1_La crisi dei fondamenti / Scheda 1 LA CRISI DEI FONDAMENTI si esprime … 1. … nella trasfigurazione figurativa dell’inconscio: Odilon Redon "Des Esseintes si soffermava soprattutto davanti agli altri quadri che ornavano la stanza. Erano firmati: Odilon Redon. Essi racchiudevano nelle loro comici di pero grezzo, filettate d'oro, delle apparizioni incredibili: una testa in stile merovingio, poggiata su una coppa; un uomo barbuto, dall'aspetto insieme da bonzo e da oratore di riunione pubblica, che toccava col dito una colossale palla da cannone; un ragno spaventoso che recava, al centro del corpo, un viso umano; alcuni carboncini poi si spingevano ancor oltre nel terrore del sogno tormentato dalla congestione. Qui, era un enorme dado da gioco in cui ammiccava una triste palpebra; là dei paesaggi, secchi, aridi, pianure calcificate, terremoti, eruzioni vulcaniche che andavano ad uncinare nuvole in rivolta, cieli stagnanti e lividi; talvolta anche i soggetti sembravano ispirati agli incubi della scienza, parevano risalire alle epoche preistoriche; una flora mostruosa fioriva sulle rocce; dappertutto, massi erratici, fanghi glaciali, personaggi in cui la testa scimmiesca, lo spessore delle mascelle, le arcate sopracciliari sporgenti, la fronte sfuggente, la sommità del cranio appiattita ricordavano la testa ancestrale, la testa del primo periodo quaternario, quella dell'uomo frugivoro e privo di parola, contemporaneo del mammut, del rinoceronte dalle narici divise e del grande orso. Questi disegni erano al di fuori di tutto: per la maggior parte, andavano oltre i limiti della pittura, introducevano un fantastico molto particolare, un fantastico di malattia e di delirio. E veramente taluni di questi visi, scavati da occhi immensi, da occhi folli; taluni di questi corpi, ingranditi smisuratamente, o deformati come attraverso una boccia, rievocavano nella mente di Des Esseintes dei ricordi di febbre tifoidea, ricordi che gli erano rimasti delle notti brucianti, delle spaventose visioni dell'infanzia. Preso da un vago malessere dinanzi a questi disegni, come di fronte a taluni "Proverbi" di Goya che essi ricordavano, come anche al termine di una lettura di Edgar Poe, di cui Odilon Redon sembrava avere trasposto in un'arte diversa i miraggi di allucinazione e gli effetti di paura, si stropicciava gli occhi e osservava una luminosa figura, che, dal mezzo di queste tavole sconvolte, si levava serena e calma, una figura di Malinconia, seduta dinanzi al disco del sole, su una roccia, in un atteggiamento abbattuto e triste. Per incantesimo, le tenebre sparivano: una tristezza affascinante, una desolazione, in un certo senso illanguidita, emanavano dai suoi pensieri, ed egli stava a meditare di fronte a questa opera che, con dei punti di guazzo sparsi tra la matita grassa, introduceva un chiarore di verde acqua e di oro pallido nel nero continuo di quei carboncini e di quelle stampe." (Joris-Karl Huysmans, A ritroso, 1884, cap. V) 2. …negli atteggiamenti di vita del decadentismo In questo saggio giovanile N. Bobbio cerca di definire la visione dell'uomo e del mondo caratteristica del decadentismo, in contrapposizione alle antropologie più note della civiltà occidentale. L'uomo decadente è un orfano privo di ogni ideale che gli consenta di dare significato alla propria vita, il decadente è un prigioniero della propria finitezza, un condannato per una colpa che non ha redenzione, un solitario talora orgoglioso della propria eccellenza, più spesso respinto ai margini della società. Bobbio stabilisce un legame tra il filone artistico in senso lato del decadentismo e la corrente esistenzialista (comprendente tra gli altri Kierkegaard, Jaspers, Heidegger, Sartre) che diagnostica l'esistenza dell'uomo come privazione di ogni fondamento. Il decadentismo è, assai più che un gusto letterario o uno stato d'animo, un atteggiamento di vita: implica quindi una determinata concezione del mondo e si ripercuote su tutti gli atti della vita spirituale. [...] Si tratta dell'atteggiamento di colui che, allontanandosi dall'orizzonte della trascendenza e dall'orizzonte del mondo, si ritira nell'orizzonte della propria […]: l'esistenza dell'uomo viene scrutata non per mettere in evidenza tutta