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I edizione: luglio 2012
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Patrizia De Rossi
GIANNA NANNINI
FIORE DI NINFEA
INDICE
Fiore di Ninfea
7
Noi donne siamo tutte madri
Storie quotidiane
La svolta tedesca
La vita dopo Plank
La rinascita
Giorni disumani
Prima in classifica
Giannadream
Nuova vita
God is a woman
Il rapporto con l’arte
Giannastyle
Gianna e la sua terra
In prima linea
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43
61
69
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107
123
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153
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La voce di Gianna
Grazie a
Fonti
181
187
189
FIORE DI NINFEA
Io sono tutta un contrasto, anche se ora
mi sento decisamente più equilibrata di
una volta. Sarà che si invecchia…
Mentre lei sciava in Libano, a Natale, e io traslocavo, a Roma, è
nato questo libro. In realtà ce l’avevo in mente già da qualche tempo,
perché è l’unica artista italiana che merita di essere raccontata trasversalmente. A parte i libri firmati da lei stessa – l’autobiografia Io
(Rizzoli, 2005), scritta con la collaborazione di Pino Casamassima,
e Stati d’anima (Bompiani, 2009), realizzato con Edoardo Nesi e
Alberto Bettinetti – se ne ricordano altri due: uno di Teresa De
Santis, che risale ormai al 1981, e un’opera pop bizzarra e ambiziosa
di Barbara Alberti uscita nel 1991. Poi, nulla. E allora, un po’ per
curiosità e un po’ per colmare una notevole lacuna, mi sono ritrovata
a scrivere dell’unica rocker italiana internazionale.
Scrivere di Giannanannini (un nome che ti viene tutto attaccato)
significa entrare in un universo ricco di sfumature e di contrasti, di
innumerevoli sfaccettature e contrapposizioni di elementi. Il rock e
la melodia, l’aggressività e la dolcezza, la Toscana e il mondo, il
sacro e il profano, il popolare e il colto, il passionale e l’etereo. Al
centro della musica e dell’arte di Giannanannini c’è sempre la donna,
la figura femminile. Non a caso, per la copertina del settimanale
«Vanity Fair», quando era in avanzato stato di gravidanza, ha indos7
GIANNA NANNINI – FIORE DI NINFEA
sato fieramente, suscitando un mare di polemiche, una maglietta
con su scritto GOD IS A WOMAN.
Giannanannini racconta storie di riscatto, di rivalutazione, di
emancipazione, di indipendenza. E la sua vita e la sua carriera professionale sono state tutto un susseguirsi di ribellioni, riscatti, rivalutazioni, emancipazioni e indipendenza. Il suggello a questo suo
modus vivendi è stata proprio la maternità, scelta e arrivata ben
oltre la soglia dei cinquant’anni. Una decisione che ha fatto scalpore,
suscitato dibattiti, scatenato polemiche anche violente, che tuttavia
non hanno minimamente inciso sulla sua solida consapevolezza.
Anche perché, di contro, Gianna ha dato speranza a migliaia di
donne in difficoltà, ormai rassegnate.
Questo libro non racconta dunque la vita di Giannanannini,
quanto la sua opera. Che non è limitata alla sola musica rock, ma
include l’applicazione della voce a una scultura, la trasposizione in
opera di un personaggio della Divina Commedia, la scrittura di una
colonna sonora, la partecipazione a un’azione di protesta o a un
concerto/evento organizzato a scopo benefico. Tutto questo, certo,
è filtrato e amplificato dal rock, che per Giannanannini è un atto di
ribellione, una presa di coscienza, uno stimolo ad agire.
“Il rock è… quando me ne sono andata di casa”, così ha detto in
un’intervista. “Avevo diciott’anni e dissi a mia madre che sarei andata
a Milano per diventare cantante”. Era più o meno il 1974 e Milano
rispetto a Siena era un altro mondo. Era la città delle grandi opportunità, dove tutto si poteva realizzare. Bastava mettersi in gioco e
rincorrere la propria strada.
In quell’anno, in Italia, un referendum popolare legalizza il divorzio
(12 maggio), le Brigate Rosse rapiscono un giudice (Mario Sossi, il
18 aprile), le organizzazioni neofasciste mettono le bombe nelle
strade (Piazza della Loggia a Brescia, durante una manifestazione
sindacale, il 28 maggio) e sui treni (l’Italicus, che unisce Roma e
Monaco di Baviera, il 4 agosto), la Fiat mette in cassa integrazione
65mila lavoratori, la Lancia e l’Autobianchi altri 73mila e l’Alfa Ro8
FIORE DI NINFEA
meo riduce l’orario di lavoro a 13mila dipendenti. La crisi del settore
automobilistico traina inevitabilmente anche quella di altri comparti
economici.
