Schema generale di International Economics and Finance:
la Bilancia dei pagamenti e i modelli macroeconomici in economia aperta
di Michele Faggion
Indice degli argomenti
1. Da Blanchard (2011):
Argomenti del corso:
1.1 I mercati dei beni e i mercati finanziari in economia aperta (cap. 14)
1.2 I mercati dei beni in economia aperta (cap. 15)
1.3 Produzione, livello dei prezzi e tasso di cambio (cap. 5)
1.4 Regimi di cambio (cap. 6)
Approfondimenti:
a) Mercati finanziari e aspettative (cap. 2)
b) Aspettative, produzione e politica economica (cap. 4)
c) Elevato debito pubblico (cap. 8)
d) Iperinflazione (cap. 9)
e) Politica monetaria e fiscale: regole e vincoli (cap. 11)
f) L’unione economica e monetaria europea (cap. 12)
g) L’euro (cap. 13)
h) Politica economica (cap. 17)
i) La crisi del 2007-2010 (cap. 7)
2. Da Krugman (2007):
Argomenti del corso:
2.1 Moneta, tassi dʼinteresse e tassi di cambio (cap. 4)
2.2 Livello di prezzi e tasso di cambio nel lungo periodo (cap. 5)
2.3 Produzione e tasso di cambio nel breve periodo (cap. 6)
2.4 Tassi di cambio fissi e interventi sul mercato delle valute (cap. 7)
2.5 Politiche macroeconomiche e coordinamento in regime di tassi flessibili (cap. 9)
3. Da Economia Internazionale (Ingham, 2011):
Argomenti del corso:
3.1 La bilancia dei pagamenti
3.2 Il mercato dei cambi
3.3 Il tasso di cambio e la politica economica
3.4 I flussi di capitali e le crisi finanziare
3.5 La mobilità internazionale dei fattori di produzione
Approfondimenti:
a) L’Unione europea nell’economia globale (cap. 12)
b) Le economie europee in transizione nell’economia globale (cap. 13)
c) Le istituzioni internazionali (cap. 14)
d) Le nuove sfide dell’economia globale: commercio internazionale, flussi finanziari e tecnologia
(cap. 15)
e) La teoria della protezione commerciale (cap. 4)
f) Il commercio internazionale e la crescita economica: passato e presente (cap. 6)
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1.1 Il mercato dei beni e i mercati finanziari in economia aperta (Cap. 14, Blanchard)
Il concetto di apertura dei mercati ha tre dimensioni:
1) apertura del mercato dei beni sia per i consumatori che per le imprese. Ovviamente anche i
paesi più liberi impongono dazi (tasse sui beni importati) o quote (restrizioni sulle quantità di
beni che possono essere importati); nella maggiorparte dei paesi, sono comunque e in
diminuzione.
2) apertura dei mercati finanziari: lʼopportunità per gli investimenti finanziari di scegliere tra
attività finanziarie nazionali ed estere. I mercati si stanno integrando e i controlli sui movimenti di
capitali stanno sparendo;
3) apertura dei mercati dei fattori: lʼopportunità delle imprese di scegliere dove localizzare
unʼattività produttiva e per i lavoratori di scegliere dove lavorare. Le imprese multinazionali
gestiscono impianti in molti paese per sfruttare vantaggi di costo (un esempio è lʼaccordo
NAFTA fra Canada, Usa e Messico. Oggi timori simili vengono invocati dalla Cina. Infine,
lʼimmigrazione da paesi con bassi salari verso quelli con salari più elevati è al centro del
dibattito politico.
14.1 I mercati dei beni in economia aperta
Esportazioni e importazioni
Il saldo commerciale o bilancia commerciale è dato dalla differenza fra esportazioni e
importazioni: quando è positivo si parla di avanzo commerciale, quando negativo di disavanzo
commerciale.
Fig. 16.1. Esportazioni e importazioni degli Stati Uniti in rapporto al Pil dal 1960
Un migliore indice di apertura dei mercati è quello dei beni commercializzabili ovvero la
proporzione di prodotto aggregato, beni che competono con i beni esteri sia sul mercato interno
sia sul mercato estero.
Su questi aspetti influiscono anche dimensione e geografia dei paesi (si pensi al caso del
Giappone). Solitamente, più piccolo è un paese, tanto minore sarà il numero di prodotti in cui si
specializza e quindi tanto maggiori saranno i suoi scambi con lʼestero.
La scelta fra beni nazionali e beni esteri
I consumatori scelgono se acquistare beni nazionali o esteri e tale decisione ha effetto diretto sulla
produzione nazionale. La variabile chiave è il prezzo dei beni nazionali in termini di beni esteri
ovvero il tasso di cambio reale. Esso non è osservabile, se non nominale.
Tassi di cambio reali
Il tasso di cambio nominale è il prezzo della moneta nazionale (euro) in termini della moneta
estera (dollari). Se il tasso di cambio euro-dollaro è 1,2, allora 1 euro è uguale a 1,20 dollari. I tassi
di cambio variano continuamente:
- un apprezzamento della moneta nazionale è un aumento del prezzo della moneta nazionale
in termini di moneta estera; un apprezzamento è un aumento del tasso di cambio.
- un deprezzamento della moneta nazionale è una riduzione del prezzo della moneta nazionale
in termini di moneta estera e corrisponde a una diminuzione del tasso di cambio.
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Si parla invece di rivalutazioni o svalutazioni quando un paese adotta un regime di cambi fissi,
un sistema di cambio nel quale due o più paesi mantengono un tasso di cambio costante fra le loro
valute. In questo sistema, gli aumenti del tasso di cambio che sono rari vengono detti rivalutazioni
e viceversa svalutazioni.
Fig. 16.2. Tasso di cambio nominale tra l euro e il dollaro, 1999-2008.
Il tasso di cambio reale, ovvero il prezzo dei beni nazionali in termini di beni esteri, è costruito
moltiplicando il prezzo nazionale (il deflatore del PIL nazionale) per il tasso di cambio
nominale, e dividendo poi per il prezzo dei beni esteri (il deflatore del PIL estero).
epselon = E * (P/P*)
Solitamente le fluttuazioni dei due tassi di cambio sono simili, perché i tassi di inflazione sono
simili. Per vedere alcuni dai europei, si veda pp. 356-357.
Fig. 16.4. Tasso di cambio reale e nominale tra l Italia e gli Stati Uniti, 1999-2005.
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14.2 I mercati finanziari in economia aperta
Lʼapertura dei mercati significa la possibilità di diversificare i portafogli, di speculare fra le
fluttuazioni dei tassi di interesse e dei tassi di cambio.
Dato che lʼacquisto o la vendita di attività finanziarie estere comporta lʼacquisto o la vendita di
moneta estera o valuta estera, la dimensione delle transazioni sul mercato delle valute è un
indicatore dellʼimportanza delle transazioni finanziarie internazionali.
Per un paese, lʼapertura dei mercati finanziari permette allo stesso di registrare avanzi o
disavanzi commerciali:
Se un paese è in disavanzo commerciale, compra dallʼestero più di quanto vende allʼestero: è
quindi necessario che prenda a prestito la differenza fra il valore delle sue importazioni e quello
delle sue esportazioni: riesce a farlo rendendo conveniente per gli investitori esteri
aumentare la loro quota di attività finanziarie nazionali, il che equivale a prestare denaro al
paese.
La bilancia dei pagamenti
Le transazioni di un paese verso del mondo è descritta in una serie di conti (che compongono la
bilancia dei pagamenti):
a) transazioni sopra la linea: conto corrente
b) transazioni sotto la linea: conto capitale
Il conto corrente. Le transazioni registrano tutti i pagamenti da e verso il resto del mondo:
- le prime due righe riguardano beni e servizi
- i residenti inoltre ricevono reddito da investimenti dalla attività finanziarie estere che
possiedono e i cittadini residenti allʼestero ricevono un reddito dʼinvestimento dalle attività
finanziarie nazionali incluse nel loro portafoglio.
- i paesi inoltre danno e ricevono aiuti dallʼestero. Il valore netto di tali aiuti è registrato sotto la
voce trasferimenti netti ricevuti.
La somma di questi pagamenti da e verso il resto del mondo è chiamata saldo di conto corrente:
- se i pagamenti dal resto del mondo sono positivi, si ha un avanzo di conto corrente;
- viceversa si ha un disavanzo di conto corrente.
Il conto capitale. Nel 2003 il disavanzo corrente degli USA costringeva il paese a prendere a
prestito 541 milairdi di dollari dal resto del mondo, o a indurre il resto del mondo ad aumentare
lʼinvestimento in attività finanziarie statunitensi della stessa cifra. I numeri sotto la linea ci dicono
comʼè avvenuto ciò.
Nello specifico, gli USA hanno registrato un aumento netto dellʼindebitamento con lʼestero
(aumento delle attività finanziarie USA tenute dal resto del mondo al netto da quelle tenute dagli
USA), detto anche flussi netti di capitale o saldo del conto capitale: flussi netti di capitale
positivi sono chiamati avanzo del conto capitale, viceversa di parla di disavanzo.
Infine, lʼultima voce è la discrepanza statistica.
La scelta fra attività finanziarie nazionali o estere
Tale scelta dipende, oltre che dalla redditività dei titoli e dai tassi di interesse, bisogna formulare
unʼaspettativa sullʼandamento del tasso di cambio per i prossimi anni.
Assumendo che gli investitori vogliano detenere attività finanziaria con il rendimento più elevato,
per detenere sia titoli nazionali che esteri, essi devono avere lo stesso tasso di rendimento
atteso, cioè deve valere la seguente condizione di arbitraggio (si vedano le formule a pag.
362).
Lʼequazione è chiamata parità scoperta dei tassi di interesse o parità dei tassi di interesse.
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Lʼipotesi che gli investitori finanziaria detengano soltanto i titoli con tasso di rendimento atteso più
alto è evidentemente troppo restrittiva per due ragioni:
a) ignora i costi di transazione;
b) ignora lʼesistenza del rischio, in quanto il tasso di cambio è incerto.
Tuttavia tale condizione spiega bene i movimenti di capitale fra i principali mercati finanziari del
mondo. Notizie di apprezzamenti o viceversa possono spostare miliardi in pochi minuti. La
condizione di arbitraggio è quindi una buona approssimazione della realtà.
In altri paesi, dove i mercati dei capitali sono di dimensioni inferiori o meno avanzati, o dove
esistono controlli di capitale, gli investitori saranno più propensi a scegliere il tasso di interesse
nazionale più di quanto non risulti dallʼequazione.
