“pitalaffi” e “merdegali” - Comune di San Zeno di Montagna

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Tra “pitalaffi” e “merdegali”:
il risus christianus di Clemente IX, il papa comico
Simona Santacroce
Torino
Abstact: During the papacy of Urbanus VIII Barberini, at the beginning of the history of
melodramatic opera, Giulio Rospigliosi wrote the very first comic librettos represented for great
carnival promoted by Pope’s family. This paper deals with the comical characters in
Rospigliosi’s Sant’Alessio and Chi soffre speri, illustrating the passage from a humor inspired by
classical comedy to typical lazzi of Commedia dell’Arte, connotated by characters speaking
dialectal varieties.
Key words: Giulio Rospigliosi, comical melodrama, Commedia dell’Arte, dialects and risus
christianus.
Una delle invenzioni del secolo barocco che più ha conosciuto successo e fortuna è
sicuramente l’opera musicale. Nel 1600, a Firenze, per festeggiare in maniera sorprendente e
spettacolare le nozze tra Maria de’ Medici e Enrico IV di Borbone, viene rappresentata
l’Euridice di Rinuccini. Dopo solo trentasette anni, a Venezia, viene rappresentata l’Andromeda
di Benedetto Ferrari, con musiche di Francesco Manelli, la prima opera scritta non più per essere
messa in scena di fronte a una corte per festeggiare un avvenimento solenne, ma allestita da
un’impresa per un pubblico pagante. In questo brevissimo arco di tempo si colloca l’attività di
Giulio Rospigliosi, futuro papa Clemente IX.
Il teatro musicale del «papa comico», così come è stato definito da Danilo Romei,90 è
unanimemente riconosciuto come momento fondamentale della storia dell’opera. Le innovazioni
apportate da Rospigliosi cominciano fin dal suo primo libretto, il Sant’Alessio, le cui prime
rappresentazioni si collocano tra il 1631 e il 1632: innovativa è senz’altro la trama, tratta
dall’agiografia e non, come invece accadeva per la maggior parte delle opere in musica, dalla
mitologia, ma soprattutto l’inserzione di personaggi e scene spiccatamente comiche.91
90
91
Cfr. ROMEI (1990).
Come fa notare FABBRI (1990: 47, 84), “fino a ora il teatro per musica aveva conosciuto solo
blandamente e di rado la dimensione del comico”: è dunque “all’esperienza romana che deve certo
ricondursi [...] la stabile introduzione di personaggi ridicoli”. Il teatro veneziano sarà quello che
raccoglierà maggiormente questa eredità di Rospigliosi. Colpisce il caso dell’Incognito Gian Francesco
In quanto librettista ufficiale del gran carnevale romano della famiglia Barberini,
Rospigliosi è un convinto sostenitore della poesia e della letteratura come mezzo per
veicolare verità moralmente edificanti. Di qui l’abbandono dei soggetti
paganeggianti e la scelta di rappresentare una vicenda quanto mai cristiana, più
vicina agli spettacoli delle Sacre Rappresentazioni, messe in scena anche nei
conventi, che non alle favole musicali che allietavano le feste di corte. La storia,
brevemente riassunta, è questa: durante la sua prima notte di nozze, il giovane
Alessio sfugge da casa per dedicare tutto se stesso a Dio con una vita di rinunce e di
umiliazione di sé. Decide quindi di vivere elemosinando proprio di fronte alla sua
vecchia casa, e tutti i giorni assiste alla disperazione dei genitori e della sposa,
sconvolti per la sua scomparsa. Entra in scena il diavolo per indurre Alessio in
tentazione: travestito da eremita, cerca di convincerlo, con argomenti umani, troppo
umani, ad abbandonare questo suo travestimento e la sua condotta di vita, così
irrazionale e fonte di inutile dolore per i suoi cari. Alessio è nel dubbio, ma un
angelo lo soccorre, dicendogli di continuare questa strada di rinunce, poiché ben
presto sarebbe morto. La costanza nel sacrificio per seguire la strada di Cristo è
dunque l’utile che il Sant’Alessio vuole insegnare.
