanto a pregiudizi falsi e illegittimi esistono pregiudizi veri e legittimi: ―Un‘analisi sulla storia dei concetti dimostra che solo nell‘illuminismo il concetto di pregiudizio acquista l‘accentuazione negativa che ora gli è abitualmente 391 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ connessa. Di per sé, pregiudizio significa solo un giudizio che viene pronunciato prima di un esame completo e definitivo di tutti gli elementi obbiettivamente rilevanti. Gadamer mette in luce come i pregiudizi facciano parte integrante della nostra realtà di esseri sociali e storici, in quanto noi ci comprendiamo secondo schemi nella famiglia, nella società e nello Stato. Gadamer ha tentato una riabilitazione filosofica dell‘idea di autorità, affermando che essa non implica obbedienza cieca e abdicazione alla ragione e alla libertà, Intesa in modo umano ossia come legame fra persone ragionevoli l‘autorità risiede piuttosto in un atto di riconoscimento e di conoscenza. Adeguatamente concepita, l‘autorità si basa quindi su di una scelta della ragione dell‘individuo, che, conscio dei suoi limiti, concede fiducia al giudizio altrui. Per quanto concerne la tradizione, Gadamer chiarisce come sia la lotta illuministica alla tradizione, sia la sua riabilitazione romantica non colgono la sua essenza storica‘. In ogni caso, l‘uomo non può collocarsi fuori della tradizione, poiché quest‘ultima fa parte della sostanza storica del suo essere. Secondo Gadamer. il lavoro ermeneutico implica una tensione fra estraneità e familiarità, Infatti, se l‘intepretandum fosse completamente estraneo, l‘impresa ermeneutica sarebbe condannata allo scacco, mentre se fosse completamente familiare, non avrebbe senso lo sforzo interpretativo. Di conseguenza. si deve ammettere che l‘interpretandum, rispetto all‘interpretans, risulta estraneo e familiare nello stesso tempo. La lontananza temporale fra interpretante e interpretato non è un abisso vuoto, ma uno spazio riempito dalla tradizione. Questa circostanza trova un‘illustrazione 392 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ nell‘importante (e complesso) concetto di storia degli effetti, che allude al fatto che l‘interprete può accingersi al compito interpretativo solo sulla base di una serie di interpretazioni già date, ovvero sulla scorta degli effetti prodotti da un determinato evento. Al principio della storia degli effetti corrisponde ―la coscienza della determinazione storica‖ ossia la consapevolezza della nostra storicità costitutiva o del nostro essere esposti agli effetti della storia. Coscienza che ci impedisce di studiare la storia da un preteso punto di vista ―neutrale‖ e quindi, di fatto, meta-storico. Appurata la storicità invalicabile del nostro essere e del nostro comprendere, l‘incontro ermeneutico non potrà più consistere, secondo Gadamer, in un ingenuo tentativo di mettere tra parentesi se stessi ed il proprio presente, ma in una fusione di orizzonti dove il proprio tempo non è annullato, ma posto al servizio della comprensione del tempo altrui. L‘attività ermeneutica assume quindi la forma di un dialogo fra presente e passato. Gadamer vede platonicamente nel dialogo il fulcro dell‘esperienza ermeneutica. Il testo ci pone determinate domande e noi, sollecitati dal suo interrogare, poniamo ad esso nuovi interrogativi. nell‘ambito di un processo infinito, nel quale ogni risposta si configura come una nuova domanda. I concetti di ―coscienza della determinazione storica‖ e di ―fusione degli orizzonti‖ escludono la possibilità di un sapere assoluto. Essere linguaggio e verità Nella terza sezione di Verità e metodo Gadamer prende in considerazione il linguaggio, mostrando come tutti i caratteri dell‘esperienza ermeneutica esistano solo come 393 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ linguaggio. Anzi, respingendo la concezione strumentalistica del linguaggio, cioè la dottrina secondo cui esso sia un insieme di immagini (della realtà) oppure di ―segni‖ (convenzionali) per esprimere un mondo già pre-linguisticamente noto, Gadamer sostiene che il linguaggio è tutt‘uno con la nostra esperienza concreta delle cose, al punto che non c‘è cosa dove vien meno il linguaggio‖, poiché ―la parola ―appartiene‖ in qualche modo alla cosa stessa, e non è qualcosa come un segno accidentale legato esteriormente alla cosa. Questa riconosciuta assolutezza e intrascendibilità del linguaggio, motivata dal fatto che ogni incontro con le cosa si risolve in un incontro linguistico, porta Gadamer alla tesi-chiave della sua ontologia ermeneutica, cioè all‘affermazione secondo cui l‘essere, che può venir compreso, è linguaggio. Tutte le forme di vita sono linguaggio e come tali possono venir comprese. Questa identificazione dell‘essere con il linguaggio per Gadamer rappresenta la condizione stessa dell‘ermeneutica. Dire che l‘essere è linguaggio significa dire che l‘essere in generale e l‘essere umano in particolare — che sussiste concretamente sotto forma di discorsi, libri, opere d‘arte ecc. — è interpretazione. Da ciò l‘equazione essere = linguaggio = interpretazione. Equazione che suggerisce l‘idea di un autodisvelamento dell‘essere nel linguaggio e nell‘interpretazione. Autodisvelamento che per Gadamer ha il carattere di un processo interminabile. Nelle ultime pagine di Verità e metodo Gadamer spiega il concetto della verità come eventualità extrametodica mediante il concetto di gioco. Con l‘idea di gioco, inteso come un processo che possiede un primato rispetto ai suoi 394 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ protagonisti, Gadamer ribadisce come la verità (e il linguaggio in cui essa si manifesta) sia un evento di cui l‘uomo non è il soggetto, ma il tramite. Infatti, nel ―gioco‖ della verità e del linguaggio, chi gioca veramente non è l‘uomo, ma la verità e il linguaggio. 