La guerra del Peloponneso
La guerra del Peloponneso fu il conflitto combattuto tra il 431 a.C. ed il 404 a.C., con protagoniste Sparta e
Atene e le rispettive coalizioni.
Gli storici dividono la guerra in tre fasi: nella prima, la fase Archidamica, Sparta effettuò continui attacchi
contro l'Attica, mentre Atene utilizzava la propria potente flotta per colpire le coste del Peloponneso. Questo
periodo di scontri si concluse nel 421 a.C. con la firma della pace di Nicia, ma l'interruzione della guerra durò
poco: al 415 a.C. risale infatti la spedizione ateniese in Sicilia, evento disastroso per le forze della Lega di Delo
tanto da rinnovare il contrasto tra le due entità greche che si contendevano l'egemonia. Nel 413 a.C. si apre la
fase Deceleica, caratterizzata dall'intenzione spartana di fomentare moti di ribellione tra le forze sottoposte ad
Atene; questa strategia, unita agli aiuti economici provenienti dalla Persia e all'incapacità ateniese di difendersi,
portò nel 404 a.C. alla vittoria della Lega del Peloponneso, dopo la battaglia campale di Egospotami.
La guerra del Peloponneso cambiò il volto della Grecia antica: Atene, che dalle guerre persiane aveva visto
crescere enormemente il proprio potere, dovette sopportare alla fine dello scontro con Sparta un gravissimo crollo
in favore della forza egemone del Peloponneso. Tutta la Grecia interessata dalla guerra risentì fortemente del
lungo periodo di devastazione, sia dal punto di vista della perdita di vite umane sia da quello economico.
Fonte fondamentale per la ricostruzione storica rimane l'imponente opera di Tucidide, La Guerra del
Peloponneso; lo storico ateniese concluse però la trattazione della guerra con la battaglia di Cinossema, e per la
fase finale dello scontro dobbiamo rivolgerci alle Elleniche di Senofonte, il quale continuò l'esposizione del conflitto
dove Tucidide l'aveva abbandonata.
Dopo la fine politica di Cimone e l'assassinio di Efialte, la guida politica passata in mano di Pericle permise
ad Atene di effettuare in chiave anti-spartana un'alleanza con Argo e con la Tessaglia, così da poter disporre di un
potente esercito e di una cavalleria formidabile oltre che della flotta più potente dell'Egeo. Nell'ottica di alleanze c'è
da tenere in considerazione la pace di Callia con l'impero persiano e la protezione fornita a Megara, con
l'edificazione delle mura di collegamento fino al porto di Nisea e l'insediamento di una guarnigione ateniese.
Se infatti la prima garantiva ad Atene di non essere impegnata su due fronti, dopo la non felice campagna
d'Egitto, la seconda le garantiva in chiave strategica il controllo dei passi che portavano dal Peloponneso in Attica
oltre a permettere un più agile collegamento con Argo. Se la situazione non disturbava direttamente Sparta,
impegnata nella terza guerra messenica, era di notevole intralcio ad una sua potente alleata, Corinto, che assieme
ad Egina si trovò costretta a difendere i propri interessi commerciali.
Infatti l'aiuto garantito alla concorrente Megara e i continui disagi posti dalla presenza ateniese nei mari
costrinsero le due città aiutate da Epidauro a ribellarsi, ma la flotta peloponnesiaca perdette ben 70 navi ed Egina
fu messa sotto assedio, era il 459 a.C. Così l'anno dopo Corinto inviò un contingente militare per assediare la città
concorrente, ma il pronto intervento dello stratega ateniese Mironide, con il suo esercito di veterani ed efebi, fu
fatale. Il prestigio di Atene è al massimo splendore, grazie alla serie di alleanze e alle vittorie con Corinto, l'assedio
a Egina e per il momento la felice campagna in Egitto. È in questo momento che vengono erette le Lunghe Mura
difensive che collegano Atene al Pireo e alla baia del Falero, formando una fortezza triangolare.
La fine dell'assedio al monte Itome, con il rilascio degli assediati, permise agli efori di cercare alleati in
Beozia, contrastando il legame di Atene con i tessali. L'intervento spartano permise a Tebe di riprendere il suo
ruolo di leader militare nella regione, perso dopo le guerre persiane e la dissoluzione della lega Beotica.
L'occasione si ebbe con la richiesta di aiuto della Doride attaccata dai focesi; Nicomede, reggente di Plistonatte
(ancora fanciullo), vi trasferì 1.500 spartani e 10.000 opliti peloponnesiaci. Durante il trasferimento i nemici di
Pericle gli chiesero di attaccare la città, quasi sguarnita, invece lo stratega riuscì a recuperare 13.000 uomini,
1.000 argivi unendoli alla cavalleria tessala.
