Verita: riflesso della realtà o

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VERITA’: riflesso della realtà o semplice punto di vista?
di Cristiana Bullita
Gli antichi sostenevano una concezione realista della verità:
“Un enunciato vero dice ciò che è e uno falso dice ciò che non è”.
(Platone, Cratilo)
“É falso dire di ciò che è che non è, o di ciò che non è che
è; ed è vero dire di ciò che è che è, o di ciò che non è che non è”
(Aristotele, Metafisica)
La realtà è ciò che esiste e la verità è la sua evidenza. La verità è riflesso speculare e
rappresentazione adeguata della realtà. Lo specchio non volge a nostro beneficio nessun contenuto
espresso in un codice inaccessibile, “non interpreta, registra semplicemente ciò che lo colpisce così
come lo colpisce […] Lo specchio normale è una protesi che non inganna” (Eco, Kant e
l’ornitorinco, 1997). Il contenuto di percezioni relative agli oggetti del mondo fuori e dentro di noi
si presenta alla nostra coscienza in forma di efficaci rappresentazioni. Quelle rappresentazioni sono
Verità.
La psicologia, tuttavia, riferisce alla percezione un processo cognitivo che presuppone una funzione
attiva del soggetto percipiente, il quale elabora gli stimoli dell’ambiente esterno e interno secondo
modalità proprie. E, con la filosofia, pone la questione della conformità tra le nostre idee e la realtà
delle cose, scardinando la concezione realista e ingenua della conoscenza. É il problema della
verità, sia in ambito gnoseologico che etico.
Si può parlare di una Verità assoluta, oggettiva e universale, che sia riflesso verace della realtà e
valga per tutti e in ogni fase della vita?
O è possibile solo una verità prospettica, contingente, transeunte?
“L’uomo è misura di tutte le cose”
(Protagora, Fr.I)
Con Protagora (V sec. a.C.), la verità (alétheia) diventa relativa all’esperienza di ogni uomo. Poiché
è possibile, di ogni fatto e circostanza, fare discorsi in contrasto fra di loro (dissoi logoi) e avere
differenti punti di vista, gli unici criteri di verità di ciò che si afferma diventano la condivisibilità e
l’utilità ai più. Se un discorso non è oggettivamente vero, può almeno rispecchiare il punto di vista
della maggioranza. In questo senso “l’uomo è misura delle cose”.
Con Gorgia(V-IV sec. a.C.) esplode il conflitto tra realtà e linguaggio, tra i fatti e la loro
interpretazione:
“Che le cose pensate non esistono, è evidente:infatti, se il pensiero esiste, allora tutte le cose
pensate esistono, comunque le si pensino;ciò che è contrario all’esperienza”.
(Gorgia da Lentini, Del non-essere o della natura in I Presocratici.Testimonianze e frammenti)
Decisamente contrario ad ogni assolutismo gnoseologico ed etico è Nietzsche (1844-1900):
“Che cos'e' dunque la verita'? un mobile esercito di metafore, metonimie, antropomorfismi, in breve
una somma di relazioni umane che sono state potenziate poeticamente e retoricamente, che sono
state trasferite e abbellite, e che dopo un lungo uso sembrano a un popolo solide, canoniche e
vincolanti: le verita' sono illusioni di cui si e' dimenticata la natura illusoria, sono metafore che si
sono logorate e hanno perduto ogni forza sensibile, sono monete la cui immagine si e' consumata e
che vengono prese in considerazione soltanto come metallo, non piu' come moneta”.
(Nietzsche, Su verità e menzogna in senso extramorale)
E ancora:
“Le convinzioni, più delle menzogne, sono nemiche pericolose della verità.”
(Aforisma 483, Umano, troppo umano, 1878)
.
Ci sono errori necessari alla vita: tali sono quelli da cui scaturiscono le verità sulle quali fondiamo il
nostro essere al mondo. Sono errori le costruzioni della morale e quelle della scienza. Per queste
ultime, vedasi anche la critica di Popper all’induzione (Scienza e filosofia, 1969). Inferire una
conclusione basandosi sulla generalizzazione dei casi osservati significa scommettere
sull’affidabilità del mondo e dei suoi oggetti; scommessa indispensabile per andare a dormire la
sera confidando sempre in una nuova alba (Hume, Trattato sulla natura umana, 1739).
Ma il mondo non è del tutto traducibile nei nostri schemi logici, e la scienza si sforza inutilmente di
catturare in una rete concettuale la realtà che passa tra le sue maglie (Bergson, L’evoluzione
creatrice, 1907)).
Le convinzioni, più delle bugie, sono nemiche della verità perché più di quelle sono radicate e
inestirpabili. Le convinzioni colgono soltanto alcuni aspetti della realtà, da punti di vista parziali. La
realtà, come nell’universo leibniziano, si polverizza nelle infinite prospettive che di essa offrono le
singole convinzioni.
La verità, per Nietzsche, ha un carattere illusorio e prospettico. Al contrario di quanto sosteneva il
Positivismo, non esistono cose o fatti, ma solo interpretazioni di cose e di fatti.
Non esiste una Verità assoluta e atemporale, ma le molte verità, frutto delle nostre interpretazioni, si
collocano tutte nel flusso della storia.
“La verità è figlia del proprio tempo” scrisse Hegel tra XVIII e XIX secolo e, più di due secoli
prima, aveva espresso lo stesso concetto anche F. Bacone: la storia è un continuo divenire e in essa
e con essa divengono anche le nostre verità.
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