la sua ricchezza, ma per addossarsene tutta la povertà. Il decadentismo rappresenta un ripiegamento irrevocabile dell'uomo su se stesso. Troncati i fili che legano l'esistenza umana al mondo delle cose e degli altri e alla trascendenza divina, l'uomo, racchiuso nella propria esistenza, ne raccoglie le vibrazioni più minute, ne sonda le preoccupazioni più segrete, ne insegue i moti più riposti: l'esistenza è nel mezzo, ma solo come esistenza sua, indissolubile da quel centro di atti e di reazioni che egli stesso è, non protesa verso gli altri, ma preoccupata soltanto del proprio singolarissimo corso. Ed ecco che affiora un nuovo volto dell'uomo tra i mille che la storia del pensiero ha suscitato: [...] isolato e ripiegato su di sé, sia che la noia gli riveli la totalità dell'essere o l'angoscia l'abisso del nulla da cui la sua esistenza è scaturita, sia che ogni evasione dalle situazioni, in cui una scelta da lui non voluta l'ha posto, sia destinata a fallire, sia che il naufragio l'attenda al limite di ogni tentata conquista, è l'uomo della finitezza tutta spiegata e tutta accettata, in cui ogni decisione è una ripetizione di se stessi, la libertà una libertà per la morte. Non gli si apre dinanzi la realtà di 1 1_La crisi dei fondamenti / Scheda 1 una rigogliosa vita collettiva, né gli gonfia il petto la potenza della sua ragione, né lo racchiude la realtà sublime dell'universo o la realtà angusta della natura: egli ha interrotto ogni legame col trascendente, ha imprigionato dentro di sé lo spirito universale, ha rotto i ponti con la natura. Egli vive sotto il segno del possibile, di una possibilità non raggiunta. [...] Così, all'idea del progresso inesorabile si sostituisce l'idea dell'inesorabile scacco; alla sicurezza di sé l'"insecuritas" come essenza dell'uomo, il quale non è più spinto dalla volontà razionale a superare la propria finitezza nel regno infinito della storia, ma dalla 'cura' verso la realizzazione della propria finitezza; alla serenità che dà padronanza di sé viene contrapposta l'angoscia di fronte al nulla; al dominio del mondo la derelizione nel mondo. Il senso della colpa, che sembrava espulso dalla coscienza dell'uomo, ritorna ad affiorare. E il pensiero della morte soprattutto, che era stato ricacciato al di fuori dell'orizzonte dell'uomo tutto immortale nella successione ininterrotta delle opere, è posto di nuovo al centro del suo destino. C'è, com'è stato più volte notato, una differenza: questa antropologia di origine religiosa descrive una situazione, che non è nuova dell'uomo, ma non offre la vecchia soluzione. La colpa è senza riscatto, la morte senza resurrezione. La finitezza dell'uomo è principio e fine a se stessa. L'orgoglio non si risolve in umiltà, ma rimane orgoglio ferito. All'uomo dell'esistenzialismo sfugge la via della salvezza mondana. La filosofia della crisi è essenzialmente la filosofia della assoluta mancanza di salvezza." (Norberto Bobbio, La filosofia del decadentismo, Chiantore, 1944) 3. …nel rifiuto dei canoni tradizionali della poesia La poesia viene scritta nel 1874 e pubblicata nel 1882 su "Paris Moderne". Successivamente viene inserita nella raccolta “Un tempo e poco fa.” Ars poetica è un chiaro manifesto di una visione che contesta come "aglio di bassa cucina" le convenzioni letterarie comunemente accettate. Verlaine sistematizza idee e pratiche di rottura dei canoni poetici già emerse nelle opere precedenti, e che avranno una profonda risonanza sugli sviluppi della poesia simbolista: a) Egli ricerca una poesia capace di risolvere la parola in musica verbale evocativa (intento che troverà in Italia un grande continuatore in D'Annunzio); b) la poesia non deve definire la realtà, ma deve evocare, spingere al di là verso mondi nuovi. La dissoluzione della realtà contingente suggerisce una nuova rivelazione delle cose: una realtà diversa che né la ragione, né i sensi o il sentimento, viziati dalla convenzione, possono cogliere. La poesia diviene "la buona avventura" che tende all'Azzurro", la riscoperta del mondo nella luce mattutina d'una ritrovata infanzia, d'un contatto elementare con la vita. Solo questa poesia-musica è capace di cogliere nel soggetto l'essenza viva, mutevole e impalpabile; c) in questa