Si svolge anche il primo convegno nazionale dei gruppi femministi
(a Pinarella di Cervia, dall’1 al 4 novembre). Sono gli anni dell’autocoscienza teorizzata da Carla Lonzi, delle manifestazioni che rivendicano la libertà e l’indipendenza delle donne. È l’epoca in cui emerge
fortissimo il desiderio – che è bisogno – di affermarsi come donna in
una società comunque ancora troppo chiusa e ripiegata su se stessa,
dove la donna continua ad avere un ruolo subalterno rispetto all’uomo.
C’è stata la rivoluzione studentesca del ’68, che ha portato una ventata
di novità in tutti gli Stati dell’Occidente, ma l’Italia resta per tanti
versi un paese ancorato al passato, in cui i ruoli di genere, nonostante
i proclami di modernità e di uguaglianza, rimangono ben distinti. E
questo, per uno spirito libero e volitivo come Gianna, è difficilissimo
da mandare giù; anzi, è assolutamente inaccettabile.
Nella musica, sono gli anni del progressive rock e delle sperimentazioni elettroniche. In Italia, sono soprattutto gli anni dei cantautori
cosiddetti impegnati. Personaggi come Fabrizio De André e Lucio
Battisti si impongono per la profondità dei testi e per la purezza
della musica, e a loro guarda una fitta schiera di epigoni che va da
Francesco De Gregori a Ivano Fossati, da Eugenio Finardi ad Alberto
Camerini, da Rino Gaetano a Roberto Vecchioni, da Edoardo Bennato fino ad Alberto Fortis. Ognuno a suo modo, ognuno con il
suo stile, con le sue parole, con i suoi ritmi. Ma sono tutti uomini,
rigorosamente. Le voci femminili interpretano testi e canzoni scritte
per loro da altri uomini; non ci sono elementi femminili neanche
tra gli autori. Mina, Patty Pravo e Gabriella Ferri sono straordinarie
esecutrici, eccellenti interpreti di un linguaggio che non è il loro e
che forse – se potessero scegliere – non utilizzerebbero. Comunicano
e fanno da cassa di risonanza a pensieri altrui. Poi ci sono i gruppi, i
“complessi” che guardano al mondo anglosassone: lì, Pink Floyd,
Genesis, Van der Graaf Generator, King Crimson, Jethro Tull, Yes,
9
GIANNA NANNINI – FIORE DI NINFEA
Emerson Lake & Palmer, Gentle Giant; da noi, Premiata Forneria
Marconi, Banco del Mutuo Soccorso, Orme, Area, New Trolls e
una miriade di gruppi minori che si rifanno a quel sound. Gli italiani
dimostrano di essere molto bravi nell’elaborazione di quelle sonorità
e nell’utilizzo dell’elettronica. Si affermano non soltanto nei confini
nazionali, ma presto si fanno apprezzare anche nel resto del mondo,
soprattutto negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, dove si dimostrano
padroni del genere. Addirittura, in un’intervista rilasciata molti anni
dopo, Peter Gabriel – voce e leader storico dei Genesis, nonché fondatore del gruppo – dirà di aver ascoltato molto il progressive italiano
e di essersi, in qualche modo, ispirato ad esso.
Caratteristica principale del progressive è l’evoluzione – la progressione, appunto – dell’elemento rock dalla sua base blues verso
composizioni più melodiche, più armoniche, più ricercate. Il rock
perde la sua connotazione popolare e l’immediatezza che aveva in
origine per diventare un genere più colto, in cui il fatto di conoscere
la musica e le sue partiture diventa fondamentale. Se alla nascita,
negli Stati Uniti, il rock aveva una matrice proletaria, e in qualche
caso anche una qualche valenza politica, di denuncia sociale, con il
progressive si va in cerca di una dimensione più alta, ci si estrania
completamente dalla realtà circostante, si sperimenta un linguaggio
musicale più complesso: la ritmica basilare in 4/4 viene sostituita da
costruzioni asimmetriche in 7/8, 11/8, 13/8 che si rifanno alle partiture della musica classica e a quelle del jazz. L’obiettivo è di realizzare
delle autentiche opere su base rock e di rendere un disco, anzi un album, un’opera d’arte. Agli strumenti base come chitarra, basso e
batteria, si affiancano archi, tastiere e accompagnamenti orchestrali.