Si parla di parità “scoperta”, per distinguerla da “parità coperta”. La parità coperta di tassi di
interesse è derivata osservando la seguente scelta: acquistare e tenere titoli italiani per un anno
oppure acquistare dollari oggi, acquistare titoli usa annuali e accordarsi per vendere dollari in
cambio di euro fra un anno a un prezzo prefissato, chiamato tasso di cambio a termine. Il tasso
di rendimento di queste due alternative, entrambe realizzabili oggi senza rischio, deve essere lo
stesso.
La parità coperta dei tassi di interesse è una condizione di arbitraggio in condizioni di certezza
(assenza di rischio).
Tassi di interesse e tassi di cambio
Lʼarbitraggio fa si che il tasso di interesse interna sia (approssivativamente) uguale al tasso
di interesse estero meno il tasso di apprezzamento atteso della moneta interna. Si noti che il
tasso di apprezzamento atteso della moneta nazionale è anche il tasso di deprezzamento atteso
della moneta estera.
Quindi lʼequazione può essere espressa dicendo che il tasso di interesse nazionale deve essere
uguale al tasso di interesse estero meno il tasso di deprezzamento atteso della moneta estera.
La relazione di arbitraggio fra tassi di interesse e tassi di cambio ci suggerisce che, a meno che i
mercati valutari non si aspettino forti deprezzamenti o apprezzamenti, i tassi di interesse interno ed
esterno si muoveranno insieme.
Infine, se osserviamo i movimenti dei tassi di interesse fra paesi diversi, possiamo notare che
siano spesso strettamente correlati, seppure con momenti di divergenza (ad esempio, fra Italia e
USA nel grafico seguente).
Fig. 16.7. Tassi di interesse nominale in Italia e negli Stati Uniti, 1999-2005.
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1.2 Il mercato dei beni in economia aperta (Cap. 15, Blanchard)
Recessione negli USA: significa per gli altri paesi minori esportazioni verso gli USA, un
peggioramento della loro posizione commerciale, un maggior rischio di recessione per le loro
economie
15.1 La curva IS in economa aperta
Domanda nazionale di beni (rivolta in parte anche a beni esteri) diverso da domanda di beni
nazionali (parte di essa proviene dallʼestero).
Domanda di beni nazionali in economia aperta
Z = C + I + G + IM/epselon + X
C+I+G = domanda nazionale di beni. Aggiustamenti:
- IM sono le importazioni che devono essere sottratte, cioè parte della domanda nazionale rivolta
ai beni esteri, espressi nella valuta nazionale. Per questo le importazioni sono espresse in base
al tasso di cambio reale, il prezzo relativo dei beni esteri in termini di beni nazionali.
- X sono le esportazioni ovvero la domanda di beni nazionali da parte del resto del mondo.
Determinanti della domanda di beni nazionali
a) le decisioni di spesa dei consumatori dipendono dal loro reddito e dalla loro ricchezza;
b) il tasso di cambio reale influenza la composizione della spesa per consumo di beni nazionali
e di beni esteri, ma non il livello. Stessa cosa vale per gli investimenti.
C + I + G = C (Y - T) + I (Y, r “-”) + G
dove r è il tasso di interesse reale e allʼaumenta di esso, diminuiscono gli investimenti.
Consideriamo G esogena.
a) Le determinanti delle importazioni
1) il loro livello dipende dal livello aggregato della domanda nazionale (Y): quanto maggiore è la
domanda interna, tanto più elevata sarà la domanda di tutti i beni, sia nazionali, sia esteri.
2) dipendono dal tasso di cambio reale, il prezzo di beni nazionali in termini di beni esteri.
Quanto maggiore è tale prezzo, tanto maggiore sarà la domanda relativa di beni esteri, e
tanto maggiori saranno le importazioni; cioè un maggior tasso di cambio reale è
associato a maggiori importazioni.
IM = IM (Y, epselon “+”)
Un tasso di cambio reale più elevato rende i beni nazionali relativamente meno costosi e
quindi aumenta la quantità di importazioni IM.
b) Le determinanti delle esportazioni
1) il loro livello dipende dal reddito estero (Y*); un maggior reddito estero dà luogo a una
maggiore domanda estera per tutti i beni sia nazionali sia esteri; un maggior reddito estero fa
aumentare le esportazioni;
2) dipendono dal tasso di cambio; quanto maggiore è il prezzo dei beni nazionali rispetto ai
beni estri, tanto minore sarà la domanda estera di beni nazionali. In altre parole, tanto
maggiore è il tasso di cambio, tanto minori sono le esportazioni.
X = X (Y*, epselon “-”)
Un incremento della produzione estera induce un incremento della domanda estera di tutti i beni e
quindi anche delle esportazioni.
Un incremento del tasso di cambio reale rende i beni esteri relativamente più costosi e
quindi genera una riduzione delle esportazioni.
In generale, comunque, un incremento del reddito fa aumenta la domanda in misura meno che
proporzionale (si veda la figura 15.1 pag. 375).
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Vi sono delle osservazioni da fare:
- la domanda nazionale di beni (meno le importazioni, al netto delle esportazioni) è più più piatta
rispetto alla domanda nazionale, perché parte della domanda è rivolta anche ai beni esteri:
allʼaumentare del reddito, la domanda interna di beni nazionali aumenta meno della domanda
interna nazionale.
- è positivamente inclinata: un incremento del reddito fa aumentare la domanda interna di
beni nazionali.
Poi aggiungiamo le esportazioni:
- non dipendono dalla produzione interna;
Possiamo così commentare lʼandamento delle esportazioni nette o bilancia commerciale (pag.
375), ovvero la differenza fra esportazioni e importazioni (X - IM/epselon) in funzione della
produzione:
- un valore positivo è un avanzo commerciale;
- un valore negativo è un disavanzo commerciale.
Le esportazioni nette sono una funzione decrescente della produzione: allʼaumentare della
produzione, le importazioni aumentano e le esportazioni rimangono invariate, per cui le
esportazioni nette diminuiscono.
15.2 Produzione di equilibrio e bilancia commerciale
La produzione di equilibrio è il punto dove la domanda è uguale alla produzione e può essere
associata a un avanzo o a un disavanzo commerciale.
15.3 Aumenti della domanda estera o nazionale
Aumento della domanda nazionale
Supponiamo che lʼeconomia sia in recessione e il governo stia pensando di aumentare la spesa
pubblica. Quali sono gli effetti su produzione e bilancia commerciale?
Con lʼaumento della spesa pubblica, aumenta la domanda nazionale di beni e quindi la
produzione: lʼincremento della produzione è maggiore dellʼaumento della spesa pubblica, per
effetto del moltiplicatore. Più altri effetti:
a) poiché la spesa pubblica non entra nellʼequazione ne delle esportazioni, ne delle importazioni,
la retta della BC non si sposta. Lʼincremento di G causa quindi un disavanzo commerciale.
b) lʼeffetto di G sulla produzione è inferiore rispetto a quello in economia chiusa: il moltiplicatore è
più piccolo che in economia chiusa. Questo deriva da una causa: lʼaumento della domanda
di beni ricade sia su beni nazionali sia su beni esteri. Di conseguenza, quando la produzione
aumenta, lʼeffetto sulla domanda di beni nazionali è più piccolo di quello che si avrebbe
in economia chiusa, ed il valore del moltiplicatore è più piccolo. Inoltre, parte
dellʼaumento della domanda è rivolto alle importazioni - e le esportazioni sono invariate ne risulta un disavanzo commerciale.
In economia aperta quindi, un aumento della domanda interna incide sulla produzione in misura
inferiore rispetto al caso di unʼeconomia chiusa, e inoltre ha un effetto negativo sulla bilancia
commerciale. Eʼ il caso del Belgio che ha un rapporto Importazioni/PIL dellʼ80%. Quando la
domanda in Belgio aumenta, tale incremento si riflette in un aumento delle importazioni invece
che in quello della domanda di beni nazionali. Eʼ quindi probabile che un incremento di G
provochi un peggioramento del disavanzo commerciale e un modesto aumento della
produzione, rendendo lʼespansione della domanda interna una politica sconveniente per il
paese.
Anche gli Stati Uniti, che hanno un rapporto Importazioni/PIL del 14%, un aumento della
domanda sarebbe comunque associato a un certo deterioramento della bilancia commerciale.
Aumento della domanda estera
Un aumento della produzione estera (Y*) provoca un incremento delle esportazioni del paese:
a) per ogni livello un aumento delle esportazioni della domanda di beni nazionali;
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b) quindi, un incremento del prodotto estero provoca un aumento (delle esportazioni e) della
produzione nazionale. Un maggior livello di produzione genera maggiori esportazioni di
beni nazionali, che a loro volta fanno aumentare la produzione interna e la domanda
nazionale di beni attraverso il moltiplicatore.
c) la bilancia commerciale deve migliorare. Quindi, un aumento della produzione estera
aumenta la produzione e migliora la bilancia commerciale. Le importazioni aumentano, ma
non in misura tale da compensare lʼincremento delle esportazioni.
Un riesame della politica fiscale
Il caso dellʼincremento della spesa pubblica (e quindi della produzione) che provoca un
peggioramento del saldo commerciale) è identico quello della riduzione delle imposte, di un
aumento della spesa per consumi, ecc.
Ciò che abbiamo visto comporta che:
1) gli shock di domanda in un paese hanno effetti anche negli altri paesi: quanto maggiori sono i
legami commerciali, tanto maggiori sono le interazioni e più i paesi avranno andamenti
economici simili;
Ad esempio, molti paesi OCSE hanno vissuto negli anni ʼ90 una forte espansione economica,
seguita da un rallentamento e da una recessione nei primi anni 2000. Eʼ vero che hanno vissuto
lo stesso periodo di “euforia irrazionale”e lo stesso ciclo di investimenti degli USA. Tuttavia
lʼevidenza empirica suggerisce che anche i legami commerciali hanno avuto un ruolo
2) Tali interazioni complicano il ruolo della politica economica.
I governi preferiscono non incorrere in disavanzi commerciali per le seguenti ragioni:
a) un paese con un disavanzo commerciale cronico accumula debito nei confronti del
presto del mondo e quindi deve pagare interessi sempre più alti al resto del mondo. Non
è sorprendente che i paesi prediligano incrementi della domanda estera, che provocano un
miglioramento della bilancia commerciale.
