Rebaudo Paolo - Storia della Filosofia

STORIA DELLA FILOSOFIA
PRINCIPALI FIGURE E CORRENTI
DEL PENSIERO OCCIDENTALE
PAOLO REBAUDO
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
INDICE
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Origini e concetto della filosofia
I filosofi naturalisti
La sofistica e Socrate
Platone
Aristotele
La filosofia in età ellenistica
La filosofia medioevale
La filosofia rinascimentale
La rivoluzione scientifica
Razionalismo ed empirismo
L‘illuminismo
Kant
Romanticismo e idealismo
Schopenhauer
Kierkegaard
Feuerbach e Marx
Il positivismo
Nietzsche
Freud
Husserl e la fenomenologia
L‘esistenzialismo e Heidegger
Gadamer
Il neopositivismo
Popper e le nuove epistemologie
3
9
30
44
66
85
103
129
146
185
218
229
244
278
291
298
322
336
356
364
384
403
412
417
2
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
CAPITOLO 1
Origini e concetto della filosofia
Civiltà greca e filosofia
La filosofia occidentale nasce per opera dei Greci che
elaborano per primi un metodo di indagine razionale
sull'origine e sulla natura dell'universo. Il pensiero e la
discussione prendono il posto della fede, della rivelazione
e della poesia. Il nuovo metodo di indagine si diffonde
presto nelle colonie greche del Mediterraneo, in madre
patria e in Magna Grecia. La filosofia è nata in Grecia e i
greci sono stati gli iniziatori del pensiero occidentale in
quanto essi risultano gli autori dei primi testi scritti di
filosofia della civiltà europea. Se la sapienza orientale è di
tipo religioso e tradizionalistico, poiché è privilegio di una
casta sacerdotale ed è ancorata ad una tradizione ritenuta
sacra ed immodificabile, la sapienza greca si presenta
come una ricerca razionale che nasce da un atto
fondamentale di libertà di fronte alla tradizione, al
costume e alle credenze. I fattori che possono aver
permesso la nascita della filosofia sono da individuare in
alcune caratteristiche della società greca intorno al VI
secolo a.C.: la posizione geografica di ponte fra Europa e
Asia, una religione che non pone ostacoli allo sviluppo
della riflessione, una struttura politica che garantisce un
certo margine di libertà ai cittadini, un commercio in
costante sviluppo e che richiedeva lo sviluppo di una
riflessione e un‘esigenza di spiegazione dei fenomeni
secondo una visione naturalistica presente nei miti di
Omero e di Esiodo.
3
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Entrando un po‘ di più nel dettaglio, occorre dire che le
civiltà pregreche sono quasi tutte monarchie, con potenti
caste sacerdotali e guerriere che detengono il potere e
hanno un carattere autoritario e tradizionalista, tendenti a
conservare la loro cultura. In Grecia la situazione appare
invece diversa. Innanzitutto, fin dai tempi omerici, si sono
avuti governi e repubbliche di tipo aristocratico. In
secondo luogo, al posto di uno stato accentratore si è
costituita una variopinta e frazionata costellazione di cittàstato. Infine, le aristocrazie dominanti non sono affatto
assimilabili alle caste guerriere o sacerdotali dell‘Oriente,
poiché quella greca è una civiltà in cui i sacerdoti,
nonostante l‗importanza della religione, hanno poco
potere. Lo sviluppo della polis greca conduce verso nuove
forme di direzione dello Stato, le prime democrazie della
storia del mondo. Ma la discussione fra le varie opinioni
presuppone una mentalità che non si accontenta più del
delle sue forme culturali tradizionali. In un ambiente
socio-politico del genere la filosofia ha modo di emergere,
contribuendo essa stessa ad un ulteriore sviluppo e
laicizzazione della cultura. Questo spiega anche perché la
filosofia greca sia nata prima nelle colonie e solo
successivamente nella madrepatria. In un primo tempo,
solo le colonie ioniche dell‘Asia Minore, presentano
condizioni economiche, sociali e politiche atte a favorire il
sorgere di una cultura e di una mentalità più elastica,
propizia la diffusione della filosofia. Infatti nella Ionia
troviamo quella dinamica circolazione di merci, idee ed
esperienze, e quelle libere istituzioni che concorrono a
determinare quel tipo di società aperta, stimolante per la
razionalità filosofica.
4
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
La mitologia, la religione dei Misteri e la poesia
L‘arte e la religione greca erano già, in parte, riflessioni
generali sull‘uomo e la realtà. Nelle cosmologie mitiche,
nelle dottrine religiose dei Misteri e nella poesia si
possono rintracciare i primordi del pensiero filosofico. Il
più antico documento della cosmologia mitica presso i
Greci è la Teogonia di Esiodo nella quale certo
confluirono antiche tradizioni. Di natura filosofica appare
qui il problema dello stato originario dal quale le cose
sono uscite e della forza che le ha prodotte. Ma se il
problema è filosofico, la risposta rimane mitica. Il caos, la
terra, l‘amore, ecc. sono personificati in entità mitiche.
Un‘ulteriore affermazione dell‘esigenza filosofica si nota
nella religione dei Misteri diffusasi in Grecia a cominciare
dal VI secolo a.C. e soprattutto nell‘orfismo. L‘orfismo
era dedicato al culto di Dioniso e la rivelazione era
attribuita ad Orfeo che era disceso nell‘Ade. Lo scopo dei
riti che la comunità celebrava era quello di purificare
l‘anima dell‘iniziato per sottrarla alla trasmigrazione nel
corpo di altri esseri viventi.
Ma il clima nel quale poté nascere e fiorire la filosofia
greca fu preparato dalla poesia. Il concetto di una legge
unitaria del mondo umano si trova per la prima volta in
Omero. L‘Odissea è tutta dominata dalla fede in una legge
di giustizia, di cui gli dèi sono custodi e garanti, legge che
determina nelle vicende umane un ordine provvidenziale,
per il quale il giusto trionfa e l‘ingiusto viene punito. Da
Esiodo questa legge viene personificata in Dike, figlia di
Zeus, che vigila affinché siano puniti gli uomini che
5
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
commettono ingiustizia. Solone afferma con grande
energia l‘infallibilità della punizione che colpisce Siro,
colui che infrange la norma di giustizia, sulla quale è
fondata la vita associata: anche dice quando il colpevole si
sottrae alla punizione, questa colpisce infallibilmente i
suoi discendenti. Pertanto la legge di giustizia è anche
norma di misura. Eschilo è infine il profeta religioso di
questa legge universale di giustizia, della quale la sua
tragedia vuole esprimere il trionfo. Prima, dunque, che la
filosofia scoprisse l‘unità della legge al di sotto della
molteplicità dispersa dei fenomeni naturali, la poesia greca
ha scoperto l‘unità della legge al di sotto delle vicende
apparentemente disordinate della vita umana associata.
Il concetto di filosofia
Pitagora avrebbe usato per primo la parola filosofia in un
significato il specifico. Alla saggezza si erano ispirati i
Sette Savi, che però erano ancora chiamati sofisti
(sapienti), come sofista era chiamato Pitagora. Più tardi, la
parola filosofia verrà ad assumere due significati
fondamentali. Il primo e più generale è quello della ricerca
autonoma o razionale in qualsiasi campo; in questo senso
tutte le scienze fanno parte della filosofia. Il secondo
significato, più specifico, indica una particolare ricerca,
che ha come oggetto di studio ciò che in qualche modo è
fondamentale o basilare, sia in relazione alla realtà (= la
metafisica come dottrina delle cause ultime o supreme
delle cose), sia in relazione alla conoscenza (= la
gnoseologia e la logica come studio dell‘origine o della
validità ultima delle nozioni e dei ragionamenti), sia in
6
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
relazione al comportamento (= l‘etica e la politica come
studio dei motivi e degli scopi ultimi dell‘azione
individuale e sociale) ecc. In sintesi, la filosofia, presso i
Greci, assunse il carattere di una ricerca radicale sui
fondamenti dell‘essere, del conoscere e dell‘agire e fu
perciò considerata la regina del sapere.
Nella Metafisica di Aristotele vengono indicate almeno
tre caratteri tipici che distinguono la filosofia da altri tipi
di conoscenze come le scienze particolari, l'arte e la
religione: 1) totalità: l'oggetto o contenuto della filosofia è
l'intero, la totalità delle cose, tutta quanta la realtà - per
cui si ha la ricerca del primo principio di tutte le cose.
Conoscere tutte le cose non significa conoscere tutte le
singole cose, ma conoscere un universale in cui rientrano
tutte le cose particolari da esso unificate, un principio o
più principi da cui tutte le cose derivano. Fu questo il
tentativo dei fisici, trovare quella realtà naturale che resta
sempre, da cui tutto ha origine.; 2) razionalità: il metodo di
ricerca è il logos, la spiegazione puramente razionale, - per
cui si ha la ricerca delle cause; il metodo distingue la
filosofia dall'arte e dalla religione;3) ricerca disinteressata:
lo scopo della ricerca filosofica è la verità, conoscere e
contemplare la verità. La filosofia ha un carattere
esclusivamente teoretico, ossia mira a conoscere la verità
per se stessa, prescindendo dalle sue utilizzazioni,pratiche;
è "disinteressato amore del vero".
Le scuole filosofiche
Fin dall‘inizio la ricerca filosofica fu in Grecia una ricerca
associata. Gli scolari si riunivano a vivere una vita comune
7
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
e vivevano tra loro in comunanza di pensiero e di costumi,
in uno scambio continuo di dubbi, di difficoltà e di
ricerche. Quasi tutte le grandi personalità della filosofia
greca sono i fondatori di una scuola, di un centro di
ricerche. La ricerca filosofica non chiudeva, secondo i
Greci, l‘individuo in se stesso; esigeva anzi una
concordanza di sforzi, una comunicazione incessante tra
gli uomini che ne facevano lo scopo fondamentale della
vita e determinava quindi una solidarietà salda ed effettiva
tra coloro che vi si dedicavano.
8
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
CAPITOLO 2
I filosofi naturalisti
La scuola di Mileto
Nella storiografia tradizionale il termine presocratici
indica i filosofi, per lo più anteriori a Socrate, che si sono
principalmente occupati del problema della natura. I
filosofi naturalisti (o presocratici, o meglio, presofisti) non
costituiscono un insieme compatto di filosofi, ma si
distinguono in numerose scuole e tendenze: Gli Ionici di
Mileto: Talete, Anassimandro e Anassimene. I Pitagorici:
Pitagora e seguaci. Gli Eracitei: Eraclito e seguaci. Gli
Eleati: Parmenide e seguaci. I Fisici posteriori:
Empedocle, Anassagora e Democrito. Geograficamente
operano, in un primo tempo, nelle colonie greche della
Ionia (scuola di Mileto ed Eraclito) oppure nella Magna
Grecia (Pitagorici ed Eleati).
La civiltà ionica
Nel VI secolo a.C. si sviluppò nella Ionia, che si trova
nella parte meridiana dell‘Asia Minore, una fiorente
civiltà, che ebbe i suoi centri più importanti in Mileto,
Efeso, Colofone, Clazomene, Samo e Chio. In queste città
una classe intraprendente di mercanti, desiderosa di
sbocchi commerciali e di materie prime, aveva costruito
una flotta mercantile, il cui spazio di manovra si estendeva
dal Mar Nero all‘Egitto, dal Caucaso alla Francia
meridionale, dalla Sicilia alla Spagna. La pressione
9
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
demografica aveva favorito l‘emigrazione in altre terre;
colonie ioniche erano sorte in Sicilia, nella Magna Grecia
(Elea e Crotone) e sulle coste del Mar Nero. Il rapido
sviluppo di forme politiche democratiche, il rigoglio delle
tecniche, i contatti con le civiltà del vicino Oriente, sono
tutti fattori che contribuiscono all‘elaborazione di una
nuova cultura, impegnata a liberarsi dalle credenze mitiche
e religiose, e volta ad un‘osservazione più attenta e
razionale dei fenomeni naturali. Da ciò l‘emergere di una
figura di intellettuale che è contemporaneamente filosofo,
scienziato e tecnico.
La ricerca dell‘arché
Il pensiero dei primi filosofi si incentra soprattutto sul
problema della realtà primaria. Di fronte allo spettacolo
multiforme del mondo, costituito da una molteplicità di
cose in continuo mutamento, gli Ionici si convincono che,
al di sotto di tutto, esiste una realtà unica ed eterna, di cui
ciò che esiste è solo temporanea manifestazione. Essi
denominano tale sostanza arché (principio), intendendo,
con questo concetto, la materia da cui tutte le cose
derivano e la forza o legge che spiega la loro nascita e
morte. Da ciò l‘ilozoismo e il panteismo di questi primi
filosofi: ilozoismo (dal greco materia vivente) in quanto
essi ritengono che la materia primordiale sia fornita di una
forza intrinseca che la fa muovere; panteismo (dal greco
tutto è Dio) poiché tendono ad identificare il principio
eterno del mondo con la divinità.
10
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
L‘iniziatore della scuola ionica è Talete, che visse tra la
fine del VII secolo e la prima metà del VI, e fu uomo
politico, astronomo, matematico e fisico, oltre che
filosofo. Come astronomo predisse una eclisse solare.
Come matematico trovò vari teoremi di geometria e come
fisico scoprì le proprietà del magnete. La sua fama di
saggio è testimoniata dall‘aneddoto riferito da Platone,
secondo cui osservando il cielo, cadde in un pozzo,
suscitando il riso di una servetta. Non pare che abbia
lasciato scritti filosofici e dobbiamo ad Aristotele la
conoscenza della sua dottrina. Talete dice che il principio
l‘acqua, perciò anche sosteneva che la terra sta sopra
l‘acqua; prendeva forse argomento dal fatto che il
nutrimento d‘ogni cosa è umido e persino il caldo si
genera e vive nell‘umido; ora ciò da cui tutto si genera è il
principio di tutto. Aristotele osserva che questa credenza è
antichissima; Omero ha cantato che Oceano e Teti sono
principi della generazione.
Concittadino e contemporaneo di Talete, Anassimandro
nacque nel 610-609. Fu anch‘egli uomo politico ed
astronomo. È il primo autore di scritti filosofici in Grecia e
la sua opera in prosa Intorno alla natura segna una tappa
notevole nella speculazione cosmologica. Per primo egli
chiamò la sostanza originaria col nome di arché; e
riconobbe tale principio non nell‘acqua nell‘aria o in altro
particolare elemento, ma in un principio infinito o
indeterminato (ápeiron) dal quale tutte le cose hanno
origine e nel quale tutte le cose si dissolvono. L'ápeiron
("senza perimetro") è tradotto comunemente con infinito,
indeterminato, indefinito. Questo stato originario non si
11
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
identifica con un elemento fisico, è l'inizio e la fine di
tutto. Uno stato in cui acqua, fuoco, terra e aria si
mescolano in una sola cosa. Questo principio infinito
abbraccia e governa ogni cosa; per suo conto è immortale,
quindi divino. Anassimandro si è anche posto il problema
del processo attraverso il quale le cose derivano dalla
sostanza primordiale. Tale processo è la separazione: la
sostanza infinita è animata da un eterno movimento, in
virtù del quale si separano da essa i contrari, caldo e
freddo, secco ed umido, ecc. Per mezzo di questa
separazione si generano i mondi infiniti, che si succedono
secondo un ciclo eterno. Per ogni mondo, il tempo della
nascita, della durata e della fine è segnato. Tutti gli esseri
devono, secondo l‘ordine del tempo, pagare gli uni agli
altri il fio della loro ingiustizia Evidentemente, questa
separazione è la rottura dell‘unità, che è propria
dell‘infinito; è il subentrare della diversità, quindi del
contrasto, là dove erano l‘omogeneità e l‘armonia. Con la
separazione dunque si determina la condizione propria
degli esseri finiti: molteplici, diversi e contrastanti fra loro,
perciò inevitabilmente destinati a scontare con la morte la
loro stessa nascita e a ritornare all‘unità.
Anassimene, più giovane di Anassimandro e forse suo
discepolo, visse fra il 546-545 e il 528-525 a.C. Come
Talete, egli riconosce come principio una materia
determinata, che è l‘aria; ma a tale materia attribuisce i
caratteri del principio di Anassimandro: l‘infinità e il
movimento incessante. Egli vedeva nell‘aria anche la forza
che anima il mondo. Anassimene ci dice anche il modo in
cui l‘aria determina la trasformazione delle cose: questo
12
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
modo è il doppio processo della rarefazione e della
condensazione: rarefacendosi, l‘aria diventa fuoco;
condensandosi diventa vento, poi nuvola e, condensandosi
ancora, acqua, terra e quindi pietra.
I Pitagorici
Pitagora nacque a Samo, probabilmente nel 571-570,
venne in Italia nel 532-531 e morì nel 497-496. A Crotone
fondò una scuola che fu anche un‘associazione religiosa e
politica e si diffuse ben presto in tutte le città greche
dell‘Italia meridionale, assumendo molte volte il potere
politico ed esercitandolo in senso aristocratico. La sola
dottrina filosofica che gli si può con certezza attribuire è
quella della metempsicosi, cioè della trasmigrazione
dell‘anima, dopo la morte, in corpi di animali o di altri
uomini. Pitagora considerava il corpo come una prigione
dell‘anima e la vita corporea come una punizione. La
filosofia è la via per liberare l‘anima dal corpo, via che
esige la sapienza da un lato e dall‘altro i riti purificatori,
che la setta praticava. La scienza viene così ad assumere
per i Pitagorici il valore di un mezzo per purificare l‘anima
e condurla alla salvezza e alla liberazione.
Ai Pitagorici si deve la creazione della matematica come
scienza. Anche se è vera la tradizione che Pitagora abbia
desunto l‘ispirazione delle sue dottrine matematiche dagli
Egiziani e da altri popoli orientali, presso i quali si sarebbe
intrattenuto durante i suoi viaggi, egli non poteva
apprendere da questi popoli se non la conoscenza delle
semplici operazioni geometriche. I Pitagorici invece
13
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
cominciarono a trattare la matematica (che deve ad essi il
suo nome) come una vera e propria scienza, elaborando
concettualmente i suoi termini fondamentali (quantità,
punto, linea, superficie, angolo, corpo) e facendo
astrazione da tutte le applicazioni pratiche. Essi inoltre
stabilirono quel carattere rigoroso della dimostrazione
matematica, che fu poi la norma della matematica greca e
ha costituito, da allora in poi, l‘ideale di ogni disciplina
che si voglia organizzare scientificamente. La filosofia dei
Pitagorici era un riflesso della loro matematica. La tesi
fondamentale di questa filosofia è che il numero è il
principio delle cose. Invece dell‘acqua, dell‘aria o di altri
elementi materiali, i Pitagorici riconobbero il numero
come l‘elemento di cui sono costituite le cose. Il numero
era considerato dai Pitagorici come un insieme di unità e
l‘unità era considerata identica al punto geometrico. Il
numero 10, considerato come il numero perfetto, era
rappresentato come un triangolo che ha il quattro per lato e
costituiva la sacra figura della tetraktis. Aritmetica e
geometria venivano così fuse, un numero era nello stesso
tempo una figura geometrica; e una figura geometrica era
un numero. Ma la figura geometrica è una disposizione, un
ordinamento di punti nello spaio: il numero esprime la
misura di questo ordinamento. Il concetto che è alla base
del principio pitagorico che le cose sono numeri è,
dunque, quello di un ordine misurabile. Affermare, come
facevano i Pitagorici, che le cose sono costituite di numeri
e che quindi tutto il mondo è fatto di numeri, significa che
la vera natura del mondo, come delle singole cose,
consiste in un ordinamento geometrico esprimibile in
numeri (misurabile). Infatti, mediante il numero è
14
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
possibile spiegare moltissimi fenomeni naturali. In effetti
qualunque cosa è riconducibile ad una struttura
quantitativa e quindi misurabile. E qui è veramente la
grande importanza dei Pitagorici, che per primi hanno
ricondotto la natura all‘ordine misurabile, oggettivo. Il
numero si divide in dispari e pari: questa opposizione si
riflette in tutte le cose, quindi anche nel mondo. Il dispari
è, nella sua essenza, un‘entità limitata, ovvero terminata e
compiuta. Il pari è ne un‘entità illimitata, ossia non
compiuta e non terminata. Il pitagorismo è quindi una
filosofia dualistica poiché intende spiegare la realtà sulla
base di una contrapposizione di principio fra limite e
illimitato, fra pari e dispari. A queste opposizioni i
Pitagorici ne aggiunsero altre, nelle quali l‘ordine, il bene
e la perfezione stanno sempre dalla parte del limite e del
dispari, mentre il disordine, il male e l‘imperfezione
stanno sempre dalla parte del pari e dell‘illimitato.
Abbiamo così dieci opposizioni fondamentali: 1) limite,
illimitato; 2) o dispari, pari; 3) unità, molteplicità; 4)
destra, sinistra; 5) maschio, femmina; 6) quiete, ai
movimento; 7) retta, curva; 8) luce, tenebra; 9) bene, male;
10) quadrato, rettangolo.
La fisica
In astronomia, i Pitagorici sostennero per primi la sfericità
della terra e dei corpi celesti in genere. A ciò essi furono
condotti dalla credenza che la sfera è la più perfetta tra le
figure solide, perché, avendo tutti i suoi punti equidistanti
dal centro, è l‘immagine stessa dell‘armonia. Ma essi
ebbero anche altre geniali intuizioni che li fanno
15
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
riconoscere come i più antichi precursori di Copernico. Il
pitagorico Filolao sostenne che la terra stessa e tutti gli
altri corpi celesti si muovono intorno a un fuoco centrale,
altare dell‘universo, che ordina e plasma la materia
illimitata circostante, dando origine al mondo. Egli ritenne
pure che intorno al Fuoco centrale si muovono, da
occidente a oriente, dieci corpi celesti: il cielo delle stelle
fisse, che è il più lontano dal centro, e poi, a distanza
sempre minore, i cinque pianeti (Saturno, Giove, Marte,
Mercurio, Venere), il sole (che come una grande lente
raccoglie i raggi del fuoco centrale e li riflette intorno), la
luna, la terra e l‘antiterra, il pianeta ipotetico che Filolao
ammise per completare il sacro numero di dieci.
I Pitagorici utilizzavano la matematica anche per
l‘interpretazione dell‘uomo. Essi consideravano l‘anima
umana come armonia: essa risulterebbe dalla
composizione armonica degli elementi che compongono il
corpo, così come l‘armonia musicale risulta dagli elementi
che compongono lo strumento musicale.
Eraclito
Di Eraclito, che visse ad Efeso, tra il VI e il V secolo,
sappiamo pochissimo. Scrisse un‘opera in prosa, Intorno
alla natura, costituita da aforismi che per la loro
enigmaticità spiegano l‘appellativo di oscuro con cui
Eraclito è stato soprannominato dalla tradizione. Alla base
del pensiero di Eraclito vi è la contrapposizione tra la
filosofia, da lui identificata con la verità, e la comune
mentalità degli uomini, da lui ritenuta luogo di errore.
Eraclito è passato alla tradizione come il filosofo dei
16
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
divenire, in quanto concepisce il mondo come un flusso
perenne, in cui ―tutto scorre‖ (panta réi), analogamente
alla corrente di un fiume le cui acque non sono mai le
stesse: non è possibile discendere due volte nello stesso
fiume, né toccare due volte una sostanza mortale nello
stesso stato. Ogni cosa è soggetta al tempo e alla
trasformazione, ed anche ciò che sembra statico e fermo in
realtà è dinamico. Questa concezione della realtà come
fluire si concretizza nella tesi secondo cui l‘arché delle
cose è il Fuoco, elemento mobile e distruttore per
eccellenza, che ben simboleggia la visione eraclitea del
cosmo come energia in perpetua trasformazione, in cui
tutto ciò che esiste proviene dal Fuoco e ritorna al Fuoco,
secondo il duplice processo della ―via in giù‖ (il fuoco,
condensandosi, diventa acqua e poi terra) e della ―via in
su‖ (la terra, rarefacendosi, si fa acqua e poi fuoco).
La legge dei contrari
La parte più originale del pensiero eracliteo è la teoria
dell‘unità dei contrari. I molti, dice Eraclito, ritengono che
un opposto possa esistere senza l‘altro (ad esempio il bene
senza il male). Questa credenza è un‘illusione, poiché la
legge segreta del mondo risiede proprio nella stretta
connessione dei contrari, che lottano fra di loro. Ciò che a
prima vista può sembrare disordine e irrazionalità, cioè la
lotta delle cose fra di loro, manifesta invece, ad uno
sguardo più profondo, una sua interiore razionalità (lògos),
consistente nel fatto che un opposto non può esistere
indipendentemente dall‘altro. Eraclito individua l‘arché
originario nel Fuoco o nel Lògos, intendendo con il primo
concetto il principio fisico che costituisce le cose e con il
17
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
secondo la legge universale che le governa. La scoperta
dell‘unità degli opposti porta Eraclito a ritenere che
l‘armonia del mondo non risieda nella conciliazione dei
contrari, ma nel mantenimento del conflitto. La vita è lotta
ed opposizione e la sua armonia risiede proprio in questo
fatto, senza di cui non ci sarebbe l‘essere. Questa visione
cosmologica sfocia nell‘identificazione panteistica del
Tutto con Dio, inteso come Unità di tutti i contrari. In un
celebre frammento Eraclito scrive: ―la divinità è giornonotte, inverno-estate, guerra-pace, sazietà-fame‖. Questo
Dio-Tutto, che comprende in sé ogni cosa, costituisce una
realtà increata che esiste da sempre e per sempre.
La scuola di Elea
L‘Eleatismo, che fiorisce nelle colonie greche dell‘Italia
meridionale, pretende dì giungere ad un Essere unico,
eterno e immutabile, di fronte a cui il nostro mondo è solo
apparenza ingannatrice. Gli Eleati sostengono infatti che le
cose non sono come i sensi e l‘esperienza le manifestano,
ma come la ragione le pensa secondo una logica rigorosa.
Tradizionalmente, l‘iniziatore dell‘Eleatismo è ritenuto
Senofane di Colofone. Il punto di partenza di Senofane è
una critica risoluta dell‘antropomorfismo religioso, qual è
proprio delle credenze comuni dei Greci e quale si ritrova
anche in Omero ed Esiodo. Gli uomini credono che gli dèi
hanno avuto nascita e hanno voce e corpo simile al loro.
Perciò gli Etiopi fanno i loro dèi camusi e neri, i Traci
dicono che hanno occhi azzurri e capelli rossi; e anche i
buoi, i cavalli e i leoni, se potessero, immaginerebbero la
divinità a loro somiglianza. In realtà, c‘è una sola divinità
che non somiglia agli uomini né per il corpo né per il
18
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
pensiero. Quest‘unica divinità si identifica con l‘universo,
è un dio-tutto, e ha l‘attributo dell‘eternità: non nasce e
non muore, poiché se nascesse, ciò significherebbe che
prima non era; ma ciò che non è, neppure può nascere.
Parmenide
Il fondatore della scuola eleatica è Parmenide di Elea,
colonia greca situata sul costa della Campania a sud di
Paestum. Visse in un periodo di tempo compreso fra 550 e
il 450. Espose il suo pensiero in un‘opera in versi che fu
poi titolata Intorno alla natura. Il poema può essere diviso
in quattro parti. La prima consiste in un proemio nel quale
il filosofo descrive un suo viaggio all‘interno del territorio
della città di Elea, che si svolge su di un carro trainato da
cavalle e si conclude con l‘incontro con una dea. Nella
seconda parte la dea descrive quali sono i limiti e le
possibilità della conoscenza razionale e, in particolare,
distingue fra conoscenze sicuramente vere, sicuramente
false e solo probabili. Nella terza parte la dea descrive
dettagliatamente le conoscenze assolutamente vere e certe
cui può giungere la conoscenza razionale. Nella quarta
parte la dea descrive le conoscenze intorno ai singoli enti
della natura che la ragione deve considerare solamente
probabili, ma non sicuramente vere. Secondo Parmenide
di fronte all‘uomo si aprono sostanzialmente due vie: il
sentiero della verità, basato sulla ragione, che ci porta a
conoscere l‘Essere vero, e il sentiero dell‘opinione, basato
sui sensi, che ci porta a conoscere l‘Essere apparente.
Parmenide, fondandosi sui principi d‘identità e di noncontraddizione, sostiene che la strada della ragione ci dice
una cosa: l‘essere è e non può non essere, mentre il non
19
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
essere non è e non può essere. Con questa tesi Parmenide
intende affermare che solo l‘essere esiste, mentre il non
essere, per definizione, non esiste e non può venir pensato.
Il non essere risulta impensabile ed inesprimibile: è
necessario il dire e il pensare che l‘essere sia: l‘essere è; il
nulla non è; la stessa cosa è pensare ed essere. Da questa
premessa, mediante una logica rigorosa, Parmenide ricava
una serie di attributi basilari che, a suo parere,
caratterizzano l‘essere autentico. Partendo dal presupposto
che bisogna rifiutare tutto ciò che comporta il non essere.
Parmenide sostiene che l‘essere è ingenerato e imperituro,
perché se nascesse e perisse implicherebbe in qualche
modo il non-essere (in quanto nascendo verrebbe nulla e
morendo si dissolverebbe nel nulla). Di conseguenza,
l‘essere è eterno, poiché fosse nel tempo implicherebbe il
non essere del passato (che è ciò che non è più) non essere
del futuro (che è ciò che non è ancora). L‘essere vero è
immutabile ed immobile, perché se muta si muovesse
implicherebbe di nuovo il non-essere, in quanto si
troverebbe in una serie di stati in cui prima non era.
L‘essere è unico ed omogeneo, perché se fosse molteplice
o in sé differenziato implicherebbe degli intervalli di nonessere. Infine, l‘essere è finito, poiché, secondo la
mentalità greca di Parmenide, la finitudine è sinonimo di
perfezione.
Il mondo dell‘apparenza e dell‘opinione
Come deve essere inteso il mondo in cui viviamo, cioè
quella zona della realtà che i sensi ci testimoniano e che
presenta degli attributi diametralmente opposti a quelli
dell‘essere vero, essendo molteplice, generato, perituro,
20
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
temporale, mutevole? Parmenide, conseguentemente
rispetto alle premesse del suo pensiero, risponde che esso,
in quanto implica il non essere, risulta pura apparenza o
illusione. Nella seconda parte del suo poema, dedicata
all‘opinione, come la prima era dedicata alla verità,
Parmenide si proponeva di fornire una teoria verosimile
del mondo dell‘esperienza e dell‘apparenza.
Zenone di Elea
Fu scolaro di Parmenide. Gli avversari di Parmenide
affermavano che, se la realtà è una, come Parmenide
ritiene, ci si trova imbrogliati in molte e ridicole
contraddizioni. Zenone risponde che se si ammette che la
realtà è molteplice e mutevole, si incontrano
contraddizioni anche maggiori. Zenone perciò vuole
ridurre all‘assurdo le dottrine che ammettono la
molteplicità e il mutamento e così confermare
indirettamente le tesi di Parmenide. Il metodo di cui
Zenone si serve è quello della dialettica: la quale consiste
nell‘ammettere
in
via
d‘ipotesi
l‘affermazione
dell‘avversario per ricavarne conseguenze che la
confutano. Tale è il procedimento di Zenone che ammette
ipoteticamente la molteplicità e il mutamento per
dimostrarne l‘assurdità.
Gli argomenti contro la pluralità
Alcuni degli argomenti di Zenone sono contro la pluralità
delle cose, altri contro il movimento. Uno degli argomenti
contro la pluralità è il seguente. Se le cose sono molte, il
loro numero è, contemporaneamente, finito e infinito:
finito, perché esse non possono essere né più né meno di
21
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
quante sono; infinito, perché tra due cose ce ne sarà
sempre una terza e tra questa e le altre due ce ne saranno
altre ancora; e così via all‘infinito. Ammettere dunque che
le cose sono molte significa chiudersi in una
contraddizione.
Gli argomenti contro la realtà del movimento
Il primo è quello cosiddetto dello stadio. Non si può
arrivare all‘estremità dello stadio, giacché bisognerebbe
arrivare prima alla metà di esso e prima ancora alla metà
di questa metà e così via all‘infinito. Ma non è possibile
percorrere in un tempo finito infinite parti di spazio. Il
secondo argomento è quello dell‘Achille. Se una tartaruga
ha un passo di vantaggio, non sarà mai raggiunta dal pié
veloce Achille. Difatti, prima di raggiungerla, dovrà
raggiungere la posizione occupata precedentemente dalla
tartaruga, che si sarà spostata di un intervallo, sia pure
piccolissimo, di spazio; così la distanza tra Achille e la
tartaruga non si ridurrà mai a zero. Il terzo argomento è
quello della freccia. La freccia che appare in movimento è
in immobile: difatti essa occuperà ad ogni istante soltanto
uno spazio determinato, rari alla sua lunghezza; e poiché il
tempo in cui essa si muove è fatto di molteplici istanti, per
ognuno di questi istanti, e per tutti, la freccia sarà
immobile. Il quarto argomento, più complesso, è quello
delle masse nello stadio. Esso afferma che in uno stadio un
punto mobile va ad una certa velocità, e simultaneamente
al doppio di essa, a seconda che sia rapportato ad un punto
immobile oppure ad un punto che si muove in senso
contrario alla stessa velocità, generando in tal modo
l‘assurdo logico che la metà del tempo è uguale al doppio.
22
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
I fisici pluralisti
I filosofi tornano ad interessarsi del problema della natura.
Tuttavia, anche per essi, Parmenide non è passato invano.
Anzi la loro filosofia rappresenta un primo tentativo di
sintesi fra l‘Eraclitismo e l‘Eleatismo. Da Eraclito e dalla
scuola ionica essi accettano l‘idea del divenire incessante
delle cose. Da Parmenide accolgono invece il concetto
dell‘eternità ed immutabilità dell‘essere. Ma come
conciliare le opposte affermazioni del divenire delle cose e
dell‘eternità ed immutabilità di fondo della natura? Questi
filosofi risolvono genialmente il problema distinguendo tra
composti (mutevoli) ed elementi (immutabili). Essi
ritengono, infatti, che le cose del mondo siano costituite di
elementi eterni, ad esempio gli atomi, che unendosi tra di
loro danno origine a ciò che noi chiamiamo nascita e
disunendosi provocano ciò che noi chiamiamo morte. In
tal modo essi finiscono per giungere al principio secondo
cui, in natura, nulla si crea e nulla si distrugge veramente,
ma tutto si trasforma soltanto. Tali filosofi vengono anche
detti fisici pluralisti, in quanto ritengono che i principi
della natura siano molteplici (ad esempio le radici di
Empedocle, i semi di Anassagora e gli atomi di
Democrito).
Empedocle
Empedocle di Agrigento nacque verso il 492. Di lui ci
sono rimasti frammenti più abbondanti che di qualsiasi
altro filosofo presocratico, appartenenti a due poemi, Sulla
natura e Purificazioni: il primo è di carattere cosmologico,
il secondo è di carattere teologico. Come Parmenide,
23
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Empedocle ritiene che l‘essere non possa nascere né
perire; ma a differenza di Parmenide vuole spiegare
l‘apparenza della nascita e della morte e la spiega
ricorrendo al combinarsi e dividersi degli elementi che
compongono la cosa. La nascita e la morte consistono nel
mescolarsi e nel dissolversi di alcuni elementi originari,
sempre uguali a se stessi, indistruttibili, immutabili ed
eterni. Questi elementi, che Empedocle chiama radici di
tutte le cose, sono quattro: acqua, aria, terra e fuoco.
Empedocle recupera in tal modo la fisica degli Ionici, ma
attribuisce alle radici i caratteri dell‘essere parmenideo,
che viene diviso in più entità originarie. Tutte le cose sono
quindi dei composti in cui sono sempre presenti tutti e
quattro gli elementi, ma in differente misura. Mescolanza
e dissoluzione presuppongono il movimento. Il
movimento è dato da due forze cosmiche opposte, una di
attrazione e l‘altra di repulsione: Philìa (Amore, Amicizia)
e Néikos (Contesa, Odio). C‘è una fase in cui l‘Amore
domina completamente ed è lo Sfero nel quale tutti gli
elementi sono unificati e legati nella più completa
armonia. Ma in questa fase non c‘è né il sole né la terra né
il mare, perché non c‘è altro che un Tutto uniforme, una
divinità che gode della sua solitudine. L‘azione della
Contesa rompe questa uniti e comincia ad introdurre la
separazione degli elementi. Ma ad un certo punto, essa
determina la formazione delle cose quali sono nel nostro
mondo, il quale è il prodotto dell‘azione combinata delle
due forze e sta a metà strada tra il regno dell‘Amore e
quello dell‘Odio. Continuando l‘Odio ad agire, le cose
stesse si dissolvono e si ha il regno del caos: il puro
dominio dell‘Odio. Ma, allora, spetta di nuovo all‘Amore
24
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
il ricominciare la riunificazione degli elementi: a metà
strada si avrà di nuovo il mondo attuale, mescolato d‘odio
e d‘amore e finalmente si ritornerà allo Sfero, dal quale
ricomincerà un nuovo ciclo.
Anassagora
Anassagora ammette il principio di Parmenide che nulla
nasce e nulla perisce; ma l‘interpreta nel senso che nascere
significa riunirsi e perire significa separarsi. Gli elementi
che si separano e si uniscono sono i ―semi‖, particelle
piccolissime e invisibili di materia. Queste particelle sono
di qualità diverse: ci sono semi di oro, di pietra, di carne,
di ossa ecc. Esse sono chiamate semi perché, come dal
seme si genera la pianta, così da quelle particelle si
generano tutte le cose corporee. Da Aristotele furono dette
omeomerie, cioè parti simili, perché hanno gli stessi
caratteri del tutto che entrano a costituire. Dai semi
Anassagora distingue la forza che li fa muovere e li
ordina. Questa forza è una intelligenza divina (Nous) che
unisce i semi originariamente confusi e determina così
l‘ordine nel mondo. L‘intelligenza, secondo Anassagora,
ha prodotto, nel caos primordiale dei semi, un movimento
turbinoso che per la sua rapidità ha fatto dividere le
sostanze secondo l‘opposizione del caldo e del freddo,
della luce e dell‘oscurità. Lo stesso movimento turbinoso
ha fatto staccare, dalla terra, masse che si sono infiammate
e, divenute così luminose, hanno formato gli astri e lo
stesso sole. Gli animali e l‘uomo si sono formati dai semi
provenienti dall‘aria, la quale, come tutte le altre cose,
comprende tutti i semi possibili. Platone e Aristotele
notarono come Anassagora, nelle sue spiegazioni, ricorra
25
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
il meno possibile al principio intelligente e solo quando gli
difetta la spiegazione naturalistica. Va sottolineato
comunque come in Anassagora sia apparsa per la prima
volta la teoria di una Mente ordinatrice e di
un‘Intelligenza che sta alla base del mondo.
Democrito e l‘atomismo
Democrito, cronologicamente parlando, è un postsocratico, in quanto risulta contemporanèo non solo di
Socrate, ma anche dei suoi primi discepoli, come Platone.
Fondatore dell‘atomismo fu Leucippo di Mileto, che
sembra abbia scritto una grande cosmologia. In assenza di
informazioni precise, il suo pensiero non viene distinto da
quello del discepolo Democrito, il quale nacque ad Abdera
probabilmente intorno al 460-459 a.C.
La distinzione eleatica fra apparenza e realtà rivive in tutta
la sua forza anche nell‘atomismo. Democrito, sulla scia di
Parmenide, e in parte di Eraclito, ritiene che l‘occhio del
filosofo, spingendosi oltre la mutevole e variopinta scena
del mondo, debba cercare di raggiungere la realtà
autentica delle cose, conscio che la verità dimora nel
profondo. Come già in Parmenide, questa convinzione si
traduce in un‘antitesi fra la conoscenza sensibile, detta
oscura, e la conoscenza razionale detta genuina. Infatti,
mentre i sensi si limitano a vagare alla superficie delle
cose, la conoscenza intellettuale riesce a cogliere l‘essere
vero del mondo: gli atomi, il vuoto e il loro movimento.
Gli atomisti identificano l‘essere con il pieno e il nonessere con il vuoto. Il pieno è la materia, il vuoto è lo
spazio in cui essa si muove, la materia è a sua volta
26
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
costituita da un insieme di atomi, cioè di particelle
indecomponibili (secondo l‘etimologia stessa di a-torno,
che in greco significa non-divisibile). Tale concetto è il
frutto di una deduzione razionale, che discende da una
riflessione sulla problematica della divisibilità all‘infinito
sollevata da Zenone. Contro quest‘ultimo, gli atomisti
affermano che la divisibilità vale solo in campo logico, ma
non in quello reale, in quanto non è assolutamente
possibile pensare di dividere all‘infinito la realtà materiale,
perché altrimenti a furia di dividere la materia, la realtà si
dissolverebbe nel nulla e quindi dalla materia si
passerebbe alla non-materia, Ma se al fondo della natura vi
fosse il nulla, non si capirebbe come da tale niente possa
derivare la realtà concreta e materiale dei corpi,
esattamente come dalla somma di tanti zeri possa derivare
un numero qualsiasi. Di conseguenza, secondo Democrito,
se si vuole spiegare razionalmente ciò che appare, si è
obbligati ad ammettere che esistano delle particelle
minime della materia, non ulteriormente divisibili.
Le proprietà degli atomi
Democrito assegna agli atomi gli attributi dell‘essere di
Parmenide: sono pieni, immutabili, ingenerati ed eterni.
Tra di loro non vi sono differenze qualitative, perché son
fatti tutti della medesima stoffa materiale. Essi si
distinguono solo per le note quantitative della forma
geometrica e della grandezza. Gli atomi determinano la
nascita e la morte delle cose con la reciproca unione e
separazione. Essi sono, atomi secondo il paragone di
Aristotele, simili alle lettere dell‘alfabeto, che differiscono
tra loro per la forma e danno luogo a parole e a discorsi
27
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
diversi disponendosi e combinandosi diversamente. Tutte
le qualità dei corpi dipendono o dalla figura degli atomi o
dall‘ordine e dalla combinazione di essi. Gli atomi sono
immersi in uno spazio vuoto, che viene anch‘esso dedotto
per via razionale. Infatti, se c‘è il movimento, sostiene
Democrito, ci deve per forza essere il vuoto. Poiché gli
atomi sono infiniti ed infinite sono le loro possibilità di
combinazione, Democrito ritiene che vi siano infiniti
mondi che perpetuamente nascono e muoiono. Esisteranno
mondi senz‘acqua, e quindi privi di esseri viventi oppure
mondi con più soli e con più lune, ma anche mondi
analoghi al nostro.
Il materialismo e il meccanicismo
La filosofia atomistica si presenta così come una compiuta
concezione materialistica e meccanicistica. Materialistica,
perché l‘essere si risolve integralmente negli atomi ossia
in entità materiali; meccanicistica, perché nell‘universo
non è rinvenibile nessun fine, nessuna disegno intelligente,
ma tutto viene spiegato col semplice movimento degli
atomi. In questo senso Dante dirà che «Democrito il
mondo a caso pone». Tuttavia, che il mondo non sia il
prodotto di una Intelligenza divina non significa affatto
che esso non sia governato da leggi necessarie, al
contrario: il cosmo rimane un meccanismo ordinato, in cui
ogni evento è il prodotto di una ferrea catena di cause e
tutto ciò che accade è rigidamente determinato.
28
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
CAPITOLO 3
La sofistica e Socrate
I sofisti
Anticamente il termine sophistés (= sapiente) alludeva ad
un uomo esperto, conoscitore di tecniche particolari e di
una vasta cultura generale. Con questo nome si indicavano
ad esempio i Sette Savi, Pitagora e quanti altri si
segnalassero per una qualsiasi attività teorica o pratica.
Sono detti specificamente ―sofisti‖ quei sapienti di
professione che si spostavano di città in città nel V e IV
secolo per tenere lezioni soprattutto di retorica, di
grammatica e teoria del linguaggio, di diritto, di politica e
di morale. Tant‘è vero che Senofonte, ad esempio, bollò i
sofisti come prostituti della cultura. E Platone e Aristotele
li giudicarono infatti falsi sapienti, interessati al successo e
ai soldi più che alla verità. Oggi l‘aggettivo ―sofistico‖ ha
perso il significato filosofico originario e, nel linguaggio
comune, è sinonimo di ―artificioso‖. La critica
contemporanea tende ad una rivalutazione globale della
sofistica e della sua importanza storica e filosofica.
L‘ambiente storico-politico
I sofisti hanno operato una vera e propria ―rivoluzione
filosofica‖, spostando l‘asse della speculazione dalla
natura all‘uomo. Invece di ricercare il ―principio‖ del
cosmo, i sofisti si concentrano sulla politica, le leggi, la
religione, la lingua, l‘educazione, ecc., divenendo in tal
modo filosofi dell‘uomo e della città. Storicamente i dati
più importanti di questo periodo sono la crisi
29
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
dell‘aristocrazia, l‘accresciuta potenza della borghesia
cittadina, l‘allargarsi dei traffici e dei commerci, il
raffinarsi delle tecniche e l‘avvento della democrazia.
Tutto ciò comporta l‘affermarsi di nuovi parametri di
giudizio e un‘accresciuta consapevolezza, da parte
dell‘uomo greco, delle sue prerogative.
Democrazia e insegnamento sofistico
La democrazia è lo spazio operativo entro cui si è mossa
storicamente la corrente dei Sofisti. Infatti, vivere
attivamente in democrazia significa partecipare ad
assemblee, prendervi la parola, far valere con efficace
discorso la propria opinione. A questa necessità vengono
incontro i Sofisti, i quali si ritengono sapienti proprio nel
senso antico del termine: cioè nel senso di rendere gli
uomini abili nelle loro faccende, adatti a vivere insieme,
capaci di avere la meglio nelle competizioni civili.
Sapienza che essi si propongono di insegnare, dietro
pagamento, al ceto dirigente. Per questo motivo, la loro
lezione si limitava a discipline formali, quali la retorica o
la grammatica, oppure a nozioni varie e brillanti quali
potevano essere utili alla carriera di un avvocato o di un
uomo politico.
Caratteristiche della Sofistica
La Sofistica è stata definita come una sorta di Illuminismo
greco. Illuminismo è il movimento culturale che si è
verificato in Europa nel XVIII secolo, avendo come sua
insegna l‘uso libero della ragione in tutti i campi. Un
carattere analogo presenta la Sofistica e la cultura ateniese
dell‘epoca. I miti e le credenze della tradizione vengono
30
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
esplicitamente criticati e sostituiti con nozioni razionali o
che almeno si credono tali. I sofisti, per primi, hanno
elaborato il concetto occidentale di cultura (paidéia),
intesa come la formazione globale di un individuo
nell‘ambito di un popolo o di un contesto sociale. Con essi
il problema educativo balza infatti in primo piano, poiché
si ritiene che la virtù non dipenda dai natali, ma dal sapere,
il quale è insegnabile. Infine, i sofisti si fecero portatori di
istanze panelleniche e cosmopolitiche, che contribuirono
ad un allargamento della mentalità greca ed antica in
genere, per lo più particolaristica e nazionalistica.
Protagora
Il primo e più importante esponente della Sofistica fu
Protagora, che nacque ad Abdera intorno al 490 a.C. Fra le
opere di sicura attribuzione ricordiamo Ragionamenti
demolitori e Le Antilogie.
La dottrina dell‘uomo-misura
La tesi fondamentale di Protagora è espressa dalla
formula: ―L‘uomo è misura di tutte le cose, delle cose che
sono in quanto sono, delle cose che non sono quanto non
sono‖. Alla lettera, questa espressione vuol dire che
l‘uomo è il metro, cioè il soggetto di giudizio, della realtà
o irrealtà delle cose e del loro modo d‘essere e significato.
Sul preciso senso filosofico della tesi esistono però varie
interpretazioni, a seconda del valore che si attribuisce alle
nozioni di uomo e di cose. Una prima interpretazione,
intende per uomo l‘individuo singolo e per cose gli oggetti
percepiti attraverso i sensi. In altre parole, la tesi di
Protagora alluderebbe al fatto che le cose appaiono
31
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
diversamente a seconda degli individui e dei loro stati
fisici e psichici, per cui tante teste e tante situazioni, tante
misure: ad esempio un cibo appare dolce o amaro a
seconda delle persone. Una seconda interpretazione
attribuisce alla parola uomo un significato universale
(―umanità, natura umana‖) e alla parola ‗cose il significato
più vasto di ―realtà in generale‖. Da questo punto di vista,
la tesi di Protagora vorrebbe dire che gli individui
giudicano la realtà tramite parametri comuni tipici della
specie razionale cui appartengono, cioè dell‘umanità. Per
una terza interpretazione l‘uomo sarebbe invece la
comunità o civiltà cui l‘individuo appartiene e le cose
sarebbero soprattutto i valori o gli ideali che ne stanno alla
base. In altre parole, Protagora intenderebbe dire che
ognuno valuta le cose secondo la ―mentalità‖ del gruppo
sociale cui appartiene. La posizione di Protagora è una
forma di umanismo (in quanto ciò che si afferma o si nega
intorno alla realtà presuppone sempre l‘uomo come
criterio di valutazione), di fenomenismo (in quanto noi
non abbiamo mai a che fare con la realtà in se stessa, ma
con il ―fenomeno‖, ossia con la realtà quale ―appare‖ a
noi), di relativismo conoscitivo e morale (in quanto non
esiste una verità ―assoluta‖, ma ogni verità, ideale o
modello di comportamento, è ―relativa‖ a chi giudica
nell‘ambito di una certa situazione).
Il relativismo culturale
Uno scritto anonimo, Ragionamenti doppi che si propone
di dimostrare che le stesse cose possono essere buone o
cattive, belle o brutte, giuste o ingiuste, viene presentato
dal suo autore come summa dell‘insegnamento sofistico.
32
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Ad esempio la morte per chi muore è un male, ma per
gl‘impresari di pompe funebri e per i becchini è un bene.
Che l‘agricoltura dia abbondante raccolto, è un bene per
gli agricoltori, ma per i commercianti è male ecc. La
seconda parte dello scritto è particolarmente interessante
perché contiene l‘esposizione di quello che oggi si chiama
il relativismo culturale, ossia della disparità dei valori che
presiedono alle diverse civiltà umane. Ecco alcuni esempi:
Presso i Macedoni si ritiene bello che le fanciulle prima di
sposarsi amino e si congiungano con un uomo. e dopo le
nozze, brutto; presso i Greci, è brutta l‘una e l‘altra cosa.
Considerazioni di questo genere non sono isolate nel
mondo greco e ricorrono frequentemente nell‘ambiente
sofistico. Ippia negava che la proibizione dell‘incesto
fosse legge naturale dal momento che presso alcuni popoli
è trasgredita. L‘opposizione tra natura e legge, propria di
Ippia e di altri Sofisti, era una conseguenza della
concezione relativistica che i Sofisti avevano dei valori
che presiedono alle diverse civiltà umane.
L‘utile come criterio di scelta
Questo relativismo conoscitivo e morale poteva condurre
alla tesi della equivalenza ideale delle opinioni, cioè alla
dottrina secondo cui, in teoria, tutto è vero‘ (come sembra
dicesse Protagora). Ma Protagora credeva, nonostante
tutto, in un principio di scelta. In quanto principio di
scelta, l‘utile — inteso come il bene del singolo e della
comunità — diviene, per Protagora, lo strumento di
verifica delle teorie stesse. In tal modo, alla concezione
oggettivistica ed assolutistica della verità (= il vero è
qualcosa di già dato e scoperto una volta per sempre, che
33
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
si impone a tutti allo stesso modo), Protagora sostituisce
una concezione umanistico-storicistica di essa (= la verità
è l‘umanamente verificato come giovevole, ossia ciò che
si è dimostrato storicamente e socialmente utile
all‘individuo, alla comunità e alla specie).
Gorgia
L‘altra grande figura della Sofistica, Gorgia di Lentini,
presenta una dottrina più negativa circa le possibilità
conoscitive e pratiche dell‘uomo. Tra le sue opere
ricordiamo Sul non essere o sulla natura e l’Encomio di
Elena. Nel primo scritto egli stabilisce le sue tre tesi
fondamentali: 1. Nulla c‘è. 2. Se anche qualcosa c‘è, non è
conoscibile dall‘uomo. 3. Se anche è conoscibile, è
incomunicabile agli altri.
Questo scritto è stato tradizionalmente interpretato alla
stregua di un radicale nichilismo filosofico. Oggi è
possibile considerarlo diversamente. Innanzitutto, quando
Gorgia sostiene che ―nulla esiste‖ egli non intende far
sparire la realtà testimoniata dai nostri sensi, ma la
possibilità di una sua concettualizzazione filosofica. In
altri termini, più che il mondo concreto che ci sta dinanzi,
Gorgia, con il suo paradosso, intende probabilmente
negare la pensabilità logica ed ontologica dell‘essere in
generale e, in particolare, di quella struttura metafisica (la
Natura, il Principio) di cui i vari pensatori erano andati
alla ricerca. Gorgia intende appunto chiarire (la tesi) che
tale struttura non risulta filosoficamente asseribile, a meno
di cadere nei sopraelencati non-sensi concettuali; oppure
che se anche esistesse, noi non la potremmo conoscere, in
34
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
quanto, per conoscerla, dovremmo presupporre che la
nostra mente sia una fotografia esatta della realtà. Ma ciò
non accade. Infatti, se pensiamo spesso l‘inesistente, vuol
dire che il pensiero non rispecchia necessariamente la
realtà o che la realtà non si rispecchia necessariamente nel
pensiero. In tal modo, Gorgia colpisce al cuore
l‘equazione eleatica pensiero-essere, introducendo una
frattura radicale fra la mente e le cose. Analogamente, la
terza tesi sostiene che se anche la realtà fosse conoscibile
non sarebbe spiegabile con parole, poiché il linguaggio è
altra cosa dalla realtà e non possiede un‘adeguata capacità
rivelativa. Queste tesi di Gorgia acquistano ulteriore
densità speculativa se riferite a quella Realtà assoluta che
va sotto il nome di Dio. Infatti, un‘entità del genere, o Non
c‘è (1a tesi), o è Inconoscibile (2a tesi), o è Inesprimibile
(3a tesi). Il risultato conclusi‘vo della sua dottrina è
dunque la distruzione di ogni possibile metafisica,
cosmologia o teologia e la sfiducia completa nelle
possibilità conoscitive della nostra mente, soprattutto
quando, andando oltre l‘esperienza, pretende di accedere a
qualche Assoluto metafisico. In tal modo con Gorgia
troviamo la prima, esasperata messa in discussione
occidentale della metafisica e l‘anticipazione di schemi di
pensiero che vanno dagli empiristi a Kant e a gran parte
del pensiero contemporaneo. Ora, se nulla è vero, cioè
dimostrabile come tale, vuoi dire, per Gorgia, che ―tutto è
falso. Mentre in Protagora abbiamo ancora un criterio di
verità, ossia l‘utile, in Gorgia non troviamo più nessun
criterio. L‘unica cosa che conta — in assenza di ogni
verità— è la potenza del Linguaggio, inteso come forza
che permette il dominio degli stati d‘animo, in quanto
35
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
―riesce a calmare la paura e ad eliminare il dolore, a
suscitare la gioia e ad aumentare la pietà‖. Da ciò
l‘importanza attribuita da Gorgia alla retorica.
Un altro aspetto importante del pensiero gorgiano, che la
critica contemporanea ha debitamente messo in luce, è la
concezione tragica del reale. Di fronte al sostanziale
razionalismo e ottimismo dei filosofi precedenti che
vedono la vita e l‘essere come una vicenda dominata dal
logos, cioè dalla ragione, Gorgia sembra ritenere che
l‘esistenza sia qualcosa di fondamentalmente irrazionale e
misterioso. Per Gorgia le azioni degli uomini non sono
rette dalla logica e dalla verità, ma dalle circostanze, dalla
menzogna, dalle passioni.
Socrate (470/399)
Socrate rinunciò a scrivere e il fatto che Socrate non abbia
scritto nulla genera tuttavia delle grosse difficoltà per la
ricostruzione del suo pensiero. Infatti le testimonianze
indirette che possediamo sono parecchie e non sempre
coerenti fra di loro. Le fonti principali sono quelle di
Aristofane, Policrate, Senofonte, i socratici minori,
Platone e Aristotele. La testimonianza di Aristofane,
l‘unica che risale a Socrate ancora vivente. è contenuta
nella commedia Le Nuvole. In essa Aristofane, concentra
in Socrate il tipo dell‘intellettuale, accomunandolo ai
naturalisti e ai Sofisti e presentandolo come un
chiacchierone perdigiorno con la testa fra le nuvole. Nella
Accusa contro Socrate del 393, poco tempo dopo la sua
morte, Policrate taccia il filosofo di aver disprezzato le
procedure della democrazia e di essere stato il cattivo
36
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
demone di certi aristocratici ateniesi più oltranzisti.
Senofonte, che scrive le sue opere molto tempo dopo la
morte del filosofo, ci presenta un Socrate per lo più
moralista e predicatore. Platone nei suoi dialoghi, ci offre
invece la più suggestiva ed amorosa presentazione del
maestro, da cui è scaturita l‘immagine ―tradizionale di
Socrate. Aristotele schematizza Socrate come ―lo
scopritore del concetto.
La posizione storica di Socrate
Socrate è legato alla Sofistica da una rete complessa di
rapporti, che sono fondamentalmente i seguenti: 1)
l‘attenzione per l‘uomo e il disinteresse per le indagini
sulla
natura;
2)
la
mentalità
razionalistica,
anticonformistica ed antitradizionalistica, portata a mettere
tutto in discussione e a non accettare nulla se non
attraverso il vaglio critico e la discussione; 3) la tendenza
alla dialettica e al paradosso. Ciò che lo allontana dai
Sofisti è invece: 1) il rifiuto di ridurre la filosofia a
retorica; 2) il tentativo di andare oltre lo sterile relativismo
conoscitivo e morale in cui si era avviluppata la sofistica.
La filosofia come ricerca sull‘uomo
Sembra quasi certo che Socrate, in un primo periodo della
sua vita, abbia seguito con interesse le ricerche degli
ultimi naturalisti, in particolare di quelli della scuola di
Anassagora. Tuttavia, deluso da tali indagini, si convinse
ben presto, anche sotto evidenti suggestioni sofistiche, che
alla mente umana sfuggono inevitabilmente i perché ultimi
delle cose e che ad essa non è dato di conoscere con
certezza l‘Essere e i principi del mondo. Perciò,
37
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
abbandonati gli studi cosmologici, Socrate cominciò ad
intendere la filosofia come un‘indagine in cui l‘uomo, Per
questo, Socrate fece suo il motto dell‘oracolo delfico
Conosci te stesso, vedendo in esso la motivazione ultima
del filosofare e la missione stessa del filosofo. E poiché,
secondo Socrate, non sì è uomini se non fra uomini, in
quanto ciò che ci costituisce come tali è proprio il rapporto
con gli altri, la sua filosofia affronta e discute le questioni
relative alla propria umanità. E in questo colloquio
incessante, in questa ricerca senza fine, Socrate ha posto il
valore stesso dell‘esistenza, convinto, come si dice nella
platonica Apologia di Socrate, che una vita senza esame
non è degna di essere vissuta.
I momenti del dialogo socratico
Per Socrate la prima condizione della ricerca e del dialogo
filosofico è la coscienza della propria ignoranza. Quando
ebbe la risposta dell‘oracolo di Delfi, che lo proclamava il
più sapiente fra gli uomini, interpretò il responso divino
come se avesse voluto dire che sapiente è soltanto chi sa di
non- sapere. Sostenere che vero sapiente unicamente chi
sa di non sapere è anche un modo polemico per dire che
filosofo è soltanto colui che ha compreso che intorno alle
cause e alle strutture del Tutto non si può dire nulla con
sicurezza. Questa importante rilevazione non equivale
tuttavia ad una interpretazione di Socrate in chiave
scettica. Agnostico verso le questioni cosmologiche ed
ontologiche, Socrate non lo è altrettanto sui problemi
etico-esistenziali. per cui, se riferita all‘uomo, la formula
socratica assume il significato di una denuncia verso i
sofisti. Essa non esclude la possibilità di una ricerca
38
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
sull‘uomo, ma la incoraggia, costituendosi come sua
condizione preliminare, poiché solo chi sa di non sapere
cerca di sapere, mentre chi si crede già in possesso della
verità non sente il bisogno interiore di cercarla.
L‘ironia
L‘ironia è il metodo usato da Socrate per svelare all‘uomo
la sua ignoranza e per gettarlo nel dubbio, impegnandolo
nella ricerca. Facendo ironicamente finta di non sapere,
Socrate chiede al suo interlocutore, per lo più illustre e
celebrato maestro di qualche arte, di renderlo edotto circa
il settore di cui egli è competente.
La maieutica
Socrate non vuole comunicare dall‘esterno una propria
dottrina, ma soltanto stimolare l‘ascoltatore a ricercarne
dall‘interno una sua propria. Da ciò la celebre maieutica o
arte di far partorire di cui parla Platone, dicendo che
Socrate aveva ereditato da sua madre la professione di
ostetrico. Come costei, essendo levatrice, aiutava le donne
a partorire i bambini, cosi Socrate, ostetrico di anime,
aiuta gli intelletti a partorire il loro genuino punto di vista
sulle cose.
Socrate e le definizioni
Nella struttura circolare del dialogo socratico, fatto di
domande, risposte la molla dell‘intero processo sta nella
domanda ―che cos‘è?‖, ossia la richiesta di una definizione
precisa di ciò di cui si sta parlando. Egli parlava sempre di
cose umane esaminando che cosa è santità, che cosa
39
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
empietà, che cosa bellezza, che cosa turpitudine, che cosa
giustizia, che cosa ingiustizia, che cosa saggezza, che cosa
pazzia, che cosa Stato, che cosa politica, che cosa
governo, che cosa uomo di governo, e simile cose.
All‘interrogativo che ―cos‘è la virtù?‖ l‘interlocutore
risponde dì solito mediante un catalogo di casi virtuosi:
virtuoso è chi onora le leggi, virtuoso è chi rispetta i
genitori, ecc. Ma Socrate non si accontenta di questa
sterile elencazione, perché a lui non interessano esempi di
virtù, ma la definizione della virtù in se stessa. Ai lunghi
discorsi ammaliatori dei Sofisti (macrologie), Socrate
contrappone dunque i discorsi brevi (brachilogie), fatti di
battute corte e veloci, volte ad obbligare l‘avversario a
risposte precise. La domanda ―che cos‘è?‖ ha un duplice
scopo: uno negativo, mirato a escludere le risposte
acritiche; l‘altro positivo, teso a condurre l‘interlocutore
verso una definizione soddisfacente dell‘argomento
trattato.
La morale di Socrate
La tesi-chiave della morale di Socrate è la virtù come
ricerca e scienza. Per virtù (areté) i Greci intendevano, in
generale, il modo di essere ottimale di qualcosa (ad
esempio la virtù del ghepardo è la velocità). Socrate, che
in questo si colloca in scia dei Sofisti, sostiene, che la virtù
non è un dono gratuito, ma una faticosa conquista, in
quanto l‘esser-uomini è il frutto di un arte.
La virtù come scienza
Socrate ritiene che la virtù, intesa come arte del ben
comportarsi, è sempre una forma di sapere, ossia un fatto
40
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
intellettuale. Dal punto di vista socratico, per essere
uomini nel modo migliore è indispensabile riflettere,
cercare e ragionare (razionalismo morale). Intesa come
sapere razionale, la virtù socratica, può essere insegnata e
comunicata a tutti e deve costituire un patrimonio di ogni
uomo. Infatti, secondo Socrate, non basta che ciascuno
sappia il proprio mestiere e sia esperto in una delle
tecniche particolari, ma bisogna che ciascuno impari bene
anche il mestiere di vivere, ossia la scienza del bene e del
male. Solo il virtuoso, che segue i dettami della ragione, è
felice, mentre il non-virtuoso, non ragionando a
sufficienza sulla vita, si abbandona ad istinti, che alla
lunga lo rendono infelice.
I paradossi dell‘etica socratica
Dalla teoria della virtù come scienza Socrate deriva i
paradossi secondo cui nessuno pecca volontariamente e
chi fa il male, lo fa per ignoranza del bene. Socrate vuol
dire che nessuno fa il male volontariamente in quanto
nessuno lo compie scientemente, ossia sapendo veramente
di farlo, poiché chi opera il male è semplicemente un
individuo che ignora quale sia il vero, bene. Infatti chi
agisce fa sempre ciò che per lui è bene. Di conseguenza,
se scambia ad esempio un vizio per un bene, ciò è dovuto
alla sua ignoranza, che non sa cogliere, al di là di
un‘apparenza momentanea di piacere, la futura realtà di
patimento. Un altro paradosso del socratismo, almeno nei
confronti della mentalità greca contemporanea, è la
massima secondo cui è meglio subire il male che
commetterlo.
41
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
La religione di Socrate
Socrate, come appare dai Dialoghi platonici, considera il
filosofare come una missione e un compito che gli sono
stati affidati dalla divinità. Egli parla di un dèmone che lo
consiglia in tutti i momenti decisivi della vita, invitandolo
a non fare certe cose. Questo dèmone è stato letto come la
voce della coscienza, il comando morale che risuona nella
persona. Ma esso è probabilmente un concetto religioso,
non semplicemente morale. Certamente Socrate va oltre le
credenze religiose antropomorfiche dei Greci, che già
Senofane aveva criticato. Egli prestava agli dèi della
religione popolare un ossequio formale perché ciò
rientrava negli obblighi di cittadino. Dopo la condanna,
egli dichiara ai giudici di essere certo che per l‘uomo
onesto non vi è male né nella vita né nella morte e che la
sua causa è nelle mani degli dèi. La divinità è dunque la
custode del destino degli uomini, il presidio dei valori
morali. Questa fu senza dubbio l‘essenza della religiosità
di Socrate, una religiosità la quale non posa su credenze,
ma anima la sua ricerca filosofica.
42
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
CAPITOLO 4
Platone
Della produzione platonica ci sono state tramandate
un'Apologia di Socrate, 34 dialoghi e 13 lettere; le opere
sono state ordinate convenzionalmente in nove tetralogie
dal grammatico Trasillo, vissuto al tempo dell'imperatore
Tiberio.
1. Eutifrone, Apologia, Critone, Fedone.
2. Cratilo, Teeteto, Sofista, Politico.
3. Parmenide, Filebo, Convito, Fedro.
4. Alcibiade I, Alcibiade II, Ipparco, Amanti.
5. Teagete, Carmide, Lachete, Liside.
6. Eutidemo, Protagora, Gorgia, Menone.
7. Ippia maggiore, Ippia minore, Ione, Menesseno.
8. Citofonte, Repubblica, Timeo, Crizia.
9. Minosse, Leggi, Epinomide, Lettere.
Platone tenne anche dei corsi intitolati Intorno al Bene che
non volle mettere per iscritto, lasciandoli alla sola
comunicazione orale. In queste cosiddette ―dottrine non
scritte‖ egli sviluppava una metafisica a sfondo pitagorico
fondata sui concetti di Uno e di Diade.
Rapporti con Socrate
La fedeltà all‘insegnamento e alla persona di Socrate è il
carattere dominante dell‘intera attività filosofica di
Platone. Certamente, non tutte le dottrine filosofiche di
Platone possono essere attribuite a Socrate. Ma la ricerca
platonica tende a configurarsi come uno sforzo di
43
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
interpretazione della personalità filosofica di Socrate. La
stessa forma dell‘attività letteraria di Platone, il dialogo, è
un atto di fedeltà al silenzio letterario di Socrate. Per cui,
la stessa convinzione che ha trattenuto Socrate dallo
scrivere ha spinto Platone ad adottare e a mantenere la
forma dialogica nei suoi scritti. Il dialogo è il solo mezzo
per esprimere e comunicare agli altri la vita della ricerca
filosofica. Esso riproduce l‘andamento stesso della ricerca
che procede lentamente e faticosamente di tappa in tappa;
e soprattutto ne riproduce il carattere di socialità, per il
quale essa rende solidali gli sforzi degli individui che la
coltivano.
Mito e filosofia
Accanto alla forma dialogica, una delle caratteristiche
dell‘opera platonica è l‘uso dei miti, ossia di racconti
fantastici attraverso cui vengono esposti concetti e dottrine
filosofiche. Il mito è uno strumento di cui si serve il
filosofo per comunicare in maniera intuitiva le proprie
dottrine, ma è anche un mezzo di cui si serve il filosofo
per poter parlare di realtà profonde e ultimative. Il mito è
qualcosa che si inserisce nelle lacune della ricerca
filosofica, permettendole,
di formulare una teoria
verosimile che, come tale, non è né una semplice favola né
un‘argomentazione pienamente dimostrativa, bensì
qualcosa che pur essendo indimostrabile si può
ragionevolmente ritenere vero.
Primo periodo: la difesa di Socrate e la polemica contro i
Sofisti
44
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
La prima parte dell‘attività filosofica di Platone è
finalizzata all‘illustrazione e alla difesa dell‘insegnamento
di Socrate e alla polemica contro i Sofisti. L‘Apologia è
sostanzialmente l‘esaltazione della vita consacrata alla
ricerca filosofica. Socrate dichiara ai giudici che egli non
tralascerà mai il compito che gli è stato affidato dalla
divinità: l‘esame di se stesso e degli altri per rintracciare la
via del sapere e della virtù. Già nella presentazione che
Platone fa di Socrate nell‘Apologia è evidente che egli
vede incarnata nella figura del maestro quella filosofia
come ricerca alla quale egli stesso doveva dedicare l‘intera
esistenza. L‘accettazione serena che Socrate fa del destino
cui è condannato è l‘ultima prova della serietà del suo
insegnamento. Un numeroso gruppo di dialoghi spiega i
tre principali insegnamenti di Socrate: 1) la virtù è una
sola e si identifica con la scienza; 2) solo come scienza, la
virtù è insegnabile; 3) nella scienza consiste la felicità
dell‘uomo. Nel Protagora, Socrate critica il protagonista
che si dice maestro di virtù, mostrando che la virtù di cui
parla Protagora non è scienza, ma un semplice insieme di
abilità acquisite accidentalmente per esperienza. Nel
Gorgia Platone attacca l‘arte che era la principale
creazione. dei sofisti e la polemica contro base del loro
insegnamento, la retorica. La retorica voleva essere una
tecnica della persuasione alla quale riuscisse
completamente indifferente la tesi da difendere o
l‘argomento trattato. Al concetto di quest‘arte Platone
oppone che ogni arte o scienza riesce veramente
persuasiva solo intorno all‘oggetto che le è proprio. La
retorica non ha un oggetto proprio: consente di parlare di
tutto, ma non riesce a persuadere se non quelli che hanno
45
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
una conoscenza inadeguata e sommaria delle cose di cui
tratta e cioè gli ignoranti. Essa non è dunque un‘arte ma
soltanto una pratica adulatoria.
Secondo periodo: la dottrina delle idee
Nei dialoghi del primo periodo, Platone ha per lo più
illustrato e difeso teorie che erano proprie di Socrate. Con
l‘elaborazione della teoria delle idee, il filosofo va
esplicitamente al di là delle dottrine che Socrate aveva
insegnato. La teoria delle idee
nasce con
l‘approfondimento platonico del concetto di scienza
(epistéme, sophia). In antitesi ai Sofisti, ma procedendo
oltre lo stesso Socrate, Platone ritiene che la scienza abbia
i caratteri della stabilità e dell‘immutabilità, e quindi della
perfezione. Ma essendo convinto che il pensiero rifletta
l‘essere, ossia che la mente sia uno specchio o una
riproduzione di ciò che esiste (= realismo gnoseologico),
Platone si chiede quale sia l‘oggetto proprio della scienza.
Ovviamente, non possono costituire oggetto della scienza
le cose del mondo, apprese dai sensi, che sono mutevoli ed
imperfette, e quindi oggetto solo di quella corrispondente
forma di conoscenza mutevole ed imperfetta (opinione,
dòxa). Per Platone l‘idea indica un‘entità perfetta e
autonoma, esistente per proprio conto. Il fatto che le idee
presentino caratteristiche strutturali diverse dalle cose, non
esclude in loro stretto rapporto con gli oggetti. Per il
filosofo le cose sono infatti copie o imitazioni imperfette
delle idee. Ad esempio, nel nostro mondo esiste una
pluralità di cose più o meno belle o giuste, ma nel mondo
delle idee esiste la Bellezza e la Giustizia. L‘idea platonica
è dunque il modello unico e perfetto delle cose molteplici
46
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
e imperfette di questo mondo. In Platone esistono due
gradi di conoscenza, che sono l‘opinione e la scienza (=
dualismo gnoseologico), cui fanno riscontro due tipi
d‘essere distinti, che sono le cose e le idee (= dualismo
ontologico). Da quanto si è detto, emerge pure come la
filosofia platonica, la quale si pone alla confluenza di
diverse tradizioni filosofiche, rappresenti una sorta di
integrazione sintetica dell‘eraclitismo ed eleatismo. Da
Eraclito Platone accetta la teoria secondo cui il nostro
mondo è il regno della mutevolezza, mentre da Parmenide
trae il concetto secondo cui l‘Essere autentico è
immutabile. L‘idea platonica presenta infatti taluni
caratteri essenziali dell‘Essere parmenideo: Platone nel
Fedro dice ad esempio che essa è ―semplice e imperitura‖.
I tipi di Idee
Nella maturità del pensiero platonico compaiono due tipi
fondamentali di idee: 1) le idee-valori, corrispondenti ai
supremi principi etici, estetici e politici. Tali sono, la
Bellezza, la Giustizia ecc., che formano appunto ciò che
denominiamo ideali o valori; 2) le idee-matematiche,
corrispondenti alle entità. dell‘aritmetica e della
geometria. Infatti, secondo Platone, vi sono idee anche del
pensiero matematico (ad esempio l‘uguaglianza; numeri, il
circolo ecc.), poiché nella realtà non troviamo mai
l‘uguaglianza perfetta o il quadrato perfetto di cui parla il
matematico, ma solo copie approssimative ed imperfette di
essi. Insieme a questi due tipi di idee, Platone scrive
talvolta anche di idee di cose naturali (ad esempio
l‘Umanità) o di cose artificiali (ad esempio il letto). Solo
negli ultimi dialoghi Platone tenderà a lasciar cadere la
47
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
precedente nozione matematico-etica di idea, a favore di
una nozione logico-ontologica propensa a far
corrispondere, ad ogni realtà, la sua specifica ―forma‖. In
tal modo, l‘idea platonica finirà per essere la forma di
qualsiasi gruppo o classe di cose che vengono designate
con un medesimo nome e che possono essere fatte oggetto
di scienza. Le idee non costituiscono affatto una pluralità
disorganizzata. Esse costituiscono infatti una trama di
essenze aventi un ordine gerarchico-piramidale, con le
idee-valori in cima e l‘idea del Bene al vertice. Tale idea è
stata talora assimilata a Dio. Nei testi risulta assente l‘idea
di un Dio creatore. Infatti, pur essendo al di là dell‘essere,
cioè delle idee, e pur superandole tutte per valore e
potenza‘, il Bene non crea le idee, che sono tutte eterne,
ma si limita a comunicare loro la perfezione. In linea
generale, possiamo dire sin d‘ora che nell‘universo
metafisico di Platone non esiste un Dio personale, ma
solamente il ―divino‖. Platone usa infatti il termine
impersonale ―divino‖ per designare una molteplicità di
cose diverse: divine sono le idee, divina è l‘idea del bene,
divina è l‘anima, divine sono le stelle e gli astri ecc.
Rapporti idee-cose
Le idee, sotto un punto di vista, sono i criteri di giudizio
delle cose, in quanto noi, per giudicare circa gli oggetti,
non possiamo fare a meno di riferirci ad esse. Ad esempio,
diciamo che due cose sono uguali sulla base dell‘idea di
Uguaglianza, oppure diciamo che due azioni sono giuste
sulla base dell‘idea di Giustizia e così via. In questo senso,
possiamo dire che le idee sono la condizione per la quale
gli oggetti possono essere pensati e causa delle cose,
48
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
poiché gli individui sono in quanto imitano o partecipano,
delle essenze. Ad esempio, le realtà che diciamo belle
sono tali in quanto imitano o partecipano della Bellezza,
che rappresenta dunque la causa per cui esse vengono
ritenute belle. Tuttavia, il rapporto idee-cose non è stato
bene definito dal Platone della maturità, in quanto egli, pur
parlando di mimesi(= le cose imitano le idee), di metessi
(partecipazione delle idee), e di parousìa (= presenza delle
idee alle cose), è rimasto incerto sulla questione.
Come e dove esistono le idee
Le idee sono senz‘altro ―trascendenti‖, in quanto esistono
oltre la mente ed oltre le cose. La critica tradizionale,
prendendo alla lettera l‘espressione platonica di
iperuranio, ha considerato il mondo platonico delle idee
come qualcosa di analogo al Paradiso cristiano. A questa
lettura si è contrapposta quella di alcuni neokantiani del
nostro secolo, che hanno considerato le idee platoniche
non come delle cose, bensì come dei modelli di
classificazione delle cose, ossia come dei criteri mentali
con cui pensiamo gli oggetti. In conclusione, stando ai
Dialoghi ciò che si può affermare con un buon margine di
sicurezza è che le idee, comunque intese, costituiscono
una zona d‘essere diversa dalle cose.
La conoscenza
Secondo Platone le idee non possono derivare dai sensi,
poiché questi ci testimoniano solo un mondo di cose
materiali ed imperfette. Le idee sono esclusivamente
1‘oggetto di una visione mentale. Sulla base della
credenza orfica nella metempsicosi Platone spiega che noi
49
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
abbiamo il concetto delle forme ideali perché la nostra
anima, prima di calarsi nel presente corpo, è vissuta,
disincarnata, nel mondo delle idee, dove, fra una vita e
l‘altra, ha potuto contemplare gli esemplari perfetti delle
cose. Una volta discesa nel nostro mondo, l‘anima
conserva un ricordo sopito di ciò che ha veduto. Grazie
all‘esperienza delle cose, che fungono da stimolo per la
memoria, l‘anima ricorda ciò che ha visto nell‘Iperuranio.
In questo senso, dice Platone, conoscere è ricordare, in
quanto le idee, sia pur sfocate, le portiamo dentro di noi e
basta uno sforzo per tirarle fuori, tanto più che esse, come
le cose, sono legate fra loro da una sorta di parentela, per
cui basta rammentarcene una per farci tornare alla mente
tutte le altre. La gnoseologia di Platone rappresenta
dunque una forma di innatismo, in quanto ritiene che la
conoscenza non derivi dall‘esperienza sensibile bensì da
metri di giudizi preesistenti e connaturati con il nostro
intelletto. Una prova di questa teoria, secondo Platone,
risiede nel fatto che anche un ignorante, opportunamente
interrogato, può rispondere con esattezza intorno a cose di
cui non ha mai inteso discorrere. Celebre l‘esempio del
Menone, in cui troviamo il caso dello schiavo, che, pur
essendo a digiuno di geometria, viene aiutato da Socrate a
ricordare gli elementi di fondo di essa, riuscendo così a
intuire il teorema del quadrato doppio. La maieutica, che
in Socrate alludeva soltanto al fatto che la verità è una
conquista che viene nostra interiore, in Platone subisce
una evidente radicalizzazione metafisica, venendo a
coincidere con la teoria stessa della reminiscenza, cioè con
la tesi secondo cui portiamo dentro di noi una verità
50
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
prenatale, che è il frutto di una precedente contemplazione
delle idee.
Reminiscenza, verità ed eristica
Agli occhi di Platone, la teoria della reminiscenza
rappresenta la definitiva vittoria sul principio sofistico
secondo cui non è possibile, all‘uomo, indagare né ciò che
sa, né ciò che non sa, giacché sarebbe inutile indagare ciò
che si sa e impossibile indagare ciò che non si sa. A questo
discorso il filosofo contrappone invece la tesi per cui
apprendere non significa partire da zero, bensì ricordare
ciò che si era obliato. L‘uomo non possiede già, tutt‘intera,
la verità (altrimenti non la cercherebbe) e neanche la
ignora completamente (perché in tal caso neppure
inizierebbe a cercare), ma la porta in sé a titolo di
―ricordo‖, ovvero sotto forma di un patrimonio che egli è
impegnato ad esplicitare all‘infinito.
L‘immortalità dell‘anima. Il mito d Er
La reminiscenza implica l‘immortalità dell‘anima, che
infatti diviene oggetto di uno dei dialoghi più ricchi di
―pathos‖ umano e religioso: il Fedone. A parte
l‘argomento appena esaminato della reminiscenza, in
quest‘opera Platone elenca altre prove dell‘immortalità
dell‘anima. Una prima, detta dei contrari, afferma che
come in natura ogni cosa si genera dal suo contrario (il
freddo dal caldo, il sonno dalla veglia ecc.), così la morte
si genera dalla vita e la vita si genera dalla morte, nel
senso che l‘anima rivive dopo la morte del corpo. Una
seconda, della somiglianza, sostiene che l‘anima, essendo
simile alle idee, che sono eterne, sarà anch‘essa tale. Una
51
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
terza, della vitalità, argomenta che l‘anima, in quanto
soffio vitale, è vita e partecipa dell‘idea di vita, onde non
può accogliere in sé l‘opposta idea, l‘idea della morte.
Sempre nel Fedone troviamo la nota dottrina platonica
della filosofia come preparazione alla morte. Infatti, se
filosofare significa morire nei sensi, per poter cogliere
meglio le idee, la vita del filosofo risulta tutta una
preparazione alla morte, cioè al momento in cui l‘anima,
finalmente libera dai ceppi del corpo, potrà unirsi
direttamente alle idee, beandosi della loro totale
contemplazione. La teoria dell‘immortalità dell‘anima,
oltre che per spiegare perché l‘uomo possegga in se stesso
la conoscenza delle idee, serve anche, a Platone, per
chiarire il problema del destino. Platone ritiene infatti che
la nostra sorte attuale dipenda da una scelta
precedentemente compiuta nel mondo delle idee. Questa
tesi viene illustrata con il mito di Er, con cui si chiude la
Repubblica: Er, morto in battaglia e risuscitato dopo
dodici giorni, ha potuto raccontare agli uomini la sorte che
li attende dopo la morte. La parte centrale del suo racconto
è quella che riguarda la scelta del destino alla quale le
anime sono invitate nel momento della loro
reincarnazione. La parca Làchesi, che bandisce la scelta,
ne afferma la libertà: ―La virtù è libera a tutti: ognuno ne
parteciperà più o meno a seconda che la stima o la spregia.
Ognuno è responsabile del proprio destino, la divinità non
ne è responsabile‖. Ogni anima sceglie quindi il modello
di vita che incarnerà prossimamente: tutto sta a compiere
una scelta giudiziosa e a non lasciarsi abbagliare
dall‘apparenza brillante di certe vite che celano il peccato
e l‘infelicità. Ma la scelta è guidata il più delle volte dalle
52
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
esperienze che l‘anima ha raccolto nella sua vita anteriore.
Ulisse, che i lunghi travagli hanno spogliato di ogni
ambizione, sceglie la vita più modesta ed oscura, che era
stata trascurata da tutte le altre anime. Quindi nel
momento decisivo l‘uomo sceglie il suo destino sulla base
di quello che ha voluto essere ed è stato in vita.
Superamento del relativismo
Se la teoria delle idee costituisce il cuore della filosofia
platonica, l‘opposizione al relativismo sofistico costituisce
il cuore della dottrina delle idee. Per Platone il relativismo
sofistico tende ad identificarsi con una filosofia negatrice
di ogni stabile punto di vista sulle cose e di ogni certezza
teorica e pratica. La dottrina delle idee diviene lo
strumento che restaura una forma di assolutismo, perché
permette a Platone di sostenere l‘esistenza di forme ideali
che, esistendo per proprio conto e indipendentemente
dall‘arbitrio degli individui, hanno una validità oggettiva
ed universale. In tal modo, l‘umanismo sofistico e
socratico, che poneva nell‘uomo e non fuori dell‘uomo la
fonte dei giudizi e il criterio del conoscere e dell‘agire,
risulta messo da parte e sostituito da una concezione per
cui è di nuovo qualcosa di extraumano, le ―idee‖, a
regolare l‘uomo. Infatti, nel platonismo non è più l‘uomo a
misurare la verità, come voleva Protagora, ma è la verità
(= le idee) a misurare l‘uomo e a fornirgli le regole del
pensare e del vivere. Per cui la conoscenza torna ad avere
un valore assoluto e cessa di essere relativa all‘uomo e al
soggetto giudicante. Esempio tipico di ciò è, per Platone,
la matematica, che parla un linguaggio che vale per tutti e
in tutte le circostanze. Ma il superamento platonico del
53
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
relativismo conoscitivo e morale rivela il suo significato
più importante nella politica. Con la dottrina delle idee
Platone volle offrire agli uomini uno strumento che
consentisse loro di uscire dal caos delle opinioni e che li
traesse fuori dalle lotte e dalle violenze in cui la
molteplicità dei punti di vista li aveva fatti inevitabilmente
cadere. L‘assolutismo della teoria delle idee rappresenta,
dunque, in Platone, il principale strumento contro il
relativismo politico e l‘anarchia sociale.
Secondo periodo: la dottrina dell‘amore e dell‘anima
Il sapere stabilisce tra l‘uomo e le idee un rapporto che
non è puramente intellettuale, perché impegna la totalità
dell‘uomo quindi anche la volontà. Questo rapporto è
definito da Platone come amore (eros). Il Convito
considera prevalentemente l‘oggetto dell‘amore, cioè la
bellezza, e mira a determinare di essa i gradi gerarchici. Il
Fedro considera invece prevalentemente l‘amore nella sua
oggettività, come aspirazione verso la bellezza ed
elevazione progressiva dell‘anima al mondo delle idee, al
quale la bellezza appartiene. I discorsi che gli interlocutori
del Convito pronunciano un dopo l‘altro in lode di eros
esprimono i caratteri accessori dell‘amore, caratteri che la
dottrina proposta da Socrate unifica e giustifica. Pausania
distingue dall‘eros volgare, che si rivolge ai corpi, l‘eros
celeste, che si rivolge alle anime. Il medico Erissimaco
vede nell‘amore una forza cosmica che determina le
proporzioni e l‘armonia di tutti i fenomeni così nell‘uomo
come nella natura. L‘amore è dunque desiderio di
bellezza; e la bellezza si desidera perché è il bene che
rende felice. L‘uomo che è mortale tende a generare nella
54
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
bellezza e quindi a perpetuarsi attraverso la generazione.
La bellezza è il fine, l‘oggetto dell‘amore. Ma la bellezza
ha gradi diversi ai quali l‘uomo può sollevarsi solo
successivamente attraverso un lento cammino. In primo
luogo, è la bellezza di un bel corpo quella che attrae ed
avvince l‘uomo. Poi egli si accorge che la bellezza è
uguale in tutti i corpi e così passa a desiderare e ad amare
tutta la bellezza corporea. Ma al di sopra di essa c‘è la
bellezza dell‘anima; al di sopra ancora, la bellezza delle
istituzioni e delle leggi e poi la bellezza delle scienze.
Infine, al di sopra di tutto, la bellezza in sé, che è eterna,
superiore alla morte, perfetta, sempre uguale a se stessa,
fonte di ogni altra bellezza e oggetto della filosofia.
Lo Stato ideale
Tutti i temi speculativi e i risultati fondamentali dei
dialoghi precedenti si trovano riassunti nella massima
opera di Platone, la Repubblica, che li ordina e li connette
intorno al motivo centrale di una comunità ideale, nella
quale il singolo, trovi la sua perfetta formazione. Il
progetto di una tale comunità è fondato sul principio che
costituisce la direttiva di tutta la filosofia platonica. Se i
filosofi non governano le città o se i re o governanti non
coltiveranno davvero la filosofia, è impossibile che
cessino i mali delle città. La Repubblica è esplicitamente
diretta alla determinazione della natura della giustizia.
Nessuna comunità umana può sussistere senza la giustizia.