ascesi poetica occorre liberarsi di vecchi inutili armamentari. In concreto, Verlaine rifiuta la poesia chiara che ricerca classicamente la nitidezza delle immagini; la rima eccessivamente elaborata, tipica di ogni classicismo, che con la sua precisione nelle cadenze è incompatibile col fluttuare del sogno; l'altisonante "eloquenza" romantica che attribuisce alla poesia una funzione ideologica, come espressione propagandistica di contenuti (edificanti, morali, patriottici, ecc.). Sia musica, sia innanzi tutto musica! Tu devi dunque preferire il Dispari, Più vago e più vaporoso nell'aria, E niente che vi pesi o vi si posi. Ed è indispensabile scegliere Un poco ambiguamente le parole: Sia benvenuta la canzone grigia, Che il Preciso sa unire all'Indeciso. […] E inoltre noi vogliamo lo Sfumato, Colore no, soltanto lo sfumato! La sfumatura che sola fidanza Il sogno al sogno e il flauto al corno! Fuggi da lungi la Punta assassina, Lo Spirito crudele e il Riso impuro, Che fan piangere gli occhi dell'Azzurro, 2 1_La crisi dei fondamenti / Scheda 1 Fuggi quest'aglio di bassa cucina! Piglia l'eloquenza e torcile il collo! Faresti bene, in vena d'energia, A tenere un po' a bada anche la Rima. Fin dove giungerà, se non la guidi? […] Sia musica, ancora e sempre musica! Il tuo verso sia cosa dileguata Che si intuisce in fuga da un'anima involata Verso altri cieli, verso altri amori. Sia il tuo verso sia la buona ventura Sparsa nel vento aspretto del mattino Che va odorando di menta e di timo... Ed è, tutto il resto, letteratura. (Paul Verlaine, Un tempo e poco fa, 1882) 4. …nella crisi dell’immagine tradizionale della scienza … Non possiamo, neppure in linea di principio, conoscere il presente in tutti i suoi dettagli*. Per questa ragione, ogni cosa che osserviamo è una selezione da una globalità di possibilità e una limitazione su ciò che è possibile in futuro. In quanto il carattere statistico della teoria quantica è così strettamente legato alle inesattezze delle nostre percezioni, si potrebbe essere propensi a presumere che, al di là del mondo statistico percepibile, si nasconda un mondo reale nel quale sia ancora valida la causalità. Abbiamo tuttavia l’impressione, a essere franchi, che speculazioni di questo genere siano inutili e insensate… W. C. Heisenberg, Il contenuto intuitivo della cinematica e della meccanica quantistica, 1927 [*Il modello classico deterministico dell’universo secondo Laplace Dobbiamo dunque considerare lo stato presente dell’universo come l’effetto del suo stato anteriore e come la causa del suo stato futuro. Un’Intelligenza che, per un dato istante, conoscesse tutte le forze da cui è animata la natura e la situazione rispettiva degli esseri che la compongono, se per di più fosse abbastanza profonda per sottomettere questi dati all’analisi, abbraccerebbe nella stessa formula i movimenti dei più grandi corpi dell’universo e dell’atomo più leggero: nulla sarebbe incerto per essa e l’avvenire, come il passato, sarebbe presente ai suoi occhi. Lo spirito umano offre, nella perfezione che ha saputo dare all’astronomia, un pallido esempio di quest’Intelligenza. Le sue scoperte in meccanica e in geometria, unite a quella della gravitazione universale, l’hanno messo in grado di abbracciare nelle stesse espressioni analitiche gli stati passati e quelli futuri del sistema del mondo. Applicando lo stesso metodo ad altri oggetti delle sue conoscenze, è riuscito a ricondurre a leggi generali i fenomeni osservati ed a prevedere quelli che devono scaturire da circostanze date. Tutti i suoi sforzi nella ricerca della verità tendono ad avvicinarlo continuamente all’Intelligenza che abbiamo immaginato, ma da cui resterà sempre infinitamente lontano. Questo tendere, che è proprio della specie umana, è ciò che ci rende superiori agli animali, ed i progressi nel campo della scienza distinguono le nazioni ed i secoli e rappresentano la loro vera gloria. Laplace, Saggio filosofico sulle probabilità.] 