In paesi con forti legami commerciali e una bilancia più o meno in pareggio, se cadessero in
recessione, un incremento della domanda interna avrebbe scarsi effetti sulla produzione e quindi
ciascuno aspetterà che lʼaltro intervenga e la recessione persisterà.
Una via dʼuscita a questo problema è la seguente: se tutti i paesi coordinassero le loro
politiche macroeconomiche in modo da aumentare la domanda interna simultaneamente,
potrebbero aumentare la produzione senza generare maggiori disavanzi commerciali fra
loro. Lʼaumento coordinato della domanda genererebbe aumenti sia nelle importazioni che nelle
esportazioni, che compenserebbero lʼaumento delle importazioni di ogni paese.
I paesi oggi si coordinano in diversi organismi, come il G7: USA, Giappone, Francia, Germania,
Belgio, Regno Unito, Italia e Canada. Purtroppo si è lontani dal coordinamento vero perché:
1) il coordinamento potrebbe richiedere ad alcuni paesi di intervenire più di altri e non è detto che
siano disposti a farlo;
2) i paesi hanno un forte incentivo a promettere di aderire al coordinamento, per poi rinnegare la
loro promessa (e ci sarà unʼespansione della domanda insufficiente ad uscire dalla recessione).
I paesi dellʼUnione europea soffrono di problemi di coordinamento. Si pensi al caso dei
socialisti francesi allʼinizio degli anni ʼ80.
15.4 Deprezzamento, bilancia commerciale e produzione
Il tasso di cambio reale è dato da:
epselon = E * (P/P*)
ovvero dal tasso di cambio reale (il prezzo relativo della valuta nazionale per la valuta estera) *
livello di prezzi interni/livello dei prezzi esteri*
Si ricorda già ora che un deprezzamento nominale genera un deprezzamento reale nel breve
periodo, ma non nel medio periodo.
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Deprezzamento e bilancia commerciale: la condizione di Marshll-Lerner
Il tasso di cambio reale influenza sia le esportazioni che le importazioni, quindi un deprezzamento
reale (un aumento di epselon) ha nel breve periodo influenza la bilancia commerciale su tre
canali:
a) X aumenta. Un deprezzamento reale rende i beni nazionali relativamente meno costosi
allʼestero, provoca un aumento della domanda interna di beni nazionali e quindi un
incremento delle esportazioni;
b) IM diminuisce. Il deprezzamento reale rende i beni esteri relativamente più costosi,
provoca un aumento della domanda interna di beni nazionali e quindi una riduzione delle
importazioni.
c) Il prezzo relativo dei beni esteri in termini di beni nazionali, ovvero il rapporto del tasso di
cambio 1/epselon, aumenta. Questo tende ad aumentare il valore delle importazioni, IM/
epselon. La stessa quantità di importazioni adesso costa di più.
Così, affinché la bilancia commerciale migliori a seguito di un deprezzamento, le esportazioni
devono aumentare in misura sufficiente e le importazioni devono diminuire abbastanza da
compensare lʼaumento dei prezzi dei beni importati. La condizione in base alla quale un
deprezzamento reale genera un aumento delle esportazioni nette è nota come Condizione di
Marshall-Lerner, condizione che nella realtà è soddisfatta.
Gli effetti di un deprezzamento
Gli effetti non finiscono. La variazione delle esportazioni fa variare a sua volta la produzione
nazionale, influenzano ulteriormente le esportazioni nette. Gli aumenti sono simili a quelli
dellʼaumento della produzione estera. La bilancia commerciale migliora: lʼaumento delle
importazioni indotto da un incremento della produzione è inferiore al miglioramento della bilancia
commerciale indotto direttamente dal deprezzamento. In sintesi, il deprezzamento provoca una
variazione della domanda, sia estera sia interna, a favore dei beni nazionali. Questo genera
a sua volta un aumento della produzione interna e un miglioramento della bilancia
commerciale.
In sintesi, il deprezzamento provoca una variazione della domanda, sia estera sia interna, a favore
dei beni nazionali. Questo genera a sua volta un aumento della produzione interna e un
miglioramento della bilancia commerciale.
Fra un deprezzamento e un aumento della produzione estera cʼè una sottile differenza: un
deprezzamento agisce rendendo i beni esteri relativamente più costosi. Questo significa che,
dato il loro reddito, le persone, che ora spendono di più per acquistare i beni esteri, vedono
ridotto il loro tenore di vita.
Questo meccanismo è avvertito nei paesi che sperimentano forti deprezzamenti; le conseguenze
sono rivolte e scioperi contro il rincaro dei beni esteri.
Un caso simile è quello del Messico, dove il forte deprezzamento del peso dal 1994 al 1995 da
0,29 dollari per peso (nov- 1994) a 0,17 (mag 1995), ha peggiorato notevolmente il tenore di vita,
suscitando forti tensioni sociali. Unʼalternativa alle rivolte è chiedere e ottenere un aumento dei
salari. Tuttavia se i salari aumentano, il prezzo dei beni nazionali aumenterà anchʼesso,
generando un minor deprezzamento reale.
La combinazione di politiche fiscali e di cambio
Supponiamo che il governo voglia ridurre il disavanzo commerciale senza cambiare il livello di
produzione aggregata. In tal caso, il deprezzamento non permetterà di raggiungere questo
obiettivo, perché ridurrebbe il deficit commerciale, ma aumenterebbe i livelli di produzione. Anche
una stretta fiscale ridurrebbe il deficit commerciale, ma anche la produzione. La risposta è una
combinazione fra deprezzamento e stretta fiscale. Il governo deve fare due cose:
1) generare un deprezzamento sufficiente a eliminare il disavanzo commerciale al livello iniziale di
produzione;
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2) ridurre la spesa pubblica, lasciando invariato il livello di produzione e migliorando la bilancia
commerciale.
Così i governi utilizzano sia la politica fiscale sia quella del tasso di cambio.
Purtroppo, a seconda del livello iniziale di produzione, un deprezzamento non garantisce che si
generi un incremento sufficiente di prodotto a eliminare il disavanzo commerciale e magari sarà
necessario accompagnare la misura con unʼaumento o diminuzione della spesa pubblica.
15.5 Uno sguardo alla dinamica: la curva J
Un deprezzamento provoca un aumento delle esportazioni e una diminuzione delle importazioni,
ma ciò non accade subito! Nei primi mesi dopo il deprezzamento, lʼeffetto si rifletterà più sui prezzi
che sulle quantità. Il prezzo delle importazioni aumenterà, mentre il prezzo delle esportazioni
diminuisce. La quantità si aggiusterà lievemente: ci vuole un poʼ di tempo prima che i consumatori
si rendano conto che i prezzi relativi sono cambiati, prima che le imprese si rivolgano a fornitori
che praticano prezzi più convenienti, e così via. Eʼ possibile quindi che un deprezzamento causi
un peggioramento iniziale della bilancia commerciale: epselon diminuisce ma ne X ne IM si
aggiustano in misura significativa, generando così una diminuzione delle esportazioni nette.
Con il passare del tempo, gli effetti sui prezzi si rafforzano: le esportazioni aumentano, le
importazioni diminuiscono.
Se la condizione M-L è soddisfatta, la variazioni su esportazioni e importazioni diventa più forte di
quella sui prezzi e lʼeffetto finale è il miglioramento della bilancia commerciale (figura pag. 389).
Nel periodo 1980-1985 cʼè stato un brusco apprezzamento reale negli USA, seguito da un rapido
deprezzamento dal 1985 al 1988; dal punto di vista della bilancia commerciale, i fatti sono due:
1) le variazioni del tasso di cambio reale si sono effettivamente riflesse in movimenti paralleli
delle esportazioni nette; lʼapprezamento è stato associato a un ampio deterioramento della
bilancia commerciale, e il successivo deprezzamento è stato accompagnato da un sensibile
miglioramento della bilancia commerciale.
2) tuttavia si osservano ritardi non irrilevanti nella risposta della bilancia commerciale a variazioni
del tasso di cambio reale. Un deprezzamento reale impiega circa dai 6 mesi a 1 anno a
tramutarsi in un miglioramento della bilancia commerciale (evidenza dei paesi OCSE).
15.6 Risparmio, investimento e disavanzo commerciale
Riordinando la formula del PIL, possiamo scrivere:
NX = S + (T - G) - I
Questa condizione dice che:
In equilibrio, la bilancia commerciale deve essere uguale al risparmio - privato (S) e pubblico (TG) meno gli investimenti (I). Quindi, un avanzo commerciale corrisponde ad un eccesso di
risparmio sullʼinvestimento. Un disavanzo commerciale corrisponde invece a un eccesso di
investimento sul risparmio.
Ricordando il significato di conto corrente e di conto capitale:
- un avanzo commerciale comporta un prestito netto al presto del mondo;
- mentre un disavanzo commerciale comporta un debito netto nei confronti del resto del
mondo;
Se consideriamo un paese che investe di più di quanto non risparmi, S + (T-G) - I è una quantità
negativa: quel paese dovrà prendere a prestito la differenza dal resto del mondo, cioè dovrà
sopportare un disavanzo commerciale.
Possiamo fare quindi alcune considerazioni:
a) un aumento degli investimenti deve riflettersi in un aumento del risparmio privato, del risparmio
pubblico o in un peggioramento del saldo commerciale;
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b) un aumento del disavanzo di bilancio deve riflettersi in un aumento del risparmio privato, in una
riduzione dellʼinvestimento o in un peggioramento del saldo commerciale;
c) un paese con alto tasso di risparmio deve avere o un elevato tasso di investimento o un
significativo avanzo commerciale.
Notiamo anche quello che lʼequazione non dice. Non dice se, e a quali condizioni, un disavanzo di
bilancio si rifletta in un aumento del risparmio privato, o in una riduzione dellʼinvestimento.
In realtà, un deprezzamento incide sul risparmio e sullʼinvestimento, attraverso la domanda di beni
nazionali e attraverso un aumento della produzione. Una produzione più elevata fa aumentare il
risparmio rispetto allʼinvestimento o, equivalentemente, riduce il disavanzo commerciale.
Y = C (Y " T ) + I (Y , r ) + G " IM (Y , ! ) / ! + X (Y , ! )
*
Focus: il disavanzo commerciale statunitense: origini e implicazioni (pag. 393).
