LA RIASSOCIAZIONE MOLECOLARE DNA/DNA
Il grado di riassociazione o ibridazione molecolare DNA/DNA rappresenta uno dei cardini su cui si basa la
definizione di specie batterica.
Allo scopo ricordiamo cosa si intende per SPECIE BATTERICA. Essa è l'unità tassonomica di base della
microbiologia, e viene definita come un insieme di ceppi che mostrano caratteristiche fenotipiche e
genotipiche tali da poter essere raggruppati in un cluster omogeneo al suo interno, ma che possa essere
distinto per almeno una caratteristica fenotipica e per un importante grado di diversità genotipica dalle
altre specie ascrivibili allo stesso genere. Per ogni specie descritta e validata dalla comunità scientifica
internazione viene messo a disposizione un ceppo di riferimento ( o ceppo type) che viene conservato in
Collezioni internazionali (ad esempio la American Type Culture Collection= ATCC) e che può essere
richiesto e utilizzato negli studi comparativi.
Ceppi appartenenti alla stessa specie devono quindi mostrare un fenotipo simile: questo implica che
all'interno di una definita specie i ceppi possono presentare una qualche variabilità fisiologica che
rispecchia l'adattamento ad habitat diversi, caratterizzati da differenti pressioni selettive, pur mostrando
una origine evolutiva comune che li porta a possedere una serie di caratteristiche fenotipiche che
risultano invece comuni a tutti i ceppi, indifferentemente dalla nicchia di isolamento, e che
rappresentano le proprietà che caratterizzano e differenziano quella specie dalle altre.
Un fenotipo simile implica un genotipo simile, ed in questo contesto i ceppi appartenenti ad una stessa
specie devono possedere un grado di omologia della sequenza nucleotidica del loro DNA molto alto, che
è stato calcolato essere maggiore o uguale al 70%. A questo, recentemente, con la messa a punto di
nuove tecniche di indagine molecolare, si è aggiunto lo studio delle correlazioni filogenetiche attraverso
la determinazione della sequenza nucleotidica del gene codificante l'rRNA 16S: ceppi appartenenti alla
stessa specie devono possedere una origine evolutiva comune, di conseguenza l'omologia di sequenza
dei loro geni 16S rDNA deve essere superiore al 97-98%. Ricordo che il gene 16S rDNA rappresenta
l'orologio molecolare ideale con il quale studiare i rapporti filogenetici tra i microrganismi, è cioè un
gene altamente conservato (così come l'intero operone ribosomale), che ha subito durante l'evoluzione,
poche variazioni, ed è presente in tutte le cellule procariote, dove svolge la stessa funzione.
Rimandando lo studio filogenetico, vediamo come si possa determinare il grado di ibridazione
molecolare. Non potendo effettuare la determinazione diretta (che comprenderebbe la determinazione
della sequenza nucleotidica completa dell'intero genoma di due microrganismi), sono stati sviluppati
diversi metodi indiretti, tra i quali molto diffusa è la determinazione del grado di riassociazione per via
spettrofotometrica con DNA in soluzione, perchè offre il grande vantaggio di non usare sostanze
marcate.
Il principio su cui si basa tale determinazione è relativamente semplice. Per le fasi operative si fa
riferimento ai lucidi correlati
Il DNA purificato dei due ceppi di cui si vuole valutare il grado di ibridazione, viene sciolto in tampone ad
alta forza ionica (per favorire la riassociazione) e sottoposto a determinazione del valore di Tm e del Tm
medio. Si può così calcolare una idonea temperatura di riassociazione che corrisponde al valore di Tm
medio – 25 °C. Queste sono le condizioni operative. Si lavora poi con uno spettrofotometro particolare
che prevede la possibilità di operare contemporaneamente con più cuvette e di essere collegato ad un
sistema di riscaldamento e raffreddamento programmato delle cuvette nelle quali vengono poste
quantità note dei DNA allo studio, preventivamente frammentate, in modo tale da evitare che su un
lungo filamento si riasssocino solo regioni parziali. Lo strumento poi dispone di un software che
permette di registrare nel tempo il valore di OD a 260 nm. In particolare vengono allestite, oltre al
bianco, 3 cuvette, in due delle quali viene posto il DNA omologo dei due ceppi allo studio, mentre nella
terza una miscela dei due DNA eterologhi a metà concentrazione ciascuno. In primo luogo lo strumento
viene programmato per effettuare una dissociazione completa del DNA (90-94°C per alcuni minuti);
successivamente la temperatura viene abbassata il più velocemente possibile alla temperatura calcolata
di riassociazione e mantenuta nel tempo. Da questo momento lo strumento registra il decremento di OD
che si registra in funzione del grado di riassociazione, che a sua volta è correlato al grado di omologia che
possiedono i due filamenti di DNA presenti nella stessa cuvetta. Si calcola poi quanto tempo impiegano i
campioni a riassociare per il 50% (calcolando il valore di OD teorico a cui corrisponde il 50% di
riassociazione). Il tempo impiegato dai 2 DNA omologhi (che rappresenta il 100% di omologia) viene poi
messo in comparazione con il tempo impiegato dalla miscela dei due filamenti eterologhi, tempo che
sarà tanto più vicino a quello dei controlli, tanto più i 2 DNA allo studio risultano simile nella loro
sequenza nucleotidica. Da qui si può poi estrapolare la % di omologia genetica.
PROFILO PLASMIDICO
La valutazione del profilo plasmidico posseduto dai ceppi batterici, rappresenta un primo passo
importante per la valutazione della stabilità e della idoneità di una data coltura ad essere impiegata
come coltura selezionata in un processo industriale. Si ricorda infatti come i plasmidi siano Elementi
Genetici Mobili, e come tale possono essere persi o acquisiti dalla cellula ospite, a causa di eventi non
ancora completamente chiariti. Ne consegue che se sulle molecole plasmidiche sono localizzati geni che
codificano per proprietà utili, in base alle quali è stato messo a punto uno specifico processo, la
eventuale perdita del plasmide, porta ad un grave danno.
