Il concetto più importante dell'etica antica è quello di areté, ossia di virtù. La parola greca non trova una corrispondenza precisa in alcun termine della nostra lingua, e negli studi recenti la traduzione invalsa tradizionalmente, "virtù", è spesso sostituita da "eccellenza". Aretè è il sostantivo astratto che corrisponde all'aggettivo agathòs, il termine più generale con cui il greco designa il "buono". Tutto ciò che è buono nel suo genere possiede la aretè corrispondente. Per noi suonerebbe arcaico parlare della virtù d'un cavallo o di quella d'un coltello, il che costituisce senz'altro una ragione per preferire la traduzione "eccellenza"; mentre alcune delle aretai peculiari delgi esseri umani, come le competenze scientifiche, mal si adattano a venire descritte in termini di "virtù intellettuali". Ma forse è altrettanto inappropriato definire eccellenza un tratto del carattere come la mitezza. Ciò denota il fatto che manca alla nostra lingua una perfetta adeguatezza semantica col significato greco della parola. La questione non è meramente idiomatica: essa rivela una differenza concettuale, fra i greci antichi e i moderni occidentali, circa il modo appropriato di raggruppare diverse proprietà che sono desiderabili per gli esseri umani. Noi moderni tendiamo infatti a distinguere gli elemnti di una "vita buona" (come pietà, temperanza ecc.) da altre disposizioni dell'essere umano (come coraggio, abilità, ecc.) che invece per un greco erano perfettamente integrate. La differenza fra le due strutture concettuali1 rende conto della difficoltà implicita nello studio della filosofia morale elaborata nell'antichità, ma nel contempo dà ampiamente l'idea del valore che essa riveste. 1La concezione moderna differisce profondamente da quella greca per quanto concerne ciò che è peculiare dell'essere umano in ambito morale. Per noi moderni il centro della tematica morale è costituito dalla volontà buona. Per i greci l'ambito morale è costituito invece da tutto il complesso quadro delle caratteristiche che rendono una vita degna di essere vissuta. Questo ampio spettro è connotato dall'uso che facevano i Greci del termine aretè (virtù). Vi rientrano qualità umane (disposizioni del carattere, abilità, saperi) che difficilmente noi moderni accetteremmo come specificamente "morali". Ad esempio il coraggio in battaglia, oppure la perizia nel condurre i propri affari o il piacere derivato dalle competenze scientifiche, sono tutte condizionali funzionali al compimento di una vita buona, degna di essere vissuta. Ma nessuna di esse identificherebbe la volontà buona così come la concepiamo noi moderni. L'ambito morale greco risulta quindi più complesso e più variegato di quello moderno e differisce anche per un orientamento di fondo della morale che si pone come un potenziamento, un miglioramento delle qualità individuali. Mentre nella concezione moderna, le qualità personali inessenziali al conseguimento di una volontà buona tendono ad essere sacrificate o misconosciute.