È in questa situazione che si ebbe, nel 457 a.C., la prima battaglia di Tanagra e la successiva battaglia di
Enofita, il cui esito permise ad Atene di mantenere il controllo sulla Grecia centrale, l'Istmo, oltre l'alleanza con la
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Tessaglia e Argo, soggiogando poi la Focide e la Locride orientale. Poco dopo cadde anche Egina, la quale entrò
a far parte della lega di Delo, con un pagamento di 30 talenti annuali e per di più l'Acaia nel 455 a.C. stipulò
un'alleanza con Atene, specie dopo la sua incursione a Sicione e l'insediamento degli iloti ribelli a Naupatto.
Atene era alla sua massima espansione territoriale, ma ben presto le cose cambiarono:
La sconfitta patita in Egitto pregiudicò la possibilità di approvvigionamento di grano a basso costo oltre alla
perdita di 50000 uomini e 250 navi, incrinando il prestigio della città, la quale decise di trasferire il tesoro di Delo
all'interno delle proprie mura, tesoro che Pericle usò per abbellire la città; a ciò si aggiunse il fallimento di restituire
Farsalo, in Tessaglia, al partito filo-ateniese e la sconfitta subita nei territori di Sicione, dove una spedizione
guidata da Pericle era intenta ad acquisire basi logistiche in Acarnania, presso la foce dell'Achelaoo
Il ritorno dall'esilio di Cimone, permette nel 451 a.C., di stipulare una tregua quinquennale tra le due leghe,
con cui Atene rinunciò all'alleanza con Argo.
La pace in Grecia ebbe breve durata, infatti nel 448 a.C., gli Spartani intervennero a Delfi nella seconda
guerra sacra, dove i Focesi si erano impadroniti della città.
L'anno seguente una rivolta di oligarchi in Beozia appoggiati da Tebe scalzò i regimi democratici alleati di
Atene. Il comandante Tolmide con il suo esercito liberò Cheronea e Orcomeno, ma accerchiato a Coronea dovette
abbandonare la Beozia. Ad Atene rimaneva come alleata la sola Tessaglia, per giunta del tutto inaffidabile.
Nel 446 a.C., la rivolta si spostò in Eubea e a Megara, così il re spartano Plistonatte occupò l'Attica, ma
forse corrotto da Pericle non attaccò venendo destituito, mentre Atene soggiogata la rivolta stipulò un trattato
trentennale con Sparta.
Si chiudeva una fase per l'impero ateniese nella quale pur avendo compiuto immani sforzi non ebbe in
cambio il controllo di Egina e Naupatto. La pace trentennale non spostò certamente gli equilibri in Grecia: Atene
continuò a pretendere il phoros, dagli aderenti alla lega, utilizzandolo per abbellire la città e potenziarne le difese.
Inoltre la sua sfera di influenza raggiunse la Calcidica con la fondazione della colonia di Anfipoli alla foce del fiume
Strimone, a cui va ad aggiungersi l'alleanza con i Traci Odrisi, che assicurò lo sfruttamento delle miniere della
regione e il commercio col Bosforo Cimmerio di frumento e pesce.
La goccia che fece traboccare il vaso fu però l'interessamento ateniese dei traffici marittimi con le colonie
della Magna Grecia cosa che andava a cozzare con gli interessi di Corinto. L'Acarnania, regione strategicamente
molto indicata nelle vesti di base di appoggio per i traffici con l'Italia divenne il loro principale obiettivo.
Nell'estate del 432 a.C. su richiesta di Corinto si radunò a Sparta l'assemblea federale della Lega del
Peloponneso, per discutere sui provvedimenti da prendere nei confronti di Atene, che era entrata in aperto
conflitto con due città facenti parte della lega, Corinto e Megara. Tre erano i motivi di conflitto con Corinto:
Atene aveva fornito appoggio a Corcira (odierna Corfù), che era colonia di Corinto, nel conflitto che la
opponeva alla sua colonia Epidamno (odierna Durazzo): era accaduto che ad Epidamno un colpo di stato
democratico aveva cacciato dalla città gli aristocratici i quali, dopo essere stati esiliati, fecero ritorno massacrando
quelli che erano rimasti in città. I democratici di Epidamno si rivolsero così a Corcira, loro madrepatria, perché
mettesse pace tra loro e gli esiliati e facesse cessare le violenze. I Corciresi però rifiutarono di prestare aiuto e
così gli Epidamni si rivolsero a Corinto, città fondatrice della loro colonia, perché li aiutasse. I Corinzi dunque
accettarono di prestare aiuto agli Epidamni, cosa che provocò l'ira dei Corciresi: dopo un ultimatum, cinsero la città
d'assedio. Scoppiò la guerra tra le due città e lo scontro sul mare vide vittoriosi i Corciresi, cosa che alimentò ira e
risentimento nei Corinzi, i quali, nell'anno successivo allo scontro, si prepararono al meglio al successivo conflitto.
