La celebrazione del mistero cristiano
Leggiamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica quanto riguarda la celebrazione del mistero
cristiano. Se riesco questa sera a comunicarvi non tanto la dottrina, quanto piuttosto il senso
profondo di questa parola: celebrare, sarò contento, e voi - suppongo - potrete tornare a casa
dicendo: “l’abbiamo capito: era un argomento di estrema importanza”. E lo è, molto
importante, perché è uno dei termini più diffusi, più usati, anche se normalmente non se ne
intende il valore. Preciso soltanto che svilupperò i numeri dal 1066 al 1075: pochissimi
numeri, però la sintesi di questi numeri è esattamente la parola celebrazione.
Celebrare è un termine che viene dal latino e in italiano viene usata, per esempio, per
derivarne l’aggettivo celebre: “Io sono una persona celebre” oppure “un personaggio”: è una
celebrità. Che cosa vuol dire? Significa nota, esaltata, lodata, presa in considerazione
pubblica. Celebrare è un altro discorso, o meglio continua il suo valore, perché celebrare
significa innanzitutto esaltare, lodare eccetera. “Io celebro la figura del Papa”: non gli sto
facendo una liturgia, semplicemente l’ho in grande considerazione. La celebrazione deve
essere anche un fatto pubblico, perché ha di per sé nel proprio interno il desiderio di essere
notata, di essere additata, addirittura. Io non celebro da solo Papa Giovanni Paolo II, non
vado in camera mia e mi metto a cantare le sue lodi, oppure lo faccio in un gruppetto. Voglio
che a questa lode partecipi il maggior numero di persone. Sto esplicitando il valore della
parola italiana.
Questa parte seconda del Catechismo della Chiesa Cattolica viene presentata come
celebrazione del mistero cristiano. Vi accorgerete che c’è non una caduta ma una variazione di
valore nell’uso della parola, perché quando noi facciamo la messa non applaudiamo al
mistero pasquale né alla messa stessa. Quindi si usa il termine celebrazione non soltanto
nell’accezione che ha nella lingua italiana corrente, ma lo usiamo in un senso tecnico.
Teniamo presente il testo del catechismo perché è estremamente significativo che prima di
introdurre il termine celebrare si faccia una lunga premessa. Il numero 1066 addirittura non
usa la parola. Inizia così: “nel Simbolo della Fede la Chiesa confessa il mistero della Santa Trinità e il
suo benevolo disegno su tutta la creazione. Il Padre compie il mistero della sua volontà donando il suo
Figlio diletto ed il suo Santo Spirito per la salvezza del mondo e per la gloria del suo Nome. Questo è il
mistero di Cristo rivelato e realizzato nella storia come un piano, una disposizione sapientemente
ordinata che San Paolo chiama l’economia del mistero, l’economia del Verbo, l’economia della
salvezza”. Notate che non c’è la parola celebrazione.
Andiamo avanti: “quest’opera della redenzione umana e della perfetta glorificazione di Dio, che ha il
suo preludio nelle mirabili gesta operate nell’Antico Testamento è stata compiuta da Cristo Signore,
specialmente per mezzo del Mistero Pasquale: Passione, Morte e gloriosa Ascensione, mistero con il
quale morendo...” eccetera. Viene presentata una sintesi del Vecchio Testamento e si arriva a
Cristo e al mistero tutto sommato dalla messa. “Infatti dal costato di Cristo dormiente sulla croce è
scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa” e siamo giunti alla fine della descrizione.
Proseguiamo: “per questo nella liturgia la Chiesa celebra principalmente il mistero pasquale per
mezzo del quale Cristo ha compiuto l’opera della nostra salvezza.” È la prima volta che si dice:
celebra. Per questo... celebra. Cioè: la parte espositiva del catechismo consiste nel presentare
l’opera di Dio. Addirittura parte dalla Trinità, il Padre attraverso Cristo e poi nella Chiesa
Cristo che... quando è che ha salvato il mondo e che ha realizzato l’idea che aveva il Padre
Eterno? Il mistero nascosto nei secoli, dice san Paolo... Quindi il dato storico: questo è
capitato; e perché è successo questo la Chiesa celebra. Siamo arrivati al dunque: celebrare il
mistero di Cristo che cosa vuol dire? Noi siamo in qualche maniera costretti a rifarci alle
esperienze umane per comprendere il significato del celebrare, che fa la Chiesa, del mistero di
Cristo. A mio parere, tra gli uomini, la celebrazione più forte, la vera celebrazione, la più
densa di significato, la più precisa e completa è la celebrazione nuziale, il matrimonio.