395 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ CAPITOLO 23 Il Neopositivismo Per neopositivismo o positivismo logico si intende la corrente filosofica che, pur condividendo con il positivismo ottocentesco il primato della razionalità scientifica, se ne differenzia strutturalmente sia per un concetto più critico della scienza, sia per l‘attenzione prestata all‘aspetto logico-linguistico della scienza stessa e per il ricorso sistematico agli strumenti della logica formale, sia per una tendenza più empiristica. Il Circolo di Vienna era un cenacolo di filosofi e scienziati che si incontrarono periodicamente nella capitale austriaca prima e dopo la prima guerra mondiale. Neurath, Hahn e Carnap nel 1929 scrissero un manifesto intitolato La concezione scientifica del mondo. I punti principali del programma: lo scopo di raggiungere l‘unificazione della scienza; 2) l‘enfasi posta sul lavoro collettivo degli scienziati; 3) l‘identificazione del metodo della chiarificazione concettuale con l‘analisi logica;4) il programma di distruzione della metafisica5) lo sviluppo di linguaggi formali che rettifichino le oscurità del linguaggio ordinario;6) il rifiuto di ogni apriorismo. Circoli di Vienna e Berlino La prima fase del Circolo di Vienna fu costituita da alcune riunioni svoltesi a partire dal 1907 fra il matematico Hahn, il fisico Frank e il filosofo e sociologo Neurath. Questi studiosi si riunivano il giovedì sera in un caffè della vecchia Vienna per discutere sia di questioni generali di filosofia della scienza. Nel 1922 Schlick venne chiamato a 396 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Vienna a occupare la cattedra di filosofia delle scienze induttive del defunto Mach e ancora prima di Boltzmann. Sorto ufficialmente nel 1928 sotto la presidenza dello stesso Schlick vi parteciparono molti ricercatori (da Hahn a Frank, da Neurath a Feigl a Waismann). Al Circolo di Vienna fu collegato il gruppo di Berlino che si costituì nel 1927 con il nome di ―Società di filosofia empirica‖ intorno a Hans Reichenbach e che includeva fra gli altri K. Lewin, W. Kòhler, R. von Mises e C. G, Hempel e W. Dubislav, oltre a diversi medici e psicologi. La collaborazione tra i due gruppi fu stabilita soprattutto dalla rivista Erkenntnis. Con l‘annessione dell‘Austria alla Germania nazista nel 1938 la diffusione degli scritti degli aderenti al movimento fu vietata nei Paesi di lingua tedesca e il Circolo si disperse definitivamente. I rappresentanti del neoempirismo trasferitisi negli Stati Uniti. Nacque così l‘Enciclopedia internazionale della scienza unificata che si comincia pubblicare a Chicago nel 1938 sotto la direzione di Neurath, Carnap e Morris e ha raccolto monografie dovute a scienziati e filosofi di molti paesi. Il neopositivismo, almeno nella sua prima fase, è rappresentato da una serie di autori che, pur differenziandosi fra di loro per specifiche posizioni teoriche, risultano per lo più accomunati da talune convinzioni di fondo che possono venire riassunte e schematizzate nel modo seguente: 1) le uniche proposizioni che hanno significato conoscitivo sono quelle suscettibili di verifica empirica o fattuale (criterio di significanza); 397 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ 2) poiché la scienza si basa sulla verifica, essa rappresenta l‘attività conoscitiva per eccellenza; 3) le proposizioni della metafisica sono proposizioni senza senso nell‘ambito della conoscenza, in quanto trascendono l‘orizzonte dell‘umanamente verificabile. In altri termini, ciò che il neopositivismo rimprovera alla metafisica non è la falsità o l‘infondatezza, ma l‘insensatezza delle sue dichiarazioni, che sono costituite da parole senza senso. Di conseguenza, come scrive Schlick, l‘empirista non dichiara al metafisico: ―le tue parole affermano il falso‖, ma, piuttosto: ―le tue parole non affermano assolutamente nulla‖ 4) attività come la metafisica, l‘etica e la religione non forniscono conoscenze, ma semplici manifestazioni di un atteggiamento emotivo verso l‘esistenza; 5) gli enunciati significanti possono venire classificati secondo la dicotomia instaurata da Hume tra enunciati che concernono relazioni tra idee (come quelli della matematica) ed enunciati che concernono fatti (come quelli della fisica). I primi sono delle tautologie che hanno in se stesse la loro verità (come quando diciamo che il triangolo ha tre lati), i secondi sono veri solo se testimoniati dall‘esperienza. Con Kant i primi sono enunciati analitici, i secondi sono enunciati sintetici; 6) la filosofia non è una scienza, ma un‘attività chiarificatrice che ha come compito principale l‘analisi del linguaggio sensato della scienza e la denuncia di quello insensato della metafisica. 398 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ 7) la scienza, al di là della differenziazione delle singole discipline, è una sola; questo consente di elaborare una visione unitaria o unificata del sapere che comprende sia le scienze naturali sia le scienze sociali come l‘economia, la storia, la politica. 8) il discorso scientifico è esclusivamente logico e formale; ha in altre parole il compito di tradurre le procedure scientifiche in modelli linguistici aventi valore predittivo e normativo. Moritz Schlick e il principio di Verificazione. L‘uomo intorno a cui si raccolse il Circolo di Vienna, Moritz Schlick (1882-1936), benché di tendenze politiche sostanzialmente conservatrici, fu assassinato sulla scalinata dell‘Università di Vienna. La filosofia non è una scienza, ma un‘attività, e il suo scopo è un rigoroso accertamento dei termini di cui fa uso. La parte più importante del pensiero di Schlick è il principio di verificazione, che egli esprime dicendo che una questione è di principio risolvibile se possiamo immaginare le esperienze che dovremmo avere per darle una risposta. Questa teoria sottintende ovviamente una distinzione tra verificabilità di principio e verificabilità di fatto, in quanto una tesi attualmente inverificabile, come sull‘altra faccia della luna esistono montagne di tremila metri, può benissimo essere verificata in futuro. Anzi, essa rimarrebbe significante anche se sapessimo con certezza che non si potrà mai raggiungere la superficie dell‘altra faccia della luna. perché la verificazione resterebbe sempre concepibile. Di conseguenza, coerentemente con il suo principio, Schlick sostiene che il significato di una 399 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ proposizione è il metodo della sua verifica . Con questo slogan Schlick intende appunto affermare che un enunciato risulta sensato soltanto quando esistono procedure empiriche atte a verificarne o falsificarne la validità. In caso contrario ci troviamo nel regno della metafisica, la quale, non offrendo un metodo per la verifica empirica dei propri enunciati, risulta senza senso. 