Università Popolare di Torino Lezioni 4-6; anno 2014 Adriano e il progetto del palazzo imperiale alle porte di Roma L’immagine che abbiamo di Adriano è senza dubbio controversa e parzialmente influenzata dalla schematizzazione che ne fece Marguerit Yourcenar nella bellissima opera letteraria intitolata «Le memorie di Adriano». In verità già le fonti antiche avevano individuato nella figura del successore di Traiano tratti psicologici contraddittori e complessi, così che la definizione che ce ne ha dato la Historia Augusta (che tuttavia fu composta almeno due secoli dopo la sua morte, nel IV sec d.C.) di varius, multiplex e multiformis forse meglio di ogni altra riesce a tratteggiarne l'essenza. Adriano è stato identificato dalla storiografia con lo stereotipo dell'intellettuale colto e sensibile ed è stato spesso contrapposto al processore Traiano, considerato la perfetta incarnazione del condottiero romano, pragmatico e invincibile. Le fonti che ci permettono di ricostruire la storia e la parabola di Adriano sono relativamente limitate, sia per il fatto che alcuni scrittori antichi che si erano prefissi di trattarne non portarono a compimento la propria opera, sia perché alcune trattazioni storiche sono andate perdute. Per quanto ci è possibile ricostruire, Adriano nacque a Roma pur provenendo da una famiglia spagnola ed intrattenne strette relazioni con il municipio di Italica, situato non lontano da Siviglia. Sua madre Domitia Lucilla era stata adottata da uno degli uomini più ricchi e potenti della Roma nell'età dei flavi, Sextus Curvius Lucanus, mentre suo padre, Publius Aelius Hadrianus era un provinciale ben introdotto nelle sfere del potere. Nella giovinezza Adriano ebbe dunque la possibilità di visitare i più importanti centri culturali del Mediterraneo – soprattutto Roma e Atene – e di frequentare i migliori maestri nelle migliori scuole dell'epoca. Adriano visitò Italica solo tra il 90 e il 91 d.C., quando vi si rifugiò per mettersi al riparo da un'epidemia che infuriava nella capitale; in tale occasione egli fu introdotto a far parte del collegium iuvenum, una consociazione riservata ai rampolli delle migliori famiglie che lo avviò a percorrere il tradizionale cursus honorum. Adriano ebbe dunque la possibilità di avviare la sua carriera politica militando – come da copione – negli eserciti di stanza sul Danubio e in Germania rimanendo nell'ombra di Traiano che, dopo la morte del padre, divenne anche il suo tutore. Nel 101 egli era dunque questore e in seguito ricoprì le importantissime cariche di governatore di Siria e di legato nella Pannonia inferiore. Fa eccezione al normale percorso carrieristico di un grande aristocratico 29 della romanità la carica di arconte, ricoperta tra il 111 e il 112. Si trattava di una suprema magistratura ateniese che rappresentava solamente un nostalgico ricordo di fasti antichi, ma questa scelta curiosa sembra evidenziare come, sin dall'inizio, l'imperatore abbia manifestato una specifica sensibilità per la cultura ellenica, un tratto che divenne tanto più evidente nel momento in cui indossò la porpora. Alla morte di Traiano, l'11 agosto del 117, forse per intercessione della moglie di Traiano Plotina, Adriano ricevette quindi l'investitura imperiale e dopo essere rientrato dall'Asia Minore (dove si trovava di ritorno dalla vittoriosa campagna contro i Parti) fece ingresso a Roma, nel 118 d.C. Pantheon: il Pantheon fu costruito in Campo Marzio, nella regione riservata sin dal tempo di Augusto all'espansione edilizia della nuova Roma al di fuori dell'antico pomerio e più precisamente in prossimità dal grande complesso termale di Agrippa. Scavi effettuati nel corso dell'Ottocento e ulteriori saggi del secolo successivo sembrano dimostrare che il tamburo su cui fu impostato l'edificio adrianeo esisteva già all’inizio del I sec d.C. 30 e che il Pantheon non nacque dal nulla. Secondo alcuni studiosi il tamburo di Agrippa era già all’origine parte di un edificio templare dedicato a tutti gli dei pagani – come sembrerebbe ovvio leggendo quanto riportato dell’iscrizione posta sulla facciata – mentre per altri l’edificio sarebbe stato concepito inizialmente come un'aula sussidiaria delle grandi terme di Agrippa (che, effettivamente, confinano con il pantheon e vi sono legate in muratura). Fatto sta che tra il 118 e 125 d.C. l'edificio fu soggetto a un’ingente ristrutturazione firmata da Adriano (come riportato da una tarda biografia dell'imperatore) ma anche da alcuni laterizi identificati in occasione dei sondaggi presso l'imposta della cupola (che portano bolli databili tra il 118 e il 125 d.C.). L'edificio è anticipato da un grande pronao colonnato largo 33,10 m e profondo 15,50 m composto di otto colonne monolitiche di granito alte circa 14 m con capitelli e basi di marmo bianco. Una seconda fila di colonne, posta alle spalle delle precedenti in corrispondenza della prima, della terza, della sesta dell'ottava colonna, conferiscono profondità al colonnato scindendolo in tre navate di cui, quella centrale, in asse con l'ingresso. Ai lati della porta si trovano poi due grandi nicchie destinate ad ospitare delle statue, probabilmente quelle di Augusto e di Agrippa, ricollocate in bella vista da Adriano stesso. Quest'ultimo, pur avendo proceduto a una ristrutturazione radicale dell'edificio augusteo fece riportare sull'architrave del Pantheon un'iscrizione afferente all'attività di Agrippa che recita: M(arcus) Agrippa L(uci) f(iliu) co(n)s(ul) tertium fecit. Il timpano che sormonta il colonnato della facciata presentava all'interno un'aquila con una corona, come ricostruibile sulla base dei fori di fissaggio ancora percepibili. Il soffitto del pronao era ricoperto da piastre di bronzo inserite all'interno di finti cassettoni, sparite nel XVII secolo per ordine di papa Urbano VIII Barberini che con il metallo ricavato fece fondere il baldacchino berniniano di San Pietro e alcuni cannoni destinati a Castel Sant'Angelo. Si accede alla basilica per mezzo di un grande portale in bronzo miracolosamente giunto a noi dall'epoca romana. L’elemento più distintivo e caratteristico dell'edificio è senza dubbio il tamburo circolare realizzato in calcestruzzo con un rivestimento in laterizi su cui è impostata una cupola dal diametro di 43,70 m. In questo edificio si riproporne ancora una volta la distinzione tra “spazio interno” e “spazio esterno”, dal momento che i portici del pronao proseguivano lateralmente per collegarsi con quelli disposti sul lato lungo della piazza antistante, celando in questo modo alla vista il cilindro del Pantheon posto alle loro spalle (oggi esso è molto più visibile casa degli abbattimenti avvenuti nel corso del Medioevo). Si