Sapendo dei preparativi dei nemici e temendo un ulteriore scontro, i Corciresi, che non erano alleati né con Atene,
né con Sparta, decisero di rivolgersi ad Atene per avere aiuto. Saputo di questa mossa, i Corinzi si recarono
anch'essi ad Atene per evitare quest'alleanza che avrebbe impedito che l'esito della guerra fosse a loro
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favorevole. Corinto accusava ora Atene di essersi intromessa in questioni che non la riguardavano, trattandosi di
rapporti tra la città dell'istmo e le sue colonie.
Atene aveva inoltre imposto a Potidea, città della Calcidica membro della lega delio-attica, ma colonia di
Corinto, di non accogliere più gli epidemiurghi, i magistrati che annualmente Corinto inviava a Potidea a scopo di
controllo e supervisione, e di abbattere le mura che congiungevano la città al mare. Al rifiuto di Potidea di
sottostare alle richieste ateniesi, Atene aveva inviato sul luogo una flotta che aveva dato inizio all'assedio della
città.
Il motivo di attrito tra Atene e Megara consisteva nel divieto imposto per decreto da Atene ai cittadini di
Megara di frequentare i porti di qualunque città facente parte della lega delio-attica: in questo modo Atene
conseguiva lo scopo di bloccare i commerci della città rivale.
Questi tre elementi, però, come specifica chiaramente Tucidide nell'analisi dei presupposti della guerra,
costituirono solamente i pretesti della guerra, che invece trovava il vero motivo nella volontà degli Spartani di
opporsi allo strapotere di Atene, la quale, fin dalla fine delle guerre persiane, aveva intrapreso un percorso di
progressiva estensione della sfera di dominio sul mondo greco, anche a scapito dell'autonomia e della libertà delle
altre poleis:
All'interno del consiglio della lega peloponnesiaca, a favore della pace parlò il vecchio re spartano
Archidamo, ma l'assemblea riconobbe che Atene aveva violato i patti e si dichiarò favorevole alla guerra. Un ruolo
in questa decisione, stando al racconto tucidideo, fu svolto anche dall'eforo Stenelaida, che ricordò agli spartani il
loro ruolo di paladini della libertà di tutti i popoli della Grecia. A questa dichiarazione seguì un ultimatum, che
intimava ad Atene di ritirare i decreti contestati e di risolvere i contrasti con Corinto e Megara. La propaganda
ateniese rispondeva alle accuse peloponnesiache ricordando i meriti della città verso la Grecia, dal momento che
la vittoria di Salamina sui Persiani nel 480 a.C. era stata merito della flotta ateniese. Atene, spinta da Pericle, fu
irremovibile e i Peloponnesiaci iniziarono le manovre di guerra. Pericle conosceva perfettamente i rapporti di forza
tra i due schieramenti e sapeva che difficilmente gli Ateniesi e gli alleati avrebbero potuto opporsi alla fanteria
oplitica lacedemone, ma era anche sicuro che la città potesse fare affidamento sulla propria struttura difensiva:
Atene e il Pireo costituivano, infatti, un unico complesso protetto da mura, una immensa fortezza nel cuore
dell'Attica, in grado di accogliere tutti gli abitanti del territorio, chiamato lunghe Mura. Secondo i piani, infatti, tutti i
cittadini dell'Attica furono indotti a lasciare la propria residenza e a stabilirsi in città, lasciando che i Lacedemoni si
sfogassero in annuali quanto infruttuose devastazioni del territorio. La flotta avrebbe garantito ad Atene il
necessario approvvigionamento di viveri e avrebbe al tempo stesso consentito di portare attacchi alle coste del
Peloponneso. L'idea di Pericle era dunque quella di condurre il nemico a un progressivo sfiancamento.
Il casus belli fu il tentativo di Tebe di ristabilire il proprio dominio in Beozia con un colpo di stato a Platea,
città formalmente legata ad Atene. La polis simbolo di libertà dei Greci doveva tornare sotto controllo lacedemone,
unica artefice di vera libertà. Nel giugno del 431 a.C. l'esercito della lega Peloponnesiaca, dopo un inverno speso
nei preparativi, invase l'Attica sotto la guida di re Archidamo.
Ai suoi ordini vi erano: 24.000 opliti, a cui aggiungere la fanteria leggera relativa; 10.000 fanti provenienti
dalla Beozia; 1.000 dalla Focide e Locride; 100 navi fornite da Corinto, Ambracia, Leucade, Anattorio.
Ad esso la lega di Delo poteva contrapporre: 300 triremi della marina ateniese;13.000 opliti; 1.000 cavalieri;
200 arcieri a cavallo; la cavalleria pesante tessale; il resto dell'esercito occupato a Potidea (3.000 uomini) e altri
sparsi in Calcidica (1.600 circa), più le guarnigioni di confine e il contingente a difesa delle "lunghe mura".
