Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 Università degli Studi Roma Tre Facoltà di Scienza Politiche Francesco Guida L’EUROPA CENTRO-ORIENTALE DALLA PRIMA ALLA SECONDA GUERRA MONDIALE dispensa per l’esame di Storia dell’Europa centro-orientale 1 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 Indice 1 Il crepuscolo degli imperi 2 Il modello occidentale e il nuovo quadro sociale 3 Le democrazie impossibili. Il nuovo conflitto mondiale 3.1 La Bulgaria 3.2 La Romania 3.3 La Jugoslavia 3.4 L’Albania 3.5 La Grecia 3.6 La Cecoslovacchia 3.7 L’Ungheria 3.8 La Polonia 3.9 I Paesi baltici 5 11 39 39 42 46 51 52 56 59 67 72 2 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 Questo breve testo costituisce parte del materiale didattico che gli studenti dovranno presentare all’esame di Storia dell’Europa centro-orientale. Esso va aggiunto ai seguenti libri: Francesco Guida, La Russia e l’Europa centro-orientale 1815-1914, ed. Carocci; Giovanna Cigliano, La Russia contemporanea, un profilo storico (1855-2005), ed. Carocci; Antonello Biagini e Francesco Guida, Mezzo secolo di socialismo reale. L'Europa centroorientale dal secondo conflitto mondiale all'era post-comunista, ed. Giappichelli. Il testo fornisce informazioni essenziali riguardo alle vicende dei Paesi dell’Europa centro-orientale tra le due guerre mondiali, vicende che vanno studiate in relazione con quelle avvenute contemporaneamente nell’Unione Sovietica. 3 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 4 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 1. Crepuscolo degli imperi e trionfo dello Stato nazionale. La guerra mondiale. L’uccisione dell’erede al trono d’Austria-Ungheria, l’arciduca Francesco Ferdinando, avvenuta a Sarajevo il 28 giugno 1914 per mano del giovanissimo studente Gavrilo Princip, affiliato all’organizzazione irredentistica serba Mano Nera, è comunemente riconosciuta come l’evento che diede il la al conflitto europeo e mondiale. Gli eventi dei decenni che precedettero l’attentato (cfr. F.Guida, La Russia e l’Europa centro-orientale 1815-1914) inducono a considerare tale opinione corretta e a non stupirsi se scoccò nei Balcani la scintilla che appiccò il fuoco al continente. La più debole delle Potenze (fatta salva l’Italia) aveva necessità di consolidare la propria situazione interna in primo luogo e, quasi di conseguenza, quella internazionale. Si trattava di riconoscere più che per il passato i diritti di tutte le nazionalità, facendo sì che esse non optassero per l’indipendenza o non guardassero ai limitrofi Stati nazionali come a una madrepatria cui unirsi. Su questa strada si mosse proprio l’erede al trono, spalleggiato da intellettuali e politici che auspicavano una profonda trasformazione dell’impero su basi federali: l’esempio più chiaro lo fornì Aurel Popovici, un romeno di Lugoj, in Transilvania, con il suo volume intitolato Gli Stati Uniti della Grande Austria. Nonostante la forte presa dell’idea nazionale, l’impero poteva ancora esercitare attrazione verso i suoi sudditi, per motivi pratici oltre che per attaccamento alle tradizioni e alla dinastia. In esso si viveva meglio che non nei vicini Stati 5 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 nazionali (Romania, Serbia) e i suoi vasti territori e le sue grandi città costituivano un bacino economico di notevole interesse, offrendo ai sudditi possibilità non disprezzabili di ascesa sociale. Anche pensatori più radicali (ad esempio gli austro-marxisti come Adler) ritenevano che una volta trasformato strutturalmente l’impero fosse possibile procedere con il tempo verso la Repubblica federale. L’impero non aveva motivo per estendere i propri confini: la classe dirigente ungherese, a partire dal capo del governo István Tisza, poco propensa ai progetti federalistici o trialistici (questi ultimi prevedevano pari dignità politica per austrotedeschi, magiari e slavi) non desiderava incorporarvi altri slavi. Era più opportuno invece imporre nei Balcani la propria influenza e i propri interessi economici; di conseguenza Vienna non poteva accettare che un’altra Potenza, grande o piccola, dominasse lo scacchiere balcanico e soprattutto non poteva tollerare sfide alla propria egemonia, per quanto non fosse di per sé aggressiva. In definitiva le agitazioni irredentistiche in atto nella Serbia e, in misura molto più ridotta e meno pericolosa, in Romania dovevano essere rese inoffensive o limitate ai minimi termini. Era una politica, sotto altra forma, simile a quella attuata in occasione della “guerra dei porci” (cfr. F.Guida, La Russia e l’Europa centroorientale 1815-1914). Il gravissimo e mortale attentato di Sarajevo era naturalmente destinato ad avere un seguito politico, a prescindere da quanto prescrivesse il diritto internazionale e da quali fossero le reali responsabilità del governo di Belgrado. Solo una “resa a discrezione” di esso avrebbe potuto evitare la 6 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 dichiarazione di guerra. Se poi le guerre balcaniche e il riassetto geo-politico che esse avevano indotto erano considerati da qualcuno una vittoria della Russia, il tracotante ultimatum del governo austro-ungarico indirizzato a quello serbo costituiva a sua volta una sfida al gabinetto di Pietroburgo. Esso nel 1908 non aveva reagito militarmente all’annessione della Bosnia-Erzegovina; si poteva sperare che agisse con pari prudenza nel 1914, altrimenti si poteva contare sull’aiuto tedesco. Tali calcoli, azzardati o miopi che fossero, innescarono – come è noto – una reazione a catena per la quale tutte le maggiori Potenze (Russia e Germania, ma anche Francia e Inghilterra) seguendo la logica dei sistemi di alleanze contrapposti - Triplice Intesa contro Triplice Alleanza – intervennero nel conflitto destinato a cambiare la storia europea e mondiale. Italia e Romania, ambedue legate da alleanza con Germania e Austria-Ungheria, optarono di comune accordo per la neutralità. Lo scoppio della guerra presentava motivi profondi di interesse per gli Stati e le nazionalità di tutta l’Europa centroorientale, non solo per la Serbia aggredita dall’Austria-Ungheria. Persino la periferica Turchia si lasciò coinvolgere molto presto, attirata dalla speranza di consolidare la propria situazione appoggiandosi sul colosso germanico e di sottrarsi alla tradizionale influenza politica ed economica di Parigi e Londra. I fautori del nazionalismo al potere speravano in una rivincita rispetto alla sequela di sconfitte e umiliazioni subite dall’impero da vari decenni in qua. 7 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 Il governo bulgaro (una coalizione di partiti liberali guidata da Vasil Radoslavov) che aveva visto respinte a Parigi per ragioni politiche tutte le sue richieste di prestiti internazionali, necessari a rinsaldare l’economia debilitata del Paese, cedette alla sirena di un massiccio prestito di guerra di Berlino e vide prospettarsi la rivincita verso la Serbia, se non verso altri Paesi confinanti. Vanamente il leader agrario Stambolijski minacciò il re Ferdinando di una triste fine se avesse avallato l’intervento: ne ebbe in cambio una condanna a morte tramutata poi in prigione a vita. La stragrande maggioranza dei deputati votò a favore della guerra. Prima di scendere in campo Sofia ottenne dalla Turchia una piccola rettifica della frontiera in Tracia, utile per garantire autonomia alla linea ferroviaria che portava all’Egeo. Come si è detto, il governo romeno, guidato dal liberale Ion I. Brătianu, preferì la neutralità: tale opinione prevalse in un Consiglio della Corona che comprendeva anche precedenti presidenti del Consiglio del partito conservatore e di sentimenti filo-germanici. Tutti erano incerti su dove risiedesse il vero interesse del Paese, quale dei due blocchi sarebbe stato vincitore e, inoltre, su quale sarebbe stata la risposta dell’opinione pubblica romena nei confronti di un intervento accanto all’Austria-Ungheria, che dominava in province (Transilvania, Banato, Bucovina) abitate in buona misura da romeni. Le organizzazioni irredentistiche (come la Lega per l’unità politica di tutti i romeni) avevano già fatto sentire la loro voce in manifestazioni pubbliche, ma in tutt’altro senso. Appunto per dare una soddisfazione al governo, ma anche al 8 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 sentimento nazionale dei romeni i governi tedesco e austroungarico offrirono a quello di Bucarest, in cambio dell’intervento al loro fianco, la Bessarabia, regione abitata in maggioranza da romeni e soggetta allo zar. In modo speculare i governi dell’Intesa offrirono invece i territori soggetti all’Austria-Ungheria, poco sopra citati. Questa seconda offerta era senza dubbio più allettante, non meno del sostegno economico che i Paesi occidentali garantivano, ma, dopo due anni di incertezze, a indurre Brătianu a una entrata in campo al fianco dell’Intesa fu la situazione militare, apparentemente favorevole alla Russia sul fronte orientale, oltre alla scelta operata un anno prima dal governo italiano (uscito dalla neutralità senza consultare quello romeno). Molto restia a farsi coinvolgere nel conflitto fu la classe dirigente ellenica. Il re e gli ambienti di Corte non nascondevano simpatie filo-germaniche, ma optarono per la neutralità. Per l’intervento, ma a fianco dell’Intesa, era il leader liberale Elefterios Venizelos che, per raggiungere il suo scopo, non esitò a costituire un controgoverno a Salonicco sotto la protezione delle armi intesiste. Solo nel 1917 la Grecia scese ufficialmente in guerra, ma va detto che la sua sovranità era stata abbondantemente violata con un bombardamento anglo-franco-italiano del Pireo e poi con l’occupazione di Salonicco come testa di ponte per l’Armée d’Orient nei Balcani: essa in qualche misura e per opera delle flotte alleate occidentali (inglese, francese e italiana) aveva subito la sorte tanto deprecata del Belgio occupato dall’esercito tedesco. Al di là di tali considerazioni, anche nel caso ellenico si trattava di 9 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 comprendere dove si trovasse l’interesse del Paese: una volta rinunciato alla neutralità l’avversario naturale era la Turchia, alleata degli imperi centrali, nella quale abitava una cospicua comunità greca. Si prospettava la possibilità di realizzare la Megali idea (Grande idea) propugnata lungo tutto il Risorgimento ellenico e dare luogo a una Grecia erede dell’impero bizantino anche in Asia. L’Albania non fu soggetto attivo nel conflitto: troppo recente la sua indipendenza e troppo incerta la situazione politica interna. Essa subì tuttavia l’occupazione da parte di eserciti contrapposti e diversi: austriaco, italiano, francese. Particolarmente rilevante la posizione del governo di Roma che, per bocca del generale Ferrero, proclamò nel 1917 l’intangibilità e l’integrità del territorio albanese contro gli appetiti degli Stati limitrofi. Di fatto la presenza militare italiana nella “terra delle aquile” fu la più significativa, avendo riconosciuto le altre Potenze dell’Intesa che l’Albania rientrava nella sfera d’influenza dell’Italia. Quando però, in modo travagliato, si ricostituì un governo nazionale sqipetaro le truppe italiane dovettero ritirarsi, tranne che dall’isolotto di Saseno di fronte al porto di Valona, sia per l’insofferenza degli albanesi sia per le vivaci pressioni delle sinistre in patria per richiamare i soldati. Per polacchi, cechi e slovacchi il conflitto generale offrì il destro per una ripresa o il lancio di iniziative volte a conseguire l’indipendenza. In realtà la gran parte delle popolazioni e delle classi dirigenti di quei popoli mantenne a lungo un atteggiamento 10 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 di lealismo verso la dinastia e la Monarchia duale. Alcuni leaders boemi come Masaryk e Beneš preferirono continuare la loro battaglia politica espatriando, per ottenere un più efficace sostegno da parte dei governi dell’Intesa e così proponendosi quali dirigenti del futuro Stato indipendente. Durante il conflitto lo zar promise di riunire tutti i polacchi (suoi sudditi o degli Imperi centrali) in un unico Stato dotato di grande autonomia in seno all’impero zarista; anche Berlino e Vienna fecero promesse tali da convincere i propri sudditi ad arruolarsi in Legioni e combattere contro l’esercito russo e quando le province polacche dell’impero zarista furono occupate si progettò la costituzione di un Regno di Polonia sul cui trono sedesse un principe tedesco. I tre popoli baltici (lituano, lettone, estone), dal Settecento inclusi nell’impero zarista, negli ultimi anni precedenti il conflitto mondiale avevano preso sempre più coscienza della propria identità nazionale, sia nei confronti dei russi sia dei tedeschi (classe dominante sulla costa baltica) sia pure dei polacchi. La rivoluzione russa del 1905 aveva dato forza a tale processo identitario, quella del 1917 e la guerra offrirono la possibilità di dare vita a un proprio Stato nazionale a ognuno di quei popoli. 2. Il modello occidentale e il nuovo quadro sociale. La guerra mondiale e la Rivoluzione sovietica avevano ridisegnato completamente il quadro politico dell’Europa centroorientale. Di più, l’avvento dei bolscevichi in Russia aveva avviato una drastica trasformazione dell’economia e della società. Negli 11 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 altri Paesi dell’area tale mutamento non fu né rapido né altrettanto radicale e tuttavia non fu assente. Esso si presentò in varia forma e misura da Stato a Stato, ma in genere riguardò un generale processo di modernizzazione che toccava le campagne (e i rapporti di proprietà), il giovane e limitato apparato industriale, il settore finanziario e dei commerci. Soprattutto gli Stati dell’Europa centroorientale (principalmente quelli appena costituitisi) acquisirono il modello politico-istituzionale dominante nei Paesi dell’Intesa, in sostanza importarono la democrazia liberale di stampo occidentale. Essa non era ignota in Romania, Grecia, Bulgaria, ma aveva bisogno di essere ampliata nella sua struttura istituzionale e nei suoi metodi (dovunque fu introdotto il suffragio universale virile, già praticato in Bulgaria), e ancora di più doveva essere migliorata nella sua applicazione. Si trattò di una prova, una “scommessa” di carattere epocale: purtroppo essa non ebbe per esito un pieno successo. La vittoria delle ideologie totalitarie in grandi Paesi europei, dalla Russia all’Italia, poi alla Germania e alla Spagna, pesò sulle sorti delle democrazie dell’Europa centrale e del Sud-est europeo. Fu determinante l’instabilità del quadro internazionale, caratterizzato da forti pulsioni verso la revisione dei trattati di pace e delle frontiere da essi fissate. Il fattore principale dell’insuccesso del modello democratico fu di carattere endogeno: la sostanziale immaturità delle società e la complessità dei problemi sia socioeconomici sia etnici che si ponevano agli Stati portarono progressivamente al prevalere di regimi autoritari, che finirono per legarsi alle Potenze dell’Asse, più alla Germania che all’Italia. 