Adriano e il progetto del palazzo imperiale alle porte di Roma L

Università Popolare di Torino
Lezioni 4-6; anno 2014
Adriano e il progetto del palazzo
imperiale alle porte di Roma
L’immagine che abbiamo di Adriano è
senza dubbio controversa e parzialmente
influenzata dalla schematizzazione che ne
fece Marguerit Yourcenar nella bellissima
opera letteraria intitolata «Le memorie di
Adriano».
In verità già le fonti antiche avevano
individuato nella figura del successore di
Traiano tratti psicologici contraddittori e
complessi, così che la definizione che ce ne
ha dato la Historia Augusta (che tuttavia fu
composta almeno due secoli dopo la sua
morte, nel IV sec d.C.) di varius, multiplex
e multiformis forse meglio di ogni altra
riesce a tratteggiarne l'essenza.
Adriano è stato identificato dalla
storiografia con lo stereotipo
dell'intellettuale colto e sensibile ed è stato
spesso contrapposto al processore Traiano,
considerato la perfetta incarnazione del
condottiero romano, pragmatico e
invincibile. Le fonti che ci permettono di
ricostruire la storia e la parabola di
Adriano sono relativamente limitate, sia
per il fatto che alcuni scrittori antichi che
si erano prefissi di trattarne non portarono
a compimento la propria opera, sia perché
alcune trattazioni storiche sono andate
perdute.
Per quanto ci è possibile ricostruire,
Adriano nacque a Roma pur provenendo
da una famiglia spagnola ed intrattenne
strette relazioni con il municipio di Italica,
situato non lontano da Siviglia. Sua madre
Domitia Lucilla era stata adottata da uno
degli uomini più ricchi e potenti della
Roma nell'età dei flavi, Sextus Curvius
Lucanus, mentre suo padre, Publius Aelius
Hadrianus era un provinciale ben
introdotto nelle sfere del potere.
Nella giovinezza Adriano ebbe dunque la
possibilità di visitare i più importanti
centri culturali del Mediterraneo –
soprattutto Roma e Atene – e di
frequentare i migliori maestri nelle
migliori scuole dell'epoca. Adriano visitò
Italica solo tra il 90 e il 91 d.C., quando vi
si rifugiò per mettersi al riparo da
un'epidemia che infuriava nella capitale; in
tale occasione egli fu introdotto a far parte
del collegium iuvenum, una consociazione
riservata ai rampolli delle migliori famiglie
che lo avviò a percorrere il tradizionale
cursus honorum. Adriano ebbe dunque la
possibilità di avviare la sua carriera
politica militando – come da copione –
negli eserciti di stanza sul Danubio e in
Germania rimanendo nell'ombra di
Traiano che, dopo la morte del padre,
divenne anche il suo tutore. Nel 101 egli
era dunque questore e in seguito ricoprì le
importantissime cariche di governatore di
Siria e di legato nella Pannonia inferiore.
Fa eccezione al normale percorso
carrieristico di un grande aristocratico
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della romanità la carica di arconte,
ricoperta tra il 111 e il 112. Si trattava di
una suprema magistratura ateniese che
rappresentava solamente un nostalgico
ricordo di fasti antichi, ma questa scelta
curiosa sembra evidenziare come, sin
dall'inizio, l'imperatore abbia manifestato
una specifica sensibilità per la cultura
ellenica, un tratto che divenne tanto più
evidente nel momento in cui indossò la
porpora.
Alla morte di Traiano, l'11 agosto del 117,
forse per intercessione della moglie di
Traiano Plotina, Adriano ricevette quindi
l'investitura imperiale e dopo essere
rientrato dall'Asia Minore (dove si trovava
di ritorno dalla vittoriosa campagna contro
i Parti) fece ingresso a Roma, nel 118 d.C.
Pantheon: il Pantheon fu costruito in
Campo Marzio, nella regione riservata sin
dal tempo di Augusto all'espansione
edilizia della nuova Roma al di fuori
dell'antico pomerio e più precisamente in
prossimità dal grande complesso termale
di Agrippa. Scavi effettuati nel corso
dell'Ottocento e ulteriori saggi del secolo
successivo sembrano dimostrare che il
tamburo su cui fu impostato l'edificio
adrianeo esisteva già all’inizio del I sec d.C.