veniva dunque a generare una distinzione tra “spazio esterno” e “spazio interno” assolutamente scenografica, nel rispetto di una sensibilità architettonica tanto romana quanto ellenistica. La cupola fu realizzata con una gettata di calcestruzzo progressivamente riempita con ciottoli di calcare, tufo e pomice, così da ottenere un progressivo alleggerimento delle spinte di rovesciamento dall'alto verso il basso. L'ingente dimensione della grande calotta emisferica della cupola - per quanto interrotta al vertice da un oculo dal diametro di circa 9 m - preoccupò in modo significativo l'architetto che volle garantire la stabilità dell'edificio costruendo un anello perimetrale facendo uso di una imponente gettata di calcestruzzo rivestito 31 da laterizio, rinforzato nei punti di maggiore sollecitazione da finti archi di scarico sempre laterizi immorsati nella parete (è evidente che questi ultimi in una situazione di perfetta coesione e essiccazione delle malte sono privi di qualunque reale funzione ma entrano in gioco non appena si crei un qualche squilibrio nella gettata o si manifesti qualche forma di cedimento del terreno di fondazione; un evento quanto mai usuale nei centri urbani dove gli edifici erano spesso fondati su macerie e con il quale gli architetti romani, almeno a partire dalle età flavia, avevano imparato a fare i conti). La grande massa del dado di base è alleggerita da una serie di nicchie che sezionano il tamburo di sostegno in sette pilastri portanti, svuotati da otto esedre (alternativamente a sezione rettangolare o semicircolare) affacciate sull'aula interna, decorate da due colonne monolitiche con capitello corinzio che sorreggono un architrave. La policromia dell’aula di culto era garantita dal pavimento realizzato in opus sectile ma anche dalle colonne delle nicchie che alternano l'uso di giallo antico e pavonazzetto. Lo spazio tra un'esedra e l'altra è occupato da edicole costituite da due colonne in 32 porfido o granito giallo antico che sostengono timpani alternativamente triangolari o semicircolari. Al di sopra della cornice del piano terreno, un secondo piano marmorizzato era movimentato da leggere paste corinzie inframezzate da finestre quadrate. Gran parte di questa expolitio interna è stata smantellata e sostituita da nuovi intarsi maromorei attorno al 1747, ma in un punto dell'edificio è possibile osservarne una ricostruzione. È più che probabile che le numerose nicchie che si aprivano nelle esedre e le edicole fossero occupate da statue di divinità, tanto più che l'edificio era dedicato ai dodici dei dell'Olimpo. La posizione del santuario, l'esaltazione della famiglia imperiale augustea, l'evidente intervento di Adriano fecero dunque apparire il Pantheon ai contemporanei come una sottintesa celebrazione della famiglia imperiale e della fortuna dell'impero. L'edificio, perfettamente inserito all'interno di una sfera – dal momento che l'altezza dal pavimento al vertice della cupola e la misura del diametro coincidono – rimanda a uno schema di assoluta purezza geometrica che sottintende un'idea filosofica ben precisa e raffinata. La massa bloccata dell'edificio, le geometrie concluse in se stesse, la precoce cronologia dell'edificio hanno indotto alcuni studiosi ad ipotizzare che quest'opera sia stata realizzata da Apollodoro di Damasco ma la presenza di una pianta centrale e di una concezione spiccatamente simbolica-filosofica sembrano puntare verso un diretto interessamento dello stesso imperatore, probabilmente coadiuvato da capomastri e architetti militari di formazione romana occidentale. Villa Adriana: il grandioso complesso di Villa Adriana venne realizzato in qualità di nuova residenza imperiale alle porte di Roma, non necessariamente in antagonismo con il palazzo del Palatino ma come risposta al problema della creazione di spazi di rappresentanza, privati e ufficiali di sufficiente ampiezza e sontuosità, in una città caotica caratterizzata da un'edilizia selvaggia come Roma antica, nella quale risultava particolarmente difficile il recupero di spazi da destinarsi all'edilizia imperiale (come testimoniato dall'esperienza fallimentare di Nerone e della sua Domus aurea). L'edificio presenta caratteristiche architettoniche del tutto anomale che dimostrano uno specifico ideale architettonico elaborato dall'imperatore. Ci troviamo infatti di fronte a qualcosa di differente dal palazzo compatto e bloccato in se stesso attorno ad una rete di peristili – come la tradizione romana aveva ben espresso negli edifici del Palatino – ma ad una serie di padiglioni immersi nella natura con variabili conformazioni e disposizioni, in modo tale da sfruttare la conformazione naturale ottenendo le specifiche vedute panoramiche, particolari illuminazioni, scenografie e “sorprese” continue. Si tratta di un'idea che non corrisponde – come si è detto – alla sensibilità dell'architettura romana antica ma si trova in grande sintonia con gli ideali espressi dei sovrani ellenistici in Egitto, Siria, Palestina nel periodo dei diadochi; non a caso, tra gli edifici principeschi più facilmente avvicinabili a Villa Adriana si annoverano i palazzi tolemaici e quelli fatti costruire da Erode il Grande in Palestina al tempo di Augusto. Dal punto di vista cronologico gli interventi edilizi furono condotti in due 33 fasi consecutive; il primo tra il 118 e il 125 d.C. e il secondo tra il 125 e il 113 d.C., in concomitanza con i viaggi dell’imperatore. È noto infatti come Adriano scelse di visitare personalmente le diverse province per elaborare strategie di governo e di difesa consone a un regno ormai diventato molto grande e diversificato dal punto di vista culturale, etnico e linguistico. Non è un caso che proprio ad Adriano si debba il progetto di una provincializzazione dell'esercito e l'idea di far stazionare stabilmente i militari nei territori da difendere in modo tale da creare una relazione di carattere affettivo e utilitario tra limes e soldato. Tale soluzione – che fu tuttavia messa in pratica solo molto più tardi, nel VII sec, con l’istituzione dei temi bizantini – la dice lunga sulla capacità riformatrici e le ampie vedute di Adriano. Sembra poi possibile che i continui viaggi dell'imperatore siano stati ispirati da una concezione dell'esercizio del potere influenzata dalle teorie universalistiche egualitarie di matrice cinica e storica in voga in questo periodo della storia di 34 Roma. Per quanto ci è dato di costruire, i primi viaggi furono condotti in Germania, Italia, Britannia, Spagna e Grecia tra il 121 e il 125; nel 126 Adriano si trovava a Roma ma vi si fermò solamente un anno; nel 127 attraversò l'Italia settentrionale per proseguire l'anno successivo