Si insegue una perfezione stilistica ed esecutiva per trasformare il
rock da musica per ballare, divertirsi e casomai per protestare e ribellarsi, in un genere ambiziosamente sinfonico. Ma anche qui lo
spazio per le donne è praticamente inesistente.
In un contesto così limitativo, la giovanissima Gianna Nannini
viene inserita in una band come voce solista. Il gruppo si chiama
10
FIORE DI NINFEA
Fauna Flora Cemento, il leader è Mario Lavezzi e Gianna incide
con loro un solo 45 giri, come si chiamavano allora i singoli, che
però avevano due facciate. Il lato B di quel disco (Congresso di
filosofia, con cui il gruppo partecipò al Disco per l’Estate del 1974)
è Stereotipati noi, brano scritto interamente da Gianna. L’esperienza
con i Flora Fauna Cemento si conclude qui, ma nel frattempo la
Nannini si è fatta notare e due anni dopo incide – grazie a Claudio
Fabi, che la produce – il suo primo omonimo album. GIANNA NANNINI racconta storie al femminile, per molti versi autobiografiche,
di rabbia, di sofferenza, di emancipazione. Una in particolare, Morta
per autoprocurato aborto, parla della vera storia di una ragazza che
perde la vita per interrompere una gravidanza non desiderata, o comunque impossibile da gestire. All’epoca, l’aborto in Italia era ancora
clandestino e punito con la reclusione da due a cinque anni, sia per
chi lo praticava, sia per le donne che consenzientemente si sottoponevano all’intervento. Solo nel 1978 diventerà legale (entro i primi
tre mesi di gravidanza) e finanziato dallo Stato. Morta per autoprocurato aborto viene subito apprezzata dal movimento femminista e
Gianna diventa un’icona. Fin dall’esordio, dunque, Giannanannini
fa capire di essere un personaggio anomalo nel panorama musicale
italiano. Si schiera e fa sentire la sua voce, decisamente fuori dal
coro: non è il cantautore che parla di politica, non è la cantante leggera tipica della canzonetta italiana, non è la corista di un complesso,
non è una cantante di quelle che recuperano le tradizioni popolari
come Gabriella Ferri e non è l’interprete sofisticata alla Mina o alla
Vanoni. Risulta impossibile da etichettare, sfugge a qualsiasi catalogazione. Le storie che Giannanannini mette in musica sono scomode
e crude e non fanno sconti a nessuno, non strizzano l’occhio né al
pubblico né tantomeno alla critica. Sono lì per testimoniare una società e un momento storico ben precisi.
Il desiderio, il bisogno di esprimersi in totale libertà, per Giannanannini è una necessità primaria: non può continuare a esibirsi veicolando opinioni altrui. Per questo, a Milano, preferisce fare la
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GIANNA NANNINI – FIORE DI NINFEA
gavetta nelle osterie e nei locali alternativi sui Navigli piuttosto che
scendere a compromessi e vendersi l’anima.
Il fiore di ninfea, in natura, è il fiore ermafrodito: ha entrambi gli
apparati riproduttivi, ovvero sia gli stami (l’elemento maschile) sia il
pistillo (quello femminile). Nella mitologia greca è il simbolo della
purezza, della mancanza di inquinamenti e di condizionamenti.
Gianna Nannini, che lo cita in uno dei brani più belli della sua produzione (Ogni tanto), sembra essere in perfetta sintonia con il fiore
di ninfea: “Mi sento donna al cento per cento e uomo al cento per
cento”, dichiara. La sua musica è un mix calibratissimo di rock e
melodia, la sua voce graffia, è ruvida, ma al tempo stesso raggiunge
degli acuti altissimi che le conferiscono un’infinita dolcezza. È contro
la famiglia, ma ha fatto una figlia a cinquantaquattro anni; è una
star di livello internazionale, ma è attaccatissima alla Toscana; è alla
costante ricerca di nuove sperimentazioni sonore, ma recupera continuamente i suoni e i racconti della tradizione popolare della sua
terra. Ha studiato al Conservatorio, ma ha fatto tutta la gavetta dei
piccoli locali di Milano; era molto ricca, ma ha preferito mettersi in
gioco da sola ripartendo da zero e sudarsi i suoi soldi. Fa musica da
sempre, ma è attratta dall’arte contemporanea. La sua essenza artistica
spazia a 360 gradi e si muove tra la musica, il cinema, il teatro, la
letteratura e, appunto, l’arte.