Il disavanzo commerciale statunitense ha raggiungo nel 2003 il record del 4,5% del PIL. Tre sono
i fattori dʼorigine del disavanzo commerciale USA:
1) tasso di crescita elevato degli USA negli anni ʼ90 rispetto al resto del mondo, per via della New
Economy; la principale fonte sono però consumi e investimenti interni;
2) continuo apprezzamento reale dei beni statunitensi, ovvero lʼaumento continuo del tasso di
cambio reale multilaterale del dollaro. Dal 2002 il dollaro si è deprezzato, ma il deprezzamento
è stato limitato e il tasso di cambio oggi è più alto che nella metà degli anni ʼ90;
3) spostamento delle funzioni di esportazioni e importazioni.
Eʼ comunque probabile che gli USA non possano continuare a permettersi in futuro di farsi
prestare 500 miliardi di dollari allʼanno per finanziare il loro disavanzo commerciale.
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1.3 Produzione, livello dei prezzi e tasso di cambio (Cap. 5, Blanchard)
Si è ipotizzato che il tasso di cambio nominale fosse uno strumento di politica economica del
governo, e che nel breve periodo fosse uguale al tasso di cambio reale.
In realtà, non è prettamente uno strumento di politica economica, perché è determinato sul
mercato dei cambi. Quindi, cosa determina e cosa può influenzare il tasso di cambio?
Il modello è unʼestensione di quello IS-LM, detto modello di Mundell-Fleming.
5.1 Lʼequilibrio del mercato dei beni
Affinché il mercato sia in equilibrio, la produzione deve essere uguale alla domanda di beni
nazionali. La domanda è a sua volta uguale a consumo, investimento e spesa pubblica, più
esportazioni e meno importazioni (detti X “esportazioni nette” o “bilancia commerciale”, X-IM/
epselon):
- il consumo dipende positivamente dal reddito disponibile;
- lʼinvestimento dipende positivamente da produzione e negativamente dal tasso di interesse
reale.
- la spesa pubblica è considerata esogena.
- le esportazioni nette dipendono da produzione interna, produzione estera e tasso di cambio
reale.
Ripassando:
1) un aumento della produzione interna fa aumentare le importazioni e quindi diminuisce le
esportazioni nette;
2) un incremento della produzione estera fa aumentare le esportazioni e quindi le esportazioni
nette;
3) una riduzione di epselon, ovvero del tasso di cambio reale, un deprezzamento reale provoca
(sotto la condizione di Marshall-Lerner) un incremento delle esportazioni nette.
Inoltre:
a) un aumento del tasso di interesse reale genera una riduzione della spesa per investimenti
e quindi una riduzione della domanda di beni nazionali. Questo conduce, attraverso il
moltiplicatore, ad una diminuzione della produzione;
b) un aumento del tasso di cambio reale, un apprezzamento reale, provoca uno spostamento
della domanda a favore dei beni esteri e quindi un calo delle esportazioni nette, che a sua volta,
fa diminuire domanda e produzione.
Va precisato che, riferendoci al breve periodo, il livello dei prezzi è esogeno, come per quelli
esteri. Su questa base tasso di cambio nominale e reale si muovono allo stesso modo (un
deprezzamento nominale provoca un deprezzamento reale dello stesso ammontare).
La seconda semplificazione è lʼassenza di inflazione, effettiva o attesa, in quanto i livelli dei
prezzi sono dati. Il tasso di interesse reale è quindi uguale a quello nominale.
5.2 Lʼequilibrio nei mercati finanziari
Le persone scelgono fra due attività finanziarie, moneta e titoli. In economia aperta, però, le
persone possono scegliere anche fra titoli nazionali e titoli esteri.
12
La scelta fra moneta e titoli
M
= YL(i )
P
Abbiamo assunto che lʼofferta reale di moneta (lato sinistro) fosse data, perché lo stock di moneta
è dato dal livello dei prezzi che è costante) e che la domanda reale di moneta dipendesse dal
livello di transazioni nellʼeconomia (misurato dalla produzione reale Y) e dal costo opportunità
di detenere moneta anziché titoli (è il tasso di interesse nominale i).
In economia aperta, le modifiche al modello sono le seguenti:
a) la domanda di moneta nazionale rimane è ancora attribuita ai cittadini residenti, che dipende
ancora dal livello di transazioni (approssimato alla produzione interna) e dal costo opportunità di
tenere moneta (il tasso d interesse nominale sui titoli).
In economia aperta, quindi, secondo lʼequazione sopra, il tasso di interesse nominale deve
eguagliare domanda ed offerta di moneta:
1) un aumento dellʼofferta di moneta induce una riduzione del tasso di interesse;
2) au aumento della domanda di moneta (per esempio a causa di un incremento della
produzione) provoca un aumento del tasso di interesse.
La scelta fra titoli nazionali e titoli esteri
Per analizzare questa scelta, ci si basa sullʼipotesi per cui investitori, nazionali o stranieri, cercano
il tasso di rendimento atteso più elevato; affinché in equilibrio siano detenuti sia titoli nazionali che
esteri, essi dovranno avere lo stesso tasso di rendimento atteso. Deve essere soddisfatta la
seguente condizione di arbitraggio:
(1 + it ) = (1 + it* )
E =
t
1+ i
E
1+ i
t
e
*
t +1
Et
Ete+1
t
Questa condizione è nota come parità dei tassi dʼinteresse, per cui in equilibrio i rendimenti dei
titoli devono essere uguali.
Lʼequazione indica una relazione positiva fra tasso di interesse nazionale e tasso di cambio:
1) dato il tasso di cambio futuro atteso e il tasso di interesse estero, un aumento del tasso di
interesse interno provoca un aumento del tasso di cambio, cioè un apprezzamento;
2) viceversa, una diminuzione del tasso di interesse interno provoca una riduzione del tasso
di cambio, cioè un deprezzamento.
Esempio. Supponiamo che a seguito di una restrizione monetaria negli USA, il tasso di interesse
USA aumenti. Dato il tasso di cambio, i titoli USA diventano più convenienti, per cui gli investitori
finanziari dovranno scambiare titoli europei per titoli statunitensi; per fare questo, dovranno
vendere i titoli europei che possiedono che possiedono per ricavare euro, per poi scambiare euro
con dollari, e infine usare i dollari ottenuti per acquistare i titoli statunitensi. La vendita di euro per
dollari genera un apprezzamento del dollaro.
Non è difficile intuire perché un aumento del tasso di interesse statunitense provochi un
apprezzamento del dollaro: una maggior domanda di dollari ne fa aumentare il prezzo.
Ciò che è meno ovvio è di quanto il dollaro debba deprezzarsi.
Il punto importante è il seguente: se gli investitori non modificano le loro aspettative sul tasso di
cambio futuro, allora quanto più forte è lʼapprezzamento del dollaro oggi, tanto più gli investitori si
aspetteranno un suo deprezzamento in futuro.
A parità di altre condizioni, questa aspettativa rende i titoli europei più convenienti: quando ci si
spetta che il dollaro si deprezzi, un dato tasso di rendimento in euro genera un maggior tasso di
rendimento in dollari.
13
Lʼapprezzamento iniziale del dollaro deve pertanto essere tale per cui il deprezzamento futuro
atteso compensi lʼaumento del tasso di interesse interno. In questo caso, gli investitori torneranno
ad essere indifferenti e il mercato sarà in equilibrio.
Fig. 18.1. La relazione tra il tasso di
interesse e il tasso di cambio descritta
dalla parità dei tassi di interesse.
Un maggior tasso di interesse comporta un
maggior tasso di cambio, cioè un
apprezzamento.
Il tasso di cambio corrente dipende dal tasso di interesse nominale, dal tasso di interesse estero e
dal tasso di cambio atteso:
1. un aumento del tasso di interesse interno provoca un aumento del tasso di cambio;
2. un aumento del tasso di interesse estero provoca una riduzione del tasso di cambio;
3. un aumento del tasso di cambio atteso porta a un aumento del tasso di cambio corrente.
Ipotesi fondamentale: quando il tasso di interesse cambia, il tasso di cambio atteso resta
invariato.
Questo implica che un apprezzamento oggi porta a un deprezzamento atteso in futuro, poiché ci si
aspetta che il tasso di cambio torni allo stesso valore.
La relazione tra tasso di interesse e tasso di cambio è chiamata la parità dei tassi di interesse.
Quando il tasso di interesse interno è uguale al tasso di interesse estero, il tasso di cambio
corrente è uguale al tasso di cambio futuro atteso.
5.3 Unʼanalisi congiunta dei mercati reali e finanziari
Lʼequilibrio del mercato dei beni richiede che la produzione dipenda dai seguenti fattori, fra cui
tasso di interesse e tasso di cambio:
Y = C (Y ! T ) + I (Y , i ) + G + NX (Y ,Y , E )
*
Il tasso di interesse è determinato dallʼeguaglianza fra domanda ed offerta di moneta (nel mercato
finanziario):
M
= YL(i)
P
La parità del tasso di interesse, infine, fa sì che vi sia una relazione positiva fra il tasso di
interesse interno e il tasso di cambio:
Insieme, queste tre relazioni determinano la produzione, il tasso di interesse e il tasso di cambio.
Possiamo ridurle a due:
1+ i e #
&
Y = C (Y ' T ) + I (Y , i ) + G + NX $Y , Y *,
E !
1
+
i
*
%
"
IS:
M
= YL(i)
LM: P
Consideriamo la curva IS e analizziamo gli effetti sulla produzione di un aumento del tasso di
interesse, che ha due effetti:
14
1) il primo (già in economia chiusa), è lʼeffetto diretto sullʼinvestimento. Un tasso di interesse più
elevato provoca una riduzione dellʼinvestimento e quindi una diminuzione della domanda di beni
nazionali.
2) il secondo opera attraverso il tasso di cambio. Un aumento del tasso di interesse interno genera
un apprezzamento. Questʼultimo, rende i beni nazionali relativamente più costosi, provoca a
sua volta una riduzione delle esportazioni nette e quindi una riduzione della domanda di beni
nazionali.
Entrambi gli effetti operano nella stessa direzione: un aumento del tasso di interesse riduce la
domanda e - attraverso il moltiplicatore - anche la produzione; il moltiplicatore qui è più piccolo
rispetto allʼeconomia chiusa, in quanto ora parte della domanda è rivolta ai beni esteri
anziché ai beni nazionali.
a) la curva IS è inclinata negativamente: un aumento del tasso di interesse provoca una riduzione
della produzione; il tasso di interesse influenza la produzione sia direttamente, sia
indirettamente attraverso il tasso di cambio;
b) la curva LM è inclinata positivamente, uguale allʼeconomia chiusa. Per un dato valore dello
stock reale di moneta (M/P), un aumento della produzione fa aumentare la domanda di
moneta e quindi anche il tasso di interesse di equilibrio.