12 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 La classe contadina era ancora maggioritaria in tutti i Paesi, mentre solo la Cecoslovacchia poteva vantare un’industria sviluppata e quindi presentare un proletariato consistente. Significativo fu lo sviluppo dell’industria anche in Polonia, Paese per converso caratterizzato dal permanere del grande latifondo fondiario. Gli altri Stati, pur registrando talora una buona crescita del settore industriale, continuarono a confrontarsi in primo luogo con la questione agraria. La Romania avviò un intervento riformistico di grande incidenza e coraggio: ne scaturì un’ampia assegnazione di lotti confiscati ai grandi proprietari, alla Corona, ai possidenti stranieri (con qualche polemica con le Potenze) e la forte crescita della classe dei piccoli proprietari. La produzione cerealicola su un territorio statale duplicato dai trattati di pace divenne una delle più significative su scala mondiale (quarto o quinto produttore). Non furono però risolti i problemi tecnici e della produttività per singolo ettaro e le piccole aziende contadine si dimostrarono impossibilitate a dare luogo a cospicui profitti e all’accumulazione di capitale, necessaria per un salto di qualità dell’economia agraria e per eventuali investimenti in altri settori produttivi. Le campagne romene cambiarono profondamente dal punto di vista dei rapporti di proprietà, molto meno sul piano delle tecniche e della capacità produttiva. Si registrò anche un notevole inurbamento, che nelle regioni di nuova acquisizione significò mutare le percentuali etniche dei centri cittadini: in concreto molte città transilvane, dominate da ungheresi e tedeschi, furono progressivamente abitate da cittadini di etnia romena. Il fenomeno 13 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 non riguardò solo le relazioni tra gruppi etnici, ma anche la “promozione” sociale dell’elemento romeno che insidiò nelle professioni e in altre attività lavorative il primato di altri elementi etnici. Il processo fu, ovviamente, di lunga durata e proseguì persino dopo la seconda guerra mondiale, negli anni del comunismo, dando luogo a un radicale mutamento dei rapporti numerici tra le etnie. Sul piano politico si assistette a una rivoluzione copernicana. La Romania godeva già di un sistema democratico, ma di fatto fortemente elitario e l’introduzione del suffragio universale mutò completamento il quadro dei partiti. Il partito conservatore si frantumò in diverse formazioni, nessuna delle quali poté porsi come alternativa all’altro partito storico, quello nazional-liberale, che subì uno spostamento in senso moderato, nonostante le riforme attuate e la nuova Costituzione introdotta nel 1923. Vennero al proscenio nuovi partiti, in particolare il partito contadino (Ion Mihalache) e il partito nazionale romeno, da decenni rappresentante degli interessi dei romeni di Transilvania. Quando queste due formazioni politiche si unificarono (1926), nacque il partito nazional-contadino, capace di raccogliere i più ampi consensi tra le masse. Liberali e nazionalcontadini si alternarono alla guida del Paese fino alla sospensione della democrazia voluta dal re Carol II nel 1938. A sinistra sia i socialdemocratici sia i comunisti (dal 1921) non riuscirono a calamitare l’interesse di una parte cospicua dell’elettorato: in particolare i secondi furono messi fuori legge e scontarono l’allineamento alle posizioni del Comintern che definiva la Grande 14 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 Romania come un’artificiosa creazione di Versailles, che andava smembrata. Invece, con l’andare degli anni crebbe una forte destra radicale e antisemita che assunse vari nomi, tra i quali il più noto fu Guardia di Ferro. Al confine meridionale della Romania, lo Stato e la società bulgari non presentavano gli stessi problemi. Qui il predominio numerico della classe contadina era ancora più accentuato, ma era pressoché assente la grande proprietà fondiaria. Sicché l’unico Paese che ebbe per pochi anni un regime dichiaratamente contadino, cioè ispirato agli interessi e alla ideologia dei ceti rurali, registrò paradossalmente una riforma agraria di scarsa entità quantitativa: la poca terra confiscata (a chi confiscarla se non vi erano latifondisti?) bastò appena per soddisfare le esigenze dei bulgari profughi dalla Macedonia e dalla Tracia, cioè dai territori entrati a far parte di altri Stati. Con un’industria ancora ai primi passi colpisce il consenso che l’estrema sinistra (prima socialista, poi comunista) riusciva a raccogliere, benché nettamente inferiore a quello convogliato verso l’Unione Agraria Bulgara. Giunto al potere per via elettorale, il suo leader carismatico Aleksandăr Stambolijski non esitò a ricorrere a qualche escamotage già noto alla politica bulgara (il ripristino dei collegi uninominali) per ridurre ai minimi termini l’opposizione di destra e di sinistra, con lo scopo di realizzare a favore della classe contadina ciò che Lenin cercava di realizzare in Russia a favore del proletariato, cioè uno Stato di classe, la dittatura di classe. Tale scelta fondamentale si 15 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 coniugava con il generoso tentativo di porre fine ai conflitti tra Stati per motivi etnici o nazionali: se il trattato di Neuilly impediva alla Bulgaria di avere forze armate degne di questo nome, il governo agrario diede vita a un esercito del lavoro, cioè a un servizio civile in cui teoricamente sarebbero stati impegnati i giovani di ambedue i sessi. Fu però un fallimento totale e poche migliaia di giovani prestarono effettivamente quel servizio. Invece il governo di Sofia riuscì a trovare un accordo con il principale avversario della Bulgaria, la Jugoslavia (Regno SHS) padrona di quasi tutta la Macedonia slava. A questa Stambolijski rinunciò ufficialmente firmando il trattato di Niš. L’opposizione nazionale e soprattutto l’Organizzazione Rivoluzionaria Interna Macedone, saldamente impiantata nella Bulgaria e in particolare nella regione di Pernik da dove organizzava incursioni sul territorio jugoslavo, giudicarono quell’atto un tradimento della nazione bulgara e ne trassero un motivo in più per preparare un colpo di Stato (giugno 1923) che rovesciò il governo agrario e diede una tremenda morte al suo leader. antidemocratico, Nonostante la Bulgaria questo non passaggio rinunciò alle cruento e istituzioni democratiche. Il governo insediatosi con il colpo di Stato, capeggiato da Aleksandăr Cankov, uomo di simpatie fasciste, non mutò la Costituzione e governò con l’appoggio di un’ampia maggioranza parlamentare. Nel giugno 1923 i comunisti erano rimasti estranei al regolamento di conti, come essi lo definirono, tra borghesia cittadina e borghesia agraria, ma, anche su invito del Comintern, avviarono una collaborazione con le residue 16 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 organizzazioni agrarie e con esse nel settembre successivo diedero vita a una insurrezione che fu repressa nel sangue. Ne seguì la messa al bando dei partiti coinvolti nell’insurrezione: solo alcuni anni dopo, il PCB sotto diverso nome (partito del lavoro) e l’UNAB con il proprio, tornarono a partecipare alla competizione elettorale. Ancora più turbinose furono le vicende della Grecia. Essa acquisì nuovi vasti territori in Tracia e nelle isole egee, ma fallì il tentativo ambizioso di insediarsi anche in Asia Minore, sulla scorta della Megali Idea. Dopo che le truppe elleniche penetrarono fino nel cuore della penisola anatolica, la controffensiva organizzata da Kemal Atatürk li rigettò in mare (1922). Nel porto di Smirne navi italiane imbarcarono i soldati ellenici in ritirata. Questo localizzato serio strascico del più vasto conflitto europeo e mondiale trovò la sua composizione nella pace di Losanna del 1923. Essa sancì la frustrazione delle aspirazioni greche: la Tracia orientale e tutti i territori asiatici rimasero parte integrante della Repubblica turca, erede (non in termini territoriali né ideali) dell’impero ottomano. Importante fu la decisione consensuale di avviare uno scambio di popolazioni: 400.000 musulmani lasciarono la Grecia e oltre un milione di greci d’Asia (cui se ne aggiunsero altri provenienti dalla Bulgaria e dalla Russia) vi si stabilirono. Molto serio fu il problema del loro inserimento nelle nuove sedi: lo sviluppo urbanistico della capitale – in un Paese con una sola altra grande città, Salonicco – ne risentì profondamente, mentre molti di quei profughi 17 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 contribuirono a mutare il quadro etnico in Macedonia (dove l’elemento ellenico salì dal 43% all’89%) e Tracia. Non meno difficile fu l’integrazione nello Stato ellenico dei territori acquisiti in seguito alle guerre balcaniche e alla Grande guerra. Politicamente le province neo-acquisite si dimostrarono favorevoli al partito liberale e a formazioni ancora più progressiste, come il partito comunista (KKE), capeggiato da un esule d’Asia, Nikos Zachariàdis. In termini di consenso il KKE scontò a lungo l’adesione alla linea del Comintern che voleva staccare la Macedonia dalla Grecia. La monarchia e le formazioni più conservatrici trovavano invece maggiore sostegno nei territori del vecchio Regno. La sconfitta militare influenzò profondamente la politica interna: non solo si susseguirono governi di segno diverso e continui colpi di Stato militari non sempre fortunati, ma persino si giunse a due riprese a costringere il re all’abdicazione o all’esilio e a proclamare la repubblica, e altrettante volte si ripristinò il potere del monarca. Re Costantino che aveva abdicato nel 1917 tornò sul trono nel 1920, sulla scorta di un referendum inattendibile; nel 1923 il suo successore Giorgio II dovette lasciare il Paese e nel 1924 la repubblica prevalse con il 70% dei suffragi in un referendum voluto dagli ambienti militari che di fatto sostenevano il governo liberale in carica (Papanastasiou). Anche a causa di un’effimera dittatura del generale Pangalos (1925-26) la nuova Costituzione entrò in vigore solo nel 1927. Il nuovo sistema parlamentare bicamerale fu accompagnato dal voto proporzionale, 18 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 soppresso da Venizelos, quando tornò alla guida dell’esecutivo per quattro anni (1928-1932): la misura garantì quanto meno un periodo di stabilità politica, concluso il quale si ebbe (1935) il ritorno del re, sancito da un referendum manovrato, e quindi nel 1936 l’instaurazione della dittatura del generale Metaxas. Dal punto di vista sociale la Grecia poté godere i frutti di un’estesa assegnazione di lotti agricoli che ne fecero un Paese di piccoli e medi agricoltori, presso che privo di latifondi, ma anche di un movimento politico rappresentante la classe contadina. Nonostante ciò, l’economia continuò a dipendere in larga misura dalle attività mercantili, svolte soprattutto via mare, mentre fu di minore rilievo lo sviluppo industriale. Ai problemi tradizionali e quasi strutturali si aggiunsero dal 1929 gli effetti della crisi finanziaria ed economica mondiale: come in altri Paesi, essa ebbe conseguenze anche sul piano politico, non essendo riusciti i governi liberali (venizelisti) a dare risposte convincenti alle richieste della società ellenica. Nonostante la scarsa omogeneità del Paese e la debolezza delle istituzioni statali, l’Albania, grazie all’interessamento delle Potenze e in primo luogo dell’Italia, aveva potuto salvaguardare la propria indipendenza, ma non ottenere tutti i territori ai quali aspiravano gli albanesi: alcuni di essi restarono inclusi nello Stato ellenico (ma i greci a loro volta rivendicavano territori dello Stato sqipetaro) e soprattutto in quello jugoslavo (Kosovo, Macedonia occidentale). All’indomani della Grande guerra la questione dei 19 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 confini non era tuttavia prioritaria. Si doveva in primo luogo garantire l’esistenza di uno Stato degno di tale nome, dotato di un’amministrazione, di istituzioni riconosciute da tutti i cittadini, capace di fornire servizi essenziali, che erano assolutamente assenti nel Paese (scuola, sanità). Di fatto continuò la contesa tra capi e gruppi di potere contrapposti, uniti soltanto nel rifiutare un protettorato straniero. Infatti le truppe italiane, stanziatesi in territorio albanese durante il conflitto europeo, dovettero evacuare, anche sotto la spinta di parte dell’opinione pubblica italiana: come si è visto, sotto controllo dell’Italia rimase soltanto il piccolo isolotto di Saseno di fronte all’importante porto di Valona. L’influenza politica di Roma continuò a farsi sentire nella terra delle aquile dove dalla lotta politica in atto emerse la figura di un bey della settentrionale regione del fiume Mati, Ahmed Zogolli (Zogu), il quale riuscì (1922) a farsi eleggere presidente della Repubblica. Nel 1924 fu però soppiantato dal vescovo ortodosso Fan Noli e fuggì in Jugoslavia. Da qui, dopo pochi mesi, lanciò il contrattacco, sostenuto anche dal governo di Belgrado, che gli consentì di riassumere il potere e proclamare (1925) ufficialmente la Repubblica. Come un Napoleone III in sedicesimo, nel 1928 egli si proclamò re con il nome di Zog, avviando una politica di basculla tra Roma e Belgrado, nonché di prudente modernizzazione. Ebbe successo più nel suo barcamenarsi tra Jugoslavia e Italia (nel 1926 e 1927 furono siglati con questa accordi di amicizia e protezione) che non nel tentativo di riformare radicalmente la società albanese. Essa continuava a essere retta 20 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 sulla base del diritto consuetudinario (kanun) e l’abbigliamento occidentale delle sorelle del re appariva scandaloso. L’Albania continuava a essere abitata da un 70% di musulmani (inclusi i bektaşi, seguaci di una setta eterodossa) contro un 20% di cristiani ortodossi e un 10% di cattolici. Ciò influiva non sui rapporti tra i fedeli dei diversi culti, ma piuttosto sull’immobilismo della società. D’altronde lentissimo era anche lo sviluppo economico: pastorizia e agricoltura erano le risorse essenziali di un Paese in cui mancavano le attività industriali, ma rare erano persino quelle manifatturiere. La Banca d’Albania, nata prima del conflitto mondiale sotto auspici italiani