Ma pur in circostanze di schiacciante superiorità, Sparta non poteva nulla contro una città ben difesa e
continuamente alimentata dal mare; consapevole della mancanza di una efficace tattica di assedio, re Archidamo
cercò l'appoggio della flotta persiana dell'imperatore achemenide Artaserse I e poi di quella siracusana con esiti
negativi, così egli non poté fare altro che saccheggiare campi e villaggi abbandonati, mentre Pericle guidava la
flotta alla devastazione delle coste peloponnesiache. La flotta ateniese di devastazione ( un centinaio di navi a cui
si aggiungevano 50 triremi provenienti da Corcira) mise in difficoltà gli interessi dei corinzi e costrinse gli abitanti di
Egina ad abbandonare l'isola, che verrà in seguito colonizzata da ateniesi; in autunno toccò alla regione di Megara
di essere invasa, mentre la primavera successiva Pericle inviò 4000 uomini alla conquista di Epidauro, ma senza
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successo; da parte loro, per mare, gli ateniesi riuscirono vittoriosi a Naupatto, mantenendo sotto controllo il golfo
di Corinto.
Dopo il primo anno di guerra, però, le vicende presero un corso imprevisto. Le precarie condizioni igieniche
in cui vivevano le migliaia di cittadini ammassati all'interno delle mura di Atene facilitarono il diffondersi nel 430429 a.C., di un'epidemia di peste, descritta dettagliatamente da Tucidide, che, con tutta probabilità, era giunta
dall'Egitto. L'epidemia si diffuse ben presto all'esercito assediante di Potidea ed Epidauro e causò migliaia di
vittime (si parla di un terzo dei cittadini) in città, nonché la morte di Pericle, influenzando così le sorti del conflitto.
Alla morte di Pericle, assunse la guida della fazione popolare Cleone, deciso a portare avanti la guerra ad
ogni costo e in fretta, ben al di là della strategia attendista di Pericle e in opposizione alla parte aristocratica che,
riunita intorno alla personalità di Nicia, premeva per richiedere una tregua a Sparta. La situazione di Atene era
resa particolarmente precaria dalla decisione di Sparta e Tebe di cingere d'assedio Platea nel 429 a.C., dallo
scoppio della guerra tra democratici ed oligarchi a Corcira, dalla decisione di Mitilene di uscire dalla lega delioattica l'anno successivo.
Cleone spinse l'assemblea dei cittadini a votare l'invio di una spedizione militare che costringesse i Lesbii a
tornare sui propri passi: Mitilene non cedette e gli Ateniesi intrapresero un assedio che riuscì vittorioso. Mostrando
una ferocia inusitata, Cleone convinse l'assemblea a decretare la soppressione di tutti i cittadini maschi e la
riduzione in schiavitù di donne e bambini. L’assemblea si limitò a far giustiziare circa mille cittadini mitilenesi, che
considerava i principali fautori della rivolta, e a decretare la distruzione delle mura e la consegna della flotta.
All'interno della lega delio-attica, la sola isola di Chio conservava una posizione relativamente autonoma, mentre
Atene si atteggiava sempre di più a tiranna.
La guerra aprì un nuovo scenario in Magna Grecia, dove le città ioniche con a capo Reggio, si scontrarono
con quelle doriche con a capo Siracusa, mettendo in crisi l'approvvigionamento di grano per il Peloponneso.
Atene, con una flotta al comando del navarco Lachete, prende il controllo dello stretto di Messina, con una vittoria
navale a Milazzo
Nel 425 a.C. la flotta ateniese guidata da Demostene di Afidna, durante uno dei tanti peripli del
Peloponneso volto alla devastazione del territorio, bloccò sull'isola di Sfacteria, che chiude la baia di Pilo in
Messenia, un contingente di opliti spartiati. Alla richiesta di Demostene di ottenere altre forze, l'assemblea
generale ateniese rispose votando l'invio di un contingente guidato da Cleone, che ottenne una vittoria
memorabile per gli Ateniesi e catastrofica per gli Spartani (battaglia di Sfacteria), i quali, con 120 spartiati presi
prigionieri, si ritrovarono menomati nel loro già ridotto corpo civico.
La situazione spartana fu risollevata dal generale Brasida nel 424 a.C., che trasferì la guerra fuori dal
Peloponneso. Con una lunga marcia, condusse l'esercito fino in Tracia, presso la città di Anfipoli, che gli Ateniesi
utilizzavano come base per rifornirsi di oro e di legname e grano proveniente dal Ponto Eusino. Nel frattempo
Cleone con 80 navi e 2000 opliti cercò di insediare nel territorio corinzio una guarnigione, ma dovette rientrare ad
Epidauro; pensò poi ad occupare Citera, isola dalla quale compiere scorrerie in Laconia e Tirea, dove nel
frattempo si erano rifugiati gli abitanti di Egina, la cui guarnigione spartana venne giustiziata.
Nello stesso anno un altro esercito ateniese, guidato da Ippocrate, fallì la coordinazione con le truppe di
Demostene, che muovevano da Naupatto, e venne sconfitto a Delio (Beozia), nelle vicinanze di Tanagra,
vanificando lo slancio prodotto dalla vittoria di Sfacteria. Il principale teatro di scontro rimase la Tracia, dove nel
422 a.C. Cleone tentò di riconquistare la città di Anfipoli, ma durante la battaglia sia Cleone che Brasida trovarono
la morte, togliendo di mezzo i due principali attori di questa fase della guerra.