Fig. 18.2. Il modello IS-LM in economia aperta
5.4 Gli effetti della politica economica in economia aperta
1) Gli effetti della politica fiscale in economia aperta
Consideriamo un aumento della spesa pubblica.
Fig. 18.3. Gli effetti di un aumento della spesa pubblica.
Un aumento della spesa pubblica provoca un aumento della produzione, un incremento del tasso di
interesse e un apprezzamento del tasso di cambio.
15
Passaggi:
- unʼaumento della spesa pubblica fa aumentare la produzione a parità di tasso di interesse e
quindi sposta la curva IS verso destra.
- poiché la spesa pubblica non entra nella curva LM, questa non si sposta.
- il nuovo equilibrio comporta un maggior tasso di interesse.
- questo maggior tasso di interesse induce un aumento del tasso di cambio, un
apprezzamento.
Quindi, un aumento della spesa pubblica provoca quindi un incremento del prodotto, un
aumento del tasso di interesse e un apprezzamento.
A parole, un aumento della spesa pubblica fa aumentare la domanda e quindi anche la
produzione. Allʼaumentare della produzione, aumenta anche la domanda di moneta, generando
pressioni per lʼaumento del tasso di interesse.
A sua volta, lʼincremento del tasso di interesse rende i titoli nazionali relativamente più convenienti,
e genera un apprezzamento della moneta nazionale. Il maggior tasso di interesse e
lʼapprezzamento inducono entrambi una riduzione della domanda di beni nazionali, compensando
quindi parte dellʼeffetto della spesa pubblica sulla domanda e sulla produzione.
Guardando invece alle componenti della domanda:
a) il consumo e la spesa pubblica chiaramente aumentano, il primo a causa dellʼaumento del
reddito, il secondo per ipotesi.
b) ciò che accade allʼinvestimento è invece ambiguo: esso dipende sia dalla produzione che dal
tasso di interesse; da un lato, la produzione aumenta, inducendo un incremento
dellʼinvestimento, dallʼaltro anche il tasso di interesse aumenta, riducendo la spesa per
investimenti. Lʼeffetto complessivo può essere sia positivo sia negativo, a seconda di quale
prevalga.
c) per le esportazioni nette, che dipendono da produzione estera, produzione nazionale e tasso
di cambio. Le esportazioni nette diminuiscono sia per effetto dellʼapprezzamento, sia a causa
dellʼaumento di produzione: lʼapprezzamento riduce le esportazioni e aumenta le importazioni,
e lʼincremento della produzione fa aumentare ulteriormente le importazioni. Il disavanzo di
bilancio genera quindi un peggioramento della bilancia commerciale.
2) Gli effetti della politica monetaria in economia aperta
Consideriamo una stretta monetaria.
Fig. 18.3. Gli effetti di una stretta monetaria.
Una stretta monetaria provoca una riduzione della produzione, un incremento del tasso di interesse e un
apprezzamento del tasso di cambio.
16
Passaggi:
- una riduzione dello stock di moneta fa aumentare il tasso di interesse: la curva LM si sposta
verso lʼalto;
- poiché la moneta non entra direttamente nellʼequazione IS, questa curva non si sposta.
- lʼaumento del tasso di interesse provoca un apprezzamento della valuta nazionale.
Una stretta monetaria genera quindi una riduzione della produzione, una aumento del tasso
di interesse e un apprezzamento.
A parole, una stretta monetaria fa aumentare il tasso di interesse, rendendo i titoli nazionali
relativamente più convenienti, e quindi genera un apprezzamento del cambio. Domanda e
produzione si riducono per effetto sia dellʼapprezzamento, sia a causa del maggior tasso di
interesse.
Al diminuire della produzione, la minor domanda di moneta che ne deriva fa diminuire il suo tasso
di interesse, compensando parte dellʼaumento iniziale del tasso di interesse e dellʼapprezzamento.
(analisi delle componenti della domanda lasciata allo studente)
5.5 Tassi di cambio fissi
Finora abbiamo assunto che la banca centrale scegliesse lʼofferta di moneta e lasciasse il
tasso di cambio libero di aggiustarsi per garantire lʼequilibrio di un mercato dei cambi.
Nella maggior parte dei casi, questa ipotesi non è realistica. Le banche centrali usano la politica
monetaria per raggiungere determinati obiettivi in termini di tassi di cambio.
A volte tali obiettivi sono impliciti, altre volte sono bande di oscillazioni. Di seguito, i principali
accordi di cambio fra paesi.
5.5.1 Le parità, e parità mobili, le bande di oscillazione e lo Sme
Come la “danza del dollaro” degli anni ʼ80, cʼè stata una “danza dello yen” (Giappone) negli anni
ʼ90. Lo yen si è apprezzato notevolmente nella prima metà degli anni ʼ90, poi si è deprezzato in
seguito. Sono paesi che non hanno obiettivi specifici in termini di tasso di cambio.
Sebbene le banche centrali prestino molta attenzione allʼandamento del tasso di cambio, esse si
sono mostrate disposte a consentire ampie fluttuazioni dello stesso.
Allʼestremo opposto, ci sono i paesi che operano in regime di tasso di cambio fissi. Questi paesi
mantengono un tasso di cambio fisso in termini di qualche valuta estera:
- alcuni ancorano la loro moneta al dollaro (Bahamas e Oman);
- altri al franco francese (ex colonie);
- altri ad un insieme di valute estere con pesi proporzionali ai loro flussi commerciali.
“fisso” è però fuorviante. Non è vero che il cambio non vari mai.
Un caso estremo è quello dei paesi africani ancorati al frano francese: quando nel 1994 i tassi di
cambio sono stati aggiustati, era la prima volta dopo 45 anni di accordo di cambio. Poiché queste
variazioni sono rare, sono usati termini differenti dalle variazioni giornaliere dei tassi di cambio
flessibili. In caso di riduzioni, si parla di svalutazioni, quando aumenta il tasso di cambio, di
rivalutazioni.
Tra questi estremi ci sono accordi di cambio di grado intermedio.
Per esempio, molti paesi operano con una parità mobile del tasso di cambio. Questi paesi hanno
tipicamente tassi di inflazione che eccedono quegli degli Stati Uniti. Se essi ancorassero il loro
tasso di cambio nominale al dollaro, il maggior aumento dei prezzi interni rispetto a quelli
statunitensi causerebbe un continuo apprezzamento reale della loro valuta e renderebbe i loro
beni non competitivi: per evitare tale effetto, questi paesi non scelgono una parità fissa ma
stabiliscono un tasso di deprezzamento predeterminato nei confronti del dollaro.
17
Un secondo tipo di accordo prevede che un gruppo di questi paesi mantengono i loro tassi di
cambio bilaterali (cioè i tassi di cambio di ciascuna coppia di paesi del gruppo) allʼinterno di certe
bande di oscillazione.
Lʼesempio per antonomasia di un sistema di questo tipo è lo SME (Sistema monetario europeo),
introdotto nel 1979 e in funzione fino al 1999 quando ebbe inizio lʼunione monetaria. Sullo base di
questo meccanismo del tasso di cambio (ERM), i paesi membri mantenevano il loro tasso di
cambio, rispetto alle altre valute del sistema, allʼinterno di una banda di oscillazione costruita
intorno ad una parità centrale.
Variazioni della parità centrali e svalutazioni o rivalutazioni di alcune valute erano possibili, ma
dovevano essere condivise dai paesi aderenti allʼaccordo.
Dopo una grave crisi del 1992, quando Regno Unito e Italia uscirono dallo SME e le bande degli
altri paesi furono ampliate, gli aggiustamenti dei tassi di cambio furono meno frequenti,
spingendo alcuni paesi ad adottare la moneta unica, lʼeuro.
5.5.2 tassi di cambio fissi e politica monetaria
Deciso il tasso di cambio fisso, esso deve rispettare la parità dei tassi di interesse. Una volta
ancorato un tasso di cambio ad un dato livello, se i mercati finanziari e dei cambi credono che il
tasso di cambio rimarrà effettivamente fisso, allora la loro aspettativa del tasso di cambio futuro
sarà uguale a questo livello dato.
Se gli investitori finanziari si aspettano che il tasso di cambio rimanga invariato, essi richiederanno
lo stesso tassi di interesse nominale in entrambi i paesi. In ipotesi di tasso di cambio fisso e di
perfetta mobilità dei capitali, il tasso di interesse deve essere uguale al tasso di cambio esterno.
Tornando alla condizione secondo al quale offerta e domanda di moneta devono essere uguali, la
condizione di parità di tassi di interesse diventa:
(1 + it ) = (1 + it* )
Et
Ete+1 (1 + i ) = (1 + it* ) ! i = it*
t
t
M
= YL(i )
P
*
Supponiamo che un aumento della produzione nazionale faccia aumentare la domanda di moneta.
In unʼeconomia chiusa, la banca centrale potrebbe lasciare invariato lo stock di moneta, genera in
tal modo un incremento del tasso di interesse di equilibrio. Lo stesso risultato vale in unʼeconomia
aperta in regime di cambi flessibili: in tal caso il risultato sarà un aumento del tasso di interesse e
un apprezzamento.
Ma se esiste un accordo di cambio, la banca centrale non può non modificare lo stock di
moneta.
Per prevenire un aumento del tasso di interesse interno oltre il tasso di interesse estero, essa deve
aumentare lʼofferta di moneta proporzionalmente allʼincremento della domanda di moneta, in modo
tale da lasciare invariato il tasso di interesse di equilibrio. Dato il livello dei prezzi P, lo stock
nominale di moneta, M, deve aggiustarsi affinché lʼequazione continui a essere soddisfatta.
In altre parole: in un sistema di cambi fissi, la banca centrale rinuncia alla politica monetaria
come strumento di politica monetaria. Un tasso di cambio fisso comporta lʼeguaglianza fra il
tasso di interesse interno e quello estero. Di conseguenza, lʼofferta di moneta deve essere
aggiustata allo scopo di mantenere il tasso di interesse a quel livello.