Gianna Nannini è un personaggio unico. Ha girato il mondo e
non si è mai fermata, è morta e rinata più di una volta, ha sempre
combattuto le sue battaglie rischiando in prima persona. È combattiva, Gianna, e non si tira indietro di fronte alle cose in cui crede.
Narra l’iconografia buddista che il fiore di ninfea nascendo nella
melma, crescendo nell’acqua e sbocciando sotto la luce del sole è il
simbolo perfetto dello sviluppo dell’essere umano che anela all’illuminazione divina. E attraverso l’illuminazione l’uomo (e la donna)
aspirano al bene degli altri esseri umani. Non so se Gianna Nannini
abbia queste aspirazioni, ma so per certo che il suo essere artista, il
suo personaggio e il suo carisma meritano di essere raccontati.
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NOI DONNE
SIAMO TUTTE MADRI
Le donne sono il motore del mondo. Sono
in grado di portare a termine i progetti in
cui credono. E non si arrendono mai.
Presentando in concerto il suo brano In viaggio, Fiorella Mannoia
dice: “Io non ho avuto figli, ma penso che noi donne siamo tutte
madri”.
La maternità è un desiderio insito in ogni donna. Alcune riescono
ad avere figli con facilità, altre impiegano più tempo, per alcune è
casuale, per altre è fortemente voluto, tutte comunque almeno una
volta nella vita hanno pensato di avere, di fare, di aspettare, di
crescere un bambino.
Evidentemente, anche per Gianna Nannini è stato così: la gravidanza è stato il suo vero sogno. Ne ha parlato lei stessa, scrivendo
per «Vanity Fair» una lettera-articolo indirizzata a sua figlia: “Solo i
sogni sono veri. Quelli che fai, quelli che esistono, quelli che vogliono
esistere”. E quel sogno lo ha inseguito per tutta la vita, mentre conquistava il mondo della musica e si avventurava nei luoghi più
lontani e affascinanti del pianeta. E la maternità cambia tutto, sposta
i confini, segna un punto dal quale non si torna più indietro: da
quel momento non sei più figlia, diventi madre. Cambia la prospettiva. Quando Gianna parla della sua bambina e del rapporto che ha
instaurato con lei, capisci che la volontà di generare una nuova vita
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GIANNA NANNINI – FIORE DI NINFEA
non ha limiti. Nessuno può arrogarsi il diritto di impedire a una
donna di far nascere suo figlio. Anche se ha superato i cinquant’anni
e l’impresa sarà difficile.
Avevo ormai perso la speranza. Certo, avrei potuto pensarci prima
quando i metodi per aver figli erano più spicci, ma avevo sempre rimandato anche se era la cosa che desideravo di più. Poi c’erano stati
quei mesi di pazzia, era il 1983, non sapevo più chi ero, mi si era fermata l’anima, il cervello era andato in tilt, ero tornata piccola. Per
questo me ne frego dell’età, perché se sono rinata nel 1983, sono
giovane, una mamma giovane: e Penelope è arrivata quando non ci
speravo più. Ora sono un tutt’uno con la musica e con Penelope. È
lei che mi fa scrivere ninne nanne rock tutto il giorno e sono solo per
lei, anche perché non le registro e il giorno dopo le ho già dimenticate.
A volte non ricordo di essere una rockstar, tra virgolette, ma la musica
è una parte fondamentale della mia vita, questo non cambierà e i
prossimi concerti saranno molto pieni di rock, amore ed energia. Ho
scoperto che l’amore vuole dire “ti voglio tanto bene”, come il brano
che ho scritto, e mi piacerebbe avere un altro figlio. All’inizio pensavo
che Penelope fosse un maschio, perché avevo avuto un aborto l’anno
prima, proprio quando è uscito GIANNADREAM. Gli si era fermato il
cuore, questo ora lo posso dire, non lo sapeva nessuno. Così anche
questa volta pensavo a un maschio. Quando invece ho saputo che
era femmina, dopo tre secondi ero entusiasta, pensavo di farle fare
tutto quello che faccio io! Le parlo molto, per energia e sicurezza,
perché cresca libera. Le insegno il pericolo, ma mai ad aver paura,
non le proibisco nulla, ma cerco di renderla responsabile.
