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16. SULLA LEGGE DI HUBBLE: QUELLO CHE NON TI DICONO MAI.
Questo tema è di fondamentale importanza in astrofisica, però informo il lettore che la sua
trattazione potrà risultare pesante, data la complessità dell’argomento.
La scoperta dell’espansione.
In tutti i libri e riviste che parlano dell’espansione dell’universo si legge che questo
fenomeno fu scoperto dall’astronomo Hubble. Egli appunto si accorse nel 1929 che,
misurando l’effetto Doppler della luce delle galassie allora più note, questo denunciava
sempre velocità di allontanamento.
Poiché le distanze di alcune galassie erano note da altri metodi di misurazione, si accorse
inoltre che più la distanza era grande e più la velocità di allontanamento era grande. Si
trattava comunque di distanze molto inferiori al miliardo di anni luce.
Si poteva dunque scrivere la famosa formula:
V=H*d
Dove V è la velocità di allontanamento della galassia osservata, d è la sua distanza in
milioni di parsec (1 parsec = 3,26 anni luce), ed H è la famosa costante di Hubble, che
attualmente molti astrofisici accettano pari a 60 km/sec per ogni megaparsec di distanza.
Ma anche qui è una guerra: c’è anche chi accetta H = 40.
Il tempo di Hubble.
Dopo aver narrato tutto fin qui quasi con le stesse parole da me usate, tutti i testi divulgativi
proseguono ricavando la formula inversa:
H = V/d; e poi dicono che, siccome la velocità è uno spazio fratto un tempo e al
denominatore c'è uno spazio, semplificando si ottiene che la costante H ha le dimensioni di
1/tempo; quindi, facendo l’inverso di H si ottiene un tempo, chiamato il tempo di Hubble.
Col valore di H = 60 sopra citato si otterrebbe 1/H = circa 14 miliardi di anni, che i testi
definiscono = età dell’Universo se l’espansione avvenissesenza il rallentamento dovuto
all’attrazione gravitazionale, altrimenti, avvertono, l’età sarebbe ancora inferiore.
Espansione non rallentata??
Dopodiché la trattazione prosegue dando per scontato che il rallentamento non ci sia, non
avendo il coraggio di affermare che l’universo esiste da soli sette o otto miliardi di anni, o di
rimettere in discussione il valore di H e gli altri metodi di misura.
Però qualcuno osa domandare: ma come si può secondo buon senso ammettere che
l’espansione non sia rallentata? Anche un bambino capisce che la forza di gravità è
inesorabile!
Pensate a due galassie da 2*10^41 kg di massa ciascuna supposte ferme a 3 milioni di anni
luce di reciproca distanza: l’accelerazione iniziale è ridicola (1,65*10^-14 metri/sec^2), ma
. . . ne ha del tempo per provocare i suoi effetti!
Dopo 100 milioni di anni (un’inezia su scala cosmica) cioè 3,15*10^15 secondi, le due
galassie già si muovono a circa 52 metri al secondo l’una verso l’altra!
E come si dovrebbero formare gli ammassi di galassie se non per attrazione reciproca?
Credo che ciò avvenga su piani perpendicolari alle rette di fuga dal centro dell’espansione,
ma perché mai l’attrazione delle galassie interne non si dovrebbe esercitare, frenandole,
verso quelle in fuga davanti a loro?
Non vale nemmeno la pena insistere su questi ragionamenti, per quanto sono ovvii e banali!
Ogni galassia sembra al centro!
Però adesso ragioniamo su un aspetto spesso sottovalutato dai testi divulgativi.
Ogni galassia, guardando le circostanti, ha l’impressione di essere lei il centro dell’universo,
e vede le altre allontanarsi con velocità proporzionalialla distanza.
Ebbene, ciò è vero soltanto se la velocità di fuga assoluta dal centro dell’espansione è, per
ogni galassia, proporzionale alla sua distanza dal punto stesso.
Questo punto non l’ho mai visto trattare nei testi divulgativi!
Ora noi faremo un esempio di verifica.
Descrizione della figura 5.
Nel disegno della figura 5 ho riportato un’istantanea in sezione di un modello di universo
inventato, a puro scopo didattico, senza alcuna pretesa esatta rappresentazione della realtà.