Atene e Sparta concordarono nel 421 a.C. una tregua che viene definita "pace di Nicia" dal nome di uno dei
principali firmatari da parte ateniese. Dopo dieci anni circa di combattimenti, Atene appariva come vincitrice,
essendo riuscita a resistere al tentativo di Sparta di frantumare la Lega delio-attica; tuttavia la città aveva subito
perdite gravissime, sia sui campi di battaglia, sia a causa dell'epidemia e la parte popolare non era pienamente
soddisfatta degli esiti della pace, che non comportavano l'acquisizione di nuovi territori e lasciavano
sostanzialmente intatta anche la potenza spartana. Sparta, dal canto suo, cominciò a considerare con timore le
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perdite subite e comprese che senza un aiuto esterno non sarebbe mai riuscita a scalzare Atene dalla posizione di
predominio.
Già durante i primi mesi successivi alla pace di Nicia, Sparta e Atene non riuscivano a imporre il rispetto
dell'accordo ai rispettivi alleati. Infatti la tensione nei due blocchi portò alla ripresa della guerra che con la battaglia
di Mantinea compì il primo passo verso una vera escalation che finì col coinvolgere tutto il mondo greco. Ad Atene
con il diffondersi del malcontento la fazione radicale, favorevole a una soluzione militare definitiva, prese il
sopravvento. Uno dei suoi capi era Alcibiade, nipote di Pericle, il quale riuscì a dare via libera al suo ambizioso
progetto: mobilitare per la guerra tutte le risorse e le energie di Atene, aggredire Sparta con iniziative provocatorie
ed estendere la battaglia alle regioni più imprevedibili.
In Sicilia la città di Segesta invocò l'aiuto dell'alleata Atene per sconfiggere Selinunte, città appoggiata da
Siracusa, che era a sua volta alleata di Sparta. L'idea di Alcibiade era questa: Atene doveva impadronirsi della
Sicilia per guadagnarsi numerose ricchezze da investire nella lotta contro Sparta e nuovi alleati. Così la battaglia si
spostò dalla Grecia alla Sicilia. Atene allestì un'armata imponente: 134 triremi con un equipaggio di 25.000 uomini
oltre alle 6.400 truppe da sbarco. Il comando fu affidato ad Alcibiade, a Nicia e a Lamaco. La flotta partì nel 415
a.C.
Tuttavia, un grave fatto turbò l’ordine ad Atene: poco prima della partenza della flotta: una notte, furono
mutilato le erme, le statuette di Hermes che decoravano gli spazi pubblici, e la voce popolare aveva indicato in
Alcibiade e nei suoi uomini i responsabili. Una accusa era stata anche presentata ufficialmente in questo senso
presso il basileus. A tale supposto delitto si intrecciava la diceria che, durante un simposio, Alcibiade e i suoi amici
avessero messo in scena una parodia dei misteri eleusini: evidentemente i nemici di Alcibiade cercavano di
servirsi dell'accusa di empietà per mettere fuori gioco il rivale. Nell'imminenza della partenza e nella
preoccupazione dei relativi preparativi, però, la procedura di accusa venne ritardata, probabilmente anche per
l'accortezza degli accusatori, che temevano la personalità di Alcibiade e il favore di cui godeva presso gran parte
della popolazione.
La flotta partì e Alcibiade condivise il comando con Nicia.Quando la spedizione stava per approdare in
Sicilia Alcibiade venne raggiunto da una nave di stato che gli recava l'accusa ufficiale di aver mutilato le erme e
l'ordine di essere portato ad Atene per il processo. La responsabilità dell'episodio era invece dei suoi antagonisti
politici appartenenti a una piccola fazione oligarchica. Alcibiade si rifiutò di tornare in patria, fece perdere le proprie
tracce e, per vendicarsi, fuggì a Sparta dove venne accolto con tutti gli onori.
Intanto i comandanti ateniesi trovavano più difficoltà del previsto nell'espugnare Siracusa. Tuttavia nel 414
a.C. strinsero la città in una morsa di ferro, sia dalla terra sia dal mare. La caduta della città sembrava imminente,
invece nel 413 a.C. i rinforzi guidati dallo spartano Gilippo piombarono sugli assedianti, rafforzarono le difese della
città e riuscirono anche a spezzare la linea dell'assedio. Perse le speranze di prendere agevolmente la città e
colpiti dalle perdite subite, gli Ateniesi decidono di abbandonare l'impresa e di ritirarsi, ma un'eclissi di luna
consigliò a Nicia di ritardare la partenza per una notte: Gilippo ed Ermocrate ne approfittarono per bloccare la
flotta nel porto e distruggerla. Nicia allora tentò una ritirata strategica per via di terra, ma la temibile cavalleria
siracusana annientò l'esercito ateniese. Demostene si suicidò, mentre Nicia venne giustiziato e gli Ateniesi
superstiti vennero condannati ai lavori forzati nelle latomie, le cave di pietra di Siracusa.