Ma sorprende che ad
accompagnarsi ad una vicenda che si potrebbe facilmente definire tetra vi sia un
dulce squisitamente comico. Con il Sant’Alessio, infatti, per la prima volta nella
storia dell’opera lirica entrano in scena ben due personaggi comici, chiaramente
ispirati alla tradizione classica dei servi stulti, Marzio e Curzio, la cui condotta di
vita è così riassunta: “Poca voglia di far bene, | viver lieto, andare a spasso, | fresch’e
grasso mi mantiene”.92 I due paggi entrano nella trama come uno dei tormenti cui si
deve assoggettare il santo, giacché essi dedicano molto del loro tempo a schernirlo;
in realtà la loro funzione è soprattutto quella di alleggerire la trama, interrompendo i
momenti di maggiore pathos. Non a caso, la scena maggiormente dedicata ad uno di
Busenello, i cui personaggi comici “sono in gran parte da considerarsi i veri protagonisti dei melodrammi,
quelli che ricevono e trasmettono la morale [...] del poeta” (LATTARICO 2006: 11).
92
Il Sant’Alessio, atto I, scena III, vv. 272-275.
loro, la più divertente di tutta l’opera, si colloca proprio nel momento topico
dell’incontro tra il demonio tentatore e Alessio. Marzio, abituato a schernire Alessio,
scambia il diavolo per un mendicante, e decide di spassarsela prendendosi gioco di
lui. Un po’ spazientito, il diavolo accetta la conversazione. Il risultato è un dialogo
basato sull’equivoco, in cui il povero Marzio, senza rendersene conto, allude
all’inferno e alle sue selve «ombrose e spesse», e dunque dantescamente oscure:
MARZIO
Non so quel che d’intorno in rozzo manto
qui se ne stia facendo un eremita.
Forse hai la via smarrita?
DEMONIO
Ben altra volta, ohimè, smarrii la strada,
ma qui so molto ben dove io mi vada.
MARZIO
Per venir sì lontano
lasci la casa abbandonata e sola?
DEMONIO
Anzi ch’in mia magione è tanta gente
che par quasi infinita.
MARZIO
E come si vive, allegramente?
DEMONIO
Chi sa, tu ne potresti far la prova.
MARZIO
Non mi piace l’usanza.
Io, perché di cantar ogn’or son vago,
colà per quelle selve ombrose, e spesse,
non vorrei che il catarro m’offendesse.
DEMONIO
Non dubitar di questo,
che subito una stanza
ti darò, la più calda che vi sia.93
Ma l’opera rospigliosiana che ai nostri occhi può sembrare più significativa è il Chi
soffre speri, rappresentato nel 1637 e nel 1639. Una delle ragioni di ciò è il fatto che
la trama principale è tratta dalla novella decameroniana di Federigo degli
Alberighi:94 proprio in quest’occasione il Decameron è stato usato per la prima volta
come fonte per il soggetto di un melodramma.95 Soprattutto stupisce la massiccia
presenza di personaggi comici, veri protagonisti del dramma, che non sono più, come
nel Sant’Alessio, semplici figure ispirate alla commedia classica ma bensì le più
celebri maschere della Commedia dell’Arte. La scelta di questi personaggi, benché
oggetto di sospetto, se non di divieti, da parte della Chiesa, è motivata dalla loro
forte carica comica, ben più forte di qualsiasi personaggio ispirato alla coltissima
cultura classica; come leggiamo infatti nei versi di Antonfrancesco Grazzini detto il
Lasca:
93
94
Il Sant’Alessio, vv. 1073-1091.