e austriaci, la presenza di società italiane impegnate a trovare il petrolio, altre consimili iniziative non furono sufficienti a fare da volano per l’economia e per favorire, di conseguenza, un rinnovamento anche dei costumi. Questo passava attraverso l’imposizione di nuovi codici, impresa improba, e l’alfabetizzazione, che fu limitata a un poco più di un terzo dei giovani fino al secondo conflitto mondiale. All’epoca l’Albania era ancora caratterizzata dal fatto che oltre il 90% della popolazione (in costante crescita) abitava fuori dai, pur piccoli, centri cittadini. Anche alcune regioni della Jugoslavia (ufficialmente definita fino al 1929 Regno dei serbi, croati e sloveni, in sigla SHS) presentavano una popolazione residente in buona misura in campagna: le percentuali variavano naturalmente tra il Nord, che aveva conosciuto il dominio absburgico, e il Sud, progressivamente 21 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 emancipatosi dalla dominazione ottomana. Dunque, anche nel Regno SHS la questione agraria era tra le preoccupazioni principali dei governanti che proclamarono una pur limitata riforma, sperando di dare una risposta alle tensioni presenti tra le masse, che nelle elezioni per la Costituente alimentarono un discreto successo del partito comunista (58 seggi su 419). Questo era sorto dalla fusione di ben sei partiti socialisti, la maggioranza dei cui iscritti subì il fascino del successo bolscevico in Russia e delle parole d’ordine del Comintern. Il PCJ, isolatosi con la rinuncia a trattare la questione nazionale, già nel 1920 vide limitata la sua possibilità di fare propaganda e nel 1921, dopo che un suo giovane militante compì un attentato mortale contro il ministro degli Interni Drašković, fu messo fuori legge. La scena politica vide protagoniste altre forze organizzate: il tradizionale Partito radicale serbo, il Partito democratico (che raccoglieva il consenso dei serbi delle nuove province), il Partito contadino croato, nonché altri partiti sloveni e musulmani – di Bosnia e Kosovo). In un Paese fortemente provato dalla guerra (secondo una stima eccessiva del governo di Belgrado poco meno di due milioni di caduti su una popolazione di undici milioni), la questione sociale fu affiancata nell’agenda del governo dalla difesa dei confini, contestati chilometro per chilometro da tutti gli Stati confinanti (Italia, Grecia, Albania, Bulgaria, Ungheria, Austria), e dal titanico sforzo politico per tenere assieme le diverse componenti etniche dello Stato. Gli accordi di Rapallo (1920) e di Roma (1922) allentarono la tensione con l’Italia giunte al culmine con 22 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 l’occupazione di Fiume da parte di D’Annunzio e dei suoi legionari, mentre restarono più minacciose le aspirazioni revisionistiche di altri Paesi limitrofi. Con nuovi accordi nel 1914 e 1925 Belgrado riconobbe l’annessione di Fiume all’Italia, acquisendo in tenue compenso Porto Baros. Negli anni Venti le coalizioni tra partiti variarono di anno in anno: resta il fatto che lo Stato si diede nel fatidico giorno di San Vito (28.06.1921) una Costituzione, votata a maggioranza semplice, cioè non condivisa soprattutto dall’opinione pubblica e dai politici croati. Le tendenze secessionistiche, autonomistiche e federaliste erano evidenti e pericolose – non mancavano formazioni paramilitari - di fronte a uno Stato che a molti sembrava una Grande Serbia, poiché serba era la dinastia regnante e in mano ai serbi erano l’amministrazione e soprattutto l’esercito. Non stupisce che nel 1928 si giungesse addirittura a un triplice omicidio in pieno Parlamento (skupština): tra le vittime vi fu Radić, capo del partito contadino croato. Di fronte a un quadro politico così difficile da governare, il re Alessandro Karadjorgević sospese la Costituzione nel 1929, tentando di porre le basi per uno Stato realmente jugoslavo, una patria comune per tutti i suoi sudditi. Negli ultimi giorni della guerra mondiale in Ungheria la sinistra democratica ebbe l’occasione per assumere le redini della situazione politica. In particolare emerse un nobile di opinioni democratiche, Mihály Károlyi, esponente di punta dell’opposizione al precedente regime conservatore, e toccò a lui di proclamare la 23 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 Repubblica e la separazione dall’Austria. Quei giorni registrarono anche episodi poco commendevoli, come l’uccisione dell’ex presidente del Consiglio István Tisza, considerato forse a torto responsabile della guerra. Il nuovo regime democratico fu, però, molto debole: il partito di Károlyi dovette poggiare presto sull’accordo con il partito socialdemocratico. Soprattutto pesava la condizione internazionale del Paese, considerato non solo vinto, ma anche responsabile del conflitto. Il governo Károlyi concluse uno specifico armistizio che faceva seguito a quello già firmato dai responsabili militari austro-ungarici sul fronte italiano. In realtà il fronte era ancora in movimento nella penisola balcanica ed era evidente che il problema principale da risolvere era la fissazione delle nuove frontiere. Serbi, cecoslovacchi, romeni era protesi a ottenere il massimo possibile in termini territoriali. La debolezza della posizione ungherese di fronte alle Potenze vincitrici e agli Stati limitrofi (quello romeno e quelli, appena costituiti, jugoslavo e cecoslovacco) trascinava verso il basso la credibilità politica del nuovo governo. Di fronte all’ennesima imposizione della diplomazia internazionale (un ulteriore arretramento delle posizioni ungheresi richiesto attraverso la Nota consegnata dal colonnello Vyx) nel marzo 1919 Károlyi decise di dimettersi. Tra il 20 e 21 marzo la socialdemocrazia ungherese, all’epoca caso unico nella storia del mondo, approvò l’unione con i comunisti per dare vita insieme a un nuovo regime politico. Il leader comunista Béla Kun, pur essendo in prigione proprio in seguito a violenze dei suoi seguaci contro la sede del giornale 24 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 socialdemocratico, poté dettare le condizioni per tale collaborazione. Il partito comunista (MKP) aveva acquistato grande influenza e nelle piazze si protestava contro l’arresto dei suoi capi, ma il partito socialdemocratico (MSZDP) contava su un numero di sostenitori almeno triplo. Si può credere che il gruppo dirigente dei socialdemocratici - come forse prima Károlyi - giunse alla conclusione che, per difendere gli interessi nazionali era necessario l'aiuto militare sovietico e per questo scesero a patti con Kun attribuendogli non solo ufficialmente il commissariato per gli Affari Esteri, ma nei fatti anche la guida del governo. Per questi o per altri motivi di ordine ideologico, fu dunque proclamata la Repubblica dei Consigli, ispirata all’esempio dei Soviet russi, un’esperienza politica destinata a durare solo 133 giorni. La "rivoluzione mondiale" – è noto – non vi fu né l'Armata Rossa giunse in soccorso della Repubblica dei Consigli ungherese: essa era già impegnata a combattere le truppe del generale “bianco” Denikin in Russia e in Ucraina. L'Armata Rossa ungherese conseguì dei successi contro l’esercito cecoslovacco, da poco costituito, ma fu facilmente battuta a sud da quello romeno. Peraltro l’isolamento politico del regime rivoluzionario ungherese fu quasi assoluto: le Potenze vincitrici non desideravano che l’infezione rivoluzionaria si diffondesse nel cuore dell’Europa. Anche tra la popolazione magiara le simpatie verso Kun e compagni non erano sufficientemente ampie: alcune misure troppo radicali, in fatto di nazionalizzazione della terra o di confisca delle abitazioni, si dimostrarono controproducenti. Le pratiche violente 25 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 di alcune milizie operaie (quelle capeggiate da Tibor Szamuely ad esempio) diedero luogo a un “terrore rosso”, non certo atto a suscitare consenso tra i cittadini. Infine in agosto il sopraggiungere delle truppe romene, mentre quelle serbe e francesi, come pure l’Esercito nazionale controrivoluzionario, premevano nella regione di Szeged, indusse i dirigenti rivoluzionari a passare la mano a un governo che si potrebbe definire di sindacalisti, che presentava aspetti di minor radicalismo quali dalla diplomazia occidentale erano stati a più riprese richiesti per evitare una soluzione drastica e cruenta. Era troppo tardi: quel governo (guidato da Gyula Peidl) sopravvisse solo sei giorni, poi fu rovesciato da un putsch militare che preparò il terreno per l’instaurazione di un governo controrivoluzionario. Kun e altri dirigenti rivoluzionari fuggirono in Austria: il leader comunista finì molti anni dopo vittima delle purghe staliniane in Unione Sovietica. Dopo la caduta della Repubblica dei Consigli (agosto 1919) vi furono alcuni mesi di incertezza politica. Al governo di destra capeggiato da István Friedrich, inviso alle Potenze, successe solo in novembre un esecutivo moderato guidato da Huszár. Il Paese, soprattutto dopo che le truppe romene in novembre si ritirarono da Budapest, era in mano all’Esercito nazionale capeggiato dall’ammiraglio Miklós Horthy, ex aiutante dell’imperatore Francesco Giuseppe. Mentre regnava il “terrore bianco” che fece molte più vittime di quello “rosso”, Horthy, entrato a Budapest, dall’hotel Gellert dove aveva il suo quartiere generale dichiarò di “perdonare” la città per i suoi recenti trascorsi rivoluzionari e 26 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 all’inizio del 1920, con il sostanziale consenso delle Potenze, fu eletto reggente o governatore, in assenza di un re: infatti il nuovo parlamento abolì la repubblica e restaurò la monarchia. Il regime in Ungheria rimase monarchico anche dopo la detronizzazione di Carlo IV di Absburgo, avvenuta il 6 novembre 1921, per imposizione delle Potenze occidentali e della Piccola Intesa. L’ex imperatore (oggi proclamato beato dalla Chiesa cattolica) inutilmente aveva tentato per due volte di tornare in terra ungherese e di insediarsi sul trono detenuto dalla sua famiglia da secoli. La questione fondamentale continuava ad essere quella del nuovo assetto territoriale dello Stato, monarchia o repubblica che fosse. In realtà non vi era modo di opporsi alla volontà della Conferenza di pace. Nel giugno 1920 il governo Teleki dovette accettare il trattato di pace firmato nel palazzo del Trianon, nei pressi di Parigi che, nonostante alcune mezze promesse dei governi occidentali, restò agli occhi degli ungheresi la più grande catastrofe e umiliazione della loro storia. Di fatto il vecchio Regno di Ungheria era ridotto a un terzo per chilometri quadrati (da 220.00 a 83.000) e per popolazione. Di più, oltre due milioni e mezzo di ungheresi divenivano cittadini di altri Stati; inoltre il bacino economico e commerciale esistente entro i confini precedenti era frazionato con conseguenze di non scarso rilievo, anche perché presto prevalsero in tutta Europa le politiche protezionistiche piuttosto che il libero scambio e la collaborazione commerciale. L’Ungheria ottenne solo di recuperare, alla frontiera con l’Austria, la città e il circondario di 27 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 Sopron in seguito a plebiscito, essendo nel 1923 ammessa nella Società delle Nazioni. Il quadro politico interno andò progressivamente chiarendosi. Tre tendenze politiche lottavano per il potere: i democratici, i radicali di destra e i conservatori. I1 partito socialdemocratico dall’agosto 1919, abbandonando la linea precedente di collaborazione con i comunisti, decise di seguire una linea riformista. Negli ambienti della piccola e media borghesia e degli intellettuali si manifestarono simpatie per il movimento cristiano socialista, ma soprattutto per i partiti liberali democratici. Un programma democratico presentava anche una corrente del Partito contadino diretta da István Nagyatádi Szabó, radicato nelle campagne, ma sostenuto anche da intellettuali. I seguaci del radicalismo di estrema destra, raccolti prevalentemente in associazioni paramilitari (MOVE, Lega nazionale delle forze armate ungheresi, ÉME, Associazione degli ungheresi risvegliatisi) responsabili in parte di uccisioni e altre violenze, intendevano abolire o almeno limitare il parlamentarismo per dare vita a un potere centralizzato o dittatoriale, né mancavano nelle loro fila sentimenti antiebraici. Terminata la fase del “terrore bianco” e normalizzatasi la situazione del quadro politico, dal 1921-22 Horthy prese le distanze da questi movimenti, dei quali divenne uomo di riferimento Gyula Gömbös. Al centro del sistema politico si collocavano i rappresentanti dell'élite tradizionale, cioè grandi possidenti e ricchi capitalisti, i quali volevano ripristinare il sistema parlamentare prebellico, eventualmente con qualche concessione in 28 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 senso democratico. In sostanza intendevano favorire un regime di carattere conservatore, attraverso il sostegno ai partiti agrari e cattolici. Il miglior rappresentante di questa prevalente tendenza conservatrice, rispettosa delle forme democratiche, fu István Bethlen, dal 1921 al 1931 primo ministro, e dal 1922 al 1932 leader del partito governativo. Difensore di un liberalismo moderatamente censitario di stampo ottocentesco, si oppose ai partiti della sinistra radicale e della destra radicale, ma anche a tendenze democratiche più moderate. Ciò non gli impedì di giungere a un accordo con il partito socialdemocratico che riammise nel gioco politico. Fu dunque propugnatore della "democrazia guidata" o "democrazia conservatrice" ovvero del “progresso moderato". Di fatto il sistema politico ungherese vigente fino al 1944 si ispirò alle sue concezioni. Tra il 1920 e il 1926 la funzione legislativa fu assicurata dall’assemblea nazionale, poi dal 1927 il parlamento divenne bicamerale, quando fu istituita la Camera Alta, erede della Camera dei magnati, vigente prima del 1918. Essa fu di tendenza più conservatrice, essendo i suoi membri in parte nominati e in parte eletti in rappresentanza di varie istituzioni ed Enti. Nel 1937 i poteri della Camera Alta furono aumentati per limitare quelli dell’altra Camera. Le elezioni del 1920 si tennero sulla base di una legge elettorale piuttosto democratica varata dal governo Friedrich sulla scorta di quanto precedentemente deciso dal governo Károlyi: poterono esprimere le proprie preferenze con voto segreto il 75% dei cittadini adulti, pari al 40% della popolazione totale, con un 29 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 notevole ampliamento del numero degli elettori rispetto al periodo prebellico. All’epoca nell’Europa occidentale e settentrionale, come