in direzione dell'Africa, della Grecia, dell'Asia Minore, della Siria, della Giudea e dell'Egitto dove, nel 130, fondò Antinopoli. Nel 134, dopo un ennesimo e lungo soggiorno ad Atene, Adriano fece ritorno a Roma morendo a Baia presso Napoli il 13 luglio del 138; in questa data a villa Adriana i lavori erano ancora in fase di completamento per cui, appare chiaro, come l'imperatore ebbe ben poche occasioni per godere della splendida realizzazione architettonica che egli stesso aveva contribuito a progettare. L'edificio rimase a disposizione dei successori i quali però, per ragioni organizzative, strategiche e di gusto personale ebbero modo di soggiornarvi solo saltuariamente. Per quanto concerne Villa Adriana, appare certo come i vari padiglioni costruiti all'interno della villa siano ispirati, almeno nella toponomastica, ai luoghi celebri dell'antichità visitati dall'imperatore durante i suoi viaggi. Villa Adriana fu dunque probabilmente concepita come un centro di raccolta di opere d'arte (opera nobilia) raccolte secondo un vero e proprio gusto collezionistico. La villa sorse in un'area lungo il corso dell’Aniene ubicata nelle immediate vicinanze dell'antica Tibur (oggi Tivoli), una località rinomata nell'antichità e sfruttata sin dall'età repubblicana per la creazione di ville e residenze suburbane. Certamente un ruolo importante fu giocato dalla vicinanza con Roma e delle famose cave di travertino (il lapis tiburtinus) che furono ampiamente sfruttate per la realizzazione dell'edificio. Vediamo ora di descrivere i padiglioni principali del complesso così da approfondire i caratteri di questa opera del tutto unica nel panorama romano. Teatro greco: si tratta di un piccolo teatro dal diametro di 36 m riservato evidentemente a un ristretto numero di spettatori. Questo edificio ha la cavea volta a settentrione in modo da esporre il palcoscenico a meridione, secondo quanto proposto dei trattati di architettura per garantire una migliore illuminazione durante tutta la giornata. Le scalinate sono sormontate, al vertice, da un piccolo vano rettangolare che avrà certamente ospitato un piccolo sacello sacro. Alle spalle della scena si trovava il tradizionale quadriportico di 120 x 83 m abbellito da un giardino fiorito destinato al ritrovo degli spettatori nei tempi di pausa o a rifugio in caso di pioggia. Il ritrovamento di due capitelli con delfini scolpiti e i frammenti di un fregio con un genio su un ippocampo indussero il Piranesi a ipotizzare che l'edificio fosse utilizzato per delle naumachie o giochi acquatici ma l'assenza di tubi d'adduzione dell'acqua sembra escludere questa possibilità. Palestra: identificato durante le prime ricerche settecentesche come “palestra greca”, l’edificio è stato oggetto di uno scavo sistematico nel 2005. Sulla base delle ricerche è possibile descriverlo come una piazza di 50 x 40 m sostruita da una duplice galleria di fornici con volta a botte; la più esterna di queste gallerie costituiva un vero e proprio criptoportico ovvero una via sotterranea destinata alle passeggiate climatizzate soprattutto nel periodo estivo; la galleria più interna sembrerebbe avere avuto carattere semplicemente strutturale e di consolidamento della terrazza tufacea. La piattaforma vera e propria, situata al livello superiore, era costituita da un grande cortile pavimentato con lastre di marmo cipollino, cinta da un doppio portico ad archi con pilastri in muratura. Il portico prospiciente il cortile era interrotto da nicchie in cui erano originariamente posizionate delle statue; il lato esterno dava su un affaccio panoramico di grande suggestione, arricchito da piccole fontane e fioriere. Il complesso era dotato anche di una seconda piazza posteriore di 30 x 30 m, anch'essa circondata da un portico a pilastri con pavimento in opus spicatum nero o giallo, accompagnato da una raffinata sistemazione a giardino, con aiuole separate da vialetti e mosaici a grandi tessere marmoree. Il complesso si concludeva con alcune aule monumentali, spesso caratterizzate da una notevole altezza, con gli ingressi principali rivolti verso l'area circostante il parco. L’edificio era completato da due grandi aule a pianta cruciforme con volte a crociera rivestite di marmi e stucchi dipinti, un’aula rettangolare con volta a botte dotata di una esedra sul fondo (ove forse si trova una statua) e un edificio a più piami sorretto a valle da un blocco di 35 fornici voltati ipogeici. Si accedeva al complesso tramite una scala monumentale situata in prossimità del teatro greco che permetteva di superare il dislivello della terrazza, collegata al resto della villa da un lungo viale o portico che rasentava la scena del vicino teatro. Anche questo edificio era originariamente abbellito da soggetti egittizzanti quali una sfinge in marmo bianco – scoperta recentemente e acefala – forse destinata a decorare lo scalone. Dalla stessa area proviene un busto colossale di Iside-Demetra che ripropone ancora una volta l’Egitto come denominatore comune di tutti gli edifici facenti parte della grande villa costruita da Adriano alle porte di Roma. Ninfeo: non lontano dal casotto del Conte Braschi si trova un raffinato padiglione a forma di rotonda periptera scambiato inizialmente per una fontana. Ricerche successive hanno permesso di ricostruire una trabeazione dorica e di riconoscere, al centro dell'emiciclo, una statua prassitelica raffigurante Afrodite. Nelle vicinanze furono anche scoperte dal Conte Fede delle statue di Amore e Psiche, busti di erme e frammenti di mosaico. Da qui proviene la raffinatissima scultura in marmo rosso antico raffigurante un satiro oggi esposta ai Musei Vaticani. Pecile: il cosiddetto Pecile prende il nome dalla stoà poikìle (ovvero la stoà dipinta) che sorgeva un tempo presso l'agorà di Atene e che era stata istoriata con magistrale abilità dal famoso pittore Polignoto di Taso. L'edificio è una grande terrazza a forma rettangolare circondata da un muro su cui erano appoggiate delle colonne a carattere decorativo; le dimensioni sono notevoli, dal momento che questa area all'aperto misurava 232 m sui lati maggiori e 97 m sui lati minori. La parte centrale è solcata da un ampio canale in cui si è riconosciuta una peschiera di 36 105,50 x 26 m profonda 1,50 m. Anticamente l'acqua necessaria al grande complesso palaziale era addotta tramite un acquedotto derivato dal fiume Aniene che riforniva terme, peschiere, ninfei e fontane di ogni genere. Il lato maggiore – posto a nord – è interrotto da una grande porta ricavata all'interno del muro in opus reticolatum sezionato a intervalli regolari da ricorsi di laterizi. Conservato quasi dovunque per tutta la sua altezza di 9 m, il muro