Egisto, dopo essersi ridotto in miseria nell’inutile tentativo di conquistare l’amore di Alvida, vedova
bella e virtuosa, si ritira in una villa in campagna con i servi Zanni e Coviello. L’unico diletto che gli
rimane è il suo bellissimo falcone. Il figlio di Alvida si ammala, e chiede alla madre di procurargli il
falcone di Egisto. Accompagnata dalla serva Rosilda, la vedova si fa ricevere da Egisto per muovergli
questa richiesta. Questi, però, fa cucinare il falcone, e fa anche saltare in aria la torre presso cui abita, che
Alvida odia senza alcuna ragione. La bella vedova, commossa da questi sacrifici, decide di sposare
Egisto. Nel falcone ucciso viene ritrovato un elitropio, che guarisce il fanciullo malato. Nel frattempo,
Zanni e Coviello ritrovano i figli perduti; sotto spoglie maschili, la giovane Lucinda, innamorata del
protagonista, tenta il suicidio, ma viene riconosciuta come la sorella di Egisto, non prima però di aver
fatto innamorare di lei una giovane ninfa, Eurilla, la quale, rifiutata, decide di dedicare la propria vita alla
virtù nonostante l’amica più anziana, Silvia, la inviti a seguire l’amore e il piacere.
95
Cfr. MURARO (1968: 266).
Hanno i poeti questa volta dato | del cul, come si dice, in sul pietrone |
[...] così da i Zanni vinti e superati | possono ire a impiccarsi i letterati.
| Tutti i comici nostri fiorentini | son per questa cagione addolorati |
[...] Pensando il primo ognun esser richiesto, | la sua commedia aveva
apparecchiato: | chi l’avea mostra a quello, e chi a questo, | sperando
d’ora in ora esser chiamato: | ma il popol poi veggendo manifesto |
l’onor de’ Zanni in fino al ciel alzato, | senza più altro intendere o
sapere, | altre commedie non vuol più vedere.96
Come succedeva nel Sant’Alessio, il personaggio comico viene usato per smorzare i
temi troppo patetici di cui è portatore il personaggio principale. Nel caso del Chi
soffre speri, Zanni e Coviello sono il contrappunto al sentimentalismo del
protagonista, disposto a rinunciare a tutto e ad annullare se stesso per amore della
vedova da lui amata, Alvida. Dopo un lungo lamento, che spiega le ragioni
dell’innamoramento infelice di Egisto, segue la soluzione di Zanni: la costante fame,
emblema del suo personaggio, è il più efficace vaccino contro Cupido:
e zà che mo nu som a sto proposit,
a ve voi raccontar che sto fraschet
d’Amur, se ‘l colp ghe li veniva fatt,
al me l’avia attaccat.
Un zorno (o gran forfant!)
me fe’ veder duoi occi sterlucenti,
che verament
saraf mollificat un duro sass,
ma un hom com a son mi, che sempre ho fiss
el zervell al formaz, ai maccarù,
a i iofel, ai pastiz, ai fiadù,
el se n’andett per l’aier via voland;
96
Rime burlesche edite e inedite, ottava CII.
anzi al me par,
che con voz fort l’andass gridand:
«tutti quei che spendon al tempo in manzament
non ghe posso cazzar
nel cor namorament»97
Dello stesso tipo sono le parti più celebri del Chi soffre speri, in cui il disperato
protagonista piange e compatisce il falcone da poco ucciso. A questa situazione, già
potenzialmente ridicola, si aggiungono le parole e i lamenti di Zanni, abile caricatura delle
convenzioni operistiche. Nel melodramma ai personaggi comici vengono infatti sempre
assegnate melodie semplici che ricordano la tradizione popolare, riservando arie e lamenti a
chi interpreta la parti più gravi. Proprio questa “consapevolezza delle convenzioni
operistiche” porta Rospigliosi a “un’intenzionale caricatura”:98 il personaggio comico si
esprime dunque secondo moduli musicali ed espressivi tipici invece del protagonista serio, di
cui ne diviene la parodia. Esempio palese di questo procedimento è la scena XI del secondo
atto, in cui “il protagonista decide e lamenta il sacrificio del suo falcone favorito sulla tavola
da pranzo, ed è lamentosamente echeggiato”, nelle parole e nelle melodie, “da Zanni nel suo
dialetto bergamasco”.99 E il ridicolo zannesco è reso ancora più evidente dall’eleganza
formale del lamento d’Egisto, centrato sulla triste metamorfosi del falcone, che da predatore
delle fiere si trasforma in preda della morte:
EGISTO
Tu, ch’ad un cenno solo
dispiegavi le piume,
guerriero alato e cacciator volante,
di folti augelli a dissipar lo stuolo,
97
98
99
Chi soffre speri, atto I, scena III, vv. 69-85.