Sarà necessario qui fare un accenno non solo all’istituzione matrimoniale ma soprattutto a
quello che possiamo chiamare fenomeno del matrimonio, non solo in Italia, in un ambiente di
tradizione cristiana quantomeno, ma in India e in Cina e in tutte le civiltà il matrimonio viene
celebrato, non è un fatto privato. Questo dato lo troviamo nella storia delle religioni e nella
storia di ogni civiltà e pertanto non mi dilungo. Mi interessa un altro elemento e cioè che
questo piano della salvezza, descritto in questi termini dal Catechismo della Chiesa Cattolica,
l’abbiamo recentemente notato nel Vangelo, descritto nella parabola del ricco che vuole fare le
nozze a suo figlio.
Quanto è umana l’intenzione del padre di fare delle nozze per il proprio figlio! Il Padre
Eterno, dentro la parabola, è chiaro che vuole per il Figlio un corpo, una sposa, ed anche la
celebrazione del matrimonio. Non è necessario fermarsi a parlare del matrimonio nella Sacra
Scrittura: il tema è presentissimo e descritto sotto vari aspetti. “Beati gli invitati alle nozze
dell’Agnello”: basti questo accenno, perché non possiamo fermarci in una lezione specifica di
Sacra Scrittura. Voi capite, con questo accenno, non soltanto quanto è presente di teologico,
direi l’esegesi che noi dovremmo dare a proposito di questo e di altri testi. Praticamente in
un’omelia dovremmo mettere a disposizione del popolo né alla richiesta anche umana della
volontà di Dio di fare per il suo figlio Gesù una celebrazione di nozze con l’umanità. Omelia
che diventa catechesi, cioè presentazione del piano della salvezza. Racchiusa sotto il simbolo
del matrimonio, la cosa più importante è che Cristo stesso per presentare il piano della
salvezza - che include il Vecchio Testamento - sotto la forma del matrimonio; i servi (i profeti)
mandati fanno parte di questo unico piano. Veramente in questa parabola è presentato in
modo semplicissimo tutto il piano e tutto lo svolgimento della storia della salvezza.
Al centro e al culmine di questa storia è il banchetto di nozze. Che cosa ne possiamo
concludere? Anche nelle nostre chiese le nozze sono - forse - l’unica celebrazione che, se
vogliamo, è veramente celebrazione. È tale per le persone partecipanti alla cerimonia, al rito
(usiamo un altro termine che non è uguale ma pur sempre molto vicino). Celebrare è portar
qualcosa della propria vita (e quindi della propria umanità) e farla diventare gesto corale,
proclamarla in faccia al mondo. Due ragazzi vanno in chiesa per sposarsi. Perché? quale
realtà umana si palesa in questo loro desiderio, in questa loro decisione? Certo la sostanza è il
loro amore: anche i parenti, i vicini, i genitori, sanno che i due ragazzi intendono sposarsi, ma
il farlo è tutt’altra cosa: non è l’intenzione, è un fatto. La celebrazione direi che è un grido, è
un rendere celebre, noto, lodato, accolto, quasi addirittura imposto al mondo. Celebrare è fare
un gesto pubblico, fare pubblico quanto altrimenti sarebbe semplicemente privato,
semplicemente mio, la forza e la gioia del ragazzo che dice: “Io mi sposo!”, è effettivamente
un grido. Che cosa significa? I ragazzi che si sposano, voi lo capite, non portano in chiesa il
loro rapporto privato: questo rapporto lo fanno ed è tale e quando è fatto davanti a tutti. “Io
mi sposo”, comprendete, è quel fare il tipico che del celebrare. Quindi nel matrimonio già
oggi diffusamente noi abbiamo la celebrazione pura e semplice.
Subito dopo il testo parla di liturgia. Io mi sono chiesto: “Perché noi utilizziamo il termine
liturgia?” La domanda più precisamente è questa: Il termine liturgia è un sostantivo perché il
celebrare l’abbiamo sostantivato, per così dire? Se passiamo dalla sostantivo al verbo
chiediamoci: qual è il termine usato per indicare le liturgia nel suo essere fatta scusate posso
dire per caso liturgiare? Parola brutta che non esiste. Noi ricorriamo allora ad un verbo
importato: facciamo una liturgia, fare liturgia, l’azione della liturgia, perché la liturgia è un
atto. Però proprio di questa parola ci manca il verbo dell’azione che usi liturg- come radice.