mostra ancora i grandi fori in cui si inserivano 104 travi in legno destinate a sorreggere uno spiovente che creava un percorso protetto lungo il perimetro della grande piazza. L’identificazione di questo spazio di rappresentanza con il Pecile di Atene è del tutto arbitraria e fu proposta da Pirro Ligorio nel corso del Settecento diventando poi comunemente accettata; certo è che tale attribuzione è del tutto improbabile dal momento che nelle murature non si trova alcun incasso destinato a pitture o quadri da cavalletto. È invece degno di nota che le fronti dei muri principali, esposte alternativamente a nord e a sud, permettano a qualunque ora del giorno di ottenere un percorso ombreggiato. È stato pertanto proposto che questo grande giardino all'aperto fosse utilizzato dall'imperatore e dei suoi ospiti per la tipica ambulatio postprediale, ovvero per la passeggiata digestiva che i medici dell'epoca consigliavano dopo i pasti per lo spazio d'un miglio. Biblioteca: adiacente al lato corto del Pecile, l'edificio è costituito da una sala monumentale di 20,55 x 14,35 m la cui fronte settentrionale è interrotta da una grande abside volta a mezzogiorno all'interno della quale sono ricavate sette nicchie rettangolari che avrebbero potuto ospitare statue oppure librerie lignee. I primi scopritori attribuivano le sette nicchie a una colta citazione dei Sette saggi della Grecia antica e la soprannominarono Sala dei filosofi. Molto presto apparve loro evidente come l'edificio potesse essere più facilmente interpretabile in qualità di biblioteca o come sala di ricevimento, tanto più che la ridotta profondità delle nicchie renderebbe impossibile il fissaggio di statue. È probabile che il soffitto fosse realizzato a cassettoni in legno, mentre le cronache dei secoli scorsi ricordano un pavimento in porfido e marmo di portasanta. B: situato alle spalle dell’abside della Biblioteca, in tale edificio deve riconoscersi una terma caratterizzata dalla presenza di un frigidarium a cielo aperto e di una sala sopraelevata destinata ad heliocamino. Quest'ultima struttura – teorizzata dai medici dell'epoca – è un vero è proprio solarium esposto a meridione costruito nella forma di una sala rotonda coperta a cassettoni dalla quale era possibile effettuare cure di sole immersi in sabbia riscaldata, la cui temperatura era ulteriormente innalzata per mezzo di intercapedini ricavate nei muri collegati ad un forno sottostante. La volta della cupola fu alleggerita per mezzo dell'inserimento di frammenti di cocci laterizi nell'intradosso. Teatro marittimo: si tratta di un padiglione del tutto insolito, caratterizzato da una spiccata forma circolare. Il perimetro esterno è chiuso agli sguardi indiscreti da un muro continuo e all'interno un colonnato circonda un canale che isola, al centro, uno spicchio di terra anch'esso circolare allestito a 37 padiglione. Il diametro dell'edificio è di 42,56 m ed il portico interno raggiunge un'ampiezza di 3,43 m con 40 colonne lisce di marmo caristio e capitelli d'ordine ionico. L'anello del canale interno è largo 4,80 m con una profondità di 1 m, 50; fu rivestito di lastre di marmo lunense e si caratterizza per un fondo inclinato che facilita lo scorrimento delle acque verso settentrionale dove si trova un foro di deflusso a sezione conica, un tempo bloccato per mezzo di un chiusino. Nell'antichità era possibile accedere all'isolotto solo tramite due ponti girevoli in legno fissati con dei perni all'isola e che potevano essere ritratti con l'ausilio di guide conformate a quarto di cerchio in modo tale da farli scomparire. I muri portanti del padiglione costruito sull'isolotto sono in opera articolata con listature di laterizio; realizzate in forma di emicicli colonnati aperti sul canale esterno, le aule abitative erano certamente addobbate con stucchi e raffinate suppellettili, come testimoniato anche dalla presenza di incassi nei muri che 38 avrebbero potuto contenere dei quadri su tavola o a mosaico. Al centro del padiglione si trovava una tazza destinata a fontana e lo spazio circostante era partito in piccoli vani, uno dei quali dotato di vasca da bagno con gradini per la discesa. Le colonne che sostenevano la trabeazione delle piccole aule situate sull'isolotto furono realizzate con marmo giallo della Numidia, mentre la trabeazione era decorata con fregi adorni di mostri marini quali Tritoni, Nereidi, carri trainati da animali diversi, uccelli guidati da geni. Proviene da questo padiglione la splendida scultura raffigurante un satiro in rosso antico oggi conservata nel gabinetto delle maschere del Museo Vaticano e un vaso con rilievo raffigurante cicogne e serpenti conservato nel Museo Nazionale Romano. Il restauro del padiglione è stato condotto nel 1955 dall'architetto Italo Gismondi sotto la direzione del professor Pietro Romanelli. L'edificio è singolare ed enigmatico, e si è proposto di riconoscervi uno studio privato riservato all'imperatore il quale sappiamo delle fonti antiche essersi dedicato alla pittura e alla progettazione architettonica; più recentemente si è ipotizzato che l'edificio fosse anche collegato alle osservazioni astronomiche che l'imperatore era solito attendere in compagnia di astrologi qualificati, nel rispetto di una sensibilità e dii gusti caratteristici del periodo imperiale. Palazzo ed hospitalia: il cosiddetto palazzo costituisce quanto rimane di una primitiva villa a peristilio di età repubblicana che fu senza dubbio acquistata da Adriano e incorporata all'interno della Villa; ne rimangono solo più quelle parti che furono funzionali al progetto adrianeo e, nello specifico, un piccolo criptoportico di servizio sottoposto a una grande terrazza attrezzata con pali e velari che avrebbe potuto essere utilizzata come coenatio nel periodo estivo. Nelle immediate vicinanze si trova una blocco architettonico costruito certamente dall'imperatore caratterizzato dalla presenza di un corridoio-cortile centrale su cui si affacciano molte piccole stanzette graziosamente decorate con mosaici monocromi in bianco e nero; si è ipotizzato trattarsi di cubicula sicché, in tal caso, ci troveremo davanti a una sorta d'albergo lussuoso riservato gli ospiti più importanti. Piazza d’Oro: anche questo edificio ha una denominazione del tutto arbitraria dal momento che alla sua scoperta fu battezzato solo basandosi sulla straordinaria sontuosità dei marmi scopertivi. L'edificio è caratterizzato da un vasto peristilio sorretto da un portico di 18 colonne sui lati maggiori e 12 lati minori con colonne alternativamente di cipollino e di granito orientale. Sul muro di fondo che sorregge la copertura del doppio portico sono ricavate a scopo decorativo delle semicolonne