La presenza di plasmidi può comunque non essere desiderata in un ceppo utilizzabile come coltura
selezionata, anche se su di essi non sono localizzati geni di interesse biotecnologico. Si ricorda al riguardo
come la resistenza ad antibiotici sia ad esempio una caratteristica molto spesso riscontrata a livello
plasmidico e certamente non desiderata, soprattutto per la possibilità di trasferimento genico orizzontale
tra microrganismi colonizzanti lo stesso habitat, mediato da processi coniugativi che vedono implicati
specifici plasmidi.
Per questi motivi la determinazione della presenza di molecole plasmidiche in un ceppo riveste
importanza. Essa può essere effettuata semplicemente attraverso la analisi della corsa elettroforetica dei
campioni di DNA totale, oppure per evidenziare eventuali molecole plasmidiche ad alto peso molecolare
la cui corsa potrebbe essere simile a quella del DNA cromosomale, effettuando una lisi alcalina, che
consente di eliminare la maggior parte del DNA cromosomale, durante le fasi di estrazione. Durante la
lisi il DNA cromosomale, come già accennato, viene ridotto in frammenti lineari. Se si innalza il pH della
soluzione di lisi con aggiunta di soda concentrata si ottiene la rottura dei legami idrogeno e quindi la
separazione dei due filamenti. I plasmidi invece sono molto meno soggetto alla rottura e quindi la loro
struttura non viene alterata, nemmeno con l'innalzamento del pH.
Per valutare il numero ed il peso molecolare dei plasmidi presenti in un ceppo in studio, bisogna
ricordare che, a causa della procedura di estrazione, qualche molecola plasmidica in forma nativa CCC si
può in parte convertire (per rottura di uno dei due filamenti e conseguente parziale disavvolgimento)
nella corrispondente forma OC. Ne consegue che, a causa di una diversa velocità di migrazione, la forma
CCC e la corrispondente forma OC diano luogo in un gel elettroforetico a due bande con diversa
migrazione, pur corrispondendo ad una unica tipologia di plasmide.
Per evitare questo tipo di errore, bisogna mettere a punto una elettroforesi bidimensionale, i
cui principi generali si basano sulla capacità di convertire artificialmente (con esposizione ai raggi UV e
Bromuro di etidio) il 50% circa del plasmide presente in forma CCC nella sua forma OC, verificando dopo
trattamento, la presenza di uno sdoppiamento di bande.
Dopo una prima corsa elettroforetica per separare le diverse bande elettroforetiche e dopo la relativa
acquisizione dell'immagine del gel ottenuto, il gel viene trattato con una soluzione di Bromuro di Etidio
ed esposto per diversi minuti a radiazioni UV. Si esegue poi una seconda corsa elettroforetica (vedi lucidi
corrispondenti), immergendo il gel nella vaschetta, ruotato di 90° rispetto al caricamento, in modo che
ogni banda separata nella prima corsa, abbia la possibilità di migrare ancora verso il polo positivo. Al
termine di questa seconda corsa elettroforetica, si andrà ad analizzare il profilo ottenuto. Ogni singola
banda che si è sdoppiata in questa seconda corsa, rappresenta un plasmide originariamente presente
in forma CCC, mentre bande non sdoppiate che migrano alla stessa distanza delle bande OC generate
dopo il trattamento, rappresentano le forme OC originariamente presenti, e di cui non bisogna tener
conto nella determinazione del numero e del peso molecolare dei plasmidi presenti in un dato ceppo.
Per la determinazione del peso molecolare, si deve far riferimento ad un marker interno, vale a dire una
miscela di molecole di DNA a peso molecolare noto che vengono fatte correre nello stesso gel. E'
importante scegliere il giusto marker nei riguardi sia della conformazione dei DNA di cui si vuole fare la
determinazione (circolare o lineare, ricordando che un frammento lineare migra molto meno di una
molecola di DNA in forma superavvolta, a parità di peso molecolare), sia del range di peso molecolare.
Per risalire al peso molecolare del campione, si devono misurare le distanze di migrazione delle bande
del marker e costruire un grafico dove viene messo in correlazione il log del PM con la distanza di
migrazione. Si ottiene così una retta dalla quale estrapolare il PM incognito solo attraverso la misura
della distanza di migrazione.
Si ricorda infine come se si vuole ottenere una preparazione di DNA plasmidico completamente
purificata da tracce di DNA cromosomale, bisogna ricorrere ad una ultracentrifugazione in gradiente di
cloruro di cesio. In breve, una soluzione concentrata di DNA addizionata di Bromuro di Etidio, viene posta
in una provetta da ultracentrifuga contenente una calcolata quantità di cloruro di cesio, e posta a
centrifugare a 50.000-70.000 rpm per 16-48 h in condizioni controllate. In funzione della diversa densità
il DNA cromosomale si separerà da quello plasmidico. Al termine della ultracentrifugazione la provetta
verrà irradiata con raggi UV per evidenziare due bande fluorescenti a livello delle quali si saranno
impaccate le molecole di DNA cromosomale (quella più in alto) e di DNA plasmidico (quella più in basso).
Il recupero delle due frazioni di DNA viene effettuato attraverso una siringa ed il DNA ottenuto, prima di
essere impiegato in successivi esperimenti, deve essere trattato per eliminare il Bromuro di Etidio
(estrazione con solvente) ed il sale (trattamento di dialisi).
L'AMPLIFICAZIONE IN VITRO DEL DNA
L'amplificazione in vitro di porzioni di DNA, attarverso una Reazione a catena della polimerasi (più
nota come PCR, polymerase Chain Reaction) che ha rivoluzionato sia la ricerca biologica di base che
applicata, è stata messa a punto nel 1985 da Karry B. Mullis, insignito del premio Nobel per la Chimica
nel 1993.
Il principio su cui si basa è semplice, perchè prevede di effettuare l'amplificazione trasferendo in vitro
ciò che la cellula compie in vivo durante il processo della duplicazione del materiale genetico. Attraverso
l'impiego di una DNA polimerasi termostabile ( molto usata è la Taq polimerasi, estratta da un batterio
termofilo, Thermus aquaticus)è possibile sintetizzare un nuovo filamento di DNA complementare ad
uno stampo a singolo filamento, in modo esponenziale.