anche in Austria e in Cecoslovacchia, godeva dei diritti elettorali il 45-60% della popolazione, mentre in altri Paesi (Francia, Italia, Svizzera, Belgio, Polonia) tali diritti spettavano al 25-35% dei cittadini e nei Balcani al 20-25%. Ne sortì un parlamento espressione di vari ceti sociali e non solo di quelli alti, tanto che Bethlen nella primavera del 1922 cambiò la legge elettorale, riducendo la percentuale degli elettori al 28% della popolazione, ma soprattutto introducendo il voto palese (sconosciuto negli altri Paesi europei) in campagna, dove votava circa l’80% degli elettori. Nel parlamento eletto nel 1922, così, aumentarono le rappresentanze dei ceti alti e diminuirono quelle dei ceti medi e popolari. Sempre per iniziativa di Bethlen nel 1922 i maggiori partiti (Partito dei piccoli proprietari e Partito dell’Unione nazionale cristiana) si disgregarono e in parte ricomposero nel nuovo partito di governo – Partito unitario, dal 1932 Partito dell’Unità nazionale e poi Partito della Vita Ungherese – che ottenne sistematicamente dal 1922 in avanti un’ampia maggioranza dei seggi (60-70%). Molto limitata fu invece l’incidenza parlamentare dei socialdemocratici e dei liberali democratici. Nonostante l’operato di Bethlen, non si può parlare di una dittatura del presidente del consiglio, il cui potere era limitato dal1'opposizione parlamentare, e dalla disomogeneità dello stesso partito governativo. In esso, accanto al forte centro conservatore, convivevano frange di contadini democratici e di liberali, nonché, 30 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 all’ala destra, Gyula Gömbös e una pattuglia di radicali di destra (nel 1923 uscirono dal partito per farvi ritorno nel 1928). Negli anni trenta i vari gruppi radicali di destra del partito governativo si rafforzarono, a scapito dei liberali; e, dal 1935, si può parlare di una concorrenza tra l’ala destra e il centro conservatore. Di fatto le riunioni interne al partito governativo precorrevano le decisioni parlamentari: il vero confronto di interessi e idee contrastanti avveniva in quella sede più che in parlamento, dove raramente le opposizioni potevano fare valere il loro punto di vista. Il reggente ebbe poteri abbastanza significativi, ma non tali da imporre la sua volontà al legislativo e all’esecutivo, sebbene fosse anche capo supremo dell’esercito, essendo suo subalterno immediato pure i1 capo di Stato maggiore. Nella pratica divenne uso costante che il governo presentasse i più importanti progetti di legge a Horthy anticipatamente, prima della discussione in parlamento, il che ricordava la pratica usata fino al 1918 con il sovrano austro-ungarico (pre-sanzione). Tuttavia per alcuni anni il reggente godette di una dignità rappresentativa più che politica. Però le sue competenze, fissate ne1 1920, si estesero gradualmente negli anni trenta, rinforzandone la posizione di fronte al parlamento e infine consentendogli persino di scegliere il successore. Nel febbraio 1942 le due Camere del parlamento nominarono vicegovernatore il figlio maggiore di Horthy, István. Si pensò all’instaurazione di una nuova dinastia, ma appena dopo un anno e mezzo il giovane Horthy perse la vita in un disastro aereo il 20 agosto 1942, né fu nominato un altro vicegovernatore. I poteri 31 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 conferiti al reggente sembrano agli storici essere stati soprattutto un freno alla crescente influenza della destra radicale in seno al parlamento. Il più grande degli Stati nati sulle rovine degli imperi fu la Polonia. Il suo territorio non era certo vasto come quello dell’Unione polacco-lituana scomparsa in seguito alle spartizioni del Settecento, ma comprendeva anche territori non abitati da polacchi. Si è detto di come, sia da parte russa che da parte austriaca e tedesca, si fosse fatto di tutto per attirare le simpatie della nazionalità polacca (entità certo non trascurabile), tanto che accanto agli eserciti degli Imperi centrali combatterono anche polacchi inquadrati in specifiche formazioni militari. Gli eventi tumultuosi e imprevisti del 1918, che trasformarono le vittorie austro-tedesche sul fronte orientale nella sconfitta finale contro le Potenze occidentali, fecero sì che il comandante della Legione polacca, Josef Piłsudski, proclamasse l’indipendenza polacca. All’organizzazione dello Stato e del governo si affiancò come problema urgente quello della definizione dei confini. Le truppe polacche si trovarono a contrastare le iniziative delle nazioni baltiche che aspiravano parimenti all’indipendenza: in particolare sorsero seri conflitti con i lituani per la città di Vilnius (Vilno), abitata in prevalenza da polacchi, ma circondata da un contado etnicamente lituano. L’impegno militare dei polacchi fu ancora più significativo nella Galizia, già provincia austro-ungarica: qui essi si scontrarono con i ruteni o ucraini occidentali i quali proclamarono 32 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 a Lvov (Leopoli, Lviv) una Repubblica democratica che entrò presto in relazioni, prodromo di una progettata unione, con la Repubblica democratica d’Ucraìna, con capitale Kiev, costituitasi già nel 1917 e proclamatasi indipendente all’inizio del 1918 (si vedano maggiori dettagli in N. Werth, Storia della Russia nel Novecento, Il Mulino). Quando poi scoppiò il conflitto tra Polonia e Russia bolscevica, gli uomini di Piłsudski penetrarono anche nell’Ucraìna occupando in modo effimero Kiev. Un’impetuosa controffensiva dei bolscevichi si arrestò solo sulla Vistola donde l’Armata Rossa fu ricacciata da una nuova avanzata polacca. Infine con la pace di Riga del 1921 il confine russo-polacco si stabilizzò in modo da includere nella Polonia cospicue minoranze di ucraini e bielorussi. Se la regione mineraria della Slesia fu divisa tra Germania e Polonia sulla base di un plebiscito, un ultimo contenzioso territoriale (se pure modesto) riguardò il distretto di Teschen, incluso in buona parte nello Stato cecoslovacco. La fissazione delle frontiere polacche era stata questione estremamente difficile e drammatica, ma non meno complessa fu la vicenda politica interna. Faticoso fu il processo costituzionale della neo-costituita Repubblica e troppo frequenti i cambi di governo. A lungo si discusse sulle funzioni delle due Camere, Senato e Sejm, e fu questa assemblea di deputati ad avere maggiori poteri. Le principali forze in campo erano la Destra che si richiamava in parte alle idee della Democrazia nazionale di Dmowski e comprendeva partiti di ispirazione cattolica, la Sinistra socialista (e patriotica) che aveva in Piłsudski il suo capo carismatico, nonché in posizione 33 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 centrale il partito contadino di Witos. Dopo alcuni anni di incertezze e un continuo alternarsi di esecutivi di vario colore, il conflitto si fece particolarmente acuto nel 1926 a riguardo dei poteri del capo dello Stato, nonché in fatto di subordinazione dell’esercito al governo. Un colpo di Stato che causò un numero non altissimo di vittime risolse la situazione a favore dei socialisti e di Piłsudski. Si trattò di un processo politico di non facile interpretazione e definizione, ma di fatto ne conseguì una dittatura dissimulata dietro forme parlamentari che finì per allontanare dal Maresciallo eroe dell’indipendenza molti suoi seguaci. Il nuovo regime in un primo tempo ebbe, in modo paradossale, le simpatie sia del fascismo italiano sia del movimento socialista, salvo un successivo chiarimento delle posizioni. Di fatto non si può parlare per la Polonia di un regime fascista, ma soltanto di crisi della democrazia e del prevalere di una politica autoritaria, peraltro con coincidente, almeno in linea di principio, con forze e interessi conservatori. Eccessivo e preoccupante fu il ruolo che i militari ebbero in tutte quelle vicende e nello stesso regime. La discreta apertura di Piłsudski verso le minoranze non ebbe conseguenze soddisfacenti in termini di dialogo tra queste e la maggioranza polacca e cattolica. Il problema delle relazioni interetniche restò aperto, e affine ad esso fu quello attinente la numerosissima comunità ebraica (oltre tre milioni di persone) destinata ad essere sterminata durante la seconda guerra mondiale dagli occupanti tedeschi. Fu quel regime semiautoritario a guidare la Polonia nella 34 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 restante parte del periodo interbellico e ad affrontare la crisi economica successiva al 1929. La Cecoslovacchia fu l’ennesimo Stato “successore” dell’impero su cui avevano regnato gli Absburgo. Esso nacque dall’unione dei Paesi cechi (Boemia e Moravia) già inclusi nella parte austriaca della Duplice Monarchia, con la Slovacchia e la Rutenia subcarpatica, province fino al 1918 del regno d’Ungheria. A quei tre popoli slavi (cechi, slovacchi e ruteni) si aggiungevano una numerosissima minoranza di tedeschi (oltre tre milioni) nella regione dei Sudeti e una cospicua minoranza ungherese (circa mezzo milione) in Slovacchia. I padri della Cecoslovacchia Masaryk e Beneš, furono i principali propugnatori della distruzione dell’Austria-Ungheria, tanto da convincere i governi occidentali a optare nella seconda parte della guerra mondiale per questa drastica opzione. Paradossalmente lo Stato cecoslovacco si trovò a fare fronte al problema delle relazioni interetniche che era stato cruciale per la Duplice Monarchia. I cechi erano avvertiti dalle altre comunità etniche come i “padroni” dello Stato, dominando nell’amministrazione e nell’esercito, nonché nelle più avanzate attività economiche. Il fenomeno in parte era fisiologico poiché la Boemia-Moravia era senza dubbio e da tempo Paese più progredito della Slovacchia e della Rutenia. Dagli accordi preliminari siglati negli Stati Uniti con i cechi da loro rappresentanti slovacchi e ruteni si attendevano maggiore autonomia e una “convivenza” basata su piena parità. Il partito popolare (cattolico) di monsignor 35 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 Hlinka, la principale forza politica slovacca, manifestò chiare tendenze autonomistiche che sfumavano verso l’aspirazione all’indipendenza. Anche il ruolo che la Chiesa cattolica aveva in Slovacchia piuttosto che in Boemia entrò in conflitto con un certo laicismo del ceto politico e dirigente ceco. Grandi polemiche accompagnarono i rapporti tra il governo e la Santa Sede tanto da impedire la conclusione di un Concordato, come invece si ebbe persino in Paesi in cui i cattolici erano minoranza (come la Romania o la Jugoslavia). Nonostante questi seri problemi legati alla disomogeneità etnica della popolazione, la Cecoslovacchia fu il Paese dell’Europa centro-orientale nel quale più radicata e duratura fu la democrazia. Persino i comunisti godettero di agibilità politica e a Praga ebbe il suo principale centro l’Internazionale verde, costituita dai partiti contadini. E le regole democratiche vigevano ancora quando, nel 1938, lo Stato cecoslovacco subì la mortale offensiva della Germania nazista. I popoli baltici (lituani, lettoni ed estoni), legati all’impero zarista dai tempi di Pietro il Grande, avevano rappresentato un’area sufficientemente progredita della compagine imperiale. La classe dirigente (i baroni baltici) era di origine o di cultura tedesca e aveva saputo trovare un modus vivendi con lo zar e la sua Corte. Fino alla Grande guerra era difficile credere che essa sarebbe stata estromessa dal potere, così come non molti ipotizzavano un distacco di quelle terre dalla Russia. In verità una valida rappresentanza delle tre nazioni era già matura per assumere la 36 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 responsabilità di costituire e guidare tre Stati indipendenti. Nonostante l’opposizione di forze tedesche (Freikorps), che operarono sul Baltico persino dopo la firma degli armistizi dell’autunno 1918 (con la precedente pace di Brest Litovsk la Russia bolscevica aveva accettato che i Paesi baltici fossero annessi alla Germania), nonché dei russi e dei polacchi, Lituania, Lettonia ed Estonia proclamarono l’indipendenza e seppero difenderla. Il più vasto dei tre Paesi, la Lituania, non poté però includere nei suoi confini la città principale (oggi la capitale), cioè Vilnius, controllata dai polacchi. La capitale fu quindi Kaunas (Kovno). Inoltre allo Stato lituano fu contestato anche il limitato sbocco al mare rappresentato in primo luogo dal porto di Memel (alla foce del fiume omonimo) o Klapeida. Quel porto era soggetto alle aspirazioni revisionistiche della Germania, aspirazioni che trovarono realizzazione nel marzo 1939. Nel 1921 le Potenze occidentali riconobbero Estonia e Lettonia (sull’antico territorio di Livonia e Curlandia), mentre ci volle ancora del tempo per la Lituania a causa del contenzioso territoriale con la Polonia. Nonostante la sufficiente maturità dimostrata dalle popolazioni baltiche, esse pure non furono in grado di fare attecchire la pianta della democrazia. Tuttavia il regime democratico, con limitazioni e difetti, fu vigente per tutti gli anni Venti e i primi anni Trenta. Il 1934 segnò la sua fine con l’affermarsi di regimi autoritari anche in quell’angolo settentrionale del continente. Per Lituania, Lettonia ed Estonia i problemi principali continuarono a riguardare il mantenimento dell’indipendenza. In tal senso già nel 1923 Tallinn 37 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 e Riga siglarono un’alleanza militare, ma nel 1934 con il governo lituano giunsero a stipulare un’Intesa baltica che alla prova dei fatti non si dimostrò uno strumento diplomatico sufficiente a respingere gli interessi delle grandi Potenze dell’area. 38 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 3. Le democrazie impossibili. Il nuovo conflitto mondiale. Negli anni Trenta si dimostrò tutta la fragilità del modello democratico importato nell’Europa centro-orientale. Ad uno ad uno i regimi parlamentari si trasformarono in regimi autoritari, sotto la spinta degli eventi internazionali e di forze antisistema, più di destra radicale che di sinistra. Le vicende di politica interna si intrecciarono o furono sovrastate dalle dinamiche delle relazioni internazionali, sempre più convulse con il passare degli anni, sino al coinvolgimento in varia forma di tutti i Paesi dell’Europa centroorientale nel grande dramma della seconda guerra mondiale. La Bulgaria fu il primo Paese balcanico ad abbandonare il modello democratico occidentale. Eppure esso era sopravvissuto persino al colpo di Stato del 1923. Anzi, dopo il governo Cankov, nel 1927 il sistema politico era sembrato tornare alla piena normalità tanto da consentire la conclusione di un prestito internazionale, a