Luterani e calvinisti a Trento Nonostante il tentativo del principe-vescovo di Trento, Bernardo Clesio, di una riforma del clero e di ricupero dei dissidenti, avviata con il sinodo diocesano del 1537, l'arresto del flusso della propaganda orale e scritta nelle zone di confine con la Germania e con l'Austria, con una parte notevole di territorio di lingua italiana, ma sotto la sovranità dell'Impero, era una fatica sprecata. Come ha scritto Josef Macek, la gente comune tendeva l'orecchio alle parole di Lutero e degli altri riformatori, non tanto perché era in grado di comprendere le loro definizioni teologiche, ma perché, nella loro coraggiosa denuncia dei mali della chiesa, vedeva la via al «puro Evangelo» e la fine delle sventure quotidiane 1 . Pertanto si susseguivano le notizie allarmanti di Girolamo Aleandro. Bolzano — scriveva il 7 settembre del '38 — a causa del commercio con la Germania è «molto infetta di luteranismo». Dieci anni dopo l'ambasciatore veneto Alvise Mocenigo, il futuro doge, nella relazione al senato del 1546 dell'ambasceria a Cario V, rivelò quali fossero gli umori della popolazione tirolese verso il papa e la chiesa di Roma: «Li era manifesto che il contado di Tirol, e quasi tutti li altri stati del re suo fratello, erano infettati di questa eresia, se ben per timore del re procedevano in tal cosa con qualche rispetto, non però tanto, che non si vedessero molti segni manifesti di questa sua opinione, che fra l'altre cose io mi aricordo che nel andare a questa legazione, passando per la Chiusa, loco del re, over come dicono alcuni il Covolo, vidi scritto sopra una porta: "Viva Cristo et mora il Papa"». 2 Nel periodo del vescovato e del governo di Cristoforo Madruzzo, cardinale del partito imperiale, ammiratore del Beneficio di Cristo, protettore di sospetti come il Carnesecchi, Bartolomeo Spadafora, Niccolò da Verona, l'irrequieto ex agostiniano Ortensio Lando, frate Andrea da Volterra, Jacopo Nocchianti, Trento divenne un luogo di rifugio di perseguitati. Il caso più clamoroso è quello di Filippo Valentini, personalità di spicco fra i letterati modenesi, per molti anni partecipe del movimento filoriformatore dell'Accademia, nominato podestà di Trento nel 1548, dopo avere abbandonato Modena sotto la minaccia dell'arresto. Per la sua condizione di principato imperiale, solo dopo la chiusura del concilio di Trento il principe- vescovo eresse il tribunale dell'Inquisizione (13/4/1564). L'eresia luterana perciò ebbe modo di svilupparsi, sia pure in forma sotterranea e nicodemitica, e di continuare a serpeggiare fino alla fine del secolo soprattutto nella parte di lingua tedesca. Si tenga conto che anche gl'italiani conoscevano il tedesco. Lo stesso Cristoforo Madruzzo lo aveva imparato dalla madre e si sentiva più tedesco che italiano. La città contava allora da sei a settemila abitanti. Per le numerose fiere vi andavano mercanti di Augusta, di Verona, di Ferrara, di Venezia e di Mantova. Non appena il tribunale della fede entrò in funzione, si aprì un processo contro una personalità cittadina molto in vista per la professione di notaio e per la fama di poeta e di appassionato lettore dell’Ariosto e di Dante. Il processo del 1564 contro Leonardo Colombino (1524-1580), nonostante le schermaglie e le reticenze dell'imputato, finì con la scoperta dell'esistenza di un gruppo clandestino di protestanti convinti e di numerosi loro amici. Tre erano certamente i maggiormente indiziati, i quali si salvarono con la fuga. Un calzolaio, Giovanni Bertignollo, un ricco mercante, Giovanni Antonio Zurletta, e il maestro di scuola della città di Trento, il senese Vincenzo Bezzi, che vi risiedeva dal 1557. Il calzolaio, due volte console negli anni precedenti, fuggì nel 1564, dopo una perquisizione in casa sua, dalla quale saltarono fuori la Bibbia in italiano e scritti luterani contro la messa. Uno dei testimoni ricordò di averlo sentito parlare con disprezzo e derisione del concilio: «II concilio di 1 2 Cfr. J. Macek, op. cit., pag. 78 V. Zanolini, op. cit., pag. 28 2 Trento è un monastero di frati, una congregazione di pretti e li detti Padri sono scribi e farisei» 3 . Questo accentuato anticlericalismo spiega in parte