Come tutte le DNA polimerasi, la Taq necessità della presenza di un innesco o primer, un filamento di
DNA più o meno breve, complementare allo stampo da cui far partire la sintesi. Lavorando su un DNA a
doppio filamento, per cui ciascuno di essi funge da stampo per l'azione dell'enzima, il frammento di
DNA da amplificare deve essere definito da una coppia di primers, oligonucleotidi sintetici che devono
essere complementari alla sequenza nucleotidica degli estremi del frammento che deve essere
amplificato. E' questo un limite della metodica: è necessario conoscere, almeno in parte la sequenza
della regione di DNA che si vuole amplificare, poiché la DNA polimerasi inizia la sua azione solo a partire
da una regione a doppio filamento.
Si ricorda inoltre, per una corretta costruzione dei primers, come l'azione dell'enzima avvenga in
direzione 5' 3'.
La reazione. La PCR richiede solo una piccola quantità di DNA stampo: in teoria sarebbe possibile
utilizzare come materiale di partenza il DNA estratto da una singola cellula. Sono poi necessari i primers,
che possono essere sintetizzati da ditte specializzate ad un costo limitato e che vengono aggiunti alla
miscela di reazione in eccesso, così come i dNTP ( i nucleotidi trifosfato necessari per la sintesi). Si
addiziona infine la DNA polimerasi in idoneo tampone di reazione. La provetta contenente la miscela di
reazione viene posta poi in un termociclatore, uno strumento che possiede un software particolare in
grado di impostare un determinato ciclo termico.
1° fase. Denaturazione. Per poter utilizzare entrambi i filamenti di DNA come stampo per l'azione della
DNA polimerasi, e per permettere la riassociazione tra primers e filamenti stampo, è necessario
denaturare il DNA, attraverso l'innalzamento della temperatura a circa 94°C per circa un minuto.
2° fase. Appaiamento. La temperatura viene poi abbassata per permettere l'appaiamento dei primers
alle loro regioni omologhe. Come per tutti gli esperimenti di ibridazione, la riassociazione sarà favorita
da temperature inferiori al valore di Tm calcolato per i primers, circa 3°C al di sotto. In questo caso va
considerata ance la lunghezza dei primers usati e la loro sequenza, in funzione della quantità di G e C
presenti. Se i primers sono stati costruiti correttamente, si andranno a posizione nella posizione e
direzione corretta per far avvenire una amplificazione interna della regione bersaglio. Avremo allora un
primer (forward) che si legherà al filamento antiparallelo 3' 5', delimitando l'inizio della sintesi, ed un
primer (reverse) che si legherà all'altro filamento, delimitando la fine della sintesi. Dal momento che i
primers sono brevi e presenti a concentrazioni relativamente alte, la fase di appaiamento è veloce, dura
solo un minuto o meno
3° fase. Estensione o sintesi. A questo punto tutto è pronto per l'azione della DNA polimerasi. E'
necessario allora creare le condizioni idonee per l'azione dell'enzima. La temperatura di questa fase
corrisponde quindi alla temperatura ottimale di azione enzimatica (per la Taq 72°C). Anche in questo
caso la reazione è veloce: i prodotti di sintesi si allungano ad una velocità di circa 1000 basi al minuto.
Questo descritto rappresenta un primo ciclo di amplificazione: esso risulta però ancora aspecifico. Si
ottengono infatti due molecole di DNA a doppio filamento per ciascuno dei due filamenti stampo.
Ciascuna di queste molecole è costituita da un filamento stampo e da un nuovo filamento che ad una
estremità risulta delimitato in modo specifico dal primer, mentre all'altra estremità terminerà in modo
aspecifico in funzione della durata della fase di estensione.
Per ottenere quantità significative della regione che si vuole amplificare è necessario impostare più cicli
termici, di solito dai 25 ai 35: questo non solo consente di avere una reazione esponenziale ma anche di
aumentare la specificità della reazione.
Il secondo ciclo che inizia sempre con la fase di denaturazione determina la formazione di 4 molecole a
singolo filamento, due che derivano dallo stampo e due neosintetizzate. Su queste si appaieranno i
primer in modo tale da delimitare la regione da amplificare. Infatti questi filamenti neosintetizzati
delimitati ad una estremità verranno ora delimitati all'altra estremità (vedi lucidi) per appaiamento del
primer in direzione 5' 3'.
Ciascun ciclo successivo di amplificazione determinerà sempre la produzione di due nuove molecole
lunghe per appaiamento sui filamenti stampo, ma il numero dei nuovi frammenti che rappresentano la
regione da amplificare aumenteranno esponenzialmente, in modo che alla fine la miscela di reazione
sarà composta prevalentemente dai frammenti voluti, che presentano un primer a ciascuna estremità.
Da ciò consegue che le estremità del nuovo DNA sono definite dai primer utilizzati, al contrario della
sequenza interna, che determinata unicamente dallo stampo originario. Questo significa che è possibile
introdurre delle modificazioni impiegando dei primer modificati in 5', aggiungendo una corta sequenza
nucleotidica che possieda uno specifico sito di restrizione. Nel primo ciclo di amplificazione le estremità
5' non si appaieranno correttamente, ma questo non impedisce l'appaiamento in 3' e l'azione della DNA
polimerasi. Nei cicli successivi l'intera regione del primer verrà replicata correttamente ed il prodotto
finale è un frammento di DNA che contiene in sito di restrizione specifico a ciascuna estremità,
permettendo di sviluppare teniche di clonaggio molecolare più specifiche.
Progettazione dei primer. Come già ricordato in precedenza, il parametro più importante in una
reazione di PCR è la costruzione dei primer. Assumendo di conoscere la sequenza del gene bersaglio, è
necessario scegliere due sequenze di circa 20-25 nucleotidi ad entrambi i lati della regione scelta.