5 … confutata dalla II rivoluzione scientifica Quali sono le conclusioni generali che possono trarsi dallo sviluppo della fisica, così come l’abbiamo delineato in un sommario schizzo, riassumente soltanto le idee più fondamentali? La scienza non è una raccolta di leggi, un catalogo di fatti senza nesso. È una creazione dell’intelletto umano, con le sue libere invenzioni d’idee e di concetti. Le teorie fisiche tentano di costruire una rappresentazione della realtà e di determinarne i legami con il vasto mondo delle impressioni sensibili. […] Con l’aiuto delle teorie fisiche cerchiamo di aprirci un varco attraverso il groviglio dei fatti osservati, di ordinare e d’intendere il mondo delle nostre impressioni sensibili. Aneliamo a che i fatti osservati discendano logicamente dalla nostra concezione della realtà. Senza la convinzione che con le nostre costruzioni teoriche è possibile raggiungere la realtà, senza convinzione nell’intima armonia del nostro mondo, non potrebbe esserci scienza. Questa convinzione è, e sempre sarà, il motivo essenziale della ricerca scientifica. 3 1_La crisi dei fondamenti / Scheda 1 Einstein, L’evoluzione della fisica. 6. …nell’invasione dei disordini Morin sociologo francese contemporaneo, uno dei padri della filosofia contemporanea della complessità, pone l’accento sul fatto che la scienza dell’età moderna ha cercato di dare una spiegazione unica e soprattutto semplice di tutti i fenomeni a livello microscopico e macroscopico. L'universo, visto come una grande macchina dal movimento immutabile, un orologio eterno, non ha niente in sé che non possa essere spiegato dal principio newtoniano della gravitazione. Gli aspetti di mutazione casuale, le irregolarità, sono elementi trascurabili, ininfluenti; la realtà è quella che non può essere colta dai sensi dell’'uomo: dietro il cambiamento apparente, sì nasconde una stabilità, un'armonia. A partire dalla Rivoluzione francese, gli uomini cominciano a porre in dubbio questa immutabilità della natura, a cercare spiegazioni meno assolute. L'universo di Newton si disgrega. L'Ordine, Termine-principe della scienza classica, ha regnato dall'Atomo alla Via Lattea. Si è dispiegato tanto più maestosamente in quanto la Terra è diventata un piccolo pianeta (Galileo, 1610) ed il Sole è rientrato nel girone della galassia (Wright, 1750). Da Keplero a Newton e Laplace, viene stabilito che l'innumerevole popolazione delle stelle obbedisce a una meccanica inesorabile [...]. Il peso dei corpi, il movimento delle maree, la rotazione della Terra attorno al Sole, tutti i fenomeni terrestri e celesti obbediscono alla stessa legge. La Legge eterna che regola la caduta delle mele ha sostituito la Legge dell'Eterno che, per una mela, fece cadere Adamo. Il termine rivoluzione, se si tratta di astri e pianeti, significa impeccabile ripetizione, non rivolgimento, e l'idea di universo evoca il più perfetto degli orologi [...]. Questo universo segna il Tempo e lo attraversa in maniera inalterabile [...] l'universo è autosufficiente e si mantiene da sé, per sempre. L'Ordine sovrano delle leggi della natura è assoluto e immutabile. Il disordine ne è escluso, da sempre, per sempre. Soltanto la debolezza del nostro intelletto ci impedisce di comprendere nella sua pienezza il determinismo universale, impeccabile, inalterabile, irrevocabile. Ma un demone, come aveva immaginato Laplace, in grado di osservare tutto l'universo ad un istante dato e conoscendone le leggi, sarebbe in grado di ricostruire tutti i suoi avvenimenti passati e di predire tutti i suoi avvenimenti futuri. Certo, alla scala terrestre, lo sguardo può essere disturbato da disordini ed alee, da rumori ed impeti. Ma essi non costituiscono che schiuma quasi fantasmatica della realtà. È solo alla superficie che regna il gioco dei casi irrazionali, diceva Hegel. La vera Realtà è Ordine fisico in cui ogni cosa obbedisce alle Leggi della Natura, Ordine Biologico in cui ogni individuo obbedisce alla Legge della Specie, Ordine Sociale in cui ogni uomo obbedisce alla Legge della Città. Ecco però che la società degli uomini si scongela, si trasforma. Ecco che dopo il 1789 la parola Rivoluzione significa non più ripresa dello stesso processo nello stesso processo bensì rottura e cambiamento. Ecco che si scopre che la Vita, lungi dall'essere fissa una volta e per tutte, dipende dall'evoluzione. L'universo stesso, e lo stesso Laplace l'aveva già supposto, sembra sorto da una "nebulosa primitiva" [...]