come il gruppo, del quale l'artigiano era uno dei capi, fosse costituito di soli laici. Circa dodici anni prima aveva preso la fuga Giovanni Antonio Zurletta, un ricco mercante, cittadino di Trento ma appartenente a una fa miglia originaria di Dimaro, iscritto nell'albo gentilizio per avere sostenuto le spese della bellissima cantoria della chiesa di S. Maria Maggiore. Né la devozione manifestata nell'abbellimento di S. Maria Maggiore, dove si terranno le congregazioni generali dell'ultima fase del concilio, né l'amore per l'arte sacra, così intimamente legata alla tradizione cattolica, riuscirono a trattenerlo nell'alveo dell'ortodossia. Fu inquisito una prima volta nel '48, e poi di nuovo nel '51, processato infine come «relapso» nel '52. Ma era riuscito a lasciare la città e a rifugiarsi a Tirano in Valtellina. Di là continuò a mantenere rapporti epistolari con la moglie, la cognata Caterina, e i fratelli di lei, Giambattista, Osvaldo e Girolamo Sizo. Li esortava a restare fermi nella fede, a leggere quotidianamente la Scrittura, aiutati dai libri che gli avrebbe inviato. Sperava che la moglie «se voglia destrigar de le cose del mondo e che la voglia venir cum suo marido, segondo che comanda Dio et altramente facendo, sapia di certo che la cascarà nel iudizio de Idio» 4 . A Tirano lo raggiunse Vincenzo Bezzi, l'unico del gruppo in possesso dell'Istituzione calviniana, che faceva circolare fra gli amici. Il secondo processo contro il Colombino (il primo si era concluso con l'abiura e la riconciliazione alla chiesa il 15/5/1564), iniziatosi 15 anni dopo, il 21 settembre 1579, in seguito alla visita della diocesi del card. Ludovico Madruzzo, nipote di Cristoforo, si concluse il 14 aprile del 1580 con l'abiura di tutti gli errori e ancora una volta con la riconciliazione. Più che sulle numerose testimonianze di accusa era fondato su un documento inoppugnabile: una lettera dello Zurletta da Tirano del 13 aprile del '66 con la quale l'esule si felicitava per la notizia, datagli da lui stesso, della sua conversione esortandolo a perseverare nella fede in Gesù Cristo e a leggere ogni giorno la Santa Scrittura: «Percioché adesso la nostra salute ci è più vicina che quando noi abbiam creduto. La notte è già passata via, e il giorno s'è approssimato. Mettiam dunque giù le opere delle tenebre e vestiamoci d'armi de la luce, il resto leggete da per voi» 5 . Gli avrebbe fatto pervenire i libri richiesti: la Istituzione di Calvino in lingua italiana e i Commentari di Giovanni Sleidano tradotti in italiano, che avrebbe fatto comprare a Chiavenna, nonché il Dialogo di messer Jacopo Riccamati, cioè l'opera dell'ingegnere trentino Giacomo Aconcio, convertitosi nel 1557 al protestantesimo. La lettera si chiude con la speranza di una conversione alla Riforma in tutta la Valtellina, dove «ogni giorno si va distruggendo il Papato e spereremo in breve che i Signori Grisoni abbi a mandar a spasso la diabolica messa», così come è accaduto in Scozia e in Inghilterra, mentre in Francia è stata concessa libertà di culto e si spera lo stesso per la Polonia e altri regni d'Europa 6 . Il saluto per «tutti quelli che caminano nella verità», per la moglie — che non lo aveva voluto seguire in terra d'esilio - e per il notaio Nicodemo, rivela, a distanza di trent'anni dalla fuga, una conventicola trentina, la quale, stando alle accuse al Colombino nel secondo processo come capo di conventicole a Terlago e Pergine, forse non era l'unica. L'abilità della difesa, le cognizioni giuridiche dell'imputato, e il richia mo alle disposizioni di Ferdinando I e di Massimiliano II, per la concessione di libertà di culto ai luterani, il diritto a farsi difendere da un avvocato di fiducia, non riuscirono a vanificare del tutto quanto asserirono parecchi testimoni sulla sincerità della prima abiura. Quelli di Terlago lo avevano battezzato «Lutero» per le tirate anticlericali. Il dottor Odorico Paurinfaint depose di aver avuto da lui un libro contro l'eucaristia, dove si leggeva che i cattolici adoravano un pezzo di pasta. A Pergine, dov'egli abitava nel '79, si era legato a un tale Martino liutaio, luterano ben conosciuto, che non andava mai alla messa. Il 5 ottobre del '79 il notaio Colombino veniva rinchiuso nel carcere del castello del Buon Consiglio. I capi d'accusa si fecero sempre più gravi. Vincenzo Bordogna raccontò di essersi trovato 3 Ivi, pp. 52; 55-58. Ivi, pp. 37-41. 