400 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ CAPITOLO 24 K.R. Popper e le nuove epistemologie Karl R. Popper nasce a Vienna nel 1902, ove studia filosofia, matematica e fisica. Nel 1934. ma con data 1935 pubblica La logica della ricerca, edita successivamente in inglese con il titolo Logica della scoperta scientifica (1959). Con l‘avvento del nazismo, si trasferisce in Nuova Zelanda, dove scrive La miseria dello storicismo (1945) e La società aperta e i suoi nemici (1945). Alla fine della guerra si stabilisce a Londra.Congetture e confutazioni (1963); Conoscenza oggettiva (1972): La ricerca non ha fine (1974, ne. 1976): L‘io e il suo cervello (1977, con Eccles); I due problemi fondamentali della conoscenza (1979); Poscritto alla logica della scoperta scientifica (1982). Muore a Londra nel 1994. POPPER, IL NEOPOSITIVISMO E EINSTEIN Il rapporto fra Popper e il neopositivismo rappresenta uno dei problemi più controversi e discussi. A tal proposito, sono state elaborate più interpretazioni. La più fondata sostiene che quella di Popper non sarebbe né un‘epistemologia sostanzialmente riconducibile al neopositivismo né una critica e un‘alternativa radicale ad esso, bensì una posizione intermedia. L‘influenza più importante di tutte l‘ha esercitata Einstein. E' possibile dire che la rivoluzione epistemologica di Popper rappresenti il riflesso, in filosofia, della rivoluzione scientifica compiuta da Einstein in fisica. Popper rimase colpito dal fatto che Einstein avesse formulato delle previsioni rischiose, ossia dal fatto che le sue teorie, a 401 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ differenza di quelle del marxismo e della psicoanalisi fossero programmaticamente organizzate non in vista di facili conferme (o ―verificazioni‖) ma in vista di possibili smentite (o ―falsificazioni‖), In secondo luogo, Popper trasse da Einstein la conclusione che le teorie scientifiche non sono verità assolute, ma semplici ipotesi o congetture destinate a rimanere tali. In altre parole, Popper ha tratto da Einstein principi di fondo della sua epistemologia: il falsificazionismo e il fallibilismo. Il ruolo della filosofia La trattazione del pensiero di Popper può essere divisa in due grandi sezioni: l‘epistemologia e la politica. Innanzitutto, egli afferma che il suo interesse non si rivolge soltanto alla teoria iella conoscenza scientifica, bensì alla teoria della conoscenza in generale, pur aggiungendo che ―lo studio dell‘accrescersi della conoscenza scientifica è il modo più proficuo di studiare l'accrescersi della conoscenza‖. In primo luogo egli ribadisce la necessità della filosofia: tutti gli uomini sono filosofi, perché in un modo o nell‘altro assumono un atteggiamento nei confronti della vita e della morte. In secondo luogo, insiste sul fatto che, come esistono teorie scientifiche o politiche, perché esistono problemi scientifici o politici, così esistono le teorie filosofiche perché esistono problemi di natura filosofica. Popper ha continuato a scorgere, nella filosofia, la disciplina dei grandi problemi, avvertendo che la filosofia ha sempre a che fare con la conoscenza della realtà e non con vuote parole. Questa visione ampia del filosofare risulta confermata dalla concomitante rivalutazione dei 402 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ presocratici e del problema cosmologico. Gli interrogativi cui i presocratici tentarono di dare risposta vertevano principalmente sulla cosmologia, ma essi si posero anche questioni intorno alla teoria della conoscenza. Sono convinto che la filosofia deve rivolgersi di nuovo ai problemi della cosmologia e a una semplice teoria della conoscenza. LE DOTTRINE EPISTEMOLOGICHE Il punto di partenza di Popper è la ricerca di un criterio di demarcazione fra scienza e non-scienza, intendendo, per demarcazione. la linea di confine fra le asserzioni delle scienze empiriche e le altre asserzioni. Secondo un radicato luogo comune. elevato ad assioma filosofico dal neopositivismo, una teoria risulta scientifica nella misura in cui può essere ―verificata‖ dall‘esperienza. In realtà, ribatte Popper, il verificazìonismo è un mito o un‘utopia. in quanto, per verificare completamente una teoria o una legge, dovremmo aver presenti tutti i casi. Ma ciò non è possibile. Infatti, da una somma, per quanto ampia, ma pur sempre limitata, di casi particolari non potrà mai scaturire una legge universale. Inoltre, mentre le conseguenze di una teoria sono di numero infinito, i controlli effettivi della medesima sono di numero finito. Ma se il principio di verificazione non è atto a definire lo status scientifico di una teoria, a quale principio ci ispireremo? Stimolato dal modello di Einstein Popper rintraccia tale principio nel criterio di falsificabilità. Secondo tale criterio una teoria è scientifica nella misura in cui può venir smentita dall‘esperienza; ovvero se i suoi enunciati risultano in potenziale conflìtto con eventuali osservazioni. Una teoria è classificabile come scientifica nella misura in cui 403 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ dispone di un sistema di controlli empirici, ossia quando esibisce, nella forma delle asserzioni-base, delle possibili esperienze falsificanti: Un'asserzione o teoria è falsificabile se e solo se esiste almeno un falsificatore potenziale, almeno un possibile asserto di base che entri logicamente in conflitto con essa. Ad esempio. l‘asserzione domani pioverà o non pioverà non è empirica (analogamente alle proposizioni classiche della metafisica) in quanto non può essere confutata, mentre è empirica (analogamente alle proposizioni della scienza) l‘asserzione ―domani pioverà. Detto altrimenti, una teoria che non possa venir contraddetta da nessuna osservazione non ha un contenuto empirico e non dice nulla di scientificamente valido intorno al mondo. Al contrario, più numerose sono le possibili esperienze falsificanti, cioè i cosiddetti ―falsificatori potenziali‖ cui può fare riferimento una teoria, più ricco appare il suo contenuto empirico e scientifico. ASSERZIONI DI BASE Le asserzioni-base sono quegli enunciati elementari, aventi la forma di asserzioni singolari di esistenza (ad es. ―nel luogo K c‘è un indice‖), che risultano intersoggettivamente controllabili e sulla cui accettazione esiste un accordo di fondo tra gli osservatori scientifici. Il valore delle asserzioni-base, secondo Popper, non dipende da proprietà intrinseche, ma da una ―decisione‖ dei ricercatori, ossia dal fatto che gli scienziati di un certo periodo storico si trovano d‘accordo nel ritenerle valide e nell‘usarle come mezzi di controllo delle teorie. Poiché la comunità dei ricercatori può sempre decidere di metterle in discussione, ne segue che la base empirica del sapere risulta priva di qualsiasi assolutezza e 404 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ che alla tradizionale immagine della scienza come edificio stabile basato su una solida roccia bisogna contrapporre l‘innovativa immagine della scienza come costruzione precaria eretta su fragili palafitte: La scienza non posa su un solido strato di roccia. L‘ardita struttura delle sue teorie si eleva, per così dire. sopra una palude. E come un edificio costruito su palafitte. (Logica). Le asserzioni-base non fungono da base del sapere scientifico in senso cronologico o logico ma in senso metodologico. Le asserzioni-base effettivamente accettate costituiscono il punto di partenza del concreto meccanismo di controllo di una teoria. Senza le asserzioni-base che denotano ‗eventi osservabili‖, non esisterebbe il sapere intersoggettivo della scienza.