LA STORIA ETIMOLOGICA DELL’ABETE E DELLA BETULLA di Giacomo Saragosa * The resinous trees with high trunk, both the white fir tree (Abies of the Pinacee family) and the red fir (same family of Pinacee, but of the Picea kind) are deciduous conifers with aciform leaves. Our Christmas tree is the red fir, with its “typical draping stance”. In Greece it appears to have been dedicated to Artemis, goddess of hunting. Even the birch is a resinous plant, with a white and thin bark that often acquires manifold shapes. It was imported from the Gallia by the Romans who used it to make the famous lictors’ fasces brought in front of the magistrates. We also remember the use of this tree for the development of birch tar with which Neolithic population repaired cracks and plugged holes. L’ abete è un albero resinoso di alto fusto, buono per le costruzioni, il cui tronco si innalza molto da terra. Il nome abete lo si vuole congiunto ad ab-eo = vado via, composto da ab, cioè “da”, e dalla desinenza costitutiva dell’antico participio presente del verbo eo = vado. Propriamente quindi è: albero che va, dal __________________ * Primo Dirigente della Scuola del Corpo Forestale dello Stato Anno I - n. 3 Albero resinoso di alto fusto, sia l’abete bianco (genere Abies della famiglia delle Pinacee) che l’abete rosso (stessa famiglia delle Pinacee, ma del genere Picea) sono conifere sempreverdi a foglie aghiformi. L’albero di Natale è l’abete rosso, con il suo tipico portamento “a drappeggio”. In Grecia sembra fosse dedicato ad Artemide, dea della caccia. Anche la betulla è una pianta resinosa, con la scorza candida e adatta per la sua sottigliezza a forme vaghe: fu importata dalle Gallie dai Romani che se ne servivano per farne i fasci che i Littori portavano davanti ai magistrati. Se ne ricorda anche l’uso per la fabbricazione del catrame di betulla, con cui le popolazioni neolitiche riparavano fessure e tappavano buchi. SILVÆ 265 La storia etimologica dell’abete e della betulla Anno I - n. 3 basso in alto. Un’altra interpretazione lo fa derivare da una radice abh = sgorgare, gonfiare, forse in relazione allo sgorgare della resina. Generalmente con il nome di abete si designano sia gli abeti bianchi (fam. Pinacee, gen. abies), sia quelli rossi (stessa fam, gen. Picea, termine derivante dal latino pix = pece). Quello bianco è una conifera sempre verde a foglie aghiformi inserite a pettine sul rametto; quello rosso è anch’esso una conifera sempre verde a foglie aghiformi inserite a spirale sul rametto. L’abete bianco è l’abies di Plinio e l’élate di Omero; per Teofrasto è l’abete femmineo. Esso ammantava l’Appennino ed i monti della Grecia, in particolare (Dante, Inferno XIV) la “montagna,che già fu lieta d’acqua e di frondi, che si chiama Ida”, ai piedi della quale sulle sponde del fiume Eptaforo si ergeva un abete di 230 piedi di altezza, rinomato per la sua dimensione colossale. Di esso ci parla anche Strabone. Virgilio ci ricorda che nel 45 a.C. i Romani usavano portare in giro, durante le feste saturnali, un abete a significare la fine dell’inverno. L’abete rosso è la picea di Plinio, l’abete maschio o élate théleia di Teofrasto. Esso abbondava nelle Alpi Marittime, Carniche, Rezie, ma era estraneo alle altre parti d’Italia. Secondo Plinio è ramoso fino alle radici, ama i luoghi montuosi e freddi, tollera la potatura. Teofrasto osserva che il suo fogliame è più raggiato, pungente e rabbuffato e il suo legno meno bianco ma più duro di quello dell’abete bianco (inserta pectinum modo piceae Plinio). È supposizione che di questa specie fossero i due alberi piantati sulla tomba di Gerione, gigante a tre teste ucciso da Ercole, presso Cadice, come ricorda Filostrato. Presso i Germani, l’abete bianco è rimasto il re incontrastato delle foreste di montagna. Nella loro lingua, tann (da cui tanne = abete) designava sia l’abete che la quercia, forse perché erano i dominatori della montagna e della pianura. In Svizzera e nel Tirolo il genio della foresta abitava in un vecchio abete, le cui invocazioni per essere lasciato in vita venivano sentite dai boscaioli intenti al taglio e questo faceva sì che i vecchi alberi venissero rispettati. In alcune località della Germania a Carnevale venivano percosse le donne con rami di abete affinché avessero bambini. In altre località esso veniva ritenuto protettore contro la caduta della folgore, contro il malocchio e le fatture. 