5 Ivi, p. 43. 6 Ivi, pp. 42-44. Si noti la precisa informazione sulla stampa utile alla propaganda: la traduzione dell’Istituzione di Calvino di G.C. Pascali (1554) e la traduzione dei Commentari si Sleidano, stampata a Ginevra nel 1556. 4 3 un giorno in chiesa con lui. Il notaio, avendolo visto inchinarsi davanti al «santissimo Sacramento», gli disse: «O mato che sette. Iddio è in cielo! E questo che vedete voi in quello loco è pasta. E quella lume che abbruscia là, meglio saria dare quel oglio a qualche povera dona» 7 . Vi erano indubbiamente contro il notaio prove schiaccianti: vi era stata nel primo processo la confessione della lettura di una serie di libri proibiti, dal Beneficio di Cristo al Pasquino in estasi, dal commento all'Epistola ai Galati di B. Ochino, a opere del Vergerio e del Viret, ma soprattutto vi era la lettera del vecchio amico Zurletta con le notizie del Bezzi, il maestro calvinista. Eppure — nonostante i sei mesi d'interrogatori e di minaccia di tortura — l'avvocato Odorico Costede riuscì a smontare tutte le accuse ponendo il dubbio sulla sincerità dei testimoni, nonché sull'autenticità della lettera dello Zurletta, e facendo sfilare 32 testimoni di Terlago, Lasino, Baselga, Pinè e Trento. Costoro asserirono la piena ubbidienza del povero sordo e bizzarro notaio a tutti i precetti della chiesa. Inoltre l'avvocato dichiarò illegittimo il procedimento, in quanto per il privilegio concesso alla città di Trento i processi per questioni di fede spettavano all'arciduca d'Austria e non alle autorità ecclesiastiche. Il 14 aprile del 1580 il Colombino veniva liberato. Il card. Ludovico Madruzzo, succeduto allo zio nel governo del principato, avrà forse suggerito ai giudici di accettare per buona la sua professione di fede, per nulla tridentina, ma sostanzialmente identica al credo apostolico. Questo processo di un uomo, studioso dei classici latini e della letteratura italiana, ma altresì della Scrittura, desideroso d'immergersi nello studio della Istituzione di Calvino, come aveva fatto con le opere di Jacob Wimpfeling, l'umanista di Strasburgo, trovate nascoste in una cassa, per certi aspetti è esemplare delle contraddizioni di molti intellettuali italiani di questo secolo, incerti, oscillanti, indecisi fra il desiderio della libertà del cristiano e la necessità di non rompere con la famiglia, con l'ambiente sociale, con la professione. Da giovane era entrato nelle grazie di Cristoforo Madruzzo. Il 3 maggio del 1547, nel castello del Buon Consiglio, il principe diede una magnifica festa per celebrare la vittoria imperiale di Muhlberg sui protestanti. Il Colombino, che recitò nella parte del Matto dei tarocchi, la descrisse in un poemetto in lingua italiana: Il Trionfo Tridentino. Il fulcro della festa, allietata dalle danze di fanciulle di Trento, di Rovereto e di Riva, e dalla musica, fu la rappresentazione di un trionfo con le figure simboliche degli astri, del diavolo, della morte, dell'amore, della fama, impersonate dalle più belle signore della nobiltà trentina. Le noiose discussioni conciliari sulla giustificazione, che avevano diviso la cristianità e turbato molte coscienze in tutta Europa, conclusesi il 13 gennaio dello stesso anno, erano a una distanza siderale da quel mondo incantato di raffinata eleganza. Nonostante il persistente anticlericalismo, nonostante le simpatie e le amicizie protestanti, da quel mondo della sua giovinezza il vecchio notaio non riuscì, né forse desiderò mai di staccarsi. Alla fine della prima visita di Ludovico Madruzzo a Trento e nel contado (1579-1580), il dissenso religioso non appariva più alla superficie e, forse, era stato eliminato senza ricorrere a dure condanne. Non si hanno notizie di roghi, ne di patiboli 8 . Gli arciduchi d'Austria, che cercavano di annettersi il principato, e i vescovi, difensori dell'autonomia, non intendevano inimicarsi la popolazione. Due casi clamorosi si risolsero con l'esilio volontario dei protagonisti. Nel '68, durante la