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e che il Pantheon non nacque dal nulla.
Secondo alcuni studiosi il tamburo di
Agrippa era già all’origine parte di un
edificio templare dedicato a tutti gli dei
pagani – come sembrerebbe ovvio
leggendo quanto riportato dell’iscrizione
posta sulla facciata – mentre per altri
l’edificio sarebbe stato concepito
inizialmente come un'aula sussidiaria
delle grandi terme di Agrippa (che,
effettivamente, confinano con il pantheon
e vi sono legate in muratura).
Fatto sta che tra il 118 e 125 d.C. l'edificio
fu soggetto a un’ingente ristrutturazione
firmata da Adriano (come riportato da una
tarda biografia dell'imperatore) ma anche
da alcuni laterizi identificati in occasione
dei sondaggi presso l'imposta della cupola
(che portano bolli databili tra il 118 e il 125
d.C.).
L'edificio è anticipato da un grande
pronao colonnato largo 33,10 m e
profondo 15,50 m composto di otto
colonne monolitiche di granito alte circa
14 m con capitelli e basi di marmo bianco.
Una seconda fila di colonne, posta alle
spalle delle precedenti in corrispondenza
della prima, della terza, della sesta
dell'ottava colonna, conferiscono
profondità al colonnato scindendolo in tre
navate di cui, quella centrale, in asse con
l'ingresso. Ai lati della porta si trovano poi
due grandi nicchie destinate ad ospitare
delle statue, probabilmente quelle di
Augusto e di Agrippa, ricollocate in bella
vista da Adriano stesso. Quest'ultimo, pur
avendo proceduto a una ristrutturazione
radicale dell'edificio augusteo fece
riportare sull'architrave del Pantheon
un'iscrizione afferente all'attività di
Agrippa che recita: M(arcus) Agrippa
L(uci) f(iliu) co(n)s(ul) tertium fecit.
Il timpano che sormonta il colonnato della
facciata presentava all'interno un'aquila
con una corona, come ricostruibile sulla
base dei fori di fissaggio ancora percepibili.
Il soffitto del pronao era ricoperto da
piastre di bronzo inserite all'interno di finti
cassettoni, sparite nel XVII secolo per
ordine di papa Urbano VIII Barberini che
con il metallo ricavato fece fondere il
baldacchino berniniano di San Pietro e
alcuni cannoni destinati a Castel
Sant'Angelo.
Si accede alla basilica per mezzo di un
grande portale in bronzo miracolosamente
giunto a noi dall'epoca romana. L’elemento
più distintivo e caratteristico dell'edificio è
senza dubbio il tamburo circolare
realizzato in calcestruzzo con un
rivestimento in laterizi su cui è impostata
una cupola dal diametro di 43,70 m.
In questo edificio si riproporne ancora una
volta la distinzione tra “spazio interno” e
“spazio esterno”, dal momento che i portici
del pronao proseguivano lateralmente per
collegarsi con quelli disposti sul lato lungo
della piazza antistante, celando in questo
modo alla vista il cilindro del Pantheon
posto alle loro spalle (oggi esso è molto più
visibile casa degli abbattimenti avvenuti
nel corso del Medioevo). Si veniva dunque
a generare una distinzione tra “spazio
esterno” e “spazio interno” assolutamente
scenografica, nel rispetto di una sensibilità
architettonica tanto romana quanto
ellenistica.
La cupola fu realizzata con una gettata di
calcestruzzo progressivamente riempita
con ciottoli di calcare, tufo e pomice, così
da ottenere un progressivo alleggerimento
delle spinte di rovesciamento dall'alto
verso il basso. L'ingente dimensione della
grande calotta emisferica della cupola - per
quanto interrotta al vertice da un oculo dal
diametro di circa 9 m - preoccupò in modo
significativo l'architetto che volle garantire
la stabilità dell'edificio costruendo un
anello perimetrale facendo uso di una
imponente gettata di calcestruzzo rivestito
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da laterizio, rinforzato nei punti di
maggiore sollecitazione da finti archi di
scarico sempre laterizi immorsati nella
parete (è evidente che questi ultimi in una
situazione di perfetta coesione e
essiccazione delle malte sono privi di
qualunque reale funzione ma entrano in
gioco non appena si crei un qualche
squilibrio nella gettata o si manifesti
qualche forma di cedimento del terreno di
fondazione; un evento quanto mai usuale
nei centri urbani dove gli edifici erano
spesso fondati su macerie e con il quale gli
architetti romani, almeno a partire dalle
età flavia, avevano imparato a fare i conti).