Sappiamo inoltre che è di fondamentale importanza definire il corretto orientamento dei primer, in
funzione anche del fatto che quando si analizza una sequenza nucleotidica, per convenzione il DNA a
doppio filamento è rappresentato con il solo filamento superiore nell'orientamento 5' 3'. Allora il
primer forward avrà una sequenza uguale a quella del filamento superiore e andrà a legarsi all'inizio del
filamento complementare nella fase di appaiamento, mentre il primer reverse deve avere la sequenza
del filamento complementare, letto da destra verso sinistra, in modo tale da appaiarsi con il filamento
superiore e determinare la fine della regione da amplificare. Nella scelta della coppia di primer poi deve
essere evitato di disegnare primer che siano tra loro complementari, per evitare che si formino strutture
secondarie parziali , piuttosto che il legame specifico ai filamenti stampo. E' infine desiderabile che i due
primer posseggano una temperatura di appaiamento simile.
E' inoltre importante assicurarsi, per quanto possibile, che i primer si leghino solo alla sequenza scelta e
non ad altre sequenze presenti sul DNA bersaglio. Questo può essere fatto attraverso l'impiego di una
banca-dati e una idonea ricerca bibliografica.
Analisi dei prodotti di PCR. I prodotti ottenuti vengono solitamente analizzati mediante gel
elettroforesi. La verifica della riuscita dell'esperimento prevede ovviamente che si sappia cosa ci si
attende dall'amplificazione effettuata. Vedremo come in funzione dell'analisi effettuata possano essere
presenti una o più bande elettroforetiche specifiche, il cui peso molecolare è noto. In ogni caso per ogni
esperimento di PCR è utile approntare dei controlli negativi di lisi e di PCR e dei controlli positivi, per
verificare sia la presenza del DNA (soprattutto quando si procede ad estrarre direttamente da una
matrice complessa il DNA totale da sottoporre a PCR) sia la giusta scelta dei primer e delle condizioni
operative.
Strategie di impiego della PCR.
Come detto, la PCR ha rivoluzionato il mondo della biologia e della microbiologia, consentendo di
ottenere in modo rapido e preciso indicazioni importanti sia nell'ambito della identificazione microbica
che della analisi degli alimenti. Questo però solo a condizione che si scelgano primer idonei e idonei
geni target.
SONDA SPECIE-SPECIFICA. In teoria ogni specie microbica possiede lungo il genoma una
regione nucleotidica (codificante o no) che risulta presente solo nell'ambito dei ceppi della stessa
specie, e che rappresenta una sonda specifica per detectare tale specie, all'interno di una popolazione
mista. Se tale regione nucleotidica, unica per quella specie, è nota a livello di sequenza, è possibile
ideare una coppia di primers specifici in grado di rilevare, tramite amplificazione, la presenza di un
segnale di amplificazione, di peso molecolare noto.
Questo può essere utile quando si voglia rilevare, all'interno di una matrice, la presenza/assenza di una
determinata specie, in tempi rapidi e con certezza. Se si è in grado di mettere a punto un protocollo di
estrazione del DNA totale direttamente a partire dalla matrice, e se si allestisce un idoneo ciclo di
amplificazione, l'analisi può dare risultati in poche ore. L'interpretazione dei risultati e l'allestimento di
idonei controlli sono di fondamentale importanza per valutare la bontà dell'esperimento: bisogna
conoscere ciò che ci si aspetta dall'analisi del profilo elettroforetico ottenuto (in questo caso una sola
banda di amplificazione del peso molecolare atteso), e nel caso di assenza di segnale poter affermare
con certezza che la specie ricercata non è presente ( valutando su un ceppo di collezione ascrivibile alla
specie in studio, se i primer e le condizioni operative sono adeguate; confermando la presenza di
sufficiente DNA soprattutto se si è proceduto ad una estrazione diretta da matrice).
IDENTIFICAZIONE TASSONOMICA DI UN ISOLATO del quale non sono note altre
caratteristiche. Anche in questo caso i nuovi metodi di indagine molecolare risultano di grandissima
importanza perchè permettono di superare i numerosi test fenotipici necessari per raggiungere una
corretta identificazione.
Poiché però non si conosce nulla dell'isolato è necessario ricorrere all'impiego di PRIMER UNIVERSALI,
vale a dire coppie di oligonucleotidi che possono essere impiegati nell'ambito dei batteri per amplificare
regioni conservate.
Sappiamo che l'intero operone ribosomale rappresenta un idoneo orologio molecolare, perchè i geni in
esso contenuti hanno subito nel tempo minime variazioni di sequenza, così da poter costruire coppie di
primer in grado di amplificare regioni interne dell'operone per qualsiasi batterio (con pochissime
eccezioni). Allora, per l'isolato allo studio, è possibile ottenere con primer universali, l'amplicone
relativo a parte o a tutto il gene 16S rDNA.
Il passaggio successivo consiste nel sequenziamento di tale amplicone per ottenere una specifica
sequenza nucleotidica che, inviata in banche dati genomiche, verrà confrontata con le sequenze dello
stesso gene relative alle numerose specie batteriche per le quali tale sequenza è nota e conservata
appunto in tali banche genomiche. Si otterrà una percentuale di omologia, attraverso l'analisi della
quale, possiamo dedurre il genere o la specie di appartenza del nostro isolato (ricordandosi che ceppi
della stessa specie devono possedere una omologia di sequenza del gene 16S rDNA > del 97%) I risultati
ottenuti dovranno poi essere confermati attraverso ibridazione molecolare DNA/DNA con il ceppo di
riferimento, oppure se disponibile, attraverso una sonda specie-specifica.
ANALISI DI UNA POPOLAZIONE MICROBICA MISTA. Oggigiorno, sempre più importanza
è data allo studio microbiologico di prodotti alimentari artigianali, ottenuti senza l'ausilio di colture
selezionate, ma avvalendosi esclusivamente di un consorzio microbico autoctono, caratterizzante le
materie prime, le aree geografiche di produzione e gli ambienti di lavorazione. Sono questi
microorganismi autoctoni a conferire le caratteristiche peculiari che tipizzano un dato prodotto
artigianale. Per tale motivo, lo studio di tali associazioni microbiche in prodotti artigianali di cui si vuole
mantenere nel tempo una costanza di qualità, rappresenta uno strumento indispensabile.