Sul fatto poi che ci sia un uomo nella sua vita, il padre di Penelope,
Gianna è stata tanto sintetica quanto chiara: “Penelope una figura
paterna ce l’ha, anche se non vive con noi. Sono cose molto private
e penso che certi muri non vadano valicati neppure nella vita di una
rockstar”.
Il 2010, dunque, è l’anno che segna l’evento fondamentale nella
vita, ma anche nella carriera, di Gianna Nannini. Il 23 agosto, nello
stupore generale, l’artista senese annuncia di essere incinta, a cin14
NOI DONNE SIAMO TUTTE MADRI
quantaquattro anni, senza avere un compagno fisso dichiarato, almeno pubblicamente, e senza rivelare il nome del padre. Per un
paese come l’Italia, sufficientemente retrogrado, cattolico e bigotto,
è un colpo troppo forte. Gianna, come ha sempre fatto nella sua
vita, non se ne cura e porta avanti la gravidanza mentre scrive e registra il suo nuovo lavoro, IO E TE. L’album è appassionato, e nonostante l’autrice dichiari in più di un’intervista che quando è rimasta
incinta il disco era praticamente già pronto, è facile leggervi piccoli
riferimenti, più o meno evidenti, alla sua maternità. Questa sua gravidanza, dopo tre aborti spontanei e una vita in cui non si è fatta
mancare nulla, è la rivincita delle donne che non smettono di lottare.
È uno schiaffo ai falsi moralisti, una mazzata all’ipocrisia dilagante
in Italia, per cui se sei donna e fai un figlio a cinquantaquattro anni
è uno scandalo, se evadi le tasse no.
Ha scritto Isabella Bossi Fedrigotti sul «Corriere della Sera»: “Se
li disgusta [riferendosi a chi aveva sparato a zero sulla maternità di
Gianna] vedere signore non più giovani diventare madri, dovrebbero
essere disgustati anche dai sempre più numerosi padri di bimbi
piccoli che non hanno cinquant’anni, ma sessanta, settanta o, grazie
all’aiuto della medicina, anche qualcuno di più”.
Giorgia Meloni, all’epoca Ministro della Repubblica, addirittura
avanza e sostiene un’altra teoria: Gianna Nannini lo ha fatto per
vendere più dischi (!). Risponde Gianna in un’intervista: “Se un
cantante uomo fa un figlio e gli dedica una canzone e magari fa
pure un video sulla gioia della sua paternità, nessuno dice niente,
anzi, gli dicono bravo. Perché se io do alla luce questa bambina,
non rilascio interviste né tantomeno faccio uscire un Cd – cosa successa due mesi dopo – qualcuno scrive che lo faccio per promuovere
un disco?”. Se lo fa un uomo, è una conquista della scienza; se lo fa
una donna, è contro natura.
Gianna Nannini, spirito libero e anima rock, non ha mai dato
peso a quello che dicono gli altri del suo stile di vita. È indipendente,
determinata e carismatica. Ed è un’artista. Tutto, nella sua vita e
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GIANNA NANNINI – FIORE DI NINFEA
nella sua carriera, ruota attorno all’affermazione di sé come donna
in un mondo governato dall’uomo. E a maggior ragione, allora, la
sua gravidanza a cinquantaquattro anni incarna la rivincita di tutte
quelle donne che non hanno mai perso la speranza, anche di fare un
figlio, anche a cinquant’anni, anche senza un marito. Eppure, Gianna
ha dovuto faticare per diventare così com’è oggi: non soltanto
rockstar affermata a livello internazionale e artista di talento polivalente, ma anche e soprattutto donna e mamma felice.
Non ho avuto vita facile per raggiungere libertà e indipendenza. A
casa avrei avuto una vita più comoda, più al riparo da tutto ciò che
avrebbe potuto succedermi. Ma senza neppure la possibilità che mi
accadessero le cose fondamentali che mi sono capitate. Mio padre
avrebbe voluto che lavorassi con lui nell’azienda di famiglia o che almeno aprissi una profumeria o che facessi l’insegnante. Invece io
niente. Rock è chi cambia le cose, come santa Caterina. Ah, il mio
povero babbo… non ho fatto niente di ciò che voleva, però alla fine
diceva “La mi’ figliola è un genio”.