di laterizio originariamente rivestite di stucco che potevano essere facilmente scambiate per marmo. La pigmentazione originale era costituita da mattonelle marmoree policrome talora rettangolari, talora triangolari o rettangolari; in alcuni punti erano anche inseriti degli emblemata in mosaico policromo, forse tra i più belli e meglio conservati della Villa. L'elemento più interessante dell'edificio sono tuttavia i padiglioni di accesso situati sui lati corti; quello ottagonale, in particolare, presenta un'interessante raccordo tra la base quadrata e la parte superiore del tamburo ottenuto facendo uso di vele a creare una “volta ad ombrello”, una soluzione messa a punto proprio in quegli anni dell'architettura romana che si contrappone alla cupola su cuffie angolari, un’idea più caratteristica del mondo orientale. Sul lato opposto della piazza si trovava la sala di rappresentanza principale dell'intero palazzo. Si tratta di un'aula a croce greca con quattro lati fortemente convessi verso il centro della sala e quattro lati inflessi verso l'esterno della sala stessa. Lo svuotamento dello spessore dei muri, il moltiplicarsi delle colonne, il gioco di luci e di ombre generato dalle colonne e dalle trabeazione esprimono una cultura figurativa e architettonica del tutto nuova che dobbiamo attribuire alla sensibilità di Adriano. Nel mezzo dell'aula si riconosce anche un ampio basamento destinato a sostenere una statua di proporzioni maggiori al vero, forse quella dell'imperatore. Secondo le memorie di Pirro Ligorio in questo complesso furono trovate due statue di Diana, una statua di Atalanta, una della Fortuna, una testa di Marco Aurelio e un busto di Caracalla. Oltrepassati gli ambienti orientali si accede ad una terrazza affacciata sulla cosiddetta Valle di Tempe dalla quale, nell'antichità, si godeva d'una piacevole vista sulla natura. Qui sorgeva un viale realizzato con 39 una doppia fila di 44 colonne che giungeva ad un padiglione finestrato. Ninfeo, triclinio estivo: alle spalle della Piazza d'oro si trova un'altra fastosa architettura denominata “ninfeo”. Un grande muro incurvato ad esedra costruito in opus reticolatum con ricorsi di mattoni costituiva la sorgente della grande fontana che si gettava verso il basso all'interno di una serie di vasche successive. Anche questo edificio presenta spiccate caratteristiche e ripropone la simbologia dell'acqua nilotica così presente nella teologia isiaca. Caserma dei vigili: è stato convenzionalmente denominato Caserma dei Vigili per i confronti con i fabbricati di Ostia un edificio in calcestruzzo mattoni a più piani caratterizzato da un grande portale d'accesso e da un cortile interno. Sala dei pilastri dorici: l'edificio è dominato da un cortile porticato delimitato da pilastri in muratura con capitelli dorici. Alle spalle di questo colonnato è impostata una volta a botte mascherata anteriormente da una finta 40 trabeazione a metope e triglifi; appare evidente l'elemento scenografico e artificioso di questa ricostruzione architettonica nella quale gli elementi della cultura figurativa greca sono completamente fraintesi dal punto di vista statico e strutturale in funzione di un interesse decorativo che rappresenta un vero e proprio caso di collezionismo erudito. E’ stato proposto in passato che sul portico del secondo piano si appoggiasse una colossale copertura, nel qual caso saremmo di fronte d'un padiglione coperto circondato da colonnati del tipo definito dagli antichi come oecus aegyptius; in Oriente, in effetti, le grandi aule da banchetto erano spesso traforate lungo le pareti per permettere alla brezza di contrastare l’afa e la calura estive. Tale interpretazione sembra però messa in dubbio dall'esiguità dello spessore dei muri i quali, privi di contrafforti, non sembrerebbero in grado di sostenere un peso così elevato. Canopo: uno degli edifici più interessanti ed enigmatici degli Adriana è senza dubbio il cosiddetto canopo. Si tratta di un grande canale creato artificialmente non lontano dal cuore della Villa, lungo il quale era posto un colonnato alternato a statue classiche che si specchiano nell'acqua. Sul lato meridionale, un padiglione caratterizzato da un canale scenografico permetteva all'acqua, raccolta in una cisterna situata alle sue spalle, di fluire nel canale anteriore in modo spettacolare. In passato è stato tentata una ricostruzione dell'aspetto originario del Canopo partendo dall’inventario delle opere scultoree trovate nelle sue vicinanze, ma una recente revisione dei dati ha permesso di scoprire che, inaspettatamente, molte di esse erano state portate alla luce ad una certa distanza, nei terreni dei Cappuccini, così che l'associazione statue-canopo è stata messa in dubbio. Nella ricostruzione originaria si era immaginato che sul fondo del corridoio della sorgente fosse posto un colossale busto di Iside-Demetra; il grande acrolito oggi conservato nei Musei Vaticani è piuttosto monumentale e presenta una sguardo fisso abbastanza enigmatico. Il ritrovamento di statue della medesima altezza avevano fatto ipotizzare che nelle nicchie situate lungo il corso del canale artificiale fossero disposte alternativamente statue di divinità egizie (Ptah, Iside e Horus) e di Antinoo (l'amante bitinico di Adriano affogato misteriosamente nel Nilo e divinizzato dopo la morte da Adriano). Su un ponticello che attraversa curiosamente il canale era poi posizionato, induttivamente, il complesso scultoreo raffigurante due sacerdoti e una sacerdotessa in atto di culto davanti al dio Serapide. Tale ricostruzione, come si è detto, è stata oggi fortemente rimessa in discussione e, pertanto, non esiste più un modello ricostruttivo dell'apparato scultoreo condiviso dall'ambiente accademico. Anche le statue disposte lungo il corso del canopo verrà proprio è discussa; nella primitiva ricostruzione ai soggetti figurativi di tipo egizio del canale sorgente si sarebbe contrapposta una sfilata di statue greche lungo il canale del Canopo: quattro cariatidi del ritiro di Atene, un Ares hoplitodromos, una statua acefala di Hermes e statue delle Amazzoni. Il passo successivo è stato quello di mettere definitivamente in discussione anche l'identificazione del complesso architettonico con quello che Adriano avrebbe soprannominato “canopo” nel ricordo del canale situato alle foci del Nilo che Adriano visitò in Egitto e presso il quale si trovava un importante tempio di Serapide. Come ho già avuto modo di osservare in alcuni contributi, sono fermamente dell'idea che l'errata interpretazione del complesso scultoreo non rappresenti di per sé una negazione di questa architettura con quella del canopo egizio; si tratta infatti dell'unico