Ma come può la biologia molecolare aiutare a raggiungere gli obiettivi prefissati? In queste tipologie di
studi, per caratterizzare in termini microbiologici un dato prodotto, è necessario isolare su specifici
terreni selettivi le varie componenti microbiche a livello di gruppo fisiologico e poi selezionare dalle
piastre di crescita un numero significativo di isolati per ogni gruppo fisiologico, da sottoporre ad
indagine tassonomica. Solo così infatti sarà possibile individuare i vari microrganismi sia in termini di
presenza che di preponderanza, che concorrono alla qualità microbiologica del prodotto.
Se l'identificazione dei numerosi isolati avviene seguendo le metodiche tradizionali, allora tutti gli isolati
dovranno essere sottoposti ad una serie di indagini fenotipiche per poterli raggruppare a livello di
genere e poi di specie. Attraverso una indagine molecolare è possibile ottenere in più breve tempo dei
raggruppamenti omogenei a livello di genere o specie (in funzione del gruppo fisiologico allo studio), in
modo poi da utilizzare solo un rappresentante dei vari gruppi ( cluster) ottenuti per i successivi studi di
identificazione.
Per ottenere questo è possibile condurre una analisi, nota come Amplificazione della Regione
Spaziatrice dell'operone ribosomale, utilizzando primer universali costruiti alla fine del gene
16S rDNA e all'inizio del gene 23S rDNA. Diversamente da quanto detto per il gene 16S, la regione
spaziatrice può variare in sequenza ed in lunghezza e queste caratteristiche possono per alcuni gruppi
fisiologici (ad esempio i batteri lattici) essere specifiche a livello di specie. Un'altra caratteristica legata
allo studio della RS (regione spaziatrice) è che lungo il genoma dei diversi batteri possono essere
presenti più operoni ribosomali, il cui numero di copie può variare da 1 a 10-11. All'interno dello stesso
genoma contenente più copie dell'operone ribosomale, ci possono essere variazioni di sequenza, ma
soprattutto di lunghezza delle varie RS. Questo implica la possibilità di avere, dopo amplificazione, un
profilo elettroforetico che può essere costituito da una sola banda di differente peso molecolare (a
seconda della specie), ma anche da 2 o 3 bande con pesi differenti. La capacità discriminante di questa
tecnica quindi è ampia, oltre ad offrire la possibilità di impiego di primer universali.
Allora, all'interno di un gruppo fisiologico, i vari isolati possono essere sottoposti ad una amplificazione
della RS. Dall'analisi dei profili elettroforetici ottenuti è possibile raggruppare gli isolati che mostrano lo
stesso profilo di amplificazione in un cluster omogeneo. Successivamente solo un rappresentante di
questo cluster sarà sottoposto ad ulteriore indagine tassonomica, per esempio sottoponendo
l'amplicone relativo al gene 16S rDNA a sequenziamento.
In gruppi di interesse alimentare come quello dei batteri lattici, il profilo RSA è noto per molte specie, e
questo consente di ottenere subito indicazioni attendibili sulla specie di appartenenza dei vari isolati.
Come si può osservare dai lucidi infatti, la specie Streptococcus thermophilus presenta una banda di
circa 350 bp, Lactococcus lactis una banda di 380 bp, mentre, tipicamente gli enterocchi si differenziano
per la presenza di 2/3 bande di amplificazione, il cui peso molecolare è riconducibile alle diverse specie
ascritte al genere.
RICERCA DI UN GENE SPECIFICO. Nei microrganismi di interesse applicato può essere utile
ricercare geni codificanti proprietà biotecnologiche, per poter studiare a livello di sequenza nucleotidica
i meccanismi relativi alla loro espressione e regolazione. Diversi sono gli approcci molecolari, in funzione
delle conoscenze di cui si dispone per un dato gene.
1) il gene in studio, per il quale non sono disponibili in banca dati informazioni relative alla sua
sequenza per una data specie, codifica per una attività enzimatica. In questo caso è possibile con
l'utilizzo di banche dati genomiche e specifici software, ricercare sequenze relative a geni studiati in
altre specie, ma codificanti la stessa attività. Dopo allineamento multiplo delle sequenze sarà possibile
individuare regioni conservate, sulle quali costruire idonei primers, in grado di amplificare una regione
interna del gene. Infatti enzimi con uguale attività devono possedere un dominio catalitico simile,
costituito da specifici amminoacidi, e quindi un relativo dominio conservato a livello nucleotidico, che
può essere sfruttato per ottenere un amplificato, anche se parziale, del gene di interesse non ancora
studiato in una determinata specie. Dopo sequenziamento dell'amplificato parziale, sarà possibile con
successivi esperimenti di “inverted” PCR, utilzzare primer divergenti, costruiti a partire dalla sequenza
ottenuta, per ottenere ampliconi sempre più lunghi che porteranno all'ottenimento dell'intera sequenza
genica, oltre che delle sequenze confinanti, sia a monte che a valle, relative ai siti deputati alla
espressione e regolazione genica (sito promotore, operatore, terminatore)
2) il gene in studio, per il quale non sono disponibili in banca dati informazioni relative alla sua
sequenza per una data specie, non è un gene conservato e al suo interno non sono presenti regioni
conservate. Consideriamo ad esempio un gene codificante una resistenza agli antibiotici. E' un gene che
può essere presente in diverse specie microbiche, codificare per la stessa resistenza, ma possedere
sequenze nucleotidiche sufficientemente diverse da non permettere la costruzione di primer su regioni
conservate. Come accennato diverse volte durante il corso, la problematica relativa alla diffusione di
micororganismi antibiotico-resistenti, richiede che le colture microbiche di potenziale impiego nel
settore alimentare vengano saggiate per questa caratteristica.
Come affrontare la ricerca? E' possibile ottenere dalla banca dati informazioni relative alla sequenza di
un gene codificante la antibiotico-resistenza in studio, per una specie microbica affine a quella che si
vuole saggiare e costruire una coppia di primer in grado di amplificare tale gene in data specie.
L'amplicone ottenuto rappresenta una sonda nucleotidica con la quale andare a ricercare il gene nella
specie di interesse, attraverso esperimenti di ibridazione molecolare. In questo caso si effettua
l'esperimento fissando il DNA totale allo studio ad una membrana di nitrocellulosa e mettendolo a
contatto con la sonda in soluzione.