opera del governo britannico, un gesto che era prova di credibilità della Bulgaria. Le formazioni di destra simpatizzanti per il fascismo italiano (il nazismo non costituiva ancora un modello) avevano un seguito molto limitato ed erano sostanzialmente emarginate dalle maggiori forze politiche. Il maggiore pericolo per la democrazia veniva dalle file della Lega militare o Voenna Liga, elemento fondamentale per la buona riuscita del golpe attuato contro Stambolijski. Al suo interno convivevano più anime, fautori della monarchia come della 39 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 repubblica, sostenitori di una politica estera revisionista ma pure di una conciliativa. Con gli anni particolare successo ebbe il circolo politico e culturale Zvenò (Anello). I suoi membri non partecipavano dell’avversione contro la Jugoslavia diffusa tra i bulgari, ma in politica interna non speravano che la modernizzazione del Paese potesse seguire la via della democrazia liberale: il modello cui sembravano ispirarsi era di stampo corporativo e per questo certa storiografia (Ilčo Dimitrov) ha parlato di affinità con il fascismo italiano. Eppure quando lo Zvenò attuò nel 1934 un nuovo colpo di Stato che non depose il re Boris III, ma gli impose la nomina del colonnello Kimon Georgiev a capo del governo e l’immediata sospensione della Costituzione del 1879, esso non compì alcun atto di simpatia verso Roma, bensì effettuò una precisa apertura diplomatica verso Belgrado. Il nuovo regime ebbe vita breve. Già nel 1935 Boris III (sposato con Giovanna di Savoia, figlia di Vittorio Emanuele III), puntando sull’ala monarchica della Lega militare, esautorò Georgiev e il colonnello Delčev (il “tecnico” dei colpi di Stato). Non ripristinò però la Costituzione, bensì diede vita a un regime personale, fondato su un partito nazionale e quasi unico a lui devoto e su un parlamento opportunamente eletto per non negare mai l’assenso all’esecutivo. Una rara eccezione fu costituita da un pugno di oppositori che non approvarono nel 1940 l’adesione al Patto tripartito, mentre il vicepresidente della Camera Dimităr Pešev nel pieno del secondo conflitto mondiale riuscì a impedire la deportazione dell’intera comunità ebraica di Bulgaria (50.000 individui) quando le tradotte 40 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 erano già pronte a partire alla volta dei campi di concentramento del Reich, facendo vivaci pressioni (forse non del tutto sgradite) sul re e sul primo ministro Bogdan Filov. Per il resto il regime autoritario bulgaro non si discostò molto dal modello che si andava diffondendo in tutta l’Europa centro-orientale. Nonostante l’adesione al patto Tripartito il governo bulgaro restò fuori dal conflitto, soltanto procedendo all’occupazione dei territori macedoni sia della Grecia sia della Jugoslavia. Ciò fu sufficiente perché Inghilterra e stati Uniti d’America dichiarassero guerra alla Bulgaria, senza però che le operazioni militari raggiungessero il suolo bulgaro. Soprattutto la Bulgaria non partecipò alla guerra contro l’Unione Sovietica con la quale mantenne normali rapporti diplomatici. Gli sviluppi della guerra, però, non mancarono di influire sulle sorti anche di quel Paese balcanico. Morto per cause naturali re Boris III nel 1943, la Reggenza qualche tempo dopo cercò di sganciarsi dall’alleanza con la Germania, nominando a tale scopo nel giugno 944 il governo Bagrianov e nel settembre 1944, con l’Armata Rossa alla frontiera, il governo capeggiato dall’esponente del partito contadino Muraviev che si spinse sino a dichiarare guerra alla Germania Ciò non bastò per impedire che Mosca dichiarasse guerra alla Bulgaria, l’armata Rossa procedesse all’occupazione del territorio bulgaro e il Fronte patriottico (Otečestven Front) in buona misura ispirato dal partito comunista proclamasse l’insurrezione e assumesse il potere, arrestando reggenti e ministri. Paradossalmente per qualche tempo il Paese che meno aveva avuto a che fare con il conflitto si trovò in guerra con 41 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 tutte le grandi Potenze belligeranti. Si stava profilando un cambiamento politico di lunga durata con la costituzione del regime comunista e la “satellizzazione” nei confronti dell’Unione Sovietica. In Romania la Guardia di Ferro era sempre più popolare presso contadini, intellettuali e studenti. Essa toccò il massimo dei consensi nelle elezioni del 1937 (le più libere della storia romena) tanto da indurre il re Carol II a un colpo di Stato incruento, dal carattere conservatore, cui nel 1938 seguì l’arresto e l’uccisione di Corneliu Codreanu, leader dei fascisti romeni. Fu abolita la Costituzione, presto sostituita con un’altra di stampo non democratico, mentre elezioni e parlamento ebbero funzione puramente esornativa: la Grande Romania, intesa non solo territorialmente ma anche come modello politico trovò allora la sua fine. Peraltro il monarca da tempo svolgeva una sua politica personale, a copertura degli scandali che erano sorti intorno alla sua persona (era stato costretto prima della morte del padre, il re Ferdinand, a rinunciare ai suoi diritti di erede al trono e a trasferirsi all’estero) ma soprattutto con l’intento di realizzare un governo autoritario non privo di ambizioni modernizzatrici, considerate inconciliabili con metodi pienamente democratici. L’aver scelto questa linea politica non impedì che si cercasse di mantenere l’orientamento filo-occidentale in politica estera, nonostante l’allontanamento di Nicolae Titulescu dal dicastero degli Esteri (avvenuto già nell’agosto 1936) e sebbene i rapporti commerciali 42 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 con la Germania nazista fossero sempre più massicci e condizionanti. La dittatura del re durò solo due anni: nel 1940 il governo di Bucarest era ormai legato a filo doppio con l’Asse e soprattutto con Berlino. Il Patto Molotov-Ribbentrop lasciò la Romania senza protettori di fronte al revisionismo sovietico: esisteva una “garanzia” anglo-francese ma non riguardava le frontiere orientali. Un ultimatum di Stalin del giugno obbligò il governo romeno a cedere nel giro di poche ore la Bessarabia e la Bucovina settentrionale che – con alcuni aggiustamenti territoriali – andarono a costituire la repubblica sovietica della Moldavia, nell’ambito dell’Unione sovietica. Pochi mesi più tardi Bucarest e Sofia si accordarono a Craiova per la cessione della Dobrugia meridionale alla Bulgaria. Infine, in settembre venne il colpo più duro: il secondo arbitrato di Vienna a opera di Ciano e Ribbentrop, ministri degli Esteri di Italia e Germania, preluse alla cessione di buona parte della Transilvania all’Ungheria. Una decisione che non soddisfece a pieno le aspirazioni degli ungheresi, colpì profondamente l’opinione pubblica e il sentimento nazionale romeno, ma soprattutto costrinse Carol II ad abdicare a favore del giovane figlio Michele che lasciò di fatto il potere a un uomo forte, un militare, il generale Ion Antonescu, nominato successivamente Maresciallo e noto con il titolo di Conducător, calco di Duce o Führer. Egli – sostanzialmente rappresentante di un destra conservatrice – governò per pochi mesi insieme con gli uomini della Guardia di ferro, cioè con la destra radicale. Eccessi dei guardisti (come l’uccisione dello storico e politico Nicolae Iorga e 43 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 dell’economista Virgil Madgearu e violenze antisemite) e tensioni politiche fecero sì che l’accordo durasse solo quattro mesi. Dopo essersi garantito con un viaggio in Germania l’assenso di Hitler, Antonescu provocò una – peraltro attesa - sollevazione della Guardia che represse con il ricorso all’esercito, consentendo tuttavia che alcuni esponenti di punta di essa (tra cui il nuovo leader Horia Sima) espatriassero. Hitler aveva consentito ad Antonescu di liberarsi della Guardia di ferro e governare senza oppositori o pericolosi alleati poiché aveva bisogno che la Romania godesse di stabilità nell’imminenza dello scontro con l’Unione Sovietica. Infatti nel giugno 1941 ebbe inizio l’operazione Barbarossa e il governo di Bucarest decise di fare la sua parte. Anche esponenti dei partiti operanti fino al 1938 e buona parte dell’opinione pubblica romena non erano contrari all’intervento a fianco della Germania per recuperare le province orientale cedute all’Unione Sovietica appena un anno prima e tutti gioirono per l’andamento positivo della prima fase della campagna. Minore fu il consenso per il proseguimento dell’avanzata oltre il Dniestr (Nistru) che portò le truppe romene a occupare persino Odessa. Peraltro in questa fase temporale e in questa aerea geografica le autorità romene si resero responsabili di gravissimi massacri o deportazioni di ebrei, mentre i correligionari delle province storiche del Regno di Romania – nonostante la legislazione antiebraica – riuscirono in buona misura a salvare la vita, evitando la deportazione verso i campi di concentramento nazisti. Sul giudizio storico riguardo Antonescu pesa questa odiosa 44 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 macchia, sebbene alcuni gli abbiano attribuito il merito di avere salvato oltre metà degli ebrei romeni. Il consenso verso il Conducător scemò ancora di più e rapidamente quando si comprese che la guerra sul fronte orientale era ben lungi dall’essere vinta. Se l’intervento era stato giustificato dal desiderio di riconquistare i territori ceduti e per riaprire, in modo indiretto, anche la questione della Transilvania, ora esponenti dell’opposizione iniziarono a trattare con i governi occidentali e successivamente fu aperto anche un canale di trattative con Mosca. Parallelamente il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri romeno Mihai Antonescu cercò di convincere il governo italiano a uscire contemporaneamente dalla guerra, convinto dell’esito negativo. Tuttavia il Conducător mantenne la Romania in campo accanto alla Germania sino all’estate del 1944 quando ormai l’Armata Rossa sovietica si affacciava alle frontiere della Moldavia, cioè la parte orientale del Paese. Fu allora che, concluse bene o male trattative segrete con i governi della coalizione antitedesca, i leader di alcuni partiti (nazional-contadino, liberale, socialdemocratico, comunista) con l’appoggio di settori militari e il pieno avallo del giovane re Mihai, attuarono un colpo di mano che ricorda quanto era avvenuto nel luglio 1943 in Italia per deporre Mussolini. Ion Antonescu fu arrestato e fu costituito un governo guidato dal generale Sănătescu che si affrettò a dichiarare il rovesciamento delle alleanze. Le truppe romene furono così impegnate per breve tempo contro quelle germaniche in ritirata. Successivamente dovettero fare atto di resa verso quelle sovietiche, 45 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 nel frattempo sopraggiunte. Buona parte dell’esercito romeno fu però immediatamente reso operativo per affiancare l’Armata Rossa nelle operazioni in Transilvania, Ungheria, Cecoslovacchia e Austria. Al pesante costo della campagna sul fronte orientale si aggiunse, in termini di vite umane, un costo non indifferente di questa ulteriore campagna. Ciò valse però alla Romania una maggiore considerazione da parte delle Potenze vincitrici, nonostante i termini abbastanza severi dell’armistizio firmato a Mosca in settembre. In buona sostanza si posero le premesse per la riannessione dei distretti della Transilvania perduti nel 1940. Su tale evento positivo per lo Stato romeno pesò anche il rapido insediamento nel marzo 1945 di un governo orientato a sinistra e filosovietico, capeggiato da Petru Groza, ma già egemonizzato dal partito comunista. La presenza dell’Armata Rossa, protratta ben al di là della firma del trattato di pace (1947), sino al 1958, significò non solo una garanzia per la costituzione del regime comunista (si veda A.Biagini – F.Guida, Mezzo secolo di socialismo reale) e per l’inserimento nel blocco sovietico, ma anche la rinuncia a ogni speranza di recuperare i territori ceduti nel giugno 1940 all’Unione Sovietica. In modo parzialmente simile non fu messo in discussione neanche l’accordo bulgaro-romeno di Craiova del 1940 e la Dobrugia meridionale restò parte integrante della Bulgaria. In Jugoslavia (ora il nome era ufficiale) nel 1931 il re Alessandro pose termine al periodo di sospensione della Costituzione. L’introduzione di rinnovate norme costituzionali non 46 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 migliorò di molto la situazione, nonostante le nuove divisioni amministrative (banovine) rivelassero il chiaro intento di mettere da parte le antiche appartenenze storiche. Nel 1934 il re cadde vittima, con il ministro degli Esteri francese Barthou, di un attentato a Marsiglia, opera di croati e macedoni, che avevano goduto dell’appoggio dei governi di Roma e Budapest. Paradossalmente il progetto riformatore non fu interrotto da un evento così tragico. Dopo la sostituzione del primo ministro Stojadinović (uomo forte della debole democrazia jugoslava, sgradito al governo inglese anche per le sue simpatie filo-italiane e filotedesche, tanto da volerne l’esilio dorato nelle lontane isole Mauritius) e dopo lunghe trattative, il reggente Paolo, secondato dal nuovo presidente del Consiglio Dragiša Cvetković, il 26 agosto 1939 seppe trovare la via dell’accordo con il partito contadino croato e il suo leader Maček. La Croazia divenne sulla base di tale accordo (sporazum) una banovina estremamente estesa e dotata di vera autonomia (con il suo governatore o ban e un proprio parlamento o sabor). La linea conciliativa dei due principali interlocutori e di altri uomini politici era stata fortemente condizionata dall’abbattimento in due tempi (ottobre 1938 – marzo 1939) di un altro Stato multietnico, la Cecoslovacchia. Tuttavia non si era pervenuti ad accordarsi sulla formazione di una Jugoslavia federale e maggiormente fondata su principi democratici (attraverso l’abolizione della Costituzione del 1931). La bontà della formula adottata non poté essere verificata sul lungo periodo per lo 47 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 scoppio della nuova guerra che coinvolse drammaticamente la Jugoslavia nel 1941. Il governo jugoslavo, discostandosi da una tradizionale politica anglofila e francofila, era stato il primo a togliere significativo al proprio impegno nella Piccola Intesa. Da una parte aveva fatto seguire alla firma dell’Intesa o Patto balcanico (1934) – volto a salvaguardare lo status quo nei Balcani – un deciso riavvicinamento alla Bulgaria, Paese revisionista proprio nei confronti della Jugoslavia. Con Stojadinović si era fatte migliori le relazioni con Germania