Ho quindi disegnato una sfera immaginaria che contiene tutta la materia in espansione (la
sfera N. 10 nel disegno) quando essa ha un raggio di 10 miliardi di anni luce ed ho supposto
che quella superficie si stia ancora espandendo a velocità V = quella della luce.
Quindi mi sono posto in uno schema di espansione a velocità costante.
All’interno poi ho disegnato altre 9 sfere, distanziate di 1 miliardo di anni luce una dall’altra
ed in espansione con velocità decrescenti, secondo la regola enunciata in precedenza: cioè la
velocità è proporzionale alla distanza dal centro.
Nella citata figura 5, la scala è questa: per le distanze, 1 cm = 1 miliardo di anni luce (cioè
306,748 megaparsec) e per i vettori delle velocità, 1 cm = 60 mila km/sec.
L’osservatore fisso calcola la costante di Hubble con la fig. 5
A questo punto però il lettore deve saper almeno scomporre i vettori secondo la regola del
parallelogramma, altrimenti non si va avanti.
Ebbene, si scelgano due punti a piacere su due circonferenze qualsiasi e si tracci la retta che
li unisce.
Poi si trovino le componenti delle velocità dei due punti lungo questa retta e si faccia la
somma vettoriale: si otterrà una velocità relativa di fuga Vf tra i due punti (pari alla somma
algebrica delle due componenti).
Ora si può ricavare: H = Vf/d (d calcolato in megaparsec e Vf in km/sec). Ripetendo il
procedimento per altre coppie di punti scelti a caso si vedrà che si ottiene sempre lo stesso
valore di H.
Ma attenzione, in questo procedimento sto immaginando la situazione assoluta: cioè il
calcolatore della costante H è supposto immobile rispetto al centro dell’espansione e
calcola le velocità di fuga istantanee ed assolute, senza curarsi di come e quando
vengono percepite da chi si trova immerso nell’espansione stessa: è come se i segnali gli
giungessero con velocità infinita.
Poi però farò un esempio valido per un osservatore mobile, come siamo noi.
Sempre con riferimento alla figura 5, il punto T simboleggia la nostra Terra, i punti A, B, E,
D rappresentano oggetti luminosi che emisero la loro luce verso la Terra nel momento in cui
le loro posizioni reciproche erano quelle del disegno; il punto C è il centro
dell’espansione, in quiete nello spazio.
Ed ecco alcuni esempi.
Esempio 1: coppia di oggetti T-A. La distanza tra essi al momento dell’emissione della luce
di A verso T era d = 598 megaparsec; la velocità di fuga di A da T, rilevata per via grafica, è
pari a 58000 km/sec e quindi, se T ricevesse subito quella luce, si avrebbe H = 58000/ 598
= 97
Esempio 2: coppia T-B. Senza ripetere parola per parola si ha: distanza d= 2070.5
megaparsec; velocità di fuga di B = 204000 km/sec e quindi H = 204000 / 2070 = 98.5
Esempio 3: coppia T-D. Distanza d = 2540 megaparsec; velocità di fuga di D = 247200
km/sec e quindi H = 97.3
Esempio 4: coppia T-E. Distanza = 1917 megaparsec; velocità di fuga di E = 186000 km/sec
per cui H = 97
Le leggere differenze sono dovute al metodo grafico.
Il valore esatto di H si ottiene ragionando sulle coppie di oggetti F e G oppure G e L: infatti
si ha tra essi la distanza d = 306,748 megaparsec e la velocità di fuga della sfera più esterna
rispetto a quella più interna = mezzo cm per via grafica, cioè 30000 km/sec, per cui H =
30000/306,748 =97,8.
Tale valore di H coincide in modo abbastanza esatto anche con il valore di H ricavato da un
osservatore mobile, purché egli lo abbia ricavato osservandooggetti molto vicini, la cui luce
cioè abbia viaggiato poco per raggiungerlo.
Volendo calcolare il tempo di Hubble bisogna ricordare che, in questo esercizio di calcolo
della figura 5, H vale 97800 metri al secondo per ogni mega-parsec di distanza, e quindi
vale 0,097 metri al secondo per ogni parsec, dove 1 parsec vale 3,26 anni-luce, cioè
3,084*10^16 metri.