All‘istanza sofistica che vorrebbe ridurla al diritto del più
forte, Platone oppone che. neppure una banda di briganti o
di ladri potrebbe venire a capo di nulla, se i suoi
componenti violassero le norme della giustizia l‘uno a
55
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
danno degli altri. La giustizia è condizione fondamentale
della nascita e della vita dello Stato. Lo Stato deve essere
costituito da tre classi: quella dei governanti, quella dei
guerrieri e quella dei cittadini, che esercitano un‘altra
qualsiasi attività (agricoltori, artigiani, commercianti ecc.).
La saggezza appartiene alla prima di queste classi. Il
coraggio appartiene alla classe dei guerrieri. La
temperanza, come accordo tra governanti e governati su
chi deve comandare lo Stato, è virtù comune a tutte le
classi. Ma la giustizia comprende tutte tre queste virtù:
essa si realizza quando ciascun cittadino attende al suo
compito proprio ed ha ciò che gli spetta. Ma essa
garantisce altresì l‘unità e l‘efficienza dell‘individuo.
Nell‘anima individuale Platone distingue, come nello
Stato, tre parti: la parte razionale, che è quella per cui
l‘anima ragiona e domina gli impulsi; la parte
concupiscibile, che è il principio di tutti gli impulsi
corporei; e la parte irascibile, che è l‘ausiliario del
principio razionale e si sdegna e lotta per ciò che la
ragione ritiene giusto. Anche nell‘uomo singolo la
giustizia si avrà quando ogni parte dell‘anima farà soltanto
la propria funzione. Lo Stato è giusto quando ogni
individuo attende solo al compito che gli è proprio; ma
l‘individuo che attende solo al compito proprio è esso
stesso giusto. La giustizia non è solo l‘unità dello Stato in
se stesso e dell‘individuo in se stesso; è, nello stesso
tempo, l‘unità dello Stato e quindi l‘accordo dell‘individuo
con la comunità.
La divisione in classi sociali
56
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Lo Stato deve per forza essere diviso in classi poiché in
uno Stato vi sono compiti diversi che devono essere
esercitati da individui diversi. Ci sono gli individui
prevalentemente razionali (portati quindi alla sapienza e al
governo), gli individui prevalentemente impulsivi (portati
ad essere guerrieri) e gli individui prevalentemente
soggetti al corpo ed ai suoi desideri (portati al lavoro
manuale). Per Platone la divisione degli individui in
classi-funzioni non dipende quindi da un fatto ereditario,
cioè dall‘essere nati in una certa classe, ma da un fatto
antropologico e psicologico, ossia da come si è come
uomini. Tutto ciò trova un‘esemplificazione nel celebre
mito delle stirpi, ossia in quell‘antica leggenda fenicia
secondo cui. alcuni nascono con una natura ―aurea‖, altri
con una natura ―argentea‘, altri con una natura ―ferrea o
bronzea‖.
Il comunismo platonico
Affinché lo Stato funzioni bene e la giustizia sia realizzata,
Platone suggerisce l‘eliminazione della proprietà privata e
la comunanza dei beni per le classi superiori. I custodi
dovranno avere case piccole e cibo semplice, vivendo
come in un accampamento e mangiando insieme; non
avranno alcun compenso, se non i mezzi per vivere, L‘oro
e l‘argento saranno proibiti, in quanto lo scopo della città è
il bene di tutti: ―Il nostro scopo nel fondare lo Stato, scrive
Platone, non è di rendere felice un unico tipo di cittadini,
ma che sia felice quanto più è possibile lo Stato nella sua
totalità... Non dobbiamo distinguere nello Stato una parte
di pochi cittadini da rendere felici, ma vogliamo la felicità
di tutti‖. Sia la ricchezza sia la povertà sono nocive, per
57
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
cui nella città ideale non dovrà esistere nessuna delle due.
Questo non implica tuttavia un‘organizzazione
comunistica dell‘intera società, in quanto la terza classe
non viene esclusa dalla proprietà privata dei mezzi di
produzione, Analogamente, la classe al potere non avrà
famiglia. Estendendo il comunismo economico a quello
sessuale, Platone ritiene che i governanti debbano avere in
comune anche le donne.
Le degenerazioni
Platone sa che uno Stato del genere non esiste in alcun
luogo sulla terra, ma che si tratta solo di un modello
ideale. Tre sono le degenerazioni dello Stato e tre le
corrispondenti degenerazioni del singolo. La prima la
timocrazia, governo fondato sull‘onore, che nasce quando
i governanti si appropriano di terre e di case; ad esso
corrisponde l‘uomo timocratico, ambizioso e amante del
comando e degli onori, ma diffidente verso i sapienti. La
seconda forma è l‘oligarchia, governo fondato sul censo,
in cui comandano i ricchi; ad esso corrisponde l‘uomo
avido di ricchezze, parsimonioso e laborioso. La terza
forma è la democrazia, nella quale i cittadini sono liberi e
ad ognuno è lecito di fare quello che vuole; ad essa
corrisponde l‘uomo democratico che non è parsimonioso
come l‘oligarchico, ma tende ad abbandonarsi a desideri
smodati. Infine la più bassa di tutte le forme di governo è
la tirannide, che spesso nasce dall‘eccessiva libertà della
democrazia. È la forma più spregevole perché il tiranno,
per guardarsi dall‘odio dei cittadini, deve circondarsi degli
individui peggiori. L‘uomo tirannico è schiavo delle sue
58
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
passioni alle quali si abbandona disordinatamente ed è il
più infelice degli uomini.
I gradi della conoscenza e l‘educazione
Filosofo è colui che ama la conoscenza nella sua totalità
Ma che cos‘è la conoscenza? Platone, esplicitando il
proprio concetto del sapere come fotografia dell‘oggetto
afferma che ciò che assolutamente è, è assolutamente
conoscibile, ciò che in nessun modo è, in nessun modo è
conoscibile. Perciò all‘essere, e quindi alle idee,
corrisponde la scienza, che è la conoscenza vera; al nonessere, l‘ignoranza; e al divenire, che sta in mezzo tra
l‘essere ed il non essere, corrisponde l‘opinione, che è a
metà strada tra a conoscenza e l‘ignoranza. In particolare,
Platone paragona la conoscenza ad una linea che viene
divisa in due segmenti (conoscenza sensibile e conoscenza
razionale), i quali vengono a loro volta divisi in altri due
segmenti (immaginazione e credenza da un lato, ragione
scientifica ed intelligenza filosofica dall‘altro). Abbiamo
così quattro gradi del sapere cui corrispondono quattro
gradi della realtà. La conoscenza sensibile (dòxa,
opinione) rispecchia il nostro mondo mutevole e si divide
in ―immaginazione‖ che ha per oggetto le ombre o le
immagini degli oggetti e ―credenza‖, che ha come oggetto
le cose sensibili nei loro rapporti scambievoli (ovvero la
percezione chiara degli oggetti). La conoscenza razionale
o scientifica (epistéme, che rispecchia il mondo
immutabile delle idee), comprende la ragione
―matematica‖ che ha per oggetto le idee matematiche e
l‘intelligenza ―filosofica‖, che ha per oggetto le idee.
Nonostante esalti la matematica al punto da far scrivere
59
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
sulla porta dell‘Accademia ―non entri chi non è
matematico‖, Platone pensa che le discipline scientificomatematiche rimangano legate al mondo sensibile, in
quanto le loro nozioni primitive sono attinte od intravviste
proprio attraverso le cose sensibili (punto, linea, …).
Platone enumera nella Repubblica cinque discipline
matematiche fondamentali: l‘aritmetica cioè l‘arte del
calcolo; la geometria come scienza degli enti immutabili;
l‘astronomia come scienza del movimento più ordinato e
perfetto, quello dei cieli; la musica come scienza
dell‘armonia. Queste discipline matematiche costituiscono
la propedeutica della filosofia: esse preparano il filosofo
alla scienza suprema, che è la dialettica, la scienza delle
idee. Platone descrive in modo molto minuzioso
l‘educazione dei giovani. Dapprima i futuri filosofireggitori studieranno musica e ginnastica, poi le discipline
propedeutiche. Tra i trenta e trentacinque anni i migliori si
cimenteranno con la filosofia o dialettica. Fra i
trentacinque ed i cinquanta coloro che saranno stati in
grado di seguire bene il corso di filosofia dovranno fare il
tirocinio pratico nelle cariche militari e civili. Solo a
cinquant‘anni, superato con esito favorevole tutte queste
prove, gli ottimi potranno diventare governanti.
Il racconto della caverna
La teoria della conoscenza e dell‘educazione trova
un‘esemplificazione allegorica nel racconto della caverna,
che rappresenta uno dei miti più noti di Platone.
Immaginiamo vi siano schiavi incatenati in una caverna
sotterranea e costretti a guardare solo davanti a sé. Sul
fondo della caverna si riflettono immagini di statuette, che
60
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
sporgono al di sopra di un muricciolo alle spalle dei
prigionieri e raffigurano tutti i generi di cose. Dietro il
muro si muovono, senza essere visti, i portatori delle
statuette, e più in là brilla un fuoco che rende possibile il
proiettarsi delle immagini sul fondo. I prigionieri
scambiano quelle ombre per la sola realtà esistente. Ma se
uno di essi riuscisse a liberarsi dalle catene, voltandosi si
accorgerebbe delle statuette e capirebbe che esse, e non le
ombre, sono la realtà. Se egli riuscisse in seguito a risalire
all‘apertura della caverna scoprirebbe, con ulteriore
stupore, che la vera realtà non sono nemmeno le statuette,
poiché queste ultime sono a loro volta imitazione di cose
reali, nutrite e rese visibili dall‘astro solare. Dapprima,
abbagliato da tanta luce, non riuscirà a distinguere bene gli
oggetti e cercherà di guardarli riflessi nelle acque. Solo in
un secondo tempo li scruterà direttamente. Ma, ancora
incapace di volgere gli occhi verso il sole, guarderà le
costellazioni e il firmamento durante la notte. Dopo un po‘
sarà finalmente in grado di fissare il sole di giorno e di
ammirare lo spettacolo scintillante delle cose reali. Se lo
schiavo, per far partecipi i suoi antichi compagni di
schiavitù di ciò che ha visto, tornasse nella caverna, i suoi
occhi sarebbero offuscati dall‘oscurità e non saprebbero
più discernere le ombre: perciò sarebbe deriso dai
compagni. E alla fine, infastiditi dal suo tentativo di
scioglierli e di portarli fuori della caverna, lo
ucciderebbero. La simbologia filosofica di questo mito è
ricchissima. La caverna oscura = il nostro mondo; gli
schiavi incatenati = gli uomini; le ombre delle statue =
l‘immagine superficiale delle cose; le statuette = le cose
del mondo sensibile; il fuoco = il principio fisico con cui i
61
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
primi filosofi spiegarono le cose; la liberazione dello
schiavo = l‘azione della conoscenza e della filosofia; il
mondo fuori della caverna = le idee; lo schiavo che ritorna
nella caverna = il dovere del filosofo di far partecipi gli
altri delle proprie conoscenze; lo schiavo deriso = la sorte
dell‘uomo di pensiero di venir scambiato per pazzo da
coloro che sono attaccati ai pregiudizi; l‘uccisione del
filosofo = la sorte toccata a Socrate.
In questo mito si trova gran parte di Platone. In esso c‘è
innanzitutto il dualismo gnoseologico od ontologico
sotteso alla teoria delle idee; c‘è poi il senso religioso che
spinge Platone a riguardare il nostro mondo come ad un
regno delle tenebre contrapposto al regno della luce
rappresentato dalle idee. Ma soprattutto c‘è il concetto
della finalità politica della filosofia, ossia l‘idea di
un‘utilizzazione di tutte le conoscenze che il filosofo ha
potuto acquistare per la fondazione di una comunità giusta
e felice. Secondo Platone, infatti, fa parte dell‘educazione
del filosofo il ritorno alla caverna, che consiste nella
riconsiderazione e nella rivalutazione del mondo umano
alla luce di ciò caverna come che si è visto al di fuori di
questo mondo. Soltanto col ritorno nella caverna, soltanto
cimentandosi nel mondo umano, l‘uomo avrà compiuto la
sua educazione e sarà veramente filosofo.
Nella Repubblica si trova anche la celebre digressione
platonica sull‘arte, che si conclude con la sua messa al
bando dall‘educazione dei filosofi. Platone condanna
l‘arte, e la esclude dal curriculum dei futuri reggitori dello
Stato, perché ritiene che l‘arte sia sostanzialmente
imitazione di una imitazione, tre gradi lontana dal vero, in
62
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
quanto essa si limita a riprodurre l‘immagine di cose e di
eventi naturali, che sono a loro volta riproduzione delle
idee.
L‘ultimo Platone
Nei grandi dialoghi della vecchiaia, che nel loro insieme
costituiscono la terza fase del pensiero platonico, abbiamo
un ulteriore approfondimento delle teorie del filosofo, che
rivedendo le proprie dottrine perviene ad esiti in parte
nuovi I problemi cruciali che si impongono al vecchio
Platone nascono in parte dall‘esigenza di mitigare il rigido
dualismo fra il mondo immutabile delle idee ed il mondo
mutevole delle cose. A questo scopo Platone elabora la
cosiddetta teoria dei ―generi sommi‖, cioè degli attributi
fondamentali delle idee, che per il filosofo sono cinque:
l‘essere, l‘identico, il diverso, la quiete e il movimento.
Innanzitutto ogni idea è o esiste, e quindi rientra nel
genere dell‘essere. In secondo luogo, ogni idea è identica a
se stessa e quindi rientra nel genere dell‘ identico. Essere
ed essere identico sono dunque due generi differenti e non
coincidenti fra loro. Infatti tutte le idee, pur esistendo, non
per questo sono identiche, altrimenti si avrebbe la fusione
di tutte quante le idee in un‘unica idea. Se ogni idea è
identica a sé, ma distinta dalle altre, significa che essa è
diversa da loro, per cui ogni dea rientra anche nel genere
del diverso. Qui siamo al vero e proprio parmenicidio
platonico. L‘errore di fondo di Parmenide, secondo
Platone, è stato quello di confondere i1 diverso con il
nulla. Infatti, quando discorriamo della molteplicità delle
cose col termine ―non‖, sostenendo ad esempio che A non
63
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
è B, non intendiamo il niente assoluto, ma soltanto che è
diverso dall‘essere, ossia un niente relativo.
Il mito del Demiurgo
Nel Timeo viene approfondito il problema cosmologico
dell‘origine e della formazione dell‘Universo. Platone
introduce la figura del Demiurgo, un Dio che è causa del
mondo sensibile e proprio per questo è a conoscenza della
struttura stessa del mondo delle idee. Il Demiurgo è
l'intelligenza che progetta il mondo. Ma per plasmare il
mondo, al Demiurgo occorre una materia che si lasci
plasmare. In questo, Platone vede la necessità di separare
l'intelligenza creatrice dalla creazione della stessa materia.
Il Demiurgo non può far altro che intervenire sulla materia
madre, ovvero una materia informe, eterna, non
corruttibile e plasmabile, da sempre presente nell'universo.
La materia madre è il principio femminile del cosmo, ciò
che si lascia fecondare dall'azione creatrice del Demiurgo,
Platone la chiama anche ―chora‖ (=spazio) o Madre del
Mondo.
64
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
CAPITOLO 5
Aristotele
Il problema degli scritti
Le opere che ci sono pervenute comprendono solo gli
scritti che Aristotele compose per le necessità del suo
insegnamento. Oltre a questi scritti che sono stati chiamati
esoterici, segreti, ma che in realtà sono soltanto gli appunti
per l‘insegnamento, Aristotele compose altri scritti in
forma dialogica, che egli stesso chiamò essoterici, cioè
destinati al pubblico, e si serviva di miti e di altri
ornamenti vivaci e appariva altrettanto eloquente quanto è
scarno e severo negli scritti scolastici. Gli scritti esoterici
cominciarono a essere conosciuti soltanto quando furono
pubblicati da Andronico di Rodi.
Scritti essoterici (per il pubblico) Nei suoi dialoghi
Aristotele non solo riprese la forma letteraria del maestro
ma anche gli argomenti e qualche volta i titoli delle opere
di lui. Il dialogo Sulla filosofia segna il primo distacco di
Aristotele dal platonismo. C‘è una prima critica delle idee
platoniche:
Le opere acroamatiche (per l‘insegnamento)
1. Opere di Logica: denominati Organon (―strumento‖),
poiché forniscono i mezzi mediante i quali è possibile
ottenere una conoscenza certa: Categorie, Interpretazione,
Analitici primi (sul sillogismo), Analitici secondi (sulla
dimostrazione), Topici (sulla dialettica) e Confutazioni
sofistiche (lo studio dei metodi contraffatti del confutare).
65
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
2. Opere di fisica Fisica: (fenomeni della natura e la loro
interpretazione), Il cielo (astronomia e cosmologia),
Nascita e morte, Meteorologia, Storia degli animali,
Generazione degli animali (genetica), Parti degli animali
(anatomia e fisiologia), Locomozione degli animali,
L'anima, Il senso, La memoria.
3. Metafisica: Riguardano l'essere, la trattazione del
motore immobile, o causa prima (nell'edizione di
Andronico furono raccolti sotto il titolo di Metafisica,
poiché erano collocati dopo, in greco méta, la Fisica)
4. Opere morali, politiche, di poetica e di retorica: Etica
nicomachea, Grande etica, Politica, Poetica, Retorica
Distacco da Platone
Platone crede nella finalità politica della conoscenza.
Aristotele fissa lo scopo della filosofia nella conoscenza
disinteressata. Diversa è anche la concezione della
struttura del sapere e della realtà. Platone guarda il mondo
secondo un‘ottica verticale e gerarchica, che distingue tra
realtà vere e realtà apparenti (e fra conoscenze superiori e
conoscenze inferiori). Soprattutto negli ultimi scritti
Aristotele tende a guardare il mondo secondo un‘ottica
orizzontale, che considera tutte le realtà e tutte le scienze
su di un piano di pari dignità.
L‘enciclopedia delle scienze
Aristotele ritiene che la filosofia, intesa come metafisica,
si differenzi dalle altre scienze perché essa, anziché
prendere in considerazione i vari aspetti dell‘essere, si
66
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
interroga sull‘essere o sulla realtà in generale. La filosofia
diviene la scienza prima, ossia studia l‘oggetto comune a
tutte le scienze (l‘essere). Aristotele classifica le scienze in
rapporto all'ente di cui si occupano.
1. Le scienze poietiche (arti e tecniche), che riguardano un
particolare aspetto dell'ente (la medicina studia l'ente in
quanto ―corpo‖, l'astronomia l'ente in quanto ―oggetto
celeste‖, la biologia l'ente in quanto ―organismo vivente);
2. Le scienze pratiche, l'etica e politica che riguardano
l'ambito umano e la vita sociale;
3. Le scienze teoretiche, che riguardano il necessario, non
si occupano di analizzare gli aspetti particolari degli enti
ma ne individuano le cause necessarie. Esse sono la fisica,
la matematica e metafisica.
La metafisica
Il termine ―metafisica‖ non è aristotelico. Con esso la
tradizione ha indicato quella parte della filosofia che
indaga le cause ultime del reale, che vanno al di là delle
apparenze immediate dei sensi o del campo di studio della
fisica. Aristotele usava il termine ‗filosofia prima‘. Il
termine risale ad Andronico di Rodi, che nel I secolo
dell‘era cristiana, ordinando i testi aristotelici, mise ―dopo
i libri di fisica‖, le opere di filosofia prima. Nella sua
opera Aristotele dà quattro definizioni di metafisica: a) la
metafisica studia le cause e i principi primi; b) la
metafisica studia l‘essere in quanto essere; c) la metafisica
studia la sostanza; d) la metafisica ―studia Dio e la
sostanza immobile‖. Di questi quattro significati, quello su
cui ha insistito maggiormente Aristotele è il secondo.
67
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Sostenere che la metafisica studia l‘essere in quanto essere
equivale a dire che essa non ha per oggetto una realtà
particolare, bensì la realtà in generale, cioè l‘aspetto
fondamentale e comune a tutta la realtà.
I significati dell‘essere e la sostanza
La metafisica è dunque ―lo studio dell‘essere‖. Ma
l‘essere, osserva subito Aristotele, ha una molteplicità di
aspetti e di significati. Fra tutti i possibili ed innumerevoli
modi di darsi dell‘essere, Aristotele, ha cercato di mettere
in luce quelli basilari o supremi, raccogliendoli in una
apposita tavola: a) l‘essere come accidente; b) l‘essere
come categorie (o essere per sé); c) l‘essere come vero; ci)
l‘essere come atto e potenza. Per categorie Aristotele
intende le caratteristiche fondamentali dell‘essere. Esse
sono: la sostanza, la qualità, la quantità, la relazione,
l‘agire, il patire, il dove (il luogo), il quando (il tempo). A
queste otto Aristotele ne aggiunge altre due, che sono
l‘avere e il giacere, ossia lo stato e l‘essere in una certa
situazione. Se dal punto di vista ontologico le categorie
sono i generi supremi dell‘essere, dal punto di vista logico
sono i vari modi con cui l‘essere si predica: quando
diciamo, ad esempio, che questo individuo è un uomo
(sostanza), che è bello o brutto (qualità), alto o basso, che
sta facendo o subendo qualcosa (agire e patire) ecc. Di
tutte le categorie la più importante è la sostanza, poiché
tutte le altre, la presuppongono. Infatti la qualità è sempre
qualità di qualche cosa, la quantità sempre la quantità di
qualche cosa ecc.
68
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Il principio di non-contraddizione e la sostanza
Le varie scienze procedono per astrazione, cioè
eliminando le cose da tutti i caratteri che sono diversi da
quelli che esse prendono in considerazione. Il matematico
riduce le cose alla quantità, cioè al numero. Il fisico astrae
da tutte le qualità che non si riducono al movimento,
poiché egli intende considerare solo l‘essere in
movimento. Allo stesso modo deve procedere la filosofia,
la quale deve ridurre tutti i molteplici significati della
parola essere ad un significato unico e fondamentale,
giacché deve considerare l‘essere, non come quantità né
come movimento, o in altro aspetto qualsiasi, ma proprio e
solo in quanto essere. Per far questo, essa ha bisogno di un
principio o assioma fondamentale, che è il principio di
non-contraddizione. Aristotele esprime questo principio in
due modi: 1) È impossibile che la stessa cosa insieme
inerisca. e non inerisca alla medesima cosa e secondo il
medesimo rispetto; 2) È impossibile che la stessa cosa sia
e insieme non sia. La prima formula esprime
l‘impossibilità logica di affermare e negare nello stesso
tempo uno stesso predicato intorno ad uno stesso soggetto.
La seconda formula esprime l‘impossibilità ontologica che
un determinato essere sia, e insieme non sia, quello che è.
Ogni essere ha una natura determinata che è impossibile
negare di esso è che è necessaria, non potendo essere
diversa da così com‘è. Aristotele chiama appunto sostanza
la natura necessaria di un essere qualsiasi. In questo senso,
la sostanza è l‘equivalente ontologico del principio logico
di non-contraddizione. Qualunque via si imbocchi, alla
69
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
fine si è dunque costretti a riconoscere che la sostanza è
l‘essere dell‘essere.
La sostanza
Per sostanza Aristotele intende l‘individuo concreto che
funge da soggetto reale di proprietà e da soggetto logico di
predicati. Sostanza è ad esempio questo uomo, cui io
riferisco delle proprietà o qualità (bruno, biondo, alto ecc.)
e che assumo come soggetto grammaticale e logico dei
predicati che lo caratterizzano. Ognuna di queste sostanze
forma un sinolo, un‘unione di due elementi: la forma e la
materia. Per forma Aristotele non intende l‘aspetto esterno
di una cosa, ma la sua natura propria, ossia la struttura che
la rende quella che è. Ad esempio, negli esseri viventi la
forma è la specie cui essi appartengono (l‘umanità). Per
materia Aristotele intende il materiale recettivo che la
compone (ad es. il bronzo di cui è fatta la sfera), La forma
è l‘elemento attivo del sinolo, che struttura la materia,
mentre la materia è l‘elemento passivo e determinato, che
viene strutturato dalla forma. Dalla sostanza si deve
dunque distinguere l‘accidente (un altro dei significati
basilari
dell‘essere),
che
in
senso
forte
e
caratteristicamente aristotelico designa le qualità che una
cosa può avere o non avere, senza per questo cessare di
essere quella determinata sostanza (ad es Socrate non può
cessare di essere uomo, mentre può essere, a seconda dei
vari momenti della vita, pallido colorito, allegro o
malinconico).
Le quattro cause
70
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
La teoria della sostanza è strettamente connessa alla
dottrina delle quattro cause. Aristotele enumera infatti
quattro tipi di cause: causa materiale, formale, efficiente e
finale. La causa materiale è la materia, ossia ciò di cui una
cosa è fatta e che rimane nella cosa: per esempio il bronzo
a causa della statua. La causa formale è la forma o il
modello di una cosa: per esempio la natura razionale è la
causa formale dell‘uomo. La causa efficiente è ciò che dà
inizio al mutamento o alla quiete, per esempio il padre è la
causa del figlio. La causa finale è lo scopo cui una cosa
tende: per esempio il divenire adulto è il fine del bambino.
La critica alle idee platoniche
Le idee platoniche sono nient‘altro che la natura o
l‘essenza necessaria di una cosa, cioè la loro forma.
Tuttavia essendo le idee fuori delle cose o separate da
esse, non si capisce bene in che senso possano essere
causa delle cose stesse. Tant‘è vero che i concetti platonici
di partecipazione o imitazione sono soltanto metafore
poetiche che non risolvono il problema. Il principio delle
cose non può che risiedere nelle cose stesse, ossia nella
loro forma interiore. Aristotele pone dunque le forme
intese come strutture immanenti degli individui ad
esempio l‘umanità non è un‘idea esistente nell‘iperuranio,
ma semplicemente la specie biologica immanente negli
individui che denominiamo uomini. A questa critica la più
importante e decisiva, quella che segna il definitivo
distacco del discepolo dal maestro, Aristotele fa seguire
altre obiezioni minori.
71
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Il divenire
La dottrina delle quattro cause è connessa al problema del
divenire, che ai tempi di Aristotele continuava ad essere
una delle questioni più controverse tra i filosofi. Che il
divenire esista è un fatto. Parmenide aveva dichiarato che
il divenire è qualcosa di logicamente impensabile, poiché
implicherebbe un passaggio dall‘essere al non essere,
comportando quindi l‘esistenza del nulla. Aristotele ritiene
invece che il divenire non implichi un passaggio dal nonessere all‘essere, e viceversa, ma semplicemente un
passaggio da un certo tipo di essere ad un altro certo tipo
di essere. Aristotele elabora i concetti di potenza e atto.
Per potenza si intende la possibilità, da parte della materia,
di assumere una determinata forma. Per atto si intende la
realizzazione di tale capacità. Ad esempio, il pulcino è la
gallina in potenza. La potenza sta dunque alla materia
come l‘atto sta alla forma. Infatti la materia, per
definizione, è la possibilità di assumere forme diverse,
mentre la forma, per definizione è la realtà in atto di tali
possibilità. Il punto di partenza del divenire è quindi la
materia prima come privazione, o pura potenza, di una
certa forma, mentre il punto di arrivo è la realizzazione
(atto) di tale forma. Forma e materia, atto e potenza danno
ragione del divenire. Accanto a queste, il movimento
presuppone le altre due cause: la causa efficiente, che dà
inizio al divenire, e la causa finale, che è il fine del
divenire. Ora, se tutti i movimenti che avvengono in
natura vanno da una materia ad una forma. Spesso ciò che
è forma, cioè punto di arrivo di un movimento, diventa
materia, ossia punto di partenza di un movimento
72
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
ulteriore. Perciò una stessa cosa può essere considerata
materia (potenza) o forma (atto) dal punto di vista del
movimento che ad essa mette capo (ad esempio, il pulcino
è potenza rispetto alla gallina ma atto rispetto all‘uovo).
La concezione aristotelica di Dio
Dei quattro significati sopraccitati di metafisica rimangono
da chiarire gli altri due, quello per cui la metafisica è la
scienza delle cause ultime e quello per cui essa è la
scienza di Dio. La metafisica come teologia indaga
l‘essere più alto: Dio. Nella Metafisica Aristotele fornisce
una prova dell‘esistenza di Dio che diverrà celebre. Essa è
tratta dalla teoria generale del movimento in generale, e
quindi comprendente ogni tipo dì movimento, da quello
dei corpi nello spazio a quello della generazione e della
corruzione. Tutto ciò che è in moto è necessario sia mosso
da altro. Quest‘altro poi, se è a sua volta in moto, è
necessario sia mosso da altro ancora. In questo processo di
rimandi, non è possibile risalire all‘infinito, poiché
altrimenti resterebbe inspiegato il movimento iniziale dalla
cui constatazione si è partiti. Per cui, essendo necessario
fermarsi e non andare all‘infinito, ci deve per forza essere
un principio assolutamente ―primo‖ e immobile‖, causa
iniziale di ogni movimento possibile. Aristotele identifica
il ―motore immobile‖ richiesto dal movimento con Dio,
riferendogli una serie di attributi strettamente connessi tra
di loro. Innanzitutto Dio è atto puro. ossia atto senza
potenza, poiché dire potenza è dire possibilità di
movimento, Dio, essendo immobile, non può essere
soggetto al divenire. Come tale, esso non può contenere in
73
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
sé alcuna materia, dato che la materia sta alla potenza
come la forma sta all‘atto. Quindi Dio sarà pura forma o
sostanza incorporea. Inoltre, poiché Aristotele ritiene che
l‘universo e il movimento siano eterni, egli considera Dio,
causa di tali movimenti, come realtà eterna. Secondo
Aristotele esso non muove come causa efficiente, cioè
comunicando un impulso, ma come causa finale, cioè
come oggetto d‘amore, allo stesso modo in cui l‘oggetto
amato, pur rimanendo immobile, muove l‘amante verso di
sé. In altri termini, Dio è una Perfezione che, pur
rimanendo impassibile, esercita, come tale, una forza
calamitante. Dio che è Atto puro. A questa perfezione
massima deve appartenere il genere di vita più alto, quella
dell‘intelligenza. Ma che cosa pensa Dio? Non può che
pensare la perfezione stessa, ossia se medesimo. Dio sarà
dunque pensiero di pensiero.
La logica o analitica
Nella classificazione aristotelica delle scienze non trova
posto la logica, poiché essa ha per oggetto il metodo
comune dì tutte le scienze, cioè il procedimento
dimostrativo, di cui esse si avvalgono. Il termine Organon
(strumento) non è aristotelico, ma fu adoperato per la
prima volta da Alessandro di Afrodisia per designare la
logica e, in seguito per designare l‘insieme degli scritti
aristotelici relativi a tale argomento. L‘Organon
aristotelico tratta di oggetti che vanno dal semplice al
complesso e si articola sostanzialmente in una logica del
concetto, in una logica della proposizione e in una logica
del ragionamento (trattata soprattutto negli Analitici primi
74
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
e negli Analitici secondi). Nei Topici Aristotele si
sofferma invece sul sillogismo dialettico e nelle
Confutazioni sofistiche sulle argomentazioni sofistiche.
I concetti
Secondo Aristotele i concetti, possono venir disposti entro
una scala di maggiore o minore universalità e classificati
mediante un rapporto di genere e specie. Ogni concetto di
un determinato settore è infatti specie (il contenuto) di un
concetto più universale e genere (il contenente) di un
concetto meno universale. Ad esempio, il concetto
geometrico di quadrilatero è specie rispetto a quello di
poligono e genere rispetto a quello di quadrato. La scala
complessiva dei concetti, percorsa dall‘alto in basso offre
quindi un progressivo aumento di comprensione ed una
progressiva diminuzione di estensione, sino a giungere al
concetto di una specie che non ha sotto dì sé altre specie
(specie infima) e che presenta quindi la massima
comprensibilità e la minima estensione. Tale è l‘individuo
o sostanza prima, che Aristotele distingue dalle sostanze
seconde. Percorsa dal basso in alto la piramide dei concetti
offre invece un graduale aumento di estensione ed una
graduale diminuzione di comprensione, sino ad arrivare a
dei generi sommi che hanno il massimo di estensione. Tali
sono le dieci categorie.
Le proposizioni
Le frasi che costituiscono asserzioni sono le proposizioni,
che costituiscono l‘espressione verbale dei giudizi, cioè
75
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
degli atti mentali con cui uniamo o disuniamo determinati
concetti nella forma soggetto-predicato. Aristotele
distingue le proposizioni in vari tipi. Innanzitutto per
quanto concerne la qualità le proposizioni si distinguono
in affermative o negative, a seconda che attribuiscano
qualcosa a qualcosa o separino qualcosa da qualcosa. Per
quanto concerne la quantità le proposizioni possono essere
universali (quando il soggetto è universale: ad es. ―tutti gli
uomini‖) o particolari (quando il soggetto si riferisce ad
una classe particolare: ad es. ―alcuni uomini‖). A queste
due proposizioni, che sono quelle su cui si basa
specificamente la sillogistica aristotelica, si possono
aggiungere le proposizioni singolari (quando il soggetto è
un ente singolo).
Il sillogismo
Aristotele, negli Analitici primi, spiega le forme del
ragionamento. Quando formuliamo proposizioni, noi non
ragioniamo ancora. Noi ragioniamo, invece quando
passiamo da giudizi, da proposizioni a proposizioni che
abbiano determinati nessi, e che siano, in certo qual modo,
le une cause di altre, le une antecedenti, le altre
conseguenti. Il sillogismo è precisamente un
ragionamento, ovvero un discorso in cui poste certe
premesse segue necessariamente una conclusione. Il
sillogismo-tipo risulta composto di tre proposizioni, due
delle quali (la premessa maggiore e la premessa minore)
fungono da antecedenti e la terza (la conclusione) da
conseguente. Inoltre, nel sillogismo si hanno tre termini o
elementi: il maggiore, che ha l‘estensione maggiore e
76
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
compare come predicato nella prima premessa; il minore,
che ha l‘estensione minore e compare come soggetto nella
seconda premessa; il medio, che ha estensione media e si
trova in entrambe le premesse, una volta come soggetto e
l‘altra come predicato. Il termine maggiore ed il termine
minore compaiono pure nella conclusione, ove si
presentano uniti fra di loro nelle vesti di soggetto (il
minore) e di predicato (il maggiore). L‘elemento grazie a
cui avviene l‘unione è il termine medio‖, che funge
appunto da cerniera o elemento connettivo fra gli altri due
e quindi da perno o leva dell‘intero sillogismo. Ciò accade
perché il termine medio (animale) da un lato risulta
incluso nel termine maggiore (mortale) e dall‘altro include
in sé il termine minore (uomo). Di conseguenza, la
caratteristica espressa dal termine maggiore (la mortalità),
appartenendo al termine medio, apparterrà per forza anche
al termine minore. In base alla posizione occupata dal
termine medio, Aristotele distingue varie figure di
sillogismo.
Il problema delle premesse
Gli Analitici primi studiano la struttura formale del
sillogismo, cioè la coerenza interna dei suoi passaggi.
Aristotele è ben consapevole del fatto che la validità di un
sillogismo non si identifica con la sua verità, in quanto un
sillogismo, pur essendo logicamente corretto, può partire
da premesse false (ovvero non corrispondenti alla realtà) e
quindi condurre a conclusioni false. Ad es. il sillogismo
ogni animale è immortale, ogni uomo è animale, ogni
uomo è immortale, pur essendo formalmente valido, in
77
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
quanto rispetta appieno la forma del sillogismo di prima
figura (B è A, C è B, C è A), è però materialmente falso,
perché sono false la premessa maggiore e la conclusione.
La dialettica
I Topici sono dedicati allo studio della dialettica, che si
occupa dei ragionamenti adoperati nell‘oratoria politica,
che Aristotele studia nella Retorica. A differenza di
Platone che vedeva nella dialettica la scienza più alta,
Aristotele vede nella dialettica soltanto un ragionamento
che non arriva a concludere necessariamente. Aristotele si
è anche preoccupato di classificare e confutare i
ragionamenti eristici dei Sofisti. Per ragionamento eristico
si intende quello le cui premesse non sono né necessari
come quelle della scienza, né probabili come quelle della
dialettica, ma solo apparentemente probabili.
La fisica
Le sostanze immobili o intelligenze motrici dei cieli
costituiscono l‘oggetto della teologia. Le sostanze in
movimento che sono percepibili coi sensi, costituiscono
l‘oggetto della fisica. La fisica è, secondo Aristotele, la
seconda scienza teoretica, ché viene subito dopo la
filosofia prima o metafisica. L‘oggetto della fisica è
l‘essere in movimento. Aristotele indica quattro tipi
fondamentali di movimento: 1) il movimento sostanziale,
cioè la generazione e la corruzione; 2) il movimento
qualitativo, mutamento o l‘alterazione; 3) il movimento
quantitativo, cioè l‘aumento e la diminuzione 4) il
78
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
movimento locale, cioè il movimento propriamente detto.
Quest‘ultimo è il movimento fondamentale a cui tutti gli
altri si riducono. Dunque soltanto il movimento locale è il
movimento fondamentale che consente di distinguere e di
classificare le varie sostanze fisiche. Il movimento locale
può essere: 1) Movimento circolare (intorno al centro del
mondo). 2) Movimento dal centro del mondo verso l‘alto
3) Movimento dall‘alto verso il centro del mondo.
I luoghi naturali
I movimenti dall‘alto in basso e dal basso in alto sono
propri dei quattro elementi terrestri: acqua, aria, terra e
fuoco. Per spiegare il movimento di questi elementi,
Aristotele stabilisce la teoria dei luoghi naturali. Ognuno
di questi elementi ha nell‘universo un suo luogo naturale.
Se una parte di essi viene allontanata dal suo luogo
naturale (il che non può avvenire che con un moto
violento, cioè contrario alla situazione naturale
dell‘elemento) essa tende a ritornarvi con un moto
naturale. I luoghi naturali dei quattro elementi sono
determinati dal loro rispettivo peso. Al centro del mondo
c‘è l‘elemento più pesante, la terra; intorno alla terra ci
sono le sfere degli altri elementi nell‘ordine del loro peso
decrescente: acqua, aria e fuoco. Il fuoco costituisce la
sfera estrema dell‘universo sublunare; al di sopra c‘è la
prima sfera eterea o celeste, quella della luna. Aristotele
era portato a questa teoria da esperienze assai semplici: la
pietra immersa nell‘acqua affonda, cioè tende a situarsi al
di sotto dell‘acqua; una bolla d‘aria rotta nell‘acqua sale
alla superficie dell‘acqua Dunque l‘aria tende a disporsi al
79
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
di sopra dell‘acqua; il fuoco fiammeggia sempre verso
l‘alto, cioè tende a congiungersi alla sua sfera che è al di
sopra dell‘aria.
Perfezione e finitezza dell‘universo
L‘universo fisico, che comprende i cieli formati dall‘etere
e il mondo sublunare formato dai quattro elementi, è,
secondo Aristotele, perfetto, unico, finito ed eterno. Egli
invoca la teoria pitagorica sulla perfezione del numero 3
ed afferma che il mondo, possedendo tutte e tre le
dimensioni possibili (altezza, larghezza e profondità), e'
perfetto perché non manca di nulla. Ma se il mondo è
perfetto, esso è anche finito. Infinito significa incompiuto.
Etica e politica
I metodi rigorosi della logica si applicano nel loro senso
più pieno al contesto delle scienze teoretiche, ma quando
si passa al mondo umano le cose si complicano, dato che
in tale ambito non si ha una certezza dimostrativa.
Aristotele propone di separare la sophia dalla phrònsis,
una forma di sapere pratico, che si occupa delle cose
contingenti e variabili. La phrònèsis fornisce una guida
razionale all‘azione umana, pur non giungendo a una
conoscenza certa: copre il campo del ragionevole,
piuttosto che quello del razionalmente dimostrato. Essa
non va confusa con la virtù: quest‘ultima individua i fini,
mentre alla phronesis compete la ricerca dei mezzi. Per
quanto riguarda il contenuto delle dottrine etiche di
Aristotele, la sua Etica Nicomachea individua il fine
dell‘agire umano nella felicità, la quale però non risiede né
80
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
nei piaceri sensibili (che l‘uomo ha in comune con gli
animali) né nella ricchezza (concepita come un mezzo e
non un fine in sé). Felicità significa dedicarsi a ciò cui
siamo destinati: far bene il proprio compito, il che per
l‘uomo equivale all‘esercizio dell‘ intelligenza. La vita
felice è dunque la vita intellettiva, anche se ciò non
esclude che si possa godere dei piaceri sensibili, o si
debbano disprezzare le ricchezze. Sulla base della
contrapposizione tra intelligenza e sensibilità, Aristotele
introduce la distinzione tra virtù dianoetiche ed etiche. Le
prime riguardano l‘esercizio del pensiero razionale, le
seconde il rapporto tra intelligenza e sensibilità. Esempi di
virtù dianoetiche sono la saggezza, l‘intelligenza, la
sapienza (che unisce le due precedenti ed è la più alta delle
virtù); esempi di virtù etiche sono la giustizia, il coraggio,
la temperanza, la liberalità. Il comportamento virtuoso è
quello basato sulla ricerca del giusto mezzo tra
atteggiamenti opposti (per es. il coraggio è il giusto mezzo
rispetto alla viltà e alla temerarietà). Nella politica,
Aristotele non ritiene utile teorizzare a priori sulla forma
dello Stato e dedica molta attenzione ai dati della
tradizione e della storia (con l‘aiuto dei discepoli raccoglie
e studia le costituzioni di 158 Stati, grandi e piccoli). Egli
distingue le forme di governo in democrazia, aristocrazia e
monarchia. A parte le degenerazioni di ciascuna
(rispettivamente in demagogia, oligarchia e tirannia), non
è possibile decidere in astratto quale è la migliore, ma
occorre sempre che chi governa miri al bene dei governati.
Aristotele propende personalmente per una forma mista di
governo, che prevede tanto l‘azione democratica dei
cittadini quanto l‘autorità del monarca.
81
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Poetica e retorica
Se Platone aveva condannato l‘arte, definendola
imitazione di un‘imitazione, Aristotele adotta un
atteggiamento più moderato e nella Poetica delinea una
visione positiva dell‘arte. Dopo aver notato che la poesia
―è più filosofica della storia‖, in quanto racconta le
vicende umane con un ordine razionale, anche quando
questo è all‘origine apparentemente assente, egli sviluppa
la teoria della catarsi. La catarsi è la purificazione delle
passioni per gli spettatori. Essi assistono alla tragedia e
provano pietà (per l‘eroe) e timore (al pensiero che
potrebbe capitar loro una sorte simile); ma una volta
sciolta la vicenda tragica, i fatti trovano sempre una
spiegazione razionale: per cui vengono meno la pietà e il
terrore. La tragedia ha quindi valore conoscitivo e conduce
a una migliore comprensione del mondo umano. Anche
nel caso della retorica Aristotele si contrappone a Platone,
sottolineandone soprattutto il valore sociale.
82
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
CAPITOLO 6
Le scuole dell‘età ellenistica
La scienza alessandrina
La formazione dei regni ellenistici, seguita alla morte di
Alessandro Magno, comportò la fine dell‘influenza
politica delle poleis greche e ne seguì anche una profonda
trasformazione della cultura. Fiorirono le scienze
particolari e cadde invece in declino la filosofia. Di qui il
carattere delle scuole filosofiche dell‘ellenismo,
indifferenti all‘impegno politico-sociale e interessate
invece al problema della felicità individuale e della
saggezza pratica. Se Atene rimase il centro del dibattito
filosofico, lo sviluppo delle scienze particolari fiorì invece
nelle grandi capitali ellenistiche, come Alessandria
d‘Egitto, che in ogni modo tentarono di ostacolare il
primato culturale dei Tolomei d‘Egitto. Ma Alessandria
rimase per secoli il modello della nuova cultura ellenistica
della quale fu espressione tipica il Museo (dal nome degli
antichi cenacoli pitagorici), il più grandioso centro
culturale del mondo antico, dotato di una biblioteca di
oltre 700.000 volumi, di grandi sale di lettura e di
dibattito, di un osservatorio astronomico, di un orto
botanico, di un giardino zoologico, di sale anatomiche per
la dissezione dei cadaveri, e così via.
Gli scienziati alessandrini
Uno dei principali campi di studio che fiorì ad Alessandria
fu la filologia. I filologi alessandrini curarono le prime
edizioni critiche delle opere greche di letteratura e di
83
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
scienza e sebbene gran parte del loro prezioso lavoro sia
andata perduta, noi dobbiamo a esso le basi essenziali e
indispensabili per la comprensione della lingua e della
cultura greca. Grande sviluppo ebbero anche gli studi di
medicina. I medici alessandrini raccolsero il Corpus
hyppocraticum, cioè un insieme di scritti con i quali, a
partire dal V secolo a.C., si era sviluppata in Grecia una
medicina scientifica, distinta dalle pratiche magicoreligiose tradizionali. Protagonista principale di questa
rivoluzione scientifica era stato Ippocrate, il più grande
medico del mondo antico. Ancora più grande fu il
contributo degli scienziati alessandrini alla matematica e
all‘astronomia. Per la matematica abbiamo l‘opera
scientifica forse più universale di tutti i tempi: gli Elementi
di geometria di Euclide e nell‘astronomia Aristarco
divenne celebre per aver formulato l‘ipotesi eliocentrica,
ipotesi che doveva esser ripresa in età moderna da
Copernico. Nello stesso campo di studi Ipparco catalogò e
divise a seconda dello splendore circa 850 stelle fisse;
formulò la teoria della precessione degli equinozi e la
teoria degli epicicli, preparando, con le sue straordinarie
osservazioni, la grande sintesi tolemaica. L‘opera di
Tolomeo è, invece, la summa dell‘astronomia antica,
basata sull‘ipotesi del geocentrismo. Il sistema
astronomico tolemaico ricostruisce l‘universo e il moto dei
corpi celesti in nove orbite o cieli che circondano la terra.
Tale sistema dominò indiscusso fino all‘età moderna. Ad
Alessandria si formò il siracusano Archimede, che fece
scoperte in matematica, in geometria, in fisica (come il
peso specifico dei corpi e l‘equilibrio dei piani), ma fu
anche l‘unico scienziato antico a intuire le possibilità
84
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
tecnico-applicative della scienza, e in particolare della
matematica. Intuizione che doveva attendere l‘età
moderna e l‘opera di Galilei per trovare adeguato
sviluppo. Infine Eratostene diede contributi importanti alla
matematica ma fu come geografo che il suo nome diventò
importante: sostenne la sfericità della terra; disegnò una
mappa del mondo e calcolò il diametro della terra,
ottenendo un risultato di soli cento chilometri inferiore alla
cifra reale.
La scuola stoica
II fondatore della scuola stoica fu Zenone di Cizio, nato
nel 336 a.C. e morto nel 264-263. Ad Atene fondò la sua
scuola del ―portico dipinto‖, dal quale i suoi discepoli
trassero il nome di Stoici. Morì suicida, come molti altri
maestri che gli successero. Dei suoi numerosi scritti
restano solo frammenti. Fondamentale l‘apporto del
successore, Crisippo di Tarso, considerato il secondo
fondatore dello stoicismo, scrittore fecondo. Lo seguirono
Zenone di Tarso e Diogene detto il Babilonese. Diogene
andò nel 156 a Roma, con un‘ambasceria di cui faceva
parte anche l‘accademico Carneade. Nonostante l‘interesse
suscitato fra i giovani, i filosofi furono espulsi dalla città
per volontà di Catone, che considerava potenzialmente
eversivo il carattere ―critico‖ della speculazione filosofica.
Gli Stoici pongono come fine della ricerca non la scienza,
ma la felicità per mezzo della virtù. La scienza stessa è
virtù e, dunque, anche la filosofia è virtù. La filosofia si
propone di raggiungere la sapienza, ma, per conseguire
tale obiettivo, occorre esercitare la virtù. Le virtù più
85
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
generali sono tre: la razionale, la naturale, la morale,
dunque, anche la filosofia si divide in tre parti: la logica, la
fisica, l‘etica.
La logica: il criterio di verità e la teoria del significato.
Col termine logica gli Stoici intendono la dottrina che ha
per oggetto i logoi o discorsi. Come scienza dei discorsi, la
logica è retorica; come scienza dei discorsi divisi per
domanda e risposta, la logica è dialettica. Più precisamente
la dialettica è definita come la scienza di ciò che è vero e
di ciò che è falso e di ciò che non è né vero né falso. A sua
volta, la dialettica si divide in due parti, a seconda che
tratti delle parole o delle cose: quella che tratta delle
parole è la grammatica, quella che ha per oggetto le
nozioni significate è la logica in senso proprio. Di
conseguenza, la logica degli Stoici si divide
sostanzialmente in due grandi sezioni: una che si occupa
del problema della conoscenza e dei concetti e l‘altra che
si occupa dei meccanismi e delle forme del ragionamento.
Gli Stoici si preoccupano in primo luogo di trovare il
criterio della verità. Gli Stoici ritennero che tutta la
conoscenza umana derivasse dai sensi e paragonano
l‘anima ad una carta bianca (tabula rasa) sulla quale
vengono a registrarsi le rappresentazioni sensibili. Altre
conoscenze universali si formano artificialmente in virtù
del ragionamento e costituiscono la scienza. Fra le varie
dottrine della logica stoica, quella che ha avuto forse la
maggiore importanza in tutta la tradizione filosofica è la
dottrina del significato. Tale dottrina costituisce
un‘alternativa alla teoria dell‘essenza di Aristotele. Per
86
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Aristotele il concetto è l‘essenza delle cose. Per gli stoici il
concetto è un segno che significa le cose. Per esempio il
concetto uomo come animale ragionevole è per Aristotele
l‘essenza o la sostanza dell‘uomo. Per gli Stoici è un
segno che si riferisce a più cose, cioè a quel gruppo di
cose che per l‘appunto chiamiamo uomini. In ogni segno
bisogna distinguere tre aspetti: 1) la cosa che significa,
cioè la parola, per esempio Dione; 2) il significato, cioè
l‘immagine o la rappresentazione mentale che c‘è o si
forma in noi quando utilizziamo la parola Dione; 3) la
cosa che è significata, cioè l‘oggetto reale, Dione in
persona. Di questi tre elementi, due sono corporei, la
parola e l‘oggetto reale; uno è incorporeo, cioè il
significato. Nella logica medievale e moderna la coppia
significato-cosa (rappresentazione e oggetto rappresentato)
è stata designata con altri nomi come significatosupposizione; connotazione-denotazione; comprensioneestensione; senso-significato, ecc. Con tutte queste coppie
di termini, si intendono sempre le stesse cose: da un lato il
concetto o la rappresentazione dell‘oggetto, dall‘altro
l‘oggetto reale; per esempio da un lato la rappresentazione
uomo, pensato, ad esempio, come animale ragionevole;
dall‘altro, l‘oggetto cui questa rappresentazione
corrisponde, cioè gli uomini reali.
La teoria dei ragionamenti anapodittici
Un‘altra sezione tipica della logica stoica è quella dei
cosiddetti ragionamenti anapodittici. Secondo gli Stoici un
significato è compiuto se può essere espresso in una frase,
per esempio: Socrate scrive. La parola scrive non ha
87
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
invece significato compiuto perché lascia senza risposta la
domanda ―chi?‖. Un significato compiuto si identifica
pertanto con l‘enunciato, ossia con una proposizione
linguistica di senso compiuto che può essere vera o falsa.
Più proposizioni legate danno un ragionamento. Per gli
Stoici il ragionamento per eccellenza non è il sillogismo
dimostrativo di Aristotele, ma il ragionamento
anapodittico, un tipo di ragionamento (cui sono riportabili
tutti gli altri tipi di ragionamento) nel quale risulta
immediatamente evidente non solo la premessa, ma anche
la conclusione. Gli Stoici enumeravano cinque figure di
base di ragionamenti anapodittici, che esprimevano con gli
esempi seguenti: 1) Se è giorno c‘è luce. Ma è giorno.
Dunque c‘è luce; 2) Se è giorno c‘è luce. Ma non c‘è luce.
Dunque non è giorno; 3) Non può essere insieme giorno e
notte. Ma è giorno. Dunque non è notte; 4) O è giorno o è
notte. Ma è giorno. Dunque non è notte; 5) O è giorno o è
notte. Ma non è notte. Dunque è giorno.
Tra le varie forme di ragionamento, gli stoici presero in
considerazione anche una serie di discorsi insolubili
(paradossi, antinomie, dilemmi).
I più famosi,
ampiamente diffusi, erano quelli di origine megarica
(tradizionalmente attribuiti ad Ebulide). Tra i più celebri,
quello del Mentitore (Epimenide, cretese, diceva che tutti i
cretesi erano bugiardi. Ma allora: diceva il vero o il falso,
Epimenide? Situazione paradossale perché se diceva il
vero, in quanto cretese, asserendo che tutti i cretesi erano
bugiardi, quindi diceva il falso. Se diceva il falso, non
mentiva, come cretese, quindi diceva il vero). Più
elaborato è il dilemma del coccodrillo (un coccodrillo,
rapito un bimbo, promise alla madre di renderglielo, a
88
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
patto che essa avesse indovinato la sua intenzione di
restituirlo. Avendo la madre risposto che il coccodrillo
non l‘avrebbe restituito, il predone cadde in un terribile
dilemma. Infatti, non restituendolo, avrebbe reso vera la
risposta della madre, e quindi avrebbe dovuto, in base al
patto, procedere alla consegna del bimbo. Viceversa,
restituendolo, avrebbe reso falsa la risposta della madre, e
quindi, in base al patto, non avrebbe dovuto consegnare il
bambino. In entrambi i casi, il coccodrillo si sarebbe
trovato in una paralizzante contraddizione con se stesso).
Sia che questi siano palesi sofismi sia autentiche
antinomie, queste questioni hanno finito per contribuire al
progresso delle ricerche logiche, in quanto obbligarono gli
studiosi ad escogitare appositi schemi di risoluzione.
La fisica
Il concetto fondamentale della fisica stoica è quello di un
ordine immutabile, perfetto e necessario che governa e
sorregge tutte le cose. Quest‘ordine è identificato dagli
Stoici con Dio stesso, per cui la loro dottrina è un rigoroso
panteismo. Alle quattro cause aristoteliche gli Stoici
sostituiscono due principi. Il principio passivo è la
materia; il principio attivo è la ragione, cioè Dio che
agendo sulla e il principio materia produce gli esseri
singoli. La materia è inerte, e se ne starebbe oziosa se
nessuno la muovesse. La Ragione divina forma la materia
e ne produce le determinazioni. La sostanza da cui ogni
cosa nasce è la materia, il principio passivo; la forza da cui
ogni cosa è fatta è la causa o Dio, il principio attivo. Ma la
distinzione tra principio attivo e principio passivo non
89
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
coincide, secondo gli Stoici, con la distinzione tra
l‘incorporeo e il corporeo. Entrambi i principi, sono corpo
e nient‘altro che corpo: giacché solo il corpo esiste. Tra le
cose incorporee non c‘è neppure Dio. Dio stesso, come
ragione e causa di tutto, è corpo: più precisamente è fuoco.
Non però il fuoco di cui l‘uomo si serve, che distrugge
ogni cosa; è piuttosto un soffio caldo pneuma e vitale che
tutto conserva, alimenta, accresce e sostiene. Esso è
chiamato la ragione seminale del mondo perché contiene
in sé le ragioni seminali secondo le quali tutte le cose si
generano. La vita del mondo ha un suo ciclo. Quando,
dopo un lungo periodo di tempo, gli astri tornano allo
stesso segno e nella stessa posizione in cui erano al
principio, accade una conflagrazione e la distruzione di
tutti gli esseri; e si riforma lo stesso ordine cosmico, e di
nuovo tornano a verificarsi gli avvenimenti del ciclo
precedente, senza alcuna modificazione. E questo ciclo si
ripete eternamente. Il destino è l‘ordine del mondo. Ogni
fatto segue ad un altro ed è necessariamente determinato
da esso come dalla sua causa; e ad ogni fatto ne segue un
altro che esso determina come causa.
L‘etica
Alla base dell‘etica stoica vi è l‘idea secondo cui ogni
essere tende ad attuare o conservare se stesso in armonia
con l‘ordine perfetto del mondo. L‘etica degli Stoici è
sostanzialmente una teoria dell‘uso pratico della ragione,
cioè dell‘uso della ragione al fine di stabilire l‘accordo tra
la natura e l‘uomo. Pare che Zenone abbia adottato la
formula del ―vivere secondo natura‖. E indubbiamente
90
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
questa è la massima fondamentale dell‘etica stoica. Per
tutti gli Stoici, la natura è l‘ordine razionale, perfetto e
necessario che è il destino o Dio stesso; l‘azione che si
prospetta conforme all‘ordine razionale è il dovere: l‘etica
stoica è quindi fondamentalmente un‘etica del dovere e la
nozione del dovere, diventa per la prima volta la nozione
fondamentale dell‘etica. Difatti né l‘etica platonica né
l‘etica aristotelica fanno riferimento all‘ordine razionale
del tutto, assumendo a loro fondamento la prima la
nozione di giustizia, la seconda quella di felicità. Delle
azioni compiute per istinto alcune sono doverose, altre
contrarie al dovere, altre né doverose né contrarie al
dovere. Doverose sono quelle che la ragione consiglia di
compiere, come onorare i genitori, i fratelli, la patria e
andar d‘accordo con gli amici. Contro il dovere sono
quelle che la ragione consiglia di non fare. Né doverose né
contrarie al dovere sono quelle che la ragione né consiglia
né vieta, come sollevare una pagliuzza, tenere una penna
ecc. Questa prevalenza della nozione del dovere conduce
gli Stoici fino alla giustificazione del suicidio. Quando
infatti le condizioni che sono contrarie all‘adempimento
del dovere prevalgono su quelle favorevoli, il sapiente ha
il dovere di abbandonare la vita, e molti dei maestri dello
Stoa seguirono questo precetto. Fa parte integrante
dell‘etica stoica la negazione totale dell‘emozione
(pathos). Essa infatti non ha alcuna funzione
nell‘economia generale del cosmo che provveduto in
modo perfetto alla conservazione e al bene degli esseri
viventi. Le emozioni invece non sono provocate da
situazioni naturali: sono opinioni o giudizi dettati da
leggerezza. Gli Stoici distinguevano quattro emozioni
91
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
fondamentali alle quali riducevano tutte le altre: due aventi
origine da beni presunti: la brama dei beni e la letizia dei
beni presenti; due aventi origine da mali presunti: il timore
dei mali e l‘afflizione dei mali presenti. Le emozioni sono
vere e proprie malattie che colpiscono lo stolto ma di cui il
sapiente è immune. La condizione del sapiente è quindi
l‘indifferenza ad ogni emozione, l‘apatia.
La legge naturale e il cosmopolitismo
La legge che si ispira alla ragione divina è la legge
naturale della comunità umana: una legge superiore a
quelle riconosciute dai diversi popoli della terra. Questi
concetti costituirono e costituiscono la base della teoria del
diritto naturale che per molti secoli è stato a fondamento di
ogni dottrina del diritto. L‘uomo che si conforma alla
legge è cittadino del mondo (cosmopolita) e dirige le
azioni secondo il volere della natura conforme al quale
tutto il mondo si governa. Perciò il sapiente non appartiene
a questa o a quella nazione ma alla città universale in cui
tutti gli uomini sono concittadini e nella quale non
esistono liberi e schiavi ma tutti sono liberi.
L‘Epicureismo
Epicuro nacque nel 341 a.C. a Samo. A 18 anni, Epicuro si
recò ad Atene, fondando una scuola che aveva sede nel
―giardino‖. Epicuro vede nella filosofia la via per
raggiungere la felicità, intesa come liberazione dalle
passioni. Il valore della filosofia è quindi strumentale: il
fine è la felicità. ―Se non fossimo turbati dal pensiero delle
92
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
cose celesti e della morte e dal non conoscere i limiti dei
dolori e dei desideri, non avremmo bisogno della scienza
della natura‖. La filosofia indica all‘uomo un quadruplice
farmaco:
1. Liberare gli uomini dal timore degli dèi, dimostrando
che essi non si occupano delle faccende umane.
2. Liberare gli uomini dal timore della morte dimostrando
che essa non è nulla per l‘uomo: quando ci siamo noi la
morte non c‘è, quando c‘è la morte non ci siamo noi.
3. Dimostrare la facile raggiungibilità del piacere stesso.
4. Spiegare la brevità e la provvisorietà del dolore.
Epicuro distinse tre parti della filosofia: la canonica, la
fisica e l‘etica.
La canonica
Epicuro chiamò canonica la logica o teoria della
conoscenza, in quanto la considerò diretta a dare il criterio
della verità e quindi una regola o canone della verità per
orientare l‘uomo verso la felicità. Il criterio della verità è
costituito dalle sensazioni, dalle anticipazioni e dalle
emozioni. La sensazione è prodotta nell‘uomo dal flusso
degli atomi che si staccano dalla superficie delle cose
(secondo la teoria di Democrito). Questo flusso produce
immagini che sono in tutto simili alle cose da cui sono
prodotte. Da queste immagini derivano le sensazioni; dalle
sensazioni derivano le rappresentazioni fantastiche che
risultano dalla combinazione di due immagini diverse
(come, per esempio, la rappresentazione del centauro
deriva dall‘unione dell‘immagine dell‘uomo con quella del
cavallo. Dalle sensazioni ripetute e conservate nella
93
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
memoria derivano i concetti. La sensazione è sempre vera
ed evidente ed è dunque il criterio della verità. Ma poiché
anche i concetti o anticipazioni derivano da sensazioni,
anch‘essi sono veri e costituiscono insieme alla sensazione
il criterio della verità. Infine il terzo criterio di verità è
l‘emozione, cioè il piacere o il dolore, che costituisce la
norma per la condotta pratica.
La fisica
La fisica di Epicuro ha lo scopo di escludere dalla
spiegazione del mondo ogni causa soprannaturale e di
liberare così gli uomini dal timore di dipendere da forze
sconosciute. Per raggiungere questo scopo la fisica deve
essere: 1) materialistica, cioè escludere la presenza nel
mondo di ogni anima o principio spirituale; 2)
meccanicistica, cioè avvalersi nelle sue spiegazioni
unicamente del movimento dei corpi escludendo qualsiasi
finalismo. Epicuro afferma che tutto ciò che esiste è corpo
perché solo il corpo può agire o subire un‘azione. Solo il
vuoto è incorporeo, ma il vuoto ha l‘unica funzione di
permettere ai corpi di muoversi attraverso se stesso.
Epicuro perciò ammette con Democrito che nulla viene dal
nulla e che ogni corpo è composto di corpuscoli
indivisibili (atomi) che si muovono nel vuoto. Nel vuoto
infinito, gli atomi si muovono eternamente urtandosi e
combinandosi tra loro. Le loro forme sono diverse; ma il
loro numero, per quanto indeterminabile, non è infinito. Il
loro movimento non ubbidisce ad alcun disegno
provvidenziale, ad alcun ordine finalistico. Gli Epicurei
escludono esplicitamente la provvidenza stoica e la critica
94
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
a tale provvidenza costituisce uno dei temi preferiti della
loro polemica. Epicuro ammette però l‘esistenza delle
divinità. E l‘ammette in virtù del suo stesso empirismo:
perché gli uomini hanno l‘immagine della divinità; e
quest‘immagine, come ogni altra, non può essere stata in
loro prodotta che da flussi di atomi emanati dalle divinità
stesse. Gli dèi hanno la forma umana, che è la più perfetta
e quindi la sola degna di esseri razionali. Essi
intrattengono abitano gli spazi vuoti tra mondo e mondo.
Ma non si curano né del mondo né degli uomini. L‘anima
è, secondo Epicuro, composta di particelle corporee, più
sottili, che sono diffuse in tutto il corpo come un soffio.
Con la morte gli atomi dell‘anima si separano ed ogni
possibilità di sensazione cessa: la morte è privazione di
sensazioni.
L‘etica
L‘etica epicurea pone nella felicità il fine dell‘esistenza.
La felicità consiste nel piacere: ―il piacere è il principio e
il fine della vita beata‖, dice Epicuro. Il piacere è infatti il
criterio della scelta e dell‘avversione: si tende al piacere, si
sfugge il dolore. Ma vi sono due tipi di piaceri: il piacere
stabile, che consiste nella privazione del dolore, e il
piacere dinamico, che consiste nella gioia. La felicità
consiste soltanto nel piacere stabile o negativo, nel non
soffrire e nel non agitarsi ed è quindi definita come
atarassia (assenza di turbamento) e aponia (assenza di
dolore). Questo carattere negativo del piacere impone la
scelta e la limitazione dei bisogni. Epicuro distingue i
bisogni naturali e quelli vani; dei bisogni naturali alcuni
95
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
sono necessari (ad es. mangiare), altri no (ad es. il
mangiare troppo). Solo i desideri naturali e necessari
vanno appagati, gli altri vanno abbandonati e rimossi.
Bisogna rinunciare ai piaceri da cui deriva un dolore
maggiore e sopportare anche a lungo i dolori da cui deriva
un piacere maggiore. Ad ogni desiderio bisogna porre la
domanda: che avverrà, se esso viene appagato? Che cosa
avverrà se non viene appagato? Soltanto il calcolo dei
piaceri può far sì che l‘uomo basti a se stesso e non diventi
schiavo dei bisogni. La dottrina di Epicuro non si può
quindi confondere con un volgare edonismo. Inoltre il
culto dell‘amicizia fu caratteristico della teoria e della
condotta pratica degli Epicurei. ―Di tutte le cose che la
saggezza ci offre per la felicità della vita, la più grande è
di gran lunga l‘amicizia‖ (Massime capitali). L‘amicizia
nasce dall‘utile, ma essa è un bene per sé. L‘atteggiamento
dell‘epicureo verso gli uomini in generale è nella
massima: ―È non solo più bello ma anche più piacevole
fare il bene anziché riceverlo‖. Quanto alla vita politica,
Epicuro riconosceva i vantaggi che essa procura agli
uomini, tenendoli obbligati a leggi che impediscono loro
di danneggiarsi a vicenda. Ma consigliava al saggio di
rimanere estraneo alla vita politica.
Lo scetticismo
Contrariamente alle altre filosofie, impegnate nella ricerca
del vero e nella costruzione di un determinato sistema
metafisico sull‘universo, lo scetticismo dichiara che
l‘uomo non può accedere alla verità ultima delle cose e
96
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
che la più alta forma di saggezza consiste proprio nel
riconoscere questo fatto, inequivocabilmente dimostrato,
secondo gli Scettici, dalla molteplicità delle filosofie in
lotta fra di loro. Gli scettici, di fronte alla varietà
sconcertante delle visioni del mondo presenti fra gli
uomini, concludono che l‘unico modo per raggiungere la
tranquillità della mente, è riconoscere come ugualmente
fallaci tutte le dottrine. Il termine scetticismo deriva da
sképsis, che indica indagine, ricerca, dubbio. Infatti,
secondo gli scettici, la quiete dello spirito non si raggiunge
accettando una qualche dottrina metafisica, ma rifiutando
ogni dottrina. Parte integrante del mondo ellenistico e
della sua concezione della filosofia come terapia mentale
ed esistenziale, lo scetticismo, analogamente alle altre
scuole, subordina l‘indagine speculativa ad un fine pratico:
l‘ottenimento della pace interiore generato dalla critica
consapevolezza delle chiacchiere dei dogmatici. Di
conseguenza, lo scetticismo si dedica prevalentemente alla
distruzione delle altre dottrine filosofiche, specialmente di
quelle contemporanee: lo stoicismo e l‘epicureismo.
Pirrone e Timone
Secondo Pirrone non ci sono cose vere o false, belle o
brutte, buone o cattive per natura e assolutamente, ma
soltanto per convenzione e relativamente. Sono le
abitudini degli uomini, i loro costumi e le loro decisioni a
rendere buona o cattiva, vera o falsa, una cosa. Al di fuori
di tali credenze e convenzioni, sempre mutevoli, non è
possibile nessun giudizio, giacché la realtà in sé, per
l‘uomo, risulta inafferrabile, per cui l‘unico atteggiamento
97
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
legittimo, come diranno più tardi altri scettici, rimane la
sospensione di ogni giudizio (epoché). Secondo Pirrone
solo
lo
scetticismo
procura
l‘atarassia,
cioè
l‘imperturbabile serenità della mente. Infatti il sapiente.
messosi il cuore in pace, per aver compreso che al mondo
non esiste la verità con la lettera maiuscola, poiché sulla
natura profonda delle cose non si può dire nulla con
certezza, guarda con superiorità le dispute dei metafisici,
che continuano a battersi, con ―guerre di parole‖, circa
questioni su cui non è possibile decidere. Questo raffinato
distacco intellettuale dalle verità e dai dogmi dei più non
impedisce affatto che lo scettico pirroniano, nella pratica,
possa vivere come tutti gli altri, facendo più o meno
esattamente le stesse cose: accudire alle proprie faccende,
riposarsi, svagarsi ecc. Timone affermava che l‘uomo per
essere felice dovrebbe conoscere tre cose: 1) quale sia la
natura delle cose; 2) quale atteggiamento bisogna
assumere rispetto ad esse; 3) quali conseguenze
risulteranno da questo atteggiamento. Ma è impossibile
conoscere queste tre cose e perciò l‘unico atteggiamento
possibile è quello dell‘afasia.
98
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
CAPITOLO 7
La filosofia medioevale
Il Cristianesimo nel mondo occidentale determinò un
nuovo indirizzo filosofia. Ogni religione implica un
insieme di credenze, che consistono nell‘accettazione di
una rivelazione. La religione è l‘adesione a verità che
l‘uomo accetta in virtù di una testimonianza superiore. Ai
Farisei che gli dicevano: ―Tu testimoni di te stesso, quindi
la tua testimonianza non è valida, Gesù rispose: Io non
sono solo, ma siamo io e Colui che mi ha mandato‖ (S.
Giov., VIII, 13, 16), fondando così il valore del suo
insegnamento sulla testimonianza del Padre. Ma
riconosciuta la verità nel suo valore assoluto, quale viene
rivelata da una potestà trascendente, si determina
immediatamente l‘esigenza di avvicinarsi ad essa e di
comprenderla nel suo significato autentico, vivere
veramente con essa e di essa. A questa esigenza solo la
ricerca filosofica può soddisfare. Dalla religione cristiana
è nata così la filosofia cristiana. Gli strumenti per questo
compito la filosofia cristiana li trovò in parte nella
Filosofia greca. Ma la Chiesa stessa, nelle sue assise
solenni (Concili) definisce le dottrine che esprimono il
significato fondamentale della rivelazione (dogmi). Da ciò
deriva il carattere proprio della filosofia cristiana, nella
quale la ricerca individuale trova segnati anticipatamente i
suoi limiti. Essa non è, come la filosofia greca, ricerca
completamente autonoma che deve muovere in primo
luogo a fissare i termini e il significato del suo problema; i
termini e la natura del problema le sono già dati. Ciò non
diminuisce il suo significato vitale: attraverso la ricerca
99
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
filosofica il messaggio cristiano, nell‘immutabilità del suo
significato fondamentale, ha rinnovato e conservato
attraverso i secoli la forza e l‘efficacia del suo magistero
spirituale.
Caratteri della Patristica
Quando il Cristianesimo, per difendersi dagli attacchi
polemici e dalle persecuzioni dovette organizzarsi in un
sistema di dottrine, si presentò come l‘espressione
compiuta e definitiva della verità che la filosofia greca
aveva cercata, ma solo imperfettamente e parzialmente
raggiunta. Una volta postosi sul terreno della filosofia, il
Cristianesimo tenne ad affermare la propria continuità con
filosofia greca ed a porsi come l‘ultima e più compiuta
manifestazione di essa. Giustificò questa continuità con
l‘unità della ragione (Logos), che Dio ha creata identica in
tutti gli uomini di tutti i tempi e alla quale la rivelazione
cristiana ha dato l‘ultimo fondamento; e con ciò affermò
implicitamente l‘unità della filosofia e della religione. Era
naturale, da questo punto di vista, che si tentasse da un
lato dì interpretare il cristianesimo mediante concetti
desunti dalla filosofia greca, dall‘altro di ricondurre il
significato di quest‘ultima allo stesso Cristianesimo. Il
periodo di questa elaborazione dottrinale è la Patristica. E
Padri della chiesa sono gli scrittori cristiani dell‘antichità,
che hanno contribuito all‘elaborazione dottrinale del
Cristianesimo e la cui opera è stata accettata e fatta propria
dalla Chiesa.
100
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
AGOSTINO d‘Ippona (354-430)
Ragione e fede
Nei Soliloqui, Agostino così dichiarava lo scopo della sua
ricerca: Io desidero conoscere Dio e l‘anima (Deum et
animam scire cupio). Ma Dio e l‘anima non richiedono per
Agostino due indagini parallele o diverse. Cercare l‘anima
significa cercare Dio, nella commossa persuasione che
―Tu, o Dio, ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto,
finché non trovi riposo in te‖. Ora, in quello sforzo verso
Dio ragione e fede sono strettamente unite e in grado di
collaborare e di rafforzarsi a vicenda. Infatti, la teoria
agostiniana dei rapporti fra ragione e fede è sintetizzata
nella duplice formula crede ut intelligas (credi per capire)
e intellige ut credas (capisci per credere). Agostino intende
dire che per capire, ossia per far filosofia in modo corretto
e trovare la verità, è indispensabile credere, cioè possedere
la fede, la quale è simile alla luce che ci indica il cammino
da seguire. Viceversa, per avere una salda fede è
indispensabile comprendere ed esercitare l‘intelletto, cioè
filosofare. Di conseguenza, per Agostino ragione e fede,
essendo strettamente congiunte, si configurano come facce
diverse di quella medesima realtà esistenziale che è il
rapporto dell‘uomo con Dio. L‘oggetto della ricerca
agostiniana non è il cosmo, ma l‘uomo o l‘io, ossia la,
persona nella sua singolarità irripetibile e nella sua
apertura a Dio (da ciò il carattere marcatamente
esistenziale delle Confessioni).
La confutazione dello scetticismo
dell‘illuminazione: dal dubbio alla Verità
e
la
teoria
101
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Contro lo scetticismo, Agostino sostiene che non è
possibile dubitare e ingannarsi su tutto, perché la nostra
esistenza, ad esempio, è indubitabile, in quanto se anche
dubitiamo e ci inganniamo su di essa, dobbiamo per forza
esistere: ―Se m‘inganno vuoi dire che sono. Non si può
ingannare chi non esiste: se dunque m‘inganno, per ciò
stesso io sono. Poiché dunque esisto, dal momento che
m‘inganno, come posso ingannarmi a credere che esisto,
quando è certo che io esisto dal momento che m‘inganno?
Poiché dunque, anche nell‘ipotesi che mi inganni, esisterei
pur ingannandomi, non mi inganno certamente nel
conoscere che esisto. In altri termini, il dubbio
presuppone, per sua stessa natura, un rapporto dell‘uomo
con la verità. Tuttavia, pur essendo nella verità, l‘uomo
non è, lui stesso, la verità. Infatti l‘uomo è ricercatore
della verità, è imperfetto e mutevole, mentre la vera Verità
è immutabile e perfetta e possiede totalmente se
medesima: ―Confessa di non essere tu ciò che è la verità,
poiché essa non cerca se stessa. Di conseguenza, la Verità
non può essere che Dio. L‘uomo non è la Verità, ma solo
colui che ne accoglie una parte come dono. La cosiddetta
teoria dell‘illuminazione‖ di Agostino sostiene infatti che
l‘uomo, non essendo e non possedendo di per sé la verità,
la riceve da Dio, il quale simile ad una vivida luce,
illumina la nostra mente, permettendole di apprendere.
Questa dottrina agostiniana, nonostante la forte valenza
religiosa, ha come presupposto filosofico ben preciso,
senza il quale non la si intenderebbe adeguatamente: la
teoria platonica della conoscenza. Analogamente a
P1atone, Agostino ritiene infatti ch e Platone nell‘uomo
esistano delle verità o dei criteri di giudizio (ad es. la
102
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Giustizia, il Bene ecc.), che non possono derivare dalla
mutevole percezione dei sensi e dall‘esperienza. Tuttavia,
mentre Platone, con la teoria della reminiscenza, faceva
derivare tali verità dal mondo delle idee, Agostino, con la
teoria dell‘illuminazione li fa cristianamente provenire da
Dio. Infatti se la ragione è superiore alle cose di cui
giudica, la legge in base alla quale essa giudica è superiore
alla ragione, poiché viene da quella Legge o Ragione
suprema che è Dio.
Dio come Essere, Vita e Amore
La verità è Dio: questo è il principio fondamentale della
teologia agostiniana. Proprio in quanto l‘uomo ricerca Dio
nell‘interiorità della sua coscienza, Dio è per lui Essere e
Verità, Trascendenza e Rivelazione, Padre e Logos. Dio si
rivela come trascendenza all‘uomo che incessantemente e
amorosamente lo cerca nella profondità del suo io: ciò
vuoi dire che Egli non è essere se non in quanto è insieme
manifestazione di sé come tale, cioè Verità, che non è
trascendenza, se non in quanto è insieme rivelazione, che
non è Padre se non in quanto è insieme Figlio, Logos o
Verbo che muove incontro all‘uomo per trarlo a sé. Le due
prime persone della Trinità si manifestano all‘uomo nella
ricerca; e così l‘altra, lo Spirito Santo, che è l‘amore.
La struttura trinitaria dell‘uomo
La possibilità di cercare Dio e di amarlo è radicata nella
stessa natura dell‘uomo. Se fossimo animali, potremmo
amare soltanto la vita carnale e gli oggetti sensibili. Se
fossimo alberi, non potremmo amare nulla di ciò che ha
movimento e sensibilità. Ma siamo uomini, creati ad
103
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
immagine del nostro creatore che è la vera Eternità,
l‘eterna Verità, l‘eterno e vero Amore; abbiamo dunque la
possibilità di ritornare a lui. Questa possibilità di ritornare
a Dio e inscritta nella natura stessa dell‘uomo, che
presenta una struttura trinitaria la quale è a immagine di
Dio. Infatti l‘uomo è, conosce e ama proprio come Dio è
Essere (il Padre), Intelligenza (il Figlio) e Amore (lo
Spirito Santo) In altri termini ancora, l‘uomo è composto
di tre facoltà, che riproducono tre aspetti di Dio. La prima
è la memoria, la seconda è l‘intelligenza, la terza è la
volontà o l‘amore.
Il problema della creazione e del tempo
In quanto è Essere, Dio è il fondamento di tutto ciò che è;
è dunque il creatore di tutto. E difatti la mutevolezza del
mondo che ci sta intorno dimostra che esso è l‘essere: ha
dovuto dunque essere creato dal nulla. Dio ha creato tutto
attraverso la. Parola, ma la parola di cui parla il racconto
della Genesi non è la parola sensibile, ma il Logos o Figlio
d che è coeterno con lui. Il Logos o Figlio ha in sé le idee,
cioè le forme o le idee delle cose, che sono eterne come
eterno è egli stesso. Queste forme o idee non costituiscono
dunque, come voleva Platone, un mondo intelligibile, ma
l‘eterna ed immutabile ragione attraverso la quale Dio ha
creato il mondo. Le idee divine sono da Agostino
avvicinate alle ragioni seminali di cui parlavano gli Stoici.
L‘ordine del mondo, che dipende dalla divisione delle
cose in generi e specie, è garantito appunto dalle ragioni
seminali, che, implicite nella mente divina, determinano,
nell‘atto della creazione, la divisione e l‘ordinamento delle
cose singole. ―Che cosa faceva Dio prima di creare il cielo
104
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
e la terra? In realtà, Dio è 1‘autore non solo di ciò che
esiste nel tempo, ma del tempo stesso. Prima della
creazione non c‘era tempo: non c‘era dunque un ―prima‖ e
non ha senso domandarsi che cosa Dio facesse ―allora‖.
L‘eternità è al disopra di ogni tempo: in Dio nulla è
passato e nulla è futuro perché il suo essere è immutabile e
l‘immutabilità è un presente eterno in cui nulla trapassa.
Ma, che cosa è il tempo? Certamente, la realtà del tempo
non è nulla di permanente. Il passato è tale perché non è
più, il futuro è tale perché non è ancora; e se il presente
fosse sempre presente e non trapassasse continuamente nel
passato, non sarebbe tempo, ma eternità. Nonostante
questa fuggevolezza del tempo, noi, però, riusciamo a
misurarlo e parliamo di un tempo breve o lungo. L‘anima
è la misura del tempo. Non si può certo misurare il passato
che non è più, o il futuro che non è ancora; ma noi
conserviamo la memoria del passato e siamo in attesa del
futuro. Il futuro non c‘è ancora, ma c‘è nell‘anima l‘attesa
delle cose future; il passato non c‘è più, ma c‘è nell‘anima
la memoria delle cose passate. Il presente è privo di durata
e in un istante trapassa, ma dura nell‘anima l‘attenzione
alle cose presenti. Il tempo trova nell‘anima la sua realtà:
nel distendersi (distensio) della vita interiore dell‘uomo
attraverso l‘attenzione, la memoria e l‘aspettazione. Partito
alla ricerca della realtà oggettiva del tempo, Agostino
giunge invece a chiarirne la soggettività.
Il problema del male
Agostino è uno dei filosofi occidentali che hanno vissuto
con maggior tormento il problema del male. Agostino
aveva abbracciato, in un primo tempo, la soluzione
105
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
professata dal principe persiano Mani (III sec. d.C.), che
ammetteva nel mondo due Principi, uno del Bene e l‘altro
del Male, in lotta eterna fra di loro. In un secondo tempo
S. Agostino aveva abbandonato il manicheismo,
ritenendolo filosoficamente insostenibile, poiché esso
presupponendo uno scontro cosmico della divinità del
Bene con quella del Male, metteva in forse il concetto di
incorruttibilità di Dio. S. Agostino, trovando inconciliabili
la realtà del male e la bontà perfetta di Dio, si risolve a
negare la realtà sostanziale del negativo, utilizzando lo
schema neoplatonico secondo cui il male è una forma di
non-essere del bene. Poiché Dio ha creato tutte le cose
sostiene S. Agostino — tutto ciò che è, in è, è bene. Per
cui essere e bene coincidono. Se essere = bene, in quanto
ogni sottrazione di essere è nel contempo una sottrazione
di bene e viceversa, il, male, metafisicamente parlando,
non ha una sua propria realtà, cioè un essere sostanziale
autonomo, in quanto esso è sempre male di qualcosa, cioè
l‘accidente di un soggetto che di per sé è bene.‘‘il male di
cui cercavo l‘origine — scrive S. Agostino — non è —
sostanza, perché, se fosse una sostanza, sarebbe un bene. E
invero o sarebbe una sostanza incorruttibile e perciò
senz‘altro un bene grande, o una sostanza corruttibile e
perciò un bene, ché, altrimenti, non potrebbe andar
soggetto a corruzione. Perciò vidi come Tu facesti buone
tutte le cose (Confessioni, VII, 12).
I mali fisici e morali
La negazione della realtà metafisica del male, ovvero della
sua autonoma consistenza, non toglie però che nel mondo
esista una somma verificabile di mali fisici e morali.
106
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Infatti quella privazione di bene la si può incontrare sia
nell‘ordine delle realtà naturali sia nell‘ordine delle azioni
umane. Per quanto riguarda le supposte imperfezioni
derivanti dal fatto che alcune cose di per sé buone
sembrano non accordarsi con altre — S. Agostino afferma
che esse non sono veramente tali, se pensate dal punto di
vista dell‘ordine universale. S. Agostino sostiene infatti
che i cosiddetti mali di natura: a) o derivano dalla struttura
gerarchica dell‘universo, che per la sua completezza
richiede non solo gli esseri superiori, ma anche quelli
inferiori; b) o fungono da elementi necessari dell‘armonia
cosmica, così come le ombre, in un quadro, sono
indispensabili per dar risalto alle -luci o -come i silenzi e
le dissonanze sono indispensabili per una sinfonia. In tutti
questi casi il male, come tale, non esiste, poiché è
semplicemente il momento o la funzione di una totalità
che di per sé è bene. A loro volta, i mali fisici che
affliggono l‘uomo, come le malattie, le sofferenze, la
morte, sono un effetto del peccato originale e
nell‘economia della salvezza hanno un significato
positivo. Per quanto riguarda il male morale, esso risiede
nel peccato, che consiste, come si è visto, nella deficienza
della volontà che rinunzia a Dio e si attacca a ciò che è
inferiore. In conclusione, per S. Agostino il male non
esiste, poiché esso è parte di un ordine cosmico che
globalmente considerato è bene oppure è dovuto all‘uomo.
La polemica contro il pelagianesimo
Una decisiva polemica agostiniana è quella contro il
pe1agianesimo. La polemica che ha avuto la maggiore
portata nella formulazioni della dottrina agostiniana,
107
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
conducendo Agostino a fissare con straordinaria energia e
chiarezza il suo pensiero sul problema del libero arbitrio e
della grazia. Il punto di vista di Pelagio consisteva
essenzialmente nel negare che la colpa di Adamo avesse
indebolito radicalmente la libertà originaria dell‘uomo
quindi la sua capacità di fare il bene. Il peccato di Adamo
è solo un esempio cattivo che pesa bensì sulle nostre
capacità e rende ad esse più difficile il compito di operare
bene, ma non lo rende impossibile e soprattutto non toglie
ad esse la possibilità di reagire e decidersi per il meglio.
Per Pelagio l‘uomo, sia prima del peccato di Adamo sia
dopo, è naturalmente capace di operare virtuosamente
senza bisogno del soccorso straordinario della grazia. Ma
questa dottrina conduceva a ritenere inutile l‘opera
redentrice del Cristo. Agostino reagisce energicamente,
affermando che con Adamo ha peccato tutta l‘umanità e
che quindi il genere umano è una massa dannata, nessun
membro della quale può essere sottratto alla dovuta
punizione, se non dalla misericordia e dalla grazia di Dio.
Libertà, grazia e predestinazione
La dottrina agostiniana della grazia dà luogo ad una serie
di complessi interrogativi,che hanno diviso gli studiosi e
che esploderanno, in tutta la loro forza dirompente, con la
Riforma protestante. Innanzitutto, la grazia, in relazione
alla salvezza, è un fattore determinante o solo
concomitante? Di fronte a questo problema non ci sono,
evidentemente, che due soluzioni possibili, e due sono in
realtà le dottrine tipiche della grazia: 1) la grazia è
determinante, cioè è Dio stesso che, conferendola o non
conferendola, determina gli abiti o le disposizioni che
108
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
renderanno l‘uomo giusto e lo porteranno alla salvezza; 2)
la grazia non è determinante nel senso che la sua
concessione da parte di Dio, pur essendo condizione
necessaria della salvezza, non determina la salvezza
stessa, che esige il concorso o la cooperazione dell‘uomo.
Ora l‘ambiguità della posizione agostiniana consiste nel
fatto che in essa ci sono degli appigli per entrambe le
soluzioni. Inoltre, posto che la grazia divina sia
indispensabile, sorge la domanda: la grazia è concessa a
tutti indistintamente o solo ad alcuni? Anche in questo
caso, Agostino oscilla tra due esigenze opposte: da un lato
quella che consiste nell‘ammettere che Dio concede a tutti
la grazia sufficiente alla salvezza, pur lasciando a tutti la
possibilità di perdersi; dall‘altro quella che consiste
nell‘esaltare la potenza della grazia quale dono gratuito
concesso solo ad alcune anime. Tant‘è vero che talora
Agostino parla di una grazia che non viene distribuita a
tutti, ma solo agli ―eletti‖ che Dio ha ―predestinati‖ alla
salvezza. Egli è indotto a ciò dall‘osservazione di alcuni
fatti della vita spirituale: ad es., i bambini che muoiono
senza battesimo, oppure il destino di quei milioni di
individui che sono stati esclusi dalla Chiesa (―fuori della
quale non c‘è salvezza‖) e ai quali non è neppure giunta
notizia del nome di Cristo. Possiamo quindi affermare che
in Agostino non esiste una teoria univoca sulla salvezza.