La disfatta convinse i membri della lega di Delo ad abbandonare la città egemone, specie quando aumentò
l'imposizione di tributi per sostenere il riarmo della flotta. Se ne andarono uno dopo l'altra l'Eubea, Lesbo, Chio,
Eritre, Clazomene, Efeso, Mileto e Mitilene. L'intervento in Sicilia dello spartano Gilippo segnò la ripresa diretta
delle ostilità tra Atene e Sparta. I lacedemoni ripresero la strategia dell'invasione annuale dell'Attica, praticata nella
fase della guerra archidamica, applicando però un'importante modifica occupando la fortezza di Decelea, a nord
della regione, per rendere più agevole il controllo del territorio e il rifornimento delle truppe.
Nel frattempo, decisero di far rientrare i persiani nel contesto dell'Egeo, stringendo un'alleanza con il Gran
Re, che si impegnò a fornire loro una flotta: in questo modo ai persiani venne offerto il modo di superare i vincoli
imposti dalla pace di Callia agevolando la riconquista delle città greche in Anatolia: gli spartani ebbero quindi le
risorse per fronteggiare Atene anche sul mare. Mentre Tissaferne, satrapo di Ionia, Caria e Lidia garantì solo un
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sostegno economico a Sparta, Farnabazo, satrapo di Frigia e Bitinia mise a disposizione una flotta agli ordini degli
spartani.
Tale alleanza produsse importanti effetti anche su Atene, dal punto di vista istituzionale. Gli oligarchi
iniziano a far circolare l'idea che i persiani potessero cambiare idea e scegliere gli ateniesi come alleati, se solo
questi avessero mutato il regime istituzionale abolendo la democrazia. Gli oligarchi si mossero secondo un piano
organizzato nei dettagli e sotto la guida di Antifonte, aristocratico dall'intelligenza acuta, restio a parlare in pubblico
ma capace di tessere la tela occulta del colpo di stato; uomini come Teramene e Pisandro funsero da braccio
operativo; molti del resto furono gli affiliati alla congiura istituzionale, tanto che quasi tutti gli ateniesi non osarono
opporsi. Fu la stessa assemblea generale, convocata nel demo di Colono anziché nell'agorà, a decretare nel 411 il
cambiamento istituzionale. Il corpo civico venne ristretto a cinquemila cittadini e il potere affidato a una alla Boulé
dei Quattrocento, composta da quattrocento cittadini scelti dai fileti, i magistrati a capo delle tribù.
Gli oligarchi, tuttavia, rimasero poco al potere: malvisti dalla popolazione che, non a torto, temeva la loro
propensione di accordarsi con Sparta, se non addirittura arrendersi al nemico, vennero spazzati via dalla rivolta
cittadina seguita alla sconfitta militare di Eretria, che comportò la perdita, da parte di Atene, di tutta l'Eubea. Uno
dei congiurati, Frinico, venne ucciso in piazza, Pisandro fuggì, Antifonte rimase in città, dove venne processato e
condannato a morte con l'accusa di tradimento. Teramene, che aveva attivamente partecipato all'organizzazione
oligarchica, riuscì invece a gestire la transizione alla democrazia: il potere non tornò immediatamente
all'assemblea generale, ma venne temporaneamente gestito dai cinquemila. Secondo Tucidide, questo è il periodo
in cui Atene gode della migliore amministrazione di tutta la sua storia.
Pochi mesi dopo, il governo democratico venne pienamente restaurato e si preparò a riaccogliere Alcibiade,
il quale, nuovamente passato dalla parte di Atene, aveva combattuto in quegli anni per impedire la defezione degli
alleati e aveva sconfitto il nemico spartano-persiano ad Abido e a Cizico. Nel 409 Alcibiade rientrò trionfalmente al
Pireo e venne eletto stratego. La supremazia sui mari, però, era ormai in mano agli Spartani, guidati da Lisandro,
grazie alla flotta fornita dai Persiani e all'appoggio del satrapo della Ionia Farnabazo. Alcibiade non riuscì a
replicare i successi precedenti, (battaglia di Nozio) e nel 407, non essendo stato rieletto stratego, abbandonò
definitivamente la città,. Nonostante le difficili condizioni in cui si trovarono, gli ateniesi riuscirono a cogliere, nello
stesso 407 a.C., un'importante vittoria navale presso le Arginuse, ma i contrasti politici e l'esasperazione degli
animi vanificarono il vantaggio acquisito: difatti gli strateghi vittoriosi vennero accusati di non aver prestato
soccorso ai naufraghi e, giudicati davanti al tribunale popolare, vennero condannati a morte. Il solo Socrate si
opporrà alla richiesta di condanna, rimanendo però inascoltato.