Si tratta di mettere a punto una IBRIDAZIONE SU MEMBRANA. Per ottenere l'eventuale
ibridazione tra la sonda ed una regione del DNA in studio, è necessario che i due DNA siano a singolo
filamento, che le condizioni operative siano tali da favorire il processo di riassociazione e che la sonda sia
opportunamente marcata, in modo da rilevare l'avvenuta ibridazione al termine dell'esperimento. Come
si opera:
in primo luogo si ottiene l'amplicone, che viene opportunamente marcato ( vi sono diversi metodi, uno
di questi, riportato nei lucidi si basa su un fenomeno di chemioluminescenza: nucleotidi coniugati con
digossigenina che possono essere rilevati con anticorpi specifici legati a una fosfatasi alcalina. La
presenza di un substrato chemioluminescente per l'azione della fosfatasi alcalina consente l'emissione di
luce che andrà a impressionare una lastra autoradiografica ).
Successivamente, in un esperimento denominato DOT BLOT, che consente di valutare la
presenza/assenza del gene ricercato, il DNA stampo, opportunamente denaturato al calore, viene
depositato per capillarità sulla membrana di nitrocellulosa e fissato mediante esposizione ai raggi UV. La
membrana viene messa a contatto con una soluzione contenete la sonda marcata e previamente
denaturata, in tampone ad elevata forza ionica e alla temperatura ottimale di ibridazione. Dopo alcune
ore vengono effettuati dei lavaggi con tamponi a forza ionica decrescente e in condizioni di temperatura
crescenti, per ottenere l’allontanamento della sonda non legata o solo parzialmente legata al DNA in
studio. Si parla di condizioni di alta/bassa astringenza e ci si riferisce alle condizioni di specificità che si
vogliono adottare. Al termine dell’ibridazione, la membrana viene posta a contatto con il reattivo
contenente il rilevatore della marcatura e poi posta a contatto con una lastra autoradiografica, il cui
sviluppo permetterà di visualizzare l’avvenuta ibridazione come una macchia scura in corrispondenza del
DNA stampo che ha ibridato con la sonda.
Un esperimento di ibridazione su membrana, che consente di ottenere indicazioni ancora più
interessanti è quello denominato IBRIDAZIONE SOUTHERN (dal suo inventore). La procedura di
ibridazione è uguale a quella precedentemente descritta, con l’unica eccezione che in questo caso si può
lavorare a partire da un gel elettroforetico.
Il vantaggio è evidente. E’ possibile con questa procedura ad esempio non solo valutare la presenza di un
determinato gene lungo il genoma allo studio, ma contemporaneamente conoscere la sua localizzazione
a livello cromosomale o plasmidico. Ancora, posso valutare per un gene presente a livello cromosomale,
la presenza di più copie lungo il genoma. Nel primo caso posso procedere alla estrazione del DNA totale
ed alla separazione del DNA cromosomale da quello plasmidico per via elettroforetica. Nel secondo caso
il DNA totale estratto viene sottoposto a frammentazione con una idonea endonucleasi di restrizione, e i
vari frammenti ottenuti separati sempre per via elettroforetica.
Il gel così ottenuto serve da stampo per il trasferimento del DNA dal gel alla membrana di nitrocellulosa,
attraverso 3 tappe importanti che sono la depurinazione, la denaturazione in situ del DNA e la successiva
neutralizzazione. Il gel viene messo a contatto rispettivamente con una soluzione di HCl (depurinazione,
consente un miglior trasferimento), una soluzione di NaOH (denaturazione) ed infine riequilibrato con un
tampone a pH 7.
Il gel così trattato viene messo a contatto con la membrana di nitrocellulosa in modo da permettere il
trasferimento del DNA dal gel alla membrana. Il metodo classico di trasferimento prevede che sopra la
membrana si pongano una pila di fogli di carta assorbente ed un peso in modo che per capillarità il DNA
passi dalla membrana al filtro che acquisisce così un quadro di bande di DNA che corrisponde alla
posizione degli stessi frammenti nel gel di agarosio. Poi si procede con l’ibridazione, come detto in
precedenza.
Se l’esperimento è volto alla localizzazione genica, i risultati evidenzieranno una banda sulla lastra in
corrispondenza o del DNA cromosomale o del DNA plasmidico, anche se in molti casi dovremo aspettarci
che un gene possa essere presente sia a livello cromosomale che plasmidico.
Se l’esperimento è volto alla determinazione del numero di copie geniche, allora la restrizione del DNA
totale porterà ad ottenere un numero molto elevato di frammenti di dimensioni via via più piccole. Il
segnale di ibridazione avverrà in corrispondenza di un certo numero di frammenti, e questo permetterà
di conoscere il numero MINIMO di copie del gene in studio. Si parla di numero MINIMO, poiché non è
detto che in corrispondenza di un frammento ad alto peso molecolare che ha dato segnale positivo alla
ibridazione, non siano in realtà presenti due o più copie del gene in successione.
Se il gene che si sta studiando è presente in più copie, è possibile ottenere per ceppi della stessa specie,
un profilo di ibridazione costituito da più bande che si dispongono in punti diversi della corsa
elettroforetica, determinando un profilo di elettroforesi che può differenziare un ceppo da un altro, in
funzione di una diversità di dislocazione lungo il genoma del gene in studio.
Sono noti come Ribotyping, esperimenti di ibridazione Southern condotti impiegando come sonda
parte dell’operone ribosomale. Sappiamo che esso può essere presente in più copie. Un numero diverso
di copie può caratterizzare specie diverse, un profilo elettroforetico diverso per quanto riguarda la
dislocazione di uno stesso numero di copie può caratterizzare ceppi diversi della stessa specie.
Profili elettroforetici costituiti da più bande dislocate in punti diversi del cromosoma possono essere
ottenuti anche utilizzando come sonda una sequenza di inserzione la cui presenza caratterizza una data
specie. E’ infatti probabile che tale IS sia presente in più copie che si localizzano in punti diversi del
genoma, in funzione dei vari ceppi della specie in studio.