In Agostino c‘è piuttosto un ambiguo oscillare fra sistemi
concettuali opposti, e talora contraddittori, con una
oggettiva prevalenza, nella fase antipelagiana, di uno
schema teorico propenso ad affidare a Dio, più che
all‘uomo o alla cooperazione uomo- Dio, l‘impresa della
salvezza. Ed è proprio su questo punto che la Chiesa si
109
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
sforzerà di ―mitigare il dettato di Agostino, al fine di
salvaguardare quello che, soprattutto in antitesi alla
Riforma, ha finito per imporsi come uno dei principi vitali
e irrinunciabili del cattolicesimo: ossia la teoria della
cooperazione uomo-Dio. Teoria fondata sulla persuasione
per cui se la grazia è la condizione che rende fruttuoso il
libero arbitrio, quest‘ultimo è la condizione in virtù della
quale la grazia è davvero un dono e non una costrizione o
una necessità.
La città di Dio
Il sacco di Roma perpetrato nel 410 dai Goti di Alarico
aveva ridato attualità alla vecchia tesi che la sicurezza e la
forza dell‘impero romano fossero legati al paganesimo, e
che il cristianesimo rappresentasse, per esso, un elemento
di debolezza e dissolvimento. Contro questa tesi e contro
la paura, da parte dei cristiani, di essere sommersi dalla
catastrofe storica, Agostino compose, tra il 413 e il 426, il
suo capolavoro: La città di Dio. In quest‘opera egli
afferma che la vita dell‘uomo singolo è dominata
dall‘alternativa fondamentale: vivere secondo la carne o
vivere secondo lo spirito. La stessa alterativa domina la
storia dell‘umanità. Questa è costituita dalla lotta di due
città o regni: il regno la città terrena della carne e il regno
dello spirito, la città terrena o città del diavolo, che è la
società e la città celeste degli empi, e la città celeste o città
di Dio che è la comunità dei giusti. Queste due città non si
dividono mai nettamente il loro campo d‘azione nella
storia. Nessun periodo della storia, nessuna istituzione è
dominata esclusivamente dall‘una o dall‘altra delle due
città. Nessun contrassegno esteriore distingue le due città e
110
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
sono mescolate insieme sin dall‘inizio della storia umana e
lo saranno sino alla fine. Solo interrogando se stesso
ognuno potrà scorgere a quale delle due città appartenga.
Sulla base del suo schema teologico, Agostino, in
corrispondenza dei sei giorni della creazione, distingue sei
epoche. La prima va da Adamo al diluvio universale, la
seconda da Noè ad Abramo, la terza da Abramo a Davide,
la quarta da Davide fino alla cattività babilonese, la quinta
da quest‘ultima fino alla nascita di Cristo, la sesta da
Cristo fino al suo ritorno alla fine del mondo.
Le origini della Scolastica
La parola scolastica designa la filosofia cristiana del
Medioevo. I1 nome scholasticus nei primi secoli del
Medioevo l‘insegnante delle arti liberali, cioè di quelle
discipline che costituivano il trivio (grammatica, logica o
dialettica, e retorica) e il quadrivio della (geometria,
aritmetica, astronomia e musica). In seguito si chiamò
scholasticus anche il docente di filosofia o di teologia, il
cui titolo ufficiale era magister in theologia e che teneva le
sue lezioni dapprima nella scuola del chiostro, poi
nell‘università (studium generale). Poiché le forme
fondamentali dell‘insegnamento erano due, la lectio, che
consisteva nel commento di un testo, e la disputatio, che
consisteva nell‘esame di un problema fatto con la
considerazione di tutti gli argomenti che si possono
addurre pro e contra, l‘attività letteraria degli Scolastici
assunse prevalentemente la forma di Commentari (alla
Bibbia, alla logica di Aristotele e in seguito alle Sentenze
di Pietro Lombardo e alle altre opere di Aristotele) o di
111
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
raccolte di questioni. La connessione della Scolastica con
la funzione dell‘insegnamento non è un fatto
semplicemente accidentale ed estrinseco, ma fa parte della
natura stessa della Scolastica. Ogni filosofia è determinata
nella sua natura dal problema che costituisce il centro
della sua ricerca; ed il problema della Scolastica era quello
di portare l‘uomo alla comprensione della verità rivelata.
Ora questo era un problema di scuola, cioè di educazione:
il problema della formazione dei chierici. La coincidenza
tipica e totale del problemi speculativo e del problema
educativo giustifica pienamente il nome della filosofi,
medievale e ne spiega i tratti fondamentali. In primo
luogo, la Scolastica non è, come filosofia greca, una
ricerca autonoma che affermi la propria indipendenza
critica di fronte ad ogni tradizione. La tradizione religiosa
è, per essa, il fondamento della ricerca. La verità è stata
rivelata all‘uomo attraverso le Sacre Scritture. Per l‘uomo,
si tratta soltanto di accedere a questa verità, di
comprenderla, per quanto è possibile, mediante i poteri
naturali e con l‘aiuto della grazia divina, e di farla propria
per assumerla a fondamento della propria vita religiosa.
Ma anche in questo compito, che è quello della ricerca
filosofica, l‘uomo non può e non deve essere affidato alle
sole sue forze. Di qui l‘uso costante delle auctoritates.
Auctoritas è la decisione di un concilio, un detto biblico,
una sentenza di un Padre della Chiesa. Il suo scopo è
quello di intendere la già data nella rivelazione, non quella
di trovare la verità.
Il problema della scolastica
112
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Il problema del rapporto ragione e fede non è un problema
puramente speculativo. È soprattutto il problema della
parte che può e deve avere l‘iniziativa razionale dell‘uomo
nella ricerca della verità e nella direzione della vita singola
e associata. Perciò è anche il problema della libertà che
l‘uomo può rivendicare per sé e delle limitazioni che tale
libertà deve incontrare nelle gerarchie che governano il
mondo. E infine il problema dei nuovi campi indagine (la
natura, la società) che si aprono all‘uomo a misura che egli
rivendica per ì sua ragione una maggiore autonomia. Se è
inteso nei termini che si sono esposti, il problema
scolastico può essere agevolmente adoperato per rendersi
conto della continuità della varietà, delle concordanze e
delle polemiche del pensiero medievale. Esso consente di
rendersi conto che l‘ortodossia e l‘eterodossia religiose
fanno parte ugualmente di questo pensiero come ne fanno
parte le speculazioni politiche e i sopravvissuti o risorgenti
interessi per la natura per la scienza; e che le tendenze
ereticali, le ribellioni filosofiche o teologiche o politiche
che lo hanno sempre, seppure in varia misura,
caratterizzato, ne costituiscono aspetti storici fondamentali
allo stesso titolo delle grandi sintesi dottrinali in cui
l‘inizia:iva razionale dell‘uomo e le esigenze della fede e
della gerarchia ecclesiastica sembrano aver trovato un
riuscito compromesso. Ciò che questo concetto del
problema esclude è il tentativo di considerare la Scolastica
stessa nel suo insieme come una sintesi dottrinale
omogenea in cui si siano unificati e fusi i contributi
individuali.
Anselmo d‘Aosta (1033-1109)
113
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Il contrasto esasperato tra fede e ragione non ebbe molta
fortuna nella filosofia medioevale, che preferì attenersi
costantemente al principio della loro possibile armonia. La
maggiore figura di questo periodo, S. Anselmo, pur
insistendo sulla superiorità indiscutibile della fede, non
ritiene possibile un contrasto tra essa e la ragione. Nato ad
Aosta nel 1033, Anselmo fu abate del monastero di Bec,
poi dal 1093 sino al 1109, anno della morte, arcivescovo
di Canterbury. Le sue opere principali sono: il Monologion
o Soliloquio; il Proslogion o discorso rivolto ad altri; e un
gruppo di quattro dialoghi su argomenti teologici vari. Per
Anselmo non si può intendere nulla se non si ha fede; ma
occorre confermare e dimostrare la fede con motivi
razionali (credo ut intelligam, credo per capire).
Gli argomenti sull‘esistenza di Dio
La verità fondamentale della religione, l‘esistenza di Dio,
è secondo Anselmo una pura verità di ragione: la ragione
può dimostrarla con le sole sue forze. Nel Monologion
Anselmo la dimostra con l‘argomento dei gradi. Vi sono
molte cose buone nel mondo, ma tutte sono buone più o
meno, non assolutamente; presuppongono dunque un bene
assoluto che sia la loro misura e dal quale esse traggano il
grado di bontà che posseggono; e questo Bene assoluto è
Dio. Lo stesso ragionamento si può fare per ogni valore o
perfezione esistente nel mondo ed anche per l‘essere delle
cose, che sono tutte, più o meno, e presuppongono
l‘Essere unico e sommo.
Il Proslogion ricorre a un‘argomentazione (prova
ontologica) che muove dal semplice concetto di Dio per
114
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
giungere a dimostrare l‘esistenza di Dio. L‘argomento è
diretto contro chi nega risolutamente tale esistenza, come
fa lo sciocco del XIII Salmo: che disse in cuor suo: Dio
non c‘è. Evidentemente, anche chi nega l‘esistenza di Dio
deve avere il concetto di Dio, giacché è impossibile negare
la realtà di qualcosa che non si pensa neppure. Ora il
concetto di Dio è il concetto di un essere ―di non si può
pensare nulla di maggiore‖ (quo maius cogitari nequit).
Ma ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore non
può esistere nel solo intelletto. Se fosse nel solo intelletto,
si potrebbe pensare che esistesse anche in realtà e cioè che
fosse maggiore; ma in tal caso ciò di cui non si può
pensare nulla di maggiore sarebbe anche ciò di cui si può
pensare qualcosa di maggiore. È impossibile dunque che
ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore esista nel
solo intelletto e non nella realtà. L‘argomento si fonda su
due punti: 1) ciò che esiste in realtà è maggiore, cioè più
perfetto, di ciò che esiste solo nell‘intelletto; 2) negare che
ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore esista in
realtà, significa contraddirsi perché significa ammettere
nello stesso tempo che si può pensarlo maggiore, cioè
esistente in realtà. L‘argomento ontologico nella storia del
pensiero L‘argomento ontologico dell‘esistenza di Dio è
stato rifiutato dalla maggioranza dei filosofi, anche se non
è mancato un nutrito drappello di pensatori, talora illustri,
che li hanno difeso ed accettato. Già un contemporaneo di
Anselmo, il monaco Gaunilone, nel suo Libro a difesa
dell‘insipiente, oppose sostanzialmente che, anche
ammesso che si abbia il concetto di Dio come di un essere
perfettissimo, da questo concetto non può dedursi
l‘esistenza di Dio, più che non possa dedursi dal concetto
115
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
di un‘isola perfettissima la realtà di quest‘isola. Anselmo
replicò col Libro apologetico, dicendo sostanzialmente che
il discorso di Gaunilone non regge, perché l‘idea delle
isole non coincide ancora con l‘idea della perfezione
assoluta, che risiede unicamente nell‘idea di Dio. In realtà,
nella sua risposta, S. Anselmo ―svicola‖ di fatto il
problema non rendendosi conto che l‘obiezione sollevata
da Gaunilone è molto più profonda. Infatti Gaunilone ha
voluto dire che un conto è il piano del pensiero e delle
possibilità logiche e un conto è il piano della realtà
effettiva, per cui dalla possibilità concettuale
dell‘esistenza di Dio non deriva, per ciò stesso, la sua
realtà. Grandi filosofi come S. Tommaso e Kant svolgono
fondamentalmente le intuizioni Gaunilone, rifiutando
l‘argomento ontologico. Nel Medioevo essa è stata
accettata da parecchi dottori (Alberto Magno, Bonaventura
ecc.). Nel mondo moderno è stata accolta da Cartesio,
Spinoza e Leibniz e, dopo Kant, da Hegel.
Tommaso d'Aquino (1225-1274)
Opere principali: De ente et essentia, Summa contra
Gentiles; Summa theologiae.
Ragione e fede
Il sistema tomistico ha la sua base nella determinazione
rigorosa del rapporto tra la ragione e la rivelazione.
All‘uomo, che ha come suo fine ultimo Dio, il quale
eccede la comprensione della ragione, non basta la sola
ricerca filosofica fondata sulla ragione. Ma la rivelazione
116
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
non annulla né rende inutile la ragione: la grazia non
elimina la natura, ma la perfeziona. La ragione non può
dimostrare ciò che è di pertinenza della fede, altrimenti la
fede stessa perderebbe ogni merito, ma può servire alla
fede in tre modi: 1) dimostrando i preamboli della fede,
cioè quelle verità la cui dimostrazione è necessaria alla
fede stessa. Non si può credere a ciò che Dio ha rivelato,
se non si sa che Dio c‘è. La ragione naturale dimostra che
Dio esiste, che è uno e che ha quegli attributi che possono
essere ricavati dalla considerazione delle cose da lui
create; 2) la filosofia può essere adoperata a chiarire
mediante similitudini le verità della fede; 3) può
controbattere le obiezioni che si fanno alla fede
dimostrando che sono false.
La metafisica
Ente, essenza ed esistenza (o ―atto d‘essere‖)
Il pensiero di Tommaso si configura come una filosofia
dell‘essere che si colloca nell‘ambito di una tradizione di
pensiero che va dai Greci agli arabi. Nell‘opuscolo
giovanile L‘ente e l‘essenza tale Tommaso si propone di
mettere a fuoco alcuni termini venuti di moda in quel
periodo (specialmente in seguito alla traduzione della
Metafisica di Avicenna). Termini che rischiavano di essere
usati in significati diversi e forieri di equivoci. Tali erano
ad es. i concetti di ente ed essenza. Ente (ens) ed essenza
(essentia), afferma Tommaso rifacendosi ad Avicenna,
sono le prime cose che l‘intelletto concepisce (Proemio).
L‘ente può essere reale o logico. Nel primo caso, l‘ente è
ciò che è presente nella realtà e che si divide nelle dieci
117
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
categorie enumerate da Aristotele. Nel secondo caso,
l‘ente è tutto ciò che viene espresso, tramite la copula, in
una proposizione affermativa anche se questa non pone
alcunché nella realtà, ossia senza che alla proposizione
debba necessariamente corrispondere qualcosa di reale,
come quando diciamo ad es. che la cecità è nell‘occhio
(dove risulta chiaro che non esiste la cecità, ma solo degli
occhi non-vedenti). Lasciando da parte il significato logico
del termine ente, Tommaso si sofferma sull‘ente reale, a
proposito del quale soltanto ha senso parlare di essenza.
L‘essentia è ciò che una cosa è, ovvero la sua quidditas (=
ciò che risponde alla domanda ―quid est?‖, ―che cos‘è?‖).
L‘essenza, che Tommaso chiama anche natura, comprende
non solo la forma, ma anche la materia delle cose
composte, giacché comprende tutto ciò che espresso nella
definizione della cosa. Per es., l‘essenza dell‘uomo, che è
definito animale ragionevole, comprende non solo la
―ragionevolezza‖ (forma), ma anche ―l‘animalità‖
(materia). Dall‘essenza così intesa si distingue l‘essere
(esse) o l‘atto d‘essere (actus essendi), ovvero l‘esistenza.
Infatti, puntualizza Tommaso, noi possiamo ad es.
comprendere ―che cosa è l‘uomo o la fenice, e tuttavia non
sapere se esistano in natura. Sostanze come l‘uomo e la
fenice risultano perciò composte di essenza e di esistenza,
che, pur essendo tra di loro inseparabili, risultano
realmente distinte l‘una dall‘altra. Negli esseri finiti,
essenza ed esistenza stanno fra di loro in un rapporto di
potenza ed atto, in quanto l‘esistenza rappresenta l‘atto
(actus essendi) grazie a cui le essenze che hanno l‘essere
solo in potenza, di fatto esistono. Ora, ogni realtà in cui si
distinguano l‘essenza e l‘esistenza, ossia ogni realtà che ha
118
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
l‘essere ma non è l‘essere (tale è appunto la condizione
degli esseri finiti e contingenti) deve per forza aver
ricevuto l‘essere da altro, e precisamente da un essere che,
non derivando la propria esistenza da altro, è, esso stesso,
l‘Essere (tale è la condizione del l‘esser infinito e
necessario, cioè di Dio). Nella sostanza divina l‘essenza è
la medesima esistenza. Dio è perciò necessario ed eterno,
ovvero esistente per definizione da sempre; 2) nelle
sostanze finite l‘esistenza è aggiunta dall‘esterno ed il loro
essere è quindi creato e contingente. In quest‘ultima
condizione si trovano non solo gli uomini e le cose del
mondo, ma anche gli angeli. Infatti, secondo Tommaso, in
quelle sostanze che sono pura forma senza materia (come
le intelligenze angeliche) manca evidentemente la
composizione di materia e forma, ma non quella di
essenza ed esistenza. Per cui, anche il loro essere risulta il
frutto di una creazione divina.
Partecipazione e analogia
Dire che gli esseri finiti sono stati creati da Dio equivale a
dire che essi hanno la loro esistenza per partecipazione.
Con questo termine, Tommaso intende l‘atto con cui le
creature, grazie a Dio, prendono partecipazione parte
all‘essere: allo stesso modo che quanto è infocato e non è
fuoco, è infuocato per partecipazione, così ciò che ha
l‘essere e non è l‘essere, è ente per partecipazione. La
dottrina della partecipazione implica che il termine essere,
riferito alle creature, abbia un significato non di identità
ma solo di somiglianza. E questo il principio
dell‘analogicità dell‘essere che Tommaso desume da
Aristotele. Aristotele aveva distinto bensì vari significati
119
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
dell‘essere, ma solo rispetto alle varie categorie e li aveva
poi tutti riportati all‘unico significato fondamentale che è
quello della sostanza (ousia). Egli perciò non distingueva
né poteva distinguere tra l‘essere di Dio e l‘essere delle
altre cose; per esempio, Dio e la mente sono sostanze
proprio nello stesso senso. Tommaso, invece, in virtù della
distinzione reale tra essenza ed esistenza, deve distinguere
l‘essere delle creature, separabili dall‘essenza e quindi
creato, e l‘essere di Dio, identico con l‘essenza e quindi
necessario. Questi due significati dell‘essere non sono
univoci, cioè identici, e neppure equivoci, cioè
semplicemente diversi; sono analoghi, cioè simili, ma di
proporzioni diverse.
L‘essere come perfezione e i trascendentali
La concezione dell‘essere costituisce anche il presupposto
della dottrina dei trascendentali. Mentre le categorie sono
gli aspetti che distinguono l‘essere in diversi generi
(qualità. quantità ecc.), i trascendentali sono invece quei
caratteri che, trascendendo le stesse categorie, qualificano
l‘essere in quanto tale e competono, per ciò stesso, ad ogni
ente. Tommaso enumera cinque proprietà trascendentali:
res, unum, aliquid, verum. bonum. Poiché res non
significa se non l‘essere preso assolutamente e aliquid
implica l‘unum, i trascendentali si riducono a tre: unum,
verum, bonum. Dire che ogni ente è uno significa che ogni
ente è indiviso in sé e distinto da qualsiasi altro. Ad
esempio, un mucchio di sassi in tanto può dirsi una realtà,
un ente, in quanto ha una certa indivisione in sé (è un
mucchio, i sassi son dunque riuniti) e una certa
distinzione. Dire che ogni ente è vero significa che esso
120
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
corrisponde all‘Intelletto divino che lo ha creato (o
progettato) e risulta quindi intrinsecamente intelligibile e
razionale (verità ontologica), cioè in grado di farsi cogliere
da un‘intelligenza e di configurarsi come fondamento
dell‘adeguatezza del pensiero (verità logica). A sua volta,
dire che ogni ente è buono significa che esso corrisponde
ad una ben precisa volontà o progetto divino e costituisce,
in quanto tale, una perfezione appetibile o desiderabile
anche dall‘uomo: ogni ente, in quanto ente, è in atto, e in
qualche modo perfetto. L‘essere, secondo Tommaso,
presenta quindi un indubbio primato metafisico rispetto al
vero e al bene. Tant‘è che la verità e la bontà di un ente
risultano proporzionali al grado di essere che esso
possiede (sino ad arrivare al caso di Dio, che è somma
Verità e sommo Bene in quanto sommo Essere). Ciò non
toglie, tuttavia, che il vero e il bene siano così inseparabili
dall‘essere da convertirsi con l‘essere. Da questa teoria dei
trascendentali‘, che scorge ovunque perfezione, verità e
bene, scaturisce quindi una delle più radicali forme di
ottimismo metafisico della storia.
Le cinque ―vie‖
Sebbene la filosofia dell‘essere di Tommaso sia tutta una
dimostrazione dell‘esistenza di Dio, egli raccoglie ed
articola le sue prove (chiamate ―vie‖) in cinque argomenti
di fondo. Secondo Tommaso, se Dio è primo nell‘ordine
dell‘essere, non lo è nell‘ordine delle conoscenze umane,
che cominciano dai sensi. Una dimostrazione
dell‘esistenza di Dio è dunque necessaria; ed essa deve
muovere da ciò che è prima per noi, cioè dagli effetti
sensibili ed essere a posteriori. Tommaso respinge perciò,
121
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
esplicitamente, la prova ontologica di Anselmo: anche se
si intende Dio come ―ciò di cui non si può pensare nulla di
maggiore‖ non ne segue che egli sia in realtà (in rerum
natura) e non solo nell‘intelletto. Le vie torniste, già
esposte nella Somma contro i Gentili, trovano la loro
formulazione classica nella Somma teologica.
La prima via è la prova cosmologica, desunta dalla Fisica
e dalla Metafisica di Aristotele. Essa parte dal principio
che ―tutto ciò che si muove è mosso da altro‖. Ora se ciò
da cui è mosso a sua volta si muove, bisogna che
anch‘esso sia mosso da un‘altra cosa; e questa da un‘altra.
Ma non è possibile procedere all‘infinito; altrimenti non ci
sarebbe un primo motore e neppure gli altri
muoverebbero, come, per esempio, il bastone non muove
se non è mosso dalla mano. Dunque, è necessario giungere
a un primo motore che non sia mosso da null‘altro; e per
esso tutti intendono Dio.
La seconda via è la prova causale. Nell‘ordine delle cause
efficienti non si può risalire all‘infinito, altrimenti non vi
sarebbe una prima causa e quindi neppure una causa
ultima e cause intermedie: vi deve essere dunque una
causa efficiente prima, che è Dio.
La terza via è desunta dal rapporto tra possibile e
necessario. Le cose possibili esistono solo in virtù delle
cose necessarie: ma queste hanno la causa della loro
necessità o in sé o in altro. Quelle che hanno la causa in
altro rinviano a quest‘altro, e poiché non è possibile
procedere all‘infinito, bisogna risalire a qualcosa che sia
122
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
necessario di per sé e sia causa della necessità di ciò che è
necessario per altro; e questo è Dio.
La quarta via è quella dei gradi. Si trova nelle cose il meno
e il più del vero, del bene e di tutte le altre perfezioni: vi
sarà dunque anche il grado massimo ditali perfezioni e
sarà esso la causa dei gradi minori, come il fuoco, che è
massimamente caldo, è la causa di tutte le cose calde. Ora
la causa dell‘essere e della bontà e di ogni perfezione è
Dio.
La quinta via è quella che si desume dal governo delle
cose. Le cose naturali, prive di intelligenza, appaiono
tuttavia dirette a un fine e questo non potrebbe essere se
non fossero governate da un Essere dotato di intelligenza,
come la saetta non può essere diretta al bersaglio se non
dall‘arciere. Vi è dunque un Essere intelligente dal quale
tutte le cose naturali sono ordinate a un fine; e questo
Essere è Dio.
Le cinque vie pervengono all‘affermazione di Dio come
Motore immobile, Causa prima, Essere necessario,
Perfezione somma e Intelligenza ordinatrice. Procedendo
su questa strada, la ragione può arrivare a scoprire anche
altri attributi, sia per via negativa che per via positiva. La
via negativa consiste nel negare di Dio tutte le
imperfezioni e via positiva delle creature, giungendo in tal
modo all‘idea della semplicità, unità, spiritualità ecc. di
Dio. La via positiva consiste nel conoscere Dio dalle
perfezioni che egli comunica alle creature; le quali
perfezioni si ritrovano in Dio in grado ben più eminente
che nelle creature. In concreto, la via positiva si articola
123
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
nella via causalitatis nella via eminentiae. La prima
consiste nel derivare dall‘effetto, cioè dal mondo. qualche
informazione circa la causa che lo ha prodotto. La seconda
consiste nel liberare l‘attributo in questione dai limiti che
esso possiede nelle creature e nel pensarlo al superlativo.
Ora, poiché tali attributi sono affermati da Dio in modo
eminente, essi non sono predicati di Dio e delle creature in
modo univoco. D‘altra parte, poiché ogni perfezione
mondana ha un rapporto di partecipazione e di
somiglianza con Dio, essi non sono neppure predicati in
modo puramente equivoco, cioè ponendo, sotto lo stesso
nome, realtà completamente differenti. Imboccando una
terza strada fra l‘univocità assoluta e l‘equivocità pura,
Tommaso sostiene invece che fra gli attributi delle
creature e quelli di Dio esiste analogia, ossia parziale
somiglianza e parziale dissomiglianza. La teoria di
Tommaso cerca quindi di dar ragione sia della
conoscibilità di Dio, sia del carattere approssimativo ed
imperfetto di tale conoscenza chiaro-scura: si sa qualcosa
di Dio, altrimenti non se ne parlerebbe, neppure per
negarlo: ma il nostro sapere di lui è un non-sapere: Dio è il
Deus absconditus, come ci è nascosta la struttura profonda
delle cose, che pure è la loro essenza.
CAPITOLO 8
La filosofia rinascimentale
La filosofia rinascimentale si estende lungo tutto il
Quattrocento e il Cinquecento ed è dominata dalla disputa
fra platonici e aristotelici. I platonici hanno un interesse di
tipo religioso, mentre gli aristotelici hanno un interesse di
124
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
tipo naturalistico e ritengono che la filosofia di Aristotele
sia la più adatta per studiare il mondo naturale. Il centro
della scuola platonica è Firenze mentre quello della scuola
aristotelica è l‘università di Padova. Inoltre, il centro degli
studi platonici è un‘accademia, centro ideale per studiare
l‘inquietudine del Rinascimento, mentre la sede degli studi
aristotelici è l‘università, cioè la sede deputata alla ricerca
sistematica.
Pietro Pomponazzi
Nasce a Mantova nel 1462, studia a Padova e lì insegna.
Quando l‘università viene chiusa in seguito alla sconfitta
di Venezia, va a Bologna ad insegnare e lì muore suicida
nel 1524. In particolare nel De immortalitate anime
sostiene dottrine in aperto contrasto con la chiesa cattolica
ma si difende con la dottrina della doppia verità. La tesi
fondamentale sostenuta da Pomponazzi è l‘identificazione
dell‘ordine naturale con un ordine immutabile e necessario
tale che non può essere diverso da com‘è. La filosofia di
Aristotele è quella che meglio garantisce la presenza di
quest‘ordine immutabile e necessario che è la condizione
per ogni studio della natura in quanto se noi studiamo
qualcosa che muta la nostra conoscenza sarà sempre
un'opinione e non sarà mai una scienza. In una delle sue
opere fondamentali, il De Incantationibus, egli esamina
miracoli, magie e avvenimenti che sembrano sospendere
l‘ordine naturale. Ritiene che tutti questi avvenimenti,
apparentemente miracolosi e magici, appartengono
all‘ordine naturale come ogni avvenimento della natura;
solo si verificano raramente e gli uomini non ne hanno
memoria e ritengono che siano delle sospensioni delle
125
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
leggi di natura. Il concetto di cui si serve è quello del
determinismo astrologico: ogni avvenimento naturale
avviene per via gerarchica e cioè Dio non agisce
direttamente sulle cose del mondo ma attraverso gli astri.
Una volta che egli ha causato il moto celeste, siccome la
volontà di Dio è immutabile e necessaria, tutto dipende poi
dal movimento astrale e non può esistere sospensione della
legge di natura. Al determinismo astrologico non
appartengono solo le leggi che fanno muovere e vivere le
cose animate o inanimate ma anche la storia dell‘uomo e
quindi anche la religione. Infatti ogni religione al suo
inizio è caratterizzata da avvenimenti che gli uomini
ritengono miracolosi ma poi inizia a discendere fino a
quando scompare. Questo lo porta alla tesi del De
immortalitate anime dove dimostra come l‘anima sia
mortale. Infatti se ogni cosa nasce, vive e muore, nulla può
sfuggire a quest‘ordine, compresa l‘anima dell‘uomo. Se
scompaiono i corpi scompare anche l‘anima perché non ha
più ragione d‘essere. Non solo non è necessario che
l‘anima sia immortale dal punto di vista conoscitivo, ma
neanche un‘esigenza morale determina la sua immortalità
poiché non è assolutamente necessario che ci sia un
premio o un castigo dopo la morte in quanto la virtù è
premio a se stessa. Se poi viene anche premiata, questo
fatto è accidentale, non essenziale. Così come il peccato è
castigo di per se e se viene punito, è solo un fatto
accidentale. L‘essenza della virtù sta nella virtù stessa, non
nell‘avere un premio mentre l‘essenza del peccato sta nel
peccato stesso, non nell‘essere punito. Neanche dal punto
di vista morale è necessario ammettere l‘immortalità
dell‘anima.
126
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Platonismo rinascimentale
Una delle correnti fondamentali della filosofia
rinascimentale è il Platonismo. Il ritorno a Platone è
motivato dal fatto che si ritiene che il filosofare platonico,
non essendo chiuso in un sistema, sia molto più moderno
di quello aristotelico e quindi più idoneo alla sensibilità
rinascimentale che intende la filosofia come una ricerca,
un muoversi verso una verità che non è data. Inoltre si
ritiene che la filosofia platonica sia quella che
maggiormente si presta a intendere anche la sensibilità
religiosa cristiana in quanto si reputa che Platone sia il
filosofo che si è avvicinato maggiormente allo spirito del
cristianesimo. Durante il Rinascimento si viene a
conoscenza di quasi tutti i dialoghi di Platone. Il maggior
sostenitore della superiorità della filosofia di Platone è
Gemisto Pletone mentre il maggior sostenitore della di
Aristotele è Giorgio Trapesunzio. Esiste un tentativo di
conciliazione tra queste due posizioni operato dal
cardinale Bessarione. In realtà il motivo del conflitto
ideologico deriva da una diversità di interessi: per i
platonici è un interesse di tipo religioso, mentre per gli
aristotelici è un interesse di tipo naturalistico cioè vedono
nella filosofia di Aristotele la condizione fondamentale per
un approccio allo studio della natura.
Nicola Cusano
Nicolas Krebs è il maggior rappresentante della filosofia
platonica in età rinascimentale. La sua opera più
importante è il De docta ignorantia la quale tratta
l‘argomento della conoscenza. Egli ritiene che la
127
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
conoscenza dell‘uomo si modelli sulla conoscenza
matematica. Nell‘ambito della conoscenza noi conosciamo
ciò che è ignoto solo se esso ha una proporzionalità con
ciò che è già noto. Quindi la conoscenza si basa
sull‘omogeneità tra noto ed ignoto come in matematica:
tanto più le verità sono vicine a ciò che già conosciamo,
tanto più facilmente le conosciamo. Di fronte a ciò che
non è assolutamente omogeneo a quanto conosciamo noi
non possiamo che proclamare la nostra ignoranza, la quale
sarà però una ―dotta ignoranza‖ in quanto ne siamo
consapevoli. Qui Cusano si riallaccia alla tradizione
pitagorica ê la nostra conoscenza si muove nel finito. Ciò
che non è omogeneo all‘oggetto della nostra conoscenza è
l‘infinito che sfugge al nostro sapere. Esso sta alla
finitudine della nostra conoscenza come la circonferenza
ai poligoni inscritti e circoscritti. All‘uomo sfugge quindi
la verità assoluta, egli conosce solo le verità relative che
possono essere aumentate ma che non coincideranno mai
con l‘assoluto. Questo però ci dice che l‘infinito è aldilà
delle norme che regolano la nostra conoscenza e il
principio logico su cui si fonda la nostra conoscenza è
quello di non-contraddizione. Quindi l‘infinito sfugge al
principio di non-contraddizione. Di conseguenza l‘infinito,
cioè Dio è coincidenza degli opposti, quindi in Dio ci sono
quegli opposti che assolutamente nel mondo umano non
possono coincidere. Cusano spiega tutto questo ancora con
un principio matematico. Questa separazione però non
implica un‘inaccessibilità perché dopo aver separato
l‘essere dal mondo lo si ritrova nel mondo con un
riferimento al Parmenide. Di fronte a Dio l‘unico
atteggiamento possibile è la congettura cioè il riconoscere
128
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
che è altro da noi. Una delle sue opere si intitola Non
aliud. Questa gli permette di dare una spiegazione del
rapporto tra Dio e il mondo che lo porta poi a presupporre
delle tesi di tipo astronomico che lo avvicinano a quelle
sostenute nell‘ambito della rivoluzione scientifica. Cusano
usa i termini di complicatio ed esplicatio. Dio è la
complicazione del molteplice nell‘Uno cioè il mondo che
si piega fino a ridursi all‘unità in Dio ma
contemporaneamente Dio è l‘esplicarsi dell‘unicità nella
molteplicità del mondo. Questo permette una conoscenza
del divino che è pura congettura e che comunque si fonda
sulla soggettività umana. Cusano dice che noi vediamo
Dio così come noi siamo. Il Neoplatonismo viene qui
usato per spiegare la realtà partendo dalla soggettività
umana. Se Dio è complicatio ed esplicatio è ovunque
quindi non esiste nell‘Universo una differenza di qualità
perché Dio è ovunque e l‘universo è infinito come Dio ma
è un infinito costrutto in quanto si esplica nella pluralità.
Marsilio Ficino
Il Neoplatonismo in Italia si afferma soprattutto a Firenze
dove nasce un vero e proprio centro di studi neoplatonici
grazie alla collaborazione tra Cosimo il Vecchio e
Marsilio Ficino. Marsilio si occupa della filologia
platonica ed è anche un traduttore dei suoi dialoghi. E‘
convinto che la teologia e la filosofia siano strettamente
congiunte fra loro. La separazione tra le due fa si che la
teologia diventi superstizione e la filosofia malvagità.
Ritiene che la filosofia platonica sia il pensiero in cui
meglio si uniscono ambedue. Si tratta di platonismo
filtrato. Distingue la realtà in gradi: corpo, qualità, anima,
129
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Angelo, Dio. L‘anima occupa il gradino centrale cioè essa
è parimenti distante dal corpo quanto da Dio. La sua
centralità fa si che essa abbia una funzione fondamentale
per determinare l‘armonia del mondo. Essa può scegliere
se degradarsi fino al corpo o innalzarsi fino a Dio. In
questo modo costituisce tutta la realtà. L‘anima è copula
mundi. Senza l‘anima non sarebbe possibile comprendere
il rapporto tra quelli che sono gli estremi della realtà in
quanto essa è l‘essenza media, appartiene ad ambo i
mondi. Questa sua funzione fondamentale determina
quelle che sono le connotazioni dell‘anima. Essa è infinita
ed eterna perché spiega la ragion d‘essere del cosmo.
Infatti è la misura del tempo ma siccome lo strumento di
misurazione non può che essere pari a ciò che misura,
allora è infinita ed eterna. E‘ libera di scegliere se
scendere o salire. Dio ha creato l‘uomo attraverso un atto
d‘amore quindi il cosmo è bello e quindi l‘anima nel
mondo, attraverso la bellezza, può tornare a Dio. Siamo di
fronte ad una concezione neoplatonica della realtà con
un‘ispirazione umana non religiosa in quanto fa
dell‘anima l‘essenza media perché essa è l‘unica che può
apprezzare la bellezza del cosmo, quindi tutto il cosmo è
in funzione dell‘anima e quindi dell‘uomo, il quale è
l‘unico che può giudicare il bello.
Rinascimento e naturalismo
Nel Rinascimento lo studio del mondo naturale non appare
più all‘uomo come un‘inutile distrazione dalla
meditazione interiore. L‘uomo è diventato consapevole
che il suo destino deve realizzarsi appunto nel mondo: egli
si è radicato nel mondo ed è deciso a conquistarlo. La
130
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
ricerca naturale gli appare quindi indispensabile. La
magia, la filosofia naturale ed infine la scienza sono le fasi
attraverso le quali la ricerca naturale del Rinascimento si
sviluppa e raggiunge la sua maturità. La magia si fonda su
due presupposti: 1) il mondo della natura è animato, cioè
mosso da forze che sono intrinsecamente simili all‘uomo;
2) è possibile all‘uomo assoggettare a sé queste forze con
lusinghe e incantesimi, al modo in cui si avvince a sé, con
trattamento opportuno, un essere animato. I maghi furono
numerosi ed ebbero successi e favori in tutti i paesi
d‘Europa. Il più delle volte praticarono la medicina
promettendo guarigioni miracolose. Essi si vantavano di
poter asservire le più nascoste forze della natura, di
manipolarle a loro piacimento. Uno dei più famosi fu lo
svizzero Paracelso, che curava le malattie con la quinta
essenza di certi corpi, cioè con certi estratti che avrebbero
dovuto contenere il potere attivo e curativo di metalli e di
piante. Medico fu anche Gerolamo Cardano, un altro
mago. vissuto tra stravaganze di ogni sorta, al quale però
spetta un posto importante nella storia delle matematiche
di quest‘epoca. La magia rinascimentale non è tutta fatta
di superstizioni e di vecchi filosofemi rimessi a nuovo.
Soprattutto nel campo della matematica essa ha dato i suoi
migliori frutti. Essa ha inoltre praticato e diffuso il metodo
dell‘esperimento, sia pure complicandolo con presupposti
animistici che portavano spesso ad affermazioni
fantastiche, a pregiudizi e a credenze contrarie allo spirito
critico della scienza, quale si doveva organizzare e si
veniva organizzando per opera di menti più rigorose.
Telesio
131
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Vicina alla magia e spesso intrecciata con essa, è la
filosofia della natura del Rinascimento, che conta i nomi
di Telesio, di Bruno e Campanella.
Bernardino Telesio nacque a Cosenza nel 1509 e si
addottorò a Padova nel 1535. Pubblicava nel 1565 i primi
due libri dell‘opera La natura secondo i propri principi e
tre anni prima della morte l‘opera intera in 9 libri.
Telesio considera la natura come un mondo a sé, che si
regge su principi propri e può essere spiegato solo in base
a questi principi, escludendo ogni forza metafisica. Come
sensibilità., l‘uomo è infatti esso stesso natura: perciò ciò
che la natura stessa rivela‖ e ciò che i sensi testimoniano
s( n( la stessa e medesima cosa. La sensibilità non è altro
che l‘autorivelazione della natura nell‘uomo. Queste
affermazioni di Telesio hanno grande importanza per lo
sviluppo ulteriore dell‘indagine naturalista. Telesio ritiene
che la natura debba essere spiegata mediante le due forze
principali che agiscono in essa, il caldo e il freddo: il caldo
ha sede nel sole, dilata le cose e le rende leggere e adatte
al movimento: il freddo ha sede nella terra, condensa le
cose, le rende pesanti e quindi immobili. Il caldo e il
freddo, come forze corporee, hanno bisogno di una massa
corporea che possa subire l‘azione dell‘uno e dell‘altro:
questa massa, provvista di inerzia, è il terzo principio
naturale. Conseguentemente Telesio ritiene che soltanto il
sole e la terra siano elementi originari: non sono tali
invece l‘acqua e l‘aria che risultano dalla composizione
dei due primi. La sua fisica si mantiene sul piano
qualitativo, Tuttavia egli avverte l‘esigenza di un‘analisi
quantitativa, necessaria per determinare la quantità di
132
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
calore sufficiente a produrre i singoli effetti naturali. Pur
dichiarando di non poter per suo conto soddisfare questa
esigenza, per la limitatezza del tempo che ha potuto
dedicare allo studio della natura, egli afferma che solo
questa analisi quantitativa può rendere gli uomini non solo
sapienti, ma potenti, cioè può dare ad essi il controllo delle
forze naturali. Contro Aristotele, Telesio svolge una critica
minuta che investe tutti i punti della fisica peripatetica. La
fisica di Telesio ha conservato il presupposto
fondamentale della magia. l‘animazione della natura, che
dovrà essere eliminato dalla vera e propria considerazione
scientifica del mondo naturale. Tuttavia Telesio ha
affermato l‘oggettività del mondo naturale in un modo che
ha aperto la strada all‘indagine scientifica. Sotto questo
aspetto il suo vero continuatore può dirsi Galilei. Bruno e
Campanella ritornano invece alla metafisica e alla magia.
Giordano Bruno (1548-1600)
Giordano Bruno nacque a Nola nel 1548 ed entrò
nell‘ordine domenicano. Venuto in urto con l‘ambiente
ecclesiastico, andò in giro per l‘Europa. Per invito del
patrizio veneziano Mocenigo, dalla Germania si recò a
Venezia; ma qui dal Mocenigo stesso fu denunciato
all‘Inquisizione e arrestato: Bruno si sottomise all‘abiura.
Ma, trasferito all‘Inquisizione di Roma, rimase in carcere
sette anni rispondendo, ai ripetuti inviti a ritrattare le sue
dottrine, di non aver nulla da ritrattare. Veniva perciò
condannato e il 17 febbraio 1600 arso vivo in Campo dei
Fiori. Gli scritti principali di Bruno sono i dialoghi italiani
e i poemi latini. Dei dialoghi italiani alcuni espongono la
133
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
filosofia naturale (La cena delle ceneri, Della causa,
principio et uno, De l’infinito universo e mondi); altri sono
di carattere morale (Lo spaccio della bestia trionfante,
Cabala del cavallo Pegaseo, Degli eroici furori). I poemi
latini sono tre: De minimo, De monade, De immenso et
innumerabilibus.
La religione della natura
La religiosità del Bruno è una religione dell‘infinito.
Bruno vuole abolire ogni limite dell‘universo e proiettare
nell‘infinito l‘anima, il movimento, la vita. Quanto alle
vere e proprie religioni positive e allo stesso cristianesimo,
Bruno ne ammette l‘utilità per il governo dei rozzi, ma le
considera come ignoranza e superstizione. Egli porta la
sua indagine esclusivamente sul mondo naturale e si rifiuta
ad ogni speculazione teologica. A Dio non si può risalire
partendo dagli effetti naturali, come non si può conoscere
uno scultore dalle sue statue. Perciò Bruno considera Dio
solo in quanto è il principio immanente della natura. In
questo senso, Dio è causa e principio del mondo. Ma sia
come causa sia come principio delle cose naturali Dio non
si distingue dalla natura: La natura o è Dio o è la virtù
divina che si manifesta nelle cose. Come principio Dio è
l‘intelletto universale, cioè la prima facoltà dell‘anima del
inondo. Il mondo è un tutto animato e Dio è l‘artefice
interno che anima e forma tutte le cose. C‘è un‘unica
materia del mondo e c‘è un‘unica forma. cioè un unico
principio animatore: materia e forma insieme costituiscono
la Natura o Dio. Ma come unità di materia e forma. Dio è
il Tutto, l‘Universo, l‘Essere nella sua totalità: l‘attributo
fondamentale è l‘infinità. Del mondo si può dire che il
134
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
centro è dappertutto e la circonferenza in nessun luogo. A
difendere e ad esaltare liricamente l‘infinità del mondo
sono dedicati la Cena delle ceneri, il De l’infinito universo
e mondi e il De immenso. La difesa che Bruno fa del
sistema di Copernico è mossa appunto dalla possibilità che
questo sistema gli offre di intendere e di affermare
l‘infinità del mondo. Bruno è in realtà indifferente ai
vantaggi scientifici dell‘ipotesi copernicana ed è assai
dubbio che ne abbia veramente inteso l‘impostazione
geometrica. Alla predilezione di Bruno per l‘infinito si
deve il suo disprezzo per Aristotele che aveva negato la
realtà all‘infinito e aveva affermato la finitezza del mondo,
scorgendo nell‘infinito incompiutezza, assenza di
determinazioni e quindi disordine. Nel De immenso egli
controbatte la tesi aristotelica, affermando che non è
perfetto ciò che è completo e chiuso, ma ciò che
comprende innumerevoli mondi e quindi ogni genere, ogni
specie, ogni misura, ogni ordine e ogni potere. Ma la vera
infinità secondo Bruno non è quella spaziale propria della
massa corporea dell‘universo, ma quella di Dio, che è tutto
n tutto il mondo e tutto in ciascuna parte di esso.
L‘infinito e l‘uomo
Il più alto grado della conoscenza umana è, secondo
Bruno, l‘unione intima con la natura nella sua sostanziale
unità. Questo è il significato del mito di Atteone esposto
negli Eroici furori. Atteone che giunse a contemplare
Diana ignuda e fu trasformato in cervo, diventando caccia
da cacciatore che era, è il simbolo dell‘anima umana che,
andando in cerca della natura e giunta finalmente a
vederla, diventa essa stessa natura. Il termine più alto della
135
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
speculazione filosofica è la visione della natura nella sua
unità. Quest‘identificarsi dell‘uomo con la natura è il
termine ultimo non soltanto della conoscenza, ma anche
dell‘azione. In Dio necessità e libertà si identificano: egli
non può volere in ogni caso che l‘ottimo e quindi non
conosce l‘indecisione e la scelta. Se la libertà umana fosse
perfetta, sarebbe come quella di Dio: coinciderebbe con la
necessità della natura.
Le tesi cosmologiche rivoluzionarie di Bruno
Bruno giunge ad una nuova visione dell‘universo, che non
deriva osservazioni astronomiche o calcoli matematici, in
cui il filosofo fu poco competente, bensì da una intuizione
di fondo del suo pensiero circa l‘infinità. L‘idea è la
seguente: se la terra è un pianeta che gira attorno al sole, le
stelle che si vedono nelle notti serene e che gli antichi
vedevano attaccate all‘ultima parete del mondo, non
potrebbero essere tutte immobili soli circondati dai
rispettivi pianeti? Per cui l‘universo, anziché essere
composto da un sistema unico, il nostro, non potrebbe
ospitare in sé un numero il1imitato di stelle-soli? Di fronte
a questi interrogativi Bruno, pur ammettendo che ―non è
chi l‘abbia mai osservato‖, conclude razionalmente che
―sono dunque soli innumerabili, sono terre infinite, che
similmente circuiscono quei soli, come veggiamo questi
sette circuire questo sole a noi vicino‖. Le tesi
cosmologiche rivoluzionarie presenti in Bruno, sono:
1) Abbattimento delle mura esterne dell‘universo;
2) Pluralità dei mondi e loro abitabilità;
136
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
3) Identità di struttura fra cielo e terra:
4) Geometrizzazione dello spazio cosmico:
5) Infinità dell‘universo
La prima tesi implica la distruzione dell‘idea secolare dei
confini del mondo, cui lo stesso Copernico era rimasto
fedele, parlando dell‘ultima sfera mundi. In realtà, per
Bruno le muraglie celesti non esistono, perché l‘universo è
aperto in ogni direzione e le supposte stelle fisse si trovano
disperse in uno spazio senza limite. La seconda tesi,
implica la moltiplicazione all‘infinito dei corpi che
―corrono‘ per il cielo, ossia il concetto di una pluralità
illimitata di sistemi solari, che Bruno ritiene popolati da
creature viventi, senzienti e razionali: abitati i pianeti del
nostro mondo, abitate le costellazioni più lontane, abitati
gli ―abissi‖ più remoti dello spazio.
137
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
CAPITOLO 9
La rivoluzione scientifica
La Rivoluzione scientifica è il periodo culturale che va
dalla pubblicazione del capolavoro di Copernico, Le
rivoluzioni dei corpi celesti (1543), all‘opera di Newton, i
Principi matematici della filosofia naturale (1687). A
caratterizzare questo nuovo periodo culturale sono nuove
teorie e nuovi esperimenti, metodi, strumenti, ma
soprattutto una nuova immagine della scienza e dello
scienziato. Nell‘ambito del pensiero scientifico, per la
prima volta diviene preminente il principio della
matematizzazione della natura e l‘attenzione all‘aspetto
quantitativo della realtà. Le grandi scoperte scientifiche
disegnano i confini di un mondo nuovo rispetto a quello
medioevale e rinascimentale. Le teorie di Copernico,
Keplero e Galileo, che mettono in crisi la fisica aristotelica
e avviano l‘elaborazione del nuovo sistema della natura
che sarà poi edificato nella grande sintesi di Newton, sono
solo alcuni esempi delle innovazioni culturali apportate
dalla nuova scienza. A esse possiamo aggiungere la
scoperta della circolazione del sangue operata da Harwey
e gli studi sul magnetismo di Gilbert. le ricerche di
chimica, di biologia, che avviano una nuova era per queste
discipline. Le grandi istituzioni scientifiche che sorgono in
questo periodo (come la Royal Society in Inghilterra)
rappresentano un chiaro segnale di questo mutato clima
intellettuale, mentre le questioni metodologiche e
metafisiche proposte da pensatori come Bacone e Cartesio
mostrano l‘esigenza avvertita dalla filosofia di offrire una
138
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
nuova interpretazione del problema della conoscenza e
della realtà alla luce della nuova aria culturale.
La rivoluzione astronomica
Il modello dell‘astronomia aristotelico-tolemaica che
Copernico sovverte, sosteneva: il mondo celeste era
perfetto e incorruttibile, quello terrestre imperfetto e
corruttibile; i corpi celesti erano infissi entro sfere e si
muovevano con moto circolare; la Terra era immobile e
collocata al centro del cosmo; l‘universo era finito; la
scienza astronomica si fondava su un impianto qualitativo
e non quantitativo. Con Copernico gran parte di questi
capisaldi dell‘astronomia vengono a cadere, così come
verrà a cadere, soprattutto con Keplero, quell‘impianto
qualitativo della fisica, sostituito da un nuovo modello
matematico. Per la verità, la concezione eliocentrica non
era nuova, essendo stata sostenuta nell‘antichità, ad
esempio da Aristarco di Samo. D‘altra parte, il sistema
elaborato da Aristotele, Eudosso e Tolomeo, pur essendo
in grado di spiegare molti dei fenomeni celesti noti
nell‘antichità e nel Medioevo, aveva lasciato irrisolti
numerosi problemi, in particolare quelli legati alle diverse
traiettorie delle stelle e dei pianeti. Le stelle si muovevano
come se fossero infisse su un‘immensa sfera ruotante; i
pianeti, invece, sembravano avere traiettorie irregolari
(Marte, ad esempio, si avvicinava alla Terra, poi
rallentava, invertiva la direzione e si allontanava). Si cercò
di spiegare queste traiettorie attraverso un complicatissimo
sistema di circonferenze (gli epicicli, il cui centro si
muoveva a sua volta su un‘altra orbita circolare (il
deferente), rispetto alla quale la Terra risultava
139
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
leggermente eccentrica, cioè spostata rispetto al centro
geometrico, I dati osservativi raccolti nel corso dei secoli,
avevano costretto astronomi e matematici a complicare
ulteriormente il modello tolemaico, aggiungendo sfere ed
epicicli.
Copernico (1473-1543) descrive il suo sistema nell‘opera
De revolutionibus orbium caelestium. Al centro
dell‘universo sta immobile il Sole, attorno al Sole ruotano
i pianeti; la Terra è uno di questi ed essa gira anche su se
stessa, dando origine al moto apparente, attorno ad essa,
del Sole, dei pianeti, delle stelle. La Luna ruota attorno
alla Terra; infine, lontano dal Sole e dai pianeti stanno
fisse le stelle. Per Copernico dunque l‘universo era ancora
sferico, unico e chiuso dal cielo delle stelle fisse; egli
accettava inoltre il principio della perfezione dei moti
circolari uniformi delle sfere cristalline, pensate ancora
come entità reali e incorruttibili.
Tykho Brahe (1546-1601) Attraverso un grande lavoro di
osservazione mette in evidenza alcuni limiti dell‘impianto
aristotelico-tolemaico, ancora presenti nel sistema
copernicano. Descrivendo, ad esempio, l‘orbita di una
grande cometa, l‘astronomo stabilisce che essa interseca
quella dei pianeti, eliminando così la possibilità che
esistano delle sfere cristalline. La cometa osservata
possiede, inoltre, un‘orbita ovale: ciò esclude, quindi, la
circolarità dei moti celesti. Per superare queste difficoltà,
Brahe elabora un modello astronomico che si colloca in
una posizione intermedia fra quelli di Tolomeo e di
Copernico: la Terra è al centro dell‘universo, soggetta al
solo movimento rotatorio e non alla rivoluzione annua:il
140
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Sole le ruota intorno e gli altri pianeti ruotano intorno al
Sole. La soluzione presenta il duplice vantaggio di
soddisfare le autorità religiose (mantenendo la centralità
della Terra) e gli scienziati (sostenendo il moto dei
pianeti).
Keplero (1571-1630), pur accettando il sistema
eliocentrico, è consapevole delle difficoltà e dei limiti
riscontrabili nel modello copernicano. Dalla sua
ispirazione platonica e pitagorica Keplero deriva
l‘esigenza di formulare leggi rigorose capaci di dare
ragione del funzionamento del cosmo e di evidenziarne la
struttura essenzialmente matematica. Giunge così alla
elaborazione di tre leggi: 1. le orbite dei pianeti sono
ellissi di cui il Sole occupa uno dei fuochi; 2. nel moto di
ogni pianeta il raggio vettore descrive aree uguali in tempi
uguali; 3. i quadrati dei periodi di rivoluzione dei pianeti
sono proporzionali ai cubi della loro distanza media dal
Sole. Con l‘introduzione delle orbite ellittiche Keplero
riesce a prevedere la posizione dei pianeti e a far
coincidere le previsioni con le osservazioni. Con la
seconda legge egli stabilisce che, essendo le orbite
ellittiche e non circolari, la velocità di un pianeta non può
essere uniforme, ma è maggiore quando esso è più vicino
al Sole (si trova cioè nel perielio) e minore quando è più
lontano.
La rivoluzione scientifica
Dalla rivoluzione scientifica in genere e dalla metodologia
galileiana in particolare emerge: 1) la concezione della
natura come ordine oggettivo e causalmente strutturato di
141
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
relazioni governate da leggi; 2) la concezione della scienza
come sapere sperimentale, matematico e valido
intersoggettivamente, che ha come scopo la conoscenza
progressiva del mondo e il suo dominio a vantaggio
dell‘uomo (da qui lo sviluppo della tecnica e della
tecnologia). La natura è un ordine oggettivo perché non si
riferisce a fini umani. Solo escludendo il punto di vista
antropologico dalla natura risulta possibile studiare
oggettivamente la realtà. La natura è un ordine causale,
intendendo per causalità un rapporto costante ed univoco
fra due o più fatti, dei quali dato l‘uno è dato anche l‘altro.
L‘unico tipo di causa ammessa è quella efficiente: alla
scienza non interessa il perché finale o lo scopo dei fatti,
ma solo le loro cause efficienti cioè le forze che li
producono. La natura è un insieme di relazioni perché il
ricercatore indaga le relazioni causali riconoscibili che
legano i fatti. I fatti sono governati da leggi, che
rappresentano i modi necessari o i principi invarianti (i
codici) con cui pera la natura. La scienza è un sapere
sperimentale perché si fonda sull‘osservazione dei fatti e
le sue ipotesi vengono giustificate su base empirica e non
puramente teorica o razionale. L‘esperienza di cui parla la
scienza è una costruzione complessa, su basi matematiche,
che mette capo all‘esperimento, ad una procedura
appositamente costruita per la verifica delle ipotesi. La
scienza è un sapere matematico che si fonda sul calcolo e
sulla misura: la quantificazione è una delle condizioni
imprescindibili dello studio della natura. La scienza è un
sapere intersoggettivo perché i suoi procedimenti vogliono
essere pubblici, cioè accessibili a tutti, e le sue scoperte
pretendono di essere valide, ossia controllabili, da
142
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
chiunque. In tal senso essa vuole distinguersi dalla magia e
dalle scienze occulte che considerano la conoscenza un
patrimonio di una cerchia ristretta di individui. La scienza
ha come fine la conoscenza oggettiva del mondo e delle
sue leggi. Conoscere le leggi naturali vuol dire poter
controllare e dirigere a nostro vantaggio la natura. In tal
modo si profila quella alleanza tra tecnici e scienziati che
porta al superamento dell‘abisso tra scienza pura e le sue
applicazioni pratiche. D‘ora in poi la scienza apparirà
come il prototipo del sapere rigoroso e universale. Sul
piano pratico, la scienza apparirà come socialmente utile,
capace di migliorare le condizioni dell‘uomo. L‘idea della
scienza come sapere vero ed utile sarà alla base,
nell‘Illuminismo, della lotta contro l‘ignoranza, la
superstizione e le ingiustizie sociali.
Galileo Galilei
Autonomia della scienza e rifiuto del principio di autorità
Il primo risultato storicamente decisivo dell‘opera di
Galileo è la difesa dell‘autonomia della scienza, cioè la
salvaguardia dell‘indipendenza del nuovo sapere da ogni
ingerenza esterna. Da ciò la sua lotta, che riguardò
sostanzialmente due fronti: l‘autorità religiosa,
personificata dalla Chiesa, e l‘autorità culturale,
personificata dagli aristotelici.
La polemica contro la Chiesa
La Controriforma aveva stabilito che ogni forma di sapere
dovesse essere in armonia con la Sacra Scrittura, nella
precisa interpretazione che ne aveva fornito la Chiesa
143
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
cattolica. Il cardinal Bellarmino, sosteneva che il negare
certi dati di fatto delle Scritture, pur non intaccando i
fondamenti della fede, invalidasse la verità della Bibbia,
che essendo scritta sotto ispirazione dello Spirito Santo,
non poteva che essere vera in tutte le sue affermazioni.
Galileo, scienziato e uomo di fede, pensa invece che una
posizione del genere avrebbe ostacolato il libero sviluppo
del sapere e danneggiato la religione stessa, che
rimanendo ancorata a tesi dichiarate false dal progresso
scientifico, avrebbe inevitabilmente finito per squalificarsi
dinanzi agli occhi dei credenti. Di conseguenza, nelle
cosiddette lettere copernicane (una inviata a don
Benedetto Castelli, due a monsignor Dini e una a madama
Cristina di Lorena, granduchessa di Toscana) Galileo
affronta il problema dei rapporti fra scienza e fede. La
natura (oggetto della scienza) e la Bibbia (base della
religione) derivano entrambe da Dio. Come tali, esse non
possono contraddirsi fra di loro. Eventuali contrasti fra
verità scientifica e religiosa sono quindi soltanto apparenti
e vanno risolti rivedendo l‘interpretazione della Bibbia,
dato che le Scritture hanno dovuto accomodarsi alle
capacità dei popoli rozzi ed usare quindi un linguaggio
antropomorfico e popolare, mentre la Natura e le sue leggi
seguono un corso inesorabile ed immutabile, senza doversi
piegare alle esigenze umane; la Bibbia non contiene
principi che riguardano le leggi di natura, ma verità che
riguardano il destino ultimo dell‘uomo, premendo ad essa
d‘insegnarci ―come si vadia, e non come vadia il cielo‖
(Lettera a Madama Cristina). In conclusione, se la Bibbia
è arbitra nel campo etico-religioso, la scienza è arbitra nel
campo naturale, in relazione alle quali non è la scienza che
144
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
deve adattarsi alla Bibbia, ma l‘interpretazione della
Bibbia che deve adattarsi alla scienza.
La polemica contro gli aristotelici
Indipendente dall‘autorità religiosa della Bibbia, la scienza
deve esserlo altrettanto nei confronti di quella culturale di
Aristotele e del passato. Galileo mostra grande stima per
lui e per gli altri scienziati antichi, ritenendoli uomini
amanti della verità e della ricerca. Il suo disprezzo
colpisce piuttosto gli aristotelici contemporanei, che
anziché osservare direttamente la natura e conformare ad
essa le loro opinioni, si limitano a consultare i testi delle
biblioteche, vivendo in un astratto mondo di carta, con la
convinzione che il mondo sta come scrisse Aristotile e non
come vuole la natura. Ma se il filosofo greco tornasse al
mondo, sostiene Galileo, egli riconoscerebbe lui come suo
genuino discepolo e si mostrerebbe certo disposto a
cambiare le proprie idee, in armonia con le nuove
scoperte. Invece gli aristotelici continuano ad offrire il
triste spettacolo di un dogmatismo antiscientifico che
ostacola l‘avanzamento del sapere. Emblematico, a questo
proposito, il racconto di uno dei personaggi del Dialogo,
che avendo potuto osservare insieme ad altri, in casa di un
medico, che in un cadavere umano i nervi partono dal
cervello e non dal cuore, secondo quanto scrive Aristotele,
ebbe occasione di sentir fare da un uomo ch‘egli
conosceva per filosofo peripatetico un discorso di questo
tipo: Voi mi avete fatto veder questa cosa talmente aperta
e sensata, che quando il testo d‘Aristotele non fusse in
contrario, che apertamente dice i nervi nascer dal cuore,
bisognerebbe per forza confessarla per vera.
145
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Il metodo della scienza
Un altro risultato storicamente decisivo dell‘opera di
Galileo, padre della scienza moderna, è l‘elaborazione del
metodo della fisica, anche se, in Galileo, non vi è una
teoria sistematica del metodo, ma piuttosto una serie di
applicazioni concrete
nei campi dalla fisica e
dell‘astronomia. Tuttavia Galileo tende ad articolare il
lavoro della scienza in due parti fondamentali: il momento
risolutivo o analitico e quello compositivo o sintetico. Il
primo consiste nel risolvere un fenomeno complesso nei
suoi elementi semplici, quantitativi e misurabili,
formulando un‘ipotesi matematica sulla legge da cui
dipende. Il secondo momento risiede nella verifica e
nell‘esperimento, attraverso cui si tenta di comporre o
riprodurre artificialmente il fenomeno, in modo tale che se
l‘ipotesi supera la prova, risultando quindi verificata, essa
venga accettata e formulata in termini di legge.
Sensate esperienze e necessarie dimostrazioni
Nella lettera a Cristina di Lorena Galileo scrive: ―pare che
quello degli effetti naturali che a sensata esperienza ci
pone dinanzi agli occhi o le necessarie dimostrazioni ci
concludono, non debba in conto alcuno esser revocato in
dubbio‖. Questo passo è altamente significativo, poiché in
esso Galileo ha messo il cuore stesso del suo metodo e la
strada effettivamente seguita nelle sue scoperte. Con
l‘espressione ―sensate esperienze‖ (esperienze dei sensi),
con primario riferimento alla vista, Galileo ha voluto
evidenziare il momento osservativo della scienza,
fondamentale in talune scoperte (come quelle relative ai
146
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
corpi celesti). Infatti, in certi casi, la scienza galileiana,
attraverso un‘attenta ricognizione dei fatti e dei casi
particolari induce, sulla base dell‘osservazione, una legge
generale (ad esempio quella relativa alle fasi di Venere). È
questo il momento più noto del metodo scientifico,
denominato appunto sperimentale. Con l‘espressione
―necessarie dimostrazioni‖ Galileo ha voluto evidenziare il
momento teorico o deduttivo della scienza, fondamentale
in altre scoperte (ad esempio quella sul principio d‘inerzia
o sulla caduta dei gravi). Le necessarie dimostrazioni, o
matematiche dimostrazioni, sono i ragionamenti logici.
condotti su base matematica, attraverso cui il ricercatore,
partendo da una intuizione di base e procedendo per una
―supposizione‖ formula in teoria le sue ipotesi,
riservandosi di verificarle nella pratica. Tipica, in questo
senso, è la via seguita da Galileo nell‘intuizione teorica del
principio di inerzia. Immaginiamo — scrive Galileo —
una superficie ―piana, pulitissima come uno specchio e di
materia dura come l‘acciaio, e che fusse non parallela
all‘orizzonte, ma alquanto inclinata, e che sopra di essa
voi poneste una palla perfettamente sferica e di materia
grave e durissima, come, verbigrazia, di bronzo‖. Anche
senza fare l‘esperimento concreto, argomenta Galileo.
sappiamo che si muoverà lungo la superficie. E se
ipotizziamo mentalmente che sia tolta anche l‘azione
frenante dell‘aria e di altri possibili ―impedimenti esterni
―, come pensiamo si comporterà? Ovviamente ‗ella
continuerebbe a muoversi all‘infinito, se tanto durasse la
inclinazione del piano e con movimento accelerato
continuamente; ché tale è la natura dei mobili gravi, che
acquistano forza muovendosi, che quanto maggior fusse la
147
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
declività, maggior sarebbe la velocità‖. Sostituendo poi la
superficie inclinata con una orizzontale, si potrà anche
dedurre che la medesima palla ―perfettissimamente
rotonda‖, se fosse spinta sul medesimo piano
continuerebbe indefinitamente il suo moto, ammesso che
lo spazio ―fosse interminato‖ e che non intervenisse una
forza esterna ‘a variarne o arrestarne il moto. Procedendo
teoricamente e giustificando tramite un esperimento
―ideale‖ una propria intuizione, Galileo è quindi pervenuto
ad una basilare scoperta fisica,
Induzione e deduzione
La compresenza, nella visione metodologica di Galileo,
delle sensate esperienze e delle necessarie dimostrazioni
ha fatto sì che Galileo sia stato presentato talora come un
sostanziale ―induttivista‖, cioè come un ricercatore che
dall‘osservazione instancabile dei fatti naturali perviene a
scoprire le leggi che regolano i fenomeni; oppure, al
contrario, come un convinto deduttivista‖, più fiducioso
nelle capacità della ragione che in quelle
dell‘osservazione. Galileo non è solo, o prevalentemente,
induttivista, né solo, o prevalentemente, deduttivista,
poiché è tutte e due le cose insieme. Innanzitutto le sensate
esperienze presuppongono sempre un riferimento alle
necessarie dimostrazioni, in quanto vengono rielaborate in
un contesto matematico-razionale e quindi spogliate dei
loro caratteri qualitativi e ridotte alla loro struttura
puramente quantitativa. In secondo luogo esse, sin
dall‘inizio, sono ‗cariche di teoria‘, in quanto illuminate da
un‘ipotesi che le sceglie e le seleziona, fungendo, nei loro
confronti, da freccia indicatrice e setaccio discriminatore,
148
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Galileo scoprì ignoti fenomeni astronomici basandosi sul
senso della vista, potenziata dal telescopio, ma la
decisione stessa di studiare i cieli e di puntare il
cannocchiale su determinati fenomeni deriva dalla iniziale
accettazione dell‘ipotesi copernicana.
Presupposti filosofici del metodo
Galileo, pur non essendo un filosofo e pur non avendo mai
proceduto ad una fondazione sistematica del proprio
metodo, si è ispirato, in concreto, ad alcune idee generali,
di tipo filosofico, attinte dalla tradizione o da dottrine
contemporanee, ma originalmente rielaborate ed
atteggiate. La fiducia galileiana nella matematica, ad
esempio, richiama la dottrina platonico-pitagorica della
struttura matematica del cosmo: ―La filosofia è scritta in
questo grandissimo libro, che continuamente ci sta aperto
innanzi agli occhi (io dico l‘Universo), ma non si può
intendere se prima non s‘impara a intender la lingua, e
conoscer i caratteri ne‘ quali è scritto. Egli è scritto in
lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed
altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile
a intenderne umanamente parola; senza questi è un
aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto‖.
La credenza nella validità del rapporto causale e delle
leggi generali scoperte dalla scienza, basate sul principio
che a cause simili corrispondano necessariamente effetti
simili, viene suggerita e avvalorata dalla persuasione
dell‘uniformità dell‘ordine naturale.
La fiducia nella verità assoluta della scienza viene
confortata mediante la teoria secondo cui la conoscenza
149
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
umana, pur differendo da quella divina per il modo di
apprendere e per l‘estensione di nozioni possedute, risulta
simile per il grado di certezza. Infatti, mentre Dio conosce
intuitivamente, cioè in modo immediato, la verità, l‘uomo
la conquista progressivamente attraverso il ragionamento
discorsivo. Inoltre Dio conosce tutte le infinite vendi,
mentre l‘uomo solo alcune di esse. Tuttavia, per quanto
riguarda le dimostrazioni matematiche, la della certezza è
identica (in quanto, ad esempio, 2 + 2 = 4 sia per noi che
per Dio). Non c‘è una conoscenza dell‘assoluto, ma ci
sono bensì conoscenze assolutamente certe.
F. Bacone (1561-1620)
Francis Bacon, italianizzato in Francesco Bacone (Londra,
1561–1626) è stato oltre che un filosofo anche uomo
politico.
Il profeta della tecnica
Se Galilei ha chiarito il metodo della ricerca scientifica,
Bacone ha concepito la scienza essenzialmente diretta a
realizzare il dominio dell‘uomo sulla natura. Dunque può
dirsi il filosofo e il profeta della tecnica, poiché voleva
rendere la scienza attiva e operante al servizio dell‘uomo,
al servizio di una tecnica che doveva dare all‘uomo il
dominio di ogni parte del mondo naturale. Quando nella
Nuova Atlantide, ricorrendo al pretesto della descrizione di
un‘isola sconosciuta, immagina una società ideale, pensa a
un paradiso della tecnica dove vengono realizzate le più
grandi invenzioni. E difatti in questo scritto (rimasto
150
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
incompiuto) l‘isola della Nuova Atlantide è descritta come
un enorme laboratorio sperimentale, nel quale gli abitanti
cercano di conoscere tutte le forze nascoste della natura
per estendere i confini dell‘impero umano ad ogni cosa
possibile. I numi tutelari dell‘isola sono i grandi inventori
di tutti i paesi; e le sacre reliquie sono gli esemplari di
tutte le più rare e grandi invenzioni. Bacone ha dedicato la
sua maggiore attività al progetto di un‘enciclopedia delle
scienze che doveva rinnovare completamente la ricerca
scientifica. Il piano grandioso di questa enciclopedia ci è
dato nello scritto Sulla dignità e sull’accrescimento delle
scienze pubblicato nel 1623 e comprende: le scienze che si
fondano sulla memoria; quelle che si fondano sulla
fantasia; e quelle che si fondano sulla ragione. Di tutte
queste scienze egli avrebbe dovuto dare le direttive nella
sua Instauratio magna. Di questo vasto progetto Bacone
ha realizzato adeguatamente soltanto il Nuovo Organo.
La nuova logica della scienza
Il Nuovo Organo è una logica del procedimento tecnicoscientifico che viene polemicamente contrapposta alla
logica aristotelica, ritenuta adatta soltanto alle dispute
verbali. Con la vecchia logica si espugna l‘avversario, con
la nuova si espugna la natura. Questa espugnazione della
natura è il compito fondamentale della scienza. La scienza
è posta così interamente al servizio dell‘uomo; e l‘uomo,
ministro e interprete della natura, tanto opera e intende,
quanto dell‘ordine della natura ha osservato o con
l‘esperienza o con la riflessione. La scienza e la potenza
umana coincidono: l‘ignoranza della causa rende
impossibile conseguire l‘effetto. Non si vince la natura se
151
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
non obbedendole. Ma i sensi soltanto non bastano a fornire
una guida sicura, solo gli esperimenti forniscono responsi
certi. L‘esperimento rappresenta per Bacone ―il connubio
della mente e dell‘universo‖, dal quale egli si attende una
prole numerosa di invenzioni e gli strumenti atti a domare
e a mitigare almeno in parte la necessità. e le miserie degli
uomini. Ma l‘unione tra la mente e l‘universo non si può
celebrare finché la mente rimane irretita in errori e
pregiudizi che le impediscano di interpretare la natura.
Bacone
oppone
l‘interpretazione
della
natura
all‘anticipazione della natura. L‘anticipazione della natura
prescinde dall‘esperimento e passa immediatamente dalle
cose particolari sensibili ad assiomi generali.
L‘interpretazione della natura utilizza un metodo graduale
che va dai sensi e dalle cose particolari agli assiomi. Il
primo libro del Novum Organum è diretto a purificare
l‘intelletto da una serie di pregiudizi (idòla) e stabilisce
una triplice critica: critica delle filosofie e critica della
ragione umana naturale, rispettivamente dirette ad
eliminare i pregiudizi che si sono radicati nella mente
umana o attraverso dottrine filosofiche attraverso
dimostrazioni desunte da principi errati o per la natura
stessa dell‘intelletto umano. Le anticipazioni che si
radicano nella stessa natura umana sono quelle che Bacone
chiama idòla tribus e idòla specus: gli idòla tribus sono
comuni a tutti gli uomini, gli idola specus sono propri di
ciascun individuo. L‘intelletto umano è portato a supporre
nella natura un‘armonia molto maggiore di quella che c‘è.
Inoltre è impaziente, vuol procedere sempre al di là di ciò
che gli è dato, e pretende che la natura si adatti alle sue
esigenze, respingendo così di essa ciò che non gli
152
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
conviene. Tutte queste disposizioni naturali sono fonti di
idòla tribus; e la principale fonte di tali idòla è poi
l‘insufficienza dei sensi ai quali sfuggono tutte le forze
nascoste della natura. Gli idòla specus invece dipendono
dall‘educazione, dalle abitudini e dai casi fortuiti in cui
ciascuno viene a trovarsi. E così in generale ogni uomo ha
le sue propensioni per gli antichi o per i moderni, per il
vecchio o per il nuovo, per ciò che è semplice o per ciò
che è complesso, per le somiglianze o per le differenze; e
tutte queste propensioni sono fonti di idòla specus, quasi
che ogni uomo avesse nel suo interno una spelonca o
caverna (= specus) che rifrange e distorce il lume della
natura. Oltre queste due specie naturali di idoli, ci sono
quelli avventizi o provenienti dal di fuori: idòla fori e idòla
theatri. Gli idoli della piazza derivano dal linguaggio. Gli
uomini credono d‘imporre la loro ragione alle parole: ma
accade anche che le parole nascondano errori. Gli idoli che
derivano dalle parole sono di due specie: o sono nomi di
cose che non esistono o sono nomi di cose che esistono ma
confusi e male determinati. Della prima specie sono i nomi
di fortuna, primo mobile, elemento del fuoco, e simili che
hanno origine da false teorie. Alla seconda specie
appartengono, per esempio. la parola umido, che indica
cose diversissime, le parole che indicano qualità come
grave, leggero, poroso, denso ecc. Tali sono gli idòla fori,
così detti perché generati da quelle convenzioni umane che
sono rese necessarie dai rapporti tra uomo e uomo.
L‘ultimo genere di pregiudizi è quello degli idòla theatri
che derivano dalle dottrine filosofiche del passato o da
dimostrazioni errate. Bacone li chiama così perché
paragona i sistemi filosofici del passato a favole, che sono
153
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
come mondi fittizi o scene di teatro. Le dottrine
filosofiche, e quindi gli idola theatri, sono moltissime e
Bacone non se ne propone la confutazione particolare. Fra
le cause che impediscono agli uomini di liberarsi dagli
idoli e di procedere nella conoscenza effettiva della natura,
Bacone pone in primo luogo la sudditanza nei confronti
della sapienza antica. Al contrario, dovremmo aspettarci
dall‘età nostra molte più verità che dagli antichi tempi,
perché essa è stata arricchita nel corso del tempo da
infiniti esperimenti ed osservazioni. La verità, scrive
Bacone, è figlia del tempo non dell‘autorità.
Il metodo induttivo
La ricerca scientifica non si fonda né soltanto sui sensi né
soltanto sull‘intelletto. Se l‘intelletto per suo conto non
produce che nozioni arbitrarie e infeconde e se i sensi
dall‘altro lato non danno che indicazioni inconcludenti, la
scienza non potrà costituirsi come conoscenza vera e
feconda di risultati se non in quanto imporr. all‘esperienza
sensibile la disciplina dell‘intelletto e all‘intelletto la
disciplina dell‘esperienza sensibile. Il procedimento che
realizza questa esigenza è, secondo Bacone, quello
dell‘induzione. Bacone si preoccupa di distinguere
nettamente la sua induzione da quella aristotelica.
L‘induzione aristotelica, cioè l‘induzione puramente
logica che non morde sulla realtà, è un‘induzione per
semplice numerazione dei casi particolari. Invece
l‘induzione che è utile all‘invenzione e alla dimostrazione
delle scienze e delle arti si fonda sulla scelta e
sull‘eliminazione dei casi particolari: scelta ed
eliminazione ripetute successivamente più volte sotto il
154
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
controllo dell‘esperimento, fino a giungere alla
determinazione della vera legge del fenomeno. Questa
induzione procede quindi senza salti e per gradi: risale
cioè gradualmente dai fatti particolari a principi più
generali e solo da ultimo giunge agli assiomi
generalissimi. A questo fine servono le tavole, che sono
coordinazioni delle istanze, cioè dei particolari aspetti di
un fatto. Le tavole di presenza saranno la raccolta dei casi
nei quali un determinato fenomeno (ad es. il calore) si
presenta ugualmente benché in circostanze diverse (ad es,
le fiamme, i raggi solari, i fulmini). Le tavole di assenza
raccolgono i casi in cui lo stesso fenomeno non si
presenta, pur verificandosi condizioni e circostanze vicine
o simili a quelle notate nelle tavole di presenza (ad es. la
luce della luna. delle stelle). Le tavole dei gradi o
comparative sono quelle che raccolgono i casi in cui il
fenomeno si presenta nei suoi gradi decrescenti. Sulla
scorta delle precedenti tavole si possono poi formare delle
tavole esclusive che escludono il verificarsi del fenomeno,
Le tavole approntano l‘intero materiale della ricerca e
consentono di formulare una prima ipotesi (vindemiatio
prima) intorno alla natura del fenomeno studiato.
Quest‘ipotesi è un‘ipotesi di lavoro, che guida l‘ulteriore
sviluppo della ricerca. L‘induzione in successivi
esperimenti che Bacone chiama istanze prerogative. Di tali
istanze egli enumera molte specie. Quella decisiva è
l‘istanza crucis cui nome Bacone deriva dalle croci che
sono erette nei bivi per indicare la ne delle vie. Il valore di
questa istanza consiste in questo, che, quando si è in ‗Sulla
causa del fenomeno studiato per i suoi rapporti con molti
altri fenomeni, cruciale dimostra la sua connessione
155
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
necessaria con uno dei fenomeni; e perciò consente di
riconoscere la causa vera del fenomeno. Per quanto
concerne il calore, dopo aver escluso che la causa di esso
sia la quella lunare, ad es., è fredda) o la tenuità (ad es.
sono caldi non soltanto i corpi come l‘aria, ma anche
quelli densi, come l‘oro), si può ipotizzare che la causa del
risieda nel movimento delle parti minime di un corpo.
Movimento che si verifica quando il caldo è presente,
manca quando è assente, aumenta o diminuisce a seconda
della maggiore o minore intensità. Se questa ipotesi supera
l‘istanza cruciale si può ritenere giusta
La teoria delle forme e i limiti del metodo baconiano
L‘intero processo dell‘induzione tende, secondo Bacone, a
stabilire la causa delle cose naturali. E questa causa è la
forma. Egli accetta la distinzione aristotelica delle quattro
cause: materiale, formale, efficiente e finale. Ma elimina
subito la causa finale come quella che nuoce alla scienza
più che giovarle. Delle altre cause aristoteliche Bacone
ritiene che l‘efficiente e la materiale siano superficiali ed
inutili per la scienza vera. Rimane la forma, che Bacone ha
la pretesa di intendere in modo molto diverso da
Aristotele. E che cosa egli intenda veramente per forma è
il più difficile problema della critica baconiana. Per
intendere il significato della forma è necessaria
un‘osservazione preliminare. Bacone distingue in ogni
fenomeno naturale due aspetti diversi: 1° lo schematismo
latente, cioè la struttura o l‘ordine intrinseco dei corpi
considerati staticamente; 2° il processo latente, cioè il
movimento intrinseco dei corpi stessi, che li porta alla
realizzazione della forma.
156
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Bacone ha esercitato una scarsa influenza sugli sviluppi
teorici della scienza, la. quale è stata interamente dominata
dalle intuizioni metodologiche di Leonardo, Keplero e
Galilei, ma ha pressoché ignorato lo sperimentalismo
baconiano. E in realtà lo sperimentalismo scientifico non
poteva essere innestato sull‘aristotelismo; e la teoria
dell‘induzione baconiana doveva fallire in questo
tentativo. Lo sperimentalismo scientifico aveva gi trovato
la sua logica e con essa la sua capacità di sistemazione,
Questa logica era, come si è visto, la matematica. È
significativo come nell‘induzione baconiana non trovi
posto la matematica. Bacone si preoccupò bensì di situare
la matematica nella sua enciclopedia delle scienze,
aggregandola talvolta alla metafisica, talvolta alla fisica;
ma non riconobbe alla matematica stessa nessuna funzione
efficace nella ricerca scientifica, ed affermò anzi
esplicitamente che essa è al termine della filosofia
naturale, ma non la deve generare né procreare‘. Anzi
nello stesso luogo ritiene che la matematica sia causa di
corruzione della filosofia naturale; e altrove dice che
l‘astronomia è stata annoverata tra le matematiche non
senza scapito della sua dignità. La grandezza di Bacone
consiste piuttosto nell‘aver riconosciuto la stretta
connessione tra la scienza e la potenza umana.
Isaac Newton (1643-1727)
Già Copernico aveva riconosciuto la gravità come una
forza che attrae tra loro i corpi celesti. Huygens aveva dato
la formula della forza centrifuga e aveva formulato la
prima teoria ondulatoria della luce. L‘italiano Giovanni
Alfonso Borelli aveva già osservato nel 1666 che, per
157
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
mantenere i pianeti nelle loro orbite, deve corrispondere
alla forza centrifuga un‘altra forza, centripeta o attrattiva.
Nel 1682 il francese Picard, in una seduta della Royal
Society di Londra, fornì l‘esatta misura del raggio della
Terra. Newton fece i suoi calcoli e trovò allora la
conferma definitiva della sua legge. Solo dopo questa
conferma egli si decise a comunicare al mondo la sua
scoperta, dapprima con le Proposizioni sul moto (1684) e
poi nel suo capolavoro, i Principi matematici della
filosofia naturale (1687). La sua legge della gravitazione
universale sostiene che i corpi si attraggono
proporzionalmente al prodotto delle masse e in ragione
inversa del quadrato delle distanze. La teoria della
gravitazione di Newton si fonda sulle leggi di Keplero ma
essa permette di correggere quelle leggi stesse: vi sarà
infatti attrazione non solo tra il Sole e i pianeti e tra pianeti
e satelliti, ma anche tra i pianeti stessi. Newton poté così
riconoscere che la Terra non descrive intorno al sole
un‘ellisse, ma una curva più complicata, una ellisse
perturbata dalla azione degli altri pianeti che le sono
intorno. La dottrina di Newton non riesce tuttavia a
spiegare il fatto che il pianeta abbia una velocità iniziale.
Da dove gli deriva questa velocità? Newton ammette qui
come causa l‘atto creativo di Dio, che avrebbe comunicato
ai corpi celesti l‘impulso iniziale. Nel campo della
dinamica, Newton ha distinto la massa dal peso: la massa
è la quantità di materia che non cambia mai, mentre il peso
è una forza che varia a seconda della luogo dove il corpo
si trova. Per primo, Newton ha enunciato inoltre il
principio secondo cui ad ogni azione segue una reazione
uguale e contraria. Ha così stabilito i tre principi
158
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
fondamentali della dinamica: il principio di inerzia; quello
della proporzionalità tra la forza e l‘accelerazione; quello
di azione e reazione. Alla meccanica di Newton è
fondamentale il principio del moto assoluto, che suppone a
sua volta quello di uno spazio e di un tempo assoluti.
Infine, per quanto riguarda la luce, egli sostenne la teoria
corpuscolare della luce (si ricordi che tali concetti saranno
messi in crisi solo con la teoria della relatività di Einstein).
L‘ideale di Newton è quello di una scienza puramente
descrittiva (hypotheses non fingo, non invento ipotesi).
Egli afferma che vi sono quattro regole del metodo
scientifico: 1) si devono ammettere solo quelle cause che
sono necessarie per spiegare i fenomeni, poiché la natura
non fa nulla invano; 2) effetti dello stesso genere devono
sempre essere attribuiti alla stessa causa; 3) le qualità che
appartengono ai corpi di cui si può fare esperienza
possono essere considerate come appartenenti a tutti i
corpi in generale: è il principio della induzione scientifica;
4) le proposizioni raggiunte mediante induzioni devono
essere considerate vere fino al momento in cui altri
fenomeni le confermino interamente.
159
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
CAPITOLO 10
Razionalismo ed empirismo
Il razionalismo
E‘ una corrente filosofica basata sulla tesi che la ragione
umana può in principio essere la fonte di ogni conoscenza,
ovvero attingere ad essa attraverso l'esperienza razionale
dei propri strumenti di indagine e comprensione. Trasse
origine dal pensiero di Cartesio e si diffuse nel corso del
XVII e XVIII secolo in Europa, mentre in Gran Bretagna
si affermava l'empirismo, secondo il quale tutte le idee
sorgono in noi attraverso l'esperienza e dunque la
conoscenza ha origini essenzialmente empiriche. La
distinzione tra le due correnti è tuttavia una ricostruzione
successiva, ed inoltre non è così netta, visto che i più
importanti
filosofi
razionalisti
concordavano
sull'importanza della scienza empirica. Il razionalismo in
particolare considera la ragione umana innata e
indipendente dall'esperienza, immutabile ed identica in
ogni essere umano, ma tanto da essere così alla portata
dell'individuo capace di riconoscere in sé le proprie
facoltà. In genere i filosofi razionalisti sostenevano che,
partendo da principi fondamentali, individuabili
intuitivamente, come gli assiomi della geometria, si possa
arrivare tramite un processo deduttivo a tutto il resto della
conoscenza.
I filosofi che espressero con maggior chiarezza questo
pensiero furono Spinoza e Leibniz, i cui tentativi di
risolvere i problemi epistemologici e metafisici posti da
Cartesio, condussero allo sviluppo del razionalismo.
160
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Entrambi pensavano che in principio tutta la conoscenza,
compresa la conoscenza scientifica, potesse essere
raggiunta mediante il solo uso della ragione, sebbene
accettassero in pratica questo non fosse concretamente
possibile per gli esseri umani, ad eccezione che in campi
specifici come la matematica. Cartesio fu d'altro canto più
vicino a Platone, pensando che solamente la conoscenza
delle verità eterne, che comprendeva le verità della
matematica e le basi epistemologiche e metafisiche delle
altre scienze, potesse essere raggiunta dalla sola ragione.
Le altre conoscenze richiedevano invece l'esperienza del
mondo, aiutata dal metodo scientifico. Sarebbe
probabilmente corretto dunque affermare che Cartesio sia
stato razionalista riguardo alla metafisica ed empirista
riguardo ai campi del sapere scientifico.
L'Empirismo
L'Empirismo è la corrente che si sviluppa tra Seicento e
Settecento in ambito anglosassone, che si caratterizza con
la teoria della ragione vista come un insieme di poteri
limitati dall'esperienza intendendo quest'ultima, come
fonte e origine del processo conoscitivo e come criterio di
verità o strumento di certificazione delle tesi dell'intelletto,
che risultano adeguate e certe solo se passibili di controllo
empirico. Se il primo punto del pensiero di questo
movimento filosofico definisce la negazione di ogni
conoscenza o principio innato (Locke), il secondo aspetto
può definirsi sicuramente il più determinante
dell'empirismo moderno, espresso compiutamente
soprattutto da Hume. David Hume vuole costruire una
scienza della natura umana, a partire da una concezione
161
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
empirista della conoscenza. Egli distingue le percezioni in
due classi: le impressioni, percezioni vivide, forti,
immediate, e le idee, percezioni illanguidite e meno
chiare. Le impressioni costituiscono il confine invalicabile
della conoscenza. Le idee sono collegate mediante un
principio di associazione, basato sulla somiglianza, sulla
contiguità nel tempo e nello spazio e sulla causalità. Non
esistono idee generali, ma solo idee particolari: vi è, però,
la possibilità che, con l‘impiego di un nome comune,
vengano designate idee particolari fra loro simili. La
relazione causale tra i fenomeni si basa sulla supposizione
che ciò che abbiamo finora sperimentato si verificherà
anche in futuro. Ma la previsione e l‘attesa di un evento in
virtù del nesso causale non sono giustificabili in base alla
sola esperienza: solo l‘abitudine ci induce a supporre il
futuro conforme al passato. Quindi, il postulato
dell‘uniformità della natura ha il proprio fondamento non
sulla ragione e nemmeno sull‘esperienza, ma su una
funzione psichica non razionale. Hanno carattere di
oggettività e di certezza solo le conoscenze della
matematica, che consistono in relazioni tra idee,
indipendenti dall‘esperienza.