canale di dimensioni monumentali realizzato all'interno della villa e le fonti antiche insistono nell'osservare che Adriano elaborò un'associazione di fantasia tra uno dei padiglioni della villa e il canale nilotico; il fatto che tanto nell'esedra di raccordo tra il ninfeo monumentale e il canale ipetrale siano presenti dei triclini destinati a fastosi banchetti non prova il contrario perché, come sappiamo, Adriano non effettuò delle ricostruzioni in scala degli edifici che vide personalmente durante i suoi viaggi ma ne progettò di nuovi associando loro nomi di fantasia che si collegavano “letterariamente” all'entità originaria. Tale osservazione mi sembra confermata dal fatto che il ninfeo-sorgente presenta una serie di cataratte la cui funzione sembra essere di carattere funzionale (cioè finalizzato a rallentare e regolamentare la velocità di scorrimento dell'acqua), ma anche quella di formare una allegoria delle sorgenti del principale del Nilo, oggetto di venerazione da parte dei devoti di Iside, Osiride e Serapide. È degno di nota poi che l'acqua, attraversato il corridoio del ninfeosorgente raggiunga un'esedra dopo essersi divisa in quattro bracci semicircolari che 41 evocano, in modo alquanto evidente, le quattro bocche con le quali il fiume si gettava nel Mediterraneo. Diventa invece più difficile da sostenere che la divisione fra statue in marmo nero situate nelle ninfeo-sorgente – simbolo araldico dell'alto Egitto – e statue in marmo rosso – simbolo araldico del basso Egitto – situate lungo il Canopo siano una cosa voluta; è più probabile che gli archeologi che tentarono la ricostruzione del complesso abbiano orientato artificiosamente il loro posizionamento. Se è vero dunque che i temi egittizzanti sono presenti in modo ossessivo in tutti padiglioni della Villa, non sembra possibile ubicare altrove che presso il Canopo quel bellissimo coccodrillo in marmo cipollino capace di virare verso il verde scuro a contatto dell'acqua e che, originariamente, faceva parte di una fontana. Rientrano anche nella cultura egittizzante le statue colossali del Nilo e del Tevere e una terza di Oceano le quali erano presenti con la stessa funzione architettonica e probabilmente cultuale all'interno del Serapeo del Campo Marzio, il più grande complesso monumentale dedicato al culto di Iside nella capitale. Rimane invece privo di una collocazione il complesso scultoreo di chiara ispirazione ellenistica rappresentante Scilla nell'atto di avventarsi compagni di Ulisse che si credeva, originariamente, installato alla bocca del ninfeo-sorgente; certo è che questo complesso scultoreo presenta notevoli punti di contatto con le sculture del grande ninfeo monumentale scoperto presso la grotta di Tiberio a Sperlonga. Per ritornare alla denominazione di Canopo riportato dalla Historia Augusta a proposito di Villa Adriana è stato osservato che questo potrebbe essere stato utilizzato per definire un ambiente destinato a banchetti licenziosi sul modello di quanto avveniva lungo il canale che portava al tempio di Serapide nel delta del Nilo. 42 Cento camerelle: questo edificio è costituito da una massiccia sostruzione in calcestruzzo romano realizzata attraverso la concatenazione di fornici su più piani che permettono di ottenere una serie di stanze attrezzate con ripiani e scale in legno. L'infrastruttura colma un dislivello di 15 m incombendo, senza essere particolarmente visibile, sulle terme e sul canopo. Sembra probabile che tali infrastrutture fossero riservate alle guardie o comunque al personale di servizio nella villa. Ninfeo stadio: nella valle coltivata ad ulivi che separa una peschiera superiore con un edificio a tre esedre e fontane si trova una struttura allungata di 127 x 22,50 m che fu originariamente interpretata come uno stadio destinato agli esercizi ginnici; studi avvenuti nel corso degli anni Sessanta hanno permesso di mettere in dubbio questa ricostruzione e di riconoscere nel complesso l'ennesimo ninfeo, come dimostrato dalla presenza di bacini per l'acqua, imponenti strutture di fondazione e fontane. L'edificio era parimenti circondato da padiglioni presidenziali e da terrazze. Terme: tra il Pecile e il Canopo si succedono, con il medesimo orientamento, due complessi termali di cui uno di maggiori dimensioni. La presenza di due complessi termali a breve distanza potrebbe collegarsi all'uso di edificare terme invernali ed estive con diverse caratterizzazioni, ma il comune orientamento sembra portare a escludere questa soluzione. È molto più probabile che, invece, le terme piccole siano state progettate in funzione di uno sfruttamento da parte del principe e del suo più ristretto entourage, mentre quelle grandi fossero riservate agli amministratori e ai cortigiani che vivevano a fianco del principe. Le terme piccole presentano una planimetria ancora relativamente disorganica, dominata da una grande sala a pianta ellittica dotata di due vasche all'interno di absidi destinate a frigidarium, una piscina, un apodyterium a pianta ottagonale e un calidarium pianta circolare dotato di quattro nicchie. Qua e là sono intercettabili alcuni avanzi delle decorazioni originarie, pavimenti a mosaico o in marmo policromo. Le grandi terme sono dominate da una grande sala absidata parzialmente travolta dal crollo di due grandi nuclei di calcestruzzo caduti da una volta a semicupola. Anche questo edificio era dotato di una palestra a cielo aperto, di un frigidarium, di una natatio e di altri ambienti ausiliari. Particolarmente interessante il grande oculo dell'ala circolare che permetteva di regolare la fuoriuscita del vapore acqueo e che ci permette di riconoscere in questo ambiente un sudatorium. Degna di nota poi la decorazione a stucco della volta del frigidarium. Edificio con tre esedre e fontana: 43 situato a sud-est del quadriportico del Pecile questo edificio è sicuramente uno dei più significativi dal punto di vista planimetrico e in esso si può riconoscere nella massima misura la sensibilità di Adriano in qualità di architetto; l'edificio presenta infatti una pianta trilobata che anticipa e spiana la strada a molteplici realizzazioni civili e religiose del periodo tardo-romano e bizantino; l'elemento più interessante è certamente costituito dal diaframma costituito dalle pareti che, non più intese come solido elemento portante capace di separare ambienti destinati a diversa destinazione viene ora interpretato come una apertura colonnata che permette agli sguardi di attraversare fondali consecutivi e di percepire una sorta di espansione ad onda degli spazi interni, dal centro verso la periferia. L'edificio era certamente utilizzato per sontuosi banchetti e, in una fase successiva, fu