e Italia (ed era stato firmato il concordato con il Vaticano non senza echi polemici). Realizzato l’accordo con i croati, il reggente Paolo e l’esecutivo guidato da Cvetković, sotto l’impressione degli eventi bellici (il crollo della Francia) e da tempo sottoposti alle pressioni diplomatiche dell’Asse, si spinsero oltre, firmando prima un trattato d’amicizia con un altro Stato revisionista quale l’Ungheria, quindi aderendo al Patto tripartito. La Jugoslavia era ormai nell’orbita italo-tedesca, ma buona parte dell’opinione pubblica, soprattutto in Serbia, e degli ambienti militari non condividevano il nuovo indirizzo di politica estera. Londra, dal canto suo, sostenne e rinfocolò quel malcontento, preoccupata di perdere un importante “amico” nella penisola balcanica, con grave pericolo anche per la Grecia, da alcuni mesi sottoposta all’aggressione militare italiana. Infatti Mussolini aveva “offerto” Salonicco ai suoi interlocutori jugoslavi per averne il sostegno anche in funzione della sfortunata campagna di Grecia. Nel giro di pochi giorni un colpo di mano militare portò alla 48 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 deposizione del reggente e del governo in carica, sostituendoli con il giovanissimo principe Pietro (di cui si proclamò la maggiore età con qualche mese di anticipo sul compimento dei 18 anni) e con il governo di ampia coalizione capeggiato dal generale Simović. Pur in assenza di denuncia formale del Patto tripartito, era evidente il significato di quel cambiamento politico anche in termini di politica estera. La reazione dell’Asse non si fece attendere. Dopo un intenso bombardamento paracadutisti tedeschi scesero su Belgrado mentre le frontiere settentrionali e occidentali furono violate dagli eserciti germanico e italiano. La resistenza militare jugoslava si dimostrò inferiore alle attese e in pochi giorni l’intero Paese fu sotto controllo degli invasori. Essi non si accontentarono di consegnare il potere a uomini fidati; preferirono spartirsi la Jugoslavia, invitando altri Paesi a partecipare alla spartizione. Parte della Slovenia e la Dalmazia passarono sotto controllo italiano, la restante parte della Slovenia sotto quello tedesco; prese vita uno Stato croato indipendente che includeva la Bosnia-Erzegovina affidato agli ustaša e al loro capo (poglavnik) Ante Pavelić; fu restituita l’indipendenza al Montenegro ma sotto protettorato italiano, all’Albania (in unione personale con l’Italia) furono annesse Kosovo e Macedonia occidentale, all’Ungheria Bacska e Baranya, alla Bulgaria la Macedonia serba. Infine fu lasciata in essere una Serbia ridotta ai confini dell’Ottocento, con un governo Nedić poco meno che collaborazionista. Gli occupanti sottovalutarono, però, la possibilità che si riorganizzasse la resistenza con azioni di guerriglia e non vi fu un opportuno 49 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 rastrellamento delle armi in dotazione all’esercito disfatto. A distanza di pochi mesi più movimenti di resistenza erano in azione, i principali essendo quello dei cetniči, tipico della Serbia, fedele al giovane re in esilio a Londra e capeggiato da un ufficiale Draža Mihajlović, e quello orientato politicamente a sinistra e guidato dal leader comunista Josif Broz detto Tito. La Resistenza jugoslava fu, assieme a quella polacca, la più importante nell’intero continente. Un aspetto negativo fu il conflitto continuo che oppose le sue diverse correnti, in combinazione con la lotta contro gli occupanti e contro i regimi da loro imposti, tanto che si può parlare di una sorta di guerra civile, spesso a carattere etnico. Sebbene sembri eccessivo affermare - come in Jugoslavia si è fatto - che il Paese si liberò senza il concorso di eserciti stranieri, è vero che quella Resistenza contribuì notevolmente a tenere impegnati gli eserciti occupanti sino alla loro ritirata (per gli italiani avviata già dall’autunno 1943) conclusasi nel 1945, nonché all’abbattimento dei regimi da essi favoriti o istituiti. In particolare fu abbattuto il regime ustascia in Croazia, fino alla fine convinto satellite della Germania nazista e responsabile di pesantissimi eccidi di serbi, ebrei e zingari. Praticamente senza soluzione di continuità avvenne la presa di potere del governo che faceva capo a Tito, nell’ultima fase della guerra preferito dagli Alleati come referente politico e destinatario di rifornimenti militari e in grado militarmente di spingersi sino a occupare l’Istria e Trieste, dove (pure come rivalsa per quanto fatto dal regime fascista verso gli slavi prima e dopo il 1941) furono commesse violenze particolarmente crudeli verso gli 50 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 italiani, a migliaia scomparsi nelle foibe, così ponendo le premesse per il loro successivo esodo generalizzato dalla Jugoslavia comunista (si veda A.Biagini – F.Guida, Mezzo secolo di socialismo reale). L’Albania non aveva conosciuta una reale democrazia e il progetto di modernizzazione dall’alto perseguito da re Zog procedeva molto lentamente. L’Italia sempre più sembrava esercitare un protettorato de facto sul Paese. Non vi erano seri motivi per pensare a un’annessione territoriale, essendo sufficiente creare una dipendenza dell’economia albanese da quella italiana né il re Zog era in grado di scrollarsi di dosso quella tutela. Eppure il 7 aprile 1939 le forze militari italiane occuparono l’Albania (senza particolari difficoltà): gli studiosi del regime fascista italiano considerano tale atto una risposta all’annessione al Reich tedesco di Boemia e Moravia, come dimostrazione di forza e capacità di iniziative autonome da parte di Mussolini nei confronti di Hitler. Si trattò di un’unione personale e non di annessione poiché il re Vittorio Emanuele III ricevette la corona albanese, ma il Paese fu governato da un viceré italiano (Jacomoni di San Savino) e da un governo di esponenti politici locali – si potrebbe dire meglio notabili. Shefqet Verlaci, nemico di Zog, fu il primo capo dell’esecutivo, ma più tardi cedette il posto a Mustafa Kruja. Più di prima la vita dell’Albania fu legata all’Italia, ma presto fu possibile dare una grande soddisfazione al sentimento nazionale. Dapprima si pretese che la guerra alla Grecia (1940) nascesse anche dalla 51 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 volontà di sostenere le aspirazioni a reintegrare nello Stato albanese la regione della Çamuria, ma nella primavera 1941, con il crollo della Jugoslavia, fu possibile concretamente allargare i confini albanesi non solo a lembi del territorio ellenico, ma soprattutto al Kossovo e alla Macedonia occidentale in cui era forte la presenza dell’elemento etnico albanese: nasceva la Grande Albania sognata da molti albanesi. Fu però una realizzazione effimera destinata a crollare dopo la fine della guerra (cfr. A.Biagini- F.Guida, Mezzo secolo di socialismo reale). Completa il quadro dell’area balcanica la vicenda della Grecia. Il nuovo e ultimo periodo di governo di Venizelos si concluse nel 1932, anno in cui le elezioni politiche diedero un risultato di sostanziale pareggio tra i liberali e i populisti di Tsaldaris. Un Gabinetto di minoranza guidato da quest’ultimo durò molto poco e infine nuove consultazioni elettorali nel 1933 consegnarono ai populisti una maggioranza confortante alla Camera bassa, ma non al Senato. Ciò indusse il generale Plastiras a tentare un nuovo colpo di Stato nel marzo 1933, fallito nel peggiore dei modi ma tale da indebolire la posizione di Venizelos che fu fatto segno a un attentato (giugno 1933). L’ascesa dei sostenitori della monarchia indusse ufficiali repubblicani a un ulteriore tentativo di colpo di Stato nel marzo 1935. Fallito anche questo tentativo, vi furono alcune condanne a morte e un’ampia epurazione nei quadri militari. Infine lo stesso Venizelos e Plastiras furono costretti a riparare in Francia dove il primo morì nel 1936. 52 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 Le correnti monarchiche ormai prevalevano: dopo un successo quasi plebiscitario dei populisti alle nuove elezioni dovuto anche all’astensione dei liberali, Tsaldaris, nonostante avesse promesso di indire un nuovo referendum istituzionale, fu costretto a cedere la guida dell’esecutivo al generale Kondilis (ex repubblicano venizelista, ora convertito alla monarchia) il quale proclamò il ritorno dell’istituto monarchico e fece poi svolgere un referendum - del tutto inattendibile - che confermò la sua decisione. Resta il dubbio, tuttavia, che una maggioranza dei greci fosse realmente favorevole al ritorno del re Giorgio che peraltro era intenzionato a favorire una riconciliazione generale nel Paese. Nominò pertanto un civile, il professore Demertzìs, a capo del governo perché all’inizio del 1936 si tenessero elezioni regolari: così fu ma, complice il ripristinato sistema proporzionale, ancora una volta si creò una situazione di sostanziale pareggio tra i due maggiori partiti, tanto da porre nella posizione dell’ago della bilancia i 15 eletti del Fronte popolare egemonizzato dal partito comunista. Le trattative che Tsaldaris e Sofulis (erede di Venizelos) avviarono con questi ultimi non sortirono effetti concreti e indussero invece la Corte e alcuni settori militari a cercare una soluzione “forte” in una particolare contingenza che vide la morte in rapida successione dei più esperti politici ellenici, incluso il capo del governo Demertzìs. Re Giorgio affidò la guida dell’esecutivo al generale Metaxàs, capo di un piccolo partito di destra (7 deputati), il quale ottenne la sospensione delle attività parlamentari per alcuni mesi e l’affidamento delle funzioni legislative a una commissione 53 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 di 40 saggi. Era la premessa per la costituzione di un regime autoritario che avvenne attraverso la sospensione il 4 agosto 1936 di diversi articoli costituzionali, in seguito al perdurante stallo politico, alle dimostrazioni di piazza sindacali e allo sciopero generale proclamato dai comunisti. Sciolto formalmente il parlamento, esso non fu più riconvocato fino al termine del nuovo conflitto mondiale. Il regime di Metaxàs si ispirò in buona parte a quelli tedesco e italiano: grande era l’ammirazione personale del dittatore per la civiltà germanica tanto da parlare di “terza civiltà ellenica” a imitazione del Terzo Reich. Il regime non godeva tuttavia di un sostegno di massa e dovette difendersi con la repressione (capeggiata dal ministro degli Interni Mariadakis) da alcuni tentativi di rovesciarlo, il più clamoroso essendo l’insurrezione di Creta domata nel sangue. Se alcuni istituti, come l’Organizzazione nazionale della gioventù, richiamavano chiaramente quelli dei regimi fascisti, e un certo corporativismo paternalistico ricordava gli aspetti più popolari dei regimi tedesco e italiano, la politica estera e commerciale di Metaxàs non fu troppo sbilanciata verso Berlino e Roma. La presenza del capitale tedesco effettivamente si fece più forte in seno all’economia greca, ma Atene non disdegnò il tradizionale apporto finanziario inglese e soprattutto cercò di mantenere buoni, quasi privilegiati, rapporti diplomatici con l’antica Potenza protettrice britannica, tanto da optare nel 1939 per una neutralità benevola verso Londra. 54 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 Aggredita dall’Italia nell’ottobre 1940, nonostante l’omogeneità dei regimi, la Grecia fu sconfitta nel 1941 grazie all’intervento tedesco proveniente dalla Bulgaria (operazione Marita), contro cui nulla poté neanche la presenza di reparti britannici. Sul fronte albanese invece l’esercito ellenico (riorganizzato negli ultimi anni sotto la guida del generale Papàgos) aveva ottenuto confortanti successi contro quello italiano. L’attacco italiano era stato lanciato il 28 ottobre 1940 in coincidenza con il 18° anniversario della Marcia su Roma con un inaccettabile ultimatum presentato nel cuore della notte dall’ambasciatore Grazzi, cui Metaxàs rispose laconicamente “no” (ochi in greco) e tale data è oggi per i greci festa nazionale. Il dittatore, morto nel gennaio 1941 e sostituito da Alexandros Korizìs, non vide la resa del 20 aprile firmata dal generale Tsolakoglu senza autorizzazione del governo (il cui capo era Tsuderòs essendosi Korizìs suicidato due giorni prima). Il Paese fu quindi posto sotto occupazione italogermanico-bulgara, sebbene restasse in carica un governo fantoccio, ma la resistenza non mancò di farsi sentire, nonostante fosse divisa in correnti tra loro ostili. Il re e il governo Tsuderòs si trovavano in esilio al Cairo, sotto protezione britannica. Dopo l’uscita dell’Italia dalla guerra nel 1943 il movimento partigiano si fece più ardito e infine le truppe britanniche poterono rientrare sul suolo ellenico, seguite dal monarca e dal suo entourage. Già allora sembrò stesse per scoppiare la guerra civile tra le forze politiche moderate e quelle di sinistra, guidate dal partito comunista. Un precario accordo permise di rinviare lo scontro alla fine della 55 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 guerra. Da allora sino al 1949 le forze comuniste, operanti soprattutto nel Nord del Paese, dove potevano ricevere aiuti da oltre frontiera, si opposero tenacemente alle unità governative, sostenute dagli inglesi e, successivamente, dagli statunitensi. Infine la guerriglia comunista, capeggiata dal comandante Markos Vaphiadis e dal segretario del partito comunista Zachariadis, fu sconfitta e non furono pochi i greci che espatriarono, essendone stati parte attiva. Proprio gli Stati Uniti d’America sostituirono la loro influenza a quella tradizionale britannica nei confronti dei governi ellenici. La Grecia restò così fuori dalla sfera di influenza sovietica né sperimentò il regime comunista. Nell’estate del 1938 il governo germanico avanzò alla Cecoslovacchia la richiesta di cessione della regione dei Sudeti, popolati da tedeschi. La diplomazia internazionale si mise subito all’opera per trovare una soluzione di compromesso che di fatto consisteva nel passaggio alla Germania dei distretti in cui la popolazione tedesca fosse assolutamente dominante. Poiché il clima politico si fece piuttosto caldo, per giungere a un atto diplomatico ufficiale fu necessario convocare una conferenza a Monaco tra i leaders inglese, francese, tedesco e italiano. Di fatto essi imposero al governo di Praga la cessione di ampi territori, oltre quanto esso avesse desiderato, ma soprattutto decise che era necessario mettere mano alla soluzione della questione anche per le altre minoranze presenti in Cecoslovacchia. Infatti altri territori furono ceduti all’Ungheria (vedi infra) e alla Polonia: questa 56 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 occupò immediatamente il distretto di Teschen, su cui esisteva un contenzioso sino dalla fine della prima guerra mondiale. Infine alla Slovacchia e alla Rutenia fu concessa l’autonomia da tempo richiesta. I progetti di Hitler non si fermarono qui. Nel marzo 1939 avviò una nuova complessa iniziativa politica: dopo avere offerto alla Slovacchia l’indipendenza e all’Ungheria l’annessione della Rutenia subcarpatica, fece occupare senza difficoltà Boemia e Moravia che divennero parte integrante del Reich sotto forma di protettorato. Non si trattava più di riunire tutti i tedeschi in un solo Stato, ma di ricostituire l’aggregazione che era stata rappresentata dal Sacro Impero Romano Germanico. Si può dire che la popolazione ceca reagì all’occupazione con rassegnazione e soltanto nell’autunno del 1939 gli ambienti studenteschi manifestarono il loro dissenso. Una concreta resistenza ebbe le sue basi piuttosto all’estero, dove si era costituito un governo in esilio guidato da Beneš, ma riuscì a colpire in alto, uccidendo nel maggio 1942 Reinhard Heydrich, prima capo della polizia e poi protettore (cioè governatore in nome della Germania). Fu solo allora che la popolazione dovette subire una pesante repressione, inclusa la distruzione di alcuni paesi, come Lidice. Di fatto Boemia e Moravia dovettero attendere l’arrivo nel 1945 dell’Armata Rossa (entrò a Praga il 9 maggio) e delle truppe statunitensi per essere liberate dalla presenza tedesca e solo nell’ultima fase del conflitto le operazioni dei partigiani divennero più significative. 