R. Descartes (1596-1650)
René Descartes, italianizzato in Renato Cartesio (La Haye
en Touraine, 1596 – Stoccolma, 1650) è ritenuto fondatore
della filosofia e della matematica moderna. Cartesio estese
la concezione razionalistica di una conoscenza ispirata alla
precisione e certezza delle scienze matematiche.
162
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Opere principali: Il mondo o Trattato sulla luce (16291633); Diottrica, Meteore e Geometria (1637); Discorso
sul metodo (1637); Meditazioni metafisiche (1641); I
principi della filosofia (1644); Le passioni dell'anima
(1649).
Il metodo: la necessità di una revisione critica del sapere
Il metodo deve essere un criterio unico e semplice di
orientamento che serva all‘uomo. Questa idea viene
formulata da Cartesio nelle Regulae ad directionem
ingenii. Nel formulare le regole del metodo, Cartesio si
avvale soprattutto delle matematiche. ―Quelle lunghe
catene di ragionamenti, semplici e facili, di cui i geometri
si servono per giungere alle loro più difficili
dimostrazioni, mi dettero motivo a supporre che tutte le
cose di cui l‘uomo può avere conoscenza si seguono nello
stesso modo‖. Le scienze matematiche sono dunque già
pervenute in possesso del metodo. Ora si tratta di prendere
questo metodo, di astrarlo dalle matematiche e di
formulano in generale. per poterlo applicare a tutte le altre
branche del sapere. Si tratta anche di giustificare il metodo
stesso e la possibilità della sua universale applicazione,
riportandolo al suo fondamento ultimo, cioè all‘uomo
come soggetto o ragione. Cartesio doveva dunque: 1)
formulare le regole del metodo tenendo soprattutto
presente il procedimento matematico; 2) fondare con una
ricerca metafisica il valore assoluto di questo metodo; 3)
dimostrare la fecondità del metodo nelle varie branche del
sapere. Nel Discorso la formulazione più semplice delle
regole del metodo. Esse sono quattro: 1) Non accogliere
mai nulla per vero che non conoscessi esser tale con
163
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
evidenza. Questa era per Cartesio la regola fondamentale:
l‘evidenza, l‘intuizione chiara e distinta di tutti gli oggetti
del pensiero e l‘esclusione di ogni elemento sul quale il
dubbio fosse possibile. 2) Dividere ciascuna delle
difficoltà da esaminare nel maggior numero di parti per
meglio risolverla. È la regola dell‘analisi per la quale un
problema viene risolto nelle parti più semplici. 3)
Condurre i miei pensieri ordinatamente, cominciando
dagli oggetti più semplici e più facili a conoscersi per
risalire a poco a poco, quasi per gradi, fino alle
conoscenze più complesse: supponendo che vi sia un
ordine anche tra gli oggetti che non precedono
naturalmente gli uni agli altri. È la regola della sintesi, per
la quale si passa dalle conoscenze più semplici alle più
complesse gradatamente. 4) Fare in ogni caso
enumerazioni così complete e revisioni così generali da
essere sicuro di non omettere nulla. L‘enumerazione offre
così il controllo delle due precedenti. Queste regole non
hanno in se stesse la loro giustificazione. Il fatto che la
matematica se ne serva con successo non costituisce una
giustificazione. Cartesio deve quindi proporsi di
giustificarle risalendo alla loro radice: l‘uomo come
soggetto pensante o ragione.
Cogito ergo sum
Bisogna sospendere l‘assenso ad ogni conoscenza
comunemente accettata, dubitare di tutto e considerare
almeno provvisoriamente come falso tutto ciò su cui il
dubbio è possibile. Se, persistendo in questo
atteggiamento di critica radicale, si giunge a un principio
sul quale il dubbio non è possibile, questo principio dovrà
164
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
essere ritenuto derto e tale da poter servire di fondamento
a tutte le altre conoscenze. In questo principio si troverà la
giustificazione del metodo (dubbio metodico). Si può
dubitare delle conoscenze sensibili sia perché i sensi
qualche volta ci ingannano e quindi possono ingannarci
sempre, sia perché si hanno nei sogni conoscenze simili a
quelle che sì hanno nella veglia senza che si possa trovare
un sicuro criterio di distinzione fra le une e le altre.
Nemmeno le conoscenze matematiche (due più tre fanno
sempre cinque, sia che si dorma sia che si vegli) si
sottraggono al dubbio perché anche la loro certezza può
essere illusoria. S può sempre supporre che l‘uomo sia
stato creato da un genio o da una potenza maligna che si
sia proposta di ingannarlo facendogli apparire chiaro ed
evidente ciò che è falso ed assurdo. In tal modo, il dubbio
si estende a ogni cosa e diventa assolutamente universale
(dubbio iperbolico). Ma proprio nel carattere radicale di
questo dubbio si presenta il principio di una prima
certezza. Io posso ammettere di ingannarmi o di essere
ingannato; ma per ingannarmi io debbo esistere. La
proposizione io esisto è dunque la sola assolutamente ver.
Tuttavia posso dire per certo soltanto: io non esisto se non
come una cosa che dubita, cioè che pensa. Le cose
pensate, immaginate, sentite ecc. possono non essere reali;
ma è reale certamente il mio pensare, sentire ecc. La
proposizione io esisto equivale dunque a quest‘altra io
sono un soggetto pensante. La mia esistenza di soggetto
pensante è certa come non lo è l‘esistenza di nessuna delle
cose che penso. Può ben darsi che ciò che io percepisco
(per esempio un pezzo di cera) non esista; ma è
impossibile che non esista io che penso di percepire
165
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
quell‘oggetto. Su questa certezza originaria, che è nello
stesso tempo verità necessaria, deve essere dunque fondata
ogni altra conoscenza.
Dio come giustificazione metafisica delle certezze
Il principio del cogito non mi rende sicuro se non della
mia esistenza come pensante. Non sono invece sicuro se
alle mie idee corrispondono realtà effettive fuori di me.
Queste idee esistono nel mio spirito; ma esistono pure le
cose corrispondenti fuori di me? Per rispondere a questa
domanda Cartesio divide tutte le idee in tre categorie:
quelle che mi sembrano essere innate; quelle che mi
sembrano venute dal di fuori avventizie (idee di cose
naturali) e quelle formate o trovate da me stesso (fittizie),
le idee delle cose chimeriche o inventate. Per quel che
riguarda le idee che rappresentano altri uomini o cose
naturali, esse non contengono nulla di così perfetto che
non possa essere stato prodotto da me. Per quel che
riguarda l‘idea di Dio, cioè di una sostanza infinita, eterna,
onnisciente, onnipotente e creatrice, è difficile supporre
che possa averla creata io stesso. Difatti io sono privo
delle perfezioni che quell‘idea rappresenta; e la causa di
un‘idea deve sempre avere almeno tanta perfezione quanta
è quella che l‘idea stessa rappresenta. La causa dell‘idea di
una sostanza infinita non posso essere io, che sono una
sostanza finita; questa causa deve essere una sostanza
infinita la quale, pertanto, deve essere ammessa come
esistente (prima prova dell‘esistenza di Dio). Cartesio
riprende anche la tradizionale prova ontologica. Non è
possibile concepire Dio come Essere perfetto senza
ammettere la sua esistenza, perché l‘esistenza è una delle
166
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
sue perfezioni necessarie. Come non si può concepire un
triangolo che non abbia gli angoli interni uguali a due retti,
così non si può concepire un essere perfetto che non esista.
Una volta riconosciuta l‘esistenza di Dio, il criterio
dell‘evidenza trova la sua ultima garanzia. Dio, essendo
perfetto, non può ingannarmi; la facoltà di giudizio. che ho
ricevuta da lui, non può essere tale da indurmi in errore, se
viene adoperata rettamente. Tutto ciò che appare chiaro ed
evidente deve essere vero, perché Dio lo garantisce. Ma
com‘è allora possibile l‘errore? Esso dipende, secondo
Cartesio, dal concorso di due cause, cioè dall‘intelletto e
dalla volontà, L‘intelletto umano è limitato La volontà
umana invece è libera e quindi assai più estesa
dell‘intelletto. L‘errore non ci sarebbe mai, se io dessi il
mio giudizio solo intorno a ciò che l‘intelletto mi fa
concepire con sufficiente chiarezza. Ma poiché la mia
volontà, che è libera, può venir meno a questa regola e
indurmi a pronunciarmi su ciò che non è evidente
abbastanza, nasce la possibilità dell‘errore. L‘errore
dipende dunque unicamente dal libero arbitrio che Dio ha
dato all‘uomo e si può evitare soltanto attenendosi alle
regole del metodo e in primo luogo a quella dell‘evidenza.
L‘evidenza, fondata sull‘esistenza di Dio, consente di
eliminare il dubbio che è stato avanzato in principio sulla
realtà delle cose corporee. Io ho l‘idea di cose corporee
che esistono fuori di me e che agiscono sui miei sensi.
Dualismo e meccanicismo
Accanto alla sostanza pensante, che costituisce l‘io, si
deve ammettere, come si è visto, una sostanza corporea,
divisibile in parti, quindi estesa. Tale sostanza estesa non
167
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
possiede però tutte le qualità che noi percepiamo di essa.
Cartesio fa sua la distinzione già stabilita da Galilei e che
in realtà risale a Democrito. La grandezza, la figura, il
movimento, la situazione, la durata, il numero (cioè tutte
le determinazioni quantitative) sono certamente qualità
reali della sostanza estesa; ma il colore, il sapore, l‘odore,
il suono ecc, non esistono come tali nella realtà corporea e
corrispondono in questa realtà a qualcosa che noi non
conosciamo. Cartesio ha spezzato la realtà in due zone
distinte ed eterogenee: la res cogitans, inestesa, da un lato;
la res extensa, spaziale, inconsapevole e meccanicamente
determinata dall‘altro (= dualismo cartesiano). Ma dopo
aver diviso, Cartesio si trova di fronte al difficile problema
di spiegare il rapporto scambievole fra queste due
sostanze, rendendo intelligibile, per ciò che riguarda
l‘uomo, la relazione fra anima e corpo. Cartesio pensa di
risolvere la questione con la teoria della ghiandola pineale
(epifisi), concepita come la sola parte del cervello che, non
essendo doppia, può unificare le sensazioni che vengono
dagli organi di senso, che sono tutti doppi. La fisica
cartesiana, sulla base della rigorosa separazione tra res
cogitans e res extensa, poté eliminare tutti residui
finalistici, antropomorfici, animistici, magici e astrologici
che ancora infestavano la fisica agli inizi del ‗600.
Leibniz (1646-1716)
La dottrina di Lebniz si sforza di conciliare il
meccanicismo con il finalismo, la nuova scienza della
natura con i principi della metafisica. Le sue opere
principali sono De arte combinatoria, Discorso di
168
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
metafisica, Nuovi saggi sull'intelletto umano, Saggi di
teodicea e la Monadologia.
L‘ordine contingente del mondo
Il pensiero principale è questo: esiste un ordine. non
geometricamente determinato e quindi necessario, ma
spontaneamente organizzato e quindi libero. Si può dire
che il lavoro di Leibniz sia consistito nel ricercare
quest‘ordine in tutti i campi dello scibile. Per Leibniz
―nulla accade nel mondo che sia assolutamente
irregolare‖. Se qualcuno traccia una linea continua, ora
retta ora circolare, ora dall‘altra natura, è possibile trovare
una nozione o regola o equazione comune a tutti i punti di
questa linea, in virtù della quale i mutamenti stessi della
linea risultano spiegati... Così si può dire che in qualunque
modo Dio avesse creato il mondo, il mondo sarebbe stato
sempre regolare e fornito di un ordine generale. Leibniz
presenta Dio come colui che ha scelto tra i vari ordini
possibili dell‘universo il migliore o più perfetto. La ricerca
di un‘arte combinatoria capace di stabilire l‘ordine del
sapere nel tentativo — che costituisce il nucleo più
decisivo del suo pensiero — di conciliare meccanicismo e
finalismo, scienza e metafisica. L‘esigenza dell'ordine
universale fondato sulla libertà e sul rispetto della pluralità
sta anche alla base degli ideali della pace politica e della
riconciliazione fra le chiese. L‘appello a un ordine libero e
intelligente di origine divina sta anche alla base della
distinzione fra piano filosofico (che spiega la realtà nei
suoi aspetti finalistici) e piano scientifico (che spiega la
natura nei suoi aspetti di tipo matematico e
meccanicistico).
169
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Verità di ragione e verità di fatto
Leibniz vuole giustificare la possibilità di un ordine
contingente. Primo aspetto di questa giustificazione è la
dimostrazione che ordine non significa necessità. La
necessità è al suo posto nel mondo della logica, non nel
mondo della realtà. Un ordine reale non è mai necessario.
Le verità di ragione sono necessarie (ad es. la proposizione
il triangolo ha tre lati) ma non riguardano la realtà. Esse
sono ―identiche‖ (nel senso che fanno che ripetere la
medesima cosa senza dire nulla di nuovo) e risultano
fondate sui principi di identità e non-contraddizione. Tutte
le verità fondate su questi principi sono necessarie ma non
dicono nulla circa la realtà esistente di fatto. Esse non
possono derivare dall‘esperienza sono quindi innate. Le
idee innate non sono chiare e distinte ma confuse; sono
piccole percezioni. L'esperienza rende attuali, cioè
pienamente chiare e distinte, quelle idee che prima erano
semplici possibilità. Ma le idee innate non potrebbero
derivare dall‘esperienza perché hanno una necessità
assoluta che le conoscenze empiriche non hanno. Le verità
di ragione delineano il mondo della pura possibilità, che è
assai più vasto ed esteso di quello della realtà.
Le verità di fatto invece sono contingenti e concernono la
realtà effettiva. Esse delimitano il dominio ristretto di
quella realtà nel campo molto più esteso del possibile.
Sono fondate invece sui principio di ragion sufficiente.
Questo principio significa che nulla si verifica senza una
ragion sufficiente, cioè senza che sia possibile, a colui che
conosca sufficientemente le cose, di dare una ragione che
basti a spiegare perché è così e non altrimenti. È il
principio proprio di quell‘ordine che Leibniz, come si è
170
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
accennato, si è costantemente sforzato di trovare in tutti gli
aspetti dell‘universo: un ordine che non escluda, ma
includa la scelta libera. Per esempio se si chiede perché tra
tutti i mondi possibili questo solo è reale, bisognerà
trovare la ragion sufficiente della sua realtà, cioè della sua
scelta da parte di Dio. E questa ragion sufficiente sarà che
esso è il migliore di tutti i mondi possibili e che Dio nella
sua perfezione doveva fare questa scelta. Il doveva qui non
implica una necessità assoluta ma l‘atto della volontà di
Dio che ha liberamente scelto in conformità della sua
natura perfetta.
La sostanza individuale
Il principio di ragion sufficiente conduce Leibniz a
formulare il concetto centrale della sua metafisica, quello
di sostanza individuale. Una verità di ragione è quella
nella quale il soggetto e il predicato sono identici onde non
si può negare il predicato al soggetto senza contraddirsi.
Invece, nella verità di fatto, il predicato non è identico al
soggetto, tanto che può essere anche negato da esso. Il
soggetto deve però contenere la ragion sufficiente del suo
predicato. Un soggetto di questo genere è ciò che Leibniz
chiama sostanza individuale. La sua caratteristica è di
avere una nozione così compiuta da essere sufficiente a
comprendere e a farne dedurre tutti i predicati dal
soggetto. Per esempio, la nozione di Alessandro Magno
include la ragion sufficiente di tutti i predicati che si
possono dire di lui con verità, per esempio che egli vinse
Dario, fino a conoscere a priori se egli è morto di morte
naturale o di veleno. L‘uomo, che non ha mai una nozione
compiuta della sostanza individuale, è costretto a
171
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
desumere dall‘esperienza o dalla storia gli attributi che le
si riferiscono. Ma Dio, la cui conoscenza è perfetta. è in
grado di scorgere nella nozione di ogni sostanza la ragione
sufficiente di tutti i suoi predicati.
Fisica e metafisica: la forza
La natura non costituisce un‘eccezione al carattere non
necessario dell‘ordine universale. Invece di vedere
nell‘estensione e nel movimento, che erano gli elementi
della fisica cartesiana, gli elementi originari del mondo
fisico, vide l‘elemento originario nella forza. Ciò accadde
quando si convinse che il principio affermato da Cartesio
della immutabilità della quantità di movimento era falso e
che bisognava sostituirlo col principio della conservazione
della forza o azione motrice. Ciò che rimane costante nei
corpi che si trovano in un sistema chiuso non è la quantità
di movimento ma la quantità di azione motrice forza viva
(l‘energia cinetica) la quale è pari al prodotto della massa
per il quadrato della velocità. Il concetto di forza serve a
Leibniz per oltrepassare il meccanicismo nella spiegazione
dei fenomeni naturali. Leibniz ammette che nella natura
tutto avviene meccanicamente e cioè che tutto si possa
spiegare in essa con le nozioni di figura e di movimento.
Ma nello stesso tempo ritiene che i principi stessi della
meccanica e le leggi del movimento nascano da qualcosa
di superiore, che dipende piuttosto dalla metafisica che
dalla geometria. La forza è appunto questo superiore
principio metafisico che fonda le leggi stesse della fisica.
L‘ultimo risultato della fisica di Leibniz è la risoluzione
della realtà fisica in una realtà incorporea. L‘elemento
costitutivo della natura, riconosciuto nella forza, gli si
172
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
rivela di natura spirituale. Il dualismo cartesiano di
sostanza estesa e di sostanza pensante viene negato
giacché nell‘universo non esiste veramente né estensione
né corporeità: tutto è spirito e vita perché tutto è forza.
Le caratteristiche della monade
L‘acquisizione del concetto di monade segna per Leibniz
la possibilità di estendere al mondo fisico il suo concetto
dell‘ordine contingente e di unificare perciò il mondo
fisico e il mondo spirituale in un ordine universale libero.
La monade è un atomo spirituale, una sostanza semplice e
quindi priva di estensione e indivisibile. Come tale, non si
può disgregare ed è eterna: soltanto Dio può crearla o
annullarla. Ogni monade è diversa dall‘altra: non vi sono
in natura due esseri perfettamente uguali. Leibniz insiste
su questo principio che egli chiama della identità degli
indiscernibili. Due cose non possono differire solo
localmente, ma c‘è sempre fra di esse una differenza
interna. Due cubi uguali esistono solo in matematica, non
in realtà. In quanto sostanze semplici e immateriali, le
monadi non possono influenzarsi a vicenda, ma sussistono
come altrettanti mondi chiusi, privi di finestre attraverso
cui qualcosa possa uscire o entrare. Di conseguenza, le
altre monadi sono presenti alla singola monade soltanto in
maniera ideale, cioè sotto forma di rappresentazione al
punto che ogni monade si configura come uno specchio
vivente dell‘universo, sia pure da uno specifico e
particolare punto di vista. Ma dire che la monade è un
centro attivo di rappresentazioni significa dire che essa è
costituita a somiglianza della nostra anima e consta di
quelle due attività fondamentali che sono la percezione e
173
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
l‘appetizione (cioè il suo tendere da una percezione
all‘altra). Attribuire a tutte le monadi la capacità della
percezione può apparire paradossale solo a chi confonda la
vita rappresentativa con la vita cosciente, ossia il percepire
con la consapevolezza d percepire. Consapevolezza che
Leibniz denomina appercezione. e che riferisce soltanto a
quelle monadi più elevate che sono le anime in senso
stretto. C‘è una differenza fondamentale tra Dio (che è
anch‘egli una monade) e le monadi create, in quanto
queste rappresentano il mondo soltanto da un determinato
punto di vista, mentre Dio lo rappresenta da tutti i possibili
punti di vista. Le percezioni delle monadi create sono in
qualche misura confuse, simili a quelle che si hanno
quando si cade in uno deliquio o di sonno. Le monadi pure
e semplici sono quelle che posseggono soltanto percezioni
confuse mentre le monadi fornite di memoria sono quelle
che costituiscono le anime degli animali e tornite di
ragione costituiscono gli spiriti umani. Ma anche la
materia è costituita di monadi. Essa non è veramente né
sostanza corporea né sostanza spirituale ma piuttosto un
aggregato di sostanze spirituali e per questo è
infinitamente divisibile.
I rapporti tra monadi e l‘armonia prestabilita
Sul problema del rapporto tra l‘anima e il corpo Leibniz
distingue tre possibili soluzioni. Se si paragonano l‘anima
e il corpo a due orologi, il primo modo di spiegare il loro
accordo è quello di ammettere l‘influenza reciproca
dell‘uno sull‘altro; questa la dottrina della filosofia
volgare, che urta contro l‘incomunicabilità delle monadi e
l‘impossibilità di ammettere un influsso tra due sostanze
174
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
che seguono nelle loro azioni leggi eterogenee. La seconda
maniera di spiegare l‘accordo è quella che Leibniz chiama
dell‘assistenza, e che è propria del sistema delle cause
occasionali: due orologi anche cattivi possono essere
tenuti in armonia da un abile operaio che provveda ad essi
in ogni istante. Questo sistema ha, secondo Leibniz, il
torto di introdurre un Deus ex machina in un fatto naturale
e ordinario. Non resta allora che la terza maniera, cioè di
supporre che i due orologi sono stati costruiti con tanta
arte e perfezione da essere sempre d‘accordo per il futuro.
Questa è la dottrina dell‘armonia prestabilita sostenuta da
Leibniz. Per essa l‘anima e il corpo seguono ognuno le
proprie leggi; ma l‘accordo è stato stabilito
preventivamente da Dio nell‘atto di stabilire queste leggi.
Il corpo seguendo le leggi meccaniche e l‘anima seguendo
la propria interna spontaneità sono ad ogni istante in
armonia, e questa armonia è stata prestabilita da Dio
all‘atto della creazione.
Dio e i problemi della teodicea
Concludendosi nel sistema dell‘armonia prestabilita, la
filosofia di Leibniz diventa speculazione teologica. E in
tale speculazione Leibniz accoglie i temi tradizionali della
teologia, a cominciare dalle prove dell‘esistenza di Dio,
che egli elabora.
B. Spinoza
Baruch Spinoza (1632–1677), filosofo olandese,
esponente del razionalismo del XVII secolo, precursore
175
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
dell'Illuminismo, fu noto, in vita, per il Trattato teologicopolitico che difendeva ad oltranza la libertà di pensiero da
ogni ingerenza religiosa e statale. La sua più celebre opera
filosofica fu l'Ethica more geometrico demonstrata (Etica
dimostrata con metodo geometrico), pubblicata postuma
nel 1677, dove il suo pensiero è esposto nel modo
sistematico. Spinoza elabora un sistema del tutto
alternativo alle tradizioni religiose monoteistiche e alle
filosofie che hanno cercato di armonizzare la rivelazione
cristiana con la ragione. Nell‘Ethica propone, infatti, un
concetto di Dio inteso come assoluto, immanente
all‘universo e alle leggi necessarie e eterne che lo
costituiscono. Deus sive Natura: le due realtà, non sono
separate, ma si identificano.
Il rifiuto del dualismo cartesiano fra pensiero e estensione
è il cuore del pensiero di Spinoza. Se con la parola
sostanza si vuol designare ciò che è reale, allora né il
pensiero, né estensione sono propriamente sostanze. La
sostanza ha in se stessa il suo fondamento, è auto
sussistente e ha in sé la propria essenza. Questi requisiti
non appartengono né alla res cogitans, né alla res extensa
,che non sono dunque sostanze, ma aspetti, attributi della
sostanza. La quale poi non può che esser unica (due o più
sostanze, avendo i medesimi requisiti, non sarebbero altro
che una medesima sostanza, non essendo fra loro in alcun
modo distinte) e deve coincidere perciò con l‘essere
infinito di Dio. È Dio dunque l‘unica sostanza, l‘unica
realtà vera. Solo Dio è infatti causa sui ed è
necessariamente causa infinita. A questa infinità della
causa corrisponderanno di conseguenza effetti infiniti. La
sostanza cioè potrà concepirsi in infinite maniere, sotto
176
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
infiniti attributi. Due di essi (a noi è impossibile
concepirne di più) sono appunto il pensiero e l‘estensione.
Superamento del dualismo cartesiano
L‘analisi della sostanza e degli attributi è condotta da
Spinoza secondo il modello dimostrativo della geometria
di Euclide (sicché l‘Ethica procede mediante definizioni,
assiomi, dimostrazioni, ecc.). Riconducendo il pensiero e
l‘estensione alla sostanza come attributi di quest‘ultima,
Spinoza supera il problema dell‘occasionalismo: non è
necessario immaginare occasionali interventi divini atti ad
accordare le due supposte sostanze (materia e spirito); se
pensiero ed estensione sono attributi di Dio, aspetti di
un‘unica sostanza, essi sono già accordati in partenza.
Identici, dice Spinoza, sono l‘ordine e la connessione delle
cose e l‘ordine e la connessione dei pensieri. Ciò che noi
ci rappresentiamo ha una corrispondenza parallela con ciò
che accade sul piano delle realtà materiali. Questi
accadimenti del pensiero e dell‘estensione Spinoza li
chiama modi. I modi sono particolarizzazioni degli
attributi (una singola idea o pensiero è un modo
dell‘attributo pensiero; un singolo corpo è un modo
dell‘attributo estensione). I modi dunque accadono
nell‘attributo, e l‘attributo accade a sua volta nella
sostanza. La sostanza stessa, Dio, non è altro che l‘ordine
e la connessione geometrica che si manifesta negli attributi
e nei modi.
Il panteismo
II concetto spinoziano di Dio differisce totalmente sia
dalla tradizione cristiana, sia da quella ebraica. Dio non è
177
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
persona, ma l‘impersonale ordine geometrico che regge
l‘universo; Dio e l‗universo si identificano (Deus sive
natura). Se guardiamo la natura dal punto di vista
dell‘infinità della sua essenza, ci solleviamo al concetto
della natura naturans; se guardiamo l‘infinità delle sue
manifestazioni, consideriamo la natura naturata. Ma
entrambe queste facce, poi, in Dio coincidono; insieme,
esse costituiscono l‘ordine necessario del tutto, di tutto ciò
che è. L‘idea di un Dio creatore, che agisce secondo certi
fini e facendo uso di certi mezzi, non è altro, per Spinoza,
che un indebito travestimento antropomorfico del divino.
Dio non ha fini da raggiungere (il che contrasterebbe con
la perfezione della sua natura); Dio non ha bisogno di
scegliere tra necessità e libertà (in lui questi aspetti
coincidono, poiché la necessità geometrico-razionale
dell‘universo è l‘espressione della stessa infinita essenza
divina). Infine, non hanno senso, dal punto di vista di Dio
le umane valutazioni di bene e male, giusto e ingiusto:
ogni cosa è come deve essere, per la sua appartenenza alla
necessaria armonia della sostanza. Tale armonia non
abbisogna della volontà umana per attuarsi e non coincide
certo con quelli che sono i bisogni psicologici degli
uomini. Spinoza condanna dunque tutte le religioni,
considerandole superstizione o pregiudizio.
Il pensiero politico
Prima della costituzione dello Stato, vige il diritto del più
forte, ma, in questo stato, nessuno può vivere
tranquillamente e sicuro di mantenere ciò che ha. In
ragione di ciò, vengono stabilite per patto determinate
regole comuni di condotta e ciascuno rinuncia al proprio
178
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
diritto in favore di un terzo, cui è attribuito un potere
assoluto. Se però colui che ha ricevuto il potere politico
limita eccessivamente e senza motivo la libertà dei
cittadini, egli agirà contro la finalità per cui gli è stato
conferito il potere, sarà legittima l‘opposizione da parte
dei cittadini stessi. Peraltro, uno Stato intollerante rispetto
ad ogni critica si espone facilmente al pericolo
dell‘insurrezione da parte dei sudditi e la libertà
d‘espressione è il maggiore deterrente contro
l‘insurrezione. Il benessere dei sudditi e la libertà
d‘espressione sono perciò lo strumento migliore di cui un
governante può servirsi per mantenersi al governo.
T. Hobbes (1588-1679)
La filosofia di Hobbes è legata a presupposti materialistici,
mentre quella di Cartesio è legata a una metafisica
spiritualistica. La sua opera principale è Il Leviatano che
fu pubblicato nel 1651. Nella trilogia costituita da Il
cittadino, da Il corpo e da L’uomo, espose ordinatamente
il suo sistema in tutte le sue parti.
La filosofia di Hobbes ha come scopo di porre i
fondamenti di una comunità pacifica, che egli crede
possibile soltanto sulla base del potere assoluto dello stato.
Hobbes vuoi costruire una filosofia puramente razionale,
che escluda ogni rivelazione soprannaturale, l‘autorità dei
libri e degli autori antichi e prenda la sua ispirazione
esclusivamente dai mondo della natura.
179
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Hobbes ha voluto costruire la sua politica sul fondamento
di principi necessari ed ha concepito questa scienza per
analogia alla geometria ossia come fondata su pochi
principi, dai quali l‘intera costruzione viene
necessariamente dedotta. Due sono i postulati certissimi
della natura umana dai quali discende l‘intera scienza
politica: 1) la tendenza naturale per la quale ognuno
pretende di godere da solo dei beni comuni; 2) la ragione
naturale per la quale ognuno rifugge dalla morte violenta
come dal peggiore dei mali naturali. Il primo punto
esclude che l‘uomo sia, come voleva Aristotele, per natura
un ―animale politico‖. Hobbes non nega che gli uomini
abbiano bisogno gli uni degli altri (i bambini hanno
bisogno dell‘aiuto altrui per vivere, gli adulti per vivere
bene): ma nega che gli uomini abbiano per natura un
istinto che li porti alla concordia reciproca. Ciò che
Hobbes nega è l‘esistenza di un amore naturale dell‘uomo
verso il suo simile, ―ogni associazione spontanea nasce o
dal bisogno reciproco o dall‘ambizione, mai dall‘amore o
dalla benevolenza verso gli altri‖. Pertanto all‘origine
delle società è solo il timore reciproco. La causa di questo
timore è, in primo luogo, l‘uguaglianza di natura fra gli
uomini per la quale tutti desiderano la stessa cosa, l‘uso
esclusivo dei beni comuni. In secondo luogo, è la volontà
naturale di danneggiarsi a vicenda o anche l‘antagonismo
che deriva dal contrasto delle opinioni e dall‘insufficienza
del bene. Il diritto di tutti su tutto comporta che lo stato di
natura sia uno stato di guerra incessante di tutti contro
tutti. In questo stato, non c‘è nulla di giusto: la nozione del
diritto e del torto, della giustizia e dell‘ingiustizia, nasce
dove c‘è una legge e la legge nasce dove c‘è un potere
180
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
comune: dove non c‘è né legge né potere manca la
possibilità della distinzione tra il giusto e l‘ingiusto.
Ognuno ha diritto su tutto, compresa la vita degli altri.
Questo diritto non ha ovviamente nulla a che fare con la
legge di natura: la quale consiste piuttosto
nell‘eliminazione o almeno nella radicale limitazione di
esso, è un istinto naturale insopprimibile giacché ciascuno
è portato a desiderare ciò che per lui è bene e a fuggire ciò
che per lui è male e soprattutto a fuggire il maggiore di
tutti i mali naturali che è la morte.
La ragione calcolatrice
Questa condizione di guerra universale non può tuttavia
realizzarsi in modo totale, perché coinciderebbe
ovviamente con la distruzione totale del genere. La
ragione umana è la capacità di prevedere, mediante un
calcolo accorto, ai bisogni e alle esigenze dell‘uomo. È la
ragione naturale quindi che suggerisce all‘uomo la norma
del vivere civile, proibendo a ciascun uomo di fare ciò che
reca la distruzione della vita o gli toglie i mezzi di evitarla
e di omettere ciò che serve a conservarla meglio. Le
norme fondamentali della legge naturale sono dirette a
sottrarre l‘uomo al gioco autodistruttivo degli istinti e a
imporgli una disciplina che gli procuri una sicurezza
almeno relativa. Di conseguenza, la prima norma è:
Cercare la pace in quanto si ha la speranza di ottenerla; e,
quando non si può ottenerla, cercare e usare tutti gli ausili
e i vantaggi della guerra. Da questa legge fondamentale
derivano le altre: l‘uomo deve rinunciare al suo diritto su
tutto e accontentarsi di avere tanta libertà rispetto agli altri
quanta egli stesso ne riconosce agli altri rispetto a sé.
181
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Questa seconda legge non è che lo stesso precetto
evangelico: non fare agli altri ciò che non vorresti fosse
fatto a te. Essa significa l‘abbandono o il trasferimento del
diritto illimitato su tutto e perciò consente di uscire dallo
stato di natura, cioè dalla guerra continua di tutti contro
tutti, e implica che gli uomini stringano tra loro patti con i
quali appunto rinuncino al loro diritto originario o lo
trasferiscano a persone determinate. Ma ovviamente i patti
per essere tali devono essere mantenuti: Dunque la terza
legge naturale è per l‘appunto che bisogna o, stare ai patti,
cioè osservare la parola data. Da queste leggi seguono
tutte le altre, che Hobbes condensa in una minuziosa
casistica.
Lo Stato e l‘assolutismo
L‘atto fondamentale che segna il passaggio dallo stato di
natura allo stato civile è quello compiuto in conformità
della seconda legge naturale: la stipulazione di un
contratto con il quale gli uomini rinunziano al diritto
illimitato dello stato di natura e lo trasferiscono ad altri.
Questo trasferimento è indispensabile affinché il contratto
possa costituire una stabile difesa per tutti. Solo se ciascun
uomo sottomette la sua volontà a un unico uomo o a una
sola assemblea e si obbliga a non fare resistenza
all‘individuo o all‘assemblea cui si è sottomesso, si ha una
stabile difesa della pace e dei patti di reciprocità in cui
essa consiste. Quando questo trasferimento è effettuato, si
ha lo Stato o società civile, detto anche persona civile
perché, includendo la volontà di tutti, si può considerare
una sola persona. Colui che rappresenta questa persona
(che può essere individuo o assemblea) è il sovrano ed ha
182
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
potere sovrano; ogni altro è suddito. Questa è l‘origine di
quel grande Leviatano o di quel Dio mortale al quale,
dopo il Dio immortale, dobbiamo pace e difesa: giacché,
per l‘autorità conferitagli da ogni singolo uomo della
comunità, ha tanta forza e potere che può disciplinare, col
terrore, la volontà di tutti in vista della pace interna e
dell‘aiuto scambievole contro i nemici esterni. La teoria
hobbesiana dello Stato è tipica dell‘assolutismo politico ed
è caratterizzata dai seguenti punti:
1. La irreversibilità del patto fondamentale. Una volta
costituito lo Stato, i cittadini non possono dissolverlo
negando ad esso il suo consenso: il diritto dello Stato
difatti nasce dai patti dei sudditi fra loro, non da un patto
tra i sudditi e lo Stato, che potrebbe essere revocato da
parte dei primi.
2. Il potere sovrano è indivisibile nel senso che non può
essere distribuito tra poteri diversi che si limitino a
vicenda. Secondo Hobbes, questa divisione non
garantirebbe neppure la libertà dei cittadini: perché se i
poteri divisi agissero d‘accordo, questa libertà, ne
soffrirebbe e, se fossero discordi, s‘arriverebbe presto alla
guerra civile.
3. Appartiene allo Stato, e non ai cittadini, il giudizio sul
bene e sul male. La regola che consente di distinguere tra
bene e male, tra giusto e ingiusto ecc., è data dalla legge
civile e non può essere affidata all‘arbitrio dei cittadini.
4. Fa parte della sovranità la prerogativa di esigere
obbedienza anche per ordini ritenuti ingiusti o
peccaminosi;
183
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
5. La stessa sovranità esige che si escluda il tirannicidio.
Ma il tratto più caratteristico dell‘assolutismo di Hobbes è
la sua negazione che lo Stato (o il sovrano) sia comunque
soggetto alle leggi dello Stato: tesi che egli difende con
l‘argomento che lo Stato non si può obbligare né verso i
cittadini, il cui obbligo è unilaterale e irreversibile, né
verso se stesso, perché nessuno si può obbligare se non
verso un altro. Tutto questo però non significa che la
teoria politica di Hobbes non ponga alcun limite all‘azione
dello Stato. Neppure lo Stato può comandare ad un uomo
di uccidere o ferire se stesso o una persona cara o di non
difendersi o di non prendere cibo o altra cosa necessaria
alla vita; né può comandargli di confessare un delitto,
nessuno può essere costretto ad accusare se stesso.
L‘empirismo anglosassone
Locke è il fondatore dell‘empirismo anglosassone. Sul
piano storico l‘empirismo si innesta sulla tradizione del
pensiero (da Ruggero Bacone a Ockham a Francesco
Bacone) e rappresenta un punto di incontro di essa con il
cartesianesimo (da cui desume concetti e terminologia) e
con rivoluzione scientifica (da cui deriva l‘appello
all‘esperienza ed una nuova metodo del sapere).
Filosoficamente parlando, nei confronti del razionalismo,
l‘empirismo risulta caratterizzato dalla teoria della ragione
come un insieme di poteri limitati dall‘esperienza, intesa,
quest‘ultima come fonte ed origine del processo
conoscitivo e come criterio di verità o strumento di
certificazione delle tesi dell‘intelletto, che o valide solo se
suscettibili di controllo empirico.
184
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Locke (1632-1704)
Per Locke la ragione non possiede nessuno di quei
caratteri che Cartesio le aveva attribuito. Non è unica o
uguale in tutti gli uomini perché essi ne partecipano in
misura diversa. Non è infallibile perché spesso le idee di
cui dispone sono in numero troppo limitato o non si
lasciano concatenare tra loro nella forma dei ragionamenti.
Inoltre la ragione non può ricavare da sé le idee: deve
ricavarle dall‘esperienza che ha sempre limiti e condizioni.
L‘opera di Locke è diretta a estendere il campo della sua
azione a tutto ciò che interessa l‘uomo, quindi alla morale,
alla politica e alla religione. Con il Saggio sull’intelletto
umano è nata a prima indagine critica della filosofia
moderna, la prima indagine cioè diretta a stabilire le
effettive possibilità e i limiti della conoscenza. Questi
limiti sono propri dell‘uomo perché sono propri della sua
ragione, la quale è limitata dall‘esperienza. È l‘esperienza
che fornisce alla ragione il materiale che essa adopera. Le
idee semplici sono gli elementi di ogni sapere umano. La
ragione può bensì ordinare questo materiale a suo modo,
formando idee complesse e ragionamenti; ma anche in
questa sua attività deve essere controllata dall‘esperienza
perché altrimenti le sue costruzioni sono arbitrarie o
fantastiche.
La passività della mente
Locke desume da Cartesio il punto di partenza della sua
indagine, l‘oggetto della nostra conoscenza è l‘idea.
Pensare e avere idee sono la stessa cosa. E qui Locke
introduce la prima fondamentale limitazione: le idee
185
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
derivano esclusivamente dall‘esperienza, cioè sono il
frutto non di una spontaneità creatrice dell‘intelletto
umano, ma piuttosto della sua passività di fronte alla
realtà. E poiché la realtà, o è realtà esterna (le cose
naturali) o è realtà interna (lo spirito), così le idee possono
derivare dall‘una o dall‘altra di queste realtà e si
chiameranno idee di sensazione se derivano dal senso
esterno, idee di riflessione se derivano dal senso interno.
Sono idee di sensazione, o più semplicemente sensazioni,
per esempio, il giallo, il caldo, il duro, l‘amaro ecc, e in
generale tutte le qualità che attribuiamo alle cose. Sono
idee di riflessione la percezione, il pensiero, il dubbio, il
ragionamento, la conoscenza e in generale tutte le idee che
si riferiscono ad operazioni del nostro spirito. Locke
critica le idee innate sostanzialmente con un unico
argomento. Le idee non ci sono quando non sono pensate;
giacché, per l‘idea, esistere significa essere pensata. Le
idee innate dovrebbero esistere in tutti gli uomini, quindi
anche nei bambini, negli idioti e nei selvaggi; ma poiché
da queste persone non sono pensate, esse non esistono in
loro, perciò non possono considerarsi innate. Si dice che i
bambini giungono alla coscienza di esse nell‘età della
ragione; ma nell‘età della ragione si giunge anche a
conoscenze che non sono ritenute innate: nulla vieta
dunque che si possa giungere anche a quelle che si
ritengono tali. Locke adduce come esempi di principi
pretesi innati i principi logici di identità e contraddizione e
ripete la stessa critica per i principi morali. Se tutta la
nostra conoscenza risulta di idee e se le idee derivano
dall‘esperienza, l‘analisi della nostra capacità conoscitiva
dovrà in primo luogo fornire una classificazione di tutte le
186
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
idee che l‘esperienza ci fornisce. L‘esperienza ci fornisce
soltanto idee semplici; le idee complesse sono prodotte dal
nostro spirito mediante la riunione di varie idee semplici.
Difatti quando l‘intelletto è stato provvisto, dalla
sensazione e dalla riflessione, di idee semplici, esso ha la
capacità di ripropone, riunirle in modi infinitamente vari.
La conoscenza umana è la costruzione che risulta da
questa capacità di combinazione che è propria
dell‘intelletto. Ma nessun intelletto può inventare o creare
una idea semplice nuova, cioè non derivante
dall‘esperienza, o distruggere qualcuna di quelle che
l‘esperienza fornisce.
Le idee
Nel ricevere le idee semplici lo spirito è puramente
passivo: diventa attivo nel riunire e organizzare in vario
modo le idee semplici. Questa attività dello spirito può dar
luogo a idee complesse o a idee generali. Le idee
complesse, per quanto infinite di numero, si lasciano
ricondurre a tre categorie fondamentali: modi, sostanze e
relazioni. I modi sono quelle idee non considerate
sussistenti di per sé, ma solo come manifestazioni di una
sostanza, per esempio triangolo, gratitudine, delitto ecc.
Sostanze sono le idee complesse che vengono considerate
come esistenti di per se stesse: per esempio uomo,
piombo, pecora ecc. L‘attività dello spirito si manifesta,
anche, nella formazione di idee generali. Tali idee non
indicano nessuna realtà ma sono soltanto segni delle cose
particolari. Alle idee generali non corrisponde quindi una
realtà generale o universale, ma soltanto un certo rapporto
di somiglianza tra le cose particolari, che sono le sole
187
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
esistenti. Non c‘è una realtà universale uomo; il nome,
l‘idea generale di uomo sono segni di quegli esseri, ai
quali, dati i loro comuni caratteri, noi appunto riferiamo il
termine uomo. Formatasi l‘idea generale di uomo,
mediante l‘osservazione delle somiglianze che sussistono
fra gli uomini, il nostro intelletto attribuisce alla specie
uomo tutti gli individui somiglianti. La specie uomo è
quindi soltanto un segno, cioè una parola adoperata nei
discorsi in luogo di un gruppo di cose particolari.
La conoscenza
L‘esperienza fornisce il materiale della conoscenza, ma
non è la conoscenza stessa. Questa ha sempre a che fare
con idee, ma non si riduce alle idee perché consiste nella
percezione di un accordo o di un disaccordo delle idee tra
di loro. Come tale, la conoscenza può essere di due specie
diverse. È conoscenza intuitiva quando l‘accordo o il
disaccordo di due idee è visto immediatamente e in virtù
di queste idee stesse, senza l‘intervento di altre idee. Così
si percepisce immediatamente che il bianco non è nero,
che tre sono più di due ecc. Questa conoscenza è la più
chiara e la più certa che l‘uomo possa raggiungere ed è
quindi il fondamento della certezza e dell‘evidenza di ogni
altra conoscenza. La conoscenza è invece dimostrativa
quando l‘accordo o il disaccordo tra due idee non è
percepito immediatamente ma viene reso evidente
mediante l‘uso di idee intermedie che si chiamano prove.
La conoscenza dimostrativa consiste evidentemente in una
catena di conoscenze intuitive. Accanto a queste due
specie di conoscenze, ce n‘è un‘altra ed è la conoscenza
delle cose esistenti al di fuori delle idee. Ora ci sono tre
188
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
ordini di realtà: l‘io, Dio e le cose e ci sono tre modi
diversi di giungere alla certezza di queste tre realtà. Noi
abbiamo la conoscenza dell‘esistenza del nostro io
attraverso l‘intuizione, dell‘esistenza di Dio attraverso la
dimostrazione, e dell‘esistenza delle cose attraverso la
sensazione. Per ciò che riguarda l‘esistenza dell‘io, Locke
si avvale del procedimento cartesiano. Io penso. ragiono,
dubito e con ciò intuisco la mia propria esistenza e non
posso dubitare di essa. Per ciò che riguarda l‘esistenza di
Dio, Locke rielabora la prova causale della tradizione. Il
nulla, egli dice, non può produrre nulla: se qualcosa c‘è,
vuol dire che è stata prodotta da un‘altra cosa. e non
potendosi risalire all‘infinito, si deve ammettere un essere
eterno che ha prodotto ogni cosa. Questo essere eterno,
potentissimo ed intelligentissimo, è Dio. Quanto
all‘esistenza delle cose, l‘uomo non ha altro mezzo di
conoscerla tranne che la sensazione e precisamente la
sensazione attuale. Non c‘è nessun rapporto necessario tra
l‘idea e la cosa a cui essa si riferisce: l‘idea potrebbe
esserci anche se non ci fosse la cosa come ci può essere
un‘immagine o un dipinto senza che esista o sia mai
esistita la persona o la cosa che l‘immagine o il dipinto
rappresenta. Ma il fatto che noi riceviamo attualmente
l‘idea dall‘esterno ci fa conoscere che qualcosa esiste in
questo momento fuori di noi e produce in noi l‘idea. Nel
momento in cui noi riceviamo una sensazione, siamo certi
che esiste la cosa che la produce in noi: e questa certezza
basta, secondo Locke, a garantire la realtà della cosa
esterna. Quando l‘oggetto non è più testimoniato dai sensi,
la certezza della sua esistenza sparisce ed è sostituita da
una semplice probabilità.
189
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Il diritto naturale
Nell‘ambito politico e religioso Locke ci ha lasciato
contributi fondamentali. Le opere da lui pubblicate,
l‘Epistola sulla tolleranza, i Due trattati sul governo
civile, la Ragionevolezza del cristianesimo sono scritti che
assicurano a Locke in questo campo un posto altrettanto
importante di quello che il Saggio gli assicura nel campo
più strettamente filosofico. Queste opere fanno di Locke
uno dei primi e più efficaci difensori delle libertà dei
cittadini, della tolleranza religiosa e della libertà delle
chiese. Esiste, secondo Locke, una legge di natura che è la
ragione stessa in quanto ha per oggetto i rapporti tra gli
uomini e che prescrive la reciprocità perfetta di tali
rapporti. Locke, come Hobbes, connette strettamente
questa regola di reciprocità con quella dell‘uguaglianza
originaria degli uomini; ma, a differenza di Hobbes ritiene
che questa regola limiti il diritto naturale di ciascuno col
pari diritto degli altri. Lo stato di natura è governato dalla
legge di natura, che collega tutti: e la ragione, la quale è
questa legge, insegna a tutti gli uomini, purché vogliano
consultarla, che, essendo tutti uguali e indipendenti,
nessuno deve danneggiare l‘altro nella vita, nella salute,
nella libertà e nella proprietà. Nello stato di natura, cioè
anteriormente alla costituzione di un potere politico, essa è
la sola legge valida Dunque la libertà degli uomini in
questo stato consiste nel non sottostare ad alcuna volontà o
autorità altrui ma nel rispettare soltanto la norma naturale.
Neanche in questo stato quindi la libertà consiste per
ciascuno nel vivere come gli piace. Il diritto naturale
dell‘uomo è limitato alla propria persona ed è quindi
diritto alla vita, alla libertà e alla proprietà. Questo diritto
190
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
implica indubbiamente anche quello di punire l‘offensore
e di essere l‘esecutore della legge di natura; ma neppure
questo secondo diritto implica l‘uso di una forza assoluta o
arbitraria. ma solo quella reazione che la ragione indica
come proporzionata alla trasgressione.
Stato e libertà
Lo stato di natura non è perciò necessariamente, come
voleva Hobbes, uno stato di guerra; ma può diventare uno
stato di guerra quando una o più persone ricorrono alla
forza per ottenere ciò che la norma naturale vieterebbe di
ottenere, cioè un controllo sulla libertà, sulla vita e sui
beni degli altri. Proprio per evitare questo stato di guerra,
gli uomini si pongono in società e abbandonano lo stato di
natura: perché un potere cui si possa fare appello per
ottenere soccorso esclude la permanenza indefinita nello
stato di guerra. Ma la costituzione di un potere civile non
toglie agli uomini i diritti di cui godevano nello stato di
natura tranne quello di farsi giustizia da sé giacché, anzi,
la giustificazione del potere civile consiste nella sua
efficacia a garantire agli uomini, pacificamente, questi
diritti. Se la libertà naturale consiste per l‘uomo
nell‘essere limitato soltanto dalla legge di natura, la libertà
dell‘uomo nella società consiste nel non sottostare ad altro
potere legislativo che a quello stabilito per consenso.
Pertanto la legge di natura esclude che il contratto che dà
origine a una comunità civile formi un potere assoluto o
illimitato. L‘uomo, che non possiede alcun potere sulla
propria vita, non può, con un contratto, rendersi schiavo di
un altro e porre se stesso sotto un potere assoluto che
disponga della vita di lui come gli piace. Soltanto il
191
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
consenso di coloro che partecipano ad una comunità
stabilisce il diritto di questa comunità sui suoi membri; ma
questo consenso, come è un atto di libertà, cioè di scelta.
così è diretto a mantenere o garantire questa libertà stessa
e non può convalidare l‘assoggettamento dell‘uomo
all‘incostante, incerta e arbitraria volontà di un altro uomo.
Tolleranza e religione
L‘Epistola sulla tolleranza è uno dei più solidi monumenti
elevati alla libertà di coscienza. Compito dello Stato è
conservare e promuovere soltanto i beni civili (la vita, la
libertà, l‘integrità del corpo, il possesso delle cose
esterne). Questo compito dello Stato stabilisce i limiti
della sovranità; e la salvezza dell‘anima è chiaramente al
di fuori di questi limiti. L‘unico strumento infatti di cui il
magistrato civile dispone è la costrizione; ma la
costrizione è incapace di condurre alla salvezza perché
nessuno può essere salvato suo malgrado. Dall‘altro lato,
nè i cittadini né la Chiesa stessa possono chiedere
l‘intervento del magistrato in materia religiosa. La Chiesa,
dice Locke, è una libera società di uomini che si
riuniscono spontaneamente per onorare pubblicamente
Dio nel modo che credono sarà accetto alla divinità, per
ottenere la salvezza dell‘anima. Come società libera, la
Chiesa non fa nulla né può far nulla che concerna la
proprietà dei beni civili,né può far ricorso alla forza per
alcun motivo, dal momento che la forza è riservata
magistrato civile. Certamente, la Chiesa ha il diritto di
espellere coloro le cui credenze ritiene incompatibili con i
propri principi. Ma la scomunica non deve in alcun modo
trasformarsi in una diminuzione dei diritti civili del
192
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
condannato. Per quanto neppure nell‘Epistola la tolleranza
trovi un riconoscimento radicale perché Locke ritiene che
―coloro che negano l‘esistenza di Dio non possono essere
tollerati in alcun modo‖ lo scritto di Locke rappresenta
tutt‘oggi la migliore giustificazione che la storia della
filosofia ci abbia data della libertà di coscienza.
D. Hume (1711-1776)
L‘opera principale di Hume è il Trattato sulla natura
umana, sebbene nella Ricerca sull’intelletto umano e nella
Ricerca sui principi della morale egli abbia riesposto in
modo assai più rapido e chiaro i capisaldi essenziali di
quell‘opera.
Alla base del filosofare di Hume vi è l‘ambizioso progetto
di costruire una scienza della natura umana su base
sperimentale, analoga a quella teorizzata da Bacone per
quanto riguarda la natura fisica. Hume è persuaso che la
natura umana costituisca la capitale del regno del sapere e
che quindi risulti ancor più basilare ed urgente delle altre
scienze. La tendenza empiristica ed anti-metafìsica che sta
a monte del procedimento di Hume è riassunta dalla
celebre immagine di gettare nel fuoco i libri di teologia e
metafisica! Questa scelta empiristica finirà per mettere
capo ad una forma di scetticismo nel quale le pretese
conoscitive della natura umana risultano fortemente
limitate. Da ciò la funzione storicamente provocatoria
esercitata dalla filosofia di Hume, a cui Kant riconoscer il
merito di averlo svegliato ‗dal sonno dogmatico‘.
193
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Impressioni e idee
Nella sua analisi della conoscenza umana Hume divide le
percezioni della mente in due classi, che sì distinguono fra
loro per il grado diverso di forza e di vivacità. con cui
colpiscono lo spirito. Le percezioni che penetrano con
maggior forza ed evidenza nella coscienza si chiamano
impressioni; e sono tutte le sensazioni, passioni ed
emozioni, nell‘atto in cui vediamo o sentiamo, amiamo o
odiamo, desideriamo o vogliamo. Le immagini illanguidite
di queste impressioni si chiamano idee o pensieri. La
differenza tra impressione e idea è. per esempio, quella tra
il dolore di un calore eccessivo e l‘immagine di questo
dolore nella memoria. Ogni idea deriva dalla
corrispondente impressione e non esistono idee o pensieri
di cui non si sia avuta precedentemente l‘impressione.
L‘uomo può senza dubbio comporre le idee fra loro nei
modi più arbitrari e fantastici ma non fari mai realmente
un passo al di là di se stesso. Hume si tiene rigidamente
fedele a questo principio fondamentale. Locke, pur dopo
aver ammesso che l‘unico oggetto della conoscenza
umana è l‘idea, aveva riconosciuto, al di là dell‘idea, la
realtà dell‘io, di Dio e delle cose. Berkeley, pur negando la
materia, aveva ammesso la realtà degli spiriti finiti e dello
spirito infinito di Dio, realtà entrambe irriducibili alle idee.
Hume solo risolve totalmente l‘intera realtà nel molteplice
delle idee attuali (delle impressioni sensibili e delle loro
copie) e nulla ammette al di là di esse. Per spiegare la
realtà del mondo e dell‘io, egli non ha a sua disposizione
se non le impressioni, le idee e i loro rapporti. La
conclusione scettica è inevitabile. Hume accetta e fa sua la
negazione dell‘idea astratta, già operata da Berkeley. Non
194
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
esistono idee astratte, cioè idee che non abbiano caratteri
particolari e singoli (un triangolo che non sia né equilatero
né isoscele né scaleno; un uomo che non sia questo o
quell‘uomo ecc.); esistono solo idee particolari assunte
come segni di altre idee particolari ad esse simili. Ma per
spiegare la funzione del segno, cioè la possibilità di
un‘idea di richiamare altre idee simili, Hume ricorre al
principio dell‘abitudine. Quando abbiamo scoperto una
certa somiglianza tra idee che per altri aspetti sono diverse
(per esempio, tra le idee di diversi uomini e di diversi
triangoli), noi adoperiamo un unico nome (uomo o
triangolo) per indicarle. Si forma così in noi l‘abitudine di
considerare in qualche modo unite fra loro le idee
designate da un unico nome; Dunque il nome stesso
risveglierà in noi, non una sola di quelle idee, ma
l‘abitudine che abbiamo di considerarle assieme. La
funzione puramente logica del segno concettuale diventa
in Hume un fatto psicologico, un‘abitudine.
Il principio di associazione
La facoltà di stabilire relazioni fra idee è detta, da Hume,
immaginazione. Sebbene tale facoltà operi liberamente,
essa non risulta completamente affidata al caso, poiché
anche nei sogni e nelle fantasticherie più sfrenate e
vagabonde troviamo che viene sempre mantenuta una
connessione tra le diverse idee che si succedono l‘una
all‘altra. Questa connessione è garantita da una forza che
rappresenta, per la mente, ciò che la forza di gravità
rappresenta per la natura. Tale è il cosiddetto principio di
associazione delle idee, che Hume descrive come una
dolce forza che comunemente s‘impone, facendo che la
195
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
mente venga trasportata da un‘idea all‘altra. Questa forza
di attrazione opera secondo tre criteri fondamentali: la
somiglianza, la contiguità nel tempo e nello spazio e la
causalità. Un ritratto, per esempio, conduce naturalmente i
nostri pensieri al suo originale (somiglianza): il ricordo
dell‘appartamento di una casa porta a discorrere degli altri
appartamenti della stessa casa (contiguità); una ferita fa
pensare subito al dolore che ne deriva (causa ed effetto).
Hume ritiene che l‘associazione stia alla base delle ―idee
complesse‖. Fra queste idee le più importanti sono quelle
di spazio e di tempo, di causa ed effetto, di sostanza
(corporea o spirituale). A tali idee noi attribuiamo
consistenza ed oggettività. Hume si propone di mostrare
come ad esse non corrisponda alcuna impressione. Lo
spazio e il tempo non sono delle impressioni, ma delle
nostre maniere di sentire le impressioni e altrettanto
destituite di oggettività sono le idee di causa-effetto e di
sostanza materiale e spirituale.
Proposizioni di relazione fra idee e di relazione fra fatti
Come Leibniz aveva distinto fra verità di ragione e verità
di fatto, Hume distingue fra proposizioni che concernono
relazioni fra idee (come le proposizioni matematiche) e le
proposizioni che concernono fatti (come le proposizioni
delle scienze naturali). Le prime, precisa Hume, si
possono scoprire ―per mezzo della sola operazione del
pensiero, indipendentemente da ciò che è realmente
esistente in una qualsiasi parte dell‘universo‖. Si tratta
infatti di proposizioni che noi costruiamo basandoci
semplicemente sul principio di non-contraddizione. Ad
esempio, posta la definizione di triangolo, ricaviamo per
196
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
via puramente razionale che ―il quadrato dell‘ipotenusa è
uguale al quadrato di due lati‖. Invece, le proposizioni che
concernono dati o materie di fatto‖ non sono fondate sul
principio di non contraddizione, bensì sull‘esperienza,
giacché il contrario di un fatto è sempre possibile ed ―ogni
cosa che è, può non essere‖. Infatti, argomenta Hume con
una celebre immagine, la proposizione il sole domani non
si leverà è una proposizione non meno intelligibile né più
contraddittoria dell‘altra il sole domani si leverà.
La critica del principio di causa
Tutti i ragionamenti che riguardano realtà o fatti si
fondano sulla relazione di causa ed effetto. Se si chiede ad
una persona perché creda a un fatto qualsiasi, per esempio,
che un suo amico è in campagna o altrove, egli addurrà un
altro fatto, per esempio che ha ricevuto da lui una lettera o
che ha precedentemente conosciuto la sua intenzione. La
tesi fondamentale di Hume è che la relazione tra causa ed
effetto non può essere mai conosciuta a priori, ma soltanto
per esperienza. Nessuno, messo di fronte a un oggetto che
per lui sia nuovo, è in grado di scoprire le sue cause e i
suoi effetti prima di averli sperimentati e soltanto
ragionando su di essi, ―Adamo, anche se le sue facoltà
razionali siano supposte dal principio perfette, non
avrebbe mai potuto inferire dalla fluidità e trasparenza
dell‘acqua che essa poteva soffocarlo o dalla luce e dal
calore del fuoco che esso poteva consumano. Causa ed
effetto sono due fatti diversi, ognuno dei quali non ha
nulla in sé che richiami necessariamente l‘altro. Quando
vediamo una palla di biliardo che corre diritto verso
l‘altra, anche supponendo che nasca per caso in noi il
197
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
pensiero del movimento della seconda palla come risultato
del loro incontro, potremmo benissimo concepire altre
possibilità differenti: per esempio, che le due palle
rimangano entrambe ferme o che la prima ritorni indietro
diritto o scappi da uno dei lati. Queste possibilità non
possono essere escluse perché non sono contraddittorie.
L‘esperienza ci dice che una sola si verifica e che l‘urto
della prima palla mette in movimento la seconda; ma
l‘esperienza non ci illumina se non intorno ai fatti che
abbiamo sperimentato nel passato e non ci dice nulla circa
i fatti futuri. Poiché anche dopo che l‘esperienza è stata
fatta, la connessione tra la causa e l‘effetto rimane
arbitraria, questa connessione non potrebbe essere assunta
come fondamento in nessuna previsione. Che il corso della
natura possa cambiare è ipotesi che non implica nessuna
contraddizione e che perciò rimane sempre possibile. Né
la continua conferma che l‘esperienza fa nella maggior
parte dei casi delle connessioni causali muta la questione:
perché questa esperienza riguarda sempre il passato, mai il
futuro. Se ci fosse qualche sospetto che il corso della
natura potesse cambiare e che il passato non servisse di
regola per il futuro, ogni esperienza diverrebbe inutile e
non potrebbe dare origine a nessuna conclusione. È
impossibile quindi che argomenti tratti dall‘esperienza
possano dimostrare la rassomiglianza del passato con il
futuro: tutti questi argomenti sono fondati sulla
supposizione
di
quella
rassomiglianza.
Queste
considerazioni di Hume escludono che il legame tra causa
ed effetto possa essere dimostrato oggettivamente
necessario, cioè assolutamente valido. L‘uomo tuttavia lo
crede necessario e fonda su di esso l‘intero corso della sua
198
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
vita. La sua necessità è quindi puramente soggettiva e va
cercata in un principio della natura umana. Questo
principio è l‘abitudine (o costume). La ripetizione di un
atto qualsiasi produce una disposizione a rinnovare lo
stesso atto senza che intervenga il ragionamento: questa
disposizione è l‘abitudine. Quando abbiamo visto più volte
congiunti due fatti od oggetti, per esempio, la fiamma e il
calore, il peso e la solidità, siamo portati dall‘abitudine ad
aspettarci l‘uno quando l‘altro si mostra. Senza l‘abitudine
noi saremmo interamente ignoranti di ogni questione di
fatto, fuori di quelle che ci sono immediatamente presenti
alla memoria o ai sensi. Ma l‘abitudine spiega la
congiunzione che noi stabiliamo tra i fatti, non la loro
connessione necessaria. Spiega perché noi crediamo alla
necessità dei legami causali, non giustifica questa
necessità.. E veramente questa necessità è ingiustificabile.
La credenza nel mondo esterno e nell‘identità dell‘io
Ogni credenza in realtà o fatti, in quanto è il risultato di
un‘abitudine, è un sentimento o un istinto, non un atto di
ragione. Tutta la conoscenza della realtà è così priva di
necessità razionale e rientra nel dominio della probabilità,
non della conoscenza scientifica. Hume non intende
annullare la differenza che c‘è tra la finzione e la
credenza. La credenza è un sentimento naturale, che non
soggiace ai poteri dell‘intelletto. Se essa dipendesse
dall‘intelletto o dalla ragione, poiché questo potere ha
autorità su tutte le idee, potrebbe riuscire a farci credere
qualsiasi cosa gli piaccia; noi possiamo, nel nostro
concetto, congiungere la testa di un uomo con il corpo di
un cavallo ma non è in nostro potere credere che un tale
199
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
animale esiste realmente. La credenza è quindi dovuta alla
maggiore vivacità. delle impressioni rispetto alle idee. Ma
gli uomini credono abitualmente nell‘esistenza di un
mondo esterno. Hume comincia col distinguere la
credenza nell‘esistenza continua delle cose, che è propria
di tutti gli uomini e anche degli animali; e la credenza
nell‘esistenza esterna delle cose stesse, la quale ultima
suppone la distinzione pseudofilosofica delle cose dalle
impressioni sensibili. Dalla coerenza e dalla costanza di
certe impressioni, l‘uomo è tratto a immaginare che
esistano cose dotate di un‘esistenza continua e ininterrotta
e quindi tali che esisterebbero anche se ogni creatura
umana fosse assente o annientata. In altri termini la stessa
coerenza e costanza di certi gruppi di impressioni ci fa
dimenticare o trascurare che le nostre impressioni sono
sempre interrotte e discontinue e ce le fa considerare come
oggetti persistenti e stabili. Questa credenza che
appartiene alla parte non filosofica del genere umano è
però presto distrutta dalla riflessione filosofica la quale
insegna che ciò che si presenta alla mente è soltanto
l‘immagine e la percezione dell‘oggetto e che i sensi sono
soltanto le porte attraverso le quali queste immagini
entrano, senza che ci sia mai un rapporto immediato tra
l‘immagine stessa e l‘oggetto. La tavola che vediamo
sembra impiccolirsi quando noi ce ne allontaniamo. ma la
tavola reale, che esiste indipendentemente da noi, non
subisce alterazioni; perciò alla nostra mente era presente
soltanto l‘immagine di essa. La riflessione filosofica
conduce così a distinguere le percezioni, soggettive,
mutevoli e interrotte, dalle cose oggettive, esternamente e
continuamente esistenti. In verità la sola realtà di cui
200
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
siamo certi è costituita dalle percezioni; le sole inferenze
che possiamo fare sono quelle fondate sul rapporto tra
causa ed effetto, che si verifica anch‘esso solo tra le
percezioni. Una realtà che sia diversa dalle percezioni ed
esterna ad esse non si può affermare né sulla base delle
impressioni dei sensi né sulla base del rapporto causale. La
realtà esterna è dunque ingiustificabile ma l‘istinto a
credere in essa è ineliminabile. È vero che neppure il
dubbio filosofico intorno a tale realtà si può sradicare, ma
la vita ci distoglie da questo dubbio e ci riaffida alla
credenza istintiva. Una spiegazione analoga trova, nelle
analisi di Hume, la credenza nell‘unità e nell‘identità
dell‘io. Infatti, secondo Hume, noi non abbiamo
esperienza o impressione del nostro io, ma solo dei nostri
stati d‘animo successivi, che fanno apparizione nella
nostra coscienza come in una specie di teatro, In altri
termini, ciò che noi sperimentiamo come io è soltanto,
rigorosamente parlando, un fascio di impressioni che si
susseguono nel tempo. Ancora una volta, la credenza e la
filosofia, l‘istinto e la ragione appaiono in contrasto fra di
loro.
201
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
CAPITOLO 11
L'illuminismo
L‘illuminismo è un movimento di idee caratterizzato,
anzitutto, dalla certezza del primato della ragione e dalla
fede nel progresso dell‘umanità. A tali caratteri si
aggiungono una più forte idea dell‘autonomia della cultura
rispetto alla religione, una viva tensione riformatrice e una
visione cosmopolitica e pacifica della società umana,
ispirata all‘idea dell‘universalità della ragione.
L‘Enciclopedia descrive un nuovo ordine del sapere, nel
quale, accanto alle scienze e alle ―arti belle‖, vi sono le
tecniche, che vedono così riconosciuta la loro pari dignità
culturale. Gli intellettuali dell‘illuminismo sono
fortemente impegnati nella diffusione e promozione delle
loro idee in ogni campo culturale, in ogni settore e classe
della società. La critica illuministica investe valori
consolidati e ogni settore della vita sociale, del costume,
delle istituzioni. Pur essendo, in larga maggioranza,
convinti dell‘esistenza di Dio (e fautori del Deismo, cioè
di una fede razionale), gli esponenti dell‘illuminismo
attaccano le religioni storiche, il loro dogmatismo, la loro
intolleranza e il ruolo conservatore che esse hanno assunto
nella vita politica e socia le Criticano, inoltre, le pretese
totalizzanti, lo ―spirito di sistema‖ delle filosofie del
Seicento. Sono fautori del paradigma newtoniano di
razionalità e scienza, basato sul rifiuto di ipotesi
aprioristiche, non fondate sull‘analisi dell‘esperienza e
non suscettibili di verifiche sperimentali. Pur essendo
duramente critici verso la tradizione, gli Illuministi sono
202
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
portatori di una filosofia della storia, ispirata all‘idea di
progresso dell‘umanità. E saranno essi stessi promotori di
una storiografia ispirata a moderne esigenze di
scientificità, consapevolezza metodologica, apertura alla
dimensione socio-economica e di costume dei processi
storici e alla vita delle popolazioni extra-europee. Inoltre,
promuoveranno l‘avvio di nuove scienze sociali, come
l‘etnologia e l‘antropologia e, soprattutto, l‘economia
politica. Quest‘ultima, con i Fisiocratici in Francia e Adam
Smith in Inghilterra, si oppone alle teorie mercantiliste e
sostiene il libero mercato, individuando nella sfera della
produzione (e non in quella della distribuzione) la fonte
del profitto. Viene affermato, inoltre, il valore morale e
sociale dell‘arte, la sua funzione positiva nell‘opera di
rischiaramento condotta dalla ragione. Si discute del gusto
estetico e, con Kant, si punta a una fondazione
dell‘estetica come campo autonomo di riflessione teorica.
Montesquieu descrive i rapporti fra i diversi sistemi di
norme e i rispettivi contesti storici e le differenze che
esistono fra le tre fondamentali costituzioni, repubblicana,
monarchica e dispotica. Soprattutto, pone a cardine dello
Stato la divisione dei poteri, cioè l‘attuazione di un regime
di autonomia reciproca fra i poteri esecutivo, legislativo e
giudiziario. Beccaria afferma che le leggi devono garantire
―la massima felicità divisa nel maggior numero‖. La pena
di morte non è un diritto della comunità, ma solo ―una
guerra della nazione con un cittadino‖. Voltaire sostiene
l‘orientamento empiristico della scienza newtoniana.
Afferma il fondamento morale della religione e la
necessità della tolleranza irride all‘ottimismo leibniziano,
ma ritiene che, grazie agli sforzi dell‘uomo, la condizione
203
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
umana possa un giorno migliorare. Identifica il bene con
ciò che utile alla società. Condillac afferma il carattere
acquisito empirico e non innato, delle funzioni mentali,
descrivendo, con l‘esempio della statua, come quelle
funzioni si attivino gradualmente anche attraverso la
sollecitazione di un unico organo sensoriale. Diderot
considera la sensibilità come un insieme coordinato e
unitario, critica il modello meccanicistico e descrive la
natura come dotata di interne capacità di evoluzione. Più
apertamente materialistiche sono le posizioni di La
Mettrie, di Helvétius e d‘Holbach.
Jean Jacques Rousseau (1712-1778)
Discorso sull'origine e i fondamenti della disuguaglianza
tra gli uomini (1754) Economia politica (1755) La Nuova
Eloisa (1761) - Il contratto sociale (1762) - Emilio o
dell'educazione (1762)
Anti-illuminismo e illuminismo
Un posto a parte nell‘Illuminismo ha Rousseau.
L‘Illuminismo non aveva fatto della ragione la sola realtà
umana; aveva riconosciuto i limiti di essa nonché il valore
dei bisogni, degli istinti e delle passioni. Aveva tuttavia
posto nella ragione la vera natura dell‘uomo: cioè l‘ordine
normativo al quale la vita umana va ricondotta la guida
nella molteplicità dei suoi elementi costitutivi. Rousseau
sembra infrangere su questo punto l‘ideale illuministico.
La natura umana non è ragione; è istinto, sentimento. La
ragione stessa devia se non assume come sua guida
204
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
l‘istinto naturale L‘Illuminismo vuoi riportare l‘istinto alla
ragione, Rousseau la ragione all‘istinto. Ma il risultato
finale è lo stesso.
Lo stato di natura e la critica della civiltà
Il motivo dominante dell‘opera di Rousseau è il contrasto
tra l‘uomo naturale e l‘uomo artificiale. Tutto è bene, egli
dice al principio dell‘Emilio, quando esce dalle mani
dell‘Autore delle cose; tutto degenera fra le mani
dell‘uomo. Di questa degenerazione, Rousseau fa
un‘analisi amara e spietata. I beni che l‘umanità crede di
avere acquistati, i tesori del sapere, dell‘arte, della vita
raffinata non hanno contribuito alla felicità e alla virtù
dell‘uomo, ma lo hanno allontanato dalla sua origine ed
estraniato dalla sua natura. Le scienze e le arti devono la
loro nascita ai nostri vizi e hanno contribuito a rinforzarli.
L‘astronomia è nata dalla superstizione; l‘eloquenza
dall‘ambizione,
dall‘odio,
dall‘adulazione,
dalla
menzogna; la geometria dall‘avarizia; la fisica da una vana
curiosità; tutte, e la morale stessa, dall‘orgoglio umano.
Esse hanno inoltre contribuito a stabilire l‘ineguaglianza
fra gli uomini. Ineguaglianza dalla quale nascono tutti i
mali sociali. L‘egoismo, il bisogno di dominio governano i
rapporti fra gli uomini, Dunque la stessa vita sociale si
regge sui vizi più che sulle virtù. Tuttavia questa
situazione in cui l‘uomo si trova non è, come riteneva
Pascal, costitutiva di lui né dovuta al peccato originale. I
casi accidentali che hanno perfezionato la ragione e
rovinato la natura umana originaria sono, secondo
Rousseau, la nascita della proprietà in primo luogo, poi
l‘istituzione della magistratura, infine il mutamento del
205
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
potere legittimo in potere arbitrario; alla prima si deve lo
stato di ricco e di povero, alla seconda quello di potente e
di debole e al terzo quello di padrone e di schiavo, che è
l‘ultimo grado dell‘ineguaglianza. E evidente che l‘uomo
può risalire dallo stato in cui si trova verso lo stato
originario. difatti la decadenza è dovuta a cause
accidentali ed estranee sulle quali la volontà umana può
agire. Perciò Rousseau intende il progresso come un
ritorno alle origini, cioè alla natura; e si ferma a delineare
con compiacenza le meta e il termine ideale di questo
ritorno: la condizione naturale dell‘uomo. Ma egli non
intende questa condizione come uno stato di fatto. Essa è
uno stato che non esiste più, che forse non è mai esistito,
che probabilmente non esisterà mai, ma di cui è necessario
tuttavia aver nozioni giuste per ben giudicare del nostro
stato presente. Lo stato di natura è dunque soltanto una
norma di giudizio, un criterio direttivo per sottrarre
l‘uomo al disordine della sua condizione presente e
riportarlo all‘ordine e alla giustizia. La Nuova Eloisa, il
Contratto sociale e l‘Emilio sono le opere nelle quali
Rousseau stabilisce le condizioni per le quali la famiglia,
la società e l‘individuo possono ritornare alla loro
condizione naturale, uscendo dalla degenerazione
artificiale in cui sono caduti.
Il ritorno alla natura (famiglia e politica). Il Contratto
sociale
La Nouvelle Héloise, che narra la vicenda di due giovani
amanti contrastati nel loro amore dalla volontà dei parenti
e dalle convenienze sociali, è l‘affermazione della santità
del vincolo familiare fondato sulla libera scelta degli istinti
206
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
naturali. Così Rousseau fa parlare un personaggio (Milord
Edouard) che difende la giovane coppia: Il legame
coniugale non è forse il più libero come il più sacro degli
impegni? Sì, tutte le leggi che lo mortificano sono
ingiuste, tutti i padri che osano formarlo o romperlo sono
tiranni. Questo casto nodo della natura non è sottomesso
né al potere sovrano né all‘autorità paterna, ma alla sola
autorità del Padre comune che sa comandare i cuori e che,
ordinando loro di unirsi, li può costringere ad amarsi...
Che il rango sia regolato dal merito e l‘unione dei cuori
dalla loro scelta, ecco il vero ordine sociale; coloro che lo
regolano con la nascita o con le ricchezze sono i veri
perturbatori di quest‘ordine e sono essi che vanno
condannati o puniti (Il, lett. 2a). Per il vincolo coniugale il
ritorno alla natura significa quindi la libertà della scelta
guidata dall‘istinto. Il Contratto Sociale vuol essere per la
società politica ciò che la Nuova Eloisa è per la famiglia:
il riconoscimento delle condizioni per le quali la comunità
può ridursi alla natura, cioè a una forma di fondamentale
giustizia. L‘opera è difatti la delineazione di una comunità
etico-politica nella quale ciascun individuo non obbedisce
ad una volontà estranea, ma ad una volontà generale che
egli riconosce per propria e quindi in ultima analisi a se
stesso. L‘ordine sociale non è un ordine naturale: nasce
tuttavia per una necessità naturale quando gli individui
non sono più in grado di vincere le forze che si oppongono
alla loro conservazione: a questo punto il genere umano
perirebbe se non mutasse la sua maniera di vivere. Il
problema che allora si pone è il seguente: ‗Trovare una
forma d‘associazione che difenda e protegga con tutta la
forza comune la persona e i beni di ciascun associato, e
207
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
per la quale ciascuno, unendosi con tutti, non obbedisca
tuttavia che a se stesso e rimanga così libero come prima‘.
Questo problema è risolto dal patto che è alla base della
società politica. La clausola fondamentale di questo patto
è l‘alienazione totale di ciascun associato, con tutti i suoi
diritti, a tutta la comunità. In cambio della sua persona
privata, ciascun contraente riceve la nuova qualità di
membro o parte indivisibile del tutto; e si genera così un
corpo morale e collettivo, composto di tanti membri quanti
voti ha l‘assemblea, corpo che ha la sua unità, il suo io
comune, la sua vita e la sua volontà. Col passaggio dallo
stato di natura allo stato civile, l‘uomo sostituisce nella sua
condotta la giustizia all‘istinto e dà alle sue azioni la
moralità di cui prima mancavano. Il passaggio dallo stato
di natura allo stato civile non è dunque una decadenza
dell‘uomo, se lo stato civile è la continuazione e il
perfezionamento dello stato di natura. E tutta l‘opera di
Rousseau è dedicata a illustrare le condizioni per le quali
esso sia e si mantenga tale. La volontà propria del corpo
sociale o sovrano è la volontà generale, che non è la
somma delle volontà particolari, ma la volontà che tende
sempre all‘utilità generale e che quindi non può sbagliare.
Di questa volontà sono emanazioni le leggi, che sono gli
atti della volontà generale; e non sono quindi gli ordini di
un uomo o di più uomini, ma le condizioni per la
realizzazione del bene pubblico. Intermediario tra i sudditi
e il corpo politico sovrano è il governo, a cui è dovuta
l‘esecuzione delle leggi e il mantenimento della libertà
civile e politica. I governi tendono a degenerare
opponendosi alla sovranità. del corpo politico con una loro
volontà particolare che si oppone alla volontà generale.
208
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Ma i depositari del potere esecutivo non hanno nessuna
autorità legittima verso il popolo che è il vero sovrano. Un
patto sociale stabilito a tali condizioni garantisce, secondo
Rousseau, la libertà dei cittadini perché garantisce che
ciascuno dei suoi membri non obbedisca che a se stesso.
Difatti la volontà generale non è che la volontà diretta
all‘interesse di tutti, e obbedendo alla volontà generale
l‘individuo non subisce alcuna diminuzione o limitazione.
Perciò da un lato Rousseau distingue la volontà generale
dalle decisioni che in linea di fatto il popolo prende e
perfino dalla volontà di tutti; dall‘altro esige la completa
subordinazione dell‘individuo alla volontà generale perché
fuori della volontà generale egli non può avere che
interessi o moventi particolari e quindi ingiusti. La natura
dell‘uomo è libertà; ma la comunità politica non può
garantire all‘individuo la libertà dell‘istinto disordinato.
ma solo quella di un istinto disciplinato e moralizzato
dalla ragione, il che appunto accade con la coincidenza
della volontà singola con la volontà generale. Assunta la
necessità di una vita associata, il ritorno alla natura di
questa vita associata è apparso a Rousseau come l‘ordine e
la disciplina razionale dell‘istinto spontaneo.
Democrazia e totalitarismo
In Rousseau rimane un‘ambiguità di fondo, la quale fa si
che da un lato egli sia potuto sembrare un teorico della
democrazia e della libertà, per l‘esplicita affermazione
secondo cui la sovranità risiede nel popolo e per l‘idea di
una comunità di cittadini liberi ed eguali, e dall‘altro lato
sia potuto apparire come il fautore di una forma di
governo totalitaria, per la celebrazione della volontà
209
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
generale. Secondo questa interpretazione, Rousseau
finirebbe per porsi come il profeta e ideologo dei moderni
totalitarismi di massa, quali saranno incarnati dal nazismo
di Hitler e dal comunismo di Stalin.
L‘educazione secondo natura
L‘Emilio è un‘opera pedagogica. All‘educazione
tradizionale che opprime con una soprastruttura artificiale
la natura originaria, bisogna sostituire un‘educazione che
si proponga come unico fine la conservazione e il
rafforzamento di tale natura. L‘Emilio è la storia di un
fanciullo educato appunto a questo fine, rispetto al quale,
l‘opera dell‘educatore deve essere, almeno in un primo
tempo, negativa: non deve insegnare la virtù e la verità ma
salvaguardare il cuore dal vizio e la mente dall‘errore.
L‘azione dell‘educatore deve essere unicamente diretta a
far sì che lo sviluppo fisico e spirituale del fanciullo
avvenga in modo del tutto spontaneo, che ogni sua nuova
acquisizione sia una creazione che nulla venga
dall‘esterno, ma tutto dall‘interno, cioè dal sentimento
dell‘educando.
La religione naturale
La religione naturale esposta nella Professione di fede del
Vicario Savoiardo. pur facendo appello all‘istinto e al
sentimento naturale, s‘indirizza soprattutto alla ragione, la
quale sola può illuminare e chiarire ciò che l‘istinto e il
sentimento oscuramente testimoniano, Il canone di cui si
serve il Vicario Savoiardo è difatti quello d‘interrogare il
lume interiore nell‘analizzare le diverse opinioni e di dare
l‘assenso soltanto a quelle verosimili. Il lume interiore,
210
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
che è la coscienza o sentimento naturale, non è qui che la
ragione, come equilibrio o armonia delle passioni e degli
interessi spontanei dell‘anima, Il primo dogma della
religione naturale è l‘esistenza di Dio, ricavata dalla
necessità di ammettere una causa del movimento che
anima la materia e di spiegare l‘ordine e la finalità
dell‘universo. Il secondo dogma è la spiritualità, l‘attività
e la libertà dell‘anima. Nel Contratto sociale Rousseau
precisa che lo Stato non può obbligare a credere agli
articoli di fede, ma può bandire chiunque non li creda, non
come empio ma come insocievole. Gli articoli di questo
credo civile sono gli stessi della religione naturale con in
più la santità del contratto sociale e delle leggi e con
l‘aggiunta di un dogma negativo, l‘intolleranza. Si può
notare il contrasto tra l‘assoluta libertà religiosa che
sembra il presupposto dell‘Emilio e l‘obbligatorietà del
credo civile nel Contratto sociale.
211
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
CAPITOLO 12
I. KANT
Konigsberg (1724 – 1804. Si distingue un periodo precritico (ossia precedente allapubblicazione della prima
edizione della Critica della ragion pura, avvenuta nel 1781
– laseconda edizione è del 1787) e il periodo critico,
caratterizzato dalle sue tre opere principali: laCritica della
ragion pura, la Critica della ragion pratica (1788) e la
Critica del giudizio (1790). Al periodo critico
appartengono anche: Prolegomeni ad ogni futura
metafisica che voglia presentarsi come scienza (1783);
Fondazione della metafisica dei costumi (1785); Principi
metafisici della scienza della natura (1786); La religione
nei limiti della semplice ragione (1793); La metafisica dei
costumi (1797); Antropologia dal punto di vista
pragmatico (1798) e scritti minori.
Il criticismo come filosofia del limite
Il pensiero di Kant è detto criticismo perché,
contrapponendosi al dogmatismo, fa della critica lo
strumento della filosofia. Si definisce così perché è una
critica (dal greco kríno, ―giudico‖) della ragione, operata
dalla ragione stessa, ―un tribunale, che la garantisca nelle
sue pretese legittime, ma condanni quelle che non hanno
fondamento, non arbitrariamente, ma secondo le sue
eterne ed immutabili leggi‖. ―Criticare‖, nel linguaggio di
Kant, significa dunque interrogarsi sul fondamento di
determinate esperienze chiarendone le possibilità (= le
condizioni che ne permettono l‘esistenza), la validità
(legittimità o non-legittimità che le caratterizzano) e i
212
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
limiti. Kant si propone di rinunciare ad ogni evasione dai
limiti dell‘uomo e, come egli stesso riconosce, deve questa
rinuncia a Hume, che ha rotto il suo ―sonno dogmatico‖. Il
kantismo si inserisce infatti nello specifico orizzonte
storico del pensiero moderno e risulta definito da quelle
coordinate di base che sono la rivoluzione scientifica da
un lato e la crisi progressiva delle metafisiche tradizionali
dall‘altro. Da questo punto di vista, il kantismo può essere
considerato come la prosecuzione di quell‘indirizzo critico
che l‘empirismo inglese aveva iniziato, riconoscendo e
segnando i limiti della ragione e del mondo umano, e che
l‘illuminismo aveva difeso e propagandato nel Settecento.
Tuttavia, il kantismo si distingue dall‘empirismo non solo
per il rifiuto dei suoi esiti scettici, ma anche per il suo
spingere più a fondo l‘analisi critica, cioè per un metodo
di filosofare che, più che soffermarsi sulla descrizione dei
meccanismi conoscitivi, etici, sentimentali, ecc., si sforza
di fissarne le condizioni e i limiti di validità
La Critica della Ragion Pura
La Critica della ragion pura è un‗analisi critica dei
fondamenti del sapere. Ai tempi di Kant l‘universo del
sapere si articolava in scienza e metafisica, il suo
capolavoro prende la forma di un‘indagine valutativa circa
queste due attività conoscitive. Agli occhi del filosofo la
scienza e la metafisica si presentavano in modo diverso.
Infatti, la prima, grazie ai successi conseguiti da Galileo e
da Newton, appariva come un sapere fondato. Tuttavia,
poiché il pensiero scettico di Hume aveva minato alla base
non solo i fondamenti ultimi della metafisica, ma anche
quelli della scienza, si profilava, secondo Kant, la
213
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
necessità di un riesame globale della struttura e della
validità della conoscenza che fosse in grado di rispondere
in modo esauriente alla domanda sulla scientificità di
questi due campi del sapere. Da ciò le quattro domande di
base: Come è possibile la matematica pura? Com‘è
possibile la fisica pura? Com‘è possibile la metafisica in
quanto disposizione naturale? Come è possibile la
metafisica come scienza? Mentre nel caso della
matematica e della fisica semplicemente di giustificare
una situazione di fatto, chiarendo le condizioni rendono
possibili, nel caso della metafisica si tratta di scoprire se
esistano le condizioni di porsi come scienza.
I giudizi sintetici a priori
Kant è convinto che la conoscenza umana e in particolare
la scienza offra il tipico esempio di principi assoluti, a di
verità universali e necessarie, che valgono ovunque e
sempre allo stesso modo. Tali sono ad es. le proposizioni:
―Tutto ciò che accade ha una causa, i fenomeni in generale
cadono nel tempo e stanno necessariamente fra di loro
apporti di tempo‖. Kant denomina principi di questo tipo
―giudizi sintetici a priori, giudizi poiché consistono
nell‘aggiungere un predicato ad un soggetto; sintetici
perché il predicato dice qualcosa di nuovo e di più rispetto
ad esso; a priori ché essendo universali e necessari non
possono derivare dall‘esperienza. Dal punto di vista di
Kant, i giudizi fondamentali della scienza non sono quindi
né giudizi analitici a priori né giudizi sintetici a posteriori.