TYPING MOLECOLARE
Gli esperimenti accennati nel paragrafo precedente hanno l’ obiettivo di caratterizzare il polimorfismo
genetico presente tra differenti isolati che appartengono ad una stessa specie e sono noti come
esperimenti di typing molecolare (tipizzazione molecolare). In questo caso si parla di differenziare a
livello di ceppo.
Sappiamo dai criteri tassonomici che la specie è formata da un insieme di ceppi isolati in habitat e
condizioni differenti e che come tali possono presentare alcune caratteristiche colturali e fisiologiche
differenti, pur rimanendo ascritti ad una data specie. Proprio per questa loro diversità fisiologica
specifici ceppi o biotipi potrebbero essere selezionati, all’interno di una specie, per mettere a punto
processi di fermentazione o trasformazione particolari. Allora il microbiologo alimentare deve saper
distinguere un ceppo da un altro. Anche in questo caso la biologia molecolare può essere di aiuto,
proprio attraverso esperimenti di typing molecolare volti all’ottenimento di specifici profili
elettroforetici, una sorta di impronta digitale (fingerprint), per ogni ceppo allo studio.
Come detto in precedenza, ibridazioni Southern utlizzando come sonda l’operone ribosomale o una
specifica IS, possono permettere di ottenere dei fingerprints a livello di ceppo. Sono però esperimenti
piuttosto laboriosi. L’avvento della PCR ha portato a mettere a punto esperimenti di typing molecolare
più veloci e altrettanto specifici.
RAPD-PCR = Random amplified polymorphic DNA
Si basa sulla amplificazione di frammenti nucleotidici casuali, impiegando un singolo oligonucleotide
costituito da una sequenza aspecifica di 8-10 basi come innesco per la Taq polimerasi. I prodotti
dell’amplificazione sono poi separati, in base al loro peso molecolare, mediante elettroforesi su gel di
agarosio, ottenendo così, per ogni ceppo, un profilo di bande caratteristico, che varia nel numero e
nella lunghezza, dovuto ai diversi punti di appaiamento dei primer; le bande evidenziate
non danno informazioni né riguardo al tipo di gene né al tipo di sequenza amplificata. La
riproducibilità del metodo è strettamente influenzata dalle condizioni operative, quali la
sequenza dell’oligonucleotide utilizzato come primer, la concentrazione di DNA usato
come templato, la temperatura di annealing e la velocità di abbassamento e innalzamento
della temperatura impiegati per la reazione. Il vantaggio principale della tecnica RAPD è che,
diversamente dalla maggior parte degli altri metodi di caratterizzazione molecolare, non richiede una
conoscenza precedente della sequenza genica della regione che si vuole amplificare ed è
semplice e rapida. Lo svantaggio sta nella rigorosa messa a punto della procedura per non
incombere in risultati inattendibili dovuti alla scarsa riproducibilità del metodo.
REP-PCR = Repetitive Extragenic Palindromic
Per ottenere una tipizzazione a livello di ceppo è possibile anche effettuare esperimenti di
amplificazione utilizzando delle sequenze che sembrano essere ripetute più volte lungo il genoma
batterico. Anche in questo caso è possibile ottenere fingerprints ceppo-specifici.
I profili ottenuti con la RAPD e con la REP-PCR possono infine venir analizzati con un software di
bioinformatica. I risultati (numero, intensità e disposizione delle bande elettroforetiche)
vengono elaborati secondo modelli statistici dedicati, in modo da ottenere dendrogrammi che
raggruppano (cluster) e suddividono i profili in base alla similarità (vedi lucido).
LA PCR QUANTITATIVA o REAL TIME PCR
E' difficile ottenere informazioni quantitative da una PCR convenzionale, perchè non esiste una
correlazione semplice tra quantità di stampo iniziale e quantità finale dell'amplificato, in funzione del
fatto che non si è certi che la reazione di PCR stia veramente procedendo in modo esponenziale. Come
tutte le reazioni ad esempio, potrebbe ad un certo punto essere limitante la disponibilità di reagenti, in
funzione della quantità iniziale dello stampo.
Questo è stato superato con la messa a punto della PCR in tempo reale, nella quale si è sviluppato un
sistema per misurare il prodotto mentre viene sintetizzato.
Il metodo più semplice è di aggiungere alla miscela un colorante come il SYBR Green che diventa
fluorescente quando si lega al DNA a doppio filamento. Se si utilizza un termociclatore abbinato ad un
sistema in grado di misurare la fluorescenza dei campioni, allora si potrà seguire la reazione di
amplificazione in tempo reale. Lo stampo sarà inizialmente a singolo filamento, quindi non si registra
alcun segnale. Con il progredire della reazione si sintetizza un prodotto a doppio filamento che aumenta
in concentrazione fino ad ottenere una quantità sufficiente perchè la sua fluorescenza sia misurabile.
Dopo un certo numero di cicli il livello di fluorescenza aumenterà e si potrà estrapolare il numero di cicli
necessari per ottenere una quantità misurabile del prodotto. Questo numero, noto come CT, è correlato
alla quantità iniziale dello stampo: maggiore è il DNA iniziale, minore sarà il CT, cioè il numero dei cicli
necessari per la misurazione della fluorescenza.
Poiché il SYBR Green è una sonda aspecifica e può legarsi a qualsiasi DNA purchè a doppio filamento,
non vi è garanzia, a parte la specificità del primer, che la fluorescenza rilevata sia dovuta alla formazione
dello specifico prodotto che si vuole quantificare. E' possibile programmare, per evitare questo
problema, il termiciclatore in modo tale da generare una curva di melting del prodotto al termine
dell'amplificazione: l'andamento di tale curva rappresenta una misura della omogeneità del campione.