Cfr. PIRROTTA (1975: 321).
Ibidem: “Certamente anche i personaggi comici potevano all’occasione cantare arie virtuosistiche o
patetiche. [...] È un fatto ben noto che le disavventure e il disperarsi di un personaggio essenzialmente
comico producono un effetto ridicolo, che è tanto accresciuto quanto più i suoi lamenti sono
esageratamente patetici. [...] L’effetto comico è accresciuto dalla consapevolezza che il personaggio di
ceto inferiore sta usurpando convenzioni espressive che appartengono ad un’altra classe o tipo di
personaggi.”
movendo or basso or alto
in mille guise un dilettoso assalto;
quindi lieto facevi
con infallibil preda a me ritorno.
Tu, terror delle fere, ahi fato, ahi sorte!
Or sei preda di morte.
[...]
ZANNI
O via, coi anca mi
pianzer insiem con vu de compagnia.
Mo ho pur compassiù
[...]
Chi tel avesse mai det!100
Come si può notare, l’effetto comico è dato anche dall’uso del dialetto. Zanni ripete
praticamente le stesse parole di Egisto, ma il patetico qui diventa ridicolo grazie al passaggio
di codice linguistico: un procedimento questo tra i più sfruttati nella storia della comicità:
L’emploi des langues inusitées est du domaine de la comédie. [...] L’effet ridicule
est plus sensible dans les variations dialectales d’une même langue [...]. Ce sont
d’abord les patois qui entreront dans la comédie. [...] Rien de surprenant si patois
et langues étrangères ont été déjà exploités par Aristophane qui, dans ses
comédies, fait entrer le béotien, le laconien et le thrace. [...] Il ne faut pas passer
sous silence que le procédé revient dans les comédies de Menandre et de Plaute;
sans rejoindre, il est vrai, les proportions que le plurilinguisme a eu dans les
comédies européennes de la Rénaissance et dans la commedia dell’arte.101
Di particolare effetto è la dialettizzazione di termini letterari, appartenenti a un patrimonio
culturale alto, che nelle parole dei servi vengono storpiate per assumere, alle orecchie del
pubblico, significati completamente diversi, arrivando in alcuni casi alla scatologia: così
Zanni nel primo intermedio non canterà un madrigale, ma un merdegale; e se Coviello, che
100
101
Chi soffre speri, atto III, scena XI, vv. 153-178.
ELWERT (1960: 417).
“ha studiat il latin e ‘l volgar”, vuole tramandare “ad perpetua rei memoria […] no gnegnolo
petaffio” in un latino maccheronico che impressiona il suo compare, il più semplice Zanni
preferisce parlare in bergamasco, “ch’ognun l’intend”, e far incidere sulla sua tomba un breve
“pitalaffio”. Nelle parole di Coviello ci troviamo dunque di fronte ad una doppia parodia di
codice linguistico: ad essere trasformato non è soltanto il toscano letterario, ma anche la
lingua di cultura per eccellenza, il latino.
La risata suscitata da un personaggio che
inconsapevolmente deforma una lingua di cui si crede competentissimo è un tratto tipico del
genere comico presto entrato nel patrimonio dei comici dell’arte:102
nei lazzi in lingua il personaggio non prende in giro nessuno, anzi; egli,
concentratissimo e compreso nel suo ruolo, è convinto di saper parlare le lingue e di
poter fare bella figura esibendo la propria competenza.