dotato sul lato orientale di una grande fontana rettangolare circondata da un ambulacro in marmo nel quale erano fissate statue decorative. Ognuna delle tre esedre disposte sui tre rimanenti punti cardinali era segnata da un portico a colonne; due ampie finestre aperte nella 44 parete meridionale e settentrionale permettevano di intercettare due fontane che con il mormorio della cascata d’acqua permettevano di rinfrescare i commensali in un'atmosfera rilassata e raffinata. Secondo gli studi del Kähler in una prima fase furono edificati la grande fontana quadrangolare orientale e l’abside ad essa opposta, mentre solo in un secondo tempo, vennero aggiunte le due absidi colonnate meridionale e settentrionale che conferiscono all'edificio una forma a trifoglio che i greci definivano trichora. Vie sotterranee: Villa Adriana fu progettata tenendo in considerazione i tipici problemi relativi al movimento di merci e beni all'interno di un complesso di dimensioni straordinarie; è infatti evidente come il carico e lo scarico di quanto necessario al sostentamento delle guarnigioni, degli ospiti, dei funzionari, avrebbe velocemente intasato le vie di accesso ai vari padiglioni generando rumore e turbamento nella vita di corte. Per tale motivo, ci si premurò di realizzare un sistema di vie sotterranee larghe mediamente due metri e mezzo e alte circa cinque metri, illuminate a distanze regolari (circa 12 m) da lucernari; i tunnel attraversavano diverse regioni della villa senza mai intercettare il punto in cui si trovavano le aree residenziali, limitandosi a costeggiarle. Lo snodo principale di questa rete sotterranea è costituita dal cosiddetto Grande trapezio, posto alla profondità di 7 m al di sotto dell'ala sudorientale della villa. In questo punto i cunicoli creano per l’appunto un trapezio che permette l'inversione di marcia e di raggiungere velocemente i principali punti nevralgici della logistica interna. Il trapezio fu dunque immaginato come luogo di manovra e di sosta dei carri dal momento che la ridotta larghezza delle gallerie non avrebbe permesso altrimenti un'inversione di marcia. Indagini archeologiche io hanno messo in evidenza gli incassi per oltre 260 mangiatoie che ci possono dare un'idea dell'ingente del traffico veicolare diretto di giorno alla villa, sicuramente regolato da orari precisi. Dal Grande trapezio un diverticolo sotterraneo conduce all’Odeion (ovvero al teatro coperto), segno che le gallerie non erano solamente riservate agli inservienti ma, all’uopo, potevano anche essere sfruttate per permettere agli spettatori di raggiungere velocemente le aree destinate all’intrattenimento. Antinoeion: Antinoo – il giovane originario della Bitinia, diventato amasio di Adriano – morì nell'estate del 130 d.C. in Egitto durante lo svolgimento delle feste dei Neiloa cadendo e affogando nel fiume. Divinizzato dopo la morte e identificato in una costellazione, egli fu oggetto di venerazione in tutto l'impero sino alla morte di Adriano, dopo di che scomparve dalla monetazione e dagli edifici di culto (attorno al 138 d.C.). Cassio Dione nella Storia di Roma, libro 69, 11, 2-4 riporta: «in Egitto Adriano riedificò anche la città che da allora prese nome da Antinoo; Antinoo era nato a Bythinium, città della Bitinia chiamata anche Claudiopolis. Egli era stato un favorito dall'imperatore e morì in Egitto per una caduta nel Nilo, come scrive Adriano, o come risponde al vero perché fu offerto in sacrificio. Infatti, Adriano, come ho affermato, era sempre molto curioso e praticava divinazioni e magie di ogni genere. In conseguenza egli onorò Antinoo per il suo amore per lui o perché il giovane aveva volontariamente deciso di morire (era infatti necessario che egli si sacrificasse spontaneamente per sventare la fine che incombeva su Adriano) con la costruzione di una città nel luogo ove egli era andato incontro al suo destino e che denominò con il nome di quello. Adriano gli eresse anche statue, o piuttosto immagini sacre, praticamente in tutto il mondo. Infine egli dichiarò di aver visto una stella che riteneva essere quella di Antinoo e volentieri prestò orecchio a falsi racconti inventati dei soldati per fargli credere che la stella fosse realmente nata dallo spirito di Antinoo e che era comparsa allora per la prima volta. A causa di tutto ciò, in seguito, egli fu messo in ridicolo, anche perché alla morte di sua sorella Paolina non le tributò così prontamente alcun genere d'onore». Il cosiddetto Antinoeion è stato portato alla luce durante gli scavi condotti nel 1999 in prossimità della terrazza di accesso alla villa, nota da tempo per il grande anello stradale che permetteva ai convogli provenienti da Roma di approcciare il grande palazzo fatto costruire da Adriano. L'edificio portato alla luce è caratterizzato da un cortile rettangolare, con il lato lungo parallelo alla doppia via d'accesso ad anello, caratterizzato da una complessa sistemazione ad esedra, fontane e giardini, dominato sul fondo da un piccolo sacello e segnato da due tempietti teatrastili prostili ai lati. Gli edifici si presentano attualmente rasi al suolo anche a causa degli ingenti lavori di spietramento eseguiti dei contadini nei secoli passati che hanno 45 disperso gran parte del materiale archeologico; quello più prezioso fu poi oggetto sin dall'antichità di ruberie da parte di clandestini e collezionisti. Il carattere egittizzante di questo edificio è garantito dal ritrovamento nelle fosse di spoliazione e nei cunicoli sottostanti di frammenti di sculture egizie. Dal punto di vista planimetrico l’edificio ripropone una serie di soluzioni divenute caratteristiche nel mondo romano nei santuari dedicati al culto di Iside, dal famoso Serapeo del Campo Marzio sino ad arrivare a santuari di minori proporzioni dislocati in vari punti dell'impero, primo tra tutti l'Iseo d'Industria alle porte di Torino. Tutti questi edifici si caratterizzano per la presenza di sorgenti d'acqua, strade processionali, obelischi, statue egizie, esedre monumentali, vasche e fontane e ambienti segreti separati da cortili. Nello specifico, l'edificio di Villa Adriana è costituito da un recinto (temenos) rettangolare di 63 x 23 m concluso sul lato lungo occidentale da una esedra semicircolare dal diametro di 27 m. All'interno del recinto si trovano due templi affrontati di dimensioni pari a 15 x 9 m. I due templi sono del tipo classico romano-italico, con un podio in travertino e una scalinata anteriore e pronao tetrastilo abbastanza profondo. Secondo la ricostruzione corrente – non ancora del tutto certa – le colonne erano d'ordine ionico e il tempietto culminava in alto con un timpano semicircolare. Tutto l’elevato dell'edificio era