Un metodo più specifico prevede l'impiego di una sonda marcata che ibrida in modo selettivo solo al
prodotto desiderato e che emette fluorescenza solo in conseguenza della reazione di PCR. Il metodo più
utilizzato è noto come TaqMan (vedi lucidi). La sonda impiegata è una sequenza complementare ad una
sequenza interna dell'amplificato, ed è marcata al 5' con un fluoroforo reporter ed al 3' con un quencer
che inibisce l'emissione di fluorescenza da parte del reporter in 5' fino a che i due gruppi sono legati
contemporaneamente alla sonda. All'inizio della reazione non vi è emissione di fluorescenza, ma con il
procedere della reazione la DNA polimerasi incontrerà la sonda e con la sua attività esonucleasica,
taglierà il gruppo fluorescente della sonda; in questo modo il reporter verrà allontanato dal quencer,
permettendo l'emmisione di fluorescenza. L'intensità della fluorescenza emessa rappresenta una misura
direttamente proporzionale alla quantità del prodotto formato.
RT-PCR
Una ulteriore estensione della tecnica di PCR ha consentito di mettere a punto saggi per l'analisi
dell'espressione genica, valutando la presenza/ quantità di uno specifico trascritto in un determinato
campione, in uno specifico momento. Per far questo, senza entrare nel dettagli, è necessario estrarre
l'RNA totale dalle cellule e poi separare e purificare l'mRNA. Si deve poi retrotrascrivere l'RNA in cDNA
(DNA complementare) attraverso l'ausilio di una trascrittasi inversa.
L’INGEGNERIA GENETICA
Con il termine generico di ingegneria genetica (più propriamente tecnologie del DNA ricombinante) si
fa riferimento ad un insieme molto eterogeneo di tecniche che permettono di isolare geni, clonarli,
introdurli e esprimerli in un ospite eterologo (differente dall'ospite originale). Queste tecniche
permettono di conferire caratteristiche nuove alle cellule riceventi. Le cellule così prodotte sono
chiamate ricombinanti
Il primo farmaco ottenuto ingegnerizzando un sistema vivente (batterico) è stato l'insulina, approvato
dalla Food and Drug Administration (FDA) nel 1982. Anche l'ormone della crescita umano,
precedentemente estratto dai cadaveri, fu rapidamente ingegnerizzato. Nel 1986 la FDA approvò il
primo vaccino umano ricombinante, contro l'epatite B. La produzione industriale di farmaci utilizzando i
sistemi viventi come bioreattori si è da allora largamente diffusa, diventando attualmente la via
preferita di sintesi di numerosi farmaci, in particolare per il costo di produzione relativamente basso.
-Per i principi generali vedi lucidi-
IL SEQUENZIAMENTO.
Il metodo più usato è noto come sequenziamento con didesossiterminatori o metodo di Sanger. Per
capire il principio dobbiamo ricordare come la sintesi di un nuovo filamento inizi con l'aggiunta di basi
complementari allo stampo a partire dal gruppo 3'-OH del primer e come la sintesi avvenga con la
formazione di un legame covalente fosfodiesterico con il fosfato al 5' del nucleotide che deve essere
aggiunto, con perdita di due gruppi fosfati. Se nella reazione si utilizza un dNTP modificato che non
possiede più il gruppo 3'-OH (2-3 didesossiribosio), (nucleotide terminator) questo nucleotide può
essere incorporato nel DNA in costruzione mediante la formazione del legame covalente tra la sua
estremità 5' e quella 3' del nucleotide precedente, tuttavia successive aggiunte di dNTP non saranno
possibili e la sintesi del DNA terminerà in corrispondenza di quel dNTP. Per cui se si sostituisce uno dei
dNTP con un didesossi (per esempio 2-3 dATP) la sintesi procederà solo fino al primo residuo A e poi si
interrromperà. Se si effettua una serie di 4 reazioni di questo tipo, in ciascuna delle quali si sostituisce
uno dei dNTP con il corrispondente ddNTP, si possono produrre 4 molecole di lunghezza diversa,
ciascuna allungata fino alla prima posizione in cui si trova il corrispondente didesossinucleotide.
Se invece di utlizzare solamente il ddNTP si usa una miscela dei due tipi di nucleotide, la reazione può
poi procedere. Ad esempio, per il dATP, in corrispondenza del primo residuo di T sul filamento stampo,
solo alcune molecole del filamento neosintetizzato incorporeranno il ddATP ( e la sintesi terminerà),
mentre la maggior parte delle molecole incorporerà un normale residuo di dATP e la reazione potrà così
procedere. In corrispondenza di altri residui di T terminerà la sintesi di altre molecole e così via. Si
ottiene così una serie di molecole di differente lunghezza, ciascuna terminante con un residuo di ddATP
che possono essere separate mediante gel elettroforesi. In questo caso si utilizza un gel di
poliacrilammide, perchè i frammenti da separare hanno pesi molecolari molto bassi. Si ottiene quindi
una serie di bande per le 4 reazioni con ciascun ddNTP, attraverso le quali è possibile leggere la
sequenza del frammento analizzato (come mostrato nei lucidi corrispondenti). Questo è il cosiddetto
sequenziamento manuale,nel quale solitamente uno dei dNTP è marcato radioattivamente, in modo
che l'esposizione del gel su pellicola autoradiografica generi un quadro di bande scure.
Dal momento che i frammenti più piccoli (quelli che si interrompono in posizione più vicina al primer)
migreranno più velocemente, essi si troveranno in fondo al gel e perciò la sequenza andrà letta dal
basso verso l'alto per avere la direzione 5' 3'.
Oggi quasi tutte le sequenze di DNA sono effettuate utilizzando sequenziatori automatici. Il principio di
base è lo stesso, cambia il metodo di rilevamento del segnale. In questo caso i ddNTP sono marcati con
un composto fluorescente. Perciò, anziché separare i franmmenti mediante gel elettroforesi, lo
strumento utilizza una separazione cromatografica all'interno di un capillare ed un laser per leggere la
fluorescenza del colorante mentre i frammenti passano da un punto specifico. Se i 4 ddNTP vengono
marcati ciascuno con diversi coloranti, che possono essere distinti da un fotometro, le reazioni di
sequenza possono essere effettuate in una unica provetta Un ulteriore vantaggio consiste nel fatto che
la sequenza letta viene immediatamente trasferita ad un computer e visualizzata in grafico sotto forma
di un cromatogramma, dove ad ogni diverso colore corrisponde una diversa base nucleotidica.