Il ridicolo nasce proprio dallo stridore tra la convinzione del personaggio e la
sua palese incapacità [...]. Ecco quindi che la lingua diventa [...] accozzaglia di
parole incomprensibili che non possono che suscitare il riso in chi ascolta.103
Ed un forte riso sicuramente suscitò il Chi soffre speri, il cui successo ci appare ancora palese
sulla base delle testimonianze a noi pervenute. Questo divertimento si accompagnava ad un
intento che voleva essere anche didascalico. Agli spettatori infatti era stato dato un libretto
che forniva, oltre al riassunto di ogni atto, l’interpretazione allegorica della vicenda e di ogni
personaggio: grazie a questo stratagemma il risus diventa quindi cristianamente accettabile.
L’inserzione dell’elemento comico nel genere melodrammatico fu un atto decisivo, tanto più
forte poiché operato da un letterato legato alla famiglia Barberini, promotrice di una
letteratura moralistica e cristiana, e questa invenzione si colloca in un grande momento di
crisi dell’opera cantata, che aveva stancato gli spettatori proprio per la banalità delle trame
sempre basate su vicende mitologiche. Il comico rispogliosiano, che apre la strada all’opera
102
“Quando i contadini [...] o i servi [...] pronunciano una parola storpiandola, accostandola, per
etimologia popolare, ad un’altra di significato diverso (o addirittura inverso), lo spettatore ride
dell’ambiguità semantica e allo stesso tempo ride perché si sente "superiore" al personaggio”: A LTIERI
BIAGI (1980: 38).
103
NICOLETTA CAPOZZA, Tutti i lazzi della Commedia dell’Arte. Un catalogo ragionato del
patrimonio dei comici, Roma, Dino Audino, 2006, pp. 67-68.
buffa, infonde dunque nuovo vigore al melodramma, permettendogli così di proseguire la sua
secolare storia.104
FONTI:
GRAZZINI, ANTONFRANCESCO. Rime burlesche edite e inedite, a cura di CARLO VERZONE.
Firenze: Sansoni. 1882.
ROSPIGLIOSI, GIULIO. Il Sant’Alessio, in Drammi per musica dal Rinuccini allo Zeno, a cura
di DELLA CORTE, ANDREA, Torino, UTET, 1958, vol. I.
ROSPIGLIOSI, GIULIO. Chi soffre speri, a cura di CHIAMENTI, MASSIMILIANO. In ID.
Melodrammi profani, cura di ROMEI, DANILO. Firenze: Studio Editoriale Fiorentino, 1998: pp.
53-146.
BIBLIOGRAFIA:
ALTIERI BIAGI, M.L. (1980). Dal comico del significato al comico del significante, in EAD.,
La lingua in scena. Bologna: Zanichelli, pp. 1-57.
CAPOZZA, N. (2006). Tutti i lazzi della Commedia dell’Arte. Un catalogo ragionato del
patrimonio dei comici. Roma: Dino Audino.
ELWERT, W. T. (1960). L’emploi des langues étrangères comme procédé stylistique. Revue de
litterature comparée 3: 409-437.
FABBRI P. (1990). Il secolo cantante: per una storia del libretto d’opera nel Seicento.
Bologna: Il Mulino.
LATTARICO, J.-F. (2006). Busenello drammaturgo. Primi appunti per una edizione critica dei
melodrammi. Chroniques italiennes 77/78: 7-26.
MURARO, M. T. (1968). Primi appunti sulla fortuna del Boccaccio nei libretti per musica.
Studi sul Boccaccio V: 265-273.
PIRROTTA, N. (1975). Li due Orfei, Torino: Einaudi.
ROMEI, D. (1990). Il papa ‘comico’. Sui melodrammi di Giulio Rospigliosi (Clemente IX).
Paragone/Letteratura 20: 43-62.
104
PIRROTTA (1975: 311).
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