‘‖Se un giorno gli osservatori scientifici non potessero più mettersi d‘accordo sulle asserzioni-base ciò significherebbe un fallimento del linguaggio come mezzo di comunicazione universale. TEORIA DELLA CORROBORAZIONE La ―superiorità‖ epistemologica del principio di falsificabilità, che insiste sul valore della smentita rispetto a quello della conferma, deriva, secondo Popper, dalla asimmetria logica fra verificabilità e falsificabilità, ossia dal fatto che miliardi e miliardi di conferme non rendono certa una teoria, mentre basta un solo fatto negativo per confortarla (ad es nessuna osservazione particolare di soli cigni bianchi sarà mai in grado di giustificare la validità della tesi generale ―tutti i cigni sono bianchi, mentre basta l‘osservazione di un solo cigno nero per smentirla). Popper ritiene che le teorie, pur non potendo essere verificate, ma solo, eventualmente, falsificate, possano tuttavia venir ‗corroborate‖. Un‘ipotesi teorica è corroborata quando ha superato il confronto con 405 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ un‘esperienza potenzialmente falsificante. Il fatto che una teoria sia ―più corroborata (di altre) non significa che essa sia ‗più vera‖ (di altre). La corroborazione non è un indice di verità, ma uno strumento per stabilire ―la preferenza rispetto alla verità. Questo significa che la corroborazione, pur non potendo fungere da (definitivo) criterio di giustificazione delle teorie, può fungere da (temporaneo) criterio di scelta fra ipotesi rivali. La metafisica Il criterio di falsificabilità è semplicemente un criterio di demarcazione atto a distinguere, all‘interno delle teorie significanti, quelle scientifiche da quelle non-scientifiche. Di conseguenza, per quanto riguarda la metafisica, questa certamente non è una scienza, non essendo falsificabile. Ma questo non significa che sia senza senso (anche se non disponiamo di strumenti atti a controllare la validità delle affermazioni metafisiche). Inoltre la metafisica ha spesso svolto una funzione propulsiva nei confronti della scienza. Infatti, dal punto di vista psicologico, la ricerca empirica risulta impossibile senza la fede in idee metafisiche generali. Ad esempio, per quanto concerne la cosmologia, da Talete ad Einstein, sono state e idee metafisiche a indicare la strada. Anzi, in taluni casi, idee che prima erano metafisiche (es. l‘atomismo) si sono trasformate in dottrine scientifiche. Critica al marxismo e alla psicanalisi Molto più duro risulta l‘atteggiamento di Popper nei confronti del marxismo e della psicoanalisi. Lo studio di una qualunque di queste teorie generali sembrava avere 406 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ l‘effetto di una conversione o rivelazione intellettuale, che consentiva di levare gli occhi su una nuova verità. Una volta dischiusi in questo modo gli occhi, si scorgevano ovunque delle "conferme". Mentre la dottrina di Einstein si presenta con un potere esplicativo limitato e risulta aperta a possibili smentite, marxismo e psicanalisi sono dottrine onni-esplicative a maglie larghe che appaiono: a) dotate di insufficiente falsificabilità; b) dirette ad aggirare possibili smentite tramite continue ipotesi di salvataggio. Ad esempio, per quanto riguarda il marxismo, le previsioni, connesse a taluni suoi enunciati originari (come l‘analisi della incombente rivoluzione sociale) erano controllabili, e, di fatto, vennero falsificate. Tuttavia, invece di prendere atto di tali confutazioni i seguaci originari di Marx reinterpretarono sia la teoria, sia le prove empiriche, per farle concordare. Così salvarono la teoria, ma a condizione di renderla inconfutabile (e quindi nonscientifica). Congetture e confutazioni Popper si presenta, a prima vista, come un tipico filosofo del Metodo. In realtà, la posizione del filosofo su questo argomento è più articolata di quanto sembri. Infatti, da un lato, contro tutta la tradizione dell‘empirismo, Popper afferma, testualmente, che non c‘è alcun metodo per scoprire una teoria scientifica, sostenendo che le teorie sono l‘esito di congetture audaci e di intuizioni creative e non l‘esito di procedimenti da manuale (non esiste una macchina scopritrice che assolva la funzione generativa del genio). Le ipotesi hanno un numero imprecisato di sorgenti: dalla riflessione alla fantasia. Anzi, l‘origine di 407 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ molte teorie scientifiche è palesemente extra-scientifica. Ovviamente le idee, una volta trovate, devono essere provate. Ed è a questo punto che interviene il principio di falsificabilità il quale proclama che una teoria è scientifica solo nella misura in cui può essere smentita dall‘esperienza. ―Tutta la mia concezione del metodo scientifico si può riassumere dicendo che esso consiste di questi tre passi: 1) inciampiamo in qualche problema; 2) tentiamo di risolverlo, per esempio proponendo qualche nuova teoria; 3) impariamo dai nostri errori, in particolare da quelli su cui ci richiama la discussione critica dei nostri tentativi di soluzione, una discussione che tende a condurci a nuovi problemi. O per dirla in tre parole: problemi - teorie – critica‖. Questo metodo non è altro che il procedimento per prova ed errore, che consiste nel rispondere a un problema mediante un‘ipotesi che deve venir sottoposta al vaglio critico dell‘esperienza. La critica dell‘induzione Per una tradizione di pensiero che va da Bacone ai giorni nostri, osserva Popper, la scienza si fonda sull‘induzione, intesa come procedimento che va dal particolare all‘universale. In realtà,, sostiene categoricamente Popper, l‘induzione, concepita come procedimento di giustificazione