I primi sono giudizi che gono enunciati a priori, senza
bisogno di ricorrere all‘esperienza, in quanto in essi
predicato non fa che esplicitare, con un processo di analisi
214
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
basato sul principio di non contraddizione, quanto è gi.
implicitamente contenuto nel soggetto: ad esempio ―i
corpi o estesi. Di conseguenza tali giudizi, pur essendo
universali e necessari (= a priori) o infecondi, perché non
ampliano il nostro preesistente patrimonio conoscitivo I
secondi sono giudizi in cui il predicato dice qualcosa di
nuovo rispetto al soggetto, sintetizzandosi a quest‘ultimo
in virtù dell‘esperienza, ovvero a posteriori: ad esempio i
corpi sono pesanti. Questi giudizi, pur essendo fecondi (=
sintetici) sono privi di universalità e necessità perché
poggiano esclusivamente sull‘esperienza. Invece i principi
della scienza — i cosiddetti giudizi sintetici a priori —
risultano sintetici, ossia fecondi, e a priori, ossia universali
e necessari. Pur essendo formulata in modo logico, questa
teoria kantiana dei giudizi sottintende un confronto con le
scuole filosofiche precedenti. I giudizi analitici a priori
richiamano infatti la concezione razionalistica della
scienza. I giudizi sintetici a posteriori richiamano invece
l‘interpretazione empiristica della scienza.
La rivoluzione copernicana
Dopo aver messo in luce che il sapere poggia su giudizi
sintetici a priori, Kant si trova di fronte al problema di
spiegare la provenienza di questi ultimi. Se non derivano
dall‗esperienza, da dove deriveranno i giudizi sintetici a
priori Per materia della conoscenza si intende la
molteplicità caotica e mutevole delle pressioni sensibili
che provengono dall‘esperienza (= elemento empirico o a
posteriori. Per forma si intende l‘insieme delle modalità,
fisse attraverso cui la mente umana ordina, secondo
determinati rapporti, tali impressioni (= elemento
215
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
razionale o a priori). Kant ritiene infatti che la mente filtri
attivamente i dati empirici attraverso forme innate che
risultano comuni ad ogni soggetto pensante. Come tali,
queste forme sono a priori rispetto all‘esperienza e sono
fornite di validità universale e necessaria, in quanto tutti le
possiedono e le applicano allo stesso modo. Per chiarire la
teoria delle forme a priori di Kant gli studiosi sono ricorsi
all‘esempio che le paragona a delle specie di lenti colorate,
o di occhiali permanenti, attraverso cui guardiamo la
realtà. Ma se in noi esistono determinate forme a priori
universali e necessarie (lo spazio ed il tempo e le 12
categorie) attraverso cui incapsuliamo i dati della realtà,
resta spiegato perché si possano formulare dei giudizi
sintetici a priori intorno ad essa senza timore i essere
smentiti dall‘esperienza. Un esempio: se sapessimo di
portare sempre delle lenti azzurre, potremmo dire, con
tutta sicurezza, che il mondo, anche in futuro, per noi
continuerà ad essere azzurro. Analogamente, noi possiamo
asserire con certezza che ogni evento, anche in futuro,
dipenderà da cause o sarà nello spazio e nel tempo, in
quanto non possiamo percepire le cose se non attraverso la
causalità e mediante lo spazio ed il tempo. In conclusione,
―noi tanto conosciamo a priori delle cose quanto noi stessi
poniamo in esse‖. Questa nuova impostazione del
problema della conoscenza è la ‗rivoluzione copernicana‘
che Kant ritiene di aver operato in filosofia. Come
Copernico, per spiegare i moti celesti, aveva ribaltato i
rapporti fra la terra e il sole, così Kant, per spiegare la
scienza, ribalta i rapporti fra soggetto ed oggetto,
affermando che non è la mente che si modella
passivamente sulla realtà bensì la realtà che si adegua alle
216
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
forme a priori attraverso cui la percepiamo. Questo
comporta, inoltre, la distinzione kantiana tra fenomeno e
cosa in sé. Il fenomeno è la realtà quale ci appare tramite
le forme a priori che sono proprie della nostra struttura
conoscitiva. Il fenomeno non è un‘apparenza illusoria,
poiché è un oggetto, ed un oggetto reale, ma reale soltanto
nel rapporto con il soggetto conoscente. La cosa in sé è la
realtà considerata indipendentemente da noi e dalle forme
a priori mediante cui la conosciamo.
Le facoltà della conoscenza e le partizioni della Critica
Kant articola la conoscenza in tre facoltà principali: Ogni
nostra conoscenza viene dai sensi, da qui va all‘intelletto,
per finire nella ragione. La sensibilità è la facoltà con cui
gli oggetti ci sono dati intuitivamente attraverso i sensi e
tramite le forme a priori di spazio e tempo. L‘intelletto è la
facoltà attraverso cui pensiamo i dati sensibili tramite i
concetti puri o categorie. La ragione è la facoltà attraverso
cui, procedendo oltre l‘esperienza, cerchiamo di spiegare
la realtà mediante le tre idee di anima, mondo e Dio. Su
questa tripartizione della facoltà conoscitiva in generale è
sostanzialmente basata anche la divisione della Critica
della ragion pura. Questa si biforca in due tronconi
principali: la dottrina degli elementi, che si propone di
scorre, isolandoli, quegli elementi formali della
conoscenza che Kant chiama puri o a priori: e la dottrina
del metodo, che consiste nel determinare il metodo della
conoscenza medesima. La dottrina degli elementi, che è la
parte più estesa della Critica, si ramifica a sua volta in
Estetica trascendentale e Logica trascendentale. L‘Estetica
trascendentale (intesa nel senso greco di dottrina della
217
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
sensibilità) studia la sensibilità e le sue forme - spazio e di
tempo, mostrando come su di essa si fondi la matematica.
La Logica trascendentale si sdoppia a sua volta in
Analitica trascendentale, che studia l‘intelletto - le sue
forme a priori — le 12 categorie — mostrando come su di
esse si fondi la fisica.. La Dialettica trascendentale, che
studia la ragione e le sue tre idee di anima, mondo, Dio,
mostrando come su di esse si fondi la metafisica. La
matematica si fonda sulle forme a priori della sensibilità,
la fisica sulle forme a priori dell‘intelletto, la metafisica
sulle idee della ragione . Trascendentale non significa
qualcosa che oltrepassa ogni esperienza, bensì qualcosa
che certo la precede (a priori) ma non è determinato a
nulla più che a render possibile la conoscenza
nell‘esperienza‘. Chiamo trascendentale ogni conoscenza
che si occupi, in generale, non tanto di oggetti quanto del
nostro modo di conoscere gli oggetti nella misura in cui
questo deve essere possibile a priori.
L‘estetica trascendentale
La teoria dello spazio e del tempo
Nell‘Estetica Kant studia la sensibilità e le sue forme a
priori. Kant considera la sensibilità recettiva perché essa
non genera i propri contenuti. Tuttavia la sensibilità non è
soltanto recettiva, ma anche attiva, in quanto organizza il
materiale delle sensazioni (= le intuizioni empiriche
tramite lo spazio ed il tempo che costituiscono le forme a
priori (= le intuizioni pure) della sensibilità.
Lo spazio è la forma del senso esterno, cioè quella
rappresentazione a priori necessaria, che sta a fondamento
218
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
di tutte le intuizioni esterne e del disporsi delle cose l‘una
accanto all‘altra. Il tempo è la forma del sen interno, cioè
quella rappresentazione a priori che sta a fondamento dei
nostri stati terni e del loro disporsi l‘uno dopo l‘altro.
ovvero secondo un ordine di successione. Tuttavia, poiché
è unicamente attraverso il senso interno che ci giungono i
dati senso esterno, il tempo si configura anche,
indirettamente come la maniera universale attraverso la
quale percepiamo tutti gli oggetti.
La matematica
Kant vede nella geometria e nell‘aritmetica delle scienze
sintetiche a priori per eccellenza. Sintetiche, in quanto
ampliano le nostre conoscenze mediante costruzioni
mentali che vanno oltre il già noto. Ad esempio, la
proposizione 7 + 5 = 12, è sintetica in quanto il risultato
12 viene aggiunto tramite l‘operazione del sommare e non
può quindi esser ricavato per via puramente analitica (ciò
risulta evidente se si prendono in esame cifre più alte).
Inoltre, le matematiche sono a priori in quanto i teoremi
geometrici ed aritmetici valgono indipendentemente
dall‘esperienza. Qual è, allora, il punto di appoggio delle
costruzioni sintetiche a priori delle matematiche? Kant
non ha dubbi che esso risieda nelle intuizioni di spazio e di
tempo. Infatti la geometria è la scienza che dimostra
sinteticamente a priori le proprietà. delle figure mediante
l‘intuizione pura di spazio, stabilendo ad esempio, senza
ricorrere all‘esperienza del mondo esterno, che fra le
infinite linee che uniscono due punti la più breve è la retta,
che due parallele non chiudono uno spazio, che in una
circonferenza il raggio è minore del diametro ecc.
219
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Analogamente, l‘aritmetica è la scienza che determina
sinteticamente a priori la proprietà delle serie numeriche,
basandosi sull‘intuizione pura di tempo e di successione,
senza la quale lo stesso concetto di numero non sarebbe
mai sorto. In quanto a priori, la matematica è anche
universale e necessaria, immutabilmente valida per tutte le
menti pensanti.
L‘analitica trascendentale
La seconda parte della Dottrina degli elementi è la Logica
trascendentale, cioè un tipo di logica che presenta una
fisionomia originale rispetto a quella della tradizione e che
ha come specifico oggetto di indagine l‘origine,
l‘estensione e la validità oggettiva delle conoscenze a
priori che sono proprie dell‘intelletto (studiato
nell‘Analitica trascendentale e della ragione (studiata nella
Dialettica trascendentale).Sensibilità e intelletto precisa
Kant in un passo famoso sono entrambi indispensabili alla
conoscenza, poiché ―senza sensibilità, nessun oggetto ci
verrebbe dato e senza intelletto nessun oggetto verrebbe
pensato‖. Nella Analitica dei concetti, che è la prima parte
dell‘Analitica trascendentale, Kant sostiene che le
intuizioni sono delle affezioni (qualcosa di passivo),
mentre i concetti sono delle funzioni, ovvero delle
operazioni attive, che consistono nell‘ordinare o
nell‘unificare diverse rappresentazioni sotto una
rappresentazione comune. Ad es. quello di corpo è un
concetto in quanto sotto di esso si trovano raccolte altre
rappresentazioni (v. quella di metallo). Ora, i concetti
possono essere empirici, cioè costruiti con materiali
ricavati dall‘esperienza, o puri, cioè contenuti a priori
220
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
nell‘intelletto. I concetti puri si identificano con le
categorie (nel senso aristotelico del termine), cioè con quei
concetti basilari della mente che rappresentano le supreme
funzioni dell‘intelletto. E poiché ciascun concetto è ―il
predicato dì un giudizio possibile‖, le categorie coincidono
con i predicati primi, cioè con quelle grandi caselle entro
cui rientrano tutti i predicati possibili. Tuttavia, a
differenza delle categorie aristoteliche, che hanno un
valore ontologico e gnoseologico al tempo stesso, essendo
simultaneamente forme dell‘essere e del pensiero e quindi
leges entis et mentis. le categorie kantiane hanno una
portata esclusivamente gnoseologica, in quanto
rappresentano dei modi di funzionamento dell‘intelletto (e
quindi solo leges mentis) che non valgono per la cosa in
sé, ma solo per il fènomeno. Stabilita la nozione di
categoria, si tratta di redigerne una tavola completa. Kant.
che rimprovera Aristotele di aver rinvenuto le categorie in
modo casuale, ossia senza valersi di un principio sistemati,
comune, formula il suo inventano sulla base del seguente
schema: poiché pensare è giudicare, ci saranno tante
categorie quante sono le forme di giudizio. E poiché la
logica generale, secondo Kant, raggruppa i giudizi
secondo la quantità, la qualità, la relazione e la modalità,
egli fa corrispondere a ogni tipo di giudizio un tipo di
categoria
La deduzione trascendentale
Formulata la tavola delle categorie, Kant si trova di fronte
al problema della giustificazione della loro validità.
Problema che egli denomina ―deduzione trascendentale‘.
Kant usa il termine ―deduzione‘ non in senso logico-
221
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
matematico, bensì in quello giuridico. Analogamente, la
deduzione‖ delle categorie non consiste nella semplice
prova che esse sono adoperate. :n linea di fatto, nella
conoscenza scientifica; ma nella giustificazione che
quest‘uso è legittimo. Il problema della deduzione suona
perciò in questo modo: perché le categorie, pur essendo
forme soggettive le/la nostra mente, pretendono di valere
anche per li oggetti, ossia per la natura che non è
l‘intelletto a creare? Detto altrimenti, che cosa ci
garantisce, di diritto, che la natura obbedirà alle categorie.
manifestandosi, nell‘esperienza, secondo le nostre maniere
di pensarla? Nei confronti delle forme della sensibilità,
cioè per lo spazio e per l tempo, tale problema non si
affaccia. Infatti, un oggetto non può apparire all‘uomo,
cioè essere percepito da lui, se non attraverso queste
forme. Invece, per quanto concerne le categorie, non è per
nulla evidente che gli oggetti debbano sottostare ad esse.
In altri termini, dire che la realtà obbedisce, oltre che alle
forme delle nostre intuizioni, anche ai nostri pensieri, è un
paradosso che esige una giustificazione adeguata.
Didatticamente ridotto all‘osso, il ragionamento kantiano
consiste quindi nel mostrare che: a) poiché tutti i pensieri
presuppongono l‘io penso e b)poiché ―l‘io penso pensa
tramite le categorie, ne segue c) che tutti gli oggetti
pensati presuppongono le categorie. Il che equivale a dire
che la natura (fenomenica) obbedisce necessariamente alle
forme (a priori) del nostro intelletto. L‘io penso si
configura dunque come ―il principio supremo della
conoscenza umana. ossia come ciò cui deve sottostare
ogni realtà per poter entrare nel campo dell‘esperienza e
per divenire un oggetto-per-noi. Nello stesso tempo, esso
222
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
rappresenta ciò che rende possibile l‘oggettività (=
l‘universalità e la necessità) del sapere. Infatti, senza 1‘io
penso e le categorie tramite cui esso opera, saremmo
chiusi nel cerchio della soggettività individuale e
potremmo stabilire soltanto delle connessioni particolari e
contingenti. Kant insiste inequivocabilmente sul carattere
formale dell‘io penso, il quale si limita semplicemente ad
ordinare una realtà che gli preesiste e senza di cui la sua
stessa conoscenza non avrebbe senso.
Gli schemi trascendentali
Se nell‘analitica dei concetti Kant si è occupato delle
categorie, nell‘analitica dei principi indaga il modo in cui
esse si possono applicare ai fenomeni. Ciò avviene
innanzitutto con la dottrina dello schematismo che mostra
come ciò possa avvenire in concreto. Se la sensibilità e
l‘intelletto sono due facoltà eterogenee, quale sarà
l‘elemento mediatore per cui l‘intelletto possa applicare i
propri concetti a priori alle intuizioni? Kant risolve il
problema affermando che l‘intelletto, non potendo agire
direttamente sugli oggetti della sensibilità, agisce
indirettamente su di essi tramite il tempo, che è medium
universale attraverso cui tutti gli oggetti sono percepiti. In
altre parole. se il tempo condiziona gli oggetti, l‘intelletto,
condizionando il tempo, condizionerà gli oggetti. Gli
schemi trascendentali sono la prefigurazione intuitiva (=
temporale) delle categorie, ovvero le regole attraverso cui
l‘intelletto condiziona il tempo in conformità ai propri
concetti a priori. In altri termini, potremmo dire che gli
schemi trascendentali sono le categorie calate nel tempo,
ovvero le categorie tradotte in linguaggio temporale. Per
223
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
quanto concerne le categorie di relazione, lo schema della
categoria di sostanza è la permanenza nel tempo; lo
schema della categoria di causa-effetto è la successione
nel tempo; lo schema dell‘azione reciproca è la
simultaneità nel tempo. E così via per le altre categorie.
Il concetto di noumeno
L‘originalità di Kant, che anziché cercare negli oggetti la
garanzia ultima della conoscenza, la scopre nella mente
stessa dell‘uomo, fondando le istanze dell‘oggettività nel
cuore stesso della soggettività, appare in tutta la sua forza
ed evidenza. Di conseguenza, il conoscere, per Kant, non
può estendersi al di là dell‘esperienza, in quanto una
conoscenza che non si riferisca ad un‘ esperienza possibile
non è conoscenza, ma un vuoto pensiero. Questo principio
implica che le categorie abbiano il loro unico uso possibile
in quello empirico, per il quale vengono riferite solo ai
fenomeni, ossia agli oggetti di un‘esperienza determinata.
La delimitazione della conoscenza al fenomeno comporta
un esplicito rimando alla nozione di cosa in sé che, pur
essendo inconoscibile, si staglia sullo sfondo di tutta la
gnoseologia. Infatti Kant non ha mai pensato di ridurre la
realtà al fenomeno, in quanto egli afferma che se c‘è un
per-noi, deve per forza esserci un in-sé. In questo senso, la
cosa in sé costituisce il presupposto o il postulato
immanente del discorso gnoseologico di Kant, il quale, nel
momento stesso in cui afferma che l‘essere si dà a noi
attraverso delle forme a priori, è costretto a distinguere
immediatamente tra fenomeno e cosa in sé. Kant ritiene
che l‘ambito della conoscenza umana è rigorosamente
limitato al fenomeno, poiché la cosa in sé, che egli
224
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
denomina con il termine greco noumeno (= la realtà
pensabile, l‘intelligibile puro), non può essere oggetto di
un‘esperienza possibile. In senso positivo. il noumeno è
―l‘oggetto di un intuizione non sensibile‖, cioè di una
conoscenza extra-fenomenica che a noi è preclusa e che,
invece, potrebbe essere propria di un ipotetico intelletto
divino dotato di una intuizione intellettuale delle cose. In
senso negativo, il noumeno è invece il concetto di una
cosa in sé come di una X che non può mai entrare in
rapporto conoscitivo con noi ed essere quindi oggetto della
nostra intuizione sensibile‖. In questo senso, che è l‘unico
in cui possiamo legittimamente adoperare tale nozione, la
cosa in sé, più che essere una realtà, è per noi un concetto,
e precisamente un concetto-limite che serve ad arginare le
nostre pretese conoscitive.
La dialettica trascendentale
La genesi della metafisica e delle tre idee
Nell‘Estetica e nell‘Analitica Kant ha portato a termine
solo la prima parte del suo programma: la dimostrazione
di come sia possibile il sapere scientifico, Nella Dialettica
egli affronta la seconda parte di esso: il problema se la
metafisica possa anch‘essa costituirsi come scienza. Già il
termine dialettica — assunto a significare la ―logica della
parvenza‖,— lascia intuire la risposta negativa di Kant a
tal proposito. Riconnettendosi al significato peggiorativo
del termine, per ―Dialettica trascendentale‖ Kant intende
lo smascheramento dei ragionamenti fallaci della ragione..
La metafisica è come la colomba, che, presa dall‘ebbrezza
del volo, immaginasse di poter volare anche senza l‘aria,
225
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
non rendendosi conto che quest‘ultima, pur essendo un
limite al suo volo, ne è anche la condizione immanente,
senza di cui essa precipiterebbe a terra. Kant ritiene che
questo voler procedere oltre i dati esperienziali derivi dalla
innata tendenza all‘ incondizionato e alla totalità.
Spiegazione che fa leva sulle tre idee trascendentali che
sono proprie della ragione. Infatti, quest‘ultima è portata
ad unificare i dati del senso interno mediante l‘idea di
anima, che è l‘idea della totalità assoluta dei fenomeni
interni, ad unificare i dati del senso esterno mediante
l‘idea di mondo, che è l‘idea della totalità assoluta dei
fenomeni esterni; infine, ad unificare i dati interni ed
esterni mediante l‘idea di Dio, inteso come totalità di tutte
le totalità e fondamento di tutto ciò che esiste. L‘errore
della metafisica consiste nel trasformare queste tre
esigenze (mentali) di unificazione dell‘esperienza in
altrettante realtà, dimenticando che noi non abbiamo mai a
che fare con la cosa in sé, ma solo con la realtà non
oltrepassabile del fenomeno. Per questo, i metafisici,
secondo Kant, sono simili a quei già citati navigatori degli
oceani burrascosi, che, non contenti della loro isola (cioè
della terraferma del fenomeno e della scienza) vogliono
spingersi in alto mare con l‘irrealizzabile speranza di
trovare nuovi insediamenti. La Dialettica trascendentale
vuoi appunto essere lo studio critico e la denuncia delle
peripezie e dei naufragi della metafisica, cioè delle
avventure e dei fallimenti del pensiero quando procede
oltre gli orizzonti dell‘esperienza possibile, guidato da un‘
illusione strutturale così forte, che non cessa neppure
quando si rende conto he essa è tale, proprio come
l‘astronomo, ad esempio, non può impedire che la Luna
226
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
gli appaia più grande al suo levarsi, pur sapendo che ciò
non è vero nella realtà, Per dimostrare l‘infondatezza della
metafisica, Kant prende in considerazione le tre pretese
scienze che da sempre ne costituiscono l‘ossatura: la
psicologia razionale, che studia l‘anima, la cosmologia
razionale, che indaga sul mondo, la teologia razionale o
naturale, che specula su Dio.
Critica della psicologia, della cosmologia e della teologia
razionali
Kant ritiene che la psicologia razionale o metafisica sia
fondata su di un paralogisma cioè su di un ragionamento
errato, che consiste nell‘applicare la categoria di sostanza
all‘io penso, trasformandolo in una ‗realtà permanente‖
chiamata ―anima‖. In realtà, osserva Kant, l‘io penso non è
un oggetto empirico, ma soltanto un‘unità formale e per di
più sconosciuta, a cui non possiamo quindi applicare
alcuna categoria. Anche la cosmologia razionale, che
pretende di far uso della nozione di mondo, inteso come la
totalità assoluta dei fenomeni cosmici, è destinata, a
fallire, Infatti, poiché la totalità dell‘esperienza non è mai
un‘esperienza, in quanto noi possiamo sperimentare
questo o quel fenomeno, ma non la serie completa dei
fenomeni, l‘idea di mondo cade, per definizione, al di
fuori di ogni esperienza possibile. Tant‘è vero che quando
i metafisici, dimentichi di ciò, pretendono di fare un
discorso intorno al mondo nella sua totalità, cadono
inevitabilmente nei reticolati logici delle cosiddette
antinomie, veri conflitti della ragione con se stessa, che si
concretizzano in coppie di affermazioni opposte, dove
l‘una (la tesi) afferma e l‘altra (l‘antitesi) nega, ma tra le
227
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
quali, in assenza di un‘esperienza corrispondente, non è
possibile decidere.
Anche la teologia razionale. che si occupa del più arduo
problema della metafisica, cioè della questione di Dio,
risulta priva di valore conoscitivo. Dio, secondo Kant,
rappresenta l‘ideale della ragion pura, cioè quel supremo
modello personificato di ogni realtà perfezione che i
filosofi hanno designato con il nome di Ens realissimum,
concependolo come l‘Essere da cui derivano e dipendono
tutti gli esseri. La tradizione ha elaborato tutta una serie di
prove dell‘esistenza di Dio, che Kant raggruppa in tre
classi: prova ontologica, cosmologica e fisico-teologica. a)
La prova ontologica, che risale a S. Anselmo, ma che Kant
assume nella forma cartesiana, pretende di ricavare
l‘esistenza di Dio dal semplice concetto di Dio come
essere perfettissimo, affermando che, in quanto tale, Egli
non
può
mancare
dell‘attributo
dell‘esistenza.
Distinguendo criticamente fra piano mentale e piano reale.
Kant obbietta che non risulta possibile ―saltare‖ dal piano
della possibilità logica a quello della realtà ontologica, in
quanto l‘esistenza è qualcosa che possiamo constatare solo
per via empirica, e non gi dedurre per via puramente
intellettiva. Kant sostiene infatti che ―l‘esistenza non è un
predicato‖, intendendo dire che l‘esistenza non è una
proprietà logica, ma un fatto d‘esperienza. Tant‘è vero che
quando si è ben descritta la natura di una realtà qualsiasi in
tutti i suoi caratteri, ci si può ancora chiedere se esista o
meno. Per cui, scrive Kant, la differenza tra cento talleri
reali e cento talleri pensati non sta nel concetto, ma nel
fatto che gli uni esistono e gli altri no. b) La prova
cosmologica, si basa sulla distinzione fra contingente e
228
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
necessario, affermando che ―se qualcosa esiste, deve
anche esistere un essere assolutamente necessario; poiché
io stesso, almeno, esisto, deve quindi esistere un essere
assolutamente necessario‖. Secondo Kant, il primo limite
di questo argomento consiste in un uso illegittimo del
principio di causa, in quanto esso, partendo
dall‘esperienza della catena degli enti causati
(contingenti), pretende di innalzarsi, oltre l‘esperienza, ad
un primo anello incausato e Necessario. Ma il principio di
causa è una regola con cui connettiamo i fenomeni tra di
loro e che quindi non può affatto servire a connettere i
fenomeni con qualcosa di trans-fenomenico. c) La prova
fisico-teologica fa leva sull‘ordine, sulla finalità del
mondo per innalzarsi ad una Mente ordinatrice.
identificata con un Dio creatore, perfetto ed infinito. Essa,
rileva Kant, è la più antica, la più chiara e la più adatta alla
comune ragione. Anche questa prova, secondo Kant,
risulta internamente minata da una sene di forzature
logiche e dall‘utilizzazione mascherata dell‘argomento
ontologico. Questa parte dall‘esperienza dell‘ordine del
mondo e giunge subito all‘ idea di una causa ordinante
trascendente, dimenticando che l‘ordine della Natura
potrebbe essere una conseguenza della leggi immanenti
alla Natura.
La funzione regolativa
Le idee della ragion pura, anche se non possono avere un
uso costitutivo perché non servono a conoscere alcun
oggetto possibile, possono avere, per Kant, un uso
regolativo. Infatti ogni idea è, per la ragione, una regola
che la spinge a dare al suo campo d‘indagine, che è
229
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
l‘esperienza, non solo la massima estensione, ma anche la
massima unità sistematica. Così l‘idea psicologica spinge
a cercare i legami fra tutti i fenomeni del senso interno e a
rintracciare in essi una sempre maggiore unità proprio
come se fossero manifestazioni di un‘unica sostanza
semplice. L‘idea cosmologica spinge a passare
incessantemente da un fenomeno naturale all‘altro,
dall‘effetto alla causa e alla causa di questa causa e via
all‘infinito, proprio come se la totalità dei fenomeni
costituisse un unico mondo. L‘idea teologica infine addita
all‘intera esperienza un ideale di perfetta organizzazione
sistematica, che essa non raggiunger mai, ma che
perseguir sempre, proprio come se tutto dipendesse da un
unico creatore. Le idee, cessando di valere
dogmaticamente come realtà, varranno in questo caso
problematicamente, come condizioni che impegnano
l‘uomo nella ricerca naturale.
La Critica della Ragion pratica
La ragione non serve solo a dirigere la conoscenza, ma
anche l‘azione. Accanto alla ragione teoretica abbiamo
quindi una ragione pratica. Il motivo che sta alla base della
Critica della ragion pratica è la persuasione che esista,
scolpita nell‘uomo, una legge morale a priori valida per
tutti e per sempre. Kant considera questo punto ―un fatto‖.
Essendo indipendente dagli impulsi del momento, la legge
risu1terà anche, per definizione, universale e necessaria,
ossia mutabilmente uguale a se stessa in ogni tempo e
luogo. L‘equazione moralità = incondizionatezza = libertà
= universalità e necessità rappresenta quindi il fulcro
dell‘analisi etica di Kant. La morale implica la
230
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
bidimensionalità umana di ragione e sensibilità. Se l‘uomo
fosse esclusivamente sensibilità, ossia animalità ed
impulso, è ovvio che essa non esisterebbe, perché
l‘individuo agirebbe sempre per istinto. Viceversa, se
l‘uomo fosse pura ragione, la morale perderebbe
ugualmente di senso, in quanto l‘individuo sarebbe sempre
in una situazione di perfetta adeguazione alla legge.
Invece la bidimensionalità dell‘essere umano fa sì che per
Kant l‘agire morale prenda la forma severa del dovere e si
concretizzi in una lotta permanente fra la ragione e gli
impulsi egoistici. Kant distingue i principi che regolano la
nostra volontà in massime e imperativi. La massima è una
prescrizione di valore puramente soggettivo, cioè valida
esclusivamente per l‘individuo che la fa propria (ad es.
può essere una massima quella di vendicarsi di ogni offesa
subita o di alzarsi presto al mattino per fare ginnastica).
L‘imperativo è una prescrizione di valore oggettivo, ossia
che vale per chiunque. Gli imperativi si dividono a loro
volta in imperativi ipotetici e in imperativo categorico. Gli
imperativi ipotetici prescrivono dei mezzi in vista di
determinati fini ed hanno la forma del se... devi (ad es.: se
vuoi conseguire buoni risultati scolastici, devi impegnarti
in modo costante). L‘imperativo categorico ordina invece
il dovere in modo incondizionato, ossia a prescindere da
qualsiasi scopo, e non ha la forma del se,.. devi, ma del
―devi‖ puro. Ora, essendo la morale strutturalmente
incondizionata, cioè indipendente dagli impulsi sensibili e
dalle mutevoli circostanze, risulta evidente che essa non
potrà risiedere negli imperativi ipotetici, che sono, per
definizione, condizionati e variabili. Infatti, solo
l‘imperativo categorico, in quanto in-condizionato, ha i
231
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
connotati della legge, ovvero di un comando che vale in
modo perentorio per tutte le persone e per tutte le
circostanze. In conclusione, solo l‘imperativo categorico,
che ordina un tu devi assoluto, e quindi universale e
necessario, ha in se stesso i contrassegni della moralità.
Posto che la legge etica assuma la forma di un imperativo
categorico, che cosa comanda quest‘ultimo? Kant risponde
che esso, in quanto incondizionato consiste nell‘elevare a
legge l‘esigenza stessa di una legge. E poiché dire legge è
dire universalità, esso si concretizza nella prescrizione di
agire secondo una massima che può valere per tutti. Da ciò
la formula-base dell‘imperativo categorico: ―Agisci in
modo che la massima della tua volontà possa sempre
valere nello stesso tempo come principio di una
legislazione universale‖. L‘imperativo categorico è quel
comando che prescrive di tener sempre presenti gli altri e
che ci ricorda che un comportamento risulta morale solo
se la sua massima appare universalizzabile. Ad esempio,
chi mente compie un atto chiaramente immorale, poiché
qualora venisse universalizzata la massima dell‘inganno i
rapporti umani diventerebbero impossibili. Nella
Fondazione della metafisica dei costumi troviamo anche
una seconda ed una terza formula.
La formalità della legge
Un‘altra caratteristica strutturale dell‘etica kantiana è la
formalità, in quanto la legge non ci dice che cosa
dobbiamo fare, ma come dobbiamo fare ciò che facciamo.
Anche ciò discende dalla riconosciuta incondizionatezza
della norma etica. Infatti, se quest‘ultima non fosse
formale, bensì ―materiale e prescrivesse quindi dei
232
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
contenuti concreti, sarebbe ―vincolata ad essi, perdendo
inevitabilmente in termini di universalità, non potendo,
qualsiasi contenuto o precetto particolare, possedere
l‘universale portata della legge. Questo significa che
l‘imperativo etico non può risiedere in una casistica o
manualistica concreta di precetti, ma soltanto in una legge
formale, la quale afferma semplicemente: quando agisci
tieni presente gli altri e rispetta la dignità umana che è in
te e nel prossimo. Ovviamente secondo Kant, sta poi ad
ognuno di noi tradurre in concreto, nell‘ambito delle varie
situazioni esistenziali, sociali e storiche, la parola della
legge. Il cuore della moralità kantiana risiede nel dovereper-il dovere, ossia nello sforzo di attuare la legge della
ragione solo per ossequio ad essa, e non sotto la spinta di
inclinazioni o in vista di risultati.
L‘autonomia e la rivoluzione copernicana morale
Le varie determinazioni della legge etica convergono in
quella dell‘autonomia, che tutte le implica e riassume. Il
senso profondo dell‘etica kantiana, e della sua sorta di
―rivoluzione copernicana morale‖, consiste infatti
nell‘aver posto nell‗uomo e nella sua ragione il
fondamento dell‗etica, al fine di salvaguardarne la piena
libertà e purezza. Se la libertà, presa in senso negativo,
risiede nell‘indipendenza della volontà dalle inclinazioni,
in senso positivo si identifica con la sua capacità di
autodeterminarsi, ossia nella prerogativa autolegislatrice
della volontà, la quale fa sì che l‘umanità sia norma a se
stessa. Di conseguenza, Kant polemizza aspramente contro
tutte le morali eterononie. cioè contro tutti quei sistemi che
pongono il fondamento del dovere in forze esterne
233
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
all‘uomo o alla sua ragione. facendo scaturire la morale,
anziché dalla pura forma‘ dell‘imperativo categorico, da
principi ‗materiali‖.
I postulati pratici
La felicità non può mai erigersi a motivo del dovere,
perché in tal caso metterebbe in forse l‘incondizionatezza
della legge etica e quindi la sua categoricità, formalità,
purezza ed autonomia. Tuttavia la virtù, pur essendo il
‗bene supremo‘, non è ancora, secondo Kant, quel sommo
bene cui tende irresistibilmente la nostra natura, che
consiste nell‘unione di virtù e felicità. Ma in questo
mondo virtù e felicità non sono mai congiunte, in quanto
lo sforzo di essere virtuosi e la ricerca della felicità sono
due azioni distinte e per lo più opposte. L‘unico modo per
uscire da tale antinomia, è di ―postulare‖ un mondo
dell‘aldilà in cui possa realizzarsi l‘equazione virtùfelicità. Kant trae il termine ―postulato‖ dal linguaggio
della matematica classica. In quest‘ultima, mentre si
dicono assiomi le verità fornite di auto-evidenza, si
chiamano postulati quei principi che, pur essendo
indimostrabili, vengono accolti per rendere possibili
determinate entità o verità geometriche. Analogamente, i
postulati di Kant sono quelle proposizioni non dimostrabili
che ineriscono alla legge morale come condizione della
sua stessa esistenza, ovvero quelle esigenze della morale
che vengono ammesse per rendere possibile la realtà della
morale stessa, ma che di per se stesse non possono venir
dimostrate. I postulati tipici di Kant sono l‘immortalità
dell‘anima e l‘esistenza di Dio. Accanto ai due postulati
―religiosi‖ dell‘immortalità dell‘anima e dell‘esistenza di
234
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Dio, Kant pone un altro postulato: la libertà. Quest‘ultima
è infatti la condizione stessa dell‘etica, che nel momento
stesso in cui prescrive il dovere presuppone anche che si
possa agire o meno in conformità di esso e che quindi si
sia sostanzialmente liberi, ―Devi. dunque puoi‖, afferma
Kant, se c‘è la morale deve, per forza, esserci la libertà. I
postulati kantiani non possono affatto valere come
conoscenze. Se i postulati fossero delle verità dimostrate,
la
morale
scivolerebbe
immediatamente
verso
l‘eteronomia e sarebbe nuovamente la religione (o la
metafisica) a fondare la morale, con tutti gli inconvenienti
gi esaminati. Rovesciando il modo tradizionale di
intendere il rapporto tra morale e religione, Kant sostiene
che non sono le verità religiose a fondare la morale, bensì
la morale, sia pur sotto forma di postulati, a fondare le
verità religiose. In altri termini, Dio, per Kant, non sta
all‘inizio e alla base della vita morale, ma eventualmente
alla fine, come suo possibile completamento.
La critica del giudizio
Dalla Critica della ragion pura emergeva una visione
della realtà. in termini meccanicistici, in quanto la natura,
dal punto di vista fenomenico, appariva come una struttura
causale e necessaria, entro la quale non trovava posto la
libertà umana. Dalla Critica della ragion pratica affiorava
invece una visione della realtà in termini indeterministici e
finalistici, in quanto si postulava, come condizione della
morale, la libertà dell‘uomo e l‘esistenza di Dio. Da ciò
l‘abisso fra due mondi tanto diversi. La Critica del
Giudizio si domanda se non vi siano vie per superare
questo ―abisso‖, questa ―spaccatura‖. Le vie per arrivare a
235
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
questa persuasione non sono evidenze scientifiche, ma la
bellezza e l‘ordine della natura che sono oggetto della
Critica del Giudizio. Vi sono due tipi di giudizio: Giudizio
determinante – E‘ il giudizio scientifico (sintetico a priori)
studiato dalla Critica della ragion pura e Giudizio
riflettente – L'accordo tra il mondo della necessità naturale
e quello della libertà Kant lo trova in quello che chiama
―giudizio riflettente‖, col quale il soggetto ―riflette‖ (come
uno specchio) dall'interno all'esterno, attribuisce agli
oggetti esterni una finalità che come tale appartiene solo al
soggetto (i critici denominano questo spostamento come
rivoluzione copernicana estetica), alla sua interiorità. Il
giudizio riflettente quindi serve a stabilire un ponte tra il
mondo naturale (necessità) e il mondo della libertà
(rivelato dalla volontà morale).Il principio guida a-priori è
l‘ipotesi della finalità della natura. Vi sono due modi per
scoprire il ―finalismo‖ nella natura: il giudizio estetico
(Kant utilizza ora il termine estetico nel suo significato
comune) e il giudizio finalistico.
Nel giudizio estetico noi vediamo immediatamente la
finalità della natura (es. di fronte a un bel paesaggio). Il
giudizio estetico ha una pretesa di universalità, di
oggettività e si può specificare attraverso tre definizioni:
Bello è l‘oggetto di un piacere disinteressato; Bello è ciò
che piace universalmente; Bello è una ―finalità senza
scopo‖ (espressione volutamente contraddittoria per
significare che l‘armonia che percepiamo in un oggetto
bello non rientra in schemi concettuali precisi). Kant
introduce anche il concetto di Sublime, che è ―ciò che è
assolutamente grande al di là di ogni comparazione‖;
Sublime matematico (immensamente grande) e sublime
236
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
dinamico (forze immensamente grandi). Essi riguardano
ciò che è ―informe‖, cioè illimitato (diametro terrestre, la
via lattea, le galassie ecc.). Il sublime è in un certo modo
presentito quando, di fronte a certi spettacoli naturali che
superano il potere della nostra immaginazione, proiettiamo
su quest‘ultimi quella grandezza assoluta che è propria del
sovrasensibile.
Nel giudizio teleologico non vediamo immediatamente la
finalità, ma la pensiamo attraverso il concetto di fine (es.
riflettendo su uno scheletro capiamo che è stato prodotto
per sorreggere l‘animale). Cosa sia in sé la natura non lo
sappiamo, perché la conosciamo solo fenomenicamente;
tuttavia non possiamo fare a meno di considerarla come
finalizzata: ―per la particolare struttura della mia facoltà
conoscitiva io non posso giudicare della possibilità di
quelle cose (naturali) e della loro produzione se non
pensando ad una causa che agisce intenzionalmente‖. Non
possiamo fare a meno di scorgere nella natura anche cause
finali (sebbene possiamo solo conoscere le cause
meccaniche). Tuttavia ―Non c‘è nessuna ragione umana
che possa sperare di comprendere secondo cause
meccaniche la produzione sia pure di un filetto d‘erba‖. La
considerazione teleologica ha un uso regolativo e risponde
a un bisogno della natura umana.
237
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
CAPITOLO 13
Romanticismo e idealismo
Il Romanticismo è un vasto movimento letterario, artistico
e culturale che si sviluppò tra la fine del'700 e gli inizi
dell'800, prima in Germania e poi nel resto dell‘Europa.
Pur essendo un movimento molto eterogeneo, si
caratterizza per alcuni aspetti comuni di fondo:
1. Il senso dell‘infinito: in tutto il romanticismo vi è una
tensione ad andare oltre qualsiasi limite materiale e
spirituale, verso l'assoluto o l'infinito. I romantici si
differenziano per il diverso modo di intendere l‘Infinito e
di concepirne i rapporti con il finito (l‘uomo, la natura,
ecc.). Il modello dominante è quello panteistico, secondo
il quale il finito è la realizzazione vivente dell‘Infinito. Un
secondo modello, che afferma invece la distinzione tra
finito e Infinito, è una forma di trascendentismo e di
teismo, che ammette la trascendenza dell‘Infinito rispetto
al finito.
2. L'esaltazione del sentimento e dell‘arte: contro il
razionalismo dell'illuminismo, il romanticismo propone la
riscoperta del sentimento. Nel romanticismo viene rifiutata
ogni visione ottimistica di derivazione illuminista (rifiuto
del progresso e della scienza). Dai poeti e dagli artisti,
l‘organo più funzionale per rapportarsi alla vita e per
penetrare nell‘essenza più riposta dell‘universo viene
rintracciato nel sentimento, che è la principale eredità che
il Romanticismo riceve dallo Sturm und Drang. Il pensiero
è soltanto un sogno del sentimento (Novalis). Goethe nel
Faust scrive: Quando in cotesto sentire ti senti veramente
238
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
felice, chiamalo pure allora come vuoi: chiamalo felicità,
cuore, amore, Dio. Per questo io non ho nome alcuno.
Sentimento è tutto. La parola è soltanto suono e fumo.
L‘esaltazione del sentimento procede parallelamente al
culto dell‘arte: la poesia, ma soprattutto la musica, sono
gli organi capaci di raggiungere intuitivamente l‘Infinito.
l'arte come suprema forma di conoscenza e disciplina
intellettuale, vista come espressione massima della
spiritualità immanente al mondo
3. La concezione spiritualistica e antimeccanicistica della
natura, per cui il mondo naturale è l'espressione di una
divinità immanente. Da Galileo in poi, la Natura era stata
prevalentemente considerata come sistema di materia in
movimento retto da un insieme di leggi meccaniche, senza
ulteriori finalità. Riprendendo dall‘altro la visione anticorinascimentale della natura, i romantici giungono ad una
filosofia della natura organicistica (la natura è una totalità
organizzata nella quale le parti vivono solo in funzione del
tutto), vitalista (la natura è una forza dinamica, vivente,
animata), finalistica (la natura è un processo in vista
secondo determinati scopi, immanenti o trascendenti),
spiritualistica (la natura è anch‘essa spirituale o uno spirito
in divenire) e dialettica (la natura è organizzata secondo
coppie di forze opposte, formate da un polo positivo ed
uno negativo, e costituenti delle unità dinamiche). La
scoperta della pila voltaica e i progressi del chimismo e
del magnetismo parvero, ad un certo punto, confermare
talune intuizioni romantiche, come ad esempio quelle
relative alla ―dialettica‖ dei fenomeni naturali.
239
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
4. La riscoperta della fede: la riscoperta del sentimento
religioso in grado di cogliere gli aspetti più trascendenti e
mistici della vita, in risposta all'antireligiosità
dell'illuminismo;
5. La rivalutazione della storia: la rivalutazione, ad
esempio, del periodo medievale, in contrapposizione
all'antistoricismo illuminista che aveva svalutato il
medioevo definendolo il periodo buio dell'umanità;
Storicamente viene indicato come movimento ispiratore
del Romanticismo lo Sturm und Drang ("tempesta ed
impeto"), che prese il nome da un dramma di Klinger del
1776. La filosofia della fede si può considerare nel suo
complesso come l‘espressione filosofica del movimento
letterario dello Sturm und Drang. La ragione contro cui
questa filosofia polemizza è la ragione finita, cioè la
ragione di cui Kant aveva individuato i limiti; alla quale
contrappone la fede come organo capace di cogliere ciò
che ad essa è inaccessibile. Allo Sturm und Drang
parteciparono Schiller e Goethe. Il poeta Friedrich Schiller
vede nell‘arte il principio che armonizza insieme la natura
e lo spirito. Johann Wolfgang Goethe fa della natura stessa
il tema ispiratore di ogni riflessione. Per Goethe, la natura
e Dio sono strettamente congiunti e fanno tutt‘uno. La
natura non è che l‘abito vivente della divinità.
L‘idealismo
L‘idealismo è l‘espressione filosofica del romanticismo.
Per idealismo tedesco Tutto è Spirito e la Natura esiste
non come realtà a sé stante, ma come momento dialettico
necessario della vita dello Spirito. Questa idea viene
240
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
espressa magistralmente nel racconto di Novalis I
discepoli di Sais, dove si dice che: Accadde ad uno di
alzare il velo della dea di Sais, Ma cosa vide? Egli vide —
meraviglia delle meraviglie — se stesso. Secondo
l‘interpretazione idealistica, la dea velata sarebbe il
simbolo del mistero dell‘universo; quell‘uno che giunge a
scoprirla è il filosofo idealista, che dopo una lunga ricerca
si rende conto che la chiave di spiegazione di ciò che
esiste, vanamente cercata dai filosofi fuori dell‘uomo, ad
esempio in un Dio trascendente o nella Natura, si trova
invece nell‘uomo stesso, ovvero nello Spirito, Ma se
l‘uomo è la ragion d‘essere e lo scopo dell‘universo, che
sono gli attributi fondamentali che la filosofia occidentale
ha riferito alla divinità, vuol dire che egli coincide con
l‘Assoluto e con l‘Infinito, cioè con Dio stesso, A questo
punto risultano evidenti anche i rapporti che uniscono e
dividono l‘idealismo dalla tradizione ebraico-cristiana. Gli
idealisti pensano anch‘essi, da un lato, che l‘uomo sia il re
del creato tuttavia l‘idealismo tedesco, laicizzando il
biblico Dio creò i cieli e la terra per l‘uomo‖, conclude che
l‘uomo stesso è Dio. Tant‘è vero che la figura classica di
un Dio trascendente e staticamente perfetto, per il primo
Fichte, è solo una ‗ciarla scolastica o una chimera‘, in
quanto presupporrebbe l‘esistenza di un positivo senza il
negativo. Invece, per gli idealisti, l‘unico Dio possibile è
lo Spirito dialetticamente inteso, ovvero il soggetto che si
costituisce tramite l‘oggetto. la libertà che opera attraverso
l‘ostacolo, l‘io che si sviluppa attraverso il non-io. Con
l‘idealismo ci troviamo di fronte, per la prima volta nella
storia del pensiero, ad una forma di panteismo
spiritualistico (Dio è lo Spirito operante nel Mondo)
241
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Linee fondamentali dell‘idealismo tedesco
Si definiscono genericamente idealiste quelle visioni del
mondo che ritengono che la realtà ―vera‖ non sia quella
materiale ma sia quella spirituale (Platonismo e
Cristianesimo). In senso specifico Idealismo è la corrente
filosofica tedesca (Fichte, Schelling e Hegel) che giunge a
dire che tutto è Spirito. L'idealismo tedesco nasce a
seguito della negazione dell'esistenza della cosa in sé.
Questo era un concetto fondamentale del pensiero di Kant,
il quale aveva sostenuto che il mondo, così come noi lo
vediamo e descriviamo, dipende anche dalla particolare
struttura della nostra sensibilità e del nostro intelletto, in
definitiva del nostro pensiero. Questo è il mondo dei
fenomeni, che quindi per definizione sono non ciò che è in
sé (cosa in sé), ma ciò che a noi appare. Per gli idealisti la
cosa in sé è un concetto insostenibile, dato che non si può
ammetterne l'esistenza, nel momento in cui se ne dichiara
l'inconoscibilità. Ma, una volta tolta la cosa in sé, tutta la
realtà si risolve nel pensato. Il pensiero non è più qualche
cosa di rappresentativo di una realtà che sta al di fuori, ma
è l'essere stesso. Al di là del contenuto del pensiero non c'è
nulla. Naturalmente il pensiero non è quello dell'individuo,
ma dell'umanità tutta intera; non di un soggetto singolo,
ma dello spirito.
Entro questo quadro, l‘idealismo di Fichte è detto
soggettivo, perché considera il fondamento di tutto un
Soggetto o Io, che crea la natura, ed etico, perché impone
ad ogni individuo il dovere di tendere verso la libertà.
L'idealismo di Schelling è detto oggettivo, perché
considera il fondamento come identità di Io e Natura, ed
242
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
estetico, perché l'Assoluto può essere colto solo tramite
l'intuizione estetica. L'idealismo di Hegel è detto assoluto,
perché costituisce un superamento dei primi due grazie
alla completa realizzazione del finito.
Aspetti comuni dell‘idealismo sono: 1. l‘identificazione
della realtà con lo Spirito; 2. l‘idea di Dio come processo
continuo di auto-realizzazione; 3. la tesi che l‘infinito vive
nel finito.
Se tutto è Spirito il concetto di Natura viene rivisto
completamente alla luce del nuovo concetto di dialettica
degli opposti: nella realtà non esiste mai un positivo (tesi)
senza un negativo (antitesi), un Soggetto senza un
Oggetto, un Io senza un Non-Io. Lo Spirito ―crea‖ la
Natura come suo opposto e la Natura esiste solo per lo
Spirito, in funzione dello Spirito, come la scena
dell‘attività dello Spirito. La natura esiste solo come polo
dialettico negativo, necessario per la vita dello Spirito.
Ecco il senso delle righe di Novalis. Il mistero
dell‘universo (simbolizzato dalla dea velata) è risolto dal
filosofo idealista che dopo aver inutilmente cercato la
risposta fuori dell‘uomo (la Natura, Dio trascendente ecc.),
finalmente la trova nell‘Uomo stesso, nello Spirito. Ma se
l‘Uomo (lo Spirito) è il senso del tutto, allora l‘Uomo
coincide con il Tutto, con l‘Infinito, con Dio. L‘uomo è
Dio stesso. Mentre tutte le filosofie naturalistiche e
materialistiche avevano concepito la Natura come causa
dello Spirito (nel senso che l‘Uomo è un prodotto della
Natura), l‘idealismo rovescia questa convinzione
sostenendo che è lo Spirito (l‘Uomo) ad essere causa della
natura. Con l‘idealismo tedesco si ha la prima
243
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
formulazione nella storia della filosofia di una forma di
panteismo spiritualistico (Dio è lo Spirito che opera nel
Mondo, è l‘Uomo), che si distingue nettamente dal
panteismo naturalistico (Dio è la natura) e dal
Trascendentismo (Dio ebraico-cristiano trascendente la
natura).
J. Fichte (1762-1814)
Kant aveva riconosciuto nell‘io-penso il principio supremo
di tutta la conoscenza. Schulze, Maimon e Beck hanno
dichiarata chimerica la stessa cosa in sé in quanto esterna
alla coscienza e indipendente da essa. Maimon e Beck
avevano quindi giù tentato di attribuire all‘attività
soggettiva la produzione del materiale sensibile e di
risolvere nell‘io l‘intero mondo della conoscenza, Fichte
trae per la prima volta le conseguenze da queste premesse.
Se l‘io è l‘unico principio, non solo formale ma anche
materiale del conoscere, se alla sua attività è dovuto non
solo il pensiero della realtà oggettiva, ma questa realtà
stessa nel suo contenuto materiale, è evidente che l‘io è
non solo finito, ma infinito. Tale è il punto di partenza di
Fichte. Il quale è il filosofo dell‘infìnità dell‘Io, della sua
assoluta attività, quindi della sua assoluta libertà. La
deduzione di Fichte mette capo ad un principio assoluto,
che pone o crea il soggetto e l‘oggetto fenomenici in virtù
di un‘attività creatrice, cioè di un‗intuizione intellettuale.
La Dottrina della scienza ha lo scopo di dedurre da questo
principio l‘intero mondo del sapere; e di dedurlo
necessariamente, in modo da dare il sistema unico e
compiuto di esso. Non deduce tuttavia il principio stesso
della deduzione, che è l‘Io, e il problema in cui urta è
244
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
appunto quello che verte sulla natura dell‘Io. Le
successive elaborazioni della Dottrina della scienza si
differenziano sostanzialmente nel rapporto che
stabiliscono tra l‘infinito e l‘uomo.
La Dottrina della scienza e i suoi tre principi.
L‘ambizione di Fichte è di costruire un sistema grazie al
quale la filosofia, cessando di essere semplice ricerca del
sapere (secondo l‘etimologia greca del termine), divenga
finalmente un sapere assoluto e perfetto. Infatti il concetto
della Dottrina della scienza è quello di una scienza della
scienza, cioè di un sapere che metta in luce il principio su
cui si fonda la validità di ogni scienza e che a sua volta si
fondi, quanto alla sua validità, sullo stesso principio. I1
principio della dottrina della scienza è l‘lo o
l‘Autocoscienza. Noi possiamo dire che qualcosa esiste,
afferma il filosofo, solo rapportandolo alla nostra
coscienza, ossia facendone un essere-per-noi, A sua volta
la coscienza è tale solo in quanto è coscienza di se
medesima, ovvero autocoscienza. In sintesi: l‘essere per
noi (l‘oggetto) è possibile soltanto sotto la condizione
della coscienza (del soggetto) e questa soltanto sotto la
condizione dell‘autocoscienza. La coscienza è il
fondamento dell‗essere, l‘autocoscienza è il fondamento
della coscienza. La Dottrina della scienza è il tentativo
sistematico di dedurre dal principio dell‘autocoscienza la
vita teoretica e pratica dell‘uomo. Fichte comincia in essa
con lo stabilire i tre principi di questa deduzione. 1. l‘Io
pone se stesso; 2. L‘Io oppone a sé un non—io, ossia il
mondo, in cui si trova anche il nostro io finito, pensa a se
245
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
stesso come contrapposto agli oggetti (non-io). 3. L‘lo
oppone nell‘Io all‘io divisibile un non-io divisibile
Il primo principio è ricavato da una riflessione sulla legge
d‘identità (per cui A = A), che la filosofia tradizionale
aveva considerato come base universale del sapere. In
realtà, osserva Fichte, tale legge non rappresenta il primo
principio della scienza, poiché essa implica un principio
ulteriore che è l‘Io. Infatti, tale legge presuppone che se A
è dato, deve essere formalmente uguale a se stesso (A = A;
es. il triangolo è triangolo). In tal modo essa assume
ipoteticamente la presenza cii A. Ora, l‘esistenza iniziale
cli A dipende dall‘Io che la pone, poiché senza l‘identità
dell‘lo (Io = Io) l‘identità logica (A = A) non si giustifica.
In altri termini, il rapporto d‘identità è posto dall‘lo,
perché è l‘Io che giudica cli esso. Ma l‘Io non può porre
quel rapporto, se non pone se stesso. L‘esistenza dell‘lo ha
dunque la stessa necessità del rapporto logico A = A, in
quanto l‘Io non può affermare nulla senza affermare in
primo luogo la propria esistenza. Di conseguenza, il
principio supremo del sapere non è quello d‘identità, che è
posto dall‘lo, ma l‘Io stesso. Questi, a sua volta, non è
posto da altri, ma si pone da sé, Infatti la caratteristica
dell‘Io consiste nell‘auto-creazione, Tale auto-creazione
coincide con l‘intuizione intellettuale che l‘Io ha di se
stesso. Il primo principio della Dottrina della scienza
stabilisce quindi che ―l‘lo pone se stesso‖, chiarendo come
il concetto di Io in generale si identifichi con quello di
un‘attività auto-creatrice ed infinita, Il secondo stabilisce
che ―l‘Io pone il non-io‖, ovvero che l‘Io non solo pone se
stesso, ma oppone anche a se stesso qualcosa che, in
quanto gli è opposto, è un non-io (oggetto, mondo,
246
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
natura). Tale non-io è tuttavia posto dall‘Io ed è quindi
nell‘lo. Infatti, che senso avrebbe un Io senza un non-io,
cioè un soggetto senza oggetto, un‘attività senza un
ostacolo, un positivo senza un negativo? Il terzo principio
mostra come l‘Io, avendo posto il non-io, si trovi ad essere
limitato da esso, esattamente come quest‘ultimo risulta
limitato dall‘Io, In altri termini, con il terzo principio
perveniamo alla situazione concreta del mondo, nella
quale abbiamo una molteplicità di io finiti che hanno di
fronte a sé una molteplicità di oggetti a loro volta finiti. E
poiché Fichte usa l‘aggettivo divisibile per denominare il
molteplice e il finito, egli esprime il principio in questione
con la seguente formula: ―L‘lo oppone nell‘Io all‘io
divisibile un non-io divisibile‖. Questi tre principi
delineano l‘intera teoria di Fichte, perché stabiliscono: a)
l‘esistenza di un Io infinito, attività assolutamente libera e
creatrice b) l‘esistenza di un io finito (perché limitato dal
non-io), cioè di un soggetto empirico (l‘uomo come
intelligenza o ragione); c) la realtà di un non-io, cioè
dell‘oggetto (mondo o natura), che si oppone all‘io finito,
ma è ricompreso nell‘Io infinito, dal quale è posto. Nello
stesso tempo essi sono la sintesi della deduzione
idealistica del mondo, ossia di quella spiegazione della
realtà alla luce dell‘Io, che contrapponendosi all‘antica
metafisica dell‘essere (oggetto) giunge ad una nuova
metafisica dello spirito (Soggetto). I tre principi non vanno
interpretati in modo cronologico, bensì logico, in quanto
Fichte, con essi, non intende dire che prima esista l‘Io
infinito, poi l‘io che pone il non-io ed infine l‘io finito, ma
semplicemente che esiste un Io che, per poter essere tale,
247
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
deve presupporre di fronte a sé il non-io, trovandosi in tal
modo ad esistere concretamente sotto forma di io finito.
Friedrich Schelling (1755-1854)
Lo sviluppo del pensiero di Schelling risulta estremamente
complesso e oggetto di discussioni critiche. In generale gli
studiosi tendono a distinguere alcuni momenti del suo
filosofare:
1) Il momento fichtiano 2) la fase della filosofia della
natura 3) il periodo dell‘idealismo trascendentale 4) lo
stadio della filosofia dell‘identità 5) il periodo teosofico 6)
la fase della filosofia positiva e della filosofia della
religione.
L‘assoluto come indifferenza di Spirito e Natura
Il principio che aveva assicurato il successo della filosofia
di Fichte è quello dell‘infinito: infinita attività che spiega
ad un tempo l‘Io e il non-io, lo spirito e la natura. L‘Io di
Fichte è il principio dell‘infinità soggettiva, Schelling
vuole unire le due infinità nel concetto di un Assoluto che
non è riducibile né al soggetto né all‘oggetto, perché
dev‘essere il fondamento dell‘uno e dell‘altro. Ben presto
egli si accorge che una pura attività soggettiva (l‘Io di
Fichte) non potrebbe spiegare la nascita del mondo
naturale, e che un principio puramente oggettivo (la
Sostanza spinoziana) non potrebbe spiegare l‘origine
dell‘intelligenza e dell‘io, Il principio supremo deve essere
quindi un Assoluto o Dio che sia insieme soggetto e
oggetto, ragione e natura; cioè che sia l‘unità, l‘identità o
l‘indifferenza di entrambi. La natura, secondo Schelling,
248
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
ha vita, razionalità, e quindi valore, in se stessa. Deve
avere in sé un principio autonomo che la spieghi in tutti i
suoi aspetti. E questo principio deve essere identico a
quello che spiega il mondo della ragione e dell‘io, quindi
la storia. Il principio unico deve essere insieme soggetto e
oggetto, attività razionale e attività inconsapevole, idealità
e realtà. Tale è l‘Assoluto. Il riconoscimento del valore
autonomo della natura e la tesi dell‘Assoluto come identità
o indifferenza di natura e spirito conducono Schelling ad
ammettere due possibili direzioni della ricerca filosofica:
l‘una, la filosofia della natura, diretta a mostrare come la
natura si risolva nello spirito, l‘altra, la filosofia
trascendentale, diretta a mostrare come lo spirito si risolva
nella natura.
La filosofia della natura
La filosofia della natura di Schelling è una costruzione
tipicamente romantica e si oppone ai due tradizionali
modelli interpretativi della natura: quello meccanicisticoscientifico e quello finalistico-teologico. Il primo,
parlando in termini di materia, movimento e causa si trova
in difficoltà, come aveva già notato Kant, a spiegare gli
organismi viventi. Il secondo, ricorrendo alla magia di un
Dio che agisce dall‘esterno sul mondo, finisce per
compromettere l‘autonomia dei processi naturali. A questi
due modelli Schelling contrappone il proprio organicismo
finalistico e immanentistico, ossia uno schema secondo
cui: 1) ogni parte ha senso solo in relazione al tutto e alle
altre parti (= organicismo); 2) l‘universo non si riduce ad
una miracolosa collisione di atomi, poiché al di là del
meccanismo delle sue forze si manifesta una finalità
249
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
superiore (oggettiva e reale) che, tuttavia, non deriva da un
intervento esterno, ma è interno alla Natura stessa
(finalismo immanentistico). La Natura è un ―organismo
che organizza se stesso‖ e l‘idea di uno Spirito o di una
entità spirituale inconscia immanente nella Natura. Una
forza che Schelling, rifacendosi agli antichi, denomina
anche con il termine di ―Anima del mondo‖, precisando
che la natura è un Tutto vivente, ovvero un immenso
Organismo in cui ogni cosa, compresa la sfera inorganica,
risulta dotata di vita. La Natura si polarizza in due principi
di base: l‘attrazione e la repulsione. Le tre manifestazioni
universali della Natura, nelle quali si concretizza la
polarità attrazione-repulsione, sono il magnetismo,
l‘elettricità e il chimismo. La prima potenza è
rappresentata dal mondo inorganico; la seconda dalla luce,
in cui la Natura si fa visibile a se stessa, la terza dal mondo
organico, nel quale. con la sensibilità, abbiamo il l‘inizio
aurorale dell‘autocoscienza. Nel complesso la natura,
appare come la ―preistoria dello spirito‖ che, attraverso un
lungo processo, giunge all‘uomo.
Fisica speculativa e pensiero scientifico
La filosofia della natura di Schelling è una fisica
speculativa. Un merito di questa concezione è di aver
mostrato i limiti del meccanicismo tradizionale e di aver
posto l‘esigenza di studiare la natura, in particolare il
mondo organico, con schemi più appropriati. Un altro
pregio è di aver contribuito a preparare una mentalità
evoluzionistica in senso lato. Infine è bene ricordare che
l‘idea di una finalità immanente della natura, ossia
l‘originale concetto di un fine inconscio interno ai
250
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
fenomeni naturali, continua a suscitare l‘interesse di quei
filosofi e di quegli scienziati che, pur rifiutando l‘ottica
meccanistica, non accettano, per questo, il finalismo
teologico tradizionale (ossia la nozione di un Dio-Artefice
e Programmatore del mondo).
La teoria dell‘arte
Nella filosofia teoretica e pratica Spirito e Natura, Conscio
e Inconscio, nonostante la loro puntuale corrispondenza,
continuano a configurarsi come due poli distinti, separati
da una divaricazione originaria, che è quella fra soggetto
ed oggetto. Secondo Schelling, l‘unica maniera per
risolvere questo nodo è di rintracciare un‘attività nella
quale si armonizzino completamente spirito e natura, il
produrre inconscio e quello conscio. Schelling ritiene che
l‘arte si configuri come l‘organo di rivelazione
dell‘Assoluto nei suoi caratteri di infinità, consapevolezza
e inconsapevolezza al tempo stesso. Infatti, nella creazione
estetica l‘artista risulta in preda ad una forza
inconsapevole, che lo ispira e lo entusiasma, facendo sì
che la sua opera si presenti come sintesi di un momento
inconscio (l‘ispirazione) e di un momento conscio e
meditato (l‘esecuzione cosciente). L‘intero fenomeno
dell‘arte rappresenta quindi la miglior chiave per intendere
la struttura dell‘Assoluto come sintesi differenziata di
natura e spirito. L‘esaltazione romantica dell‘arte trova
quindi in Schelling la sua più significativa forma
filosofica.
251
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
G. W. F. Hegel (1770-1831)
Gli scritti giovanili rimasero inediti e sono quasi tutti di
natura teologica: La positività della religione cristiana; Lo
spirito del cristianesimo e il suo destino. La prima grande
opera di Hegel è la Fenomenologia dello spirito (1807)
nella cui prefazione (1806) egli dichiarava il suo distacco
dalla dottrina di Schelling. A Norimberga Hegel pubblicò
la Scienza della logica, le cui due parti apparvero
rispettivamente nel 1812 e nel 1816. A Heidelberg
l‘Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio
(1817) che è la più compiuta formulazione del sistema di
Hegel. A Berlino Hegel pubblicava i Lineamenti di
filosofia del diritto (1821). Dopo la sua morte gli scolari
raccolsero, ordinarono e pubblicarono i suoi corsi dì
Berlino.
Già negli scritti giovanili Hegel critica la cultura
illuministica, la quale separa, secondo Hegel, aspetti e
momenti della realtà concettualmente uniti. Nella
Positività della religione cristiana Hegel confronta la
civiltà moderna con la polis greca, evidenziando come
oggi la società sia separata e frammentaria. Questo è
dovuto alle diverse forme di religiosità: nella Grecia
arcaica la divinità era inserita nella vita dell‘uomo mentre
nella religione cristiana Dio è trascendente all‘uomo
stesso. Ne Lo spirito del cristianesimo Hegel corregge la
sua posizione e il cristianesimo non è più inteso come
opposizione tra Dio e uomo ma come unione realizzata
concretamente nella figura di Gesù, incarnazione di Dio.
Nel periodo di Jena l‘esigenza di riconciliazione si sposta
dal piano religioso a quello filosofico. Hegel critica in
252
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
particolare le filosofie di Kant (la cui filosofia lascia
irrisolto il contrasto fra soggetto e oggetto) e di Fichte
(l‘Io assoluto mantiene l‘opposizione tra sé e l‘infinità
delle rappresentazioni). Con la Fenomenologia dello
spirito, Hegel attacca Schelling nella cui filosofia
l‘assoluto è inteso come unità totale ed inscindibile tra
oggetto e soggetto. Hegel paragona tale concetto al buio
della notte.
Le tesi di fondo del sistema
Per poter seguire lo svolgimento del pensiero di
risulta indispensabile aver chiare, sin dall‘inizio, le
fondo del suo idealismo: 1) la risoluzione del
nell‘infinito; 2) l‘identità fra ragione e realtà;
funzione giustificatrice della filosofia.
Hegel
tesi di
finito
3) la
1. Con la prima tesi Hegel intende dire che la realtà non è
un insieme di sostanze autonome, ma un organismo
unitario di cui tutto ciò che esiste è parte o manifestazione.
Tale organismo coincide con l‘Assoluto e con l‘infinito,
mentre i vari enti del mondo, essendo manifestazioni di
esso, coincidono con il finito. Di conseguenza, il finito,
come tale, non esiste. perché ciò che noi chiamiamo finito
è nient‘altro che un‘espressione parziale dell‘infinito.
Infatti, la parte non può esistere se non in connessione con
il Tutto. L‘hegelismo si configura quindi come una forma
di monismo panteistico, cioè come una teoria che vede nel
mondo (= il finito) la manifestazione o la realizzazione di
Dio infinito. Mentre per Spinoza l‘Assoluto è una sostanza
statica che coincide con la Natura, per Hegel si identifica
invece con un Soggetto spirituale in divenire, di cui tutto
253
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
ciò che esiste è momento o tappa. Dire che la realtà non è
―Sostanza‖, ma ―Soggetto‖, significa dire, secondo Hegel,
che essa non è qualcosa di immutabile e di già dato, ma un
processo di auto-produzione che soltanto alla fine, cioè
con l‘uomo (lo Spirito) e le sue attività più alte (arte,
religione e filosofia), giunge a rivelarsi per quello che è
veramente: il vero è l‘intero. Ma l‘intero è soltanto
l‘essenza che si completa mediante il suo sviluppo.
Dell‘Assoluto devesi dire che esso è essenzialmente
Risultato, che solo alla fine è ciò che è in verità.
2. Il Soggetto spirituale infinito che sta alla base della
realtà viene denominato da Hegel con il termine Idea o
Ragione, intendendo con queste espressioni l‘identità di
pensiero ed essere, o meglio, di ragione e realtà. Da ciò il
noto aforisma in cui si riassume il senso stesso
dell‘hegelismo: ― Ciò che è razionale è reale; e ciò che è
reale è razionale‘.Con la prima parte della formula, Hegel
intende dire che la razionalità non è pura idealità,
astrazione, schema, ma la forma stessa di ciò che esiste.
Viceversa, con la seconda parte della formula, Hegel
intende affermare che la realtà non è una materia caotica,
ma il dispiegarsi di una struttura razionale (l‘idea o la
Ragione) che si manifesta in modo inconsapevole nella
natura e in modo consapevole nell‘uomo. Per cui, con il
suo aforisma, Hegel non esprime la semplice possibilità
che la realtà sia penetrata o intesa dalla ragione, ma la
necessaria, totale e sostanziale identità di realtà e ragione.
Tale identità implica‘anche l‘identità fra essere e dover—
essere, in quanto ciò che è risulta anche ciò che
razionalmente deve essere. Il mondo, in quanto è, e così
com‘è, è razionalità dispiegata, ovvero ragione reale e
254
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
realtà razionale — che si manifesta attraverso una serie di
momenti necessari che non possono essere diversi da
come sono. Infatti. da qualsiasi punto di vista guardiamo il
mondo, troviamo ovunque, secondo Hegel, una rete di
connessioni necessarie e di ―passaggi obbligati‖ che
costituiscono l‘articolazione vivente dell‘unica Idea o
Ragione.
3. Hegel ritiene che il compito della filosofia consista nel
prendere atto della realtà e nel comprenderne le strutture
razionali che la costituiscono: Comprendere ciò che è, è il
compito della filosofia, poiché ciò che è, è la ragione. La
filosofia arriva sempre troppo tardi; giacché sopraggiunge
quando la realtà ha compiuto il suo processo di
formazione. Essa, afferma Hegel, è come la nottola di
Minerva che inizia il suo volo sul far del crepuscolo, cioè
quando la realtà è già belle fatta. La filosofia deve dunque
mantenersi in pace con la realtà‖ e rinunciare alla pretesa
assurda di determinarla. Questi chiarimenti delineano il
tratto essenziale della filosofia e della personalità di
Hegel. L‘autentico compito che Hegel ha inteso attribuire
alla filosofia è la giustificazione razionale della realtà.
Idea, Natura e Spirito: le partizioni della filosofia
Hegel ritiene che il farsi dinamico dell‘Assoluto passi
attraverso i tre momenti dell‘Idea in sé e per sé (tesi),
dell‘Idea fuori di sé (antitesi) e dell‘Idea che ritorna in sé‘
(sintesi). Tant‘è vero che il disegno complessivo
dell‘Enciclopedia hegeliana è quello di una grande triade
dialettica. L‘Idea in sé e per sé o Idea pura è l‘Idea
considerata in se stessa, a prescindere dalla sua concreta
255
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
realizzazione nel mondo. Da questo angolo prospettico.
l‘Idea, secondo un noto paragone teologico di Hegel, è
assimilabile a Dio ―prima della creazione della natura e di
uno spirito finito‖, ovvero, in termini meno equivocanti
(visto che l‘Assoluto hegeliano è un infinito immanente.
che non crea il mondo, ma è il mondo) al programma o
all‘ossatura logico-razionale della realtà. L‘Idea fuori di sé
o Idea ―nel suo esser altro è la Natura, cioè l‘alienazione
dell‘Idea nelle realtà spazio-temporali del mondo. L‘Idea
che ritorna in sé è lo Spirito, cioè l‘Idea che dopo essersi
fatta natura torna presso di sé‖ nell‘uomo. Ovviamente,
questa triade non è da intendersi in senso cronologico,
come se prima ci fosse l‘Idea in sé e per sé, poi la Natura e
infine lo Spirito, ma in senso ideale. Infatti ciò che
concretamente esiste nella realtà è lo Spirito (la sintesi), il
quale ha come sua coeterna condizione la Natura
(l‘antitesi) e come suo coeterno presupposto il programma
logico rappresentato dall‘Idea pura (la tesi). A questi tre
momenti strutturali dell‘Assoluto Hegel fa corrispondere
le tre sezioni in cui divide il sapere filosofico: 1) la logica,
2) la filosofia della natura, 3) la filosofia dello spirito.
La dialettica
L‘Assoluto, per Hegel, è divenire. La legge che regola tale
divenire è la dialettica, che rappresenta, al tempo stesso, la
legge (ontologica) di sviluppo della realtà e la legge
(logica) di comprensione della realtà. Hegel distingue tre
momenti o aspetti del pensiero: 1) l‘astratto o intellettuale;
2) il dialettico o negativo-razionale; 3) lo speculativo o
positivo-razionale. Il momento intellettuale è quello per
cui il pensiero si ferma alle definizioni rigide della realtà,
256
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
limitandosi a considerarne nelle loro differenze reciproche
e secondo il principio di identità e di non-contraddizione
(secondo cui ogni cosa è se stessa ed è assolutamente
diversa dalle altre). Il momento dialettico consiste nel
relazionare le determinazioni della realtà con altre
determinazioni. Il momento speculativo consiste invece
nel cogliere l‘unità delle determinazioni opposte, ossia nel
rendersi conto che tali determinazioni sono aspetti
unilaterali di una realtà più alta che li ricomprende o
sintetizza entrambi
Globalmente considerata, la dialettica consiste quindi: 1)
nell‘affermazione o posizione di un concetto astratto e
limitato‖, la tesi; 2) nella negazione di questo concetto
come qualcosa di limitato o di finito e nel passaggio ad un
concetto opposto, l‘antitesi; 3) nell‘unificazione della
precedente affermazione e negazione in una sintesi
positiva comprensiva di entrambe. La sintesi che si
configura come una ri-affermazione potenziata
dell‘affermazione iniziale (tesi), ottenuta tramite la
negazione della negazione intermedia (antitesi).
Riaffermazione che Hegel focalizza con il termine
Aufhebung il quale esprime l‘idea di un superamento che
è, al tempo stesso, un togliere (l‘opposizione fra tesi ed
antitesi) ed un conservare (la verità della tesi, dell‘antitesi
e del loro conflitto). Ogni sintesi diviene, a propria volta,
tesi di un‘altra antitesi, cui succede un‘ulteriore sintesi e
così via, sino al compimento del processo globale
dell‘Assoluto
La dialettica illustra il principio della risoluzione del finito
nell‘infinito. Infatti essa ci mostra come ogni finito, ogni
257
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
parte di realtà, non possa esistere in se stesso, ma solo in
un contesto di rapporti. Poiché il tutto di cui parla Hegel,
ovvero l‘Idea, è una entità dinamica, la dialettica esprime
appunto il processo mediante cui le varie parti o
determinazioni della realtà perdono la loro rigidezza, si
fluidificano e diventano momenti di un‘Idea unica ed
infinita.
La Fenomenologia dello Spirito
Il principio della risoluzione del finito nell‘infinito, o
dell‘identità di razionale e reale, è stato illustrato da Hegel
in due forme diverse. Dapprima Hegel si è fermato a
illustrare la via che per giungere fino ad esso ha dovuto
percorrere la coscienza umana. In secondo luogo, Hegel ha
illustrato quel principio quale appare in atto in tutte le
determinazioni fondamentali della realtà. La prima
illustrazione è quella che Hegel ha dato nella
Fenomenologia dello spirito: la seconda è quella che ha
dato nella Enciclopedia delle scienze filosofiche e nelle
opere che approfondiscono le singole parti di essa
(Scienza della logica, Filosofia dell‘arte, Filosofia della
religione, Filosofia del diritto, Filosofia della storia). Le
vicende dello spirito nella prima opera sono le vicende del
principio hegeliano dell‘infinito nelle sue prime
apparizioni, nel suo progressivo affermarsi e svilupparsi
attraverso una serie di figure esprimenti i settori più
disparati della vita umana (la conoscenza, la società. la
religione, la politica ecc.). La coscienza cresce seguendo
un percorso: le tappe intermedie di tale percorso (figure)
sono delle manifestazioni del sapere assoluto (la
fenomenologia è infatti la scienza delle manifestazioni).
258
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
L‘opera è divisa in sei sezioni: Coscienza, Autocoscienza,
Ragione, Spirito, Religione e Sapere assoluto. E‘ la storia
della coscienza, che attraverso una serie di contrasti, esce
dalla sua individualità, raggiunge l‘universalità e si
riconosce come ragione che è realtà e realtà che è ragione.
Perciò l‘intero ciclo della fenomenologia si può vedere
riassunto in una delle sue figure particolari che non per
nulla è diventata la più popolare: quella della coscienza
infelice. La prima parte della Fenomenologia si divide in
tre momenti: Coscienza (tesi). Autocoscienza (antitesi) e
Ragione (sintesi).
Coscienza
La prima tappa che la coscienza percorre verso il sapere
assoluto è detta certezza sensibile. Con tale espressione si
indica quella certezza che deriva dagli oggetti sensibili,
ovvero la credenza per cui la verità sta nell‘oggetto dei
sensi. Successivamente la coscienza arriva alla percezione:
questa rappresenta la negazione della certezza sensibile, in
quanto sposta la verità dall‘oggetto all‘atto della
percezione, compiuto dal soggetto. L‘ultima figura della
coscienza è detta intelletto: è in tale figura che si completa
lo spostamento dall‘oggetto al soggetto: ora la verità è
nell‘Io conoscente.
Autocoscienza
Con la sezione dell‘autocoscienza, che contiene le figure
più celebri, il centro dell‘attenzione si sposta dall‘oggetto
al soggetto, ovvero all‘attività concreta dell‘io, considerato
nei suoi rapporto con gli altri. Di conseguenza, tale
sezione non si muove più in un ambito astrattamente
259
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
gnoseologico, ma riguarda anche la società, la storia della
filosofia e la religione. L‘autocoscienza postula la
presenza di altre autocoscienze in grado di darle la
certezza di essere tale. Ma il riconoscimento non può che
passare attraverso un momento di lotta e di sfida, ossia
attraverso il conflitto fra le autocoscienze. Tale conflitto,
nel quale ogni autocoscienza. pur di affermare la propria
indipendenza, deve essere pronta a tutto. anche a rischiare
la vita, non si conclude con la morte delle autocoscienze
contendenti (poiché in tal caso sarebbe annullata l‘intera
dialettica del riconoscimento) ma con il subordinarsi
dell‘una all‘altra nel rapporto servo-signore. Il signore è
colui che, per affermare la propria indipendenza, ha messo
valorosamente a repentaglio la propria vita, sino alla
vittoria, mentre il servo è colui che, ad un certo punto, ha
preferito la perdita della propria indipendenza, cioè la
schiavitù, pur di avere salva la vita. Tuttavia, argomenta
Hegel con una penetrante analisi dialettica, la dinamica del
rapporto servo-signore (che corrisponde al tipo di società
del mondo antico) porta ad una paradossale inversione di
ruoli, ossia ad una situazione per cui il signore diviene
servo del servo e il servo signore del signore. Infatti, il
signore, che inizialmente appariva indipendente, nella
misura in cui si limita a godere passivamente del lavoro
altrui, finisce per rendersi dipendente dal servo. Invece
quest‘ultimo, che inizialmente appariva dipendente, nella
misura in cui padroneggia e trasforma le cose da cui il
signore riceve il proprio sostentamento, finisce per
rendersi indipendente. La figura hegeliana del servosignore, è stata apprezzata soprattutto dai marxisti, i quali
hanno visto in essa un‘intuizione dell‘importanza del
260
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
lavoro e della configurazione dialettica della storia, nella
quale, grazie all‘esperienza della sottomissione, si
generano le condizioni per la liberazione.
Stoicismo e scetticismo
Il raggiungimento dell‘indipendenza dell‘io nei confronti
delle cose, trova la sua manifestazione filosofica nello
stoicismo, ossia in un tipo di visione del mondo che
celebra l‘autosufficienza e la libertà del saggio nei
confronti di ciò che lo circonda. Ma nello stoicismo
l‘autocoscienza, la quale pretende di svincolarsi dai
condizionamenti della realtà (passioni, ricchezze ecc.),
ritenendo di essere libera sul trono o in catene‖, raggiunge
soltanto una astratta libertà interiore, giacché quei
condizionamenti permangono e la realtà esterna non e
fatto negata. Chi pretende di mettere completamente tra
parentesi quel mondo esterno da cui lo stoico si sente
indipendente (e che lascia invece sussistere) è lo
scetticismo, ossia un tipo di visione del mondo che
sospende l‘assenso su tutto ciò che è comunemente
ritenuto per vero e reale (di conseguenza, lo scetticismo è
per sé, ossia in modo consapevole, ciò che lo stoicismo è
in sé, ossia in modo inconsapevole; esattamente come lo
stoicismo è per sé ciò che la servitù è in sé). Tuttavia lo
scetticismo dà luogo ad una situazione contraddittoria ed
insostenibile. Hegel non fa che usare, contro lo
scetticismo, l‘argomento tradizionale: quello secondo cui
lo scettico si auto-contraddice poiché da un lato dichiara
che tutto è vano e non-vero, mentre dall‘altro pretende di
dire qualcosa di reale e di vero.
261
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
La coscienza infelice
La scissione, presente nello scetticismo, fra una coscienza
immutabile ed una mutevole diviene esplicita nella figura
della coscienza infelice ed assume la forma di una
separazione radicale fra l‘uomo e Dio. E‘ questa la
situazione propria dell‘ebraismo, nel quale l‘essenza,
l‘Assoluto, la realtà vera è sentita come lontana dalla
coscienza ed assume le sembianze di un Dio trascendente
padrone assoluto della vita e della morte, ovvero di un
Signore inaccessibile di fronte a cui l‘uomo si trova in uno
stato di dipendenza (la coscienza infelice ebraica
rappresenta la traduzione, in chiave religiosa. della
situazione sociale espressa dal rapporto servo-signore).
Nel secondo momento assume la figura di un Dio
incarnato. E questa la situazione propria del cristianesimo
medioevale, il quale, anziché considerare Dio come un
Padre o un Giudice lontano, lo prospetta sotto forma di
una realtà effettuale. Tuttavia, come Dio incarnato, vissuto
in uno specifico ed irripetibile periodo storico, risulta pur
sempre, per i posteri, inevitabilmente lontano: ―accade
necessariamente ch‘esso sia dileguato nel tempo e nello
spazio, e che sia stato lungi e senz‘altro lungi rimanga‖. Di
conseguenza, con il cristianesimo, la coscienza continua
ad essere ―infelice‖ e Dio continua a configurarsi come un
―irraggiungibile al di là che sfugge‖. anzi, che è ―già
sfuggito nell‘atto in cui si tenta d‘affermarlo‖. Tale
vicenda prosegue e si esaspera con la mortificazione di sé,
in cui si ha la più completa negazione dell‘io a favore di
Dio. Infatti, con l‘ascetismo e le sue pratiche di
umiliazione della carne, ci troviamo di fronte ad una
personalità tanto misera quanto infelice e ―limitata a sé e
262
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
al suo fare meschino‖, ovvero come aggiunge
caratteristicamente Hegel, ad una personalità ―che non
riesce se non a covare se stessa. Ma il punto più basso
toccato dal singolo (il quale cerca un estremo punto di
contatto fra sé e l‘immutabile nella figura mediatrice della
Chiesa) è destinato a trapassare dialetticamente nel punto
più alto allorquando la coscienza, nel suo vano sforzo di
unificarsi con Dio, si rende conto di essere, lei stessa, Dio,
ovvero l‘Universale o il Soggetto assoluto. Ciò non
avviene nel Medioevo, ma nel Rinascimento e nell‘età
moderna.
La ragione
Come Soggetto assoluto l‘autocoscienza è diventata
Ragione ed ha assunto in sé ogni realtà. Mentre nei
momenti anteriori la realtà del mondo le appariva come
alcunché di diverso e di opposto (come la negazione di
sé), ora invece può sopportarla: perché sa che nessuna
realtà è niente di diverso da essa. La ragione, dice Hegel, è
la certezza di essere ogni realtà. La ragione si rivolge da
principio al mondo della natura. È questa la fase del
naturalismo del Rinascimento e dell‘empirismo. Qui la
coscienza crede, bensì, di cercare l‘essenza delle cose, ma
in realtà non cerca che se stessa; e quella credenza deriva
dal non aver fatto ancora della ragione l‘oggetto della
propria ricerca. Si determina così l‘osservazione della
natura che, partendo dalla semplice descrizione, si
approfondisce con la ricerca della legge e con
l‘esperimento; e che si trasferisce poi nel dominio del
mondo organico, per passare infine a quello stesso della
coscienza con la psicologia. Seguono le tre figure della
263
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
ragione attiva, la prima è quella in cui l‘individuo, deluso
dalla scienza e dalla ricerca naturalistica, si getta nella vita
e va alla ricerca del proprio godimento. Ma nella ricerca
del piacere l‘autocoscienza incontra la necessità del
destino, che, incurante delle sue personali esigenze di
felicità, lo travolge inesorabilmente. ―Egli prendeva la
vita, ma con ciò afferrava piuttosto la morte‖.
L‘autocoscienza cerca allora di opporsi al corso ostile del
mondo appellandosi alla ―legge del cuore‖ (il filone
sentimentale che va da Rousseau ai romantici). Nasce in
tal modo la seconda figura della ragione attiva, che Hegel
denomina ―la legge del cuore e il delirio della
presunzione‘, nella quale l‘individuo, dopo aver cercato di
individuare e di abbattere i responsabilità dei mali nel
mondo (preti fanatici, despoti corrotti), entra in conflitto
con altri presunti portatori dei vero progetto di
miglioramento della realtà: ‗La coscienza che propone la
legge del suo cuore avverte dunque la resistenza da parte
di altri, perché essa contraddice alle leggi altrettanto
singole del cuore loro. Nasce in tal modo la terza figura
della ragione attiva, che Hegel chiama ―La virtù e il corso
del mondo‖. Ma il contrasto tra la virtù, che è il bene
astrattamente vagheggiato dall‘individuo nella sua
speranza di invertire l‘invertito corso del mondo e la
concreta realtà non può che concludersi con la sconfitta
del ‗cavaliere della virtù‘ e dei suoi donchisciotteschi
propositi di moralizzazione dell‘esistente (Robespierre).
Seguono ulteriori figure.
Lo spirito, la religione, il sapere assoluto
264
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
La seconda parte della Fenomenologia comprende tre
sezioni (lo spirito, la religione e il sapere assoluto), che
anticipano il contenuto della filosofia dello spirito.
La logica
In quanto scienza dell‘idea pura, la logica — alla quale
Hegel ha dedicato la seconda delle sue opere
fondamentali, la Scienza della logica (1812-1816), che ha
poi ricapitolato nella prima parte della Enciclopedia —
prende in considerazione la struttura programmatica o
l‘impalcatura originaria del mondo. Tale impalcatura si
specifica in un organismo dinamico di concetti, i quali, in
virtù dell‘equazione fra pensiero ed essere, costituiscono
altrettanti aspetti della realtà. La logica si divide in tre
parti, che corrispondono ai tre momenti dello sviluppo
dell'idea. a) La logica dell'essere, che prende in esame i
concetti più astratti, primo dei quali è il concetto di puro
essere indeterminato, principio di tutto. "II puro essere,"
dice Hegel, "costituisce il cominciamento", esso "preso
nella sua immediatezza, è il nulla". Il cominciamento è
dunque l'unità di essere e nulla, e questa unità è il concetto
di divenire, col quale si ha la prima sintesi, il superamento
della prima opposizione. Dalla contraddizione esistente
nella prima triade dialettica vengono dedotte le categorie
dell'intuizione sensibile: qualità, quantità, misura. b) La
logica dell'essenza, che prende in esame concetti più
concreti, perché nel movimento dialettico l'essenza si
esprime e si manifesta completamente nell'esistenza. Da
questa vengono dedotte le categorie dell'intelletto, cioè
della scienza: forma e materia, legge e fenomeno, causalità
e azione reciproca. c) La logica del concetto, che prende in
265
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
esame la realtà come "sviluppo vivente" di se stessa. Da
questa vengono dedotte le categorie della concezione
idealistica: concetti, giudizi, sillogismi.
La filosofia della natura
Il testo fondamentale della filosofia della Natura di Hegel
è la seconda parte dell‘Enciclopedia. L'idea, quando si
aliena da se stessa, si dispiega nell'esteriorità, dando
origine alla natura, che è, appunto, "l'idea nella forma
dell'essere altro" La filosofia della natura costituisce, nel
sistema hegeliano, la fondamentale mediazione nel
movimento dialettico che ha la sua sintesi nella filosofia
dello spirito. Solo questa può a cogliere lo sviluppo
organico della natura e a trarne una "considerazione
concettuale", mentre la scienza empirica non riesce ad
andare oltre la classificazione. Tuttavia, anche la filosofia
della natura non è priva di limiti, a causa delle
accidentalità che la natura stessa presenta. Infatti la natura
non mostra, nella sua esistenza, alcuna libertà, solo
necessità ed accidentalità, e perciò deve essere divinizzata.