Quindi T = 1/H = 3,08422*10^16 / 0,0978 = 3,1536*10^17 secondi, cioè precisamente 10
miliardi di anni.
Questo calcolo si poteva fare anche in modo del tutto generale ragionando così:
L’osservatore fisso nel punto C, centro dell’espansione, guarda la sfera n. 10 ed ha
cognizione che essa sta in fuga con velocità assoluta c pari a quella della luce; quindi può
scrivere:
c = H*d
dove d è la distanza della sfera 10 da C.
Ma può anche scrivere che d = c*T essendo stata percorsa a velocità costante = c; quindi,
sostituendo si ha:
c = H*c*T, cioè: 1 = H*T
da cui l’età dell’Universo vale: T = 1/H.
Dunque il tempo di Hubble coincide con l’età vera dell’Universo per un osservatore fisso
che abbia cognizione dei fenomeni istantaneamente, al quale cioè i segnali giungono con
velocità infinita.
Lo stesso ragionamento è valido per un osservatore mobile che calcoli il tempo di Hubble
guardando oggetti a lui molto vicini.
L’osservatore mobile calcola H con la figura 5.
Per costui, in realtà le cose vanno diversamente.
Riprendiamo l’esempio 3.
Le posizioni di D e della terra T sono contemporanee.
La luce che D emette quando la Terra è in T, non verrà mai raccolta da noi. La luce che T
raccoglie nel momento dell’istantanea della fig. 5 fu emessa quando D era molto più
indietro, verso il punto C.
Invece, in quello stesso momento, l’oggetto D emise luce anche verso il punto T’, distante
da D ben 9,8 miliardi di anni luce, e proprio verso quel puntogiunge all’appuntamento la
Terra, per esempio stasera, percorrendo da T una distanza 5 volte minore ad una velocità 5
volte minore ed impiegando perciò lo stesso tempo del raggio di luce proveniente da D, e
cioè 9,8 miliardi di anni!!
Stasera dunque, (o 50 anni fa, non cambia nulla), gli astronomi misurano l’effetto Doppler
della luce di D, cioè calcolano la velocità di fuga di Dlungo la retta D-T’ pari a 243000
km/sec, ma la distanza D-T’ stavolta è = 3006 megaparsec e quindi H sarà = 80,8 che è
molto minore del valore di prima.
Rispetto a stasera, l’età dell’Universo nell’istante della figura 5 era ben 9,8 miliardi di anni
più giovane; ecco quindi che più l’Universo invecchia e più il valore di H diminuisce.
Ricapitoliamo in breve:
L’osservatore mobile, stando in T’ misura con l’effetto Doppler la velocità di
allontanamento di D e, se conoscesse la distanza reale di questo nel momento in cui gli
inviò la luce, calcolerebbe la costante H = 80,8 .
Supponiamo ora che un astronomo, non conoscendo affatto la reale distanza della
lontanissima immagine di D, si comporti così:
a) stando in T’, cioè in una configurazione di ben 9,8 miliardi di anni più recente di
quella del disegno di fig. 5, guarda una galassia vicina , trova la distanza con un metodo
affidabile e poi calcola H = 48,9 . (Io l’ho trovato col metodo grafico sulla figura 5).
b) Poi con l’effetto Doppler ricava la velocità di allontanamento di D pari a 243000 km/sec.
c) Infine ricava la distanza di D scrivendo: d = V/H = 4969 megaparsec = 16,2 miliardi di
anni luce, invece di 9,8 che noi sappiamo essere quella vera. Egli dunque sbaglierebbe quasi
del doppio, per eccesso, non avendo fatto un disegno simile alla figura 5 ed avendo usato
un valore di H valido per T’, ma incompatibile con il tempo e la posizione del punto D.
Quindi estendere il valore di H ottenuto per oggetti vicini a quelli molto lontani,
conduce a forti errori di valutazione delle distanze, per eccesso.
Riepilogando: l’osservatore in fuga dal punto C, quando sta in T’ calcola H = 48,9 e quindi
T = 19.9 miliardi di anni, come è giusto che sia, perché il punto D aveva consumato 10
miliardi di anni per giungere dal centro fino alla posizione della figura 5 ed il resto del
tempo l’ha impiegato la sua luce a raggiungerci
Pietro Petesse
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