delle teorie, non esiste. Infatti, per quanto numerose possano essere le osservazioni singolari, esse non sono mai capaci di produrre teorie universali (―per quanto numerosi siano i casi di cigni bianchi che possiamo aver osservato, ciò non giustifica la conclusione che tutti i cigni sono bianchi‖). Questa impotenza strutturale dell‘induzione trova un‘emblematica illustrazione nella 408 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ vicenda del ―tacchino induttivista‖ raccontata da B. Russell. Fin dal primo giorno questo tacchino osservò che, nell‘allevamento dove era stato portato, gli veniva dato il cibo alle 9 del mattino. E da induttivista eseguì ulteriori osservazioni in tutti i tipi di circostanze: di mercoledì e di giovedì, nei giorni caldi e nei giorni freddi, sia che piovesse sia che splendesse il sole. Così, arricchiva ogni giorno il suo elenco di una proposizione osservativa in condizioni le più disparate. Finché la sua coscienza induttivista fu soddisfatta ed elaborò un‘inferenza induttiva come questa: ―Mi danno il cibo alle nove del mattino‖, Purtroppo, però, questa conclusione si rivelò incontestabilmente falsa alla vigilia di Natale, quando, invece di venir nutrito, fu sgozzato. Popper ritiene che la propria dottrina epistemologica sia sintesi di due teorie classiche della conoscenza: una sintesi di elementi di razionalismo e di empirismo. Infatti, da un lato essa fa proprio l‘orientamento deduttivistico del razionalismo e dall‘altro accetta l‘insegnamento di fondo dell‘empirismo moderno, secondo cui è solo l‘esperienza che può aiutarci a decidere in merito alla validità di un‘ipotesi. La critica dell‘induzione si accompagna ad un rifiuto dell‘osservazionismo, ossia della teoria secondo la quale lo scienziato osserva la natura senza presupposti o ipotesi precostituite. In realtà, la nostra mente non è un recipiente vuoto ma un faro che illumina, ossia un deposito di ipotesi, consce o inconsce, alla luce delle quali percepiamo la realtà. Per cui, nell‘accostarci ai presunti ―fatti‖, noi siamo già da sempre impregnati‘ di teoria. In altre parole, invece di darci ―dati puri‖, l‘osservazione risulta ―carica di teoria‖. 409 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Popper e Kant La teoria della mente come faro può richiamare la nota tesi kantiana secondo cui il nostro intelletto non deriva i propri schemi mentali dalla natura, ma li impone ad essa. Popper stesso sottolinea l‘affinità, ma puntualizza immediatamente la differenza, affermando che mentre per Kant gli schemi della mente sono necessariamente validi, in quanto la natura non può contraddirli, per il falsificazionista essi sono delle semplici ipotesi che l‘esperienza può smentire all‘istante. In altri termini, pur essendo psicologicarnente e logicamente a priori, le aspettative della nostra mente non sono gnoseologicamente valide a priori. Kant ha ragione quando afferma che il nostro intelletto non trae le proprie leggi dalla natura, ma le impone ad essa, ma sbaglia nel ritenere che tali leggi siano necessariamente vere. La natura, assai spesso, si oppone molto efficacemente, costringendoci ad abbandonare le nostre leggi in quanto confutate. Scienza e verità Per Popper la scienza non è un sapere definitivo e assolutamente certo, in quanto le sue dichiarazioni sono e restano ipotesi. Detto altrimenti, la scienza non ha a che fare con la ―Verità‖, ma con semplici congetture. Del resto le teorie non sono mai verificate, ossia portate nel regno delle verità immutabili, ma semplicemente corroborate, ossia temporaneamente non-falsificate. Popper afferma invece: 1) che il nostro sapere è strutturalmente problematico e incerto: 2) che la scienza possiede, come 410 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ tratto costitutivo, la fallibilità; 3) che il classico problema di come possiamo giustificare la nostra conoscenza risulta privo di senso; 4) che all‘uomo non compete il possesso della verità, ma solo la ricerca, mai conclusa, di essa. Da ciò la connessione fra popperismo e socratismo. Infatti, sostenendo che tutte le conoscenze umane sono incerte e che ―la ricerca non ha fine‖, il fallibilismo si presenta come una sorta di ripresa odierna, in chiave epistemologica, del socratismo: il fallibilismo è nient‘altro che il non-sapere socratico. Secondo Popper, Io scopo della scienza non è la verità ma il raggiungimento di teorie sempre più verosimili, ovvero sempre più vicine all‘ideale di una descrizione esauriente del mondo. In altri termini, dire che una teoria è migliore di un‘altra e che realizza un certo progresso nei suoi confronti, equivale a dire, per Popper, che ―essa appare più vicina alla verità‖. Il realismo dell‘ultimo Popper La visione fallibilistica della scienza si accompagna, in Popper, al rifiuto di due classiche posizioni epistemologiche: l‘essenzialismo (secondo cui le teorie scientifiche descrivono la natura essenziale della realtà) e lo strumentalismo (secondo cui le teorie scientifiche sono solo utili strumenti di previsione). Il rifiuto dello strumentalismo si è ulteriormente accentuato nelle ultime opere e sta alla base della ripresa popperiana del realismo. Infatti, se in un primo tempo il nostro autore sembrava vicino a tesi di tipo convenzionalistico, in un secondo tempo è andato esplicitamente elaborando una teoria realistico-obiettivistica basata sulla definizione della verità come corrispondenza fra proposizioni e fatti: chiamiamo 411 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ ―vera‖ un‘asserzione se coincide con i fatti, se corrisponde ai fatti, o se le cose sono tali quali l‘asserzione le presenta. È questo il concetto cosiddetto assoluto o obiettivo di verità. Questo esito realistico risponde all‘esigenza di evitare il relativismo implicito in quelle posizioni di pensiero che, non distinguendo fra teoria e fatti, risultano prive di un criterio atto a valutare la consistenza delle teorie stesse. In altri termini, l‘ipotesi realistica‘ appare l‘unica in grado di ―rammentarci che le nostre idee possono essere errate. Infatti, in antitesi alle ―degenerazioni dell‘epistemologia post-positivistica l‘ultimo Popper sostiene che le teorie scientifiche, pur essendo un costrutto della nostra mente, debbano poter ―cozzare contro la realtà. Un aspetto del realismo dell‘ultimo Popper è la cosiddetta teoria dei tre mondi. Il Mondo I è quello delle cose, cioè degli oggetti fisici e dei fatti naturali. Il Mondo 2 è quello delle esperienze soggettive, cioè