Il mondo della natura viene dedotto in tre gradi: la
meccanica, dedicata all'esteriorità come tale (occupandosi
dello spazio, del tempo e della loro sintesi, il luogo,
culminante nella gravità); la fisica, dedicata alla materia
individualizzata (occupandosi della luce, del peso
specifico, del calore, ecc.); l'organica, dedicata
all'individualità soggettiva (occupandosi della natura
geologica, di quella vegetale e di quella animale).
La filosofia dello spirito
266
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
La filosofia dello Spirito, che Hegel definisce la
conoscenza ―più alta e difficile‘ è lo studio dell‘Idea che,
dopo essersi estraniata da sé, sparisce come natura, cioè
come esteriorità e spazialità. per farsi soggettività e libertà.
Lo sviluppo dello Spirito avviene attraverso tre momenti
principali: lo spirito soggettivo (che è lo spirito individuale
nell‘insieme delle sue facoltà), lo spirito oggettivo (che è
lo spirito sovra-individuale o sociale), lo spirito assoluto
(che è lo spirito il quale sa e conosce se stesso nelle forme
dell‘arte, della religione e della filosofia). Anche lo Spirito
procede per gradi, ma diversamente da quanto accade
nella Natura, nella quale i gradi sussistono l‘uno accanto
all‘altro (come ad es. il mondo vegetale e quello animale),
nello Spirito ciascun grado è compreso e risolto nel grado
superiore, il quale, a sua volta, è già presente nel grado
inferiore.
Lo spirito soggettivo è lo spirito individuale, considerato
nel suo lento e progressivo emergere dalla natura,
attraverso un processo che va dalle forme più elementari
di vita psichica alle più elevate attività conoscitive e
pratiche. La filosofia dello spirito soggettivo si divide in
tre parti; antropologia, fenomenologia e psicologia.
Nella sfera dello spirito oggettivo, in cui lo Spirito si
manifesta in istituzioni sociali concrete, ovvero in
quell‘insieme di determinazioni sovra-individuali che
Hegel raccoglie sotto il concetto di diritto in senso lato. I
momenti dello spirito oggettivo — che è la sezione
storicamente più importante del pensiero hegeliano —
sono tre: il diritto astratto, la moralità e l‘eticità. Il diritto
astratto— che coincide con il diritto privato e con una
267
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
parte di quello penale — riguarda l‘esistenza esterna della
libertà delle persone, concepite come puri soggetti astratti
di diritto, indipendentemente dai caratteri specifici e dalle
condizioni concrete che diversificano i vari individui fra
loro. La persona trova il suo primo compimento in una
cosa esterna, che diventa sua proprietà (definita come
sfera esterna del libero volere). La proprietà diviene però
effettivamente tale soltanto in virtù del reciproco
riconoscimento fra le persone, ossia tramite l‘istituto
giuridico del contratto. Ovviamente, l‘esistenza del diritto
rende possibile l‘esistenza del suo contrario, cioè la
comparsa del torto (o dell‘illecito), che nel suo aspetto più
grave è il delitto. Ma la colpa richiede una sanzione o una
pena, che si configura, dialetticamente, come un ripristino
del diritto violato. La pena, intesa come una riaffermazione potenziata del diritto, ovvero come una
negazione del delitto, il quale è a sua volta una negazione
del diritto, appare quindi come una necessità oggettiva del
nostro razionale e giuridico vivere insieme. Tuttavia,
perché la pena sia efficacemente punitiva e formativa
occorre che essa sia riconosciuta interiormente dal
colpevole. Ma questa esigenza, oltrepassando l‘ambito del
diritto, che concerne l‘esteriorità legale, richiama la sfera
della moralità, della volontà soggettiva, la quale si
manifesta nell‘azione, Quest‘ultima ha una portata morale
solo in quanto sgorga da un proponimento (infatti il
soggetto riconosce come sue soltanto le azioni che
rispondono ad un suo deliberato e responsabile proposito.
In quanto procede da un essere ―pensante, il proponimento
prende la forma dell‘intenzione. Il dominio della moralità
è caratterizzato dalla separazione tra la soggettività, che
268
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
deve realizzare il bene, e il bene che deve essere
realizzato, Bene che assume inevitabilmente l‘aspetto di
un dover-essere, ovvero, come scrive Hegel, di un essere
assoluto, che tuttavia insieme non è. Da ciò la
contraddizione tra essere e dover-essere, che è tipica della
morale, soprattutto di quella kantiana, che Hegel critica
per la sua formalità ed astrattezza, cioè per la sua
mancanza di contenuti concreti. La separazione fra la
soggettività ed il bene, che è tipica della moralità, viene
annullata e risolta nell‘eticità, nella quale il bene si è
attuato concretamente ed è divenuto esistente. Infatti,
mentre la moralità è la volontà soggettiva, cioè interiore e
privata, del bene, l‘eticità è la moralità sociale, ovvero la
realizzazione del bene in quelle forme istituzionali che
sono la famiglia, la società civile e lo Stato.
Il primo momento dell‘eticità è la famiglia, nella quale il
rapporto naturale dei sessi assume la forma di un‘unità
spirituale fondata sull‘amore e sulla fiducia. La famiglia si
articola nel matrimonio, nel patrimonio e nell‘educazione
dei figli. Ma una volta cresciuti e divenuti personalità
autonome, i figli escono dalla famiglia originaria per dare
origine a nuove famiglie, aventi, ognuna, interessi propri.
In tal modo si passa al secondo momento dello spirito
oggettivo.
Con la formazione di nuovi nuclei familiari si ha la società
civile. La società civile non si riduce alla sola base
economica, in quanto il sistema economico moderno
presuppone, secondo Hegel, una serie di meccanismi
giuridici che fanno parte integrante della vita sociale. La
società civile si articola in tre momenti: il sistema dei
269
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
bisogni, l‘amministrazione della giustizia, la polizia e le
corporazioni. L‘idea di porre, fra l‘individuo e lo Stato,
quella sorta di terzo termine che è la società civile è stata
ritenuta una delle maggiori intuizioni di Hegel. Infatti tale
idea sarà largamente utilizzata dagli studiosi di problemi
economici e sociali e troverà in Marx un originale
interprete.
Lo Stato rappresenta il momento culminante dell‘eticità,
ossia la ri-affermazione dell‘unità della famiglia (tesi) al di
là della dispersione della società civile (antitesi). Lo Stato,
che è una sorta di famiglia in grande, nella quale l‘ethos di
un popolo esprime se stesso, sta infatti alla società civile
come l‘universale (= la ricerca del bene comune) sta al
particolare (= la ricerca dell‘utile privato): ―Lo Stato è la
sostanza etica consapevole di sé. … la riunione del
principio della famiglia e della società civile‖. Questa
concezione etica dello Stato, visto come incarnazione
suprema della moralità, sociale e del bene comune, si
differenzia nettamente dalla teoria liberale dello Stato
(Locke) come strumento volto a garantire la sicurezza e i
diritti degli individui. Lo Stato di Hegel si differenzia pure
dal modello democratico (Rousseau), ovvero dalla
concezione secondo cui la sovranità risiederebbe nel
popolo. La critica hegeliana ai modelli liberale e
democratico si fonda sull‘idea secondo cui non sono gli
individui a fondare lo Stato, ma lo Stato a fondare gli
individui, sia dal punto di vista cronologico (in quanto lo
Stato è prima degli individui, che già nascono nell‘ambito
di esso), sia dal punto di vista assiologico (in quanto lo
Stato è superiore agli individui, come il tutto e superiore
alle parti che lo compongono). La monarchia
270
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
costituzionale rappresenta il modello statale più alto,
anche perché riunisce organicamente in sé le forme
classiche di governo: monarchia, aristocrazia e
democrazia.
La filosofia della storia
Hegel non nega che la storia possa apparire, da un certo
punto di vista, un tessuto di fatti contingenti, insignificanti
e mutevoli e quindi priva di ogni piano razionale. Ma tale
può apparire soltanto dal punto di vista dell‘intelletto
finito, cioè dell‘individuo che non sa elevarsi al punto
vista puramente speculativo della ragione assoluta. In
realtà ―il grande contenuto della storia del mondo è
razionale, e razionale deve essere‖. Il fine della storia del
mondo è che lo spirito giunga al sapere di ciò che esso è
veramente, e oggettivi questo sapere, lo realizzi facendone
un mondo esistente, manifesti oggettivamente se stesso.
Questo spirito che si manifesta e realizza nella realtà
storica, è lo spirito del mondo che s‘incarna negli spiriti
dei popoli che si succedono nelle epoche della storia. I
mezzi della storia del mondo sono gli individui con le loro
passioni. Ma le passioni sono semplici mezzi che
conducono nella storia a fini diversi da quelli a cui esse
esplicitamente mirano. Così il progresso trova i suoi
strumenti negli eroi o individui della storia del mondo.
Soltanto a tali individui Hegel riconosce il diritto di
avverare la condizione di cose presenti e di lavorare per
l‘avvenire. Il segno del loro destino eccezionale è il
successo: resistere ad essi è impresa vana.
Apparentemente tali individui (Alessandro, Cesare,
Napoleone) non fanno che seguire la propria passione e la
271
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
propria ambizione; ma si tratta, dice Hegel, di un‘astuzia
della Ragione che si serve degli individui e delle loro
passioni come di mezzi per attuare i suoi fini, L‘individuo
a un certo punto perisce o è condotto a rovina dal suo
stesso successo: l‘idea universale, che l‘aveva suscitato, ha
già raggiunto il suo fine. Rispetto a tale fine, individui o
popoli sono soltanto mezzi. Il disegno provvidenziale della
storia si rivela nella vittoria che di volta in volta consegue
il popolo che ha concepito il più alto concetto dello spirito.
Se il fine ultimo della storia del mondo è la realizzazione
della libertà dello spirito, lo Stato è l‘ambito nel quale si
realizza questa libertà. La storia del mondo è, da questo
punto di vista, la successione di forme statali che
costituiscono momenti di un divenire assoluto. I tre
momenti di essa, il mondo orientale, il mondo grecoromano, il mondo germanico, sono i tre momenti della
realizzazione della libertà dello spirito del mondo. Nel
mondo orientale uno solo è libero; nel mondo grecoromano alcuni sono liberi; nel mondo cristiano-germanico
tutti gli uomini sanno di essere liberi. Infatti la monarchia
moderna, abolendo i privilegi dei nobili e pareggiando i
diritti dei cittadini, fa libero l‘uomo in quanto uomo.
Lo spirito assoluto
Lo spirito assoluto è il momento in cui l‘Idea giunge alla
piena coscienza della propria infinità o assolutezza (cioè
del fatto che tutto è Spirito e che non vi è nulla al di fuori
dello Spirito). Tale auto-sapersi assoluto dell‘Assoluto non
è qualcosa di immediato, ma il risultato di un processo
dialettico rappresentato dall‘arte, dalla religione e dalla
filosofia. Queste attività si differenziano soltanto per la
272
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
forma nella quale ciascuna di esse presenta lo stesso
contenuto, che è Dio. L‘arte conosce l‘assoluto nella
forma dell‘intuizione sensibile, la religione nella forma
della rappresentazione, la filosofia nella forma del puro
concetto.
L‘arte
La storia dell‘arte si compone di tre momenti
fondamentali: l‘arte simbolica, quella classica e e quella
romantica. Nell‘arte simbolica (antico Egitto) vi è
l‘incapacità tecnica di esprimere i concetti che dunque
sono rappresentati da puri simboli (es. graffiti). Nell‘arte
classica (Grecia) vi è invece un perfetto equilibrio tra
forma
e
contenuto.
Nell‘arte
romantica
(età
contemporanea) vi è una netta superiorità tecnica rispetto
al contenuto sensibile. Ne consegue la ―morte dell‘arte‖.
La religione
La religione è la seconda forma dello spirito assoluto,
quella in cui l‘assoluto si manifesta nella forma della
rappresentazione. Si ha così la rappresentazione degli
attributi divini singolarmente presi, delle relazioni tra Dio
e il mondo nella creazione. della relazione tra Dio e la
storia del mondo nella provvidenza ecc. Tutte queste
rappresentazioni vengono unite in modo puramente
esteriore, Dunque si giunge a riconoscere l‘inconcepibilità
dell‘essenza divina che le unifica. In altri termini, la
religione non è in grado di pensare Dio dialetticamente e
finisce per arenarsi di fronte ad un presunto mistero
dell‘Assoluto. Lo sviluppo della religione è lo sviluppo
dell‘idea di Dio nella coscienza umana. Nel primo stadio
273
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
di questo sviluppo troviamo la religione naturale in cui
Dio appare ancora come ―sepolto‖ nella natura. Le forme
più basse di religione naturale sono la stregoneria ed il
feticismo delle tribù primitive dell‘Asia e dell‘Africa. Le
forme più alte di religione naturale sono quelle in cui Dio
appare come la potenza che sta nei fenomeni. Tali sono le
religioni panteistiche dell‘estremo Oriente (cinese.
indiana, buddistica). Nel secondo stadio troviamo le
religioni della libertà, cioè le religioni che già preludono
alla visione di Dio come spirito libero, ma che si muovono
ancora in un orizzonte naturalistico (come accade nella
religione persiana, siriaca ed egiziana). Nel terzo stadio ci
sono le religioni dell‘individualità (giudaica, greca,
romana) in cui Dio appare in forma spirituale (o in
sembianze umane). Nel quarto stadio troviamo la religione
assoluta, cioè la religione cristiana, in cui Dio appare
come puro spirito. Sebbene il cristianesimo sia la religione
più alta e la più vicina, con i suoi dogmi, alle verità della
filosofia (Cristo, Uomo-Dio, esprime ad es. l‘identità di
finito e infinito; la Trinità di Padre, Figlio e Spirito Santo
la triade dialettica di Idea, Natura e Spirito), essa presenta
pur sempre il limite di cogliere Dio nella forma inadeguata
della rappresentazione, anziché in quella adeguata del
concetto.
Filosofia e storia della filosofia
Nella filosofia, che è l‘ultimo momento dello spirito
assoluto, l‘Idea giunge alla piena e concettuale coscienza
di se medesima. Hegel ritiene che la filosofia, al pari della
realtà, sia una formazione storica, ossia una totalità
processuale che si è sviluppata attraverso una serie di
274
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
gradi. In altre parole, la filosofia è nient‘altro che l‘intera
storia della filosofia giunta finalmente a compimento con
Hegel. Di conseguenza. i vari sistemi filosofici che si sono
succeduti nel tempo non devono essere considerati come
un insieme disordinato ed accidentale, in quanto ognuno di
essi costituisce una tappa necessaria del farsi della Verità,
che supera quello che precede ed è superato da quello che
segue. La filosofia, che è ultima nel tempo, è insieme un
risultato di tutte le precedenti e deve contenere i principi di
tutte. L‘ultima filosofia è quella di Hegel.
275
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
CAPITOLO 14
A. Schopenhauer
Opere principali:
Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente.
Il mondo come volontà e rappresentazione, pubblicata nel
dicembre del 1818, ma con la data dell'anno successivo.
Parerga e paralipomena, 1851
Radici culturali del sistema
Schopenhauer si pone come punto di incontro (o di
scontro) di esperienze filosofiche eterogenee: Platone,
Kant, l‘illuminismo, il Romanticismo, l‘idealismo e la
sapienza indiana. Di Platone lo attrae soprattutto la teoria
delle idee, intese come forme eterne sottratte alla finitezza
del nostro mondo. Da Kant, che egli considera come il
filosofo più grande e più originale della storia del
pensiero, deriva l‘impostazione soggettivistica della sua
gnoseologia. Dell‘Illuminismo lo interessano il filone
materialistico e quello dell‘ideologia, da cui eredita la
tendenza a considerare la vita psichica e sensoriale in
termini di fisiologia del sistema nervoso. inoltre da
Voltaire desume lo spirito ironico e brillante e la tendenza
demistificatrice nei confronti delle credenze tramandate.
Dal Romanticismo Schopenhauer trae alcuni temi di fondo
del suo pensiero, come ad esempio l‘irrazionalismo, la
grande importanza attribuita all‘arte e alla musica, e,
soprattutto, il tema dell‘infinito, cioè la tesi della presenza.
nel mondo, di un Principio assoluto di cui le varie realtà
sono
manifestazioni
transeunti.
Altro
motivo
276
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
indubbiamente romantico è quello del dolore. Tuttavia
mentre il Romanticismo, sul piano filosofico, mostra una
tendenza globalmente ottimistica, che si concretizza in un
tentativo di riscattare il negativo tramite il positivo (Dio,
lo Spirito, la storia, il progresso ecc.), Schopenhauer
appare decisamente orientato verso il pessimismo, di cui è
uno dei maggiori teorici. L‘idealismo, soprattutto nella
versione hegeliana, è il vero bersaglio polemico.
Schopenhauer è stato invece un ammiratore della sapienza
orientale ed un ‗profeta‘ del suo successo in Occidente.
Il mondo come rappresentazione
Il punto di partenza della filosofia di Schopenhauer è la
distinzione kantiana tra fenomeno e cosa in sé. Ma per
Schopenhauer il fenomeno è solo parvenza illusione,
sogno, ovvero ciò che nell‘antica sapienza indiana è detto
velo di Maya; mentre il noumeno è una realtà che si
nasconde dietro l‘ingannevole trama del fenomeno, e che
il filosofo ha il compito di scoprire. Fin da principio,
Schopenhauer riconduce quindi il concetto di fenomeno ad
un significato estraneo allo spirito del kantismo, che
appare vicino, almeno in parte, alla filosofia indiana e
buddistica. Tant‘è vero che egli crede di poter esprimere
l‘essenza del kantismo con la tesi, che apre il suo
capolavoro, secondo cui il mondo è la mia
rappresentazione‖. Per Schopenhauer questo è un
principio simile agli assiomi di Euclide: ognuno ne
riconosce la verità appena lo intende ed è uno dei grandi
risultati della filosofia moderna, a partire da Cartesio. La
rappresentazione ha due aspetti essenziali e inseparabili, la
cui distinzione costituisce la forma generale della
277
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
conoscenza: da un lato c‘è il soggetto rappresentante,
dall‘altro c‘è l‘oggetto rappresentato, Soggetto e oggetto
esistono soltanto all‘interno della rappresentazione, come
due lati di essa, e nessuno dei due precede o può sussistere
indipendentemente dall‘altro. Di conseguenza. non ci può
essere soggetto senza oggetto. Il materialismo è falso
perché nega il soggetto riducendolo all‘oggetto o alla
materia. L‘idealismo è parimenti errato poiché compie il
tentativo opposto e altrettanto impossibile di negare
l‘oggetto riducendolo al soggetto. Sulle orme del
criticismo, anche Schopenhauer ritiene che la nostra
mente, o più esattamente il nostro sistema nervoso e
cerebrale (1), risultino corredati di una serie di forme a
priori, la scoperta delle quali è un capitale merito di Kant,
un immenso merito. Tuttavia, a differenza di Kant,
Schopenhauer ammette solo tre forme a priori: spazio,
tempo e causalità. Quest‘ultima è l‘unica categoria, in
quanto tutte le altre sono riconducibili ad essa e poiché la
realtà stessa dell‘oggetto si risolve completamente nella
sua azione causale su altri oggetti. La causalità assume
forme diverse a seconda degli ambiti in cui opera,
manifestandosi come necessità fisica, logica, matematica e
morale, ovvero come principio del divenire (che regola i
rapporti fra gli oggetti naturali), del conoscere (che regola
i rapporti fra premesse e conseguenze). dell‘essere (che
regola i rapporti spazio-temporali e le connessioni
matematiche) e dell‘agire (che regola le connessioni fra
un‘azione e i suoi motivi). Andando alla ricerca di
precedenti illustri di questa intuizione, Schopenhauer cita i
filosofi Veda che considerano l‘esistenza comune come
una sorta di illusione ottica, ma anche Platone, Pindaro e
278
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Sofocle. Ma al di là del sogno esiste la realtà vera, sulla
quale l‘uomo, non può fare a meno di interrogarsi. Infatti,
sostiene Schopenhauer, l‘uomo è un ―animale metafisico‖,
che, a differenza degli altri esseri viventi, è portato a
stupirsi della propria esistenza e ad interrogarsi
sull‘essenza della vita. Ciò avviene proporzionalmente alla
sua intelligenza: nessun essere, eccetto l‘uomo, si stupisce
della propria esistenza: per tutti gli animali essa è una cosa
che si intuisce per se stessa, nessuno vi fa caso
La via d‘accesso alla cosa-in-sé
Schopenhauer ritiene di aver individuato quella via
d‘accesso al noumeno che Kant aveva precluso. Ma se la
nostra
mente
è
chiusa
nell‘orizzonte
della
rappresentazione, com‘è possibile ―lacerare‖ il velo di
Maya? Se noi fossimo soltanto conoscenza o una testa
senza corpo, argomenta Schopenhauer non potremmo mai
uscire dalla rappresentazione puramente esteriore di noi e
delle cose. Ma poiché siamo dati a noi medesimi non solo
come rappresentazione, ma anche come corpo, non ci
limitiamo a vederci dal di fuori, bensì ci viviamo anche
dal di dentro, godendo e soffrendo. Ed è proprio questa
esperienza di base, simile ad un raggio di sole che penetra
oltre la nuvola, che permette all‘uomo di squarciare il velo
del fenomeno e di afferrare la cosa in sé. Infatti,
ripiegandoci su noi stessi, ci rendiamo conto che l‘essenza
profonda del nostro io, o meglio, la cosa in sé del nostro
essere globalmente considerato, è la ―volontà di vivere‖,
cioè un impulso prepotente e irresistibile che ci spinge ad
esistere e ad agire. Più che intelletto o conoscenza, noi
siamo vita e volontà di vivere, e il nostro stesso corpo non
279
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
è che la manifestazione esteriore dell‘insieme delle nostre
brame interiori: l‘apparato digerente non è che l‘aspetto
fenomenico della volontà di nutrirsi, l‘apparato sessuale
non è che l‘aspetto oggettivato della volontà di accoppiarsi
e di riprodursi, e così via. E l‘intero mondo fenomenico
non e altro che la maniera attraverso cui la volontà si
manifesta o si rende visibile a se stessa nella
rappresentazione spazio-temporale. Da ciò il titolo del
capolavoro di Schopenhauer: Il mondo come volontà e
rappresentazione. Fondandosi sul principio di analogia,
Schopenhauer afferma che la volontà di vivere non è
soltanto la radice noumenica dell‘uomo, ma anche
l‘essenza segreta di tutte le cose, ossia la cosa in sé
dell‘universo, finalmente svelata.
Essendo al di là del fenomeno, la Volontà presenta
caratteri contrapposti a quelli del mondo della
rappresentazione, in quanto si sottrae alle forme proprie di
quest‘ultimo: lo spazio, il tempo e la causalità. La Volontà
primordiale è inconscia, poiché la consapevolezza e
l‘intelletto costituiscono soltanto delle sue possibili
manifestazioni secondarie. Il termine Volontà, preso in
senso metafisico, non si identifica con quello di volontà
cosciente, ma con il concetto più generale di energia o di
impulso (e in questo senso si comprende perché
Schopenhauer attribuisca la volontà anche alla materia
inorganica e ai vegetali). La Volontà non è qui più di
quanto non sia là, più oggi di quanto non sia stata ieri o
sarà domani, Essa, dice Schopenhauer, è in una quercia
come in un milione di querce. Essendo oltre la forma del
tempo, la Volontà è anche eterna e indistruttibile, ossia un
Principio senza inizio né fine. La Volontà primordiale non
280
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
ha una meta oltre se stessa: la vita vuole la vita, la volontà
vuole la volontà, ed ogni motivazione o scopo cade entro
l‘orizzonte del vivere e del volere. Miliardi di esseri
(vegetali, animali, umani) non vivono che per vivere e
continuare a vivere. È questa. secondo Schopenhauer,
l‘unica crudele verità sul mondo. Il mondo delle realtà
naturali si struttura a propria volta attraverso una serie di
gradi disposti in ordine ascendente. Il grado più basso
dell‘oggettivazione della Volontà è costituito dalle forze
generali della natura. I gradi superiori sono le piante e gli
animali e il vertice della piramide è rappresentato
dall‘uomo, nel quale la Volontà diviene pienamente
consapevole.
Il pessimismo
Se l‘essere è la manifestazione di una Volontà infinita,
questo comporta, secondo Schopenhauer, che la vita è
dolore per essenza. Infatti volere significa desiderare, e
desiderare significa trovarsi in uno stato di tensione, per la
mancanza di qualcosa che non si ha e si vorrebbe avere. Il
desiderio risulta quindi, per definizione, assenza, vuoto,
indigenza: ossia dolore. E poiché nell‘uomo la Volontà è
più cosciente, egli risulta il più bisognoso e mancante
degli esseri, e destinato a non trovare mai un appagamento
verace e definitivo: Ogni volere scaturisce da bisogno,
ossia da mancanza, ossia da sofferenza. A questa dà fine
l‘appagamento; tuttavia per un desiderio che venga
appagato, ne rimangono almeno dieci insoddisfatti; inoltre
la brama dura a lungo, le esigenze vanno all‘infinito;
l‘appagamento è breve. Anzi, la stessa soddisfazione
finale è solo apparente: il desiderio appagato dì tosto
281
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
luogo a u desiderio nuovo: quello è un errore riconosciuto,
questo un errore non conosciuto ancora. Per di più, ciò che
gli uomini chiamano godimento (fisico) e gioia (psichica)
è nient‘altro. come avevano già. sostenuto Pietro Verri e
Giacomo Leopardi, che una cessazione di dolore, ossia lo
scarico da uno stato preesistente di tensione, che ne
rappresenta la condizione indispensabile. Infatti,
argomenta Schopenhauer, perché ci sia piacere bisogna
per forza che vi sia uno stato precedente di tensione o di
dolore (ad esempio il godimento del bere presuppone la
sofferenza della sete). La stessa cosa non vale tuttavia per
il dolore, che non può affatto essere ridotto, con un puro
gioco dialettico di parole, a cessazione di piacere. Detto
negli incisivi termini figurati di una battuta dei Parerga e
paralipomena: Non v‘è rosa senza spine, ma vi sono
parecchie spine senza rose! Di conseguenza, mentre il
dolore, identificandosi con il desiderio, che è la struttura
stessa della vita, è un dato primario e permanente, il
piacere è solo una funzione derivata del dolore, che vive
unicamente a spese di esso. Accanto al dolore, che è una
realtà durevole, e al piacere, che è qualcosa di
momentaneo, Schopenhauer pone, come terza situazione
esistenziale di base, la noia, la quale subentra quando vien
meno l‘aculeo del desiderio oppure il frastuono delle
attività. Di conseguenza, conclude Schopenhauer. la vita
umana è come un pendolo che oscilla fra il dolore e la
noia, passando attraverso l‘intervallo, per di più illusorio,
del piacere e della gioia. Tracce della lettura di Verri da
parte di Schopenhauer emergono anche confrontando testi
delle due opere. Schopenhauer cita invece Leopardi,
manifestando grande considerazione per ―l‘italiano.‘ che
282
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
saputo rappresentare in maniera profonda il dolore.
Sembra invece che Leopardi non abbia avuto modo di
conoscere il pensatore tedesco. Schopenhauer perviene ad
una delle più radicali forme di pessimismo di tutta la storia
del pensiero, ritenendo che il male non sia solo nel inondo,
ma il Principio stesso da cui esso dipende.
Le vie di liberazione dal dolore: l‘arte, l‘etica, l‘ascesi
Schopenhauer fa proprie le sentenze pessimistiche dei
saggi dell‘Oriente (―esistere è soffrire‖), di Platone (―è
meglio non essere nati piuttosto che vivere‘), di Calderòn
de la Barca (―il delitto maggiore per l‘uomo è di essere
nato‖), nonché di certa tradizione biblico-cristiana e
afferma che l‘esistenza, in virtù del dolore che la
costituisce, risulta tal cosa che si impara poco per volta a
non volerla. Si potrebbe pensare che il sistema di
Schopenhauer finisca in una ―filosofia del suicidio
universale‖. Ma Schopenhauer condanna il suicidio per
due motivi di fondo: 1) perché suicidio, lungi dall‘essere
negazione della volontà, è invece un atto di forte
affermazione della volontà stessa in quanto il suicida
anziché negare veramente la volontà egli nega piuttosto la
vita; 2) perché il suicidio sopprime unicamente
l‘individuo, ossia una manifestazione fenomenica della
Volontà di vivere, lasciando intatta la cosa in sé, che pur
morendo in un individuo rinasce in mille altri, simile al
sole che, appena tramontato da un lato, risorge dall‘altro.
Di conseguenza, secondo Schopenhauer, la vera risposta al
dolore del mondo non consiste nell‘eliminazione, tramite
il suicidio, di una vita o più vite, ma nella liberazione dalla
stessa Volontà di vivere. Ma com‘è possibile, per l‘uomo,
283
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
spezzare le catene della Volontà se quest‘ultima
costituisce la sua essenza e la struttura metafisica
dell‘universo? Schopenhauer indica tre possibili vie di
liberazione dal dolore: l‘arte, la morale e l‘ascesi.
L‘arte è libera e disinteressata e si rivolge alle idee, ossia
alle forme pure o ai modelli eterni delle cose. Per questa
sua capacità di muoversi in un mondo di forme eterne,
l‘arte sottrae l‘individuo alla catena infinita dei bisogni e
dei desideri quotidiani, con un appagamento immobile e
compiuto. Di conseguenza l‘arte, secondo Schopenhauer
risulta catartica per essenza, in quanto l‘uomo, grazie ad
essa, contempla la vita, elevandosi al di sopra della
volontà, del dolore e del tempo. Fra le arti spicca la
tragedia che è la rappresentazione del dramma della vita.
Posto a sé occupa invece la musica. Infatti essa non
riproduce mimeticamente le idee, come le altre arti, ma si
pone come immediata rivelazione della volontà a se stessa.
Ma la funzione liberatrice dell‘arte è pur sempre
temporanea e parziale ed ha i caratteri,di un gioco
effimero o di un breve incantesimo. Di conseguenza essa
non è una via per uscire dalla vita, ma solo un conforto
alla vita stessa. La via della redenzione presuppone quindi
altri sentieri.
A differenza della contemplazione estetica, che è un
estraniarsi trasognato dalla realtà, la morale implica un
impegno nel mondo a favore del prossimo. Infatti l‘etica è
un tentativo di superare l‘egoismo e di vincere quella lotta
incessante degli individui fra di loro, che costituisce
l‘ingiustizia e che rappresenta una delle maggiori fonti di
dolore. Contro Kant, sostiene che l‘etica non sgorga da un
284
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
imperativo categorico dettato dalla ragione, ma da un
sentimento di pietà attraverso cui avvertiamo come nostre
le sofferenze degli altri. La morale si concretizza in due
virtù cardinali: la giustizia e la carità. La giustizia, che è
un primo freno all‘egoismo, ha un carattere negativo,
poiché consiste nel non fare il male e nell‘essere disposti a
riconoscere agli altri ciò che siamo pronti a riconoscere a
noi stessi. La carità si identifica invece con la volontà
positiva e attiva di fare del bene al prossimo.
Diversamente dall‘eros, che essendo egoistico e
interessato, è un falso amore, l‘agàpe, essendo
disinteressato, è vero amore: ogni puro e sincero amore è
pietà. Ai suoi massimi livelli la pietà consiste nel far
propria la sofferenza di tutti gli esseri passati e presenti e
nell‘assumere su di sé il dolore cosmico. Sebbene la
morale della pietà implichi una vittoria sull‘egoismo, essa
rimane pur sempre all‘interno della vita e presuppone un
qualche attaccamento ad essa. Ma Schopenhauer, non
pago di approfondire l‘esperienza della pietà, o di
formulare eventuali tecniche per tradurla efficacemente in
atto, si propone il traguardo di una liberazione totale non
solo dall‘egoismo e dall‘ingiustizia, ma dalla stessa
volontà di vivere.
Questa liberazione è l‘ascesi, che nasce dall‘orrore
dell‘uomo per l‘essere di cui è manifestazione il suo
proprio fenomeno, per la volontà di vivere, per il nocciolo
e l‘essenza di un mondo riconosciuto pieno di dolore, è
l‘esperienza per la quale l‘individuo, cessando di volere la
vita ed il volere stesso, si propone di estirpare il proprio
desiderio di esistere, di godere e di volere: Il primo passo
dell‘ascesi è la castità perfetta, che libera dalla prima e
285
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
fondamentale manifestazione della volontà di vivere:
l‘impulso alla generazione e alla propagazione della
specie. La rinuncia .i piaceri, l‘umiltà, il digiuno, la
povertà, il sacrificio che sono le altre manifestazioni
tipiche dell‘ascetismo, tendono tutte al medesimo scopo,
che è quello di sciogliere la volontà di vivere dalle proprie
catene. La soppressione della volontà di vivere, di cui
l‘ascesi rappresenta la tecnica, è l‘unico vero atto di libertà
che sia possibile all‘uomo. Infatti l‘individuo, come
fenomeno, è in anello della catena causale ed è
necessariamente determinato dal suo carattere. Ma quando
egli riconosce la volontà come cosa in sé, si sottrae alla
determinazione dei motivi che agiscono su di lui come
fenomeno. Quando succede ciò, l‘uomo diviene libero, si
rigenera ed entra in quello stato che i cristiani chiamano di
grazia. Tuttavia, mentre nei mistici del Cristianesimo
l‘ascesi si conclude con l‘estasi, che è lo stato di unione
con Dio, nel misticismo ateo di Schopenhauer il cammino
nella salvezza mette capo al nirvana buddista, che è
l‘esperienza del nulla. Un nulla che secondo quanto
insegnano i testi e i maestri dell‘Oriente non è il niente,
bensì un nulla relativo al mondo, cioè una negazione del
mondo stesso. Se il mondo, con tutte le sue illusioni, le sue
sofferenze e i suoi rumori, e un nulla, il nirvana, per
l‘asceta schopenhaueriano, è un tutto, cioè un oceano di
pace o ano spazio luminoso di serenità, in cui si dissolve la
nozione stessa di io e di soggetto. Secondo un punto di
vista largamente diffuso tra i critici, la teoria orientalistica
dell‘ascesi costituisce la parte più debole e contraddittoria
del sistema schopenhaueriano.
286
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
CAPITOLO 15
S. Kierkegaard
Filosofo danese (1813 – 1855), ha scritto: Sul concetto
dell‘ironia (1841), Aut - Aut (1843), Timore e tremore
(1843), La ripresa (1843), Briciole di filosofia (1844), Il
concetto dell‘angoscia (1844),Stadi sul cammino della vita
(1845)
Kierkegaard è un precursore dell'esistenzialismo, la
corrente filosofica che ha dominato in Europa, nella prima
metà del '900. In particolare il suo pensiero è stato
rivalutato subito dopo la prima guerra mondiale, quando
non si poteva più credere in alcuna filosofia sistematica
che spiegasse, con fiducia nel progresso, il senso della
vita. A lui si richiama la filosofia esistenziale tedesca di
Heidegger e Jaspers e l‘esistenzialismo francese Marcel,
Lavelle, Le Senne, Camus, Gide. In Italia suoi seguaci
sono stati Abbagnano e Paci, Cantoni, Pareyson e molti
altri ancora. Si deve però sottolineare che l'esistenzialismo
francese, tedesco e italiano non ha tenuto in particolare
considerazione la problematica religiosa di Kierkegaard;
dal suo pensiero ha piuttosto tratto quei concetti generali
validi per ogni uomo, come "possibilità", "scelta",
"paradosso", "angoscia", "disperazione", "singolo.
La critica ad Hegel
"Nella specie animale vale sempre il principio: il singolo è
inferiore al genere. Il genere umano ha la caratteristica,
appunto perché ogni singolo è creato ad immagine di Dio,
che il Singolo è più alto del genere". L‘esistenza
287
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
corrisponde alla realtà individuale, al Singolo; e non
coincide mai con il concetto: un uomo singolo, concreto,
determinato non ha certo un‘esistenza puramente
concettuale. Invece la filosofia hegeliana pare solo
interessata ai concetti: essa non si preoccupa di
quell‘esistente concreto che siamo io o tu. Il sistema
hegeliano ha inoltre la pretesa di spiegare tutto e di
dimostrare la necessità di ogni evento. Ma l‘esistenza non
può essere chiusa in un sistema.
Gli stadi della vita
L‘esistenza è il regno della libertà: l‘uomo è ciò che
sceglie di essere, è quello che diventa. Ci sono tre
alternative fondamentali nella vita umana: lo stadio
estetico, quello etico e quello religioso. Tra uno stadio e
l‘altro vi è un salto e un abisso; ognuno di essi rappresenta
un‘alternativa che esclude l‘altra. Nello stadio estetico
l‘esteta è colui che vuole vivere nell‘attimo, cercando do
coglierne la pienezza. Egli intende fare della sua vita
un‘opera d‘arte, da cui sia bandita la noia, la tristezza, la
monotonia. "Godi la vita e vivi il tuo desiderio", dice
l‘estetica, che trova il suo modello nella figura del Don
Giovanni, il quale sa porre il suo godimento nella
limitazione e nell‘intensità dell‘appagamento. In questo
stadio però non è possibile, secondo Kierkegaard, né scelta
autentica né libertà: infatti l‘esteta lascia alle circostanze
decidere per lui. Inoltre l‘ultimo sbocco della vita estetica
è la disperazione. Essa sorge dall‘aver voluto basare la vita
solo su se stesso e non sugli altri e su Dio. "Chiunque vive
esteticamente è disperato, lo sappia o non lo sappia; anzi,
forse più di ogni altro è disperato colui che non sente in sé
288
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
nessuna disperazione". Ma se la radice della disperazione
sta nel volersi accettare dalle mani di Dio, allora è chiaro
che l‘esistenza autentica è quella disponibile all‘amore di
Dio, quella di colui che non crede più a se stesso ma
soltanto a Dio.
Vi è poi la vita etica: essa implica una stabilità e una
continuità che la vita estetica, come incessante ricerca
della varietà, esclude da sé. Nella vita etica, l‘uomo si
sottopone ad una forma, si adegua all‘universale e rinuncia
ad essere l‘eccezione. La vita etica è raffigurata dalla
figura del marito e dall‘elogio del matrimonio. E‘ l‘uomo
che sceglie se stesso, che in questa scelta afferma la
continuità della sua vita, l‘impegno e non la fuga dalle
responsabilità; in una parola, accetta la ripetizione. Essa è
la possibilità di riconfermare il passato, accettando ogni
volta e in modo nuovo di amare la stessa donna, di avere
gli stessi amici, di esprimersi nella stessa professione. La
ripetizione indica la serietà della vita, è il coraggio etico
della vita. Come uomo etico, il marito ha il dovere di
conformarsi alla legge morale che è universale, ma nello
stesso tempo egli rischia di perdere nella anonimità e nella
folla la sua personalità e la sua autonomia. Inoltre nello
stadio etico ci si imbatte nella contraddizione del
pentimento. Infatti, se l‘uomo sceglie se stesso fino in
fondo, trova, secondo Kierkegaard, la propria origine, cioè
Dio, nel senso che c‘è in noi un‘ansia di infinito che non si
lascia racchiudere nei limiti di marito e lavoratore. Ma
poiché di fronte alla maestà divina l‘unico sentimento che
l‘uomo può provare è quello della propria inadeguatezza
morale, cioè della propria colpevolezza, l‘esito finale della
vita etica è appunto il pentimento. L‘uomo etico viene così
289
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
messo di fronte al peccato, il quale però non è più una
categoria etica bensì religiosa. Col pentimento dunque si
esce dalla sfera dell‘etica per entrare in quella della
religione, il che richiede il salto della fede.
La vita religiosa, la fede, va al di là dello stesso ideale
etico della vita. Il simbolo della fede è visto da
Kierkegaard nella figura di Abramo, che accetta il rischio
della prova impostagli da Dio, accetta il rischio di porsi di
fronte a Dio, come un singolo di fronte all‘Altissmo. La
fede va al di là della stessa morale perché Dio ordina ad
Abramo di sacrificargli il figlio, quindi di commettere un
omicidio. Come poter accettare una simile prova? Ma la
fede consiste proprio in quel rischio, nell‘accettazione del
paradosso e della prova. L‘atto di fede implica una rottura
recisa con la razionalità ed esige il passaggio, il salto, ad
una sfera che è incommensurabile con la ragione naturale.
L‘oggetto della fede urta contro la ragione che pretende di
spiegare e di esaurire tutto e non ammette nulla sopra di
sé: per essa, che non vuole credere, l‘oggetto della fede è
un assurdo. Per il credente, che ammette la trascendenza
ed è convinto che a Dio nulla è impossibile, esso è un
paradosso. Il paradosso nella verità religiosa dipende dal
fatto che essa è la verità così come lo è per Dio. Qui si
usano una misura ed un criterio sovraumani, e rispetto a
questo una sola situazione è possibile: quella della fede.
Proprio per il paradosso come tale il credente è portato a
credere, e non per una evidenza logica. Kierkegaard
esprime questo con la formula: "Comprendere che non si
può né si deve comprendere". Lo scandalo è per
Kierkegaard il momento cruciale nella prova della fede, il
punto di resistenza e perciò il segno della trascendenza
290
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
della verità cristiana di fronte alla ragione. Lo scandalo
indica il soccombere della ragione perché è il rifiuto di
"comprendere di non comprendere", giacché la ragione
vuole solo comprendere. Per Kierkegaard l‘origine dello
scandalo nasce dal fatto che l‘uomo non si pone come
"singolo davanti a Dio", e cioè non accetta la misura di
Dio. Quando ci poniamo davanti a Dio non c‘è più spazio
per finzioni, ma la scoperta che "c‘è un‘infinita abissale
differenza qualitativa tra Dio e l‘uomo", e cioè che l‘uomo
non può assolutamente nulla, che è Dio a dare tutto. Ma
oltre a questo si tratta, nel Cristianesimo, di ammettere che
Dio stesso si è messo in rapporto con l‘uomo, che Dio è
entrato nel tempo, che l‘Eterno si è incarnato in un uomo,
di accettare lo ―scandalo‖ di credere che un uomo singolo
sia Dio, che Gesù sia Dio. Ora, la fede in Cristo è proprio
superamento dello scandalo ed accettazione del paradosso
che è l‘uomo-Dio; è accettazione del fatto che la Chiesa
sia militante e non trionfante. E questo può essere fatto
solo con una scelta di fede. La scelta di fede, quindi
l‘accettazione del paradosso e il superamento dello
scandalo, può portare all‘angoscia. L‘angoscia è la
coscienza della nostra terribile libertà: tutto ci è possibile,
quindi possiamo anche perderci, andare in contro al
disvalore, al nulla. L‘angoscia è il puro sentimento del
possibile; è il senso di quello che può accadere e che può
essere molto più terribile della realtà. L‘angoscia
caratterizza la condizione umana: chi vive nel peccato è
angosciato dalla possibilità del pentimento; chi è libero dal
peccato, vive nell‘angoscia di ricadervi. Se l‘angoscia è
tipica dell‘uomo nel suo rapportarsi col mondo, la
disperazione è propria dell‘uomo nel suo rapporto con se
291
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
stesso. Il credente però possiede il "contravveleno" sicuro
contro la disperazione: è la fede, il credere che a Dio tutto
è possibile. La fede è l‘eliminazione della disperazione,
per cui l‘uomo, pur orientandosi verso se stesso e volendo
essere se stesso, non si illude della sua autosufficienza ma
riconosce la sua dipendenza da Dio. La fede sostituisce
alla disperazione la speranza e la fiducia in Dio. Ma porta
l‘uomo al di là della semplice razionalità: essa è, come
sappiamo, paradosso e scandalo.
La verità
Ma la verità cristiana non è per Kierkegaard una verità da
dimostrare, quanto piuttosto una verità da testimoniare.
Kierkegaard afferma, a questo proposito, che "la
soggettività, l‘interiorità è la verità" intendendo non certo
che la verità è soggettiva o relativa, ma che la verità è tale
quando è scelta e vissuta in prima persona, quando è una
"verità per me", per la quale io possa vivere e anche
morire. Esistere vuol dire rapportarsi alla verità che è
Cristo, vuol dire scegliere di vivere la fede, testimoniando
con la propria vita l‘importanza della verità in cui si crede,
contro ogni speculazione astratta, che non mette in
questione il singolo.
La critica al cristianesimo mondano
Nella cristianità si è purtroppo dimenticato cosa vuol dire
essere cristiani. Si è dimenticato che la fede esige il salto
supremo, cioè l‘accettazione dell‘uomo-Dio; si è
dimenticato che la fede in Cristo è superamento dello
scandalo e accettazione della croce, che è perciò
l‘accettazione del modello (Gesù), sofferente. Kierkegaard
292
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
vede in Lutero il primo responsabile della
mondanizzazione del Cristianesimo. Il protestantesimo,
abolendo ad esempio il celibato e l‘ascesi, ha abolito il
Cristianesimo del Nuovo Testamento e lo ha tradito
trasformandosi in una sorta di comodo paganesimo.
293
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
CAPITOLO 16
Feuerbach e Marx
Ludwig Feuerbach (1804– 1872)
E‘ stato un filosofo tedesco tra i più influenti critici della
religione ed esponente della sinistra hegeliana.
L'essenza del cristianesimo (1841) Principi della filosofia
dell'avvenire (1844) L'essenza della religione (1845)
Il rovesciamento dei rapporti di predicazione soggettooggetto
E‘ il metodo caratteristico usato da Feuerbach nella sua
battaglia contro la mentalità idealistico-religiosa. Metodo
che consiste nel ri-capovolgere ciò che l‘idealismo ha
capovolto, ossia nel riconoscere di nuovo ciò che è
realmente soggetto (= il concreto) e ciò che è realmente
predicato (= l‘astratto). Ad es. non è la natura a fungere da
predicato o attributo dello spirito (idealismo), ma lo spirito
a fungere da predicato o attributo della natura
(naturalismo).
Dio secondo Feuerbach, è nient‘altro che l‘essenza
oggettivata del soggetto, cioè la proiezione illusoria di
qualità umane: ―Tutte le qualificazioni dell‘essere divino
sono... qualificazioni dell‘essere umano‖ (L‘essenza del
cristianesimo). Circa l‘origine dell‘idea di Dio Feuerbach
si è variamente espresso. Talora ne ha individuato la
genesi nella distinzione fra individuo e specie; talora nel
sentimento di dipendenza che l‘uomo prova nei confronti
294
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
della Natura. In ogni caso, la religione ha una chiara
matrice antropologica
Antropologia capovolta
È il modo con cui Feuerbach concepisce la religione,
intesa come ―la prima, ma indiretta autocoscienza
dell‘uomo‖. Infatti, puntualizza il filosofo come l‘uomo
pensa, quali sono i suoi principi, tale è il suo dio. Tu
conosci l‘uomo dal suo Dio, e, reciprocamente, Dio
dall‘uomo. Da ciò la possibilità di una riduzione, in chiave
antropologica, di tutti i dogmi della teologia.
Alienazione
Quello di alienazione è un termine, presente in Hegel e
ripreso da Marx, che indica l‘elemento patologico
dell‘esperienza religiosa descritta da Feuerbach, ovvero
quello stato per cui l‘uomo, scindendosi, proietta fuori di
sé una Potenza superiore (Dio) e alla quale si sottomette.
―L‘uomo — questo è il mistero della religione — proietta
il proprio essere fuori di sé e poi si fa oggetto di questo
essere metamorfosato in soggetto, in persona; egli pensa,
ma come oggetto del pensiero di un altro essere, e questo
essere è Dio‖. L‘alienazione è collegata al fatto che quanto
più l‘uomo pone in Dio, tanto più toglie a se stesso: ―Nella
religione l‘uomo opera una frattura nel proprio essere,
scinde sé da se stesso, ponendo di fronte a sé Dio come un
essere antitetico. Nulla è Dio di ciò che è l‘uomo, nulla è
l‘uomo di ciò che è Dio. Dio è l‘essere infinito, l‘uomo
l‘essere finito; Dio perfetto, l‘uomo imperfetto; Dio
eterno, l‘uomo perituro; Dio onnipotente, l‘uomo
impotente; Dio santo, l‘uomo peccatore. Dio e l‘uomo
295
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
sono due estremi: Dio il polo positivo, assomma in sé tutto
ciò che è reale, l‘uomo il polo negativo, tutto ciò che è
nullo‖. La presa di coscienza del fenomeno
dell‘alienazione, in quanto stato di ―scissione‖ interiore e
di ―dipendenza‖, genera, per Feuerbach, la necessità
dell‘ateismo, come riappropriazione, da parte dell‘uomo,
della propria essenza alienata. L‘ateismo di Feuerbach non
ha solo un significato negativo, poiché si presenta anche,
in positivo, come proposta di una nuova divinità: l‘Uomo.
All‘ateismo Feuerbach finisce quindi per sostituire una
forma di antropoteismo. La filosofia dell‘avvenire è la
nuova filosofia in antitesi alla vecchia filosofia
teologizzante. Filosofia che si identifica sostanzialmente
con una forma di umanismo naturalistico. Umanismo,
perché fa dell‘uomo l‘oggetto e lo scopo del discorso
filosofico; naturalistico perché fa della Natura la realtà
ontologica primaria da cui tutto dipende, compreso l‘uomo
e i suoi bisogni: ―La nuova filosofia fa dell‘antropologia la
scienza universale‖.
296
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Karl MARX (1818-1883)
Marx nasce a Treviri, da famiglia di origine ebraica.
Studiò a Bonn e poi a Berlino e nel 1841 si laureò in
filosofia. Dedicatosi alla carriera giornalistica, fu redattore
della Gazzetta Renana ma in seguito alla censura e in
conseguenza delle sue idee rivoluzionarie si vide costretto
a trasferirsi a Parigi. Qui conobbe Engels, Proudhon, e
Bakunin, ovvero anarchici e precursori di quel più vasto e
organico movimento politico che fu il socialismo (e quindi
il comunismo).Nel 1848, assieme ad Engels, pubblica a
Bruxelles il Manifesto del partito comunista. Espulso
anche da Bruxelles si trasferì definitivamente a Londra,
dove per mantenere la famiglia si vide costretto ad
accettare gli aiuti economici del compagno Engels. Nel
1864 fondò la Prima Internazionale dei lavoratori, a
conferma del suo attivo impegno politico in favore degli
operai e delle classi meno abbienti. Nel 1867 viene
stampato il primo libro del Capitale, la sua più celebre e
monumentale opera, pubblicata interamente in tre volumi
(1885 il secondo, 1894 il terzo). Morì a Londra nel 1883.
Opere principali: Differenza tra le filosofie della natura di
Democrito e di Epicuro (sua tesi di laurea, 1841); Tesi su
Feuerbach (1845); La sacra famiglia (1845); L'ideologia
tedesca (1846); Miseria della filosofia (1847); Manifesto
del partito comunista (1848); Critica dell'economia
politica (1859); Il Capitale (1867-1894).
In Marx confluiscono diverse posizioni precedenti: la
filosofia hegeliana, le modifiche di Feuerbach alla stessa,
le analisi degli economisti classici (Smith e Ricardo),
297
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
quelle dei socialisti utopistici. Il concetto di filosofia come
attività puramente teoretica viene criticata: ―i filosofi
hanno finora solo interpretato il mondo, si tratta ora di
cambiarlo‖.
Caratteristiche del marxismo
Il primo contrassegno del pensiero di Marx è la il suo
porsi come analisi globale della società e della storia. Un
secondo contrassegno del marxismo è il suo legame con la
prassi, ovvero la tendenza a fornire un‘interpretazione
dell‘uomo e del suo mondo che sia anche impegno di
trasformazione rivoluzionaria.
Le influenze culturali che stanno alla base del marxismo
sono essenzialmente tre: la filosofia classica tedesca da
Hegel a Feuerbach; l‘economia politica borghese da Smith
a Ricardo; il pensiero socialista da Saint-Simon ad Owen.
Queste tre esperienze intellettuali, che fungono da
coordinate teoriche della genesi del marxismo, vengono
ripensate da Marx alla luce di una sintesi creativa che
procede criticamente oltre i loro risultati, mettendo capo
ad una nuova visione dei mondo.
La critica del misticismo logico di Hegel
Il rapporto Hegel-Marx risulta assai complesso e oggetto
di divergenti interpretazioni critiche. Il primo testo in cui
Marx si misura con il maestro è la Critica della filosofia
hegeliana del diritto pubblico (1843). Lo scritto è
fìlosofico-politico al tempo stesso: il primo momento
colpisce al cuore il metodo di Hegel, cioè il suo modo
stesso di filosofare. Secondo Marx lo stratagemma di
298
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Hegel consiste nel fare delle realtà empiriche delle
manifestazioni necessarie dello Spirito. Questo significa
che invece di limitarsi a constatare, ad esempio, che in
certi ordinamenti storici esiste la monarchia, Hegel
afferma che lo Stato presuppone per forza una sovranità, la
quale si incarna necessariamente nel monarca, che è la
sovranità statale personificata. Inoltre, poiché ciò che è
necessario, per Hegel, è anche razionale, egli deduce la
piena ―logicità‖ della monarchia. identificandola con la
razionalità politica in atto. Marx definisce questo
procedimento misticismo logico, poiché in virtù di esso le
istituzioni, anziché comparire per ciò che di fatto sono,
finiscono per essere allegorie. o personificazioni di una
realtà spirituale che se ne sta occultamente dietro di essi.
Al metodo mistico di Hegel, Marx, ispirandosi alle
feuerbachiane Tesi provvisorie per la riforma della
filosofia (1843), oppone polemicamente il metodo
trasformativo, che consiste nel ri-capovolgere ciò che
l‘idealismo ha capovolto. ossia nel riconoscere di nuovo
ciò che è veramente soggetto e veramente predicato. Oltre
che essere fallace sul piano filosofico, il metodo mistico‖
di Hegel è anche conservatore sul piano politico, poiché
porta a canonizzare‖ o a ――santificare‖― la realtà esistente,
ossia a razionalizzare‖― i dati di fatto, trasformandoli in
manifestazioni razionali e necessarie dello Spirito. La
demistificazione‖ dell‘hegelismo non toglie che Marx
riconosca ad esso dei meriti notevoli, che si assommano
nella sua visuale dialettica‖―, ossia nella concezione
generale della realtà come totalità storico-processuale,
costituita di elementi concatenati fra di loro e mossa dalle
opposizioni.
299
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
La critica della civiltà moderna e del liberalismo
Alla base della teoria di Marx e della sua adesione al
comunismo, vi è una critica globale della civiltà moderna
e dello Stato liberale, che rappresenta uno dei nuclei
teorici più importanti del marxismo. Il punto di partenza
del discorso di Marx è la convinzione, mutuata da Hegel,
che la categoria del moderno si identifichi con quella della
――scissione‖―, che prende corpo innanzitutto, nella frattura
fra società civile e Stato. Mentre nella polis greca
l‘individuo si trovava in un‘‖―unità sostanziale‖― con la
comunità di cui faceva parte, e non conosceva antitesi fra
ego pubblico ed ego privato, fra sfera individuale e sfera
sociale, fra società e Stato, nel mondo moderno l‘uomo è
costretto a vivere come due vite: una ――in terra‖― come
borghese‖―, cioè nell‘ambito dell‘egoismo e degli interessi
particolari della società civile. e l‘altra ――in cielo‖― come
――cittadino‖―, ovvero nella sfera superiore dello Stato e
dell‘interesse comune. Marx scorge i tratti essenziali della
civiltà moderna nell‘individualismo e nell‘atomismo, ossia
nella ―separazione‖ del singolo dal tessuto comunitario. E
siccome lo Stato post-rivoluzionario legalizza questa
situazione, riconoscendo, quali ―diritti dell‘uomo‖, la
libertà individuale (che nella Costituzione del ‗93 viene
intesa come l‘esercizio di tutto ciò che non nuoce ad altri)
e la proprietà privata, esso non è altro che la proiezione
politica di una società strutturalmente a-sociale. Marx,
denunciando tutto ciò come ―mistificazione‖, ritiene che
l‘unico modo per realizzare tale modello di comunità
solidale sia l‘eliminazione delle diseguaglianze reali fra gli
uomini, ed in particolare del principio stesso di ogni
diseguaglianza: la proprietà privata. Ma come tradurre
300
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
concretamente in atto questa vera democrazia, che
coincide con il comunismo stesso? Mentre nella Critica
del 1843 lo strumento cui ricorre Marx è il ―suffragio
universale‖, negli Annali franco-tedeschi e nei Manoscritti
economico-filosofici del 1844, l‘arma cui egli fa appello è
la rivoluzione sociale.
La critica dell‘economia borghese e l‘alienazione
I Manoscritti economico-filosofici, composti a Parigi nel
1844, segnano il primo decisivo approccio di Marx
all‘economia politica e rappresentano l‘applicazione, in
sede economica. degli schemi critico-dialettici applicati
precedentemente al campo politico. Nei confronti
dell‘economia borghese l‘atteggiamento di Marx è
duplice, poiché da un lato egli la considera come
un‘espressione teorica della società capitalistica, e quindi
come una valida anatomia di essa, e dall‘altro le muove
l‘accusa di fornire un‘immagine globalmente mistifìcata,
falsa, del mondo borghese. Ciò è dovuto principalmente,
secondo Marx, alla sua incapacità di pensare in modo
dialettico e storico. Infatti, essa considera il sistema
capitalistico come un sistema naturale e immutabile e non
come uno dei tanti possibili sistemi economici. Inoltre
l‘economia politica non scorge la struttura contraddittoria
del proprio oggetto, ossia la conflittualità che caratterizza
il sistema capitalistico e che si incarna soprattutto
nell‘opposizione reale fra capitale e lavoro, fra borghesia e
proletariato. Nei Manoscritti tale contraddizione viene
espressa mediante il concetto di alienazione. Questo
concetto è ripreso dalla filosofia tedesca precedente. Marx
si rifà soprattutto a Feuerbach, da cui accetta la struttura
301
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
formale del meccanismo dell‘alienazione, intesa appunto
come una condizione patologica di autoestraniazione.
Tuttavia, a differenza di Feuerbach, per il quale
l‘alienazione è ancora un fatto prevalentemente
coscienziale, derivante da un‘errata interpretazione di sé,
in Marx essa diviene un fatto reale, di natura socioeconomica, in quanto si identifica con la condizione
storica del salariato nell‘ambito della società capitalistica.
L‘alienazione dell‘operaio viene descritta da Marx sotto
quattro aspetti fondamentali, strettamente connessi fra di
loro: a) Il lavoratore è alienato rispetto al prodotto della
sua attività, in quanto egli, in virtù della sua forza-lavoro,
produce un oggetto (il capitale), che non gli appartiene e
che si costituisce come una potenza dominatrice nei suoi
confronti. b) Il lavoratore è alienato rispetto alla sua stessa
attività, la quale prende la forma di un lavoro forzato o
costrittivo, in cui egli è strumento di fini estranei (il
profitto del capitalista), con la grave conseguenza che
l‘uomo si sente ―bestia‖ quando dovrebbe sentirsi
veramente uomo, cioè nel lavoro sociale, e si sente uomo
quando fa la bestia. cioè si ―stordisce‖ nel mangiare, nel
bere e nel procreare. c) Il lavoratore è alienato rispetto al
suo stesso Wesen, ossia alla sua essenza o ―genere‖. Infatti
la prerogativa dell‘uomo nei confronti dell‘animale è il
lavoro libero, creativo e universale (in quanto egli sa
produrre secondo la misura di ogni specie‖), mentre nella
società capitalistica è costretto ad un lavoro forzato,
ripetitivo e unilaterale. d) Il lavoratore è alienato rispetto
al prossimo. perché ―l‘altro‖, per lui, è soprattutto il
capitalista, ossia un individuo che lo tratta come un mezzo
e lo espropria del frutto della sua fatica, facendo sì che il
302
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
suo rapporto con lui, e con l‘umanità in genere, sia per
forza conflittuale. La causa del meccanismo globale
dell‘alienazione risiede dunque nella proprietà privata dei
mezzi di produzione, in virtù della quale il possessore
della fabbrica (= il capitalista) può utilizzare il lavoro di
una certa categoria di individui (= i salariati) per
accrescere la propria ricchezza, secondo una dinamica che
Marx, nel capitale, descriver in termini di ―sfruttamento‖ e
logica del profitto.
Il distacco da Feuerbach
Analogamente ad Hegel, anche Feuerbach ha giocato, nel
pensiero del giovane Marx, un ruolo di primo piano.
Infatti nei Manoscritti del 1844 Marx afferma che
Feuerbach è il solo che si trovi in un rapporto critico, con
la dialettica hegeliana, ed abbia fatto in questo campo
delle autentiche scoperte‖. Ma nelle Tesi su Feuerbach e
nella Ideologia tedesca, il contributo di Feuerbach viene
ridimensionato. Pur avendo sottolineato la naturalità
dell‘uomo (e questo è il passo in avanti rispetto ad Hegel),
Feuerbach (e questo è il passo indietro rispetto a lui) ha
perso di vista la sua storicità, non rendendosi debitamente
conto che l‘uomo. più che natura è società, e quindi storia,
in quanto l‘essere umano non è un‘astrazione immanente
all‘individuo singolo bensì l‘insieme dei rapporti sociali
(VI tesi). Contro Feuerbach, Marx sostiene che l‘individuo
è reso tale dalla società storica in cui egli vive, per cui non
esiste l‘Uomo in astratto, ma l‘uomo prodotto di una
determinata società e di uno specifico mondo storico. In
tal modo, Marx corregge Hegel con Feuerbach e
Feuerbach con Hegel, poiché, contro l‘uno, può difendere
303
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
la naturalità vivente dell‘uomo, e, contro l‘altro, la sua
socialità e storicità. Marx è andato elaborando la sua nota
teoria della religione come oppio dei popoli, ossia come il
prodotto di un‘umanità alienata e sofferente per causa
delle ingiustizie sociali, che cerca illusoriamente
nell‘aldilà ciò che le è negato di fatto nell‘aldiquà. Se la
religione è il frutto malato di una società malata, l‘unico
modo per sradicarla è quello di distruggere le strutture
sociali che la producono. La disalienazione religiosa ha
dunque, come suo presupposto, la disalienazione
economica, ossia l‘abbattimento della società di classe. ―I
filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi;
si tratta di mutarlo‖ (XI tesi).
La concezione materialistica della storia
La critica a Feuerbach segna il passaggio di Marx
dall‘umanismo al materialismo storico. Nell‘Ideologia
tedesca Marx e Engels spiegano che la storia non è un
evento spirituale, ma un processo materiale fondato sul
rapporto bisogno-soddisfacimento: vivere implica prima di
tutto il mangiare e bere, l‘abitazione, il vestire e altro
ancora.
Struttura e sovrastruttura
Nell‘ambito della storia, bisogna distinguere due elementi
di fondo: le forze produttive e i rapporti di produzione. Per
forze produttive Marx intende tutti gli elementi necessari
al processo di produzione, ossia: 1) gli uomini che
producono (= la forza-lavoro); 2) i mezzi (terra, macchine
ecc.) che utilizzano per produrre = i mezzi di produzione);
3) le conoscenze tecniche e scientifiche di cui si servono
304
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
per organizzare la loro produzione. Per rapporti di
produzione Marx intende i rapporti che si instaurano fra
gli uomini nel corso della produzione e che giuridicamente
consistono in rapporti di proprietà. Forze produttive e
rapporti di produzione costituiscono, nella loro globalità, il
modo di produzione di un certo periodo. L‘insieme dei
rapporti di produzione costituisce la struttura, ossia la base
economica della società, mentre i rapporti giuridici, le
forze politiche, le dottrine etiche, artistiche, religiose e
filosofiche sono le espressioni più o meno dirette dei
rapporti che definiscono la struttura di una certa società
storica. Di conseguenza, non sono le leggi, lo Stato, le
forze politiche, le religioni, le filosofie ecc. che
determinano la struttura economica della società (=
idealismo storico), ma è la struttura economica che
determina le leggi, le religioni, le filosofie ecc. (=
materialismo storico).
La dialettica della storia
Forze produttive e rapporti di produzione sono la chiave di
lettura della statica della società, ma si configurano anche
come lo strumento interpretativo della sua dinamica,
poiché si identificano con la legge stessa della storia. Marx
ritiene infatti che ad un determinato grado di sviluppo
delle forze produttive tendano a corrispondere determinati
rapporti di produzione e di proprietà (ad esempio. rapporti
di produzione di tipo feudale corrispondono a forze
produttive di tipo agricolo). Ora, poiché le forze
produttive, in connessione con il progresso tecnico, si
sviluppano più rapidamente dei rapporti di produzione,
che esprimendo delle relazioni di proprietà tendono a
305
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
rimanere statici, ne segue periodicamente una situazione di
frizione o di contraddizione dialettica fra i due elementi,
che genera un‘epoca di rivoluzione sociale. Infatti le
nuove forze produttive sono sempre incarnate da una
classe in ascesa, mentre i vecchi rapporti di proprietà sono
sempre incarnati da una classe dominante al tramonto. Di
conseguenza, risulta inevitabile lo scontro fra di esse, che
si gioca non solo a livello sociale, ma anche politico e
culturale. Alla fine finisce quasi sempre per trionfare la
classe che risulta espressione delle nuove forze produttive,
che in tal modo riesce ad imporre la propria maniera di
produrre e di distribuire la ricchezza, nonché la sua
specifica visione del mondo, poiché ‗le idee della classe
dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè la
classe che è la potenza materiale dominante è in pari
tempo la sua potenza spirituale dominante‖. Questo
modello teorico, secondo Marx, trova la sua tipica
esemplificazione nella Francia del Settecento, dove, ad un
certo punto, vi fu uno scontro aperto fra la borghesia
(espressione delle nuove forze produttive di tipo
capitalistico) e l‘aristocrazia (espressione dei vecchi
rapporti di proprietà agrario-feudali). Vinse alla fine la
borghesia, che riuscì ad imporre i suoi rapporti di proprietà
e la sua visione del mondo. Analogamente, nel capitalismo
moderno si sta delineando una contraddizione fra forze
produttive e sociali e rapporti di produzione privatistici.
Infatti la fabbrica moderna, pur essendo proprietà di un
capitalista, produce soltanto grazie al lavoro collettivo di
operai, tecnici, impiegati, dirigenti ecc, Ma se sociale è la
produzione della ricchezza, sociale deve essere, secondo
Marx, la distribuzione di essa. Ma questo significa che il
306
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
capitalismo porta in sé. come esigenza dialettica, il
socialismo. Infatti Marx afferma che il capitalismo pone le
basi del socialismo, in quanto genera, per la prima volta
nella storia, le condizioni oggettive favorevoli ad una
rivoluzione comunista mondiale. La legge della
corrispondenza‖ e della contraddizione‖ tra forze
produttive e rapporti di produzione permette dunque a
Marx di delineare un quadro generale della storia passata e
presente. Marx distingue quattro epoche‘ della formazione
economica della società: quella asiatica (fondata su forme
comunitarie di proprietà), quella antica di tipo
schiavistico, quella feudale e quella borghese. Tuttavia,
poiché sia Marx che Engels accennano talora ad una
comunità primitiva‖ di stampo comunista (sia intesa alla
stregua di un tipo generale di cui la società asiatica
sarebbe un sottotipo, sia intesa come tipo distinto e a sé
stante) si può dire che le grandi formazioni economicosociali siano la comunità primitiva, la società asiatica, la
società antica, la società feudale, la società borghese e la
futura società socialista. Sebbene queste epoche non
costituiscano, a rigore, delle tappe necessarie, in quanto
molte società hanno saltato l‘una o l‘altra fase, è indubbio
che esse costituiscano altrettanti gradini di una sequenza
che procede dall‘inferiore al superiore. Altrettanto
indubbio è che la storia, secondo i classici del marxismo,
proceda dal comunismo primitivo al comunismo futuro,
attraverso il momento intermedio della società di classe, la
quale si basa sulla divisione del lavoro e sulla proprietà
privata. Parimenti indubbio è che questo diagramma
storico dello sviluppo della civiltà poggi sulla tesi-
307
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
convinzione del socialismo come sbocco inevitabile della
dialettica storica.
Il Manifesto
Il Manifesto del partito comunista (1848), nel quale Marx
si propone di esporre gli scopi e i metodi dell‘azione
rivoluzionaria, rappresenta una stringata somma della
concezione marxista del mondo. I punti salienti sono: 1)
l‘analisi della funzione storica della borghesia; 2) il
concetto della storia come ―lotta di classe‖ ed il rapporto
fra proletari e comunisti; 3) la critica dei socialismi nonscientifici. A differenza delle classi che hanno dominato
nel passato, che tendevano alla conservazione statica dei
modi di produzione, la borghesia, secondo Marx, non può
esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di
produzione e tutto l‘insieme dei rapporti sociali. Di
conseguenza, la borghesia appare una classe dinamica, che
ha dissolto non solo le vecchie condizioni di vita, ma
anche idee e credenze tradizionali. Ma il proletariato,
classe oppressa della società borghese, non può fare a
meno di mettere in opera una dura lotta di classe, volta al
superamento del capitalismo e delle sue forme istituzionali
e ideologiche. Il concetto della storia come lotta di classe è
uno dei più significativi del Manifesto. ―La storia di ogni
società, esistita fino a questo momento, è storia di lotte di
classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della
gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in breve,
oppressori e oppressi, furono continuamente in reciproco
contrasto, e condussero una lotta ininterrotta, ora latente
ora aperta; lotta che ogni volta è finita o con una
trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la
308
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
comune rovina delle classi in lotta. Conformemente alle
sue analisi del capitalismo come fatto mondiale, Marx
insiste inoltre sull‘internazionalismo della lotta proletaria e
termina il Manifesto con il noto slogan rivoluzionario:
―Proletari di tutti i Paesi, unitevi!‖.
La critica dei falsi socialismi
Una delle sezioni più importanti del Manifesto è costituita
dalla critica di Marx ai socialismi precedenti. Marx
raggruppa e divide la letteratura socialista e comunista in
tre tendenze di fondo: il socialismo reazionario, il
socialismo conservatore o ―borghese‖ e il socialismo e
comunismo critico-utopistici. In generale a questi tipi di
socialismo ―utopistico‖ Marx contrappone invece il
proprio socialismo ―scientifico‖, basato su un‘analisi
critico-scientifica dei meccanismi sociali del capitalismo e
sull‘individuazione del proletariato come forza
rivoluzionaria destinata ad abbattere il sistema borghese.
Il Capitale
Il Capitale si propone di mettere in luce i meccanismi
strutturali della società borghese, al fine di ―svelare la
legge economica del movimento della società moderna‖. Il
fatto che Il Capitale rechi, come sottotitolo, Critica
dell’economia politica, rivela l‘esplicita contrapposizione
di Marx all‘economia classica. Marx si differenzia dai
grandi teorici dell‘economia classica soprattutto per il suo
metodo storicistico-dialettico. Marx è convinto che non
esistano leggi universali dell‘economia e che ogni
formazione sociale abbia caratteri e leggi storiche
specifiche (le leggi che valgono per il feudalesimo, ad
309
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
esempio, non valgono per il capitalismo). In secondo
luogo, Marx è convinto che la società borghese porti in se
stessa delle contraddizioni strutturali che ne minano la
solidità, ponendo le basi oggettive della sua fine. In terzo
luogo, Marx è persuaso che l‘economia debba far uso
dello schema dialettico della totalità organica, studiando il
capitalismo come una struttura i cui elementi risultano
strettamente connessi. Un‘altra caratteristica del metodo di
Marx è di studiare il capitalismo distinguendone gli
elementi di fondo ed astraendo da quelli secondari, al fine
di metterne in luce le caratteristiche strutturali e le
tendenze di sviluppo, per poi formulare, su di esso, alcune
previsioni.
Merce, lavoro, plusvalore
Secondo Marx, la caratteristica specifica del modo
capitalistico di produzione, rispetto alle società precedenti,
è di essere produzione generalizzata di merci. Innanzitutto,
una merce deve possedere un valore d‘uso, in quanto deve
poter servire a qualcosa, ossia essere utile, poiché nessuno
acquista qualcosa che non venga incontro a determinati
bisogni, sia che questi ‗provengano dallo stomaco o dalla
fantasia‘. In secondo luogo, una merce, per essere
veramente tale, deve possedere un valore di scambio, che
ne garantisca la possibilità di essere scambiata con altre
merci. Il valore di scambio di una merce discende dalla
quantità di lavoro socialmente necessaria per produrla. Più
lavoro è necessario per produrre una determinata merce e
più essa vale. Secondo Marx il valore non si identifica con
il prezzo, perché su quest‘ultimo influiscono altri fattori,
per esempio l‘abbondanza o la scarsezza di una merce.
310
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Secondo Marx la caratteristica peculiare del capitalismo è
il fatto che in esso la produzione non risulta finalizzata al
consumo, bensì all‘accumulazione di denaro. Di
conseguenza, il ciclo capitalistico non è quello semplice,
prevalente nelle società pre-borghesi e descrivibile con la
formula schematica M.D.M. (merce-denaro-merce), che
descrive il processo per cui una certa quantità di merce
viene trasformata in denaro ed una certa quantità di denaro
viene ri-trasformata in merce (ad esempio il contadino che
vende del grano per comperarsi un vestito). Il ciclo
capitalistico è piuttosto quello descrivibile con la formula
schematica D.M.D‘ (denaro- merce-più denaro). Infatti
nella società borghese abbiamo un soggetto (= il
capitalista) che investe del denaro in una merce, per
ottenere, alla fine, più denaro. Da dove deriva questo plusvalore? Marx ritiene che l‘origine del plus-valore non
debba essere cercata a livello di scambio delle merci, bensì
a livello della produzione capitalistica delle medesime.
Nel sistema capitalistico il capitalista compera una ―merce
particolare‖, l‘operaio, che ha come caratteristica quella di
produrre valore. Infatti il capitalista compera la sua forzalavoro, pagandola come una qualsiasi merce, ovvero
secondo un valore corrispondente a quello dei mezzi che
gli sono necessari per vivere, ossia al salario. Tuttavia
l‘operaio, ed è questa la fonte del plusvalore, produce un
valore maggiore di quello che gli è corrisposto col salario.
Il plus-valore discende quindi dal plus-lavoro dell‘operaio,
e si identifica con l‘insieme del valore da lui gratuitamente
offerto al capitalista. Con questa teoria Marx ha voluto
fornire una spiegazione scientifica dello sfruttamento
capitalista, che si identifica quindi con la possibilità, da
311
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
parte dell‘imprenditore, di utilizzare la forza lavoro altrui
a proprio vantaggio. Ciò avviene in quanto il capitalista
dispone dei mezzi di produzione, mentre il lavoratore
dispone unicamente della propria energia lavorativa ed è
costretto, per vivere, a ‗vendersi‘ sul mercato, in vista del
salario. Dal plus-valore deriva il profitto. Plus-valore e
profitto, per Marx, non sono tuttavia la medesima cosa,
come talora impropriamente si afferma, in quanto il
profitto, pur presupponendo il plus-valore, non coincide
totalmente con esso.
Contraddizioni del capitalismo
Poiché il capitalismo si regge sul ciclo D.M.D‘., il suo fine
strutturale immanente è la maggior quantità possibile di
plus-valore. Ciò fa sì che il capitalismo insegua tutte le vie
possibili per raggiungere tale scopo, caratterizzandosi
come un tipo di società retto dalla logica del profitto
privato, anziché dalla logica dell‘interesse collettivo.
Delineando un‘analisi del capitalismo a sfondo tragico,
Marx descrive le varie strade imboccate da esso in vista
del proprio auto-accrescimento, mostrando come tale
sistema generi una serie di contraddizioni e difficoltà, che
ne minano la sopravvivenza, preparandone la morte futura.
Analizziamo alcune tappe significative cli questo
processo. In un primo momento il capitale cerca di
accrescere il plus-valore aumentando la giornata lavorativa
(poniamo sino a quindici ore). Ma questa dilatazione
d‘orario, pur generando maggior plus-lavoro, e quindi
maggior plus-valore, presenta dei limiti invalicabili,
poiché oltre un certo numero di ore la forza-lavoro
dell‘operaio cessa di essere produttiva. Di conseguenza,
312
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
più che attraverso il prolungamento della giornata
lavorativa (che Marx chiama plus-valore assoluto), il
capitalismo punta alla riduzione della parte di giornata
lavorativa necessaria ad integrare il salario (che Marx
chiama plus-valore relativo). Infatti se l‘operaio, anziché
impiegare sei ore per guadagnare il proprio salario ne
impiega quattro, risulta evidente che il plus-valore
intascato dal capitalista è più grande. Ovviamente, tutto
ciò si può ottenere solo mediante una maggior produttività
del lavoro. Da ciò discende la necessità strutturale, per il
capitalismo, di introdurre in continuazione nuovi e più
efficienti metodi e strumenti di lavoro. Storicamente
questo processo di produzione del plus-valore relativo
passa attraverso tre fasi successive: a) la cooperazione
semplice; b) la manifattura c) la grande industria. La
grande svolta del modo capitalistico di produzione è la
nascita dell‘industria meccanizzata, che introduce, nel
ciclo lavorativo, la macchina, capace di aumentare
enormemente la quantità di merce prodotta nello stesso
tempo con lo stesso numero di operai, e quindi di erogare
maggior plus-valore relativo. Le macchine permettono
anche un maggiore plus-valore assoluto, allungando la
giornata lavorativa. Ma proprio l‘aumento di produttività
conseguito con l‘uso delle macchine genera, accanto alla
conflittualità operaia, il fenomeno delle crisi cicliche di
sovrapproduzione proprie del capitalismo. Mentre nei
secoli precedenti le crisi erano generate dalla scarsità di
beni, nel capitalismo, paradossalmente, sono provocate da
una sovrabbondanza di merci. Questo è dovuto al fatto che
il capitalismo (ai tempi in cui Marx scrive) risulta
caratterizzato dal fenomeno dell‘anarchia della
313
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
produzione, la quale fa sì che i capitalisti si precipitino alla
cieca nei settori dove il profitto è più alto. Tutto ciò genera
la crisi, che ha come effetti concomitanti sia la distruzione
capitalistica dei beni (spesso proprio quelli di cui
avrebbero più bisogno le classi povere: caffè, ecc.) sia la
disoccupazione, che va ad accrescere il cosiddetto esercito
industriale di riserva. La necessità, per il capitalismo, di un
continuo rinnovamento tecnologico, genera anche un altro
inconveniente strutturale: la caduta tendenziale del saggio
di profitto. Con questa espressione Marx intende quella
legge per cui, accrescendosi smisuratamente il capitale
costante (costituito dalle macchine e dalle materie prime)
rispetto al capitale variabile, ossia aumentando ciò che egli
denomina la composizione organica del capitale‘,
diminuisce per forza il saggio di profitto. Per comprendere
adeguatamente questa legge, cui Marx attribuisce una
grande importanza, bisogna tener presente che: 1) il plusvalore non è generato dalle macchine di per sé, ma dal
lavoro vivo, che viene pagato con il capitale variabile; 2) il
saggio di plus-valore è dato dal rapporto fra il plusvalore
stesso e il capitale variabile; 3) il saggio di profitto è dato
dal rapporto fra il plusvalore da un lato e il capitale
costante ed il capitale variabile dall‘altro. Ora, se v
(capitale variabile) resta stabile, resta stabile anche p (= il
plus-valore); ma se nel frattempo c (= capitale costante) è
accresciuto, risulta ovvio che il saggio di profitto è
diminuito. La legge della caduta tendenziale del saggio di
profitto equivale quindi ad una legge dei rendimenti
decrescenti, demotivante ‘ rispetto agli investimenti
capitalistici. Sebbene Marx abbia elencato talune cause
antagonistiche che possono attenuare o rallentare
314
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
l‘efficacia della legge in questione, come ad esempio
l‘acquisto di materie prime all‘estero, ad un prezzo minore
di quello richiesto in patria, con la conseguente
diminuzione del capitale costante, egli ha considerato la
legge della caduta tendenziale del saggio di profitto come
il vero tallone d‘Achille‖ del sistema capitalistico, legge
che, dal suo punto di vista, può essere eventualmente
ritardata nei suoi effetti, ma non distrutta nei suoi esiti
catastrofici per la società borghese. Marx ha una visione
sostanzialmente dualistica della società di classe, in quanto
ritiene che in ogni momento della storia le classi
fondamentali siano due. Questa dottrina, portata ad
attribuire minore importanza alle classi medie, riflette
compiutamente, a giudizio di Marx, la situazione stessa
del capitalismo industriale avanzato, nel quale. in seguito
al fenomeno della concorrenza e delle crisi, da un lato
abbiamo una progressiva espropriazione di molti
capitalisti da parte di pochi‖. avente come effetto ―la
diminuzione costante dei magnati del capitale, e dall‘altro
abbiamo una massa sempre più grande di salariati,
occupati e disoccupati. In altre parole. Marx tende a
prospettare la situazione finale del capitalismo in termini
dualistico—dialettici: da un lato una minoranza
industriale, dall‘altro una maggioranza proletaria sfruttata.
La rivoluzione e la dittatura del proletariato
Le contraddizioni della società borghese rappresentano la
base oggettiva della rivoluzione del proletariato, il quale,
impadronendosi del potere politico, dà avvio alla
trasformazione globale della vecchia società. attuando il
passaggio dal capitalismo al comunismo. Di conseguenza,
315
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
il proletariato, nella prospettiva di Marx. appare investito
di una specifica missione storica. La rivoluzione
comunista non abolisce soltanto un tipo particolare di
proprietà, di divisione del lavoro e di dominio di classe,
ma cancella ogni forma di proprietà, di divisione del
lavoro e di classe, dando origine ad un‘epoca nuova nella
storia del mondo. Lo strumento tecnico della
trasformazione rivoluzionaria è la socializzazione dei
mezzi di produzione e di scambio. Nella Critica del
programma di Gotha, Marx scrive che tra la società
capitalistica e la società comunista vi è un periodo politico
di transizione, il cui Stato non può essere altro che la
dittatura rivoluzionaria del proletariato. Anche la nozione
di dittatura del proletariato discende coerentemente da
tutto l‘impianto concettuale del marxismo e dalla sua
filosofia dello Stato. Infatti se quest‘ultimo, nel
capitalismo, esprime il ―dispotismo‖ di classe della
borghesia, ne consegue che il proletariato, se vuole
davvero costruire il comunismo, non può fare a meno di
instaurare una sua dittatura che, a differenza delle altre
dittature storicamente esistite, che sono sempre state
dittature di una minoranza di oppressori su di una
maggioranza di oppressi, appare invece come una dittatura
della maggioranza degli oppressi su di una minoranza di
(ex-)oppressori, destinata a scomparire. La dittatura del
proletariato si configura dunque, per Marx, come la misura
politica fondamentale per la transizione dal capitalismo al
comunismo. Secondo Marx la dittatura del proletariato è
solo una misura storica di transizione (sia pure a lungo
termine), che mira tuttavia al superamento di se medesima
e di ogni forma di Stato.
316
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Le fasi della futura società comunista
Marx distingue fra un comunismo rozzo ed un comunismo
superiore. Nel primo tipo di comunismo la proprietà
privata è soltanto trasformata in proprietà di tutti. In
questo stadio immaturo di comunismo, la proprietà,
anziché venir totalmente soppressa, viene dunque
universalizzata o nazionalizzata. Il comunismo, inteso
come effettiva soppressione della proprietà privata, appare
come quella situazione in cui l‘uomo, superato
completamente l‘orizzonte dell‘avere, cessa di intrattenere
con il mondo rapporti di puro possesso e consumo. Nella
Critica del programma di Gotha, Marx spostando l‘analisi
sul piano socio-politico, distingue invece due fasi della
società futura. Nella prima fase si ha la socializzazione dei
mezzi di produzione e di scambio e quindi la società stessa
è l‘unico datore di lavoro e tutti sono salariati. In essa ogni
produttore riceve una quantità di beni equivalente al
lavoro prestato. Il principio di uguaglianza che regge
questo stadio comunista consiste dunque nel misurare con
una misura eguale il lavoro erogato. Tuttavia, questo
‗uguale diritto‘ si rivela ancora di tipo borghese, in quanto
non tiene conto delle differenze individuali. L‘uguaglianza
ancora imperfetta di questa prima fase della società
comunista richiede una ―superiore‖ forma di uguaglianza e
di comunismo, che tenga conto dei bisogni e non solo
delle capacità degli individui. Ognuno secondo le sue
capacità e a ognuno secondo i suoi bisogni.
317
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
CAPITOLO 17
Il Positivismo
Il Positivismo è una corrente filosofica che si sviluppa
nella seconda metà del XIX secolo, caratterizzata da
un'esaltazione della scienza, considerata l'unica fonte
legittima della conoscenza. Questo movimento di
pensiero, che nasce in Francia e si estende poi a livello
europeo e mondiale, trae il suo nome dalla esaltazione
della positività della scienza e dalla concretezza e
oggettività dei fatti da essa studiati, in contrapposizione
alle astrattezze e alle fantasticherie delle religioni e delle
concezioni metafisiche in genere. Da questo punto di vista,
tale movimento filosofico appare strettamente legato ai
notevoli successi ottenuti dalle scienze esatte nei diversi
campi di applicazione (chimica, meccanica, elettrologia,
ottica e biologia). Nello stesso tempo non va sottovalutata
l'influenza del processo di organizzazione scientifica e
tecnica della società, dei sistemi di produzione, sulla
maturazione delle nuove idee, le quali daranno, a loro
volta, un impulso notevole a tale processo. Pur
comprendendo pensatori che si diversificano tra loro sia
per formazione intellettuale, che per temi affrontati e
soluzioni specifiche, il positivismo può essere sintetizzato
nei seguenti aspetti distintivi: La scienza è la sola forma di
conoscenza possibile e il metodo della scienza è l'unico
valido: pertanto il ricorso a cause o principi che non siano
riconducibili al metodo della scienza non fa progredire il
cammino della conoscenza, ma va considerato una
pericolosa ricaduta nella metafisica. Il metodo della
scienza, essendo l'unico valido, va esteso a tutti i campi
318
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
d'indagine, compresi quelli che riguardano l'uomo e i
fenomeni sociali. Il progresso della scienza rappresenta la
base del progresso umano e lo strumento per una
riorganizzazione complessiva della vita sociale, capace di
trovare adeguate soluzioni ai numerosi problemi di ordine
politico e sociale posti dalla Restaurazione e dalla
rivoluzione industriale. La filosofia, non avendo oggetti
suoi propri, o campi privilegiati di indagine sottratti alla
scienza, tende a coincidere con la totalità del sapere
positivo o, più in particolare, con l'enunciazione dei
principi comuni alle varie scienze. La funzione peculiare
della filosofia consiste quindi nel riunire e nel coordinare i
risultati delle singole scienze, in modo da realizzare una
conoscenza unificata e generale. In ciò, il positivismo si
contrappone alla convinzione, tipicamente romantica, che
la filosofia debba essere separata dalla scienza in quanto
disciplina contraddistinta da problemi e metodi del tutto
diversi.
RAPPORTI CON L'ILLUMINISMO
Per certi aspetti, il positivismo è una ripresa
dell‘illuminismo all'interno di una nuova situazione
storico-sociale, caratterizzata dalla rivoluzione industriale
e dallo sviluppo della scienza e della tecnica. I principali
elementi di affinità tra positivismo e illuminismo, possono
essere riassunti nei seguenti tre punti: 1) fiducia nella
ragione e nel sapere, concepiti come strumenti di
progresso al servizio dell'uomo e del miglioramento
sociale; 2) esaltazione della scienza a scapito della
metafisica e di ogni altro tipo di sapere non verificabile; 3)
visione tendenzialmente laica ed immanentistica della vita.