57 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 In Slovacchia dalla primavera 1939 si era costituito il governo capeggiato dall’esponente del partito popolare, monsignor Tiso: era un governo filotedesco e che in parte imitò le forme del regime germanico (ad esempio creando un corpo detto Guardia Hlinka), ma dal punto di vista ideologico non era veramente omogeneo al nazional-socialismo hitleriano poiché legato alla cultura cattolica. Come altri satelliti dell’Asse la Slovacchia prese parte all’aggressione contro l’Unione Sovietica (sia pure con le sue molto limitate forze militari) e attuò la deportazione dei non numerosi ebrei slovacchi, ma non in maniera generalizzata come desideravano i governanti di Berlino, che se ne lamentarono. In più i cechi furono internati o costretti a trasferirsi in Boemia e Moravia: era una rivincita verso la loro vera o presunta egemonia nei due decenni precedenti. Contro quel regime la resistenza fu più vivace che non nei Paesi cechi e divenne particolarmente attiva dal 1944: alla fine di quell’anno fu costituito in clandestinità un Consiglio nazionale slovacco, in cui significativo fu il ruolo dei comunisti. Oltre a volere sottrarre il Paese all’influenza tedesca, si pensava di ricostituire la Cecoslovacchia su basi federali e pari dignità delle due nazioni slave. Contro le attività dei partigiani dovette intervenire l’esercito germanico poiché essi erano riusciti a conquistare l’importante città di Banska Bystrica e avevano proclamato l’insurrezione generale, attirando dalla propria parte anche unità dell’esercito. Quell’importante iniziativa militare in capo a due mesi fu repressa dalla Wehrmacht e migliaia furono le vittime, nonostante le forze sovietiche si trovassero non molto 58 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 lontane: esse infatti procedettero all’occupazione della Slovacchia solo nel marzo 1945. Proprio in una città slovacca, Košice (Kassa per gli ungheresi) all’inizio di aprile del 1945 si costituì un governo provvisorio cecoslovacco con a capo Beneš che pose la prima pietra della ricostituzione della Cecoslovacchia, destinata a essere “ripulita” dalle minoranze (con il drammatico esodo dei tedeschi e quello parziale degli ungheresi sottoposti per qualche tempo a slovacchizzazione) e a essere privata della sua propaggine orientale, la Rutenia subcarpatica, ceduta all’Unione Sovietica in omaggio a un principio etnico, ma anche agli interessi strategici di quella Potenza. Il cosiddetto Programma di Košice in realtà lasciava intendere solo parzialmente che a esso sarebbe seguita la trasformazione della Cecoslovacchia in una repubblica popolare a regime comunista. In Ungheria dopo il lungo mandato di Bethlen, si susseguirono alla Presidenza del Consiglio molti politici, solo in pochi casi provenienti dalle famiglie di più alto lignaggio. Se il parlamento non fu mai in grado di costringere il governo alle dimissioni (con l’eccezione nel 1939 di Béla Imrédy) l’esecutivo fu sufficientemente rispettoso delle regole costituzionali. Esso non lasciò grande spazio a poteri esercitati dalle autonomie locali (fortemente influenzate da norme elettorali di tipo censitario, secondo il sistema definito “virilismo”) e tuttavia dovette accettare nella stessa Budapest (dove il “virilismo” era stato abolito) sindaci non graditi. Il regime di legislazione e giurisdizione speciale che 59 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 aveva accompagnato il “terrore bianco” fu progressivamente abolito già dalla prima metà degli anni venti. Restò in vigore una censura molto moderata che non impedì la pubblicazione di innumerevoli testate di varie tendenze, con limitate eccezioni (il giornale liberal-radicale "Világ" fu chiuso e altri subirono chiusure temporanee o altre pressioni). La censura preventiva ricomparve solo con la seconda guerra mondiale e i giornali di opposizione furono pubblicati fino al marzo del 1944, cioè fino all’occupazione tedesca. La stampa e il partito comunista non furono considerati legali; talora però le norme che colpivano i comunisti servirono anche contro formazioni di estrema destra (il capo delle Croci frecciate Ferenc Szalasi saggiò così il carcere). Il regime ungherese che una certa parte ha voluto assimilare ai regimi fascisti, in verità fu solo autoritario e conservatore, nel rispetto delle forme democratiche, se pure non assoluto. E’ stato d’altra parte osservato che esso, sotto il profilo sociale, fu meno attento alle necessità delle classi meno agiate di quanto non avvenne per regimi antidemocratici, quale fu il fascismo italiano. L’Ungheria, come molti Paesi dell’Europa centro-orientale, era caratterizzata da una non trascurabile questione ebraica. Si fissarono dei tetti alla presenza degli ebrei dapprima nelle scuole, quindi anche in vari settori delle attività professionali o produttive. In seguito all’occupazione tedesca fu scritta la triste pagina dell’Olocausto ungherese: circa mezzo milione di ebrei su 800.000 persero la vita nei campi di concentramento. Di tale dramma si può trovare traccia nelle opere del premio Nobel Kertesz. Per cause 60 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 interne, ma ancor più per influenza delle vicende politiche internazionali il sistema politico ungherese subì alcuni parziali mutamenti. Al passaggio tra un decennio e l’altro fu costituita una nuova formazione politica, il Partito dei piccoli proprietari, erede delle tendenze democratiche presenti nel vecchio Partito contadino, ma anche legato alle correnti del populismo ungherese, particolarmente vivace e persino prevalente in campo letterario. Tale corrente intellettuale peraltro era estremamente sensibile alla condizione della classe contadina. Va ricordato che l’Ungheria fu tra i Paesi dell’Europa centro-orientale che mantennero in vita il latifondo, dacché governo e parlamento approvarono una riforma agraria dalle dimensioni e dagli effetti decisamente limitati. Altra importante novità fu costituita nel 1932 dall’arrivo al potere di Gömbös, un aperto ammiratore del fascismo italiano e del suo Duce, tanto da meritare il nomignolo di Gombolini. E’ stato, però, osservato che quel presidente del Consiglio proveniente dall’ala destra del partito di governo finì per conformarsi alla linea politica tradizionale di esso, piuttosto che mutarla significativamente. Nel 1936 Gömbös morì, ma la restante parte del decennio e i primi anni quaranta registrarono la crescita di vari movimenti di destra radicale contro cui la destra tradizionale e conservatrice fu obbligata ad approntare opportune difese. Dietro i nazionalsocialisti ungheresi e, soprattutto, dietro il partito delle Croci frecciate (Nyilás keresztes Part) vi era anche il sostegno della Germania nazista. 61 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 Nel 1938 si tornò al voto segreto generalizzato come chiedevano le opposizioni di destra e di sinistra. Effettivamente il nuovo metodo di voto favorì la destra radicale, ma non le opposizioni di sinistra che persero consensi e seggi. Nonostante questo successo della destra populista, essa non riuscì a sottrarre il potere all’élite tradizionale, né poté influenzarne eccessivamente le scelte. Nel 1939 il presidente del Consiglio Imrédy, intenzionato a ridurre i poteri del parlamento – come si è già detto – fu costretto alle dimissioni. Persino in piena guerra, con l’Ungheria ormai alleata della Germania, i governi magiari ebbero la forza di non accettare la volontà di Berlino in ogni aspetto della loro politica: nonostante l’appesantimento della legislazione antiebraica, ad esempio, il massacro degli ebrei avvenne soltanto dopo l’ingresso delle forze armate tedesche sul territorio ungherese. Un tratto essenziale della storia ungherese tra le due guerre mondiale è dato dall’opzione revisionistica per ciò che riguardava le nuove frontiere dello Stato. L’opinione pubblica magiara avvertiva, lo si è visto, il trattato del Trianon come ingiusto e gravemente punitivo: troppi territori del vecchio Regno erano stati ceduti, soprattutto troppi ungheresi vivevano fuori delle frontiere. Già negli anni di Bethlen si cercò di creare le premesse di una revisione territoriale, ma senza grande successo. In questo senso va interpretato il trattato di amicizia del 1927 con l’Italia di Mussolini, sebbene ambedue i contraenti conoscessero i limiti del loro atto. Il revisionismo ungherese, tenuto sotto vigilanza attenta dai Paesi limitrofi (con episodi anche clamorosi come la scoperta di un 62 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 traffico di armi tra Italia e Ungheria), si manifestò anche nel sostegno agli ustaša croati, avversi al regime jugoslavo. L’Ungheria peraltro era costretta a limitare a poche decine di migliaia i suoi contingenti militari e di fatto non vi furono seri tentativi di riarmo, tale da minacciare i Paesi dell’area. Solo la politica di Mussolini lasciava in vita speranze, peraltro tenui, di una possibile revisione. In effetto l’avvio della dinamica politica revisionistica tedesca dopo l’ascesa al potere di Hitler, di ben altra portata e pericolosità per il “sistema di Versailles”, portò con sé l’opportunità di seri mutamenti alle frontiere anche dell’Ungheria. Il primo risultato concreto si ebbe in margine alla crisi tedescocecoslovacca culminata nella conferenza di Monaco. Se la Slovacchia dal novembre 1938 ottenne una significativa autonomia da Praga ma non l’indipendenza, un lodo arbitrale italo-tedesco (primo arbitrato di Vienna) stabilì che la Slovacchia meridionale (o Alta Ungheria, Felvidék) dovesse essere ceduta allo Stato magiaro che l’aveva perduta con la prima guerra mondiale. Un territorio di 11.927 km² abitato in prevalenza da ungheresi, ma anche da un cospicuo numero di slovacchi, mutò di sovranità. Anche la Rutenia subcarpatica aveva ottenuto un regime di autonomia e quando, nella primavera del 1939, Hitler completò l’opera di distruzione dello Stato cecoslovacco, annettendo in forma di protettorato la Boemia-Moravia, sembrò per un attimo che anche i ruteni (ucraini) avrebbero avuto il loro piccolo Stato. Monsignor Vološin, leader ruteno, non fece in tempo a proclamare l’indipendenza che, con il consenso di Berlino, l’esercito ungherese passò la frontiera e 63 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 occupò la regione. In questo caso il territorio annesso (12.000 km² ) era abitato soltanto da una minoranza di ungheresi contro una stragrande maggioranza di ruteni: peraltro era difficile pensare a un’altra soluzione. L’opinione pubblica magiara era per lo più entusiasta per la realizzazione di un sogno coltivato per circa venti anni, ma era da tenere in conto anche l’eccessiva dipendenza che si stava profilando dalla politica germanica. L’Ungheria non fu coinvolta nella guerra che ebbe inizio nel settembre 1939, ma presto subì pressioni da Roma e Berlino perché si allineasse all’Asse. Sebbene i militari polacchi fossero accettati in Ungheria, dopo il crollo della Polonia, l’allineamento progressivamente si realizzò e il “premio” fu, questa volta, ancora più significativo: grazie anche alle dinamiche revisionistiche che vedevano protagonista ora pure l’Unione Sovietica, nel settembre 1940, dopo vane trattative ungaro-romene, una buona parte della Transilvania (43.000 km²) fu assegnata allo Stato ungherese da un nuovo lodo arbitrale italo-tedesco (secondo arbitrato di Vienna). Non si trattava di quanto desiderato e richiesto da Budapest, ma era pur sempre un grande successo, inconcepibile fino a pochi anni prima. Nonostante l’annessione dei territori transilvani fosse accompagnata da un parziale scambio di popolazioni su base volontaria, le tensioni tra Ungheria e Romania restarono vive anche in piena guerra. L’allineamento all’Asse si faceva però sempre più marcato e pericoloso, come evidenziò l’adesione al Patto tripartito. Soprattutto dopo l’aggressione italiana alla Grecia, Berlino e Roma tentavano in particolare di convincere anche il governo jugoslavo a 64 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 seguirli contro Inghilterra e Francia, e per questo indussero Belgrado e Budapest a un riavvicinamento. Fu infatti firmato un trattato di amicizia ungaro-jugoslavo, ma pochi giorni dopo l’allontanamento del reggente Pietro dal trono jugoslavo segnò la fine dell’orientamento filo-Asse di Belgrado. L’ascesa al potere di uomini di opinioni filo-britanniche indussero Germania e Italia ad aggredire la Jugoslavia (aprile 1941). Il governo ungherese fu invitato a intervenire militarmente per annettere le regioni (Bacska e Baranya) in cui viveva una cospicua comunità magiara. Il presidente del Consiglio Pál Teleki costretto a tradire il trattato ancora fresco di firma (era stato ratificato il 7 febbraio), subito dopo preferì suicidarsi; le truppe ungheresi si mossero con il consenso di Horthy e, poi, del nuovo premier Bárdossy. Londra aveva diffidato Budapest dal partecipare alla spartizione della Jugoslavia e da quel momento anche l’Ungheria fu travolta nel vortice del conflitto mondiale. Il vero coinvolgimento però si ebbe nel giugno 1941 quando