Poco dopo, nel 404 a.C., quello che restava della flotta ateniese venne bloccato e distrutto da Lisandro
nella battaglia di Egospotami presso l'omonima baia. Atene, rimasta senza flotta, con il territorio attico occupato
dagli spartani, senza più la possibilità di essere rifornita per mare, non potè far altro che arrendersi. L'esercito
spartano guidato da Pausania entrò in città e impose condizioni di pace dure, ma più miti delle richieste dei tebani
e dei corinti, che invece premevano per la distruzione totale della città. Gli ateniesi furono condannati a
consegnare quasi tutte le navi rimaste, a sciogliere quello che rimaneva della lega delio-attica e ad abbattere le
mura che circondavano la città e la congiungevano al Pireo. In più, la città fu costretta ad accogliere, al Pireo, una
guarnigione spartana, con a capo un armosta con il compito di sorvegliare il rispetto degli accordi. Gli spartani
spinsero a un cambiamento istituzionale a favore dell'oligarchia e gli aristocratici, guidati da Crizia, colsero
l'occasione per instaurare un regime tirannico e dittatoriale, molto più rigido di quello disegnato pochi anni prima
da Antifonte: il governo dei Trenta Tiranni.
L’ egemonia spartana
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Nell'estate del 395 la guerra scoppiò e Tebe, aiutata da Atene, sconfisse ad Aliarto lo spartano Lisandro
che rimase sul campo. In seguito a questa vittoria si formò un'alleanza tra Tebe, Atene, Argo e Corinto in funzione
antispartana e, dal momento che la sede della lega era Corinto, il conflitto fu detto guerra corinzia.
La guerra si concluse nella primavera del 387, con la "pace del re" o trattato di Antalcida, le cui clausole
sancivano il dominio persiano sulle città dell'Asia minore e l'autonomia delle città greche della madrepatria. Sparta,
che pure era designata come la paladina di tale pace, ne approfittò per rafforzare la propria egemonia sulle altre
poleis. Nel 385 distrusse Mantinea, mentre nel 382 occupò proditoriamente la rocca Cadmea di Tebe imponendo
un regime filospartano. Nel 379 un gruppo di esuli tebani, tra i quali Pelopida, rovesciò il regime filospartano ed
instaurò la democrazia a Tebe stringendo alleanza con Atene.
Nel 378 lo spartano Sfodria tentò senza successo di occupare Atene con un’incursione notturna, ma fu
scoperto. L'incidente spinse Atene e Tebe a dichiarare guerra a Sparta. Nella primavera del 377 Atene fondò una
seconda lega navale in funzione antispartana e tornò ad essere una potenza navale. Nel 376 il generale Cabria
sconfisse la flotta spartana a Nasso, liberando Atene dal blocco navale nemico. L'anno dopo, nel 375, il generale
Timoteo sconfisse nuovamente ad Alizia la flotta spartana, riducendone del tutto la capacità offensiva. Nel
frattempo l'ascesa di Tebe preoccupò Atene, al punto da spingerla a riavvicinarsi a Sparta ormai indebolita. La
distruzione di Platea ad opera dei Tebani nel 373 inimicò definitivamente Atene e Tebe.
Nel giugno del 371 le parti in conflitto si riunirono a Sparta per una conferenza di pace, ma Tebe pretese di
giurare in nome di tutta la Beozia, in chiara violazione della Pace del Re che stabiliva il principio dell'autonomia
delle poleis. Ne seguì un nuovo conflitto tra Sparta e Tebe che si concluse con la sconfitta spartana nella battaglia
di Leuttra del luglio 371.
L’egemonia tebana
Il risultato della battaglia di Leuttra sancì la fine della supremazia di Sparta, costretta a sciogliere la Lega
peloponnesiaca, e l'affermazione di Tebe come potenza egemone in Grecia. Atene si schierò apertamente con
Sparta per contenere l'ascesa di Tebe. Negli anni seguenti, sotto la guida del generale Epaminonda, i Tebani
invasero più volte il Peloponneso: nell'inverno 370/369 assediarono la stessa Sparta senza riuscire ad occuparla,
mentre nell'estate del 369 staccarono la Messenia dalla Laconia, infliggendo un durissimo colpo alla potenza di
Sparta che da quasi quattro secoli dominava la quella regione. Nel 367 Epaminonda riuscì per breve tempo ad
ottenere l'alleanza dell'Acaia sottraendo la regione all'influenza spartana, ma in seguito l'arroganza tebana portò
alla rottura dell'alleanza.
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Atene, Sparta e Tebe nel IV secolo
Contemporaneamente, il generale Pelopida rafforzava l'egemonia di Tebe in Tessaglia combattendo contro
il tiranno Alessandro di Fere. L'egemonia tebana durò fino a quando furono vivi i suoi due generali di maggior
spicco, Pelopida ed Epaminonda. Il primo cadde in battaglia nel 364, mentre il secondo invase nuovamente il
Peloponneso nel 362 rimanendo sul campo di battaglia di Mantinea, che pure fu una vittoria per Tebe su Ateniesi
e Spartani alleati.