. Il vecchio universo era un orologio regolato perfettamente. Il nuovo universo è una nube incerta [...]. Il vecchio universo poneva la sua sede nei concetti chiari e distinti del Determinismo, della Legge, dell'Essere. Il nuovo universo ribalta i concetti, li travalica, li fa esplodere, obbliga i termini più contraddittori ad appoggiarsi l'uno all'altro, senza tuttavia perdere le loro contraddizioni in un'unità mistica [...]. Il nuovo universo non è razionale, ma il vecchio lo era ancor meno: meccanicista, determinista, privo di eventi e di innovazioni, era impossibile. Come non aver capito che l'ordine puro è la peggiore follia che esista, quella dell'astrazione, e la peggiore morte che esista, quella che non ha mai conosciuto la vita? E. Morin, Il metodo, trad. it. di G. Bocchi, Feltrinelli, Milano, 1994, pp. 41-43,78-79 7. …nell’emergere della complessità Se nella seconda metà dell'Ottocento entra in crisi l'oggettività della matematica e della geometria, ai primi del Novecento, con la meccanica quantica di Planck, integrata dal principio di indeterminazione di Heisenberg, e con la teoria della relatività di Einstein, sembra che crolli parte rilevante del modello cartesiano di razionalità. La lezione che il mondo non è semplice e lineare, come si credeva, ma complesso, al punto che non sembra possibile rappresentarlo con il modello classico, deterministico, è a fondamento della caduta della razionalità oggettivistica e 4 1_La crisi dei fondamenti / Scheda 1 globale, tipica di certe filosofie come dei sistemi scientifici dell'Ottocento. Sia che venga concepito iscritto nella realtà, sia che venga concepito come soggettivo-trascendentale, secondo la versione kantiana, tale modello di razionalità non sembra più reggere all'urto delle nuove conquiste scientifiche. Dal paradigma assoluto alla relatività delle ipotesi scientifiche - Uno dei risultati più rilevanti è la caduta di qualsiasi fondamento assoluto o immutabile nella lettura dei fenomeni naturali. A buon diritto H. Weyl (matematico tedesco) ha osservato che queste nuove prospettive scientifiche hanno privato la fisica classica del suo carattere divino. Credo estremamente significativo sottolineare quel senso liberatorio da qualsiasi assolutizzazione, introdotto nel pensiero scientifico dalla teoria della relatività. Se ne fa interprete K. Popper che, dopo aver messo in luce in qual senso Kant sia ancora tributario della meccanica celeste di Newton, ritenuta immutabilmente vera, aggiunge: «Anche coloro che non accettano la teoria della gravitazione di Einstein, dovrebbero ammettere che si trattò di una conquista di rilievo veramente storico. La sua teoria stabilì infatti, se non altro, che quella di Newton, indipendentemente dalla sua validità o falsità, certamente non rappresentava il solo possibile sistema di meccanica celeste che potesse spiegare i fenomeni in maniera semplice e convincente. Per la prima volta, in più di 200 anni, la teoria di Newton apparve problematica. Durante questi due secoli essa era diventata un dogma pericoloso, dal potere stupefacente. Non ho alcuna obiezione da contrapporre a quanti criticano, sul piano scientifico, la teoria di Einstein. Ma anche gli oppositori di Einstein, al pari dei suoi più grandi ammiratori, dovrebbero essergli grati per aver liberato la fisica dalla paralizzante credenza nella verità incontestabile della teoria di Newton. Grazie ad Einstein, ora consideriamo questa teoria come un'ipotesi (o un sistema di ipotesi) - forse la più ragguardevole e importante ipotesi nella storia della scienza, e, sicuramente, una straordinaria approssimazione della verità». […] Il paradigma newtoniano, proposto e considerato come assoluto, è anch’esso relativo. Nell'area del sapere non ci sono assoluti, ma tutto è ipotetico e congetturale o almeno non definitivo. La scienza ha una base storica e quindi rivedibile, ma non ha un fondamento sicuro e indiscutibile. Assieme al paradigma newtoniano, la fisica classica, che dominava il pensiero scientifico e veniva ritenuta naturale e insostituibile, appare inadeguata e storicamente datata. […] (O. Todisco, La crisi dei fondamenti. Introduzione alla svolta epistemologica del XX secolo, Borla, Roma 1984, pp. 3448) 8. … nella denuncia nietzschiana della “morte di Dio” Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: "Cerco Dio! Cerco Dio!". E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. "È forse perduto?" disse uno. "Si è perduto come un bambino?" fece un altro. "Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?" - gridavano e ridevano in una gran confusione. Il folle uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: "Dove se n'è andato Dio? - gridò - ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi ed io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all'ultima goccia? Chi ci dette la spugna per strusciar via l'intero orizzonte? Che mai facemmo a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov'è che si muove ora? Dov'è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all'indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dei si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremo noi lavarci? Quali riti espiatori, quali giuochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Friedrich Nietzsche, La gaia scienza, 1882, Mondadori, 1971 9. pur permanendo l’urgenza intellettuale ed etica delle domande esistenziali … a. Ponendo delle domande a cui non si può rispondere, sul significato, gli uomini si pongono come esseri interroganti. (…) Ora, è più che probabile che se gli uomini dovessero perdere l’appetito di significato che chiamiamo pensare, se cessassero di fare domande senza risposta, perderebbero insieme non solo l’attitudine a produrre quegli enti di pensiero che si chiamano opere d’arte, ma anche la capacità di porre tutte le 5 1_La crisi dei fondamenti / Scheda 1 interrogazioni suscettibili di risposta su cui si fonda ogni civiltà. In questo senso, la ragione costituisce la condizione a priori dell’intelletto e del sapere. H. Arendt (1906- 1975), La vita della mente, p. 146 b. C’è almeno un problema cui sono interessati tutti gli uomini che pensano: quello di comprendere il mondo in cui viviamo; e quindi noi stessi (che siamo parte di quel mondo) e la conoscenza che ne abbiamo. Tutta la scienza, a mio avviso, è cosmologia e l’aspetto che trovo interessante nella filosofia, non meno che nella scienza, è l’audace sforzo volto a incrementare la conoscenza del mondo e la teoria ad essa relativa. (…) Dal mio punto di vista, tanto la filosofia che la scienza perdono ogni attrattiva quando abbandonano questo genere di ricerca – quando, cioè, diventano specialistiche e cessano di interrogare gli enigmi del mondo. La specializzazione può essere una tentazione per lo scienziato; per il filosofo è un peccato mortale. K. R. Popper (1902-1994), Congetture e confutazioni,235-236 c. Il problema del bene e del male, la nostra facoltà di distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato sarebbe forse connesso con la nostra facoltà di pensiero? […] potrebbe l’attività del pensare come tale, l’abitudine di esaminare tutto ciò a cui accade di verificarsi o di attirare l’attenzione, indipendentemente dai risultati o dal contenuto specifico, potrebbe quest’attività rientrare tra le condizioni che inducono gli uomini ad astenersi dal fare il male, o perfino li “dispongono” contro di esso? Hannah Arendt, La vita della mente 9. … a cui risponde un nuovo modello di ragione Cosa e come l'uomo è in grado di conoscere? L'interrogativo di sempre ritorna e, perché posto in un contesto fisico-matematico, appare di difficile soluzione. Chi guarda al mondo classico avverte che qui la razionalità, ritenuta oggettiva, era invece la proiezione di un modello ideale che la mente umana si illudeva di trovare fuori di sé. Le strutture cognitive venivano identificate con le strutture oggettive, ma in fondo più per un bisogno di sicurezza che per un effettivo desiderio cognitivo. La presa di coscienza di questo meccanismo proiettivo contribuirà, assieme alle altre conquiste scientifiche, a creare un nuovo stile di pensiero, grazie in particolare, alla filosofia di Nietzsche e alla pubblicazione nel 1900 della prima importante opera psicanalitica di Freud, L’interpretazione dei sogni. La teorizzazione dei meccanismi psicologici e l'accentuazione dei temi della libidine e dell'istinto di morte, come dell'istinto di piacere, contribuirono a far cadere l'architettura lineare e