5.5.3 Tassi di cambio fissi e politica fiscale
Nel caso dei tassi di cambio flessibili, unʼespansione fiscale sposta la IS verso destro, causando
un aumento della produzione, un aumento del tasso di interesse e un apprezzamento.
In regime di tassi di cambio fissi, però, la banca centrale non può lasciare che il tasso di
cambio aumenti. Poiché un aumento della produzione induce un incremento della domanda di
18
moneta, la banca centrale deve accomodare la maggior domanda di moneta aumentando
lʼofferta di moneta.
Come indicato in figura, quando la curva IS si sposta verso destra, la banca centrale deve
spostare la curva LM verso il basso, in modo tale che il tasso di interesse e quindi il tasso di
cambio non varino.
Lʼequilibrio si sposta da A a C, e i tassi di interesse e di cambio rimangono invariati. In regime di
tassi di cambio fissi, la politica fiscale è più efficace di quanto non lo sia in regime di tassi di
cambio flessibili, in quanto essa richiede una politica monetaria accomodante.
Perché un paese dovrebbe decidere di fissare il proprio tasso di cambio? Facendo così, rinuncia
ad uno strumento efficace nella correzione degli squilibri commerciali e nel controllo del livello di
produzione aggregata. Ancorandosi ad un tasso di cambio fisso, esso rinuncia anche al controllo
del suo tasso di interesse.
Inoltre, deve seguire anche lʼandamento del tasso di interesse estero, correndo il rischio di effetti
indesiderati sulla sua attività economica.
Nonostante il paese mantenga lo strumento di politica economica, potrebbe non essere sufficiente.
Ad esempio, unʼespansione fiscale può aiutare lʼeconomia ad uscire dalla recessione, ma solo al
prezzo di un disavanzo commerciale più elevato.
Oppure, un paese che voglia ridurre il suo disavanzo di bilancio non può usare la politica
monetaria per compensare gli effetti recessivi della politica fiscale sulla produzione.
Cosa spinge allora un paese ad ancorare il suo tasso di cambio?
1) un tasso di cambio fisso facilita lʼattività delle imprese e ne riduce i costi (per decisioni produttive
e di investimento) - stessa cosa vale per le aree monetarie comuni;
2) un sistema di tassi di cambio fissi può avere degli svantaggi, lo stesso vale per un sistema di
tassi di cambio flessibili. Molti economisti credono che in un sistema di tassi di cambio flessibili, i
tassi siano troppo volatili. Questa volatilità dei tassi di cambio provoca a sua volta variazioni
indesiderate delle importazioni, delle esportazioni e della produzione. La fissazione del tasso di
cambio elimina tutti questi problemi.
3) nel caso di un tasso di cambio reale richieda un aggiustamento (ad esempio, per eliminare un
disavanzo commerciale), questo può avvenire anche in un sistemi di tassi di cambio fissi. In un
sistema di questo tipo, infatti, cioè che è fisso è il tasso di cambio nominale, non reale. In linea
di principio, aggiustamenti nei livelli di prezzi interni ed esterni possono dare lo stesso risultato
di una variazione del tasso di cambio nominale;
4) un sistema di tassi di cambio fissi, limitando lʼindipendenza della politica monetaria, elimina
anche il rischio che la banca centrale si comporto in modo opportunistico. Questa constatazione
rientra nellʼargomentazione secondo la quale vincoli stringenti alla politica economica, sia fiscale
che monetaria, possono effettivamente migliorare, e non peggiorare, la situazione di un paese.
La scelta fra regime a tassi fissi e variabili rimane quindi controversa.
19
1.4 Regimi di cambio (Cap. 6, Blanchard)
Nel 1944 a Bretton Woods, 44 paesi decisero un nuovo sistema monetario e valutario
internazionale. Il sistema era basato su cambi fissi e tutti i paesi tranne gli USA si impegnarono
ad ancorare il prezzo delle proprie valute al dollaro.
Nel 1973, una serie di crisi valutarie causò il crollo del sistema e la fine del periodo di “Bretton
Woods”; da allora alcuni paesi operano in un sistema di cambi flessibili.
Alla fine degli anni ʼ90 fu firmato un altro accordo relativo ai regimi di tasso di cambio in Europa
che stabilirono permanentemente tassi fissi fra paesi e lʼadozione di una moneta comune.
6.1 Il medio periodo
1) Con i tassi di cambio flessibili, un paese che ha bisogno di un deprezzamento reale, per
esempio per ridurre il suo disavanzo commerciale o per uscire da una recessione, poteva farlo
con la politica monetaria per ridurre il tasso di interesse e diminuire il tasso di cambio (il che
equivale ad un deprezzamento).
2) Con i tassi di cambio fissi, lo stesso paese non aveva più a disposizione nessuno dei due
strumenti: per definizione, il tasso era fisso e pertanto non poteva essere aggiustato. Il tasso di
cambio fisso e la condizione di parità dei tassi di interesse implicavano che il paese non
potesse aggiustare il suo tasso di interesse: il tasso di interesse interno doveva rimanere
uguale a quello esterno.
Perchè rinunciare a due strumenti macroeconomici così importanti? Quindi nel breve preferivamo il
sistema a tassi di cambio flessibili. Nel medio periodo la differenza fra i due regimi d cambio
svanisce.
In particolare, nel medio periodo, lʼeconomia raggiunge lo stesso livello di tasso di cambio reale e
lo stesso livello di produzione, sia che operi con sistema di cambi flessibili che fissi.
Ricordando la definizione di tasso di cambio reale (ovvero moltiplicato allʼinflazione dei due paesi),
ci sono due modi in cui il tasso di cambio reale si può aggiustare
a) attraverso una variazione del tasso di cambio nominale, e questo è possibile per i sistemi di
cambio flessibile
b) attraverso una variazione del livello di prezzi nazionale P, possibile anche per un paese che
opera nel regime di cambi (nominali) fissi. Ed è infatti proprio quello che succede.
La domanda aggregata in un sistema di tassi di cambio fissi
! EP
"
Y =Y#
, G, T $
% P*
&
(!
, + , !)
La curva di domanda aggregata (che descrive gli
effetti del livello dei prezzi sulla produzione e deriva
dalla condizione di equilibrio sui mercati dei beni e
finanziari) dipende dal tasso di cambio reale, la
spesa pubblica e le imposte.
- un aumento del tasso di cambio reale, un
apprezzamento reale, riduce la produzione;
- un aumento della spesa pubblica fa aumentare la
produzione;
- un aumento delle imposte fa diminuire la
produzione.
20
A) In economia chiusa, al posto del tasso di cambio cʼera M/P: controllano lʼofferta di moneta, la
banca centrale poteva cambiare il tasso di interesse e influire sul livello di produzione.
In economia aperta, e con i tassi di cambio fissi e perfetta mobilità dei capitali, la banca centrale
non può più variare il tasso di interesse che è legato al tasso di interesse estero.
In altre parole, con tassi di cambio fissi, la banca centrale rinuncia alla politica monetaria come
strumento di politica economica: per questo lo stock di moneta non compare più nella relazione di
domanda aggregata.
B) Allo stesso tempo, lʼapertura allʼeconomia significa includere una nu
ova variabile che nella chiusa non cʼera, il tasso di cambio reale EP/
P*. Come visto nel capitolo precedente, unʼaumento del tasso di
cambio reale porta a una riduzione della domanda di beni nazionali e
pertanto fa diminuire la produzione. Viceversa, una riduzione del tasso
di cambio fa aumentare la produzione.
Da notare come in unʼeconomia chiusa, questa relazione implica a sua volta una relazione
negativa tra il livello di prezzi e la produzione. Tuttavia mentre il segno è lo stesso, il canale è
diverso:
a) in economia chiusa, il livello dei prezzi influenza la produzione attraverso i suoi effetti sui saldi
monetari e di conseguenza sui tassi di interesse;
b) in economia aperta con cambi fissi, il tasso di interesse è fisso, legato al tasso di interesse
estero. Qu il modo per cui il livello dei prezzi influenza la produzione passa attraverso il suo
effetto sul tasso di cambio reale: un aumento del livello dei prezzi interni porta ad un aumento
del tasso di cambi reale, ovvero ad un apprezzamento reale. Questo apprezzamento porta a
una riduzione delle esportazioni nette e a un calo della domanda che a sua volta fa
diminuire la produzione.
In sintesi, un aumento del livello dei prezzi rende più costosi i beni nazionali, riducendo in
tal modo la domanda di beni azionali e per questa via il livello di produzione.
Equilibrio di breve e di medio periodo
! Y "
P = P (1 + µ ) F $1 # , z %
& L '
e
Eʼ lʼequazione di offerta aggregata: il livello dei prezzi dipende dal livello atteso di prezzi e dal
livello di produzione. I due meccanismi allʼopera:
a) il livello dei prezzi influenza i salari nominali, che a
loro volta influenzano il livello dei prezzi;
b) u n a m a g g i o r p r o d u z i o n e g e n e r a m a g g i o r
occupazione e di conseguenza minor
disoccupazione, che a sua volta fa aumentare i
salari, che a loro volta fanno aumentare i prezzi.
La curva di domanda è inclinata negativamente: un
aumento dei prezzi fa diminuire la produzione.
La curva di offerta è inclinata positivamente: una
produzione più elevata fa aumentare il livello dei
prezzi.
Lʼequilibrio di breve periodo è intersezione fra le due
rette.
In generale:
1) un aumento dei prezzi porta a un apprezzamento reale e a una riduzione della
produzione, la curva di domanda è inclinata negativamente;
2) un aumento della produzione porta ad un aumento dei prezzi.
Nel tempo succede che fino a che la produzione rimane sotto il suo livello naturale, lʼofferta
aggregata si sposta verso il basso. Quindi, quando la produzione è inferiore al suo livello naturale,
21
il livello dei prezzi diminuisce. Nel corso del tempo, la riduzione del livello dei prezzi genera un
deprezzamento reale, che fa aumentare la produzione fino al suo livello naturale.
Quindi nel medio periodo, nonostante il cambio nominale sia fisso, lʼeconomia raggiunge il
deprezzamento reale che serve per riportare la produzione al suo livello naturale. Quindi:
- nel breve periodo, il tasso di cambio nominale fisso comporta un tasso di cambio reale fisso;
- nel medio periodo, un tasso di cambio naturale fisso è compatibile con un aggiustamento del
tasso di cambio reale. Lʼaggiustamento è raggiunto attraverso variazioni del livello dei
prezzi.