Come rileva lo storico Senofonte, dopo tale battaglia, in Grecia, si verificò tutt'altro che un consolidamento
dell'egemonia di Tebe vincitrice almeno sulla carta, ma aumentò solamente la confusione nelle relazioni
diplomatiche, in quanto nessuna polis era più in grado di emergere sulle altre, mancando i due generali Pelopida e
Epaminonda che fino a quel momento ne avevano deciso indirettamente l'andamento diplomatico.
Il predominio macedone
Il Regno di Macedonia si estendeva a nord della penisola greca, su un territorio prevalentemente
montuoso. Fin dal V secolo a.C. era stato troppo debole per esercitare alcun ruolo di primo piano in Grecia, ma
anzi subendo spesso l'influenza delle poleis greche. Durante l'egemonia tebana, il regno di Macedonia era entrato
nell'area di influenza di Tebe e nel 368 aveva dovuto consegnare ostaggi alla città beotica, tra i quali vi era il
giovane Filippo, erede al trono.
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Nel 360 il re macedone Perdicca III fu sconfitto ed ucciso in battaglia dagli Illiri ed il giovane divenne re.
Salito al trono della Macedonia, Filippo II, dopo aver dato un nuovo ordinamento allo stato macedone ed aver
riorganizzato l'esercito, con l'introduzione della falange macedone, rivolse il suo interesse alla politica estera. Egli
si dedicò con grande cura in particolare all'addestramento dell'esercito e organizzò la falange, una schiera di fanti
armati di lunghe lance, ispirandosi alle tattiche di guerra dei Tebani, osservate mentre era ostaggio.
In quel periodo Tebe era ancora la città più potente in Grecia, seppur privata dei suoi più validi comandanti.
Atene era impegnata nella guerra sociale contro i ribelli della Seconda Lega Navale, mentre Sparta si era ritirata in
un orgoglioso isolamento. Dopo essere entrato in urto con Atene, nel 357, per la conquista di Anfipoli, una città di
cui gli Ateniesi rivendicavano il possesso, Filippo intervenne in una guerra scoppiata nel 356 tra Tebe e i Focesi.
Dopo aver sconfitto questi ultimi nel 352, Filippo era pronto ad oltrepassare le Termopili ed entrare nella Grecia
vera e propria, ma trovò il passo sbarrato dagli Ateniesi e preferì ritirarsi. Presa coscienza della pericolosità di
Filippo, ad Atene si formò un "partito" ostile alla Macedonia che trovò la propria guida in Demostene che a partire
dal 352 si fece promotore di una politica estera più aggressiva che doveva arginare l'espansione della Macedonia.
All'oratore ed ai suoi sostenitori si contrappose un "partito" filomacedone capeggiato da Eschine, il quale
propugnava invece l'alleanza di Atene con Filippo.
Nel 348 Filippo eliminò una potente rivale della Macedonia radendo al suolo la città di Olinto, che fino ad
allora esercitava l'egemonia sulla penisola Calcidica. Esauste, le parti in conflitto stipularono nel 346 la Pace di
Filocrate, con la quale Filippo divenne tago di Tessaglia e membro dell'Anfizionia di Delfi, acquisendo un notevole
potere in Grecia.
Il potere esercitato da Filippo sulla parte settentrionale dell'Ellade destava non poche preoccupazioni in
Atene, dove Demostene con le sue famose orazioni (tra cui le 4 famose Filippiche che sono diventate l'invettiva
per antonomasia) metteva in guardia contro la supremazia macedone sul territorio greco.
Nel 343 Filippo sottomise anche la Tracia, alleata di Atene, mentre nel 340, durante l'assedio alle città di
Perinto e Bisanzio, catturò alcune navi che trasportavano grano ad Atene. L'incidente determinò la rottura della
pace e la dichiarazione di guerra. Demostene riuscì, nel 339 a creare una coalizione di poleis guidata da Atene e
Tebe per porre fine all'egemonia macedone e riconquistare le terre cadute in mano a Filippo.
Nell'estate del 338 Filippo avanzò in Beozia e sconfisse l'armata greca nella battaglia di Cheronea. Tebe
dovette accogliere una guarnigione macedone nella rocca Cadmea, mentre Atene, pur evitando l'occupazione
militare, dovette stringere alleanza con la Macedonia e sciolgiere la sua Lega Navale. L'anno seguente, il 337, nel
congresso di Corinto, Filippo creò la Lega di Corinto, un'alleanza tra la Macedonia e le poleis greche, eccetto
Sparta, la quale aveva lo scopo di allestire una spedizione contro la Persia, il tradizionale nemico della Grecia.
Tuttavia, l'anno dopo, nel 336, prima che la spedizione partisse, Filippo fu ucciso in un attentato ed il trono passò
al figlio Alessandro che aveva solo vent'anni.
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