319
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
D'altro canto, positivismo e illuminismo presentano anche
alcune differenze di rilievo: 1) Sebbene i bersagli polemici
del positivismo siano in parte identici a quelli
dell'illuminismo (cioè la tradizione metafisica e religiosa,
come pure il parassitismo dell'aristocrazia agraria,
considerato un ostacolo al progresso), gli atteggiamenti
politici sono differenti. Mentre l'illuminismo si configura
come riformismo di carattere rivoluzionario (posto in atto
dalla Rivoluzione francese), il positivismo si presente
come un riformismo anti-rivoluzionario, che pur lottando
contro la vecchia tradizione politica e culturale, è
fondamentalmente
contrario
alle
nuove
forme
rivoluzionarie rappresentate dal proletariato e dalle
dottrine socialiste. 2) Diversità del modo di rapportarsi
alla scienza e alla filosofia: rispetto alla prima, gli
illuministi vedono nel sapere sperimentale un mezzo per
dissolvere le antiche credenze della metafisica e della
religione, mentre nei positivisti, il richiamo alla scienza
tende a una riedificazione di certezze assolute,
esplicitamente presentate come la forma "moderna" e
"positiva" delle antiche religioni e metafisiche. Riguardo
alla filosofia, mentre gli illuministi sono interessati
soprattutto a una fondazione gnoseologica e critica della
scienza (che sfocerà nella concezione di Kant), i
positivisti, dando per scontata la validità del pensiero
scientifico, ritengono che il compito della filosofia sia
quello di ordinare e di unificare le diverse scienze. Il
positivismo, colto nel suo nucleo storico-filosofico più
decisivo, presenta anche caratteristiche che lo accomunano
al romanticismo. La più importante di tali caratteristiche è
l'idealizzazione della scienza, che si traduce in una
320
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
esaltazione del sapere positivo, assunto a unica verità ed
unica guida della vita umana, in tutti i campi. Come i
romantici e gli idealisti tendevano a caricare la poesia o la
filosofia di significati assoluti, così i positivisti tendono ad
attribuire alla scienza una portata assoluta, con
atteggiamenti analoghi alla fede religiosa.
In Francia, il maggiore rappresentante del positivismo fu
Auguste Comte. Successivamente il positivismo si diffuse
anche in Inghilterra, soprattutto per merito di John Stuart
Mill, impegnato a sottrarre la scienza morale alle sue
incertezze per stabilire invece per essa un insieme di
regole ben definite. Di non minor statura fu lo scienziato
naturalista Charles Darwin, ma una certa importanza ebbe
anche Herbert Spencer. In Italia seguaci del positivismo
furono Carlo Cattaneo e Roberto Ardigò.
Auguste Comte (1798-1857)
La legge dei tre stadi e la classificazione delle scienze
Comte elabora la legge dei tre stadi, che dichiara di aver
ricavato da considerazioni storiche oltre che
dall‘osservazione dello sviluppo organico dell‘uomo,
ciascuna branca della conoscenza umana passa
successivamente per tre stadi teorici differenti: lo stadio
teologico o fittizio, lo stadio metafisico od astratto, lo
stadio scientifico o positivo. Il primo è il punto di partenza
necessario dell‘intelligenza umana; il terzo il suo stadio
fisso e definitivo; il secondo è unicamente destinato a
servire di transizione. Nello stadio teologico, lo spirito
umano, dirigendo essenzialmente le sue ricerche verso la
natura intima degli esseri e le cause prime e finali, cioè
321
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
verso le conoscenze assolute, si rappresenta i fenomeni
come prodotti dall‘azione diretta e continua di agenti
soprannaturali, più o meno numerosi, il cui intervento
arbitrario spiega tutte le anomalie appartenenti
dell‘universo. Nello stadio metafisico, che è solo una
modificazione del primo, gli agenti soprannaturali sono
sostituiti da forze astratte (si pensi ad es. alle essenze)
inerenti ai diversi enti del mondo e concepite capaci di
generare da sé tutti i fenomeni osservati, la cui spiegazione
consisterebbe quindi nell‘assegnare a ciascuno l‘entità
corrispondente, Infine, nello stadio positivo, lo spirito
umano, riconoscendo l‘impossibilità di raggiungere
nozioni assolute, rinuncia a cercare l‘origine e il destino
dell‘universo e a conoscere le cause intime dei fenomeni e
si applica unicamente a scoprire, mediante l‘uso ben
combinato del ragionamento e dell‘osservazione, le loro
leggi effettive: cioè le loro relazioni invariabili di
successione e di somiglianza. Comte (che parla del
Medioevo come di un‘età teologica e del mondo moderno
sino alla Rivoluzione francese come di un‘età metafisica o
di crisi) fa corrispondere, ad ogni stadio, una specifica
organizzazione politica e sociale (monarchia teocratica e
militare; sovranità popolare; organizzazione scientifica
della società industriale). Questa legge dei tre stadi sembra
a Comte immediatamente evidente di per se stessa. Essa
inoltre è appoggiata dall‘esperienza personale. Chi di noi
non ricorda, contemplando la sua propria storia, che è
stato successivamente, rispetto alle nozioni più importanti,
teologo nella sua infanzia, metafisico nella sua giovinezza
e fisico nella sua virilità?‘. Ora, sebbene varie branche
della conoscenza umana siano entrate nella fase positiva,
322
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
la totalità della cultura intellettuale umana, e quindi
dell‘organizzazione sociale che su di essa si fonda, non
sono state ancora permeate dallo spirito positivo. In primo
luogo, Comte nota che accanto alla fisica celeste, alla
fisica terrestre, meccanica e chimica, e alla fisica organica,
vegetale e animale, manca una fisica sociale, cioè lo studio
positivo dei fenomeni sociali. In secondo luogo. la
mancata penetrazione dello spirito positivo nella totalità
della cultura intellettuale produce uno stadio di anarchia
intellettuale e quindi la crisi politica e morale della società
contemporanea. È evidente che se una delle tre filosofie
possibili, la teologia, la metafisica e la positiva, ottenesse
in realtà una preponderanza universale completa, ci
sarebbe un ordine sociale determinato. Ma siccome le tre
filosofie opposte continuano a coesistere, ne risulta una
situazione incompatibile con un‘effettiva organizzazione
sociale. Comte si propone perciò il compito di portare a
termine l‘opera iniziata da Bacone, Cartesio e Galilei e di
costruire il sistema delle idee generali che deve
definitivamente prevalere nella specie umana, ponendo
termine così alla crisi rivoluzionaria che tormenta i popoli
civilizzati. Tale sistema di idee generali o filosofia
positiva presuppone però che sia determinato il compito
particolare di ciascuna scienza e l‘ordine complessivo di
tutte le scienze: presuppone un‘enciclopedia delle scienze
che muovendo da una classificazione sistematica fornisca
il prospetto generale di tutte le conoscenze scientifiche.
Comte comincia con l‘escludere dalla sua considerazione
le conoscenze applicate della tecnica e delle arti,
limitandosi alle conoscenze speculative; e anche di queste
considera solo quelle generali ed astratte, escludendo
323
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
quelle particolari e concrete. Posto ciò, egli cerca di
determinare una scala enciclopedica delle scienze che
corrisponda alla storia delle scienze stesse. Le scienze si
possono classificare considerando in primo luogo il loro
grado di semplicità o, ciò che è lo stesso, il grado di
generalità dei fenomeni che costituiscono il loro oggetto. I
fenomeni più semplici sono infatti anche i più generali; ed
i fenomeni semplici e generali sono anche quelli più
facilmente osservabili. Perciò, graduando le scienze
secondo l‘ordine della complessità crescente e della
semplicità decrescente, si viene a riprodurre, nella
gerarchia così formata, l‘ordine di successione con cui le
scienze sono entrate nella fase positiva. Seguendo questo
criterio si possono in primo luogo distinguere i fenomeni
dei corpi bruti e i fenomeni dei corpi organizzati come
oggetti di due gruppi principali di scienze. I fenomeni dei
corpi organizzati sono evidentemente più complicati e più
particolari degli altri; dipendono dai precedenti che a loro
volta non ne dipendono. Di qui la necessità di studiare i
fenomeni fisiologici dopo quelli dei corpi inorganici. La
fisica si trova dunque divisa in fisica organica e fisica
inorganica. A sua volta la fisica inorganica, secondo lo
stesso criterio della semplicità e della generalità, sarà
dapprima fisica celeste (o astronomia sia geometrica, sia
meccanica) e poi fisica terrestre che a sua volta sarà fisica
propriamente detta e chimica. Una divisione analoga sarà
fatta per la fisica organica. Tutti gli esseri viventi
presentano due ordini di fenomeni distinti, quelli relativi
all‘individuo e quelli relativi alla specie: ci sarà dunque
una fisica organica o fisiologica e una fisica sociale che è
fondata su di essa. L‘enciclopedia delle scienze sarà
324
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
dunque costituita da cinque scienze fondamentali:
astronomia, fisica, chimica, biologia e sociologia. L‘ordine
logico delle scienze coincide con l‘ordine storico del loro
sviluppo e con l‘ordine pedagogico del loro
apprendimento. Di questa gerarchia non fanno parte, come
si vede, né la matematica, né la logica, né la psicologia. La
matematica è stata esclusa non perché non sia una scienza,
ma perché costituisce la base di tutte le altre scienze.
L‘enciclopedia può venir articolata secondo l‘ordine
seguente: 1) matematica: 2) astronomia; 3) fisica; 4)
chimica; 5) biologia: 6) sociologia. La logica è stata
esclusa poiché Comte ritiene che essa si identifichi con il
metodo concreto impiegato da ogni specifica branca del
sapere. Infine, la psicologia deve la sua esclusione
dall‘enciclopedia al fatto che non è una scienza e non è
suscettibile di diventarlo. La cosiddetta osservazione
interiore che si è destinata allo studio dei fenomeni
intellettuali è impossibile. I fenomeni intellettuali non
possono essere osservati nell‘atto stesso in cui si
verificano. L‘individuo pensante non può dividersi in due,
di cui l‘uno ragioni, mentre l‘altro lo guardi ragionare.
L‘organo osservato e l‘organo osservatore essendo in
questo caso identici, come potrebbe l‘osservazione aver
luogo? Ciò che vi è di scientifico nella psicologia, da un
lato è riconducibile all‘esame fisiologico del cervello (cioè
alla biologia) e dall‘altro all‘esame del suo
comportamento sociale (cioè alla sociologia).
La sociologia
La scienza alla quale tutte le scienze sono subordinate è la
sociologia. Compito di questa scienza è quello di percepire
325
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
nettamente il sistema generale delle operazioni successive,
filosofiche e politiche, che devono liberare la società dalla
sua fatale tendenza alla dissoluzione imminente e condurla
direttamente ad una nuova organizzazione, più progressiva
e più salda di quella che riposava sulla filosofia teologica‘.
A questo scopo la sociologia deve costituirsi nella stessa
forma delle altre discipline positive e concepire i fenomeni
sociali come soggetti a leggi naturali che ne rendano
possibile la previsione sia pure nei limiti compatibili con
la loro complessità superiore. La sociologia, o fisica
sociale, è divisa da Comte in statica, che studia l‘ordine
che unisce le varie parti del sistema sociale, e in dinamica
che studia i fattori di cambiamento e di progresso. Poiché
il perfezionamento effettivo risulta soprattutto dallo
sviluppo spontaneo dell‘umanità, come potrebbe esso non
essere essenzialmente, a ciascun‘epoca, ciò che poteva
essere secondo l‘insieme della situazione?‖. Comte
afferma che senza questa compiutezza di ciascun‘epoca
della storia in se stessa, la storia sarebbe incomprensibile.
E non esita neppure a ripristinare nella storia il concetto di
causa finale. Gli eventi della storia sono necessari nel
duplice significato del termine: nel senso che in essa è
inevitabile ciò che si manifesta dapprima come
indispensabile, e reciprocamente.
Lo scopo dell‘indagine scientifica è la formulazione delle
leggi perché la legge permette la previsione: e la
previsione dirige e guida l‘azione dell‘uomo sulla natura.
―Scienza, previsione, azione tale è la formula
semplicissima che esprime in modo esatto la relazione
generale tra la scienza e l‘arte, prendendo questi due
termini nella loro accezione totale‖. L‘osservazione dei
326
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
fatti e la formulazione di leggi esauriscono il compito
della scienza. L‘opera di Comte risulta esplicitamente
diretta a favorire l‘avvento di una società nuova che egli
chiamò sociocrazia. cioè un regime fondato sulla
sociologia, corrispondente alla teocrazia fondata sulla
teologia.
La religione della scienza
Il Sistema di politica positiva è diretto esplicitamente a
trasformare la filosofia positiva in una religione positiva.
Esso tende cioè a fondare l‘unità dogmatica, culturale e
pratica dell‘umanità. Il concetto fondamentale è quello
dell‘Umanità, che deve prendere il posto di quello di Dio.
L‘Umanità è il Grande Essere come l‘insieme degli esseri
passati, futuri e presenti che concorrono liberamente a
perfezionare l‘ordine universale. Il concetto dell‘umanità
non è un concetto biologico (per quanto sia anche
biologico),
ma
un
concetto
storico,
fondato
sull‘identificazione romantica di tradizione e storicità.
Comte delinea, con minuziosi particolari, anche il culto
positivistico dell‘umanità. Stabilisce un calendario
positivista in cui i mesi e i giorni sono dedicati alle
maggiori figure della religione, dell‘arte, della politica e
della scienza. Propone perfino un nuovo segno, che
dovrebbe sostituire il segno della croce dei cristiani.
Il positivismo evoluzionistico
L‘altro indirizzo del Positivismo è quello evoluzionistico.
Questo indirizzo consiste nell‘assumere il concetto
d‘evoluzione come il fondamento di una teoria generale
della realtà naturale e nello scorgere nell‘evoluzione stessa
327
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
la manifestazione di una realtà, soprannaturale o
metafisica, infinita ed ignota. Il punto di partenza di
questo indirizzo, cioè il concetto di evoluzione, è desunto
dalla dottrina del trasformismo biologico, quale è stata
elaborata da Lamarck e Darwin. Se il principio romantico
dell‘infinito che si rivela o realizza nel finito è la categoria
tacitamente presupposta dalla filosofia positivistica
dell‘evoluzione, la teoria biologica della trasformazione
della specie è il suo punto di partenza di fatto.
Charles Darwin (1809 - 1882)
Dopo un viaggio per mare durato cinque anni. si dedicò a
raccogliere e a riordinare il materiale per la sua grande
opera L’origine della specie. Il merito di Darwin consiste
nell‘aver dato una compiuta e sistematica teoria scientifica
del trasformismo biologico fondandola su un numero
enorme di osservazioni. La teoria di Darwin si fonda su
due ordini di fatti: 1° l‘esistenza di piccole variazioni
organiche che si verificano negli esseri viventi lungo il
corso del tempo e sotto l‘influenza delle condizioni
ambientali, variazioni che sono vantaggiose agli individui
che le presentano: 2° la lotta per‘ la vita che si verifica
necessariamente tra gli individui viventi per la tendenza di
ogni specie a moltiplicarsi secondo una progressione
geometrica. Quest‘ultimo presupposto è desunto dalla
dottrina di Malthus. L‘accumularsi delle piccole variazioni
e la loro conservazione per mezzo producono la variazione
degli organismi animali che, nei suoi termini estremi, è il
passaggio da una specie ad un‘altra. Ciò che l‘uomo fa per
le piante e gli animali domestici producendo gradualmente
le varietà di essi che sono più utili ai suoi bisogni, la
328
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
natura può ben farlo su scala immensamente più vasta.
Dalla teoria segue che, tra le varie specie, han dovuto
esistere innumerevoli varietà intermedie che collegano
strettamente tutte le specie di uno stesso gruppo: ma la
selezione naturale ha sterminato queste forme intermedie
di cui tuttavia si possono trovare le tracce nei residui
fossili. Darwin crede di aver stabilito l‘inevitabile
progresso biologico allo stesso modo che il romanticismo
idealistico e socialistico credeva all‘inevitabile progresso
spirituale. L‘altra opera fondamentale di Darwin, La
discendenza dell‘uomo, tende in primo luogo a stabilire
che non esiste alcuna differenza fondamentale fra l‘uomo
e i mammiferi più elevati per ciò che riguarda le loro
facoltà mentali‘, La sola differenza tra l‘intelligenza e il
linguaggio dell‘uomo e quelli degli altri animali è una
differenza di grado che si spiega con la legge della
selezione naturale ed anche, in parte, con la scelta sessuale
alla quale Darwin attribuisce, per l‘evoluzione dell‘uomo,
importanza assai maggiore che per l‘evoluzione degli
animali. Darwin non crede che il riconoscimento della
discendenza dell‘uomo da organismi inferiori diminuisca
in qualche modo la dignità umana. Chi, egli dice, abbia
veduto un selvaggio nella sua terra nativa non sentirà
molta vergogna se sarò obbligato a riconoscere che il
sangue di qualche creatura più umile gli scorre nelle vene.
In quanto a me, vorrei tanto essere disceso da quell‘eroica
scimmietta che affrontò il suo terribile nemico per salvare
la vita al suo custode o da quel vecchio babbuino che
sceso dal monte strappò trionfante il suo giovane
compagno a una muta attonita di cani, quanto da un
selvaggio che si compiace di torturare i suoi nemici, offre
329
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
sacrifici di sangue, pratica l‘infanticidio senza rimorsi,
tratta le sue mogli come schiave, non conosce che cosa sia
la decenza ed è dominato da grossolane superstizioni‖.
Herbert Spencer ( 1820 – 1903 )
Spencer è il più importante rappresentante del positivismo
evoluzionistico sviluppando la teoria darwiniana sulla
totalità del reale, per Spencer secondo un processo
graduale avviene un‘evoluzione pre-organica, organica e
superorganica, si tratta quindi di un meccanismo
biologico. Le opere più importanti di Spencer sono: ―
Statica sociale ―, ― Principi di psicologia ―, ― Principi
primi ―.
Spencer a differenza di una certa corrente del positivismo
ammette la conciliabilità della scienza e della religione, in
quanto la scienza si deve occupare dell‘ ambito del
conoscibile, la religione dell‘inconoscibile. Si tratta di una
divisione fondamentale, la scienza offre una spiegazione
sul piano fenomenico, del ―come―, la religione da un lato
evidenzia i limiti della conoscenza umana, dall‘ altro svela
il mistero profondo della realtà. La religione di cui parla
Spencer è una teologia negativa; non definisce
l‘inconoscibile ma si limita attraverso un processo
negativo a dire cosa dietro la conoscenza scientifica non
stia. Scienza e religione hanno ambiti diversi: non
possiamo conoscere la realtà così come essa è al di là del
suo manifestarsi fenomenico, lo scienziato quindi può solo
indagare il conoscibile, lasciando ad una religione
negativa l‘ analisi sull‘Inconoscibile. La filosofia diviene
la scienza più importante, ma perde una sua autonomia
330
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
concettuale; la sua funzione è quella di esplicare le leggi
generali ed universali della realtà nel processo evolutivo,
leggi generali da cui dipendono quelle delle singole
scienze, che arrivano ad intuizioni frammentarie. Le
scienze analizzano aspetti particolari della realtà, aspetti
che una volta analizzati vanno coordinati in una visione d‘
insieme, tale compito deve essere svolto dalla filosofia,
che assurge ad un ruolo di sintesi. Tre sono i principi a cui
pervengono le scienze: a) Indistruttibilità della materia, b)
continuità del movimento, c) persistenza della forza. Tali
principi vengono rielaborati magistralmente dalla filosofia,
che costruisce un unico principio evoluzionistico, fondato
su un processo triadico: a) passaggio dall‘ incoerente al
coerente ( progressiva concentrazione), b) passaggio dall‘
omogeneo all‘ eterogeneo, dall‘ uniforme al multiforme
(progressiva differenziazione), c) passaggio dall‘
indefinito al definito (progressiva determinazione ). La
legge dell‘ evoluzionismo regola l‘ intera realtà dal mondo
inorganico fino al mondo superorganico, dal Sistema
Solare al mondo umano; Spencer formulando tale teoria
non si accorge che sussiste una differenza evidente tra il
mondo inorganico e quello umano, in quest‘ ultimo
intervengono fattori come la cultura e la coscienza intesa
come consapevolezza del proprio sviluppo. Spencer dirà
nei Principi primi che l‘ evoluzione è una integrazione di
materia accompagnata da dispersione di moto, durante la
quale la materia passa da un‘omogeneità incoerente,
indefinita, a una eterogeneità coerente, definita, mentre il
moto subisce una trasformazione parallela.
331
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
CAPITOLO 18
Friedrich NIETZSCHE
Opere principali: La nascita della tragedia in Grecia
(1872); Considerazioni inattuali (1876); Umano, troppo
umano (1878); Aurora (1882); La gaia scienza (1882);
Così parlò Zarathustra (1883); Aldilà del bene e del male
(1886); Sulla genealogia della morale (1887); Il caso
Wagner (1888); Il crepuscolo degli idoli (1888);
L'Anticristo (1888); Ecce homo (1888).
Il pensiero di Nietzsche è complesso e non sempre di
facile lettura. L'uso di metafore, simboli e aforismi rende
possibile una molteplicità di interpretazioni e di punti di
vista sull‘opera del filosofo tedesco e costituisce altresì il
segno della fecondità intellettuale del suo pensiero che,
ancora oggi, stimola la riflessione sull‘esistenza, i valori e
la verità. Paul Ricoeur ha annoverato Nietzsche (insieme a
Marx e a Freud) tra i ―filosofi del sospetto‖, poiché ha
ingenerato il dubbio nelle certezze condivise della
maggior parte degli uomini.
LA SCRITTURA
Nei primi scritti , "La nascita della tragedia" e le
"Considerazioni inattuali", Nietzsche é ancora legato alla
forma accademica del saggio, ma, al tempo stesso, egli già
cerca di evitare il tono impersonale e distaccato di questa
forma letteraria, rivolgendosi direttamente ai suoi lettori.
"In tutte le opere che ho scritto, io ho messo dentro anima
e corpo:non so che cosa siano problemi puramente
intellettuali". A partire da "Umano, troppo umano" prende
332
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
corpo la forma dell' aforisma, ossia della definizione
breve: "L'aforisma, la sentenza, sono le forme dell'eternità;
la mia ambizione è dire in dieci frasi quello che chiunque
altro dice in un libro, quello che chiunque altro non dice in
un libro." L'aforisma é paragonato da Nietzsche alle figure
in rilievo, che, essendo incomplete, richiedono
all'osservatore di completare "col pensiero ciò che si
staglia davanti". un libro composto di aforismi richiede,
dunque, un tipo diverso di lettura: una lettura discontinua,
per lascia tempo alla riflessione e all'interpretazione, ad
una pratica che i moderni hanno disimparato e che
Nietzsche chiama ruminare. Con "Così parlò Zarathustra"
il modello stilistico é fornito dalla scrittura in versetti,
propria dei Vangeli, una sorta di poesia in prosa, più
conforme al tono rivelativo, intriso di simboli, e alieno da
sviluppi troppo argomentativi. Esso si adatta
maggiormente al senso della propria missione, che segna
l'inizio di una nuova epoca storica, dopo il tramonto del
cristianesimo, e della morale occidentale. Uno stile che
scava, scalza di sottoterra i pregiudizi e i valori dominanti
nel proprio tempo. "I miei scritti sono stati chiamati una
scuola di sospetto e ancor più di disprezzo; per fortuna
però anche di coraggio, anzi di temerarietà".
FASI
L‘opera di Nietzsche viene convenzionalmente suddivisa
in alcune fasi, che non vanno intese alla stregua di
scansioni rigide, ma come tappe transitorie di un pensiero
in divenire.
a) Gli scritti giovanili del periodo wagnerianoschopenhaueriano (1872-1876), che come, prendono La
333
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
nascita della tragedia (1872), le quattro Considerazioni
inattuali (1873-1876)
b) Gli scritti intermedi del periodo ―illuministico‖ o
―genealogico‖ (1878-1882), che comprendono Umano,
troppo umano (1878-1880), Aurora (1881). La gaia
scienza (1882)
c) Gli scritti del meriggio o di ―Zarathustra‖ (1883-1885),
che comprendono Così parlò la Zarathustra e frammenti
d) Gli scritti del tramonto o degli ultimi anni (1886-1889).
che comprendono Al di là del bene e del male (1886),
Genealogia della morale (1887), Il caso Wagner,
Crepuscolo degli idoli, L‗Anticristo, Ecce homo,
Nietzsche contra Wagner (tutti del 1888).
Il primo periodo: Apollineo e Dionisisaco
La prima fase del pensiero di Nietzsche è caratterizzata
dagli studi filologici e dalla passione per il mondo greco,
dall'influenza di Schopenhauer e dall'ammirazione per
l'opera di Wagner: La nascita della tragedia riunisce tali
influssi per generare una nuova visione della civiltà greca.
Il motivo centrale di La nascita della tragedia è la
distinzione fra ―apollineo‖ e dionisiaco‘. Con questa
coppia di opposti (che si concretizza in altre sotto-coppie,
come forma-caos, stasi-divenire, finito-infinito, sognoebbrezza, luce-oscurità, serenità-inquietudine) Nietzsche
intende, innanzitutto, i due impulsi di base dello spirito e
dell‘arte greca. L‘apollineo (Apollo è il dio greco
dell'armonia, in esso vengono identificati la proporzione e
334
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
la bellezza) che scaturisce da un impulso alla forma e da
un atteggiamento di fuga di fronte al divenire, si esprime
nelle forme limpide e armoniche della scultura e della
poesia epica. Il dionisiaco (Dioniso è il dio greco -il
corrispettivo greco del dio romano Bacco- che incarna
tutto ciò che vi è di istintivo, caotico e irrazionale nella
vita) che scaturisce dalla forza vitale e dalla partecipazione
al divenire, si esprime nell‘esaltazione creatrice della
musica. In contrasto con la filologia dominante e con
l‘immagine neoclassica dell‘Ellade come mondo
dell‘equilibrio (dell‘apollineo), Nietzsche insiste sul
carattere originariamente dionisiaco della grecità, portata a
scorgere ovunque il dramma della vita e della morte. La
tragedia greca univa questi due aspetti: quello apollineo,
espresso dalle arti figurative e dal logos, e quello
dionisiaco, espresso dalle musica, simbolo della vitalità. I
due momenti dello spirito si uniscono perfettamente nella
tragedia di Eschilo ma già Euripide tende a eliminare dalla
tragedia l'elemento dionisiaco, col predominio della
razionalità. Socrate comunque è il principale responsabile
della decadenza della cultura occidentale. Con Socrate si
impone l'ideale della ragione e della scienza, in contrasto
con la vita. Socrate e Platone sono "gli strumenti della
dissoluzione greca, gli pseudogreci, gli antigreci". Socrate
fu ostile alla vita, volendo dominare e soffocare l'istintività
spontanea in nome della ragione. La decadenza della
tragedia funge quindi da spia rivelatrice della decadenza
della civiltà occidentale nel suo complesso. Da
Schopenhauer Nietzsche deriva la tesi del carattere
doloroso dell‘essere, ma ne respinge la tematica
dell‘ascesi. Infatti, alla noluntas schopenhaueriana egli
335
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
contrappone un atteggiamento di entusiastica accettazione
dell‘essere nella globalità dei suoi aspetti. La vita è dolore,
lotta, distruzione. crudeltà, incertezza, errore. Essa non ha
ordine, né scopo, il caso la domina e i valori umani non
trovano in essa garanzie precostituite. Due atteggiamenti
sono allora possibili di fronte a essa. Il primo è quello
della rinuncia e della fuga. che mette capo all‘ascetismo. E
l‘atteggiamento che Schopenhauer derivò dalla sua
diagnosi ed è l‘atteggiamento proprio della morale
cristiana e della spiritualità comune. Il secondo è quello
dell‘accettazione della vita così com‘è ed è
l‘atteggiamento che mette capo all‘esaltazione della vita e
al superamento dell‘uomo. Nietzsche vuole essere un
discepolo di Dioniso, poiché nell‘antica figura greca egli
vede il simbolo del suo ―Sì totale al mondo". Questa
esaltazione della tragedia, che si accompagna a una
concezione della civiltà come processo di decadenza
dovuto al progressivo imporsi dello spirito antitragico, di
tipo socratico-platonico, sfocia nell‘ideale di una rinascita
della cultura tragica, incentrata sull‘arte, in particolare
sulla musica. di cui Nietzsche scorge un‘incarnazione
emblematica in Wagner (a cui è dedicato il capolavoro
giovanile). Fra il 1873 e il 1876 Nietzsche scrive le quattro
Considerazioni inattuali, in cui l‘auspicata rinascita della
cultura tragica, più che in un progetto alternativo di civiltà,
si traduce in un‘opera di critica della cultura
contemporanea. Strauss, Feuerbach e Comte sono filistei.
Nietzsche combatte la saturazione di storia e l‘idolatria del
fatto (i fatti ―sono stupidi‖; solo le teorie che li
interpretano possono essere intelligenti).
Periodo illuministico. Il metodo genealogico
336
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Nietzsche aveva dedicato a Wagner la Nascita della
tragedia. Intanto, però, si distacca sia da Wagner che da
Schopenhauer, come testimoniato da opere quali Umano,
troppo umano , Aurora e La gaia scienza. Schopenhauer è
―null‘altro che l‘erede della tradizione cristiana‖; il suo è
―il pessimismo dei rinunciatari, dei falliti e dei vinti‖. E
Wagner non è affatto lo strumento della rigenerazione
della musica; Nietzsche ne Il caso Wagner scrive Wagner
è una malattia: ―est une névrose‖. Umano, troppo umano
segna l‘inizio di un periodo ―illuministico‖ di Nietzsche
che coincide con l‘avvento della scrittura aforistica. La
scienza (intesa come procedimento critico) diventa la
guida: metafisica, religione e arte vengono sottoposte a
giudizio e smascherate come menzogne. Nietzsche dedica
la prima edizione di Umano, troppo umano a Voltaire.
Nietzsche è illuminista, si intende, non perché creda
nell'ingenua fiducia settecentesca nella ragione e nel
progresso, ma perché impegnato in un‘opera di critica
della cultura tramite la ragione e la scienza. Per scienza
Nietzsche non intende l‘insieme delle scienze particolari,
bensì un metodo di pensiero in grado di emancipare gli
uomini dagli errori che gravano sulle loro menti. Metodo
che Nietzsche finisce per identificare con un procedimento
critico di tipo storico e genealogico. Critico perché eleva il
sospetto a regola di indagine. Storico o genealogico poiché
ritiene che non esistano realtà statiche o immutabili, ma
che ogni cosa sia l‘esito di un processo da ricostruire.
Questo metodo storico-genealogico assume la forma
concreta di una chimica delle idee impegnata a far
scaturire un atteggiamento dal suo opposto (la verità dalla
menzogna, l‘altruismo dall‘egoismo ecc.) e a mettere a
337
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
nudo le origini umane, troppo umane, dei cosiddetti valori
sovrumani.
LA MORTE di DIO (Gott ist tot)
Per Nìetzsche Dio è 1) il simbolo di ogni visione dualistica
che ponga il senso dell‘essere al di là dell‘essere, ovvero
in un altro mondo contrapposto a questo mondo; 2) la
personificazione delle certezze ultime dell‘umanità, ossia
di tutte le credenze metafisiche e religiose elaborate
attraverso i millenni per dare un ordine rassicurante alla
vita. Il primo punto è connesso alla convinzione
nietzscheana secondo cui Dio e l‘oltre-mondo abbiano
storicamente rappresentato una fuga dalla vita e una
rivolta contro questo mondo. In Dio è dichiarata inimicizia
alla vita, alla natura, alla volontà di vivere! Dio, la formula
di ogni calunnia dell‘aldiquà. di ogni menzogna
dell‘aldilà. Il secondo punto discende dalla maniera
nietzscheana di concepire la metafisica. Secondo questo
filosofo, l‘immagine di un cosmo ordinato e benefico è
soltanto una costruzione della nostra mente, ai fini di
sopportare la durezza dell‘esistenza: C‘è un solo mondo ed
è falso, crudele. contraddittorio. corruttore, senza senso...
Un mondo così fatto è il vero mondo... Noi abbiamo
bisogno della menzogna per vincere questa realtà, questa
―verità‖, cioè per vivere 1...) La metafisica, la morale, la
religione, la scienza (...l vengono prese in considerazione
solo come diverse forme di menzogna: col loro sussidio si
crede nella vita. Di fronte a una realtà che risulta
contraddittoria, crudele e non-provvidenziale, gli uomini
hanno dovuto convincere se stessi che il mondo è qualcosa
di logico e di provvidenziale. Le metafisiche e le religioni
338
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
risultano decorazioni della realtà e bugie di sopravvivenza.
Essendo la più antica delle bugie vitali (la nostra più lunga
menzogna), Dio si configura come la quintessenza di tutte
le credenze escogitate attraverso i tempi per poter
fronteggiare il volto caotico dell‘esistenza. Per Nietzsche è
la realtà stessa, cioè l‘essenza caotica del mondo, a
confutare l‘idea di Dio ed è superflua ogni ulteriore
contro-dimostrazione della non esistenza di Dio. Di
conseguenza, più che la dimostrazione del carattere afinalistico, a-razionale e quindi a-teo dell‘universo, a
Nietzsche premono ormai: 1) l‘annuncio dell‘evento in
corso della morte di Dio: 2) la riflessione sulle
conseguenze prodotte da questo fatto decisivo della storia
umana. In La gaia scienza. in uno dei passi più
significativi della sua opera Nietzsche drammatizza il
messaggio della morte di Dio con il noto racconto
dell‘uomo folle: ‖Avete sentito di quel folle uomo che
accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al
mercato e si mise a gridare incessantemente: ‗Cerco Dio!
Cerco Dio!‖. E poiché proprio là si trovavano raccolti
molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi
risa‖. Come il platonico mito della caverna, anche questo
passo contiene una ricca simbologia filosofica. L‘uomo
folle = il filosofo-profeta; le risa ironiche degli uomini del
mercato = l‘ateismo ottimistico e superficiale dei filosofi
dell‘Ottocento ecc. La tesi della morte di Dio non viene
argomentata secondo le modalità della metafisica
tradizionale, ma semplicemente affermata ―per istinto‖.
L‘ateismo di Nietzsche vuol essere così radicale, che egli
non contesta soltanto Dio, ma anche ogni suo ipotetico
surrogato, ben conscio che gli uomini, abbattute le antiche
339
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
divinità, tendono inevitabilmente a crearne altre. E nelle
pagine finali di Cosi parlò Zarathustra, Nietzsche
racconta di uomini che si mettono ad adorare un asino, con
grande ira del filosofo-profeta, il quale constata come il
passaggio dall‘uomo all‘oltreuomo sia lento e difficile.
L‘asino è simbolo di ogni sostituto idolatrico di Dio e
allude alle varie forme dell‘ateismo positivo
dell‘Ottocento, nelle quali il vecchio Dio per opera di una
serie di pallidi ateisti, anticristi si trova sostituito da
altrettanti supplenti (lo Stato, l‘Umanità, la scienza), che
vengono a riempire il vuoto lasciato dalle precedenti
strutture metafisiche; ―Dopo che Buddha fu morto, si
continuò per secoli ad additare la sua ombra in una
caverna — un‘immensa orribile ombra. Dio è morto; ma
stando alla natura degli uomini, ci saranno forse ancora
per millenni caverne nelle quali si additerà la sua ombra. E
noi dobbiamo vincere anche la sua ombra!‖ (La gaia
scienza).
Così parlò Zarathustra (1883-1885) apre la terza la
decisiva fase del filosofare nietzscheano. è una sorta di
poema in prosa. Il tono profetico che lo caratterizza e il
profluvio di immagini e di parabole in cui si articola lo
rendono, di difficile lettura e interpretazione. Una fase che
comincia là ove si era conclusa la filosofia del mattino,
ossia con la consapevolezza che con l‘eliminazione del
―mondo vero è tolto di mezzo anche il mondo ―apparente‖,
cioè ogni scissione dualistica della realtà. Dopo la ―morte
di Dio‖ si aprono due possibilità; l‘ultimo uomo e il
superuomo; ―‗L‘opposto del superuomo è l‘ultimo uomo;
li ho creati insieme‖. Zarathustra insegna il superuomo
mostrando l‘abiezione dell‘ultimo uomo. Zarathustra non
340
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
è il superuomo, ma soltanto il suo profeta: io sono un
messaggero del fulmine e il fulmine si chiama superuomo.
Perché Nietzsche ha eletto la figura arcaica di Zarathustra
a portavoce delle proprie idee? Essendo stato il primo ad
aver tradotto la morale in termini metafisici, sarebbe stato
anche il primo ad essersi accorto dell‘errore della morale:
"Zarathustra ha creato questo errore fatale, la morale: di
conseguenza egli deve essere anche il primo a riconoscere
quell‘errore". A trent‘anni (l‘età in cui Gesù di Nazareth
comincia il suo insegnamento) Zarathustra ―si ritira ancora
per dieci anni in montagna. nella solitudine, e giunto così
vicino all‘essenza di tutte le cose, comincia il suo
―tramonto‖, la sua discesa tra gli uomini, per portar loro
l‘insegnamento, che prima annuncia sul mercato e poi ai
singoli. Ma ancora gli orecchi non sono svegli e aperti al
suo messaggio: egli ritorna e tiene ai suoi seguaci la
seconda serie di parabole. ma esita ad annunciare il suo il
pensiero più profondo, il pensiero dell‘Eterno Ritorno
dell‘Uguale. La quarta parte mostra il tentativo di vita
degli uomini superiori, proprio di quelli che rappresentano
il ―resto di Dio‖, degli idealisti, ai quali il cielo ideale è
sprofondato e ora provano il grande terribile vuoto. Ma il
pensatore supera anche questi uomini superiori. Dal punto
di vista concettuale, i temi di base dello Zarathustra sono
sostanzialmente tre: il superuomo, la volontà di potenza e
l‘eterno ritorno.
Il superuomo (Uebermensch)
La morte di Dio coincide con l‘atto di nascita del
superuomo. Solo chi ha il coraggio di guardare in faccia la
realtà e di prendere atto del crollo degli assoluti è ormai
341
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
maturo, secondo Nietzsche, per varcare l‘abisso che divide
l‘uomo dall‘oltre-uomo. Il superuomo ha dietro di sé,
come condizione necessaria del suo essere, la morte di Dio
e la vertigine da essa provocata, ma ha davanti a sé, a
titolo di conquista, il ‗mare aperto‘ delle possibilità
connesse a una libera progettazione della propria esistenza
al di là di ogni struttura metafisica data; ‗Noi filosofi e
―spiriti liberi‖ alla notizia che il vecchio Dio è morto, ci
sentiamo come illuminati dai raggi di una nuova aurora; il
nostro cuore ne straripa di riconoscenza, di meraviglia, di
presentimento, d‘attesa, — finalmente l‘orizzonte torna ad
apparirci libero, anche ammettendo che non è sereno, —
finalmente possiamo di nuovo scioglier le vele alle nostre
navi, muovere incontro a ogni pericolo; ogni rischio
dell‘uomo della conoscenza è di nuovo permesso; il mare,
il nostro mare, ci sta ancora aperto dinanzi, forse non vi è
ancora mai stato un mare così ―aperto‖. In linea generale,
possiamo dire che il superuomo è un concetto filosofico di
cui si serve Nietzsche per esprimere il progetto di un tipo
di uomo qualificato da una serie di caratteristiche che
coincidono con i temi di fondo del suo pensiero. Il
superuomo è colui che è in grado di accettare la
dimensione tragica e dionisiaca dell‘esistenza; di
―reggere‖ la morte di Dio e la perdita delle certezze
assolute; di far propria la prospettiva dell‘eterno ritorno; di
emanciparsi dalla morale e dal cristianesimo ; di porsi
come volontà di potenza; di procedere oltre il nichilismo ;
di affermarsi come attività interpretante e prospettica ecc.
In quanto tale, il superuomo non può che stare nel futuro.
Il superuomo nietzscheano, che non va confuso con un
esteta di tipo dannunziano o con un‘entità biologica di tipo
342
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
darwiniano, ma un uomo diverso da quello che
conosciamo. Nietzsche presenta il superuomo come il
senso della terra: ―Vi scongiuro, fratelli, rimanete fedeli
alla terra e non credete a quelli che vi parlano di
sovraterrene speranze‖. L‘uomo è terra ed è nato per
vivere sulla terra. L‘anima, che dovrebbe essere il soggetto
di un‘ipotetica esistenza ultraterrena, è insussistente:
l‘uomo è sostanzialmente corpo. ―Anima non è altro che
una parola per indicare qualcosa del corpo‖.
L‘eterno ritorno
La formulazione più completa della teoria dell‘eterno
ritorno la troviamo in Così parlò Zarathustra. nel discorso
su La visione e l’enigma, in cui Nietzsche parla della
―visione del più solitario tra gli uomini‖. Zarathustra narra
di una salita su di un impervio sentiero di montagna (=
simbolo del faticoso innalzarsi del pensiero), durante la
quale egli, con il nano che lo segue, si trova di fronte a una
porta carraia, su cui è scritta la parola ―attimo‖ (il
presente) e dinanzi alla quale si uniscono due sentieri che
―nessuno ha mai percorso sino alla fine‖, in quanto si
perdono nell‘eternità: il primo porta all‘indietro (= il
passato) e l‘altro porta in avanti ( il futuro). Zarathustra
chiede al nano se le due vie sono destinate a contraddirsi
in eterno oppure no. Alla risposta un po‘ affrettata del
nano, che allude alla circolarità del tempo (―Tutte le cose
diritte mentono, borbottò sprezzante il nano. Ogni verità è
ricurva, il tempo stesso è un circolo‖), Zarathustra espone
un abbozzo di teoria dell‘eterno ritorno: ‗non dobbiamo
tutti esserci stati un‘altra volta?‖, ―non dobbiamo ritornare
in eterno?‘. A questo punto abbiamo una trasformazione di
343
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
scena, una sorta di visione nella visione, entro la quale.
sullo sfondo di un desolato paesaggio lunare Zarathustra
vede: un giovane pastore rotolarsi, soffocato, convulso,
stravolto in viso, cui un greve serpente nero penzolava
dalla bocca. Avevo mai visto tanto schifo e livido
raccapriccio dipinto su di un volto? Forse, mentre
dormiva, il serpente gli era strisciato dentro le fauci e — lì
si era abbarbicato mordendo. La mia mano tirò con forza il
serpente. tirava e tirava — invano! non riusciva a
strappare il serpente dalle fauci. Allora un grido mi sfuggì
dalla bocca: ―Mordi! Mordi! Staccagli il capo‘...‖. Il
pastore, poi, morse così come gli consigliava il mio grido;
e morse bene! Lontano da sé sputò la testa del serpente —:
e balzò in piedi. Non più pastore, non più uomo — un
trasformato, un circonfuso di luce, che rideva. Mai prima
al mondo aveva riso un uomo, come lui rise!‖. Tuttavia, la
scena centrale del pastore che trasformandosi in creatura
luminosa e ―ridente‖, al fatto che l‘uomo può trasformarsi
in creatura superiore e ridente (= il superuomo), solo se
supera la ripugnanza soffocante del pensiero dell‘eterno
ritorno ( il serpente, circolo). mediante una decisione
coraggiosa nei suoi confronti (= il morso del serpente). La
teoria de «l'eterno ritorno dell'uguale», significa che per
l'essere non si può più ritenere che il tempo abbia una
direzione lineare, che comporti una struttura articolata in
passato, presente e futuro come momenti irripetibili,
secondo la visione «storica» che si è imposta nella
tradizione giudaico-cristiana. Dopo più di duemila anni.
Nietzsche torna dunque a recuperare una visione precristiana del mondo presente nella Grecia presocratica e
nelle civiltà indiane, la quale presuppone una visione
344
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
ciclica del tempo in opposizione a quella rettilinea di tipo
cristiano-moderno: Tutto va, tutto torna eternamente ruota
la ruota dell‘essere. Tutto muore, tutto torna a fiorire,
eternamente corre l‘anno dell‘essere. Tutto crolla, tutto
viene di nuovo connesso; eternamente l‘essere si
costruisce la medesima abitazione. Tutto si diparte, tutto
torna fedele a se stesso rimane l‘anello dell‘essere. Questa
dottrina, che a tutta prima sembrerebbe la semplice ripresa
di un antico mito, costituisce in realtà il punto più
controverso dell‘intera filosofia nietzscheana. Mettersi
nell‘ottica dell‘eterno ritorno vuol dire rifiutare una
concezione lineare del tempo. Disporsi a vivere la vita, e
ogni attimo di essa. Il tipo di uomo capace di decidere
l‘eterno ritorno, e quindi di vivere come se tutto dovesse
ritornare è un oltreuomo in grado di vivere la vita come un
gioco creativo.
L‘ultimo Nietzsche
Nell‘ultima fase, Nietzsche si propone di distruggere
definitivamente le credenze dominanti, per far posto
all‘avvento di un nuovo pensiero, finalizzato alla
creazione dell‘oltreuomo. Il tema dell‘accettazione della
vita, centrale in tutto il percorso intellettuale di Nietzsche,
si traduce in una forte polemica contro la morale e il
cristianesimo, considerati come le tipiche forme di
coscienza e di azione attraverso cui l‘uomo è giunto a
porsi contro la vita stessa. Secondo Nietzsche la morale è
sempre stata considerata come un fatto. Di conseguenza, il
primo passo da compiere nei confronti della morale è di
mettere in discussione la morale stessa: abbiamo bisogno
di una critica dei valori morali, di cominciare a porre una
345
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
buona volta in questione il valore stesso di questi valori,
Proprio in vista di ciò, Nietzsche intraprende un‘analisi
genealogica della morale, al fine di scoprirne la genesi
psicologica. Nell‘ambito di questo viaggio alle sorgenti
dei comportamenti etici, il filosofo è guidato da una
convinzione che esprime con una frase famosa: dove voi
vedete cose ideali. io vedo cose umane, ahi troppo umane.
Egli ritiene infatti che i pretesi valori trascendenti della
morale e la morale stessa siano solo una proiezione di
determinate tendenze umane, che il filosofo, in virtù della
psicologia, signora delle scienze, ha il compito di svelare
nei loro meccanismi segreti. Innanzitutto la cosiddetta
―voce della coscienza‖, da cui procederebbe la morale.
secondo Nietzsche, è nient‘altro che la presenza, in noi,
delle autorità sociali da cui siamo stati educati. Per cui,
anziché essere ―la voce di Dio nel petto dell‘uomo‖, la
coscienza risulta piuttosto ―la voce di alcuni uomini
nell‘uomo‖, In altre parole, la moralità è ―l‘istinto del
gregge nel singolo‖, ovvero il suo assoggettamento a
determinate direttive fissate dalla società. In un primo
momento, soprattutto nel mondo classico, la morale
espressione di un‘aristocrazia cavalleresca, risulta
improntata ai valori vitali della salute, della fierezza, della
gioia (= la morale dei signori), in un secondo momento
(ebraismo e cristianesimo), la morale appare improntata ai
valori del disinteresse del sacrificio di sé ecc. (= la morale
de schiavi) La civiltà occidentale abbia imboccato la
strada della malattia e della decadenza, perché la morale
dei signori originariamente comprendeva in sé non solo
l‘etica dei guerrieri, ma anche quella dei sacerdoti. Il
guerriero (virtù del corpo), il sacerdote invece tende a
346
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
perseguire le virtù dello spirito. Per sentimento di
inferiorità, il sacerdote non può fare a meno di provare un
certo risentimento verso i guerrieri, ovvero una segreta
invidia e un desiderio di rivalsa nei loro confronti. Non
potendo dominare la casta dei guerrieri sul loro stesso
terreno, la casta sacerdotale cerca quindi di affermare se
medesima elaborando una tavola di valori antitetica a
quella dei cavalieri. In tal modo, al corpo viene anteposto
lo ―spirito‖, all‘‖orgoglio‖. l‘umiltà‖, alla sessualità.‖ la
castità‖― e così via. Questo rovesciamento di valori è
rappresentato soprattutto dagli ebrei, nei quali Nietzsche
vede il ―popolo sacerdotale‖ per eccellenza, che ha
capovolto i valori del mondo antico e poi dal cristianesimo
storico dell‘Occidente, nel quale Nietzsche vede il simbolo
della vita che si mette contro la vita. Ma proprio perché ha
inibito gli impulsi primari dell‘esistenza il cristianesimo
ha prodotto un tipo d‘uomo preso da continui sensi di
colpa. L‘uomo cristiano, nel suo risentimento, nasconde
un‘aggressività rabbiosa contro la vita e uno spirito di
vendetta contro il prossimo. Questo spiega perché dalla
religione dell‘amore sia potuta scaturire una casta
sacerdotale, spesso crudele, che lungo i secoli non ha
esitato a bagnarsi del sangue altrui. Da ciò la sua proposta
di una radicale trasvalutazione dei valori: ―la mia verità è
tremenda: perché fino a oggi si chiamava verità la
menzogna. Trasvalutazione di tutti i valori: questa è la mia
formula per l‘atto con cui l‘umanità prende la decisione
suprema su se stessa, un atto che in me è diventato carne e
genio‖. In rapporto a questa trasvalutazione. Nietzsche si
sente investito di una missione epocale. finalizzata a porre
le basi di un nuovo tipo di civiltà. Da ciò la figura del
347
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
filosofo come legislatore e costruttore di storia. Gli operai
della filosofia, come Kant e Hegel, non sono i veri filosofi.
I veri filosofi sono dominatori e legislatori. Essi dicono
―così deve essere! e stabiliscono la meta dell‘uomo,
utilizzando i lavori preparatori di tutti gli operai scientifici
della filosofia e di tutti i dominatori del passato: Il loro
conoscere è creare, il loro creare è una legislazione‖.
Volontà di potenza
Nietzsche identifica la volontà di potenza con ―l‘intima
essenza dell‘essere‖:‗volete un nome per questo mondo?
Una soluzione per i suoi enigmi? Una luce anche per voi ?
Questo mondo è la volontà di potenza — e nient‘altro! E
anche voi stessi siete questa volontà di potenza — e
nient‘altro!‖- La volontà di potenza si identifica con la vita
stessa, intesa come forza espansiva e autosuperantesi:
―Ogni volta che ho trovato un essere vivente, ho anche
trovato la volontà di potenza. La molla fondamentale della
vita non sono gli impulsi autoconservativi o la ricerca del
piacere, ma la spinta all‘autoaffermazione‖. L‘espressione
più alta della volontà di potenza si trova nel superuomo,
perché la sua essenza consiste nel continuo superamento di
sé. Ma se l‘essenza della vita è il potenziamento della vita
e se tale potenziamento si identifica con la creazione che
la vita fa di se stessa, ne segue che l‘arte, intesa nel senso
ampio di forza creatrice, non è soltanto una forma della
vita, ma la sua forma suprema. Zarathustra afferma il
carattere creativo della volontà rispetto al tempo, grazie
alla quale il macigno del ―così fu‖ si scioglie nel ―così
volli‖ che fosse pronunciato dal superuomo: ‗Ogni ―così
fu‖ è un frammento, un enigma, una casualità orrida fin
348
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
che la volontà che crea non dica anche: ―ma così volli che
fosse!‖. Questa redenzione del tempo fa tutt‘uno con
l‘accettazione della sua essenza eternamente ritornante
(amor fati! formula di matrice stoica che in Nietzsche non
ha un significato passivo, bensì attivo, in quanto il
superuomo non subisce, ma istituisce l‘eterno ritorno). La
volontà di potenza di cui parla Nietzsche non ha solo
queste valenze teoriche — che sono certamente le più
decisive sul piano filosofico. Essa ne contiene anche altre,
ben più ―crude‖ (e storicamente funeste). Sono le valenze
connesse al concetto della volontà di potenza come
sopraffazione e dominio. Valenze che si trovano non solo
nei frammenti postumi, ma anche nelle opere edite da
Nietzsche.
Il nichilismo
Il problema del nichilismo costituisce uno dei motivi più
attuali della riflessione di Nietzsche. In una prima
accezione, Nietzsche intende per nichilismo ―la volontà
del nulla‖, ovvero ogni atteggiamento di fuga e di disgusto
nei confronti del mondo concreto. Atteggiamento che vede
incarnato soprattutto nel platonismo e nel cristianesimo. In
una seconda accezione, connessa alla precedente ma più
caratterizzante. Nietzsche adopera il termine nichilismo la
specifica situazione dell‘uomo moderno e contemporaneo,
che, non credendo più nei ―valori supremi‖ (Dio. la verità,
il bene ecc.) e in un senso o in uno ―scopo metafisico‖
delle cose, finisce per avvertire, di fronte all‘essere, lo
sgomento del ‗vuoto‖ e del ‗nulla‘. Nietzsche allora
presenta se stesso come ―il primo perfetto nichilista
d‘Europa, che però ha già vissuto in sé fino in fondo il
349
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
nichilismo stesso — che lo ha dietro di sé, sotto di sé,
fuori di sé‘- L‘equivoco del nichilismo moderno, come
mostra il suo meccanismo -genealogico-. risiede dunque
nel fatto che esso identifica la mancanza di fini e strutture
metafisiche ‗razionali‖ e ―provvidenziali‘ con la mancanza
di senso tout-court. In altre parole, l‘equivoco del
nichilismo consiste nel dire che il mondo, non avendo
quella serie di significati ―forti‖ che i metafisici gli
attribuivano (unità. verità assoluta ecc.), non ha nessun
senso: ‗Risultato: il credere nelle categorie di ragione è la
causa del nichilismo — abbiamo misurato il valore del
mondo in base a categorie che si riferiscono a un mondo
puramente fittizio. Questo mostra come Nietzsche, pur
essendo anch‘egli nichilista radicale lo sia in modo tale da
superare il nichilismo stesso. Infatti, poiché patologica è la
conclusione che non c‗è nessun senso, il nichilismo appare
a Nietzsche soltanto uno stadio intermedio, ovvero un No
alla vita che prepara il grande Sì ad essa, attraverso
l‘esercizio della volontà di potenza. Nel nichilismo
incompleto rimane ancora operante una fede; per
rovesciare il mondo dei valori si deve ancora credere in
qualcosa, in un ideale, si ha ancora un ―bisogno di verità‖.
Come forme di nichilismo incompleto Nietzsche nomina:
a) in ambito politico il nazionalismo, il socialismo e
l‘anarchismo; b) in ambito scientifico lo storicismo e il
positivismo; c) in ambito artistico il naturalismo e
l‘estetismo francese‖.Il nichilismo completo è il
nichilismo vero e proprio. Tale nichilismo può essere
segno di debolezza o di forza. Nel primo caso, cioè come
sinonimo di declino e regresso della potenza dello spirito,
si ha il nichilismo passivo, che si limita a prendere atto del
350
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
declino dei valori e a crogiolarsi nel nulla o in una serie di
narcotici posticci. Nel secondo caso, cioè come sinonimo
della cresciuta potenza dello spirito, si ha il nichilismo
attivo, che si esercita come ―forza violenta di distruzione‘.
Nietzsche chiama estrema la forma di nichilismo attivo
che distrugge ogni residua credenza in qualche verità in sé
di tipo metafisico: ―Che non ci sia una verità; che non ci
sia una costituzione assoluta delle cose, una ―cosa in sé‖,
ciò stesso è un nichilismo, è anzi il nichilismo estremo‖
351
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
CAPITOLO 19
Sigmund Freud
Sigmund Freud nasce nel 1856 a Freiberg, in Moravia, da
genitori ebrei. Fondatore della Psicoanalisi, una scienza
che ha rivoluzionato i metodi di cura delle malattie
mentali e ha disegnato una nuova immagine dell‘uomo,
della sessualità e della civiltà.
Opere principali
Studi sull‘isteria (1892-95), con Breuer; L‘interpretazione
dei sogni (1899) (è la prima opera in cui viene
compiutamente formulata la teoria psicoanalitica),
Psicopatologia della vita quotidiana (1901); Totem e tabù
(1913); Introduzione alla psicoanalisi (1915-17); Al di là
del principio di piacere (1920); L‘io e l‘es (1922);
L‘avvenire di un‘illusione(1927); Il disagio della civiltà
(1929).
La medicina ufficiale ottocentesca si muoveva in un
orizzonte teorico di tipo materialistico. Essa tendeva infatti
a interpretare tutti i disturbi della personalità in chiave
somatica. L‘isteria aveva attirato l‘attenzione di un gruppo
di medici. Charcot era giunto a usare l‘ipnosi come
metodo terapeutico, Breuer utilizzava l‘ipnosi non come
strumento di inibizione dei sintomi, ma come mezzo per
richiamare alla memoria avvenimenti penosi dimenticati.
Nel caso di Anna O., un‘isterica gravemente ammalata,
curata da Breuer, fra gli altri sintomi (paralisi motorie,
turbe della vista e dell‘udito, tosse nervosa, anoressia,
afasia ecc.) vi era pure una caratteristica idrofobia acuta
352
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
(paura di bere). Mediante l‘ipnosi, Breuer aveva scoperto
che la paziente, avendo scorto da bambina il cane della
governante bere in un bicchiere, aveva provato un forte
senso di repulsione. Pur avendo rimosso quell‘episodio, la
paziente manifestava sintomi idrofobici, che erano spariti
soltanto quando Breuer, in virtù dell‘ipnosi, li aveva
portati alla coscienza. Breuer e Freud mettono a punto il
cosiddetto metodo catartico, consistente appunto nel
tentativo di provocare una ―scarica emotiva‖ capace di
―liberare‖ il malato dai suoi disturbi. Freud arriva alla
scoperta che la causa delle psiconevrosi è da ricercarsi in
un conflitto tra forze psichiche inconsce, ossia operanti al
di là della sfera di consapevolezza del soggetto, i cui
sintomi risultano quindi psicogeni (non organici). La
scoperta dell‘inconscio segna l‘atto di nascita della
psicoanalisi. che si configura infatti come psicologia del
profondo.
Inconscio e vie d‘accesso
Prima di Freud si riteneva comunemente che la ―psiche‖ si
identificasse con la coscienza. Il medico viennese afferma
invece che la maggior parte della vita mentale si svolge
fuori della coscienza e che l‘inconscio costituisce la realtà
abissale primaria di cui il conscio (come la punta di un
iceberg) è solo la manifestazione visibile. L‘inconscio
viene eletto a punto di vista privilegiato da cui osservare
l‘uomo. Freud divide l‘inconscio in due zone. La prima
comprende l‘insieme dei ricordi che pur essendo
momentaneamente inconsci, possono, in virtù di uno
sforzo dell‘attenzione, divenire consci. Tale è il
―preconscio‖. La seconda zona comprende quegli elementi
353
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
psichici stabilmente inconsci che sono mantenuti tali da
una forza specifica — la ―rimozione‖ — che può venir
superata solo in virtù di tecniche apposite. Freud pensò di
usare l‘ipnosi per superare le ―resistenze‖ che ne sbarrano
l‘accesso alla coscienza . Ma la scarsa efficacia di
quest‘ultima lo indusse presto ad elaborare un nuovo
metodo: quello delle associazioni libere. Mettere il
paziente in grado di abbandonarsi al corso dei propri
pensieri, produce delle catene associative con il materiale
rimosso che si vuole portare alla luce. Questo metodo, pur
avendo la capacità di aggirare più facilmente le censure
presenta tuttavia, nella concretezza dell‘analisi, notevoli
difficoltà. Scoperto quel nuovo continente scientifico che è
l‘inconscio, Freud si propose di decodificarne i messaggi
tramite lo studio di quelle sue manifestazioni privilegiate
che sono i sogni, gli atti mancati e i sintomi nevrotici.
La teoria della psiche
Rifiutando la concezione intellettualistica dell‘Io come
semplice Io cosciente, Freud afferma che la psiche è
un‘unità complessa costituita da diversi metaforici luoghi
(topoi) psichici. La prima topica psicologica viene
elaborata da Freud nell‘interpretazione dei sogni e
distingue tre sistemi: il conscio, il preconscio e
l‘inconscio. La seconda topica viene elaborata da Freud a
partire dal 1920 e distingue tre istanze: l‘Es, l‘Io e il
Super-io. L‘Es (termine tedesco che indica il pronome
neutro della terza persona singolare) è il polo pulsionale
della personalità, la matrice originaria della nostra psiche.
L‘Es non conosce né il bene, né il male, né la moralità ma
obbedisce unicamente al principio del piacere. Esso esiste
354
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
inoltre al di là delle forze spazio-temporali codificate da
Kant (in quanto le pulsioni rimosse vivono in una sfera
senza luogo e senza tempo) e ignora le leggi della logica.
Il Super-io è ciò che comunemente si chiama coscienza
morale, ovvero l‘insieme delle proibizioni che sono state
imposte all‘uomo nei primi anni di vita e che poi lo
accompagnano sempre, anche in forma inconsapevole: Il
Super-io è il successore e rappresentante dei genitori. L‘Io
è la parte organizzata della personalità, è l‘istanza che si
trova a dover equilibrare. Nell‘individuo normale l‘Io
riesce abbastanza bene a padroneggiare la situazione. E
fornisce, agendo sulla realtà, parziali soddisfazioni all‘Es,
senza violare in forma clamorosa gli imperativi e le
proibizioni che provengono dal Super-io. Ma se da un lato
le esigenze dell‘Es sono eccessive, o se il Super-io è
troppo debole, o invece troppo rigoroso, allora queste
soluzioni pacifiche non sono più possibili.
I sogni, gli atti mancati e i sintomi nevrotici.
Nell‘Interpretazione dei sogni Freud vede nei fenomeni
onirici la via regia che porta alla conoscenza
dell‘inconscio nella vita psichica. Egli ritiene infatti che i
sogni siano ―l‘appagamento (camuffato) di un desiderio
(rimosso)‖. Per motivare questa tesi Freud distingue,
all‘interno dei sogni, un contenuto manifesto (la scena
onirica) e un contenuto latente (l‘insieme delle tendenze
che danno luogo alla scena onirica). Il contenuto
manifesto dei sogni è nient‘altro che la forma elaborata e
travestita — sotto effetto della censura — in cui si
presentano i desideri latenti. Ma se ogni sogno è la
realizzazione
di
un
desiderio,
l‘interpretazione
355
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
psicoanalitica dei sogni consiste nel ripercorrere a ritroso
il processo di traslazione del contenuto latente in quello
manifesto. Nella Psicopatologia della vita quotidiana
Freud prende in esame quei contrattempi della vita di tutti
i giorni (lapsus. errori, dimenticanze, incidenti banali ecc.)
che prima di lui si era soliti attribuire al caso. Applicando
il principio del determinismo psichico — secondo cui,
nella nostra mente, nulla avviene per caso, ma ogni evento
è il prodotto necessario di determinate cause — Freud
scopre invece come anche tali fenomeni abbiano un ben
preciso significato. Questo schema risulta facilmente
applicabile ai casi di lapsus linguae, tuttavia, secondo la
psicoanalisi, esso vale per qualsiasi incidente (ad es. noi
tendiamo a dimenticare determinati nomi, o a smarrire
determinati oggetti, per il fatto che a essi sono associati
sentimenti spiacevoli). Per i sintomi nevrotici, Freud fa un
discorso analogo, sostenendo che il sintomo, come il
sogno manifesto, rappresenta il punto di incontro fra una o
più tendenze rimosse e quelle forze della personalità che si
oppongono all‘ingresso ditali credenze nel sistema
conscio. E poiché Freud scoprì ben presto che gli impulsi
rimossi che stanno alla base dei sintomi psiconevrotici
sono sempre di natura sessuale, egli fu portato a porre la
sessualità al centro della propria attenzione.
La teoria della sessualità
Prima di Freud la sessualità era sostanzialmente
identificata con la genitalità, ossia con il congiungimento
con un individuo di sesso opposto, ai fini della
procreazione. Di conseguenza, secondo questo schema la
sessualità dovrebbe mancare nell‘infanzia, subentrare
356
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
intorno all‘epoca della pubertà.. Ora, se tutto ciò fosse
vero, resterebbero inspiegate tutte le tendenze
psicosessuali differenti dal coito. Ad es. resterebbero
inspiegate la sessualità infantile la sublimazione (cioè il
trasferimento di una carica originariamente sessuale sopra
oggetti non-sessuali, come il lavoro, l‘arte, la scienza ecc.)
e le perversioni. Di conseguenza, Freud fu condotto ad
ampliare il concetto di sessualità, sino a vedervi
un‘energia suscettibile di dirigersi verso le mete più
diverse e in grado di investire gli oggetti più disparati.
Energia che Freud denominò libido e che pensò alla
stregua di un flusso migratorio localizzato di volta in
volta, in corrispondenza dello sviluppo fisico, su alcune
parti del corpo, dette zone erogene (generatrici di piacere
erotico). Parallelamente a questa rifondazione del concetto
di sessualità, Freud elaborò un‘originale dottrina della
sessualità infantile. Respingendo la mistificante immagine
del bambino come sorta di angioletto asessuato Freud
giunse a definire il piccolo uomo come un essere perverso
polimorfo, ossia come un individuo capace di perseguire il
piacere indipendentemente da scopi riproduttivi e
mediante i più svariati organi corporei. In particolare.
Freud sostiene che lo sviluppo psicosessuale del soggetto
avviene attraverso tre fasi, ognuna delle quali appare
caratterizzata da una specifica zona erogena: fase orale,
anale e genitale. 1) La fase orale, che caratterizza i primi
mesi di vita e che dura sino a un anno e mezzo circa, ha
come zona erogena la bocca e risulta connessa a quella
che, in questo periodo, costituisce la principale attività del
bambino: il poppare.2) La fase anale, che va da un anno e
mezzo circa a tre anni, ha come zona erogena l‘ano ed è
357
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
collegata alle funzioni escrementizie, che per il bambino
sono oggetto di particolare interesse e piacere.3) La fase
fallica, che inizia alla fine del terzo anno, ha come fattore
erogeno la zona genitale. La fase genitale in senso stretto,
che segue a quella fallica dopo un periodo di latenza (che
va dal declino della sessualità infantile — quarto o sesto
anno — sino all‘inizio della pubertà) è caratterizzata
dall‘organizzazione delle pulsioni sessuali sotto il primato
delle zone genitali. La teoria del complesso di Edipo. In
generale, il complesso edipico — che prende il nome dalla
mitica vicenda del personaggio greco, destinato dal Fato a
uccidere il padre e a sposare la madre — consiste in un
attaccamento ―libidico‖ verso il genitore di sesso opposto
e in un atteggiamento ambivalente (con componenti
positive affettuosità e tendenza alla identificazione, e
componenti negative di ostilità verso il genitore di egual
sesso Tale complesso si sviluppa fra i tre cinque anni,
ossia durante la fase fallica, e, a seconda della sua
risoluzione o meno. determina la futura strutturazione
della personalità.
Religione e Civiltà
Nell‘ultimo periodo della sua vita Freud si è espresso in
modo originale sui temi della religione e della civiltà
(Totem e tabù, L‘avvenire di un ‗illusione, Il disagio della
civiltà, Mosè e il monoteismo). Per quanto riguarda le
―rappresentazioni religiose‖, Freud ritiene che esse siano
―illusioni, appagamenti dei desideri più antichi, più forti,
più pressanti dell‘umanità‖. A sua volta, l‘amato e temuto
Padre celeste (Dio) non sarebbe altro che la proiezione
psichica dei rapporti ambivalenti con il padre terreno. Per
358
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
la civiltà, Freud afferma che essa implica un costo in
termini libidici, essendo costretta a ―deviare‖ la ricerca del
piacere in prestazioni sociali e lavorative. Inoltre la civiltà,
proseguendo l‘opera paterna, dà origine a un Super-io
collettivo, incarnato da una serie di norme e divieti: Il
Super-io della civiltà, come quello individuale, affaccia
severe esigenze ideali, il mancato conformarsi alle quali
viene punito con l‘angoscia morale‖ (Il disagio della
civiltà). L‘antropologia dell‘ultimo Freud, che presenta
punti di contatto con quella di Schopenhauer, vuol essere
decisamente ―realistica‖ e ―pessimistica‖. La sofferenza è
componente strutturale della vita, che ci costringe a patire
nel corpo e nella psiche, a decadere e a morire. L‘uomo è
una creatura tra le cui doti istintive è da annoverare un
forte quoziente di aggressività. Di conseguenza, lo stato
civile è un male minore rispetto a un‘umanità-senzasocietà, che potesse dar sfogo a tutti i suoi desideri. Infatti,
in una situazione del genere, non solo l‘uomo non sarebbe
felice, ma diventerebbe ancor più pericoloso per il
prossimo. Negli ultimi scritti Freud ha diviso le pulsioni in
due specie, quelle che tendono a conservare e a unire, e
sono quindi erotiche o genericamente sessuali: e quelle
che invece tendono a distruggere e a uccidere, e sono
quindi aggressive o distruttive. Nella lotta tra Eros e
Thanatos Freud ha visto l‘intera storia del genere umano.
359
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
CAPITOLO 20
E. Husserl e la Fenomenologia
La Fenomenologia
Filosofia dell'aritmetica (1891)L'idea della fenomenologia
(1907) Ricerche logiche (1900-1901) La filosofia come
scienza rigorosa (1911), Idee per una fenomenologia pura
e per una filosofia fenomenologica (1913-1928), Logica
formale e trascendentale (1929), Meditazioni cartesiane
(1931), La crisi delle scienze europee e la fenomenologia
trascendentale (1935-1937)
Nell‘opera di Husserl. la filosofia come indagine
fenomenologica si presenta coi seguenti caratteri:
1) È scienza teoretica (contemplativa) e rigorosa, ―fornita
di fondamenti assoluti‖.
2) È scienza intuitiva perché mira a cogliere essenze che si
danno alla ragione in modo analogo a quello in cui le cose
si danno alla percezione sensibile.
3) È scienza non-oggettiva, perciò completamente diversa
dalle altre scienze particolari che sono scienze di fatti o di
realtà (fisiche o psichiche) mentre essa prescinde da ogni
fatto o realtà e si rivolge alle essenze.
4) È scienza delle origini e dei primi principi perché la
coscienza contiene il senso di tutti i modi possibili in cui
le cose possono essere date o costituite.
360
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
5) È scienza della soggettività perché l‘analisi della
coscienza mette capo all‘io come soggetto o polo
unificante di tutte le intenzionalità costitutive.
6) È scienza impersonale perché i suoi collaboratori non
hanno bisogno di saggezza ma di doti teoretiche.
Bolzano e Brentano
La fenomenologia di Husserl nasce in polemica contro
l‘impostazione empiristica o psicologistica della logica e
in generale della teoria della conoscenza. Bolzano (17811848): le verità in sé sono delle proposizioni valide anche
al di fuori del fatto di essere riconosciute, pensate o
espresse a parole. Si noti che "oggettivo", per Bolzano,
non significa "vero perché esperibile da diversi soggetti",
bensì vero perché anteriore, e comunque indipendente,
dall'esperibilità di qualsiasi soggetto. Bolzano, pertanto, ha
avuto il merito - di contro a Kant - di riconoscere la
dimensione oggettiva degli oggetti della logica e di
mettere in chiaro che, indipendentemente dalle condizioni
soggettive del nostro conoscere , esiste una realtà
ontologica del pensiero e, quindi, la possibilità di una
fondazione logico-formale della scienza stessa. L‘altro
presupposto
fondamentale
della
fenomenologia,
l‘intenzionalità della coscienza, deriva da Brentano. La
tesi fondamentale di Brentano è il carattere intenzionale
della coscienza o dell‘esperienza in generale. Intentio è
termine scolastico, e fu usato per indicare il concetto in
quanto si riferisce a qualcosa di altro da sé e sta in luogo
di esso. Secondo Brentano, l‘intenzionalità è il carattere
specifico dei fenomeni psichici in quanto si riferiscono
361
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
tutti a un oggetto immanente. L‘oggetto dell‘atto
intenzionale è immanente in quanto cade nell‘ambito
dell‘atto stesso, cioè nell‘ambito della stessa esperienza
psichica.
Il metodo fenomenologico
Nelle Lezioni sull‘Idea di fenomenologia (1907) Husserl
raggiunge una caratterizzazione più precisa della natura
dell‘indagine sulla essenza dei modi di conoscenza.
Quest‘indagine viene distinta nettamente dalla psicologia,
alla quale viene riconosciuto il carattere di scienza
naturale. La psicologia considera gli eventi psichici come
appartenenti a certe coscienze d‘uomini o d‘animali e
perciò attribuisce agli eventi psichici il carattere di fatti
naturali che avvengono nel tempo. La psicologia non può
dunque cogliere l‘essenza della coscienza e dei modi in
cui alla coscienza stessa sono dati i suoi oggetti reali o
possibili. A differenza della psicologia, la fenomenologia
pura non è una scienza di fatti ma di essenze (è una
scienza eidetica) e i fenomeni di cui essa si occupa non
sono reali ma irreali. Per raggiungere il piano della
fenomenologia è quindi indispensabile un mutamento
radicale di atteggiamento, che consiste nel sospendere
l‘affermazione della realtà e nell‘assumere l‘atteggiamento
dello spettatore, interessato solo a cogliere l‘essenza degli
atti con cui la coscienza si rapporta alla realtà. Questo
mutamento di atteggiamento è l‘epoché fenomenologica.
L‘epoché degli antichi Scettici era la sospensione totale
del giudizio. Il dubbio cartesiano è anch‘esso la
sospensione totale di tutta la conoscenza. L‘epoché
fenomenologica è soltanto la sospensione di
362
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
quell‘affermazione di realtà che è implicita in tutti gli
atteggiamenti naturali e in tutte le scienze naturali.
Sospendendo l‘affermazione della realtà del mondo, il
mondo stesso diventa un puro fenomeno di coscienza ma
non si annulla. L‘attenzione del ricercatore si sposta dal
mondo ai fenomeni con cui esso si presenta nella
coscienza. In questo senso la coscienza costituisce il
residuo fenomenologico, vale a dire ciò che rimane dopo
l‘epoché, il suo essere non viene toccato dalla messa in
parentesi del mondo e diventa così il campo specifico
della
ricerca
fenomenologica.
L‘atteggiamento
fenomenologico così descritto ha dunque due condizioni
fondamentali: la riduzione eidetica che sostituisce alla
considerazione dei fatti o delle cose naturali l‘intuizione
delle essenze e l‘epoché che sospende o mette in parentesi
la tesi dell‘esistenza del mondo in generale.
L‘INTENZIONALITA‘ E L‘IO
Poiché la coscienza è sempre coscienza di qualcosa (ogni
cogito ha il suo cogitatum), l‘analisi della coscienza è
analisi dei modi in cui questi oggetti si danno alla
coscienza. Gli atti della coscienza costituiscono
l‘intenzionalità della coscienza. Intenzione è termine
scolastico col quale s‘intendeva il riferimento di una
rappresentazione, di un concetto o di un atto di volontà
(per il quale ultimo il termine è passato anche nell‘uso
comune), all‘oggetto rappresentato o pensato o voluto. Per
Husserl l‘intenzionalità costituisce la natura stessa della
coscienza. La coscienza è intenzionalità nel senso che ogni
sua manifestazione (pensiero, fantasia, emozione ecc), si
riferisce a qualche cosa di diverso da sé, a un oggetto
363
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
pensato, fantasticato, sentito, voluto ecc. Come
intenzionalità, la coscienza non è che l‘atto di trascendere
se stessa e di mettersi in rapporto con un oggetto.
L‘oggetto è precisamente un oggetto, cioè una realtà
trascendente che si annuncia e si presenta alla coscienza
attraverso i fenomeni soggettivi della percezione. Nei
fenomeni soggettivi (o esperienze vissute) bisogna
distinguere la direzione verso l‘oggetto (il percepire, il
ricordare, l‘immaginare) che è detta da Husserl noesis, e
l‘oggetto considerato dalla riflessione nei suoi vari modi di
esser dato (il percepito, il ricordato, l‘immaginato) che è
detto da Husserl noema. Il noema è l‘elemento oggettivo
dell‘esperienza vissuta, ma non è l‘oggetto stesso, che è la
cosa. L‘oggetto della percezione per es. è l‘albero, ma il
noema di questa percezione è il complesso dei predicati e
dei modi d‘essere nell‘esperienza soggettiva: l‘albero
verde, illuminato, non illuminato, percepito, ricordato ecc.
La prima conseguenza di questo punto di vista è la
differenza radicale tra il modo d‘essere della coscienza e il
modo d‘essere della cosa. La cosa si dà alla coscienza
attraverso i fenomeni soggettivi (del percepire, ricordare
ecc.); la coscienza si dà invece a se stessa direttamente,
senza alcun intermediario. La percezione della coscienza è
una percezione immanente, di fronte alla percezione
trascendente dell‘oggetto esterno. Apparire ed essere non
coincidono per l‘oggetto esterno, ma coincidono per la
coscienza. Un‘esperienza vissuta non può non esistere,
invece l‘esperienza di un oggetto non garantisce l'esistenza
dell‘oggetto. Per oggetto non devono intendersi soltanto le
cose o gli oggetti materiali. Vi sono oggetti ideali che
hanno un‘esistenza diversa da quella degli oggetti
364
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
materiali ma che si comportano allo stesso modo nei
confronti della coscienza. Tra gli oggetti ideali vi sono le
essenze, cioè i concetti universali di tutte le cose reali,
materiali o spirituali che siano. Queste essenze sono date
alla coscienza, sono intuite da essa; e tale intuizione è
detta da Husserl intuizione eidetica (eidos = essenza).
L‘intuizione delle essenze
La coscienza non è mai vuota, si dirige sempre verso
qualcosa: e questo ―qualcosa‖, questo suo ―oggetto‖
percepito, ricordato, immaginato, ecc. (secondo le
operazioni che essa compie) ne costituisce il significato.
Un significato che — al di là dei particolari contenuti in
ogni intuizione sensibile — viene a configurarsi come
qualcosa di stabile, di permanente: un‘essenza‖, una
―forma‖. Sì tratta di un ‗oggetto‖ ideale, simile alla
―forma‖ descritta da Platone ma che, a differenza di
questa, non e da intendere come realtà in se, trascendente,
e neppure come ―cosa in sè‖ (in senso kantiano), poiché
essa è pur sempre immanente alla coscienza. La coscienza
svolge un‘attività di tipo intuitivo che ha come oggetto le
essenze ideali: si tratta di una vera e propria intuizione
delle essenze, ed è per questo che si parla d intuizione
eidetica (da eidos, idea). L‘intuizione eidetica è concreta,
poiché presuppone sempre l‘esperienza, ma guarda
all‘universale o all‘essenza. L‘intuizione della mente,
all‘interno di una realtà percepita, coglie un contenuto
universale, che appartiene a tutte le realtà di quel
determini nato tipo: ad esempio, di una data realtà avente
un determinato colore rosso (―questo ora‖, come può
essere questa porta) la ragione coglie intuitivamente la
365
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
qualità universale del rosso (il rosso, che si accompagna
altre esperienze come ―la porta‖, ―la casa‖ in generale). In
quanto atto empirico, la percezione di questo rosso è
contingente, cioè destinata a scomparire non appena mi
rivolgo ad altro (oppure chiudo gli occhi): ma essa rinvia
ad un noema, ad una essenza ideale, che costituisce il
significato autentico, universale. di quelle realtà particolari
e, come tale, differisce da esse. L‘aspetto caratterizzante
dell‘intuizione eidetica e l‘evidenza razionale con cui
l‘oggetto si presenta alla coscienza. La filosofia, dunque,
si costituisce come scienza rigorosa proprio perché non
riguarda i fatti, ma le essenze. E proprio in relazione a tali
essenze, Husserl apre una prospettiva di ricerca che verrà
seguita da molti suoi allievi in direzioni diverse —
orientata alle cosiddette ontologie regionali cioè ad ambiti
della realtà che vengono a configurarsi come vere e
proprie ―regioni dell‘essere‖. Tali sono, ad esempio,
l‖animalita‖, ‗―umanità‖, la ―società‖, il ―sacro‖: si tratta
di essenze generali, ciascuna delle quali comprende
insiemi di essenze che le specificano e le determinano.
Ogni regione dovrebbe, inoltre, essere oggetto di una
scienza filosofica speciale, tale da permetterne una
ricognizione approfondita ed esauriente. Così, ad esempio,
Max Scheler sviluppa un‘analisi fenomenologica dei
―valori materiali‖ che sono alla base dell‘etica, mentre
Edith Stein conduce un‘analisi sulla dimensione religiosa
dell‘esistenza.
Nelle opere posteriori a partire dalle Meditazioni
cartesiane il metodo della riduzione fenomenologica è
applicato da Husserl alla costituzione dell‘io e ai suoi
rapporti con gli altri. La riduzione fenomenologica mette
366
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
immediatamente in luce un io trascendentale che non ha
niente a che fare con l‘io empirico e naturale dell‘uomo.
Difatti l‘io empirico e naturale è già parte del mondo, e di
fronte a lui esiste già il mondo come esistono gli altri io.
Soltanto l‘io trascendentale si può proporre il problema
della costituzione dell‘io empirico, del mondo in cui esso
vive e degli altri io. Considerare la struttura dell‘io
trascendentale significa cercare la possibilità di tutto ciò
che nell‘io trova origine, in quanto possibilità dell‘io: la
natura, la cultura, il mondo in generale. Con ciò l‘io
trascendentale diventa, in qualche modo, tutta la realtà,
giacché in esso è racchiusa la possibilità di tutto ciò che
esiste. Il pensiero di Husserl in tal modo sembra passare
da una forma di realismo (dottrina dell‘intenzionalità) a un
radicale idealismo per il quale nulla c‘è fuori della
coscienza trascendentale. Ma su questo punto i testi del
filosofo sono piuttosto oscuri e quindi oggetto di
controversie critiche. Innegabile è comunque una certa
tendenza idealistica impressa dall‘ultimo Husserl alla
fenomenologia.
La crisi delle scienze europee
La crisi delle scienze europee e la fenomenologia
trascendentale è l‘ultima opera di Husserl. Nella Crisi
Husserl denuncia la decadenza che la cultura europea ha
subito per il prevalere del punto di vista oggettivistico
proprio delle scienze naturali. Infatti il mondo della
scienza è un mondo simbolico, costruito secondo
parametri fisico-matematici. Un mondo, insomma, che
cela ciò che Husserl chiama mondo della vita
(Lebenswelt), ossia la dimensione del vissuto e del
367
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
concreto. Questo carattere della scienza, evidente sin dalla
fondazione galileiana della fisica, si è andato sempre più
realizzando nel mondo contemporaneo. In realtà, sostiene
Husserl, la scienza è una realizzazione dello spirito
umano, che presuppone il mondo intuitivo e pre-riflessivo
della vita. Lo stesso scienziato, è. prima di tutto, uomo fra
gli uomini. Di conseguenza, la crisi delle scienze europee
di cui parla Husserl non consiste tanto in una crisi della
loro scientificità, ossia della loro capacità di conoscere con
successo il mondo, quanto nell‘aver perso i contatti con la
dimensione dei bisogni, delle emozioni. degli scopi,
dimenticando che l‘origine, il significato e il fine di tutte
le attività umane è l‘uomo stesso: questa scienza non ha
niente da dirci. La mera scienza dei fatti non ha nulla da
dirci a questo proposito: essa astrae appunto da qualsiasi
soggetto. Il mondo della vita, che per un pregiudizio
secolare è rimasto ai margini della riflessione occidentale,
rappresenta quindi il mondo al quale la scienza deve
ritornare, dopo esserne necessariamente partita. Occorre
un ritorno all‘uomo concreto, alle operazioni reali del
soggetto vivente. Non è un rifiuto della tecnica o delle
scienze particolari, ma esige che le tecniche e le scienze
non perdano il fine delle loro operazioni, inventate
dall‘uomo per l‘uomo. I filosofi, in questa prospettiva,
diventano allora funzionari dell‘umanità.
368
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
CAPITOLO 21
L‘esistenzialismo e Heidegger
L‘esistenzialismo, oltre che essere una filosofia in senso
stretto, è un clima‘ culturale che ha caratterizzato il
periodo compreso fra i due conflitti mondiali e che ha di
trovato la sua maggiore espressione nel periodo bellico e
postbellico. L‘esistenzialismo risulta definito da una
accentuata sensibilità nei confronti della finitudine umana
e dei dati che la caratterizzano, ossia da ciò che Jaspers
chiama situazioni limite la nascita, la lotta, la sofferenza, il
passare del tempo, la morte ecc. Aspetti che l‘esperienza
drammatica della guerra, con tutto il suo e lascito di orrori
e di distruzioni, ha contribuito a rendere ancora più
evidenti. Parallelamente alla delusione storica nei
confronti della guerra, sulla sensibilità esistenzialista ha
influito la delusione culturale nei confronti degli ideali e
delle correnti di pensiero di tipo ottocentesco. Per questi
motivi, l‘esistenzialismo si è collegato, sin dall‘inizio, con
certe manifestazioni letterarie in cui era più vivo il senso
della problematicità della vita umana (Dostoevskij e
Kafka). Dopo la seconda guerra mondiale la cosiddetta
letteratura esistenzialistica, e in primo luogo l‘opera
letteraria di Sartre, costituisce l‘anello di congiunzione tra
la situazione di quel momento e le forme concettuali
dell‘esistenzialismo, che erano state elaborate in data
anteriore. Infatti questa letteratura si è fermata soprattutto
a descrivere le situazioni umane che recano in sé più
fortemente impressa la traccia della problematicità
radicale dell‘uomo; e perciò ha sottolineato le vicende
369
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
meno rispettabili e più tristi, peccaminose o dolorose,
nonché l‘incertezza delle intraprese, sia buone che cattive,
e l‘ambiguità del bene stesso che talora mette capo al suo
contrario. L'esistenzialismo, ricollegandosi a Kierkegaard,
prende le distanze da tutte quelle filosofie ottocentesche e
novecentesche che: 1) misconoscono la finitudine
esistenziale, identificando l‘uomo con l‘Assoluto; 2)
risolvono la singolarità dell‘individuo in un processo
impersonale e totalizzante (lo Spirito, la dialettica della
storia) ove il problema del singolo in quanto tale cessa di
avere importanza; 3) mettono in ombra la rilevanza delle
situazioni-limite
dell‘esistenza
(nascita,
morte,
solitudine...) e degli stati d‘animo che le accompagnano
(angoscia, paura, speranza ecc.); 4) negano la scelta,
ritenendo l‘esistenza un fatto deterministico.
Le figure principali dell‘esistenzialismo, o che hanno
oggettivamente
contribuito al
diffondersi
delle
problematiche esistenzialistiche, sono Heidegger, Jaspers,
Sartre e Marcel. In Italia l‘esistenzialismo ha trovato i suoi
esponenti di spicco in Abbagnano, Paci e Pareyson.
Per molto tempo (dal 1930 al 1945 e oltre) Heidegger è
stato
considerato
come
―la
maggior
figura
dell‘esistenzialismo contemporaneo. In seguito, con la
pubblicazione degli inediti degli anni Trenta e dei nuovi
scritti che lo state studioso andava elaborando nello spirito
della svolta, è apparso evidente che il problema centrale di
Heidegger, coerentemente con il programma Ontologico.
di Essere e tempo, non era quello dell‘esistenza‖. bensì
quello dell‘essere. Tuttavia Essere e tempo è un‘analitica
esistenziale, sia pure condotta in vista dell‘elaborazione
370
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
del problema dell‘essere e il protagonista di Essere e
tempo non è l‘essere (che rimane sullo sfondo) bensì
l‘esistenza, che campeggia in tutta la sua specificità e
rilevanza;
Martin HEIDEGGER (1889-1976)
Le opere di Heidegger sono in corso di pubblicazione in
lingua originale con un‘edizione critica completa, che al
momento prevede centodue volumi. La pubblicazione di
Essere e tempo è uno spartiacque importantissimo:
Heidegger ne interrompe infatti la redazione e dà inizio ad
una ―svolta‖ decisiva per la sua filosofia. Intanto Essere e
tempo diventa un libro-chiave per lo sviluppo del
movimento esistenzialista. Nel 1929 escono la prolusione
Che cos‘è la metafisica. Kant e il problema della
metafisica e L‘essenza del fondamento, dove Heidegger
avvia a una ricerca sulla metafisica che occupa buona
parte degli scritti prodotti fra gli anni Trenta e Quaranta.