lotta dell'arciduca Ferdinando II, sostenuta dal Comune cittadino contro il vescovo, fu imprigionato Ascanio Schrattemberg, filosofo e medico illustre, console di quell'anno. Seguace del Pomponazzi, non credeva nell'immortalità dell'anima, né nella divinità di Gesù Cristo. Le autorità tirolesi riuscirono a farlo liberare. Dieci anni dopo stampava a Brescia un'opera latina: De indicationibus curativis libri X. Maggiore eco ebbe la decisione di Ildebrando, signore del castello di Sporo. Nel 1571 si dichiarò luterano e non volle cedere dinanzi alle confutazioni dei gesuiti di Innsbruck respingendo le decisioni conciliari nei riguardi dell'eucaristia. Avrebbe potuto tenere il castello di Flavon, se avesse educato i figli nella fede cattolica. Preferì vendere tutto ed esulare. A Flavon, e in tutta la parte di lingua italiana, la visita scoprì alcuni residui del dissenso sparsi in tutte le classi sociali. Al solito i più pericolosi sono i due professori di lettere umane di Storo, Bortolo Maleotti e Ambrogio degli 7 V. Zanolini, op. cit., p. 100. Per il processo contro il Colombino, ivi, pp. 58 ss e 97-115. Ivi, pp.87 ss. Cfr. L. Colombino, Il Trionfo Tridentino, in F. Ambrosi, Scrittori e artisti Trentini, Trento, 1894 (rist. anastatica: Bologna, Forni, 1972) 8 4 Schiavi, svelti a bruciare i libri proibiti, appena avvertiti dagli amici. Il notaio Benvenuto di Tenno consegnò ai visitatori un commento biblico di Bucero. Ben diverso il quadro presentatesi ai visitatori nella parte di lingua tedesca. Molti gli anabattisti a Villanders; moltissimi eretici nascosti a Bolzano, dove i mercanti d'Augusta, durante le fiere, rifornivano i protestanti di libri. Era inutile sequestrarli, perché ne arrivavano di continuo. Perfino nella biblioteca del parroco vi erano opere proibite come i Colloquia di Erasmo. Cinque anni dopo, durante la seconda visita, si dovettero bruciare un migliaio di libri proibiti. Il centro è ancora Bolzano dove un arrotino bavarese consegnò la Bibbia tradotta da Lutero, ma non doveva essere propenso all'abiura, se il notaio scrisse a margine del protocollo: «Is suspectus et pertinax». Quivi i due maestri di scuola erano filoluterani. Cristiano Pfanner di Hall abiurò, mentre Cipriano Heller rifiutò di accettare la professione di fede cattolica e, probabilmente, fu costretto a lasciare la città. Quando i visitatori si recarono nella sua casa, lo trovarono mentre insegnava a un centinaio di allievi. Gli sequestrarono le Postillae di Lutero, il Salterio tradotto da Lutero, il De passione Christi di Bugenhagen, e il Miserere di G. Savonarola, tradotto da Cyriakus Spangenberg. Altri libri furono sequestrati ad Ora, Mais e Moelten, di Lutero, di Brenz, di Melantone, di Erasmo. A Montan il capitano possedeva una biblioteca di opere di Lutero (Catechismo, Salterio, Novum Testamentum), di Bucero, di Spangenberg. Il parroco Gaspare Lechner era un luterano. Di nascosto in canonica cercava di convenire i parrocchiani. Celebrava la messa amministrando l'eucaristia sotto le due specie. Si giustificò dicendo di essere ignorante e convinto di non errare così facendo. A Montan, Egna, S. Paolo di Eppan, Caldaro, Ora, Salorno, fino alla fine del secolo, i dissidenti avevano cercato di resistere nascondendo la Bibbia e i libri proibiti che alla fine dovettero consegnare. La biblioteca sequestrata a Elia Oler di Egna, sfuggito alla cattura, dà la misura dell'interesse e dell'uso cultuale e pratico di questi libri: le Postillae, il Catechismo, gli Inni e un'opera sul sacramento dell'eucaristia di Lutero, e poi i Vangeli, ancora innari, sommari di dottrina, e tanti altri, fra i quali le opere di Cristoforo Lasio. È verosimile che Elia fosse la guida di una conventicola. Dagl'interrogatori dei processi, e dall'esame degli elenchi dei libri sequestrati per oltre mezzo secolo, è chiaro lo stretto legame con la riforma luterana e la cultura tedesca. Raramente si fa il nome di Zwingli o di Calvino. Due sole volte ricorre il nome di Erasmo per i Colloquia, l’Enchiridion militis Christiani e il De libero arbitrio. Tratto da: “LA RIFORMA PROTESTANTE NELL’ITALIA DEL CINQUECENTO” di Salvatore Caponetto. Claudiane Editrice, 1992 – Torino , pag. 198 - 205