266 SILVÆ La storia etimologica dell’abete e della betulla Betulla Dal latino, betula voce di origine gallica, come attesta Plinio, che trova riscontro negli idiomi neo-celtici che hanno beith, beth, betho (da beith deriva il latino bitumen = catrame di betulla). È una pianta resinosa con la scorza candida e adatta per la sua sottigliezza a forme vaghe, che i Romani portarono dalle Gallie e serviva per farne i fasci che i littori portavano davanti ai magistrati. Il fusto è normalmente diritto e cilindrico, la corteccia è sottile, bianco-argentea con strisce orizzontali più scure, le foglie sono piccole mentre la chioma appare molto leggera e il suo colore, che è verde chiaro, durante il periodo vegetativo diviene di un bellissimo e caratteristico giallo dorato prima della caduta autunnale. Come esigenze è una tipica figlia del nord; con la sua chioma leggera ed elegante (i tedeschi la chiamano “la signorina del bosco”) è elemento caratteristico del paesaggio delle regioni boreali, dalla Svezia alla Finlandia, alla Russia e fino alla Siberia dove si trova spontanea in vaste formazioni boschive anche Anno I - n. 3 L’albero di Natale è l’abete rosso con il suo tipico portamento “a drappeggio”. Sembra che esso fosse dedicato in Grecia alla dea della caccia Artemide. Può fare meraviglia trovare traccia nella mitologia greca dell’abete rosso reperibile ivi solo in alta montagna, ma può darsi che l’albero abbia seguito il peregrinare della dea che era venerata nelle regioni nordiche come dea della vita silvestre e della luna e che sovrintende ai parti, mentre l’abete rosso era considerato l’albero della nascita. A lui era riservato nei calendari nordici il primo giorno dell’anno, che allora era quello del solstizio di inverno, della rinascita del Sole invitto, che poi fu scelto dai cristiani come quello della nascita di Gesù. Ciò può spiegare, forse, il suo destino di albero di Natale. È un fatto comunque che nel Medioevo presso i popoli nordici veniva tagliato un abete rosso all’avvicinarsi di Natale e veniva decorato con fiori e dolciumi. Tale usanza solo nei secoli XVIII e XIX venne importata presso altri Paesi europei e mentre in Francia fu introdotta, sembra, da Elena di Meklemburgo moglie di un Orleans alle Tuileries, in Italia si è diffusa pienamente con le truppe americane alla fine della seconda guerra mondiale. SILVÆ 267 La storia etimologica dell’abete e della betulla Anno I - n. 3 pure (taiga siberiana), che danno foreste luminose nelle quali i raggi del sole filtrano, attraverso chiome lievissime, a ravvivare il tappeto di eriche e mirtilli che ricopre il terreno. In Italia, dove essa varcò le Alpi a seguito del periodo glaciale, è albero di secondaria importanza benché si spinga sporadico fino sull’Etna, in Sicilia. La betulla è descritta da Plinio per albero indigeno delle Gallie, amante i luoghi freddi, rimarchevole per la corteccia foliacea e candidissima. Ne viene ricordato l’uso oltre che per realizzare i fasci littori e le verghe per battere i delinquenti, per la fabbricazione del catrame di betulla, forse per conciare una specie di bulgaro, e per riparare le fessure e tappare i buchi fin dalle popolazioni neolitiche. Fino a pochissimo tempo fa la betulla ha avuto un ruolo di primaria importanza tra gli sciamani siberiani che, arrampicandovisi durante le trances, riuscivano ad entrare in contatto con gli dei. Invero presso tali popoli la betulla ha sempre avuto una posizione di rilievo, tanto che, nel calendario sacro dei Celti, presiede il primo mese dell’anno solare (24 dicembre-21 gennaio). Essa è quindi collegata alla rinascita del sole. Nella festa che celebra il ritorno della luce, la nostra Candelora, la betulla è oggetto di speciale considerazione nella persona di Santa Brigida, il cui nome nordico, Birgit, deriva dalla radice indoeuropea bhirg = betulla. Il segreto, invece, della funzione della betulla nelle cerimonie sciamaniche sta nel fatto che, allo scopo di entrare in trance, gli sciamani la associano alla ammannita muscaria (ovolaccio). Questo fungo nasce in rapporto micorrizale con le radici di determinati alberi, ma la specie che preferisce è la betulla, ai piedi della quale si hanno le maggiori probabilità di trovarlo. Il consumo dell’ammannita provoca prima di tutto un periodo di sonnolenza dopo il quale l’interessato si sente stimolato a compiere alte gesta fisiche. Il tutto è dovuto alla muscarina, un allucinogeno concentrato nelle squame bianche, residue dell’involucro, che picchiettano il cappello. I Galli, secondo Plinio, impiegavano la betulla per confezionare torce nuziali ritenute di buon auspicio il giorno delle nozze, poiché era legata alla vita umana come simbolo tutelare. I Celti erano soliti coprire con rami di betulla le spoglie mortali per preparare il defunto a nuova vita. 268 SILVÆ La storia etimologica dell’abete e della betulla Anno I - n. 3 Da sempre la corteccia, che si stacca facilmente, è stata usata per fabbricare la carta. Gli abitanti di varie regioni nordiche se ne nutrivano in primavera, allorché è tenera e zuccherina; quando si faceva più consistente ma ancora flessibile, ne ricavavano sandali intrecciati o piroghe; infine la corteccia vecchia e spessa serviva a coprire le capanne. Serviva da rimedio contro vari malanni: la corteccia per le malattie della pelle e per stimolare la digestione, le gemme per attivare la secrezione biliare, le foglie giovani per prevenire la gotta, la linfa raccolta a primavera per eliminare l’acido urico. In comune a tutti questi usi c’è una funzione purificatrice e forse è per ciò che a Roma i fasci che circondavano l’ascia dei littori erano composti da verghe di betulla (i fasci rappresentano le punizioni che potevano infliggere i consoli e i pretori: decapitazione con l’ascia e fustigazione con le verghe). SILVÆ 269