La sua è una battaglia che va avanti da cinquant’anni, da quando ha
deciso che sarebbe stata Gianna e basta e non quello che gli altri volevano che fosse.
È noto che dopo aver scritto la frase “Questo amore è una camera a
gas” non ho capito più niente, mi è andato in tilt il cervello. Sono
andata in cortocircuito. Avevo fatto troppi concerti, troppi dischi,
troppi tour tutto insieme. Sono crollata in un buco, risucchiata. Mi
sono arrivate in faccia un sacco di cose. Sono morta e rinata nel
1983. C’è stata qualche forza che ha cominciato a dettarmi, in parole
e in musica, messaggi forti di libertà e di amore. Tutto quello che mi
accadeva intorno era una scoperta: l’amore come la musica.
Subito dopo aver comunicato la notizia della gravidanza, non si è
più parlato di Gianna Nannini come artista, ma solo di come fosse
potuta rimanere incinta, chi fosse il padre, addirittura perché avesse
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NOI DONNE SIAMO TUTTE MADRI
fatto una cosa del genere. Le hanno detto di tutto: che era una
persona egoista e che aveva scelto di fare un figlio solo per un suo
capriccio, per riempire l’unico vuoto che poteva avere. Sui giornali,
nelle radio e nelle tv si sono scatenati dibattiti e approfondimenti
per sviscerare morbosamente i fatti. Salotti in cui le banalità e le ovvietà dominavano la scena, gente di dubbio o sconosciuto talento
ma di grande popolarità che improvvisamente sentenziava.
La maternità è una scelta, a volte coraggiosa, che dovrebbe essere
fatta in totale autonomia. Spesso è governata da fattori esterni che
non riguardano solo il nostro libero arbitrio, ma tanti altri elementi,
a cominciare appunto dal nostro corpo che decide (lui sì) quando
possiamo rimanere incinte e quando no. C’è poi il contesto che ci
circonda, le condizioni economiche e sociali, se viviamo una situazione di stabilità tale da poter garantire al bambino una condizione
di vita quantomeno dignitosa. E poi c’è l’altro, il padre della creatura
che nascerà. Che sia naturale, biologico o sconosciuto, è comunque
una presenza imprescindibile. E se non c’è, manca anche il bambino.
Se una donna è in grado di mantenere dignitosamente quel bambino
che vuole far nascere e di dargli tutto l’amore di cui ha bisogno,
poco importa se ha cinquant’anni o venti, se è sposata o sola, se fa la
cantante o la cameriera. Per mettere fine a tutte le polemiche, anziché
rilasciare un’intervista, Gianna si rivolge direttamente alla sua bimba:
“Scrissi quella lettera perché non ne potevo più dei commenti che
leggevo sui giornali e volevo fare chiarezza”. La lettera apparsa su
«Vanity Fair» iniziava con un ennesimo sovvertimento degli standard:
non siamo noi ad aspettare i figli, ma sono loro che attendono noi.
Ti chiamerò Penelope perché mi hai aspettata tanto prima di nascere.
Hai aspettato che fossi pronta. Per tre volte non lo sono stata, ma
oggi lo sono. Tu, il più grande amore della mia vita, arrivi dopo il
dolore profondo e lo shock. Ma ci ho creduto pienamente, e ho
sentito la forza per riuscirci, e Ti ho desiderata così tanto che oggi,
mentre scrivo, Ti ho dentro di me.
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GIANNA NANNINI – FIORE DI NINFEA
Quella che Gianna pubblica qualche giorno prima della nascita di
Penelope è una dichiarazione a cuore aperto, un messaggio tenero e
sincero vergato da una donna profondamente determinata a donare
tutto il suo amore a un’altra creatura, pur sapendo che ciò la porterà
inevitabilmente a mettersi in discussione. Ma Gianna non è affatto
spaventata da questa prospettiva. Mette da parte il suo essere rockstar,
la sua sfrontata personalità e il suo carisma magnetico per mostrarsi
solo come femmina-futura-mamma.