degli stati di coscienza, dei pensieri. dei sentimenti ecc. Il Mondo 3 è costituito dai contenuti del nostro pensiero, ovvero dalle teorie (non solo scientifiche, ma anche metafisiche, religiose, mitiche ecc.) le quali sono oggettive (in quanto non dipendono dagli stati d‘animo e trascendono gli individui) e altrettanto reali quanto ―i tavoli e le sedie fisiche‖. Le dottrine politiche Le opere in cui Popper tratta di problemi riguardanti la società e la politica sono Miseria dello storicismo e La società aperta e i suoi nemici. L‘originalità di questi lavori consiste nel tentativo di difendere le ragioni della libertà e 412 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ del pluralismo epistemologica. con argomentazioni di natura Popper include nel concetto di storicismo tutte quelle filosofie che hanno preteso di cogliere un senso globale oggettivo della storia (il marxismo ma anche le più antiche dottrine del mondo). Non esiste, secondo Popper, un senso della storia pre-costituito rispetto alle interpretazioni e alle decisioni umane poiché la storia assume il senso che gli uomini le danno. Ma l‘errore metodologico più grave dello storicismo ―oracolare‖, secondo Popper, è quello di far confusione fra leggi e tendenze. Partendo dalla convinzione che se è possibile per l‘astronomia predire le eclissi, lo storicismo, fondandosi su talune tendenze della società, crede di poter predire il futuro ―inevitabile‖ delle cose umane. In tal modo, esso dimentica che una previsione, per essere veramente scientifica‖, deve basarsi su di una legge e non su una tendenza, che può perdurare per centinaia di anni, come ad esempio l‘aumento della popolazione. ma può anche cambiare in un decennio o in due anni. La democrazia Popper pone un‘antitesi fra ―società chiusa‖ e ―società aperta‖, e approfondisce i concetti di totalitarismo e di democrazia. La contrapposizione bergsoniana fra società chiusa e società aperta viene utilizzata da Popper per focalizzare l‘irriducibile contrasto fra una società organizzata secondo norme rigide di comportamento (e basata su di un controllo ―soffocante‖ della collettività sull‘individuo) ed una società fondata sulla salvaguardia 413 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ delle libertà dei suoi membri, mediante istituzioni democratiche autocorregibili. aperte alla critica razionale e alle proposte di riforma. A cominciare da Eraclito (portavoce della più arrabbiata aristocrazia greca) e da Platone (esponente della reazione alla società aperta incarnata dalla democrazia ateniese e teorico di un modello statale ―organicistico‖) sino a Hegel (rappresentante di uno statalismo antidemocratico) e a Marx (profeta di un collettivismo totalitario), lo storicismo non ha fatto che accompagnarsi a posizioni politiche autoritarie e foriere di sofferenze e di sventure per l‘umanità. L‘anti-totalitarismo di Popper mette capo ad una dottrina della democrazia, che costituisce una delle parti più interessanti e notevoli dell‘opera di questo filosofo. La democrazia è stata tradizionalmente definita in relazione al soggetto cui viene attribuito il potere: ―il popolo‖ o la ―maggioranza‖. Tutto ciò, secondo Popper, serve a poco se non si aggiunge che la democrazia si identifica con la possibilità, da parte dei governati, di controllare i governanti, mediante una serie di istituzioni ―strategiche‖ — fra cui le elezioni — che consentano il mantenimento o il licenziamento dei governanti, senza dover ricorrere alla violenza. Di conseguenza, la classica domanda: ―Chi deve esercitare il potere nello Stato?‘, puntualizza Popper, importa molto di meno rispetto alle domande,‘‖ Come è esercitato il potere? e ―Quanto è il potere esercitato?‖. Volendo tracciare una linea di demarcazione fra democrazia e dittatura, Popper. in uno dei passi più rilevanti de La società aperta e i suoi nemici scrive:1. La democrazia non può compiutamente caratterizzarsi solo come governo della maggioranza, 414 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ benché l‘istituzione delle elezioni generali sia della massima importanza. Infatti una maggioranza può governare in maniera tirannica (La maggioranza di coloro che hanno una statura inferiore a 6 piedi può decidere che sia la minoranza di coloro che hanno statura superiore a 6 piedi a pagare tutte le tasse). In una democrazia, i poteri dei governanti devono essere limitati ed il criterio di una democrazia è questo: in una democrazia i governanti — cioè il governo — possono essere licenziati dai governati senza spargimenti di sangue. Quindi se gli uomini al potere non salvaguardano quelle istituzioni che assicurano alla minoranza la possibilità di lavorare per un cambiamento pacifico, il loro governo è una tirannia.2. Dobbiamo distinguere soltanto fra due forme di governo, cioè quello che possiede istituzioni di questo genere e tutti gli altri; vale a dire fra democrazia e tirannide.3. Una costituzione democratica consistente deve escludere soltanto un tipo di cambiamento nel sistema legale, cioè quel tipo di cambiamento che può mettere in pericolo il suo carattere democratico. 4. In una democrazia, l‘integrale protezione delle minoranze non deve estendersi a coloro che violano la legge e specialmente a coloro che incitano gli altri al rovesciamento violento della democrazia.5. Una linea politica volta all‘instaurazione di istituzioni intese alla salvaguardia della democrazia deve sempre operare in base al presupposto che ci possono essere tendenze anti-democratiche latenti sia fra i governati che fra i governanti. 6. Se la democrazia è distrutta, tutti i diritti sono distrutti: anche se fossero mantenuti certi vantaggi economici goduti dai governanti, essi lo sarebbero solo sulla base della rassegnazione. 