La revisione della storia della metafisica occidentale
prosegue quindi con L’essenza della verità del 1930,
l’Introduzione alla metafisica del 1935, Hoelderlin e
l’essenza della poesia del 1937, La dottrina di Platone
sulla verità del 1942. Anche lo scritto su Nietzsche (1961),
che riunisce le ricerche e i corsi universitari che Heidegger
tenne su questo autore tra il 1936 e il 1946, indica il
problema dell‘essere come ―l‘unica intima cosa comune in
questione nella filosofia occidentale‖ e indaga il modo in
cui Nietzsche si è posto rispetto ad esso. Nel frattempo le
interpretazioni esistenzialiste di Heidegger incalzano: la
Lettera sull’umanismo (1947) serve al filosofo a ribadire
la centralità dell‘Essere nella propria filosofia, a discapito
371
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
di qualsiasi lettura di essa in chiave esistenzialista. Gli
anni Cinquanta vedono molti interventi di Heidegger sul
problema della tecnica e molti contributi sull‘arte. La
sempre maggiore attenzione di Heidegger verso il tema del
linguaggio trova in In cammino verso il linguaggio (1959)
una piena espressione.
ESSERE E TEMPO E L‘ESSER-CI
Essere e tempo (1927) è una ricerca sulla questione
ontologica fondamentale, ovvero sul problema del senso
dell‘essere in generale. Heidegger affronta qui tale
problema ―interrogando‖ l‘ente che si fa la domanda sul
senso dell‘essere: questi è l‘uomo, definito come esser-ci,
ente che si ―apre‖ all‘essere. Poiché in ogni domanda si
possono distinguere tre cose: 1° ciò che si domanda; 2° ciò
a cui si domanda o che è interrogato; 3° ciò che si trova
domandando, nella domanda Che cosa è l‘essere? ciò che
si domanda è l‘essere stesso, ciò che si trova è il senso
dell‗essere, ma ciò che si interroga non può essere che un
ente giacché l‘essere è sempre proprio di un ente. Stando
ciò, il primo problema dell‘ontologia è quello di
determinare qual è l'ente che deve essere interrogato, cioè
al quale la domanda sull‘essere è specificamente rivolta.
Ora, questa stessa domanda, con tutto ciò che essa implica
(intendere, comprendere ecc.), è il modo d‘essere di un
ente determinato che è l‘uomo, che perciò possiede un
primato ontologico sugli altri enti in quanto su lui deve
cadere la scelta dell‘interrogato. Questo esistente che noi
stessi sempre siamo, dice Heidegger. e che, fra l‘altro, ha
quella possibilità d‘essere che consiste nel porre il
problema, lo designiamo con il termine Esserci (Dasein).
372
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
In sintesi, nel problema dell‘essere abbiamo un cercato (=
l‘essere), un ricercato (= il senso dell‘essere) e un
interrogato (= l‘uomo o l‘Esserci). L‘analisi del modo
d‘essere dell‘Esserci è dunque essenziale e preliminare per
l‘ontologia, giacché solo interrogando l‘Esserci si può
cercare che cos‘è l‘essere e trovarne il senso. Ma il modo
d‘essere dell‘Esserci è l‘esistenza: l‘analisi di questo modo
d‘essere sarà quindi un‘analitica esistenziale e tale
analitica sarà l‘unica strada per giungere alla
determinazione di quel senso dell‘essere che è il termine
finale dell‘ontologia. In questo modo Heidegger si
propone di individuare la differenza ontologica fra l‘ente e
l‘essere, quindi fra quegli enti che sono ―semplici
presenze‖ utilizzabili (le cose) e quegli enti, gli esseri
umani, che si caratterizzano come ―apertura all‘essere‖,
cioè domanda sull‘essere e su1 suo senso. Il modo
d‘essere caratteristico dell‘esserci è l‘esistenza, intesa
come possibilità di rapportarsi in qualche modo all‘essere.
Heidegger sviluppa quindi nella prima parte del suo scritto
due sezioni fondamentali, dedicate rispettivamente allo
studio dell‘esserci nel suo essere e all‘indagine del senso
dell‘essere.
L‘analitica esistenziale e l‘essere nel mondo Questa prima
parte dell‘indagine viene descritta come ―analitica
esistenziale‖ in base alla distinzione fra la riflessione
―esistenziale‖, che si rivolge all‘ente ponendo la questione
del suo essere, e indagine esistentiva relativa solo all‘ente.
Tale contrapposizione corrisponde, nel linguaggio di
Heidegger, anche a quella fra ―ontologico‖ e ―ontico‖.
Esistenziali sono i ―caratteri d‘essere‖ dell‘esserci come
possibilità, al contrario delle categorie, semplici
373
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
determinazioni dell‘ente. Per Heidegger proprio
dell‘esistenza è l‘essere-nel-mondo, il fatto che l‘uomo è
sempre situato in un orizzonte di relazioni che segna il
campo delle sue possibilità. In questo orizzonte esiste
anzitutto un rapporto con la totalità delle cose come
―utilizzabili‖. Ciò significa che l‘uomo conosce le cose
attraverso la propria intenzionalità, come strumenti per la
realizzazione del proprio progetto di vita. L‘uomo può
così ―prendersi cura‖ delle cose che gli occorrono, mentre
l‘essere di queste ultime corrisponde alla loro utilizzabilità
per lui. Allo stesso tempo l‘uomo si rapporta anche con la
totalità dei significati, rispetto alla quale può attuare un
processo di comprensione. La comprensione è l‘apertura
originaria alla significatività delle cose, da cui può
discendere l‘‖interpretazione‖ come articolazione dei
significati nella comprensione, momento in cui si mette in
evidenza ―qualcosa come qualcosa‖. Visto nel suo
concreto e quotidiano esistere, l‘uomo è in primo luogo un
essere-nel-mondo ossia un prendersi cura delle cose che
gli occorrono: mutarle, manipolarle, ripararle, costruirle
ecc. Poiché per l‘Esserci trovarsi nel mondo significa
prendersi cura delle cose, l‘essere di queste ultime, in
relazione all‘uomo, coincide dunque con il loro poter
essere utilizzate. In altre parole, l‘uomo è nel mondo in
modo tale da progettare il mondo stesso secondo un piano
globale di utilizzabilità, volto a subordinare le cose ai suoi
bisogni e ai suoi scopi. L‘uomo, innanzitutto e per lo più,
non è nel mondo secondo la modalità della conoscenza,
ma secondo la modalità del commercio, ovvero della
manipolazione degli enti. Analogamente, le cose non sono,
innanzitutto e per lo più, oggetti di studio, ma strumenti di
374
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
azione. Tant‘è vero che la semplice-presenza è solo un
modo di essere derivato rispetto alla utilizzabilità, che si
manifesta quando all‘atteggiamento del commercio
subentra quello della contemplazione. Tale prendersi cura
ha le caratteristiche della trascendenza e del progetto.
Infatti, l‘Esserci, trascendendo la realtà di fatto come sì
presenta a prima vista, costituisce (= progetta) la realtà
secondo una totalità di significati facenti capo a lui stesso,
ossia come un insieme di strumenti utilizzabili (la casa per
abitare, il sentiero per camminare, la stella per orientarsi
nella navigazione e così via). Poiché per l‘Esserci trovarsi
nel mondo significa prendersi cura delle cose, l‘essere di
queste ultime, in relazione all‘uomo, coincide dunque con
il loro poter essere utilizzate. In altre parole, l‘uomo è nel
mondo in modo tale da progettare il mondo stesso secondo
un piano globale di utilizzabilità, volto a subordinare le
cose ai suoi bisogni e ai suoi scopi. L‘uomo, innanzitutto e
per lo più, non è nel mondo secondo la modalità della
conoscenza, ma secondo la modalità del commercio,
ovvero della manipolazione degli enti. Analogamente, le
cose non sono, innanzitutto e per lo più, oggetti di studio,
ma strumenti di azione.
Il rapporto con gli altri Come l‘esistenza è sempre un
essere nel mondo, così è anche un essere fra gli altri. Ciò
accade perché la sostanza dell‘uomo non è ‗lo spirito
come sintesi di anima e corpo a partire dal quale si debba
giungere all‘essere delle cose e degli altri, ma è
l‘esistenza, che è fin da principio apertura verso il mondo
e verso gli altri. Come il rapporto tra l‘uomo e le cose è un
prendersi cura delle cose, così il rapporto tra l‘uomo e gli
altri è un aver cura degli altri. L‘essere nel mondo implica
375
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
il rapporto con gli altri. Tale rapporto si esprime attraverso
l‘aver cura, nella forma di semplice ―essere insieme‖ o di
autentico ―consistere‖. Questa duplice possibilità affonda
nel fatto che l‘uomo ―è gettato‖ nel mondo, incontra il
mondo senza averlo scelto, il che può produrre l‘oblio
della verità dell‘essere e la dispersione dell‘uomo nel
mondo dell‘impersonalità collettiva, del ―si dice‖ e ―si fa‖
senza precise motivazioni e giustificazioni. Questa
esistenza inautentica si esprime quindi nella chiacchiera,
nell‘equivoco (per cui si parla senza sapere esattamente di
cosa), nella curiosità come ricerca costante e superficiale
della novità. Il linguaggio, che è per sua natura lo
svelamento dell‘essere, ciò in cui l‘essere stesso si esprime
e prende corpo, diventa nell‘esistenza anonima chiacchiera
inconsistente. Si fonda esclusivamente sul si dice‖ e
obbedisce all‘assioma: ―la cosa sta così perché così si
dice‘. Un‘esistenza così vuota cerca naturalmente di
riempirsi e perciò è protesa verso il nuovo: la curiosità è
quindi l‘altro suo carattere dominante: curiosità non per
l‘essere delle cose ma per la loro apparenza visibile, che
perciò reca con sé l'equivoco. L‘equivoco è il terzo
contrassegno dell‘esistenza anonima che, in preda alle
chiacchiere e alla curiosità, finisce per non sapere neppure
di che si parla.
LA CURA Queste determinazioni non implicano, nel
pensiero di Heidegger, una condanna dell‘esistenza
anonima, giacché l‘analisi esistenziale non pronuncia
giudizì di valore. Essa si limita a riconoscere che
l‘esistenza anonima fa parte della struttura esistenziale
dell‘uomo ed è un suo costitutivo poter essere. Alla base
di questo poter essere c‘è quella che Heidegger chiama la
376
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
deiezione, cioè la caduta dell‘essere dell‘uomo al livello
delle cose del mondo. La totalità di queste determinazioni
dell‘essere dell‘uomo viene compresa nell‘unica
determinazione della Cura. La Cura (nel senso latino del
termine) è la struttura fondamentale dell‘esistenza.
―Poiché infatti fu la Cura che per prima diede forma
all'uomo, la Cura lo possieda finché esso viva‖, ripete
Heidegger con il poeta latino Igino, cui attribuisce
un‘intuizione pre-filosofica della struttura profonda
dell‘esistenza. Si è visto che essere nel mondo significa
per l‘uomo ‗prendersi cura delle cose‖ e aver cura degli
altri‘. L‘esistenza è in primo luogo un essere possibile,
cioè un progettarsi in avanti; ma questo progettarsi in
avanti non fa che cadere all‘indietro, su ciò che già
l‘esistenza è di fatto. Tale è la struttura circolare e perciò
conclusa e compiuta della Cura, in quanto costituisce
l‘essere stesso dell‘uomo.
Esistenza autentica e la morte.
L‘uscita da questa circolarità della cura come modo
d‘essere caratteristico dell‘esistenza inautentica si colloca
nell‘attività di comprensione che l‘uomo può attuare a
partire da se stesso anziché dal mondo, attività che si
collega al senso generale dell‘essere e che è affrontata da
Heidegger nella seconda sezione di Essere e tempo. Qui
egli afferma che la comprensione autentica si fonda su un
riesame della possibilità come modo d‘essere dell‘uomo.
Heidegger sottolinea a questo riguardo anzitutto la natura
incerta o negativa della possibilità, la consapevolezza
umana della morte come possibilità più autentica che
nullifica tutte le altre. La morte, chiarisce Heidegger, non
377
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
è per l‘uomo un termine finale, la conclusione, la fine
della sua esistenza; non è neppure un fatto perché in
quanto tale non è mai la propria morte. Essa è come fine
dell‘Esserci, la possibilità dell‘Esserci più propria,
incondizionata, certa e, come tale, indeterminata e
insuperabile. La consapevolezza della morte, possibilità
propria, certa, incondizionata, insormontabile dell‘uomo
può essere fuggita nell‘esistenza inautentica, oppure
accettata con la ―decisione anticipatrice‖ di chi sceglie di
essere-per-la-morte, di attuare la comprensione
dell‘impossibilità dell‘esistenza. Ciò si caratterizza
nell‘angoscia come sentimento della possibilità, rottura coi
pregiudizi e apertura al nulla. L‘esistenza quotidiana
anonima è una fuga di fronte alla morte. L‘individuo la
considera come un caso fra i tanti della vita di ogni giorno,
nasconde il suo carattere di possibilità immanente, la sua
natura incondìzìonata e insormontabìle, e cerca di
dìmenticarla, di non pensarci nelle cure quotidiane del
vivere. La decisione anticipatrice progetta invece
l‘esistenza autentica come un essere-per-la-morte. Tale
essere-per-la-morte non è affatto un tentativo di realizzarla
(suicidio). Poiché la morte, esistenzialmente parlando e
una possibilità essa non puo venire intesa e realizzata che
come pura minaccia sospesa sull‘uomo. Non è neppure
un‘attesa, perché anche l‘attesa non mira che alla
realizzazione, e la realizzazione nega la possibilità come
tale. Essere-per-la-morte significa procedere al di là delle
illusioni del Si, cioè dell‘esistenza anonima, e, tramite un
atto di libertà, accettare la possibilità più propria del nostro
destino. Il tempo è dunque il senso generale dell‘essere.
―Tempo ed essere‖, avrebbe dunque dovuto costituire
378
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
l‘ulteriore sviluppo di Essere e tempo: tuttavia Heidegger
rinuncia a svolgerlo.
INCOMPIUTEZZA DI ESSERE E TEMPO
Stabilito che il senso dell‘Esserci è la temporalità e che il
tempo, essendo l‘Esserci l‘interrogato di base
dell‘ontologia,
rappresenta
l‘orizzonte
di
ogni
comprensione e di ogni interpretazione dell‘essere,
Heidegger avrebbe dovuto passare alla sezione intitolata
Tempo ed essere, relativa al ‗problema del senso
dell‘essere in generale. Ma tale sezione non è mai stata
scritta.In questa sezione doveva essere discusso quel
―problema del senso dell‘essere in generale‖. Perché
Heidegger ha interrotto la sua costruzione? E in che senso,
dopo Essere e tempo, si parla di una svolta‘ (Kehre) del
suo pensiero?
La svolta
In Essere e tempo, dopo aver citato un passo del Sofista
platonico (È chiaro infatti che voi da tempo siete familiari
con ciò che intendete quando usate l‘espressione
―essente‖; anche noi credemmo un giorno di comprenderlo
senz‘altro, ma ora siamo caduti nella perplessità),
Heidegger commenta: ―Abbiamo noi oggi una risposta alla
domanda intorno a ciò che propriamente intendiamo con la
parola ―essente‖? Per nulla. È dunque necessario
riproporre il problema del senso dell‘essere. Ma siamo
almeno in uno stato di perplessità per il fatto di non
comprendere l‘espressione ―essere‖? Per nulla. In altri
termini, oltre a non possedere una risposta al problema
dell‘essere noi abbiamo anche smarrito il senso e
379
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
l‘importanza di tale problema. Da ciò la necessità di una
sua esplicita riproposizione. Riproposizione che, in Essere
e tempo, passa attraverso un‘analisi del modo di essere di
quell‘ente che pone il problema dell‘essere, cioè attraverso
uno studio dell‘uomo in quanto esistenza. Essere e tempo
era un‘opera incompiuta, perché priva della sezione
(―Tempo ed essere‖) in cui doveva essere discusso quel
problema (―il problema del senso dell‘essere in generale‘).
Da ciò la ―svolta‖ (Kehre) del suo pensiero. La svolta non
coincide con un (soggettivo) evento biografico, ma con un
(oggettivo) rovescio della questione dell‘essere. Rovescio
che non allude a un cambiamento del problema centrale di
Heidegger, ma ad un diverso modo di rapportarsi ad esso.
Modo che non consiste più nel risalire all‘essere
muovendo dall‘esistenza, ma nel porsi direttamente
nell‘ottica dell‘essere, cioè nell‘ambito di un‘ indagine
sull‘essere condotta dal punto di vista dell‘essere.
Il problema della metafisica
Essere e tempo era arrivato alla conclusione che l‘Esserci,
in quanto Cura, è temporalità. Questa concezione
dell‘essere alla luce della temporalità. implicava una
contrapposizione di fondo nei confronti della tradizione
occidentale e della sua idea dell‘essere in termini di
―semplice-presenza‖, modellata sulle categorie di sostanza
e permanenza. Da ciò la critica heideggeriana alla
metafisica, che rappresenta una componente di base del
pensiero del ―secondo Heidegger‖. L‘essere, pur non
risoivendosi nell‘ente, tende a configurarsi come la luce o
l‘orizzonte che, tramite l‘Esserci, rende visibile l‘ente. Da
ciò la nozione di differenza ontologica, che Heidegger
380
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
prospetta come il messaggio ultimo di questo scritto,
ovvero la tesi secondo cui l‘essere non è l‘ente e non va
quindi (metafisicamente) confuso con esso. La
comprensione dell‘essere nell‘esistenza in Essere e tempo
porta al problema dell‘essere in sé. Nella Lettera
sull’umanismo, Heidegger affermerà che la sua ―svolta‖
(Kehre) dall‘analitica esistenziale verso l‘analisi del senso
dell‘essere in generale non è stata realizzata perché il
linguaggio, condizionato dalla tradizione concettuale della
metafisica, l‘ha resa impossibile. Il pensiero di Heidegger
successivo a Essere e tempo è dunque incentrato sul
problema della metafisica e della sua storia, nonché sulle
modalità con cui è possibile risalire all‘essere partendo
dall‘essere stesso, pensando ―l‘uomo in rapporto all‘essere
anziché il suo contrario‖. In Che cos’è la metafisica? e
L’essenza del fondamento la metafisica è dunque descritta
come il pensiero che pone il problema dell‘essere
dell‘ente, concependo l‘essere come l‘ente, in qualità di
semplice-presenza. L‘essere viene infatti identificato con
il carattere comune, astratto e indeterminato, di tutti gli
enti, ovvero come causa e fondamento degli enti, come
accade con il Dio della teologia aristotelica e cristiana. Ciò
porta ad oscurare la ―differenza ontologica‖ fra l‘essere
l‘ente e al vero e proprio ―oblio dell‘essere‖ della
metafisica occidentale.
La storia della metafisica Heidegger è convinto che la
storia della metafisica richieda di partire dal problema
dell‘essenza della verità. Per i Greci la verità è svelamento
della natura dell‘essere nel suo originario manifestarsi.
Questo manifestarsi, secondo Heidegger, è opera
dell‘essere stesso che si ―svela‖, si rende visibile. Con
381
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Platone, tuttavia, il vero diventa l‘idea, etimologicamente
ciò che è ―visibile‖ al nostro intelletto. In questo caso non
è più l‘essere a manifestarsi, ma lo sguardo dell‘uomo a
coglierlo: la verità ―cade sotto il giogo dell‘idea‖ e si
trasforma in corrispondenza tra l‘idea e la cosa. L‘essere
diviene dunque presenza effettiva e oggetto di valutazione
dell‘uomo e ciò, afferma Heidegger. pone le premesse del
dominio della tecnica.
Arte, linguaggio e tecnica
Prima però di giungere ad esaminare questo discorso,
dobbiamo notare che Heidegger tenta nel corso degli anni
Trenta di giungere ad una ridefinizione del problema
dell‘essere a partire dall‘arte e dalla poesia. A partire dalla
nozione di verità come ―svelamento‖ dell‘essere
(realizzato dall‘essere stesso e non dall‘uomo), Heidegger
vede nella poesia e nell‘opera d‘arte in genere quelle
caratteristiche di ―apertura‖ che permettono lo svelamento
dell‘essere. Esse creano dunque ―eventi‖ per la verità,
sono ―esperienze di verità‖ o sue ―messe in opera‖. Che
cos‘è un‘opera d‘arte? Dopo aver distinto fra semplice
cosa, mezzo e opera e dopo aver mostrato l‘insufficienza
delle definizioni tradizionali della cosa (la cosa come
portatrice qualità, come ciò che è percepito dai sensi,
come materia formata), Heidegger mostra )me per
comprendere l‘essere-cosa della cosa e l‘essere-strumento
del mezzo sia indispensabile muovere dall‘opera, intesa
come opera d‘arte. Secondo Heidegger, l‘arte si configura
me ‗il porsi-in opera-della verità. Poiché la verità coincide
con il non-esser-nascosto dell‘ente, dire che l‘arte è la
messa in opera della verità significa che il nucleo
382
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
dell‘opera d‘arte è quello di mostrare la verità dell‘ente e
quindi, in prima battuta, il significato autentico delle cose
e dei mezzi. Heidegger illustra queste tesi con un
riferimento al celebre quadro di Van Gogh, raffigurante un
paio di scarpe da contadina: ―Nell‘orificio oscuro
dall‘interno logoro si palesa la fatica del cammino
percorso lavorando, Nel massiccio pesantore della
calzatura è concentrata la durezza del lento procedere
lungo i distesi e uniformi solchi del campo, battuti dal
vento ostile. Il cuoio è impregnato dell‘umidore e dal
turgore del terreno. Sotto le suole trascorre la solitudine
del sentiero campestre nella sera che cala. Per le scarpe
passa il silenzioso richiamo della terra, il suo tacito dono
di messe mature e il suo oscuro rifiuto nell‘abbandono
invernale. Dalle scarpe promana il silenzioso timore per la
sicurezza del pane, la tacita gioia della sopravvivenza al
bisogno, il tremore dell‘annuncio della nascita, l‘angoscia
della prossimità della morte. Questo mezzo appartiene alla
terra, e il mondo della contadina lo custodisce‖. Nell‘arte è
la verità stessa — e quindi l‘essere — che si mette in
opera. E poiché l‘essere coincide con la radura al cui
interno gli enti diventano visibili, ossia con l‘aprirsi delle
varie aperture storiche e dei vari orizzonti di senso, dire
che l‘arte è messa in opera della verità significa dire che
l‘arte è l‘automanifestazione stessa dell‘essere in quanto
radura dell‘ente e accadere di aperture storiche.
Il linguaggio Il tema della poesia ci porta a rivolgerci più
in generale al linguaggio, che Heidegger definisce ―casa
dell‘essere‖. Nella raccolta di saggi In cammino verso il
linguaggio, la più nota su questo argomento e dotata di
grandi influssi sulla filosofia ermeneutica, Heidegger trae
383
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
le sue considerazioni soprattutto dalla riflessione sui
linguaggio poetico e su alcune poesie di autori come Trakl
e George. A questo riguardo egli sostiene che la nostra
esperienza del linguaggio e della parola consiste nel
riconoscere in essi ciò che conferisce alle cose il loro
essere: ―l‘essere di tutto ciò che è abita nella parola‖, il
linguaggio ―fa venire alla presenza‖ ciò che è e non si
lascia fissare come cosa. In questo senso il linguaggio
poetico, centrato sul ―mistero della parola‖, si contrappone
al parlare ―strumentalizzato‖ e all‘‖informazione‖. A
differenza di quanto ritengono le definizioni tradizionali, il
linguaggio non è un semplice segno o strumento di
comunicazione
(concezione
strumentalistica
del
linguaggio). Esso è piuttosto la casa dell‘essere‖, ovvero il
luogo in cui si eventualizza l‘evento dell‘essere: Da ciò il
―circolo ermeneutico che è proprio del linguaggio. Anzi, il
linguaggio è la forma tipica e concreta in cui esiste il
circolo ermeneutico. Il linguaggio che meglio rivela
l‘essenza del linguaggio e che più di ogni altro si
contrappone alla concezione strumentalistica di esso è il
linguaggio poetico. Solo in quest‘ultimo, e non in qualsiasi
linguaggio (ad es. nel linguaggio logico-matematico),
avviene l‘automanifestazione dell‘essere: ―Il destino del
mondo si annuncia nella poesia‖. La parola poetica
coincide quindi con l‘area del Dire primordiale e,
instaurando il contesto linguistico entro cui le cose
vengono all‘essere, si configura, per definizione, come
creatrice di civiltà e cultura, I poeti forniscono a un popolo
la sua identità. e istituiscono usanze e costumi,
presentandosi come gli autentici inventori della cultura di
un popolo (e del complesso dei significati civili, etici,
384
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
religiosi ecc, in cui essa si incarna). Tutto ciò fa sì che il
pensiero del secondo Heidegger si concretizzi in un
assiduo colloquio con gli antichi filosofi greci e con la
voce dei poeti. Nei frammenti di Anassimandro e
Parmenide, negli aforismi di Eraclito, nella lirica di
Hoelderlin, Rilke e Trakl Heidegger cerca spunti preziosi
per pensare l‘enigma dell‘essere. Hoelderlìn, in
particolare, viene eletto a interprete privilegiato della
modernità e dei problemi del presente.
La tecnica Nella riflessione heideggeriana ha un ruolo
fondamentale, a partire dagli anni Trenta, anche la tecnica.
La metafisica trova il proprio compimento nella tecnica,
che è la metafisica realizzata a livello planetario, A partire
dagli anni Trenta, anche per influsso di Scheler e di Ernst
Jùnger, Heidegger comincia a scorgere, nella tecnica, la
figura epocale tipica del nostro tempo, ossia il fenomeno
che qualifica, in tutti i suoi aspetti, la civiltà
contemporanea. Per Heidegger l‘importanza della tecnica
nella cultura occidentale scaturisce direttamente
dall‘‖oblio dell‘essere‖, a partire dal quale la filosofia si è
volta allo studio degli enti, che devono essere conosciuti
con la scienza e dominati con la tecnica. Ne La questione
della tecnica (1953) Heidegger afferma dunque che ormai
è la potenza tecnica, che foggia gli strumenti scientifici, la
condizione per acquisire scienza della natura: è dunque la
tecnica a ―fare‖ la verità, la quale muta con il mutare degli
strumenti che pro-vocano, che chiamano la realtà innanzi a
noi. La tecnica era pensata dai Greci in termini di produzione, ossia come un rendere manifesto (o dis-velato)
ciò che prima non era tale (ad es. chi costruisce una cosa o
modella un calice manifesta, o porta alla presenza,
385
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
qualcosa che prima risultava assente). Anche la tecnica
moderna, prosegue Heidegger, è un modo del
disvelamento, che tuttavia non si dispiega nella forma
della semplice produzione. ma in quella della provocazione, ossia del trarre fiori dalla natura energia da
accumulare e da impiegare. In altri termini, a differenza
della tecnica degli antichi, che si limitava a favorire
l‘opera della natura e a seguirla nei suoi autonomi
meccanismi, la tecnica dei moderni si configura come
un‘accumulazione di energia naturale messa a
disposizione dell‘uomo.Tuttavia il disvelare tecnico è
sottoposto alle logiche di dominio della tecnica stessa: non
vi è più verità assoluta, la verità viene, di volta in volta,
decisa per scopi strumentali e provvisori. Poiché, inoltre,
la tecnica è stata sviluppata per dominare il reale, essa
cessa di essere ―strumento‖ e istituisce un controllo totale
e planetario, una signoria sulla natura al cui interno
l‘uomo è semplice ―funzionario‖, in quanto il suo modo di
sentire, percepire, pensare, progettare è deciso dalla
tecnica.
Heidegger è stato, a giudizio di molti suoi allievi illustri,
una personalità straordinaria, la cui adesione al nazismo è
stata percepita da molti con forte sconcerto e con grave
perplessità rispetto al significato stesso che possono
assumere le figure e gli atteggiamenti dei filosofi di fronte
alla storia. Lasciata da parte tale questione, si deve tuttavia
riconoscere che la filosofia di Heidegger ha prodotto la
nascita di importanti sviluppi speculativi in almeno tre
grandi direzioni, la cui cerniera è rappresentata dal
passaggio dall‘analitica esistenziale di Essere e tempo alla
riflessione sulla metafisica, sui linguaggio, sull‘arte, sulla
386
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
tecnica. Abbiamo già accennato che Essere e tempo
influenza vastamente il pensiero esistenzialista (e in parte
anche quello fenomenologico, stante che la fenomenologia
di Husserl è perlomeno l‘alveo in cui Essere e tempo viene
concepito). Da ciò è nata la questione interpretativa circa
l‘esistenzialismo di Heidegger. questione cui hanno dato
alimento anche le esplicite prese di distanza del filosofo da
queste tematiche. Senza voler approfondire, si potrebbe
dire che in un certo senso Heidegger è stato un
esistenzialista suo malgrado, nel senso di avere messo a
punto, pur rivolgendosi verso l‘essere, una serie di concetti
e riflessioni cruciali per la tradizione di riflessione
esistenzialista. La sua filosofia successiva ad Essere e
tempo ha poi avuto almeno due chiavi di lettura distinte:
da una parte quella dell‘Ermeneutica, che ha colto nella
storicizzazione dell‘essere e nella centralità del linguaggio
le basi per la costruzione di una filosofia dell‘uomo
attraverso il tema complessivo dell‘interpretazione,
dall‘altra quella di tutti i pensatori post-strutturalisti e
postmoderni che hanno fatta propria soprattutto la lettura
<nichilista‖ dell‘heideggerismo, portando avanti tematiche
come quella della ―morte dell‘uomo‖, della decostruzione,
della ―fine dei grandi racconti‖ e, talora, spunti per la
ricostruzione di nuovi valori e dimensioni di senso.
387
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
CAPITOLO 22
H.G. Gadamer
Sebbene l‘umanità sia sempre stata alle prese con
problemi di tipo interpretativo, ossia con la necessità di
risalire da determinati segni al loro significato. rendendo
chiaro ciò che a prima vista risulta oscuro (un‘iscrizione,
una legge, un testo religioso o poetico ecc.), l‘ermeneutica,
intesa
come
metodologia
o
teoria
elaborata
dell‘interpretazione, è un prodotto tipicamente moderno.
A partire dal Rinascimento e dalla Riforma protestante,
l‘ermeneutica, inizialmente ristretta nel campo specifico
dell‘esegesi dotta (tarda antichità) o dell‘esegesi biblica
(cristianesimo) si è aperta a questioni riguardanti ogni tipo
di testo. Con Heidegger il comprendere si configura come
una delle strutture costitutive dell‘Esserci e ad Heidegger
si rifà esplicitamente Gadamer. Il nome ermeneutica (che
derisa da hermenéia, un termine greco affine al latino
sermo) contiene in sé una famiglia di significati, come
―esprimere‖, ―portare messaggi‖, ‗tradurre‖. Heidegger,
con una connessione forzata, lo fa derivare da Hermes, il
nunzio degli dèi. Gadamer dichiara che lo scopo della sua
indagine non è quello di fissare una serie della di norme
tecniche del processo interpretativo, ma quello di mettere
in luce le condizioni del comprendere. Come Kant non
aveva avuto l‘intenzione di prescrivere alla scienza le
norme del suo procedimento, ma si era limitato a porre il
problema filosofico delle condizioni che lo rendono
possibili la conoscenza e la scienza, così Gadamer non si
propone di esibire una metodologia normativa per le
scienze dello spirito, ma solo di suscitare un dibattito
388
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
filosofico circa le condizioni di possibilità della
comprensione. In secondo luogo, Gadamer intende
mostrare come il comprendere non sia uno dei possibili
atteggiamenti del soggetto, limitato soltanto ad ambiti
particolari della sua :unto. esperienza, ma coincida con ―il
modo d‘essere dell‘esistenza come tale‖. In terzo luogo,
Gadamer si propone di illustrare come nel comprendere si
realizzi un‘esperienza di verità irriducibile al ―metodo‖
della scienza, ossia a quel tipo di sapere che persegue
l‘ideale di una conoscenza obiettiva e neutrale del mondo.
Da ciò il rapporto di tensione‘, suggerito dal titolo del
capolavoro di Gadamer, fra verità (ermeneutica) e metodo
(scientifico). Ci sono esperienze extrametodiche di verità
che, pur collocandosi al di fuori dell‘area conoscitiva della
scienza, risultano fondamentali per l‘uomo: l‘arte, la storia
ecc.: La ricerca che segue si oppone alla pretesa di
universale dominio della metodologia scientifica. Il suo
intento è quello di studiare, ovunque essa si dia,
l‘esperienza di verità che oltrepassa l‘ambito sottoposto al
controllo della metodologia scientifica, e di ricercarne la
specifica legittimazione. Le scienze dello spirito vengono
così ad avvicinarsi a quei tipi di esperienza che stanno al
di fuori della scienza: all‘esperienza filosofica.
La teoria dell‘arte
Gadamer critica la tendenza moderna a scorgere, nel fatto
artistico, una zona asettica dello spirito, che non avrebbe
più nulla da spartire 1) con la realtà della vita; 2) con le
questioni del vero e del falso. A questa teoria dell‘arte
come bella apparenza, derivante dal fatto che ―il dominio
del modello conoscitivo delle scienze naturali conduce a
389
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
screditare ogni possibilità di conoscenza che si collochi
fuori di questo nuovo ambito metodologico, Gadamer fa
corrispondere la coscienza estetica, la cui operazione
tipica è di mettere in moto un processo astraente, che
consiste nella separazione dell‘opera dal suo contesto
vitale originario e nella fruizione del suo puro valore
estetico. Un esempio concreto di tutto ciò è il museo, nel
quale l‘opera d‘arte viene strappata al suo mondo
originario per divenire patrimonio di un‘atemporale
coscienza estetica. Parallelamente, assistiamo ad un‘opera
di sradicamento sociale dell‘artista, il quale viene
assimilato ad un outsider a un bohèmien, privo di radici e
di ruoli definiti. Contro questo modo di rapportarsi al
fenomeno estetico, Gadamer obietta che l‘arte non è una
fantasticheria surreale priva di qualsiasi portata veritativa
e di qualsiasi effetto concreto. L‘arte non è un evento
onirico, ma un‘esperienza del mondo e nel mondo che
modifica radicalmente chi la fa, ampliando la
comprensione che egli ha di se stesso e della realtà che lo
circonda. Un poema, un dipinto o una sinfonia sono eventi
che aprono un mondo, che offrono un‘illuminazione del
senso delle cose. La fruizione dell‘opera d‘arte comporta il
problema più generale dell‘interpretazione, ossia della
messa in luce, per il presente, del significato proprio del
passato.
Il circolo ermeneutico
Gadamer sostiene che l‘interpretante può accedere
all‘interpretato solo tramite una serie di ―precomprensioni‖ o di ―pre-giudizi‖. Lungi dall‘essere una
tabula rasa, la mente dell‘interprete è abitata da un insieme
390
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
di attese o di schemi di senso, ovvero da una molteplicità
di ―linee orientative provvisorie‖, che costituiscono, nel
loro insieme, delle preliminari ipotesi di decodificazione
dell‘interpretato stesso. Questa situazione circolare, per
cui ciò che si deve comprendere è già in parte compreso,
costituisce il cosiddetto a ―circolo ermeneutico‖.
Heidegger ci avrebbe fatto capire come il problema non
sia quello di sbarazzarsi del circolo, ma di acquistarne
coscienza, mettendo ―alla prova‖ i pregiudizi che lo
costituiscono e mostrandosi eventualmente disposti — di
fronte all‘urto‖ con i testi — a rinnovare le proprie
presupposizioni. Tanto più che i primi ―urti‖ del soggetto
interpretante con l‘oggetto interpretato rivelano, di solito,
l‘inadeguatezza
delle
pre-comprensioni
iniziali,
obbligando l‘interpretans a ritornare su di esse, a rivederle
e a correggerle, tramite un reiterato confronto con
l‘interpretandum. Quindi, il circolo ermeneutico non
comporta una chiusura dell‘interpretante in se stesso, ma
una sua programmatica apertura all‘alterità del testo. Chi
vuoi comprendere un testo deve essere pronto a lasciarsi
dire qualcosa da esso.
Pregiudizi e tradizione
La teoria del circolo ermeneutico si accompagna alla
riabilitazione dei pregiudizi, dell‘autorità e della
tradizione. Gadamer chiarisce come i pregiudizi non siano
qualcosa di necessariamente falso, poiché accanto a
pregiudizi falsi e illegittimi esistono pregiudizi veri e
legittimi: ―Un‘analisi sulla storia dei concetti dimostra che
solo nell‘illuminismo il concetto di pregiudizio acquista
l‘accentuazione negativa che ora gli è abitualmente
391
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
connessa. Di per sé, pregiudizio significa solo un giudizio
che viene pronunciato prima di un esame completo e
definitivo di tutti gli elementi obbiettivamente rilevanti.
Gadamer mette in luce come i pregiudizi facciano parte
integrante della nostra realtà di esseri sociali e storici, in
quanto noi ci comprendiamo secondo schemi nella
famiglia, nella società e nello Stato. Gadamer ha tentato
una riabilitazione filosofica dell‘idea di autorità,
affermando che essa non implica obbedienza cieca e
abdicazione alla ragione e alla libertà, Intesa in modo
umano ossia come legame fra persone ragionevoli
l‘autorità risiede piuttosto in un atto di riconoscimento e di
conoscenza. Adeguatamente concepita, l‘autorità si basa
quindi su di una scelta della ragione dell‘individuo, che,
conscio dei suoi limiti, concede fiducia al giudizio altrui.
Per quanto concerne la tradizione, Gadamer chiarisce
come sia la lotta illuministica alla tradizione, sia la sua
riabilitazione romantica non colgono la sua essenza
storica‘. In ogni caso, l‘uomo non può collocarsi fuori
della tradizione, poiché quest‘ultima fa parte della
sostanza storica del suo essere. Secondo Gadamer. il
lavoro ermeneutico implica una tensione fra estraneità e
familiarità,
Infatti,
se
l‘intepretandum
fosse
completamente estraneo, l‘impresa ermeneutica sarebbe
condannata allo scacco, mentre se fosse completamente
familiare, non avrebbe senso lo sforzo interpretativo. Di
conseguenza. si deve ammettere che l‘interpretandum,
rispetto all‘interpretans, risulta estraneo e familiare nello
stesso tempo. La lontananza temporale fra interpretante e
interpretato non è un abisso vuoto, ma uno spazio riempito
dalla tradizione. Questa circostanza trova un‘illustrazione
392
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
nell‘importante (e complesso) concetto di storia degli
effetti, che allude al fatto che l‘interprete può accingersi al
compito interpretativo solo sulla base di una serie di
interpretazioni già date, ovvero sulla scorta degli effetti
prodotti da un determinato evento. Al principio della storia
degli
effetti
corrisponde
―la
coscienza
della
determinazione storica‖ ossia la consapevolezza della
nostra storicità costitutiva o del nostro essere esposti agli
effetti della storia. Coscienza che ci impedisce di studiare
la storia da un preteso punto di vista ―neutrale‖ e quindi, di
fatto, meta-storico. Appurata la storicità invalicabile del
nostro essere e del nostro comprendere, l‘incontro
ermeneutico non potrà più consistere, secondo Gadamer,
in un ingenuo tentativo di mettere tra parentesi se stessi ed
il proprio presente, ma in una fusione di orizzonti dove il
proprio tempo non è annullato, ma posto al servizio della
comprensione del tempo altrui. L‘attività ermeneutica
assume quindi la forma di un dialogo fra presente e
passato. Gadamer vede platonicamente nel dialogo il
fulcro dell‘esperienza ermeneutica. Il testo ci pone
determinate domande e noi, sollecitati dal suo interrogare,
poniamo ad esso nuovi interrogativi. nell‘ambito di un
processo infinito, nel quale ogni risposta si configura
come una nuova domanda. I concetti di ―coscienza della
determinazione storica‖ e di ―fusione degli orizzonti‖
escludono la possibilità di un sapere assoluto.
Essere linguaggio e verità
Nella terza sezione di Verità e metodo Gadamer prende in
considerazione il linguaggio, mostrando come tutti i
caratteri dell‘esperienza ermeneutica esistano solo come
393
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
linguaggio.
Anzi,
respingendo
la
concezione
strumentalistica del linguaggio, cioè la dottrina secondo
cui esso sia un insieme di immagini (della realtà) oppure
di ―segni‖ (convenzionali) per esprimere un mondo già
pre-linguisticamente noto, Gadamer sostiene che il
linguaggio è tutt‘uno con la nostra esperienza concreta
delle cose, al punto che non c‘è cosa dove vien meno il
linguaggio‖, poiché ―la parola ―appartiene‖ in qualche
modo alla cosa stessa, e non è qualcosa come un segno
accidentale legato esteriormente alla cosa. Questa
riconosciuta assolutezza e intrascendibilità del linguaggio,
motivata dal fatto che ogni incontro con le cosa si risolve
in un incontro linguistico, porta Gadamer alla tesi-chiave
della sua ontologia ermeneutica, cioè all‘affermazione
secondo cui l‘essere, che può venir compreso, è
linguaggio. Tutte le forme di vita sono linguaggio e come
tali possono venir comprese. Questa identificazione
dell‘essere con il linguaggio per Gadamer rappresenta la
condizione stessa dell‘ermeneutica. Dire che l‘essere è
linguaggio significa dire che l‘essere in generale e l‘essere
umano in particolare — che sussiste concretamente sotto
forma di discorsi, libri, opere d‘arte ecc. — è
interpretazione. Da ciò l‘equazione essere = linguaggio =
interpretazione. Equazione che suggerisce l‘idea di un
autodisvelamento
dell‘essere
nel
linguaggio
e
nell‘interpretazione. Autodisvelamento che per Gadamer
ha il carattere di un processo interminabile. Nelle ultime
pagine di Verità e metodo Gadamer spiega il concetto
della verità come eventualità extrametodica mediante il
concetto di gioco. Con l‘idea di gioco, inteso come un
processo che possiede un primato rispetto ai suoi
394
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
protagonisti, Gadamer ribadisce come la verità (e il
linguaggio in cui essa si manifesta) sia un evento di cui
l‘uomo non è il soggetto, ma il tramite. Infatti, nel ―gioco‖
della verità e del linguaggio, chi gioca veramente non è
l‘uomo, ma la verità e il linguaggio.
395
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
CAPITOLO 23
Il Neopositivismo
Per neopositivismo o positivismo logico si intende la
corrente filosofica che, pur condividendo con il
positivismo ottocentesco il primato della razionalità
scientifica, se ne differenzia strutturalmente sia per un
concetto più critico della scienza, sia per l‘attenzione
prestata all‘aspetto logico-linguistico della scienza stessa e
per il ricorso sistematico agli strumenti della logica
formale, sia per una tendenza più empiristica. Il Circolo di
Vienna era un cenacolo di filosofi e scienziati che si
incontrarono periodicamente nella capitale austriaca prima
e dopo la prima guerra mondiale. Neurath, Hahn e Carnap
nel 1929 scrissero un manifesto intitolato La concezione
scientifica del mondo. I punti principali del programma: lo
scopo di raggiungere l‘unificazione della scienza; 2)
l‘enfasi posta sul lavoro collettivo degli scienziati; 3)
l‘identificazione del metodo della chiarificazione
concettuale con l‘analisi logica;4) il programma di
distruzione della metafisica5) lo sviluppo di linguaggi
formali che rettifichino le oscurità del linguaggio
ordinario;6) il rifiuto di ogni apriorismo.
Circoli di Vienna e Berlino
La prima fase del Circolo di Vienna fu costituita da alcune
riunioni svoltesi a partire dal 1907 fra il matematico Hahn,
il fisico Frank e il filosofo e sociologo Neurath. Questi
studiosi si riunivano il giovedì sera in un caffè della
vecchia Vienna per discutere sia di questioni generali di
filosofia della scienza. Nel 1922 Schlick venne chiamato a
396
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Vienna a occupare la cattedra di filosofia delle scienze
induttive del defunto Mach e ancora prima di Boltzmann.
Sorto ufficialmente nel 1928 sotto la presidenza dello
stesso Schlick vi parteciparono molti ricercatori (da Hahn
a Frank, da Neurath a Feigl a Waismann). Al Circolo di
Vienna fu collegato il gruppo di Berlino che si costituì nel
1927 con il nome di ―Società di filosofia empirica‖ intorno
a Hans Reichenbach e che includeva fra gli altri K. Lewin,
W. Kòhler, R. von Mises e C. G, Hempel e W. Dubislav,
oltre a diversi medici e psicologi. La collaborazione tra i
due gruppi fu stabilita soprattutto dalla rivista Erkenntnis.
Con l‘annessione dell‘Austria alla Germania nazista nel
1938 la diffusione degli scritti degli aderenti al movimento
fu vietata nei Paesi di lingua tedesca e il Circolo si
disperse
definitivamente.
I
rappresentanti
del
neoempirismo trasferitisi negli Stati Uniti. Nacque così
l‘Enciclopedia internazionale della scienza unificata che si
comincia pubblicare a Chicago nel 1938 sotto la direzione
di Neurath, Carnap e Morris e ha raccolto monografie
dovute a scienziati e filosofi di molti paesi.
Il neopositivismo, almeno nella sua prima fase, è
rappresentato da una serie di autori che, pur
differenziandosi fra di loro per specifiche posizioni
teoriche, risultano per lo più accomunati da talune
convinzioni di fondo che possono venire riassunte e
schematizzate nel modo seguente:
1) le uniche proposizioni che hanno significato
conoscitivo sono quelle suscettibili di verifica empirica o
fattuale (criterio di significanza);
397
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
2) poiché la scienza si basa sulla verifica, essa rappresenta
l‘attività conoscitiva per eccellenza;
3) le proposizioni della metafisica sono proposizioni senza
senso nell‘ambito della conoscenza, in quanto trascendono
l‘orizzonte dell‘umanamente verificabile. In altri termini,
ciò che il neopositivismo rimprovera alla metafisica non è
la falsità o l‘infondatezza, ma l‘insensatezza delle sue
dichiarazioni, che sono costituite da parole senza senso. Di
conseguenza, come scrive Schlick, l‘empirista non
dichiara al metafisico: ―le tue parole affermano il falso‖,
ma, piuttosto: ―le tue parole non affermano assolutamente
nulla‖
4) attività come la metafisica, l‘etica e la religione non
forniscono conoscenze, ma semplici manifestazioni di un
atteggiamento emotivo verso l‘esistenza;
5) gli enunciati significanti possono venire classificati
secondo la dicotomia instaurata da Hume tra enunciati che
concernono relazioni tra idee (come quelli della
matematica) ed enunciati che concernono fatti (come
quelli della fisica). I primi sono delle tautologie che hanno
in se stesse la loro verità (come quando diciamo che il
triangolo ha tre lati), i secondi sono veri solo se
testimoniati dall‘esperienza. Con Kant i primi sono
enunciati analitici, i secondi sono enunciati sintetici;
6) la filosofia non è una scienza, ma un‘attività
chiarificatrice che ha come compito principale l‘analisi del
linguaggio sensato della scienza e la denuncia di quello
insensato della metafisica.
398
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
7) la scienza, al di là della differenziazione delle singole
discipline, è una sola; questo consente di elaborare una
visione unitaria o unificata del sapere che comprende sia
le scienze naturali sia le scienze sociali come l‘economia,
la storia, la politica.
8) il discorso scientifico è esclusivamente logico e
formale; ha in altre parole il compito di tradurre le
procedure scientifiche in modelli linguistici aventi valore
predittivo e normativo.
Moritz Schlick e il principio di Verificazione. L‘uomo
intorno a cui si raccolse il Circolo di Vienna, Moritz
Schlick (1882-1936), benché di tendenze politiche
sostanzialmente conservatrici, fu assassinato sulla
scalinata dell‘Università di Vienna. La filosofia non è una
scienza, ma un‘attività, e il suo scopo è un rigoroso
accertamento dei termini di cui fa uso. La parte più
importante del pensiero di Schlick è il principio di
verificazione, che egli esprime dicendo che una questione
è di principio risolvibile se possiamo immaginare le
esperienze che dovremmo avere per darle una risposta.
Questa teoria sottintende ovviamente una distinzione tra
verificabilità di principio e verificabilità di fatto, in quanto
una tesi attualmente inverificabile, come sull‘altra faccia
della luna esistono montagne di tremila metri, può
benissimo essere verificata in futuro. Anzi, essa
rimarrebbe significante anche se sapessimo con certezza
che non si potrà mai raggiungere la superficie dell‘altra
faccia della luna. perché la verificazione resterebbe
sempre concepibile. Di conseguenza, coerentemente con il
suo principio, Schlick sostiene che il significato di una
399
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
proposizione è il metodo della sua verifica . Con questo
slogan Schlick intende appunto affermare che un
enunciato risulta sensato soltanto quando esistono
procedure empiriche atte a verificarne o falsificarne la
validità. In caso contrario ci troviamo nel regno della
metafisica, la quale, non offrendo un metodo per la
verifica empirica dei propri enunciati, risulta senza senso.
400
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
CAPITOLO 24
K.R. Popper e le nuove epistemologie
Karl R. Popper nasce a Vienna nel 1902, ove studia
filosofia, matematica e fisica. Nel 1934. ma con data 1935
pubblica La logica della ricerca, edita successivamente in
inglese con il titolo Logica della scoperta scientifica
(1959). Con l‘avvento del nazismo, si trasferisce in Nuova
Zelanda, dove scrive La miseria dello storicismo (1945) e
La società aperta e i suoi nemici (1945). Alla fine della
guerra si stabilisce a Londra.Congetture e confutazioni
(1963); Conoscenza oggettiva (1972): La ricerca non ha
fine (1974, ne. 1976): L‘io e il suo cervello (1977, con
Eccles); I due problemi fondamentali della conoscenza
(1979); Poscritto alla logica della scoperta scientifica
(1982). Muore a Londra nel 1994.
POPPER, IL NEOPOSITIVISMO E EINSTEIN Il
rapporto fra Popper e il neopositivismo rappresenta uno
dei problemi più controversi e discussi. A tal proposito,
sono state elaborate più interpretazioni. La più fondata
sostiene che quella di Popper non sarebbe né
un‘epistemologia sostanzialmente riconducibile al
neopositivismo né una critica e un‘alternativa radicale ad
esso, bensì una posizione intermedia. L‘influenza più
importante di tutte l‘ha esercitata Einstein. E' possibile
dire che la rivoluzione epistemologica di Popper
rappresenti il riflesso, in filosofia, della rivoluzione
scientifica compiuta da Einstein in fisica. Popper rimase
colpito dal fatto che Einstein avesse formulato delle
previsioni rischiose, ossia dal fatto che le sue teorie, a
401
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
differenza di quelle del marxismo e della psicoanalisi
fossero programmaticamente organizzate non in vista di
facili conferme (o ―verificazioni‖) ma in vista di possibili
smentite (o ―falsificazioni‖), In secondo luogo, Popper
trasse da Einstein la conclusione che le teorie scientifiche
non sono verità assolute, ma semplici ipotesi o congetture
destinate a rimanere tali. In altre parole, Popper ha tratto
da Einstein principi di fondo della sua epistemologia: il
falsificazionismo e il fallibilismo.
Il ruolo della filosofia
La trattazione del pensiero di Popper può essere divisa in
due grandi sezioni: l‘epistemologia e la politica.
Innanzitutto, egli afferma che il suo interesse non si
rivolge soltanto alla teoria iella conoscenza scientifica,
bensì alla teoria della conoscenza in generale, pur
aggiungendo che ―lo studio dell‘accrescersi della
conoscenza scientifica è il modo più proficuo di studiare
l'accrescersi della conoscenza‖. In primo luogo egli
ribadisce la necessità della filosofia: tutti gli uomini sono
filosofi, perché in un modo o nell‘altro assumono un
atteggiamento nei confronti della vita e della morte. In
secondo luogo, insiste sul fatto che, come esistono teorie
scientifiche o politiche, perché esistono problemi
scientifici o politici, così esistono le teorie filosofiche
perché esistono problemi di natura filosofica. Popper ha
continuato a scorgere, nella filosofia, la disciplina dei
grandi problemi, avvertendo che la filosofia ha sempre a
che fare con la conoscenza della realtà e non con vuote
parole. Questa visione ampia del filosofare risulta
confermata dalla concomitante rivalutazione dei
402
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
presocratici e del problema cosmologico. Gli interrogativi
cui i presocratici tentarono di dare risposta vertevano
principalmente sulla cosmologia, ma essi si posero anche
questioni intorno alla teoria della conoscenza. Sono
convinto che la filosofia deve rivolgersi di nuovo ai
problemi della cosmologia e a una semplice teoria della
conoscenza.
LE DOTTRINE EPISTEMOLOGICHE Il punto di
partenza di Popper è la ricerca di un criterio di
demarcazione fra scienza e non-scienza, intendendo, per
demarcazione. la linea di confine fra le asserzioni delle
scienze empiriche e le altre asserzioni. Secondo un
radicato luogo comune. elevato ad assioma filosofico dal
neopositivismo, una teoria risulta scientifica nella misura
in cui può essere ―verificata‖ dall‘esperienza. In realtà,
ribatte Popper, il verificazìonismo è un mito o un‘utopia.
in quanto, per verificare completamente una teoria o una
legge, dovremmo aver presenti tutti i casi. Ma ciò non è
possibile. Infatti, da una somma, per quanto ampia, ma pur
sempre limitata, di casi particolari non potrà mai scaturire
una legge universale. Inoltre, mentre le conseguenze di
una teoria sono di numero infinito, i controlli effettivi
della medesima sono di numero finito. Ma se il principio
di verificazione non è atto a definire lo status scientifico di
una teoria, a quale principio ci ispireremo? Stimolato dal
modello di Einstein Popper rintraccia tale principio nel
criterio di falsificabilità. Secondo tale criterio una teoria è
scientifica nella misura in cui può venir smentita
dall‘esperienza; ovvero se i suoi enunciati risultano in
potenziale conflìtto con eventuali osservazioni. Una teoria
è classificabile come scientifica nella misura in cui
403
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
dispone di un sistema di controlli empirici, ossia quando
esibisce, nella forma delle asserzioni-base, delle possibili
esperienze falsificanti: Un'asserzione o teoria è
falsificabile se e solo se esiste almeno un falsificatore
potenziale, almeno un possibile asserto di base che entri
logicamente in conflitto con essa. Ad esempio.
l‘asserzione domani pioverà o non pioverà non è empirica
(analogamente alle proposizioni classiche della metafisica)
in quanto non può essere confutata, mentre è empirica
(analogamente alle proposizioni della scienza) l‘asserzione
―domani pioverà. Detto altrimenti, una teoria che non
possa venir contraddetta da nessuna osservazione non ha
un contenuto empirico e non dice nulla di scientificamente
valido intorno al mondo. Al contrario, più numerose sono
le possibili esperienze falsificanti, cioè i cosiddetti
―falsificatori potenziali‖ cui può fare riferimento una
teoria, più ricco appare il suo contenuto empirico e
scientifico.
ASSERZIONI DI BASE Le asserzioni-base sono quegli
enunciati elementari, aventi la forma di asserzioni
singolari di esistenza (ad es. ―nel luogo K c‘è un indice‖),
che risultano intersoggettivamente controllabili e sulla cui
accettazione esiste un accordo di fondo tra gli osservatori
scientifici. Il valore delle asserzioni-base, secondo Popper,
non dipende da proprietà intrinseche, ma da una
―decisione‖ dei ricercatori, ossia dal fatto che gli scienziati
di un certo periodo storico si trovano d‘accordo nel
ritenerle valide e nell‘usarle come mezzi di controllo delle
teorie. Poiché la comunità dei ricercatori può sempre
decidere di metterle in discussione, ne segue che la base
empirica del sapere risulta priva di qualsiasi assolutezza e
404
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
che alla tradizionale immagine della scienza come edificio
stabile basato su una solida roccia bisogna contrapporre
l‘innovativa immagine della scienza come costruzione
precaria eretta su fragili palafitte: La scienza non posa su
un solido strato di roccia. L‘ardita struttura delle sue teorie
si eleva, per così dire. sopra una palude. E come un
edificio costruito su palafitte. (Logica). Le asserzioni-base
non fungono da base del sapere scientifico in senso
cronologico o logico ma in senso metodologico. Le
asserzioni-base effettivamente accettate costituiscono il
punto di partenza del concreto meccanismo di controllo di
una teoria. Senza le asserzioni-base che denotano ‗eventi
osservabili‖, non esisterebbe il sapere intersoggettivo della
scienza.‘‖Se un giorno gli osservatori scientifici non
potessero più mettersi d‘accordo sulle asserzioni-base ciò
significherebbe un fallimento del linguaggio come mezzo
di comunicazione universale.
TEORIA DELLA CORROBORAZIONE La ―superiorità‖
epistemologica del principio di falsificabilità, che insiste
sul valore della smentita rispetto a quello della conferma,
deriva, secondo Popper, dalla asimmetria logica fra
verificabilità e falsificabilità, ossia dal fatto che miliardi e
miliardi di conferme non rendono certa una teoria, mentre
basta un solo fatto negativo per confortarla (ad es nessuna
osservazione particolare di soli cigni bianchi sarà mai in
grado di giustificare la validità della tesi generale ―tutti i
cigni sono bianchi, mentre basta l‘osservazione di un solo
cigno nero per smentirla). Popper ritiene che le teorie, pur
non potendo essere verificate, ma solo, eventualmente,
falsificate, possano tuttavia venir ‗corroborate‖. Un‘ipotesi
teorica è corroborata quando ha superato il confronto con
405
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
un‘esperienza potenzialmente falsificante. Il fatto che una
teoria sia ―più corroborata (di altre) non significa che essa
sia ‗più vera‖ (di altre). La corroborazione non è un indice
di verità, ma uno strumento per stabilire ―la preferenza
rispetto alla verità. Questo significa che la corroborazione,
pur non potendo fungere da (definitivo) criterio di
giustificazione delle teorie, può fungere da (temporaneo)
criterio di scelta fra ipotesi rivali.
La metafisica
Il criterio di falsificabilità è semplicemente un criterio di
demarcazione atto a distinguere, all‘interno delle teorie
significanti, quelle scientifiche da quelle non-scientifiche.
Di conseguenza, per quanto riguarda la metafisica, questa
certamente non è una scienza, non essendo falsificabile.
Ma questo non significa che sia senza senso (anche se non
disponiamo di strumenti atti a controllare la validità delle
affermazioni metafisiche). Inoltre la metafisica ha spesso
svolto una funzione propulsiva nei confronti della scienza.
Infatti, dal punto di vista psicologico, la ricerca empirica
risulta impossibile senza la fede in idee metafisiche
generali. Ad esempio, per quanto concerne la cosmologia,
da Talete ad Einstein, sono state e idee metafisiche a
indicare la strada. Anzi, in taluni casi, idee che prima
erano metafisiche (es. l‘atomismo) si sono trasformate in
dottrine scientifiche.
Critica al marxismo e alla psicanalisi
Molto più duro risulta l‘atteggiamento di Popper nei
confronti del marxismo e della psicoanalisi. Lo studio di
una qualunque di queste teorie generali sembrava avere
406
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
l‘effetto di una conversione o rivelazione intellettuale, che
consentiva di levare gli occhi su una nuova verità. Una
volta dischiusi in questo modo gli occhi, si scorgevano
ovunque delle "conferme". Mentre la dottrina di Einstein
si presenta con un potere esplicativo limitato e risulta
aperta a possibili smentite, marxismo e psicanalisi sono
dottrine onni-esplicative a maglie larghe che appaiono: a)
dotate di insufficiente falsificabilità; b) dirette ad aggirare
possibili smentite tramite continue ipotesi di salvataggio.
Ad esempio, per quanto riguarda il marxismo, le
previsioni, connesse a taluni suoi enunciati originari (come
l‘analisi della incombente rivoluzione sociale) erano
controllabili, e, di fatto, vennero falsificate. Tuttavia,
invece di prendere atto di tali confutazioni i seguaci
originari di Marx reinterpretarono sia la teoria, sia le prove
empiriche, per farle concordare. Così salvarono la teoria,
ma a condizione di renderla inconfutabile (e quindi nonscientifica).
Congetture e confutazioni
Popper si presenta, a prima vista, come un tipico filosofo
del Metodo. In realtà, la posizione del filosofo su questo
argomento è più articolata di quanto sembri. Infatti, da un
lato, contro tutta la tradizione dell‘empirismo, Popper
afferma, testualmente, che non c‘è alcun metodo per
scoprire una teoria scientifica, sostenendo che le teorie
sono l‘esito di congetture audaci e di intuizioni creative e
non l‘esito di procedimenti da manuale (non esiste una
macchina scopritrice che assolva la funzione generativa
del genio). Le ipotesi hanno un numero imprecisato di
sorgenti: dalla riflessione alla fantasia. Anzi, l‘origine di
407
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
molte teorie scientifiche è palesemente extra-scientifica.
Ovviamente le idee, una volta trovate, devono essere
provate. Ed è a questo punto che interviene il principio di
falsificabilità il quale proclama che una teoria è scientifica
solo nella misura in cui può essere smentita
dall‘esperienza. ―Tutta la mia concezione del metodo
scientifico si può riassumere dicendo che esso consiste di
questi tre passi: 1) inciampiamo in qualche problema; 2)
tentiamo di risolverlo, per esempio proponendo qualche
nuova teoria; 3) impariamo dai nostri errori, in particolare
da quelli su cui ci richiama la discussione critica dei nostri
tentativi di soluzione, una discussione che tende a
condurci a nuovi problemi. O per dirla in tre parole:
problemi - teorie – critica‖. Questo metodo non è altro che
il procedimento per prova ed errore, che consiste nel
rispondere a un problema mediante un‘ipotesi che deve
venir sottoposta al vaglio critico dell‘esperienza.
La critica dell‘induzione
Per una tradizione di pensiero che va da Bacone ai giorni
nostri, osserva Popper, la scienza si fonda sull‘induzione,
intesa come procedimento che va dal particolare
all‘universale. In realtà,, sostiene categoricamente Popper,
l‘induzione,
concepita
come
procedimento
di
giustificazione delle teorie, non esiste. Infatti, per quanto
numerose possano essere le osservazioni singolari, esse
non sono mai capaci di produrre teorie universali (―per
quanto numerosi siano i casi di cigni bianchi che possiamo
aver osservato, ciò non giustifica la conclusione che tutti i
cigni sono bianchi‖). Questa impotenza strutturale
dell‘induzione trova un‘emblematica illustrazione nella
408
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
vicenda del ―tacchino induttivista‖ raccontata da B.
Russell. Fin dal primo giorno questo tacchino osservò che,
nell‘allevamento dove era stato portato, gli veniva dato il
cibo alle 9 del mattino. E da induttivista eseguì ulteriori
osservazioni in tutti i tipi di circostanze: di mercoledì e di
giovedì, nei giorni caldi e nei giorni freddi, sia che
piovesse sia che splendesse il sole. Così, arricchiva ogni
giorno il suo elenco di una proposizione osservativa in
condizioni le più disparate. Finché la sua coscienza
induttivista
fu soddisfatta ed elaborò un‘inferenza
induttiva come questa: ―Mi danno il cibo alle nove del
mattino‖, Purtroppo, però, questa conclusione si rivelò
incontestabilmente falsa alla vigilia di Natale, quando,
invece di venir nutrito, fu sgozzato. Popper ritiene che la
propria dottrina epistemologica sia sintesi di due teorie
classiche della conoscenza: una sintesi di elementi di
razionalismo e di empirismo. Infatti, da un lato essa fa
proprio l‘orientamento deduttivistico del razionalismo e
dall‘altro accetta l‘insegnamento di fondo dell‘empirismo
moderno, secondo cui è solo l‘esperienza che può aiutarci
a decidere in merito alla validità di un‘ipotesi. La critica
dell‘induzione
si
accompagna
ad
un
rifiuto
dell‘osservazionismo, ossia della teoria secondo la quale
lo scienziato osserva la natura senza presupposti o ipotesi
precostituite. In realtà, la nostra mente non è un recipiente
vuoto ma un faro che illumina, ossia un deposito di
ipotesi, consce o inconsce, alla luce delle quali percepiamo
la realtà. Per cui, nell‘accostarci ai presunti ―fatti‖, noi
siamo già da sempre impregnati‘ di teoria. In altre parole,
invece di darci ―dati puri‖, l‘osservazione risulta ―carica di
teoria‖.
409
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Popper e Kant
La teoria della mente come faro può richiamare la nota tesi
kantiana secondo cui il nostro intelletto non deriva i propri
schemi mentali dalla natura, ma li impone ad essa. Popper
stesso
sottolinea
l‘affinità,
ma
puntualizza
immediatamente la differenza, affermando che mentre per
Kant gli schemi della mente sono necessariamente validi,
in quanto la natura non può contraddirli, per il
falsificazionista essi sono delle semplici ipotesi che
l‘esperienza può smentire all‘istante. In altri termini, pur
essendo psicologicarnente e logicamente a priori, le
aspettative
della
nostra
mente
non
sono
gnoseologicamente valide a priori. Kant ha ragione
quando afferma che il nostro intelletto non trae le proprie
leggi dalla natura, ma le impone ad essa, ma sbaglia nel
ritenere che tali leggi siano necessariamente vere. La
natura, assai spesso, si oppone molto efficacemente,
costringendoci ad abbandonare le nostre leggi in quanto
confutate.
Scienza e verità
Per Popper la scienza non è un sapere definitivo e
assolutamente certo, in quanto le sue dichiarazioni sono e
restano ipotesi. Detto altrimenti, la scienza non ha a che
fare con la ―Verità‖, ma con semplici congetture. Del resto
le teorie non sono mai verificate, ossia portate nel regno
delle verità immutabili, ma semplicemente corroborate,
ossia temporaneamente non-falsificate. Popper afferma
invece: 1) che il nostro sapere è strutturalmente
problematico e incerto: 2) che la scienza possiede, come
410
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
tratto costitutivo, la fallibilità; 3) che il classico problema
di come possiamo giustificare la nostra conoscenza risulta
privo di senso; 4) che all‘uomo non compete il possesso
della verità, ma solo la ricerca, mai conclusa, di essa. Da
ciò la connessione fra popperismo e socratismo. Infatti,
sostenendo che tutte le conoscenze umane sono incerte e
che ―la ricerca non ha fine‖, il fallibilismo si presenta
come una sorta di ripresa odierna, in chiave
epistemologica, del socratismo: il fallibilismo è nient‘altro
che il non-sapere socratico. Secondo Popper, Io scopo
della scienza non è la verità ma il raggiungimento di teorie
sempre più verosimili, ovvero sempre più vicine all‘ideale
di una descrizione esauriente del mondo. In altri termini,
dire che una teoria è migliore di un‘altra e che realizza un
certo progresso nei suoi confronti, equivale a dire, per
Popper, che ―essa appare più vicina alla verità‖.
Il realismo dell‘ultimo Popper
La visione fallibilistica della scienza si accompagna, in
Popper, al rifiuto di due classiche posizioni
epistemologiche: l‘essenzialismo (secondo cui le teorie
scientifiche descrivono la natura essenziale della realtà) e
lo strumentalismo (secondo cui le teorie scientifiche sono
solo utili strumenti di previsione). Il rifiuto dello
strumentalismo si è ulteriormente accentuato nelle ultime
opere e sta alla base della ripresa popperiana del realismo.
Infatti, se in un primo tempo il nostro autore sembrava
vicino a tesi di tipo convenzionalistico, in un secondo
tempo è andato esplicitamente elaborando una teoria
realistico-obiettivistica basata sulla definizione della verità
come corrispondenza fra proposizioni e fatti: chiamiamo
411
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
―vera‖ un‘asserzione se coincide con i fatti, se corrisponde
ai fatti, o se le cose sono tali quali l‘asserzione le presenta.
È questo il concetto cosiddetto assoluto o obiettivo di
verità. Questo esito realistico risponde all‘esigenza di
evitare il relativismo implicito in quelle posizioni di
pensiero che, non distinguendo fra teoria e fatti, risultano
prive di un criterio atto a valutare la consistenza delle
teorie stesse. In altri termini, l‘ipotesi realistica‘ appare
l‘unica in grado di ―rammentarci che le nostre idee
possono essere errate. Infatti, in antitesi alle
―degenerazioni
dell‘epistemologia
post-positivistica
l‘ultimo Popper sostiene che le teorie scientifiche, pur
essendo un costrutto della nostra mente, debbano poter
―cozzare contro la realtà. Un aspetto del realismo
dell‘ultimo Popper è la cosiddetta teoria dei tre mondi. Il
Mondo I è quello delle cose, cioè degli oggetti fisici e dei
fatti naturali. Il Mondo 2 è quello delle esperienze
soggettive, cioè degli stati di coscienza, dei pensieri. dei
sentimenti ecc. Il Mondo 3 è costituito dai contenuti del
nostro pensiero, ovvero dalle teorie (non solo scientifiche,
ma anche metafisiche, religiose, mitiche ecc.) le quali
sono oggettive (in quanto non dipendono dagli stati
d‘animo e trascendono gli individui) e altrettanto reali
quanto ―i tavoli e le sedie fisiche‖.
Le dottrine politiche
Le opere in cui Popper tratta di problemi riguardanti la
società e la politica sono Miseria dello storicismo e La
società aperta e i suoi nemici. L‘originalità di questi lavori
consiste nel tentativo di difendere le ragioni della libertà e
412
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
del pluralismo
epistemologica.
con
argomentazioni
di
natura
Popper include nel concetto di storicismo tutte quelle
filosofie che hanno preteso di cogliere un senso globale
oggettivo della storia (il marxismo ma anche le più antiche
dottrine del mondo). Non esiste, secondo Popper, un senso
della storia pre-costituito rispetto alle interpretazioni e alle
decisioni umane poiché la storia assume il senso che gli
uomini le danno. Ma l‘errore metodologico più grave dello
storicismo ―oracolare‖, secondo Popper, è quello di far
confusione fra leggi e tendenze. Partendo dalla
convinzione che se è possibile per l‘astronomia predire le
eclissi, lo storicismo, fondandosi su talune tendenze della
società, crede di poter predire il futuro ―inevitabile‖ delle
cose umane. In tal modo, esso dimentica che una
previsione, per essere veramente scientifica‖, deve basarsi
su di una legge e non su una tendenza, che può perdurare
per centinaia di anni, come ad esempio l‘aumento della
popolazione. ma può anche cambiare in un decennio o in
due anni.
La democrazia
Popper pone un‘antitesi fra ―società chiusa‖ e ―società
aperta‖, e approfondisce i concetti di totalitarismo e di
democrazia. La contrapposizione bergsoniana fra società
chiusa e società aperta viene utilizzata da Popper per
focalizzare l‘irriducibile contrasto fra una società
organizzata secondo norme rigide di comportamento (e
basata su di un controllo ―soffocante‖ della collettività
sull‘individuo) ed una società fondata sulla salvaguardia
413
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
delle libertà dei suoi membri, mediante istituzioni
democratiche autocorregibili. aperte alla critica razionale e
alle proposte di riforma. A cominciare da Eraclito
(portavoce della più arrabbiata aristocrazia greca) e da
Platone (esponente della reazione alla società aperta
incarnata dalla democrazia ateniese e teorico di un
modello statale ―organicistico‖) sino a Hegel
(rappresentante di uno statalismo antidemocratico) e a
Marx (profeta di un collettivismo totalitario), lo storicismo
non ha fatto che accompagnarsi a posizioni politiche
autoritarie e foriere di sofferenze e di sventure per
l‘umanità. L‘anti-totalitarismo di Popper mette capo ad
una dottrina della democrazia, che costituisce una delle
parti più interessanti e notevoli dell‘opera di questo
filosofo. La democrazia è stata tradizionalmente definita in
relazione al soggetto cui viene attribuito il potere: ―il
popolo‖ o la ―maggioranza‖. Tutto ciò, secondo Popper,
serve a poco se non si aggiunge che la democrazia si
identifica con la possibilità, da parte dei governati, di
controllare i governanti, mediante una serie di istituzioni
―strategiche‖ — fra cui le elezioni — che consentano il
mantenimento o il licenziamento dei governanti, senza
dover ricorrere alla violenza. Di conseguenza, la classica
domanda: ―Chi deve esercitare il potere nello Stato?‘,
puntualizza Popper, importa molto di meno rispetto alle
domande,‘‖ Come è esercitato il potere? e ―Quanto è il
potere esercitato?‖. Volendo tracciare una linea di
demarcazione fra democrazia e dittatura, Popper. in uno
dei passi più rilevanti de La società aperta e i suoi nemici
scrive:1. La democrazia non può compiutamente
caratterizzarsi solo come governo della maggioranza,
414
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
benché l‘istituzione delle elezioni generali sia della
massima importanza. Infatti una maggioranza può
governare in maniera tirannica (La maggioranza di coloro
che hanno una statura inferiore a 6 piedi può decidere che
sia la minoranza di coloro che hanno statura superiore a 6
piedi a pagare tutte le tasse). In una democrazia, i poteri
dei governanti devono essere limitati ed il criterio di una
democrazia è questo: in una democrazia i governanti —
cioè il governo — possono essere licenziati dai governati
senza spargimenti di sangue. Quindi se gli uomini al
potere non salvaguardano quelle istituzioni che assicurano
alla minoranza la possibilità di lavorare per un
cambiamento pacifico, il loro governo è una tirannia.2.
Dobbiamo distinguere soltanto fra due forme di governo,
cioè quello che possiede istituzioni di questo genere e tutti
gli altri; vale a dire fra democrazia e tirannide.3. Una
costituzione democratica consistente deve escludere
soltanto un tipo di cambiamento nel sistema legale, cioè
quel tipo di cambiamento che può mettere in pericolo il
suo carattere democratico. 4. In una democrazia,
l‘integrale protezione delle minoranze non deve estendersi
a coloro che violano la legge e specialmente a coloro che
incitano gli altri al rovesciamento violento della
democrazia.5. Una linea politica volta all‘instaurazione di
istituzioni intese alla salvaguardia della democrazia deve
sempre operare in base al presupposto che ci possono
essere tendenze anti-democratiche latenti sia fra i
governati che fra i governanti. 6. Se la democrazia è
distrutta, tutti i diritti sono distrutti: anche se fossero
mantenuti certi vantaggi economici goduti dai governanti,
essi lo sarebbero solo sulla base della rassegnazione. 7. La
415
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
democrazia offre un prezioso campo di battaglia per
qualsiasi riforma ragionevole dato che essa permette
l‘attuazione di riforme senza violenza.
RIFORMISMO GRADUALISTA La difesa popperiana
della democrazia si accompagna ad una critica
dell‘atteggiamento rivoluzionario e ad un‘esaltazione del
metodo riformista. Al metodo rivoluzionario, da lui
definito di ―meccanica utopistica‖, Popper contrappone il
programma della tecnologia sociale ―a spizzico‖, che
prescrive interventi limitati e graduali. Di conseguenza,
Popper ritiene che il metodo riformista e gradualista
possegga una netta superiorità su quello rivoluzionario
perché: 1) evita di promettere ‗paradisi‘ che alla prova dei
fatti si rivelano degli ―inferni‖; 2) non pone dei fini
assoluti che legittimino anche i mezzi più ripugnanti in
vista del loro presunto raggiungimento; 3) procede per via
sperimentale, essendo disposta a correggere mezzi e fini in
base alle circostanze concrete e ai risultati ottenuti; 4)
riesce a dominare meglio i mutamenti sociali, senza
trovarsi in situazioni impreviste e difficili, tali da facilitare
l‘avvento di una dittatura traditrice degli ideali stessi della
rivoluzione.
L‘epistemologia post-positivistica
Con l‘espressione epistemologia post-positivistica si
intende quel tipo di filosofia della scienza che ha assunto
posizioni radicalmente critiche nei confronti del
neopositivismo e di Popper. Fra i tratti salienti di tale
epistemologia troviamo: 1) l‘anti-empirismo e l‘anti-
416
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
fattualismo, ossia la convinzione che i fatti sono dati solo
all‘interno di teorie; 2) l‘attenzione per la configurazione
storico-concreta del sapere scientifico ; 3) la messa in luce
dei condizionamenti extra-scientifici (sociali, pratici,
metafisici ecc.) cui è sottoposta la scienza, vista come
attività ―impura‖, che non vive esclusivamente nei cieli
cristallini della ―pura‖ teoria; 4) l‘esclusione di una base
empirica neutrale in grado di fungere da criterio di
―verificabilità‖ falsificabilità delle teorie; 5) la negazione
di un presunto ―metodo‖ fisso del sapere e di ogni rigida
―demarcazione‖ della scienza rispetto alle altre attività
umane: 6) il rifiuto del mito della Ragione e il
ridimensionamento del valore conoscitivo ed esistenziale
della scienza; 7) la propensione a considerare le teorie non
in termini di ―verità‖, bensì di ―consenso‖; 8) la
contestazione dell‘epistemologia tradizionale e dei suoi
classici interrogativi
T. Kuhn
Lo storico e filosofo statunitense Thomas Kuhn è autore di
La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962), nella
quale, utilizzando le sue ricerche di storico della scienza,
egli ha elaborato una concezione epistemologica originale,
secondo cui le nuove dottrine non sorgono né dalle
verificazioni né dalle falsificazioni, ma dalla sostituzione
del modello esplicativo vigente (paradigma) con uno
nuovo. Infatti, secondo Kuhn, lo sviluppo storico della
scienza si articola in periodi di ―scienza normale‖ e in
periodi di ―rotture rivoluzionarie‖, I primi qualificati dal
prevalere di determinati paradigmi, ossia di complessi
organizzati di teorie, di modelli di ricerca e di pratiche
417
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
sperimentali ―ai quali una particolare comunità scientifica,
per un certo periodo di tempo, riconosce la capacità di
costituire il fondamento della sua prassi ulteriore.
L‘astronomia tolemaica e quella copernicana, la dinamica
di Aristotele e quella di Newton, l‘ottica corpuscolare e
quella ondulatoria ecc., sono altrettanti esempi di
paradigmi. Kuhn ritiene che la scienza normale entri in
crisi per un sommarsi di anomalie, ossia di eventi nuovi e
insospettati, che gli scienziati del periodo ancora normale,
portati ad evitare il cambiamento e le novità sensazionali,
cercano di incasellare nel vecchio modello esplicativo.
Essi cercano piuttosto di riformularlo e di correggerlo. Ma
ciò fa sì che le crepe all‘interno del vecchio sistema
aumentino, sino a produrre una vera e propria crisi
rivoluzionaria. Crisi che comporta l‘abbandono del
vecchio paradigma e l‘accettazione di un nuovo sistema,
che obbliga il ricercatore a guardare il mondo in maniera
completamente diversa. Di conseguenza, i vari paradigmi
che si succedono nella storia della scienza rimandano.
secondo Kuhn. a quadri concettuali completamente
diversi, fra loro incommensurabili. L‘accettazione di un
nuovo paradigma può avvenire per ogni genere di ragioni.
Alcune di queste ragioni — ad es. il culto del sole che
contribuì a convertire Keplero al copernicanesimo — si
trovano completamente al di fuori della sfera della
scienza. Altre ragioni possono dipendere da paure
autobiografiche e personali. Persino la nazionalità
dell‘innovatore e dei suoi maestri può talvolta svolgere
una funzione importante. Negli anni successivi. Kuhn ha
cercato di articolare meglio la sua dottrina. attenuando
quegli aspetti di essa che potevano dar luogo alle accuse di
418
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
irrazionalismo e di relativismo. Egli ha parlato ad esempio
di taluni criteri che presiederebbero alla scelta di teorie
rivali (accuratezza, coerenza, semplicità, redditività); ha
proposto, in luogo del troppo generico concetto di
paradigma, quello di matrice disciplinare (disciplinare
perché è il possesso degli esperti di una disciplina
professionale e ―matrice‘ perché è formata da elementi
ordinati di vario tipo, ciascuno dei quali richiede una
ulteriore specificazione).
I. Lakatos
L‘ungherese Imre Lakatos (1922-1974) ha insegnato a
Londra accanto a Popper, dal quale ha subito profondi
influssi. I suoi scritti maggiori sono La falsificazione e La
metodologia dei programmi di ricerca scientifica.
Alla base del pensiero di Lakatos sta un serrato confronto
con Kuhn e Popper. Vicino alle posizioni razionalistiche
di Popper, Lakatos contesta Kuhn per avere assimilato le
rivoluzioni scientifiche a delle ―conversioni‖ religiose,
derivanti da un irrazionale cambiamento di fede‘. Per
quanto concerne Popper, pur riconoscendo (a differenza di
Kuhn) come il suo falsificazionismo non sia rimasto ad
uno stadio ―dogmatico‖, ma si sia evoluto in senso
―metodologico‖, Lakatos afferma che una prospettiva
scientifica entra in crisi e viene sostituita non a causa di
presunti ‗esperimenti cruciali‖. ma grazie al presentarsi di
una prospettiva rivale: ―gli scienziati hanno la pelle dura,
Non abbandonano una teoria solo perché alcuni fatti la
contraddicono. Gli scienziati parlano di anomalie, di casi
recalcitranti, mai di confutazioni‖. Lakatos teorizza una
419
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
concezione della storia della scienza come di una serie di
programmi di ricerca in razionale confronto fra di loro. Per
programma di ricerca scientifico si intende una
costellazione di teorie scientifiche coerenti fra di loro ed
obbedienti ad alcune regole metodologiche fissate da una
determinata comunità scientifica. Un programma di
ricerca è costituito da un ―nucleo ritenuto inconfutabile ―in
virtù di una decisione metodologica dei suoi sostenitori‖.
Attorno al nucleo troviamo una ―cintura protettiva
costituita da ―ipotesi ausiliarie‖ aventi la funzione di
rappresentare uno ―schermo‖ per la difesa del nucleo. Un
programma di ricerca è valido finché si mantiene
progressivo, ovvero ―fin quando continua a predire fatti
nuovi con un certo successo. Viceversa, è regressivo o in
stagnazione, come accade anche in quei programmi
scientifici degeneri che sono il marxismo e la psicanalisi,
se si limita ad inventare teorie ―solo al fine di accogliere i
fatti noti‖ o si limita a dare spiegazioni post hoc di
scoperte casuali o difatti anticipati, e scoperti, nell‘ambito
di un programma rivale. Di conseguenza, le rivoluzioni
scientifiche non accadono in seguito ad irrazionali
mutamenti di prospettiva da parte degli scienziati ma in
seguito a delle razionali decisioni, da parte della comunità
dei ricercatori, di sostituire programmi ormai ―regressivi‖
con programmi all‘altezza della situazione. E' solo con il
senno del poi, si pensi all‘ipotesi copernicana, che si può
stabilire con sicurezza il carattere regressivo o progressivo
di un certo programma.
Paul K. Feyerahend
420
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
Paul K. Feyerahend (1924-), di origine tedesca e
professore universitario negli Stati Uniti, è forse il
pensatore più noto e discusso dei post-positivisti. Fra le
sue opere principali: Contro il metodo (1975); La scienza
in una società libera (1978)
Feyerabend propone una ―epistemologia anarchica‖
fondata sulla convinzione secondo cui non esiste alcun
metodo scientifico che stia alla base di ogni progetto di
ricerca e lo renda scientifico. ―Nel libro Contro il metodo
ho tentato di dimostrare che i procedimenti della scienza
non si conformano ad uno schema comune, che non sono
―razionali‖ in riferimento a nessuno schema del genere.
Gli uomini intelligenti non si lasciano limitare da norme,
regole, metodi, ma sono opportunisti, ossia utilizzano quei
mezzi mentali e materiali che, all‘interno di una
determinata situazione, si rivelano i più idonei al
raggiungimento del proprio fine‖. Questa tesi, che mette
capo ai principio polemico ―anything goes‖ (tutto può
andar bene). è stata attaccata, sostiene Feyerabend, dai
―benpensanti‖ preoccupati delle sorti della ricerca umana.
In realtà tutti costoro sono degli analfabeti, oppure dei
―lettori della domenica‖. Infatti essi non si sono resi conto
che l‘epistemologia anarchica non è che la presa di
coscienza del fatto storico che non esiste neppure una
regola, per quanto plausibile e ―logica‖ possa sembrare,
che non sia stata spesso violata durante lo sviluppo delle
singole scienze. Tali violazioni non furono eventi
accidentali o conseguenze evitabili dell‘ignoranza e della
disattenzione. Esse erano necessarie perché, nelle
condizioni date, si potesse conseguire il progresso. Eventi
come l‘invenzione della teoria atomica nell‘antichità
421
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
(Leucippo), la rivoluzione copernicana, lo sviluppo
dell‘atomismo moderno (Dalton: la teoria cinetica dei gas;
la stereochimica: la teoria quantistica), la graduale
affermazione della teoria ondulatoria della luce si
verificarono solo perché alcuni ricercatori o si decisero a
non seguire certe regole ―ovvie‖ o perché le violarono
inconsciamente...‖. Difendere l‘epistemologia anarchica
ed un conseguente pluralismo teorico e metodologico non
significa dunque distruggere regole o criteri nell‘ambito
della pratica scientifica, ma farsi paladini della libera
inventività della scienza al di là di qualsiasi metodologia
prefissata: ―Io non raccomando alcuna ―metodologia‖, ma
al contrario affermo che l‘invenzione, la verifica,
l‘applicazione di regole e criteri metodologici sono di
competenza della ricerca scientifica‖.
Altro tema caratteristico di Feyerabend è la tesi secondo
cui i fatti non esistono ―nudi‖, al di fuori delle teorie, ma
soltanto nell‘ambito di determinati ―quadri‖ mentali, in
quanto lo scienziato ―vede‖ solo ciò che questi ultimi lo
inducono a vedere. Un effetto della teoria dei ―quadri‖ è
che neppure le nozioni più semplici o apparentemente
neutrali della scienza possono venir considerate in modo
universale ed oggettivo, in quanto i loro significati
risultano intrinsecamente connessi ai differenti contesti
teorici entro i quali sono stati formulati (ad esempio il
termine ―massa‖, che assume accezioni diverse a seconda
che si tratti della fisica di Newton o di Einstein). Da ciò il
recupero, in un contesto ancor più radicalizzato, della tesi
di Kuhn circa l‘incommensurabilità delle teorie (come si
possono valutare comparativamente delle teorie che sono
sorte in momenti diversi; che non usano gli stessi termini o
422
Storia della filosofia
Paolo Rebaudo
________________________________________________________________________________________________________
li adoperano con significati diversi; che non parlano degli
stessi fatti o ne parlano in modo differente; che non hanno
il medesimo fine o scopo ecc.?) ed il parallelo rifiuto della
visione della scienza come ―accumulazione‖ progressiva
di conoscenze (positivisti e neopositivisti) o come
―approssimazione‖ graduale alla verità (Popper) e
l‘adesione ad una prospettiva che affida a criteri di tipo
pragmatico (l‘efficacia, il successo, la capacità di
persuasione ecc.) la preferenza fra le teorie in
competizione. Ma l‘esito forse più caratteristico
dell‘epistemologia di Feyerabend è la distruzione del mito
della Scienza (la scienza non è sacrosanta). Infatti,
denunciando lo strapotere della scienza nel mondo d‘oggi
e battendosi per un ridimensionamento del suo peso
teorico e sociale. Feyerahend dichiara che essa è solo uno
dei molti strumenti inventati dall‘uomo per far fronte al
suo ambiente e che, al di là della scienza, ―esistono miti,
esistono i dogmi della teologia, esiste la metafisica, e ci
sono molti altri modi di costruire una concezione del
mondo. È chiaro che uno scambio fecondo fra la scienza e
tali concezioni del mondo ―non scientifiche‖ avrà bisogno
dell‘anarchismo ancora più di quanto ne ha bisogno la
scienza. L‘anarchismo è quindi non soltanto possibile, ma
necessario tanto per il progresso interno della scienza
quanto per lo sviluppo della nostra cultura nel suo
complesso. Feyerabend ipotizza un modello ideale di
società totalmente libera, una forma di coesistenza in cui
vengano riconosciuti uguali diritti ed eguali possibilità di
accesso ai centri di potere sia agli individui, sia alle
diverse tradizioni culturali cui essi appartengono.
423