Prima di metterli al mondo, i figli, bisognerebbe fare un esame che
tenga in considerazione il rispetto della vita altrui e della libertà. La
libertà dei bambini, quella che ci viene tolta, giorno dopo giorno,
man mano che ci troviamo costretti a crescere. Perché chi crede che
essere genitore sia un diritto, e non un dovere, finisce per indottrinare
i propri figli anziché educarli. I nostri figli però – come scriveva
Khalil Gibran – non sono nostri, non bisogna considerarli di nostra
proprietà: non devono essere costretti a pensarla come noi, perché
hanno i loro pensieri, che possono essere simili ai nostri, o a volte
contrari, e in ogni caso è un bene che li abbiano e che se li tengano
stretti.
Pur evitando di alimentare il focolaio delle polemiche, Gianna non
risparmia frecciate a chi l’ha criticata per la sua coraggiosa scelta.
Ho sentito tanta gente che ha vissuto questa notizia, assieme a me,
con esultanza e brivido. Li ho sentiti vicini, mi hanno dato la forza
necessaria per non rispondere, per proteggerci, per conservare le energie per quando ne avremo più bisogno, per quando saremo Io e Te.
E li ringrazio di gran cuore, perché mi hanno permesso di non
perdere mai di vista la cosa più importante: la mia bambina. Così
come non ringrazio affatto chi mi ha dato contro, ancora una volta.
Chi, invece che cercare di capire, ha preferito giudicare, puntare il
dito e criticare. Perché le dita puntate addosso le ho da una vita, e
forse qualche errore l’ho commesso. Ma se c’è una cosa che so, adesso,
è che Tu sei tutto, però non sei un errore.
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NOI DONNE SIAMO TUTTE MADRI
La sofferenza, il dolore, la determinazione, la volontà: su questi
quattro cardini, l’artista senese ha costruito il suo essere madre. Una
maternità perseguita con i mezzi che la scienza ci mette a disposizione,
ma che costituiscono pur sempre per la donna un passo difficile, invasivo. Dice Gianna a una giornalista:
Io ho fatto solo una cura contro l’infertilità per rimanere incinta più
facilmente. Niente bombe ormonali. Parecchie mie amiche hanno
fatto le terapie a base di ormoni ed effettivamente si sono rovinate la
salute. Io invece non solo non sono ingrassata, ma sto molto meglio
di prima. È scientificamente provato che fare un figlio dopo i cinquant’anni fa bene: aiuta il ricambio delle cellule. Mi è pure migliorato
il fisico. Non sto dicendo “fate un bambino per stare in forma”. Un
figlio lo devi amare, non è una cura ringiovanente.
Nella lettera già citata, la Nannini scrive che “anche il ‘mestiere’ di
figlio è difficile: specie da piccoli, quando si è in balia di genitori che
spesso, trovando tanto difficile capire cosa vuole un bambino, rinunciano a capire e decidono da soli che cosa è giusto per lui, e ‘sporcano’
così la sua possibilità di vivere”. È una sensazione che Gianna ricorda
molto bene perché ci si è trovata dentro due volte: la prima – inconsapevolmente – quando è nata, la seconda – più coscientemente e col
senno di poi – quando è stata ricoverata nel 1983. Lo racconta lei
stessa, riprendendo il discorso interrotto con la figlia che sta per nascere: “Ti dico questo perché tanto tempo fa – nel 1983, mentre in
Germania registravo PUZZLE – sono morta e rinata, e ho rivissuto
quello che succede a un bambino dagli zero ai tre anni”.
È dunque una questione di relazione con il bambino, di come ci
si pone di fronte a un essere che necessariamente e inevitabilmente
dipende da te. Per questo stesso motivo, dunque, in un’intervista
più recente la Nannini afferma:
La verità è che i sogni dei genitori fanno tutti schifo: speriamo che
faccia questo o quest’altro. In giro ne vedo fin troppa di gente che
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GIANNA NANNINI – FIORE DI NINFEA
non è in grado di crescere un bambino. Non sono spontanei, e i figli
se ne accorgono. I bambini andrebbero trattati come persone grandi
perché ne sanno più di noi. Le loro cellule sono più veloci delle
nostre, siamo noi quelli che capiscono di meno. Non è detto che
una donna di una certa età debba essere per forza una cattiva madre.
Anche essere troppo giovane può essere un problema. Bisogna aspettare, vedere come crescono i figli. Se è stato sbagliato oppure no, lo
si può dire solo dopo. Io mi sento come se avessi ricevuto prima il
dono di fare musica e poi quello di avere una bambina. E credo che
il fatto di essermi realizzata rappresenti una marcia in più: forse una
mamma che nella vita ha raggiunto quello che voleva può dare qualcosa in più a un figlio.
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