7. La 415 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ democrazia offre un prezioso campo di battaglia per qualsiasi riforma ragionevole dato che essa permette l‘attuazione di riforme senza violenza. RIFORMISMO GRADUALISTA La difesa popperiana della democrazia si accompagna ad una critica dell‘atteggiamento rivoluzionario e ad un‘esaltazione del metodo riformista. Al metodo rivoluzionario, da lui definito di ―meccanica utopistica‖, Popper contrappone il programma della tecnologia sociale ―a spizzico‖, che prescrive interventi limitati e graduali. Di conseguenza, Popper ritiene che il metodo riformista e gradualista possegga una netta superiorità su quello rivoluzionario perché: 1) evita di promettere ‗paradisi‘ che alla prova dei fatti si rivelano degli ―inferni‖; 2) non pone dei fini assoluti che legittimino anche i mezzi più ripugnanti in vista del loro presunto raggiungimento; 3) procede per via sperimentale, essendo disposta a correggere mezzi e fini in base alle circostanze concrete e ai risultati ottenuti; 4) riesce a dominare meglio i mutamenti sociali, senza trovarsi in situazioni impreviste e difficili, tali da facilitare l‘avvento di una dittatura traditrice degli ideali stessi della rivoluzione. L‘epistemologia post-positivistica Con l‘espressione epistemologia post-positivistica si intende quel tipo di filosofia della scienza che ha assunto posizioni radicalmente critiche nei confronti del neopositivismo e di Popper. Fra i tratti salienti di tale epistemologia troviamo: 1) l‘anti-empirismo e l‘anti- 416 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ fattualismo, ossia la convinzione che i fatti sono dati solo all‘interno di teorie; 2) l‘attenzione per la configurazione storico-concreta del sapere scientifico ; 3) la messa in luce dei condizionamenti extra-scientifici (sociali, pratici, metafisici ecc.) cui è sottoposta la scienza, vista come attività ―impura‖, che non vive esclusivamente nei cieli cristallini della ―pura‖ teoria; 4) l‘esclusione di una base empirica neutrale in grado di fungere da criterio di ―verificabilità‖ falsificabilità delle teorie; 5) la negazione di un presunto ―metodo‖ fisso del sapere e di ogni rigida ―demarcazione‖ della scienza rispetto alle altre attività umane: 6) il rifiuto del mito della Ragione e il ridimensionamento del valore conoscitivo ed esistenziale della scienza; 7) la propensione a considerare le teorie non in termini di ―verità‖, bensì di ―consenso‖; 8) la contestazione dell‘epistemologia tradizionale e dei suoi classici interrogativi T. Kuhn Lo storico e filosofo statunitense Thomas Kuhn è autore di La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962), nella quale, utilizzando le sue ricerche di storico della scienza, egli ha elaborato una concezione epistemologica originale, secondo cui le nuove dottrine non sorgono né dalle verificazioni né dalle falsificazioni, ma dalla sostituzione del modello esplicativo vigente (paradigma) con uno nuovo. Infatti, secondo Kuhn, lo sviluppo storico della scienza si articola in periodi di ―scienza normale‖ e in periodi di ―rotture rivoluzionarie‖, I primi qualificati dal prevalere di determinati paradigmi, ossia di complessi organizzati di teorie, di modelli di ricerca e di pratiche 417 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ sperimentali ―ai quali una particolare comunità scientifica, per un certo periodo di tempo, riconosce la capacità di costituire il fondamento della sua prassi ulteriore. L‘astronomia tolemaica e quella copernicana, la dinamica di Aristotele e quella di Newton, l‘ottica corpuscolare e quella ondulatoria ecc., sono altrettanti esempi di paradigmi. Kuhn ritiene che la scienza normale entri in crisi per un sommarsi di anomalie, ossia di eventi nuovi e insospettati, che gli scienziati del periodo ancora normale, portati ad evitare il cambiamento e le novità sensazionali, cercano di incasellare nel vecchio modello esplicativo. Essi cercano piuttosto di riformularlo e di correggerlo. Ma ciò fa sì che le crepe all‘interno del vecchio sistema aumentino, sino a produrre una vera e propria crisi rivoluzionaria. Crisi che comporta l‘abbandono del vecchio paradigma e l‘accettazione di un nuovo sistema, che obbliga il ricercatore a guardare il mondo in maniera completamente diversa. Di conseguenza, i vari paradigmi che si succedono nella storia della scienza rimandano. secondo Kuhn. a quadri concettuali completamente diversi, fra loro incommensurabili. L‘accettazione di un nuovo paradigma può avvenire per ogni genere di ragioni. Alcune di queste ragioni — ad es. il culto del sole che contribuì a convertire Keplero al copernicanesimo — si trovano completamente al di fuori della sfera della scienza. Altre ragioni possono dipendere da paure autobiografiche e personali. Persino la nazionalità dell‘innovatore e dei suoi maestri può talvolta svolgere una funzione importante. Negli anni successivi. Kuhn ha cercato di articolare meglio la sua dottrina. attenuando quegli aspetti di essa che potevano dar luogo alle accuse di 418 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ irrazionalismo e di relativismo. Egli ha parlato ad esempio di taluni criteri che presiederebbero alla scelta di teorie rivali (accuratezza, coerenza, semplicità, redditività); ha proposto, in luogo del troppo generico concetto di paradigma, quello di matrice disciplinare (disciplinare perché è il possesso degli esperti di una disciplina professionale e ―matrice‘ perché è formata da elementi ordinati di vario tipo, ciascuno dei quali richiede una ulteriore specificazione). I. Lakatos L‘ungherese Imre Lakatos (1922-1974) ha insegnato a Londra accanto a Popper, dal quale ha subito profondi influssi. I suoi scritti maggiori sono La falsificazione e La metodologia dei programmi di ricerca scientifica. Alla base del pensiero di Lakatos sta un serrato confronto con Kuhn e Popper. Vicino alle posizioni razionalistiche di Popper, Lakatos contesta Kuhn per avere assimilato le rivoluzioni scientifiche a delle ―conversioni‖ religiose, derivanti da un irrazionale cambiamento di fede‘. Per quanto concerne Popper, pur riconoscendo (a differenza di Kuhn) come il suo falsificazionismo non sia rimasto ad uno stadio ―dogmatico‖, ma si sia evoluto in senso ―metodologico‖, Lakatos afferma che una prospettiva scientifica entra in crisi e viene sostituita non a causa di presunti ‗esperimenti cruciali‖. ma grazie al presentarsi di una prospettiva rivale: ―gli scienziati hanno la pelle dura, Non abbandonano una teoria solo perché alcuni fatti la contraddicono. Gli scienziati parlano di anomalie, di casi recalcitranti, mai di confutazioni‖. Lakatos teorizza una 419 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ concezione della storia della scienza come di una serie di programmi di ricerca in razionale confronto fra di loro. Per programma di ricerca scientifico si intende una costellazione di teorie scientifiche coerenti fra di loro ed obbedienti ad alcune regole metodologiche fissate da una determinata comunità scientifica. Un programma di ricerca è costituito da un ―nucleo ritenuto inconfutabile ―in virtù di una decisione metodologica dei suoi sostenitori‖. Attorno al nucleo troviamo una ―cintura