Vantaggi e svantaggi di una svalutazione
Tale aggiustamento potrebbe essere comunque lungo e doloroso e comportare una diminuzione
della produzione. Per riportare la produzione ai livelli naturali, il governo potrebbe decidere di
svalutare.
Per un dato livello di prezzi, una svalutazione ovvero una riduzione del tasso di cambio nominale
porta a un deprezzamento reale (cioè ad una riduzione del tasso di cambio reale) e quindi fa
aumentare la produzione (fa spostare la curva di domanda aggregata verso destra).
Il problema è che definire “una svalutazione della giusta misura” che possa portare lʼeconomia al
livello di produzione naturale è facile in un grafico, ma non nella realtà:
- gli effetti di un deprezzamento non avvengono immediatamente e, inizialmente, sono recessivi,
in quanto le importazioni sono più costose e le quantità esportate ed importate non hanno ancora
avuto tempo di aggiustarsi.
- inoltre, la svalutazione avrà un effetto diretto sul livello dei prezzi: allʼaumentare del prezzo dei
beni importati, il prezzo del paniere di consumo aumenta. Questo aumento porterà i
lavoratori a chiedere salari maggiori, costringendo anche le imprese ad aumentare i
prezzi.
Di conseguenza, quando un paese in un sistema di cambi fissi si trova di fronte ad un forte
disavanzo commerciale o a una grave recessione, aumentano le pressioni politiche per
abbandonare lʼaccordo di cambio almeno per introdurre una svalutazione una tantum.
Si veda il Focus: Il ritorno della sterlina al gold standard. Keynes contro Churchill (pag. 157).
6.2 Crisi del tasso di cambio in regimi di cambi fissi
Supponiamo che gli investitori finanziari inizino a crescere che ci sarà presto un aggiustamento del
tasso di cambio - o una svalutazione o il passaggio a un sistema di tassi di cambio flessibili
accompagnato da un deprezzamento; le ragioni potrebbero essere:
a) il tasso di cambio reale potrebbe essere troppo alto, ovvero la valuta nazionale potrebbe essere
sopravvalutata;
b) se il paese ancora il tasso di cambio nominale alla valuta di un paese con un tasso di
inflazione più basso. Una maggior inflazione relativa implica un livello dei prezzi interni
continuamente crescente rispetto ai prezzi esteri, un continuo apprezzamento reale, e di
conseguenza, un posizione commerciale in continuo peggioramento: col passare del tempo, la
necessità di un aggiustamento del tasso di cambio reale aumenta, e gli investitori finanziari
diventano sempre più nervosi, iniziando a pensare che ne sarebbe seguita una svalutazione.
c) le condizioni interne possono richiedere una riduzione del tasso di interesse interne.
Problema: una riduzione del tasso di interesse interna non si può raggiungere in un sistema di
tassi di cambio fissi, ma può essere raggiunta se il paese è disposto a passare a un sistema di
cambi flessibili: ma se il paese lascia fluttuare il cambio e poi riduce il tasso di interesse
interno, sappiamo che questo causerà una diminuzione del tasso di cambio nominale ovvero un
deprezzamento nominale.
Non appena i mercati credono che la svalutazione sia imminente, mantenere un tasso richiede un
aumento, spesso molto grande, del tasso di interesse interno (per approfondire il perché vedi pp.
158-159).
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Cosa può fare il governo?
1) cercare di convincere i mercati che non hanno intenzione di svalutare, è la prima linea di difesa,
attraverso comunicati, ma raramente convincono i mercati.
2) la banca centrale può aumentare il tasso di interesse, ma meno di quello che servirebbe.
Questa manovra causa di solito un massiccio deflusso di capitali, dal momento che gli investitori
istituzionali preferiscono liberarsi dei titoli nazionali a favore di quelli esteri. Questo significa
vendere titoli nazionali, ottenere proventi in valuta nazionale, venderla in cambio di
valuta estera e comprare titoli esteri: se la banca centrale non intervenisse sul mercato
dei cambi, le vendite di valuta nazionale in cambio di valuta estera sarebbero tali da
causare un deprezzamento. Se vuole difendere il cambio, la banca centrale deve quindi
essere pronta a comprare valuta nazionale in cambio di valuta estera al tasso di cambio
corrente: così facendo di solito perde gran parte delle sue riserve di valuta estera.
3) alla fine, la banca centrale deve scegliere se aumentare i tassi di interesse in misura sufficiente,
o convalidare le aspettative del mercato e svalutare. Problema: fissare un tasso di interesse a
breve molto più alto può avere conseguenze devastanti sulla domanda e sulla
produzione.
Per riassumere. Le aspettative di una svalutazione possono innescare una crisi del tasso di
cambio. Di fronte a queste aspettative, il governo ha due opzioni:
- arrendersi e svalutare, oppure
- lottare per difendere la parità, al costo di un tasso di interesse molto alto e di una potenziale
recessione. Lottare non serve a nulla, perché la recessione potrebbe comunque costringere il
governo a dimettersi.
Un punto interessante è che la svalutazione può avvenire anche se lʼaspettativa era infondata.
Focus: La crisi dello SME del 1992 (pag. 160-162).
6.3 Lʼandamento del tasso di cambio in regime di cambi flessibili
Nel modello del capitalo precedente si era detto: quanto minore è il tasso di interesse, tanto
minore è il tasso di cambio. Questo implicava che un paese che volesse mantenere un tasso di
cambio stabile, doveva semplicemente mantenere il tasso di interesse interno vicino a quello
estero. Un paese che volesse deprezzare la propria valuta, doveva semplicemente diminuire il
tasso di interesse in maniera adeguata.
In realtà, non è così semplice e i tassi di cambio si muovono in assenza di variazioni di tasso di
interesse.
Ogni variazione dei tassi di interesse interni ed esterni correnti e futuri, al pari di variazioni del
tasso di cambio atteso per lʼanno prossimo, influenzeranno il livello corrente del tasso di cambio.
Quindi, il tasso di cambio dipende da due fattori:
1) i tassi di interesse interni ed esterni correnti e attesi per ciascun anno dei prossimi dieci;
2) il tasso di cambio atteso fra 10 anni.
Tassi di cambio e conto delle partite correnti
Qualunque fattore faccia cambiare il tasso di cambio futuro atteso, esso influenza il tasso di
cambio corrente.
Inoltre, i paesi non vogliono registrare disavanzi o avanti commerciale per sempre (che equivale a
prendere e dare a prestito per sempre), quindi qualunque notizia che influenzi le previsioni di conto
corrente avranno un effetto sul tasso di cambio atteso futuro, e a sua volta su quello corrente.
Per esempio, lʼannuncio di un disavanzo commerciale più grande del previsto potrebbe indurre gli
investitori a credere che a un certo punto servirà un deprezzamento per ristabilire il pareggio del
saldo commerciale, e il tasso di cambio (atteso e) corrente diminuirà.
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Tassi di cambio e tassi di interesse correnti e futuri
Qualunque fattore che faccia cambiare i tassi di interesse interni o esterni, futuri o correnti, farà
cambiare il tasso di cambio corrente. Per esempio, dati i tassi di interesse esteri, un aumento del
tasso di interesse interno, corrente o futuro atteso, porta a un aumento di E, cioè ad un
apprezzamento.
Ad esempio, la “danza del dollaro” degli anni ʼ80, il brusco apprezzamento del dollaro nella
prima metà del decennio e il successivo brusco deprezzamento può essere spiegata
dallʼandamento dei tassi di interesse correnti e futuri attesi USA rispetto a quelli esteri.
Nella prima metà degli anni ʼ80, la combinazione di una stretta monetaria e di una politica
fiscale espansiva ha avuto lʼeffetto di aumentare i tassi di interesse statunitensi sia a breve che
a lungo termine. Questo aumento dei tassi di interesse correnti fu a sua volta causa
dellʼapprezzamento del dollaro.
Nella seconda metà del decennio, sia la politica fiscale che la politica monetaria vennero
cambiate: i tassi di interesse USA scesero e il dollaro si deprezzò.
Volatilità del tasso di cambio
In realtà, terzo elemento, la relazione fra tasso di cambio e tasso dʼinteresse non è meccanica:
quando la banca centrale taglia i tassi dʼinteresse, i mercati finanziari devono valutare se questa
manovra segnali un cambiamento radicale di politica monetaria, con ulteriori tagli futuri dei tassi,
oppure se la riduzione dei tassi sia solo temporanea. Gli annunci non potrebbero servire a molto.
Tutto ciò rende difficile prevedere lʼeffetto della variazione dei tassi di interesse sul tasso di
cambio.
Ricordiamo che una politica monetaria espansiva di un paese (diminuzione del tasso di
interesse interno) fa diminuire il tasso di cambio (fa deprezzare il cambio).
Altre volte gli investitori anticipano la diminuzione dei tassi da parte della banca centrale, e la
successiva mossa dalla BCE, rende necessario rivedere le loro aspettative.
Ciò può far ricordare gli effetti della politica monetaria sui prezzi delle azioni, che dipendono
anchʼessi dalle aspettative sui futuri valori delle variabili.
Quando alla fine del Bretton Woods, i paesi abbandonarono i cambi fissi a favore dei cambi
flessibili, la maggior parte delle economie si aspettava che i tassi di cambio sarebbero stati
stabili. Le ampie fluttuazioni nei tassi di cambio che seguirono (continuate fino ad oggi) sono
state una sorpresa; per qualche tempo si pensava fossero il risultato di una speculazione
irrazionale sui mercati di cambi. Fu solo verso la metà degli anni ʼ70 che gli economisti capirono
che questa fluttuazioni potevano essere spiegate dalla reazione razionale dei mercati
finanziari a notizie circa i tassi di interesse e i tassi di cambio futuri.
6.4 La scelta tra cambi fissi e cambi flessibili
Ci sono circostanze che fanno propendere per un sistema anziché un altro?
1) si è visto che il regime di cambio nel medio periodo non importa. Ma non è così nel breve
periodo: nel breve periodo, i paesi che operano con tassi di cambio fissi e perfetta mobilità di
capitali devono rinunciare a due strumenti macroeconomici: il tasso di interesse e il tasso di
cambio. Questo non solo riduce la capacità di reagire a shock, ma apre la possibilità a future
crisi del tasso di cambio;
2) si è visto come lʼanticipazione che un paese con cambi fissi possa dover svalutare porta gli
investitori a chiedere tassi di interesse molto alti, peggiorando in tal modo la situazione
economica e facendo ancor più pressioni per una svalutazione, e questo è un altro punto a
sfavore contro un sistema di cambi fissi;
3) in un sistema di cambi flessibili, il tasso di cambio può fluttuare fortemente e può essere fuori
del controllo della politica monetaria.