semplice dell'antropologia tradizionale. In misura che prende coscienza della complessità delle forze agenti dentro e contro di sé, l'uomo diventa più critico più misurato nelle proposte, alla ricerca di controlli rigorosi, con cui vagliare il grado di attendibilità delle sue creazioni teoriche. […] Certo, in misura che emergono la complessità e la disarticolazione del reale, di contro alla visione semplicistica e lineare della filosofia e della scienza, di cui Cartesio e Newton sono i tipici rappresentanti, la ragione non si sente più padrona di sé e del mondo, secondo la prospettiva illuministica, variamente tradotta e interpretata. Ciò che può dirsi tipico del Novecento, maturato in seguito alla crisi dei fondamenti, è un più marcato senso del limite: per quanto attiene l'ambito della ricerca, essa è sempre settoriale, e l'ambito delle conclusioni, non più definitorie e globali. […] Si tratta - cosa degna di nota - della critica all'onnicomprensività dell'orizzonte scientifico, o meglio alla pretesa del sapere scientifico di costituire l'orizzonte ultimo dell'autocomprensione dell'uomo e della sua storicità. Mentre la filosofia di matrice marxista ha tentato di dare un segno alternativo al sistema capitalistico-borghese della scienza e della tecnica, lasciandone inalterata la logica onnicomprensiva e liberatoria, la filosofia di Jaspers, Heidegger, Gadamer, ha invece inteso ridurre lo spazio della scienza e della tecnica, e quindi ha inteso contestare il dominio dell'uomo sulla natura che è sotteso all'orizzonte onnicomprensivo della scienza e della tecnica. Più che preoccuparsi di trasformare la scienza e la tecnica, tale filosofia ha inteso corrodere quella cogenza antropologica della scienza e della tecnica, in base a cui l'uomo viene riduttivamente spiegato, avviando rapporti non di dominio ma di rispetto e di contemplazione del mondo, entro cui ha senso il dominio che la scienza viene offrendoci. Ebbene, questa più ampia area, non empirica né sperimentalmente controllabile, nel cui nome tale critica è stata condotta, non è «detta o tematizzata», ma solo allusa o indicata. Ciò che Wittgenstein scrive alla fine del Tractatus logicophilosophicus è emblematico di un orizzonte di pensiero nel quale parte notevole del Novecento si riconoscerà: «Di 6 1_La crisi dei fondamenti / Scheda 1 ciò di cui non si può parlare (scientificamente) si deve tacere». Questo pensiero negativo, che rappresenta il sigillo apposto sulla «finis Austriae», ha lanciato una sfida alla dicibilità del «necessario», raccolta da un concorde «silenzio», quale estrema difesa o simbolo fragile e trasparente di quella realtà che si vuole proteggere da possibili contaminazioni e manipolazioni. La mancanza di fondamento che, secondo Heidegger, mantiene la nostra epoca sospesa sull'abisso del niente, e la povertà che inerisce al soggetto, senza centro e senza meta, esprimono una tensione esistenziale, più o meno compresa o banalizzata, che un qualsiasi sapere specifico o settoriale non può né cogliere né risolvere. Ma come questa tensione esistenziale si è espressa e si rivela nei prodotti culturali, sociali, religiosi? Come ripercorrere a ritroso questi «sentieri interrotti» per riscoprire lo spessore effettivo dell'io, nel suo momento archeologico e teologico? A parziale intreccio dei molti indirizzi culturali, settoriali e specifici, e come bisogno di cogliere nella provvisoria unità della realtà storica la ricchezza effettiva dell'uomo e delle sue reali aspirazioni, prenderà poi sempre più piede quel movimento ermeneutico che tenterà di introdurci nella complessità articolata dei nostri prodotti culturali, dove le distinzioni non reggono, ma si impone un pensare interpretativo (Gadamer - Ricoeur), non statico ne definitivo. (O. Todisco, La crisi dei fondamenti. Introduzione alla svolta epistemologica del XX secolo, Borla, Roma 1984, pp. 3448) 10… cioè un nuovo modo di porsi di fronte alla realtà La comprensione è il modo d’essere dell’esistenza stessa come tale. In questo senso è stato adoperato qui il termine ermeneutica. Esso indica il movimento fondamentale dell’esistenza (…) che abbraccia tutto l’insieme della sua esperienza del mondo. H. G. Gadamer (1900-2002), Verità e metodo, p.8 7