protettiva costituita da ―ipotesi ausiliarie‖ aventi la funzione di rappresentare uno ―schermo‖ per la difesa del nucleo. Un programma di ricerca è valido finché si mantiene progressivo, ovvero ―fin quando continua a predire fatti nuovi con un certo successo. Viceversa, è regressivo o in stagnazione, come accade anche in quei programmi scientifici degeneri che sono il marxismo e la psicanalisi, se si limita ad inventare teorie ―solo al fine di accogliere i fatti noti‖ o si limita a dare spiegazioni post hoc di scoperte casuali o difatti anticipati, e scoperti, nell‘ambito di un programma rivale. Di conseguenza, le rivoluzioni scientifiche non accadono in seguito ad irrazionali mutamenti di prospettiva da parte degli scienziati ma in seguito a delle razionali decisioni, da parte della comunità dei ricercatori, di sostituire programmi ormai ―regressivi‖ con programmi all‘altezza della situazione. E' solo con il senno del poi, si pensi all‘ipotesi copernicana, che si può stabilire con sicurezza il carattere regressivo o progressivo di un certo programma. Paul K. Feyerahend 420 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ Paul K. Feyerahend (1924-), di origine tedesca e professore universitario negli Stati Uniti, è forse il pensatore più noto e discusso dei post-positivisti. Fra le sue opere principali: Contro il metodo (1975); La scienza in una società libera (1978) Feyerabend propone una ―epistemologia anarchica‖ fondata sulla convinzione secondo cui non esiste alcun metodo scientifico che stia alla base di ogni progetto di ricerca e lo renda scientifico. ―Nel libro Contro il metodo ho tentato di dimostrare che i procedimenti della scienza non si conformano ad uno schema comune, che non sono ―razionali‖ in riferimento a nessuno schema del genere. Gli uomini intelligenti non si lasciano limitare da norme, regole, metodi, ma sono opportunisti, ossia utilizzano quei mezzi mentali e materiali che, all‘interno di una determinata situazione, si rivelano i più idonei al raggiungimento del proprio fine‖. Questa tesi, che mette capo ai principio polemico ―anything goes‖ (tutto può andar bene). è stata attaccata, sostiene Feyerabend, dai ―benpensanti‖ preoccupati delle sorti della ricerca umana. In realtà tutti costoro sono degli analfabeti, oppure dei ―lettori della domenica‖. Infatti essi non si sono resi conto che l‘epistemologia anarchica non è che la presa di coscienza del fatto storico che non esiste neppure una regola, per quanto plausibile e ―logica‖ possa sembrare, che non sia stata spesso violata durante lo sviluppo delle singole scienze. Tali violazioni non furono eventi accidentali o conseguenze evitabili dell‘ignoranza e della disattenzione. Esse erano necessarie perché, nelle condizioni date, si potesse conseguire il progresso. Eventi come l‘invenzione della teoria atomica nell‘antichità 421 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ (Leucippo), la rivoluzione copernicana, lo sviluppo dell‘atomismo moderno (Dalton: la teoria cinetica dei gas; la stereochimica: la teoria quantistica), la graduale affermazione della teoria ondulatoria della luce si verificarono solo perché alcuni ricercatori o si decisero a non seguire certe regole ―ovvie‖ o perché le violarono inconsciamente...‖. Difendere l‘epistemologia anarchica ed un conseguente pluralismo teorico e metodologico non significa dunque distruggere regole o criteri nell‘ambito della pratica scientifica, ma farsi paladini della libera inventività della scienza al di là di qualsiasi metodologia prefissata: ―Io non raccomando alcuna ―metodologia‖, ma al contrario affermo che l‘invenzione, la verifica, l‘applicazione di regole e criteri metodologici sono di competenza della ricerca scientifica‖. Altro tema caratteristico di Feyerabend è la tesi secondo cui i fatti non esistono ―nudi‖, al di fuori delle teorie, ma soltanto nell‘ambito di determinati ―quadri‖ mentali, in quanto lo scienziato ―vede‖ solo ciò che questi ultimi lo inducono a vedere. Un effetto della teoria dei ―quadri‖ è che neppure le nozioni più semplici o apparentemente neutrali della scienza possono venir considerate in modo universale ed oggettivo, in quanto i loro significati risultano intrinsecamente connessi ai differenti contesti teorici entro i quali sono stati formulati (ad esempio il termine ―massa‖, che assume accezioni diverse a seconda che si tratti della fisica di Newton o di Einstein). Da ciò il recupero, in un contesto ancor più radicalizzato, della tesi di Kuhn circa l‘incommensurabilità delle teorie (come si possono valutare comparativamente delle teorie che sono sorte in momenti diversi; che non usano gli stessi termini o 422 Storia della filosofia Paolo Rebaudo ________________________________________________________________________________________________________ li adoperano con significati diversi; che non parlano degli stessi fatti o ne parlano in modo differente; che non hanno il medesimo fine o scopo ecc.?) ed il parallelo rifiuto della visione della scienza come ―accumulazione‖ progressiva di conoscenze (positivisti e neopositivisti) o come ―approssimazione‖ graduale alla verità (Popper) e l‘adesione ad una prospettiva che affida a criteri di tipo pragmatico (l‘efficacia, il successo, la capacità di persuasione ecc.) la preferenza fra le teorie in competizione. Ma l‘esito forse più caratteristico dell‘epistemologia di Feyerabend è la distruzione del mito della Scienza (la scienza non è sacrosanta). Infatti, denunciando lo strapotere della scienza nel mondo d‘oggi e battendosi per un ridimensionamento del suo peso teorico e sociale. Feyerahend dichiara che essa è solo uno dei molti strumenti inventati dall‘uomo per far fronte al suo ambiente e che, al di là della scienza, ―esistono miti, esistono i dogmi della teologia, esiste la metafisica, e ci sono molti altri modi di costruire una concezione del mondo. È chiaro che uno scambio fecondo fra la scienza e tali concezioni del mondo ―non scientifiche‖ avrà bisogno dell‘anarchismo ancora più di quanto ne ha bisogno la scienza. L‘anarchismo è quindi non soltanto possibile, ma necessario tanto per il progresso interno della scienza quanto per lo sviluppo della nostra cultura nel suo complesso. Feyerabend ipotizza un modello ideale di società totalmente libera, una forma di coesistenza in cui vengano riconosciuti uguali diritti ed eguali possibilità di accesso ai centri di potere sia agli individui, sia alle diverse tradizioni culturali cui essi appartengono. 423