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Sembrerebbe quindi che, dal punto di vista macroeconomico, i tassi flessibili siano da preferire a
quelli fissi: questo sembra essere il consenso fra economisti e politcy maker: i cambi flessibili
sono preferibili, con due eccezioni:
(1) quando non ci si può fidare che la banca centrale segua una politica monetaria
responsabile in un sistema di tassi di cambio flessibili; in questo caso, la soluzione
potrebbe essere un currency board o la dollarizzazione;
(2) quando un gruppo di paesi è già fortemente integrato dal punto di vista economico,
nel qual caso la soluzione giusta potrebbe essere una moneta unica.
Discutiamo queste due possibilità.
(1) Parità fisse, “currency board” e dollarizzazione
Eʼ la situazione in cui un paese vuole limitare la propria capacità di politica monetaria.
Pensiamo ad un paese che abbia avuto in passato unʼinflazione molto elevata. Questo potrebbe
essere dovuto, ad esempio, allʼincapacità di finanziare il disavanzo con messi diversi dalla
creazione di moneta. Il finanziamento del disavanzo attraverso la creazione di moneta porta a
un maggior tasso di crescita della moneta e a un maggior tasso di inflazione.
Supponiamo che il paese decida di ridurre la crescita di moneta e lʼinflazione: un modo per
convincere i mercati finanziari che sta facendo sul serio nel suo intento di ridurre la crescita della
moneta è fissare il tasso di cambio: la necessità di usare lʼofferta di moneta per mantenere la
parità lega le mani alle autorità di politica monetaria; così i mercati finanziari, nella misura in cui i
mercati si aspettano che la parità sia mantenuta, smettono di preoccuparsi.
Questa precisazione è importante: “nella misura in cui i mercati si aspettano che la parità sia
mantenuta”. Fissare il cambio non è una soluzione magica; il paese deve convincere gli investitori
finanziari che il cambio è fisso e rimarrà tale in futuro.
Questo ha due implicazioni:
1) fissare il cambio deve far parte di un pacchetto macroeconomico più ampio; fissare il
cambio continuando ad avere un enorme disavanzo servirà solo a convincere i mercati che ci
sarà ancora crescita di moneta e sarà necessaria una svalutazione;
2) anche rendere simbolicamente o tecnicamente più difficile cambiare la parità potrebbe essere
utile, un approccio noto come parità fissa.
Una forza estrema di parità fissa è la sostituzione della valuta nazionale con una valuta
estera: di solito è il dollaro, e si parla quindi di “dollarizzazione”.
Pochi paesi sono disposti a rinunciare alla propria moneta. Una forma meno estrema è il ricorso al
“currency board”: in questo caso la banca centrale è pronta a cambiare la valuta estera in cambio
della valuta locale al tasso di cambio ufficiale; inoltre, non può condurre operazioni di mercato
aperto, ovvero non può comprare o vendere titoli.
Lʼesempio più famoso di currency board è quello dellʼArgentina nel 1991, poi abbandonato nel
2001. Alcuni ritengono che tale sistema non sia stato abbastanza forte da prevenire la crisi del
cambio, così sarebbe meglio dollarizzare.
In generale, i currency board dovrebbero essere usati per un periodo di tempo limitato, per
poi passare a un sistema di tassi di cambio flessibili.
Focus: “Il currency board” argentino - Pag. 169
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(2) Aree valutarie comuni
Può essere il caso in cui alcuni paesi creano una nuova moneta e una banca centrale comune. Eʼ
simile allʼaccordo raggiunto nellʼarea euro per 15 paesi. Si riscontrano accordi simili anche fuori
Europa:
- 6 stati dellʼAfrica Orientale che nel 2003 hanno creato una moneta comune
- 6 paesi produttori di petrolio hanno annunciato di formare unʼunione monetaria nel 2010.
I paesi che operano in un sistema di cambi fissi sono costretti ad avere gli stessi tassi di
interesse. Quanto è costoso questo vincolo?
Se i paesi fronteggiano shock macroeconomici analoghi, è probabile che scelgano politiche simili.
Costringerli a seguire la stessa politica monetaria potrebbe essere un vincolo non tanto difficile da
rispettare.
Affinché alcuni paesi costituiscano unʼarea valutaria ottimale, secondo Mundell, una delle due
condizioni deve essere soddisfatta:
1) i paesi devono sperimentare gli stessi shock; se hanno shock simili, scelgono politiche
monetarie comuni;
2) oppure, se i paesi hanno shock diversi, deve avere unʼelevata mobilità dei fattori. Se ad
esempio i lavoratori possono spostarsi velocemente. Quando in un paese il tasso di
disoccupazione è elevato, i lavoratori lasciano il paese per trovare lavoro altrove, e il tasso di
disoccupazione in quel paese diminuisce al livello originario. Non cʼè alcun bisogno del tasso di
cambio.
Gli economisti pensano che lʼarea degli USA sia un area valutaria ottimale. Eʼ vero che la prima
condizione non è soddisfatta, ma la seconda lo è.
I vantaggi del ricorso ad una valuta unica sono molti:
a) per i consumatori e per le imprese: non cʼè la complicazione di cambiare valuta, i benefici sono
superiori ai costi di transazione.
b) quando i prezzi sono quotati alla stessa valuta, è facile per i consumatori confrontare i prezzi, e
di conseguenza, la concorrenza fra paesi aumenta a beneficio degli stessi.
Adottando lʼeuro, lʼEuropa ha fatto la stessa scelta degli USA.
Un rapporto della CE ha stimato che lʼeuro ha ridotto il costo delle transazioni nella misura dello
0,5% del PIL aggregato. Ci sono anche segnali che la concorrenza stia aumentando.
Tuttavia cʼè meno consenso se lʼUnione Europea sia unʼarea valutaria ottimale.
Nessuna delle due condizioni di Mundell sembra essere soddisfatta per Eurolandia:
- i paesi hanno sempre subito shock diversi fra loro (ad esempio, lʼunificazione tedesca);
- la mobilità del lavoro è bassa, inoltre, per differenze linguistiche e culturali, è ancora più bassa;
Il rischio è che in futuro uno o più paesi di Eurolandia registreranno un forte calo della
domanda e della produzione, e per aumentare lʼattività economica non potranno usare ne il
tasso di interesse ne il tasso di cambio: lʼaggiustamento avverrà si nel medio periodo, ma
potrebbe essere lungo e doloroso.
Oggi alcuni paesi dellʼArea Euro si trovano in questa situazione: il Portogallo, sta registrando una
bassa produzione e un ampio disavanzo commerciale: senza lʼopzione di una svalutazione,
ottenere un deprezzamento reale potrebbe richiedere molti anni di elevata disoccupazione e
pressioni al ribasso su salari e prezzi rispetto allʼarea Euro.
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2.1 Moneta, tassi dʼinteresse e tassi di cambio (Cap. 4, Krugman)
Il tasso di cambio dipende da due fattori:
1) il tasso di interesse sui depositi denominati in tali valute;
2) lʼaspettativa del tasso di cambio futuro.
I tassi di cambio sono i prezzi relativi delle varie monete nazionali: i fattori che influenzano la
domande e lʼofferta di moneta di un paese sono fra le determinanti più importanti del tasso di
cambio stesso.
4.1 La definizione di moneta
- La moneta è un mezzo di scambio accettato, elimina gli enormi costi di ricerca legati a un
sistema del baratto, in quanto universalmente accettata.
- La moneta è anche unità di conto, è una misura del valore riconosciuta.
- La moneta è riserva di valore, per trasferire potere dʼacquisto dal presente al futuro, è un bene.
La moneta sono il circolante e i depositi in conto corrente (oltre che gli assegni); non possono
esserlo, ad esempio, attività immobiliari.
Quando si parla di “offerta di moneta”, ci si riferisce ad un “aggregato monetario” che le
banche centrali chiamano M1, cioè lʼammontare di circolante e depositi a vista posseduti da
famiglie e imprese. LʼM2 include anche i depositi vincolati, mentre M3 è ancora più ampia e viene
monitorata dalle banche.
Lʼofferta di monta è controllata della sua Banca centrale.
4.2 La domanda individuale di moneta
La domanda individuale (e quindi aggregata, come somma di tutte le domande individuali) di
moneta dipende da:
- rendimento atteso di unʼattività, rispetto ad attività alternative;
- la rischiosità (il rischio non è un elemento rilevante nella domanda di moneta);
- la sua liquidità.
Il motivo per cui si detiene moneta è la liquidità che la caratterizza. Se viene considerata in termini
reali, la domanda aggregata di moneta non è una domanda per un certo numero di unità
monetarie, ma la domanda per un certo ammontare di potere dʼacquisto. La domanda aggregata di
moneta dipende:
- negativamente dal costo opportunità di detenere moneta: misurato dal tasso di interesse
interno; a parità di altri elementi, un incremento del tasso di interesse conduce a una caduta della
domanda di moneta.
- positivamente dal volume di transazioni nellʼeconomia (misurato dal PNL). Un incremento
del livello medio delle transazioni di una famiglia o di unʼimpresa produce unʼincremento della sua
corrispondente domanda di moneta.
Inoltre, anche lʼincremento del livello dei prezzi (lʼinflazione) fa aumentare la domanda di
moneta, perché gli individui, a parità di beni acquistati, avranno bisogno di più moneta per
acquistarli.
Il mercato è in equilibrio quando lʼofferta reale di moneta eguaglia la domanda aggregata reale di
moneta. Nel breve periodo:
- con un dato livello di prezzi, un incremento dellʼofferta di moneta abbassa il tasso di interesse e
una contrazione dellʼofferta di moneta aumenta il tasso di interesse;
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- un incremento della produzione reale innalza il tasso di interesse, mentre una riduzione della
produzione reale ha lʼeffetto opposto.
In generale, il mercato si muove sempre verso un tasso di interesse in corrispondenza del quale
lʼofferta reale di moneta uguaglia la domanda reale di moneta.
Tassi di interesse e offerta di moneta
Un incremento dellʼofferta di moneta abbassa il tasso di interesse, mentre una diminuzione
dellʼofferta di moneta conduce ad un incremento del tasso di interesse, dato il livello dei prezzi e
del reddito.
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