realizzato in marmo sino al culmine del tetto. L'esedra era segnata da un portico ottenuto con colonne di giallo antico e si innestava sul “rettilineo” del cortile quadrangolare con canali per l'acqua di 13 x 1 m, rivestiti anch'essi di marmo bianco. Tutta l'area del cortile era strutturata a giardino ed era dominata al centro da palme capaci di evocare il paesaggio egiziano, alternate ad aiuole o 46 fioriere. Di particolare interesse il tipico ninfeo nilotico associato anche a questo edificio; come ho già fatto notare in una precedente pubblicazione, questo è insolitamente forzato sul lato corto meridionale, forse per rievocare simbolicamente le sorgenti del Nilo. Tramite una cisterna alimentata da un canale, l'acqua raggiungeva un ninfeo addossato al banco roccioso e delineato da una serie di nicchie rettangolari rivestite con concrezioni calcaree. Da qui l'acqua zampillava all'interno di lunghe vasche situate alla base per poi confluire in un cunicolo sotterraneo che attraversava longitudinalmente il recinto. Al centro della piazza, tra i due templi, si innalzava un obelisco in granito rosso recante iscrizioni in geroglifico. Secondo Zaccaria Mari – che ha curato lo scavo del complesso – in questo edificio non dovrebbe riconoscersi un semplice tempio di carattere egittizzante, ma l’heroon riservato ad Antinoo, fatto costruire da Adriano al suo ritorno a Roma attorno al 137 d.C. Tale ipotesi si basa sul riconoscimento del basamento situato tra i due tempietti affacciati sulla piazza nel quale sembra potersi inserire alla perfezione l'obelisco in granito rosso che oggi si trova a Roma sul Pincio. L'obelisco egizio contiene tre invocazioni in onore di Antinoo che vi viene assimilato a Osiride, più una quarta evocazione di Adriano e alla consorte Sabina. Sul fusto dell’obelisco, sotto il pyramidion – posto al culmine superiore – il giovane bitinico vi è raffigurato in associazione alle divinità egizie di Ra, Thot e Horus più una quarta figura mancante, ricevendo onori in qualità di novello Osiride. Particolarmente importante, ai fini della ricostruzione sin qui proposta è il frammento testuale che recita «Antinoo riposa in questa tomba situata all'interno del giardino, proprietà del principe in Roma». E evidente che con il termine “giardino” si sarebbe potuto indicare la grande villa circondata da parchi situati alle porte di Roma; sarebbe da scartare l'ipotesi secondo la quale l'obelisco fu portato a Roma dall'Oriente dal momento che fu realizzato con blocchi sovrapposti e iscritto con una grafia non originaria dell'Egitto ma attestata nelle produzioni di imitazione romana. L'apparato scultoreo del complesso sarebbe completato da due telamoni in granito rosso oggi conservati presso i Musei Vaticani che, secondo la documentazione in nostro possesso, si trovavano a Tivoli ancora nei primi anni del Cinquecento. Si è proposto che questi fossero appoggiati sui plinti cementizi che sporge dal centro del muro interno dell'esedra semicircolare dell’Antinoeion. Le sculture sono alte 3,46 m e sormontate da un capitello a fiori di loto appoggiato sulla testa. I giovani rappresentati indossano le tipiche vesti regali egizie come copricapo nemese il gonnellino shendit, e portano il tipico ureo sulla fronte. In tale posizione essi avrebbero potuto enfatizzare l'ingresso al sacello sepolcrale. L'edicola rettangolare situata sul fondo dell’esedra occidentale dell’Antinoeion era probabilmente scandita da una serie di colonnine tortili di cui è stata trovata traccia. Certo è che secondo quanto riferito da Epifanio vescovo di Salamina, Antinoo sarebbe stato sepolto in Egitto così che, volendo sostenere la teoria sin qui affacciata, ci troveremmo di fronte a un cenotafio-santuario. Secondo Zaccaria Mari non bisogna prestare troppa fede a quanto narrato dal tardo agiografo cipriota perché è probabile che il corpo del amasio di Adriano sia stato recuperato e mummificato secondo le tradizioni egizie, trasportato in Italia per poi essere sepolto nel luogo in cui egli amava villeggiare. Per quanto concerne i due templi gemelli, difficile è proporne l'attribuzione originaria, anche se si è fatto il nome delle coppie divine egizie di Iside/OsirideSerapide (ma potremmo pensare anche a Thot e Anubis); purtroppo, allo stato attuale non esistono indizi che permettano di affinare ulteriormente le proposte 47 interpretative. La datazione delle strutture si basa sulle murature, realizzate con scaglie di tufo in mattoni i cui bolli si datano tra i 133 e il 134.. Secondo alcuni studiosi, il progetto dell'edificio sarebbe avvenuto con il contributo di Apollodoro di Damasco, in quella prima fase del regno in cui i rapporti tra il principe e il grande architetto di Traiano erano ancora distesi; questo sulla base di una qual certa somiglianza tra la planimetria dell’Antinoeion e il complesso delle biblioteche del foro di Traiano; in entrambi i casi un elemento centrale slanciato verso l'alto (nel foro la “colonna”, a villa Adriana un obelisco) si configura come il centro geometrico sul quale si affacciano due edifici rettangolari (in un caso le biblioteche, nell'altro i due tempietti); un'identità curiosa ma probabilmente occasionale, tanto più che la tradizione pone la morte di Apollodoro più o meno in coincidenza con quella di Antinoo, cosa che creerebbe una sovrapposizione cronologica abbastanza bislacca (Apollodoro avrebbe dovuto progettare il mausoleo di Antinoo da morto o poche settimane prima di morire, mentre il principe era ancora in viaggio in 48 Egitto). È poi stato proposto che «architetture più complicate e barocche, derivanti dalla conoscenza diretta del panorama offerto dagli scenografici complessi del Mediterraneo orientale visitati da Adriano» abbiano ispirato la seconda fase costruttiva di villa Adriana, mentre gli edifici appartenenti alla prima fase sarebbero stati «segnati da una rigorosa logica classica». L'ipotesi che una progressiva emancipazione dagli schemi progettuali classici sia maturata con il passare del tempo nella mente di Adriano è quanto mai plausibile anche se la data del 114 d.C., indicata come punto di partenza per tale rielaborazione, sembra precoce (almeno dal punto di vista delle conseguenze pratiche), visto che in quella data Adriano non era ancora imperatore. Certo è che nel corso del II sec d.C. divenne usuale fra i raffinati aristocratici romani utilizzare le ville suburbane come luogo di sperimentazione architettonica e artistica, come testimoniato nel caso di Marco Aurelio Frontone, il precettore di Adriano, che «presiedeva un circolo di intellettuali composto anche da architetti che gli mostravano disegni di edifici» (Aulo Gellio, Noctes Acticae). 49 50 51 52 53