Ma, almeno che io sappia, non esiste. Noi utilizziamo l’altro termine: celebrare. Il termine
adeguato dell’azione liturgica è celebrare: celebrare la liturgia. Ma vedete, allora - leggiamo il
numero 1069 - vedete che quanto dicevo a proposito del matrimonio come vera celebrazione
umana ritorna qui: celebrare è aprirsi non solo agli altri ma all’universo mondo. Il significato
religioso di chi si sposa in chiesa è presente perché è un rito di vita. Oserei dire: questi due
ragazzi che dicono “io mi sposo, noi ci sposiamo”, vogliono coinvolgere non solo il prete, ma
c’era terra ed anche il Padre Eterno. Il loro è un grido totalizzante, così com’è totalizzante
della liturgia: sposarsi è compiere un atto liturgico e il celebrare è proprio superare ogni
limite, andare oltre ogni confine. Ecco allora che noi intravediamo nel concetto stesso di
liturgia quanto vi ho appena espresso. Noi sappiamo che anticamente, in Grecia e altrove, un
atto liturgico è una specie di comizio elettorale. In Grecia il comizio era accompagnato da un
sacrificio ad alcune divinità, sacrificio che coinvolgeva tutta la cittadinanza e che era inteso
per Giove di Giove capitolino come in erba in Grecia, perché desse la vittoria alle armi
romane o greche. Ecco l’atto completo, globale dell’uomo, dell’uomo singolo nella comunità
che attraverso il sacrificio religioso si pone in contatto con l’ulteriore.
E il concetto fondamentale, il nocciolo, della liturgia, del fare una celebrazione è quello
appunto del fare e del realizzare. Noi dovremmo dire: “facciamo la messa”, o meglio subito
dopo viene sapientemente identificato dal testo stesso dal catechismo alla domanda che fare
liturgia: il fare, il fare pubblico: il fare universale, il fare alla faccia di tutti, se vogliamo, nel
cielo e nella terra.
Nella liturgia cristiana chi fa, chi agisce, chi celebra le liturgia sappiamo che è nostro Signore
Gesù Cristo. Le Chiesa usa un termine caratteristico. La Chiesa afferma che è insieme Cristo e
se stessa e la Chiesa. In altri termini, è il Cristo totale. Cioè noi - la Chiesa, il sacerdote - siamo
assorbiti nell’atto che compie Cristo, il quale appunto, viene detto, esercita la sua funzione
sacerdotale. Il testo che commentiamo dice: “esercita il suo sacerdozio”, esercita la funzione
di Cristo. La celebrazione liturgica, e siamo al numero 1070: “nella celebrazione liturgica la
Chiesa è serva, a immagine del suo Signore, l’unico liturgo, l’unico celebrante, perché partecipa del suo
sacerdozio profetico e regale” cioè perché partecipa della sua figura che è sacerdotale, che è
regale, che è profetica. La Chiesa, nell’atto dell’azione liturgica, lascia che Cristo, attraverso se
stessa, attraverso il suo essere presente con Cristo, faccia tutto quello che può fare Cristo: cioè
un atto sacerdotale, un atto di annunzio, un atto di regalità. Regalità, qui si aggiunge, che è a
servizio della carità. Nella messa la regalità e anche la presidenza del vescovo o del sacerdote
al posto del vescovo, il quale si siede non sul trono ma nella presidenza. È lui che convoca,
perché è Cristo che convoca attraverso il vescovo o il sacerdote, che si pone di fronte al
popolo di Dio, il popolo di Dio mi viene come dire? non escluso, annientato, ma unito da
questo atto del fare. È giusto quindi qui usare il termine carità: la nostra comunione è
comunione in Cristo.
Abbiamo così poco tempo che devo adesso veramente correre. Però alcune cosette, appena
appena, le voglio dire: essendo un’azione, la liturgia, essendo quindi essenzialmente un
celebrare di fronte al mondo, nella liturgia noi dobbiamo entrarci come attori, come parte di
Cristo che agisce. Quindi che cosa viene escluso, e lo dico escluso in maniera del tutto
radicale? Viene escluso come la peste il ritualismo: il fare le cose pensando che, senza la mia
partecipazione, senza che io sia coinvolto nella celebrazione, si faccia qualcosa. È pur vero che
i sacramenti, come dice il concilio di Trento, agiscono e hanno efficacia ex opere operato, per se
stessi. Ma il senso profondo di questa efficacia ex opere operato non può essere rintracciato nel
ritualismo. Infatti è il corpo di Cristo, un rito Cristo che celebra. Non c’è messa in cui il
popolo di Dio e il sacerdote, nel mistero, non sia unito a Cristo, perché ogni messa è sacrificio,
è l’unione di tutta la Chiesa di Cristo: la messa e così tutti gli altri sacramenti.