le forze militari ungheresi parteciparono alla guerra contro l’Unione Sovietica. L’intervento fu giustificato da un bombardamento di aerei sovietici su territori magiari di recente annessione, ma l’episodio presenta qualche margine di ambiguità. Invero i governanti ungheresi non avevano certo simpatie per l’Unione Sovietica, ma si rendevano conto della debolezza militare dell’Ungheria. Tuttavia considerarono inopportuno non seguire la Germania sul fronte orientale poiché la Romania vi aveva inviato le sue truppe: Bucarest e Budapest 65 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 dovevano dimostrare al patrono germanico di essere, ognuno, il più fedele alleato. La guerra sul fronte sovietico fu per le limitate forze armate ungheresi molto pesante e dal 1942 fu evidente che non era possibile sconfiggere l’Unione Sovietica, ora alleata dell’Inghilterra e degli Stati Uniti, entrati in guerra sullo scorcio del 1941. I maggiori responsabili della politica ungherese, particolarmente con il governo Kállay, fecero di tutto per sganciarsi dall’abbraccio mortale con la Germania, provando a indurre Mussolini e l’Italia a una scelta neutralista (e offrendo persino la corona d’Ungheria al re d’Italia). Come detto, si cercò anche di sottrarsi agli impegni presi con Berlino in fatto di lotta agli ebrei. Infine si aprirono trattative segrete con le Potenze alleate. Nel marzo 1944 Hitler, non fidandosi più dell’alleato magiaro, mise in atto il piano Margarete: l’intera Ungheria fu occupata militarmente e a Budapest fu insediato il governo Sztójay, gradito a Berlino, ma poi sostituito dal più moderato Géza Lakatos. Il reggente e il nuovo esecutivo trattarono la resa e il rovesciamento delle alleanze, però quando Horthy il 15 ottobre annunciò la conclusione dell’armistizio fu arrestato, costretto a rinnegare le sue affermazioni e a nominare Ferenc Szálasi alla guida del governo, per essere quindi deportato in un campo di concentramento. In autunno però l’Armata Rossa mise piede su territorio ungherese e a fine dicembre 1944 a Debrecen si costituì un’Assemblea nazionale provvisoria, nonché un controgoverno guidato dal generale Béla Dálnoki Miklós. Intanto nei pochi mesi 66 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 in cui furono al potere le Croci frecciate completarono la deportazione, quando non il massacro degli ebrei. Molti di questi, concentratisi nella capitale, riuscirono tuttavia a salvare la vita anche per l’intervento di vari personaggi: il ministro plenipotenziario svedese Wallenberg (proveniente dalla più ricca famiglia della Svezia e successivamente deportato e ucciso dai sovietici), il nunzio apostolico e l’italiano Perlasca, fintosi coraggiosamente reggente del Consolato spagnolo. L’assedio di Budapest, difesa da tedeschi e Croci frecciate contro l’assalto sovietico, durò diverse settimane (dal Natale 1944 al febbraio 1945) e la città pagò un prezzo altissimo, come dimostra la distruzione di tutti i suoi bellissimi ponti sul Danubio. All’inizio del 1945, l’intera Ungheria era sotto il controllo dell’Armata Rossa che aveva lanciato l’ultimo attacco alla stessa Germania: quell’occupazione sarebbe stata foriera di novità politiche di grande significato e di lunga durata. In Polonia il regime di Piłsudski aveva reagito duramente al tentativo delle opposizioni di porvi termine. Nel 1930 le Camere furono sciolte dopo che agrari, cristiani democratici e socialisti delusi dal Maresciallo ne avevano chiesto le dimissioni, mentre i capi di quei partiti furono incarcerati. Nel novembre di quell’anno elezioni fortemente condizionate dal governo e caratterizzate da un forte astensionismo diedero un’ampia maggioranza al Blocco governativo che sosteneva Piłsudski. La Costituzione subì emendamenti illiberali, ma il regime mantenne un carattere di 67 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 ambiguità, poiché il vero suo capo deteneva cariche non di primissimo piano. La sua autorità non fu messa in discussione fino alla morte sopraggiunta nel maggio 1935 e neanche allora l’autoritarismo si tramutò in esplicita dittatura: alla Presidenza rimase un civile di estrazione socialista, Ignac Mościnski, sebbene il ministro degli Esteri, colonnello Beck, e l’ispettore generale dell’esercito, generale Rydz-Śmigły, detenessero il potere reale, assumendo le decisioni fondamentali per le sorti del Paese ed essendo considerati anche dalla diplomazia straniera come gli interlocutori più validi. Dunque il sistema parlamentare non fu abolito, ma gli stessi uomini continuarono a governare sino allo scoppio del nuovo conflitto mondiale. Il disagio e l’insofferenza della popolazione si espresse attraverso alcune rivolte contadine e alcuni scioperi, oltre che attraverso l’astensionismo elettorale poiché ai partiti non fu più consentito di condurre una normale battaglia politica. Una sorte del tutto particolare toccò al partito comunista, poco amato dall’opinione pubblica poiché russofilo e messo da molto tempo fuori legge. I suoi militanti finirono per rifugiarsi oltre frontiera, in Unione Sovietica, ma qui furono pesantemente coinvolti nel Grande terrore staliniano, al punto che il partito stesso fu sciolto essendo accusato di deviazionismo. Ancor più che prima del 1935, la condizione delle cospicue minoranze nazionali in Polonia non migliorò ed esse costituirono un serio motivo di pericolo e tensione nelle relazioni internazionali. Sia la Germania sia l’Unione Sovietica, due grandi Potenze, avevano aspirazioni revisionistiche da realizzare a danno della Polonia. E’ 68 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 nota l’espressione “morire per Danzica” coniata per la guerra mondiale, scoppiata in seguito all’aggressione militare tedesca (1° settembre 1939) nei confronti della Polonia, a partire appunto dall’occupazione di quella città libera (importante porto del Baltico) e del cosiddetto “corridoio” polacco che tagliava in due la Germania. I governanti polacchi cercarono di trovare un modus vivendi con Berlino (accordo di amicizia del 1934), ma non secondarono gli accordi intercorsi tra Francia, Unione Sovietica e Cecoslovacchia, negando la possibilità di transito sul territorio polacco alle truppe sovietiche in caso di guerra. Nel 1938 Varsavia non mancò di sfruttare la crisi cecoslovacca per risolvere a proprio vantaggio la questione di Teschen (v. sopra). Meno di un anno dopo la Polonia cadeva vittima della nuova alleanza conclusa (con sorpresa dei governi occidentali) tra Germania e Unione Sovietica e subiva l’invasione della Wehrmacht, cui lo Stato maggiore polacco si era illuso di potere resistere: in capo a un mese le operazioni militari erano concluse, mentre l’Armata Rossa a partire dal 17 settembre aveva occupato una vasta parte della Polonia orientale. Infatti il patto Molotov-Ribbentrop, firmato a Mosca il 23 agosto 1939, prevedeva la spartizione della Polonia tra Germania e Unione Sovietica, ma anche il mantenimento di un piccolo Stato polacco indipendente; inoltre assegnava alla sfera di influenza tedesca la Lituania e a quella sovietica Lettonia ed Estonia; infine Berlino diede libertà a Mosca di rivedere la frontiera con la Romania. Durante l’occupazione della Polonia, gli accordi tedescosovietici furono rivisti: anche la Lituania fu riconosciuta come 69 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 rientrante nella sfera di influenza sovietica e la Germania poté annettere anche i territori polacchi che sarebbero dovuti restare indipendenti. Dunque, mentre le province orientali nelle quali abitavano bielorussi e ucraini furono annesse all’Unione Sovietica, quelle occidentali entrarono a fare parte del Reich nazista e le restanti costituirono il Governo generale delle province polacche occupate, ospitando i più noti campi di concentramento e sterminio nei quali fu attuato l’atto finale dell’Olocausto ebraico, ma anche detenuti ed eliminati zingari, omosessuali e seguaci di religioni minoritarie, come i testimoni di Geova. Con l’Operazione Barbarossa (con cui ebbe inizio la guerra della Germania contro l’Unione Sovietica) pure le province orientali caddero sotto controllo tedesco. L’occupazione sovietica, durata una ventina di mesi, non vi era stata lieve: l’episodio senza dubbio più grave fu l’uccisione a sangue freddo di 11.000 ufficiali polacchi, considerati ostili all’Unione Sovietica e all’ideologia comunista: a lungo Mosca cercò di attribuire ai tedeschi la responsabilità di quell’eccidio e solo alla fine degli anni ottanta il segretario del PCUS Gorbačëv ammise quale fosse la verità dei fatti e chiese scusa alla nazione polacca. Dopo la sconfitta militare il governo polacco si recò in esilio prima nella limitrofa Romania, quindi a Londra, da dove continuò a svolgere un’intesa attività politica, tanto più che anche cospicui contingenti militari riuscirono a riparare all’estero e successivamente a tornare in linea accanto alle forze inglesi e statunitensi. E’ noto che truppe polacche operarono nella penisola 70 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 italiana negli ultimi anni del conflitto. Molti altri militari polacchi (nonché civili) organizzarono una forte resistenza in patria – con quella jugoslava la più importante dell’intera continente europeo – che aveva come punto di riferimento il governo in esilio e si diede come nome Armia Krajowa (esercito del Paese). Solo in seguito all’aggressione tedesca all’Unione Sovietica, particolarmente dopo che l’esercito sovietico passò alla controffensiva, polacchi militanti di sinistra poterono organizzare l’Armia Ludowa (esercito del popolo), cioè una resistenza di altro segno politico, che rimase tuttavia minoritaria. Essa di fatto conseguì i suoi successi sulla scorta delle vittorie dell’Armata Rossa sovietica, mentre l’Armia Krajowa fu protagonista di episodi di grande rilevanza militare e politica, come l’insurrezione di Varsavia che tenne in scacco le forze tedesche occupanti dall’estate 1944 sino all’inizio del 1945. La pesante repressione nazista stroncò la Resistenza nazionale e forti furono le polemiche al riguardo poiché le truppe sovietiche che si trovavano in un sobborgo di Varsavia non intervennero a favore degli insorti, restando forte il dubbio se quella inazione fosse dovuta a impossibilità militare oppure a calcolo politico. Resta il fatto che dopo di allora la resistenza egemonizzata dal partito comunista e il Comitato di liberazione nazionale costituito a Lublino, da essa espresso e capeggiato dal socialista OsubkaMorawski, si trovarono in posizione di notevole vantaggio per impossessarsi del potere nella Polonia sottratta all’occupazione germanica dall’avanzata sovietica. In quegli eventi si individuano i 71 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 prodromi della futura sorte politica del Paese, destinato al regime comunista e a entrare nel cosiddetto blocco sovietico. Le sorti dei Paesi baltici furono molto simili a quelle della Polonia. Poco dopo il crollo di quest’ultima i governi di Tallinn, Riga e Kaunas furono costretti a siglare con l’Unione Sovietica degli accordi di mutua assistenza. I primi contingenti militari sovietici entrarono nel territorio dei tre Stati sulla scorta di tali accordi, ma a metà del 1940 l’annessione divenne esplicita con la proclamazione, a opera di parlamenti frutto di elezioni non libere, di tre nuove Repubbliche socialiste sovietiche che entrarono a fare parte dell’Unione Sovietica. La Finlandia si oppose con le armi alle richieste sovietiche di correggere ll tracciato della frontiera, considerata pericolosa per Leningrado (l’antica Pietroburgo), ma nonostante una coraggiosa resistenza infine il governo di Helsinki dovette accettare la volontà di Mosca, che, grazie al patto MolotovRibbentrop, non trovava ostacoli nella Germania. Se la Finlandia manteneva tuttavia l’indipendenza, nei Paesi baltici all’annessione seguì l’eliminazione o epurazione di buona parte delle classi dirigenti, poco propense ad accettare la fine dell’indipendenza, ma anche la trasformazione del regime sociale ed economico. Prima ancora dell’annessione Hitler aveva avviato il trasferimento dei 150.000 tedeschi dai tre Stati baltici verso i territori di recente acquisiti dalla Germania; dopo l’inizio della guerra tedescosovietica Lituania, Lettonia ed Estonia furono occupate dalla Werhmacht che trovò una larga disponibilità a collaborare contro i 72 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 sovietici. Nello stesso spirito la Finlandia scese nuovamente in guerra contro l’Unione Sovietica. Gli ulteriori sviluppi bellici, del tutto favorevoli all’Armata Rossa, portarono a un nuovo mutamento della situazione. Da una parte fu ribadita l’annessione all’Unione Sovietica di Lituania (ora con Vilnius capitale), Lettonia ed Estonia, dall’altra la frontiera sovietico-finlandese fu tracciata in modo ancora più favorevole agli interessi dell’Unione Sovietica che divenne persino confinante con la Norvegia. La Finlandia tuttavia non divenne un satellite di Mosca, pur essendo molto condizionata dal Cremlino nella sua politica estera: fu quello un fenomeno molto particolare, sulla base del quale non a caso fu coniato il termine “finlandizzazione”. Alla fine della seconda guerra mondiale era sufficientemente chiaro che l’Europa centro-orientale sarebbe stata sottoposta in larga parte all’influenza dell’Unione Sovietica. Non sempre si comprese che quell’influenza sarebbe stata generalizzata e soprattutto che avrebbe comportato l’introduzione in ogni singolo Paese (fecero eccezione la Grecia e la Finlandia) del modello politico, sociale ed economico sovietico. Contrariamente a quanto si crede, nessuna delle conferenze delle grandi Potenze (Teheran, Jalta, Potsdam) approvò formalmente l’esistenza di zone di influenza, ma con il procedere degli eventi e delle conquiste militari esse furono riconosciute de facto, non essendo alcun governo disposto a scatenare un nuovo conflitto, questa volta tra i Paesi che avevano sconfitto la Germania e i suoi alleati. E’ noto 73 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 però un colloquio intercorso tra Churchill e Stalin a Mosca nell’autunno 1944, in cui in modo del tutto informale si appuntarono su un foglio di carta le percentuali di influenza che l’Inghilterra (ovvero l’Occidente) e l’Unione Sovietica avrebbero dovuto esercitare sui vari Paesi tra il mar Baltico e il mar Nero dopo il termine del conflitto. Quelle percentuali, già abbastanza sbilanciate a favore dei sovietici, non furono rispettate e i regimi comunisti divennero per quasi mezzo secolo la norma in tutta l’area. 74 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 75 Storia dell’Europa centro-orientale 2009-2010 76