La grande massa del dado di base è
alleggerita da una serie di nicchie che
sezionano il tamburo di sostegno in sette
pilastri portanti, svuotati da otto esedre
(alternativamente a sezione rettangolare o
semicircolare) affacciate sull'aula interna,
decorate da due colonne monolitiche con
capitello corinzio che sorreggono un
architrave. La policromia dell’aula di culto
era garantita dal pavimento realizzato in
opus sectile ma anche dalle colonne delle
nicchie che alternano l'uso di giallo antico
e pavonazzetto.
Lo spazio tra un'esedra e l'altra è occupato
da edicole costituite da due colonne in
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porfido o granito giallo antico che
sostengono timpani alternativamente
triangolari o semicircolari. Al di sopra
della cornice del piano terreno, un
secondo piano marmorizzato era
movimentato da leggere paste corinzie
inframezzate da finestre quadrate. Gran
parte di questa expolitio interna è stata
smantellata e sostituita da nuovi intarsi
maromorei attorno al 1747, ma in un
punto dell'edificio è possibile osservarne
una ricostruzione. È più che probabile che
le numerose nicchie che si aprivano nelle
esedre e le edicole fossero occupate da
statue di divinità, tanto più che l'edificio
era dedicato ai dodici dei dell'Olimpo. La
posizione del santuario, l'esaltazione della
famiglia imperiale augustea, l'evidente
intervento di Adriano fecero dunque
apparire il Pantheon ai contemporanei
come una sottintesa celebrazione della
famiglia imperiale e della fortuna
dell'impero. L'edificio, perfettamente
inserito all'interno di una sfera – dal
momento che l'altezza dal pavimento al
vertice della cupola e la misura del
diametro coincidono – rimanda a uno
schema di assoluta purezza geometrica che
sottintende un'idea filosofica ben precisa e
raffinata. La massa bloccata dell'edificio,
le geometrie concluse in se stesse, la
precoce cronologia dell'edificio hanno
indotto alcuni studiosi ad ipotizzare che
quest'opera sia stata realizzata da
Apollodoro di Damasco ma la presenza di
una pianta centrale e di una concezione
spiccatamente simbolica-filosofica
sembrano puntare verso un diretto
interessamento dello stesso imperatore,
probabilmente coadiuvato da capomastri e
architetti militari di formazione romana
occidentale.
Villa Adriana: il grandioso complesso di
Villa Adriana venne realizzato in qualità di
nuova residenza imperiale alle porte di
Roma, non necessariamente in
antagonismo con il palazzo del Palatino ma
come risposta al problema della creazione
di spazi di rappresentanza, privati e
ufficiali di sufficiente ampiezza e
sontuosità, in una città caotica
caratterizzata da un'edilizia selvaggia come
Roma antica, nella quale risultava
particolarmente difficile il recupero di
spazi da destinarsi all'edilizia imperiale
(come testimoniato dall'esperienza
fallimentare di Nerone e della sua Domus
aurea). L'edificio presenta caratteristiche
architettoniche del tutto anomale che
dimostrano uno specifico ideale
architettonico elaborato dall'imperatore. Ci
troviamo infatti di fronte a qualcosa di
differente dal palazzo compatto e bloccato
in se stesso attorno ad una rete di peristili
– come la tradizione romana aveva ben
espresso negli edifici del Palatino – ma ad
una serie di padiglioni immersi nella
natura con variabili conformazioni e
disposizioni, in modo tale da sfruttare la
conformazione naturale ottenendo le
specifiche vedute panoramiche, particolari
illuminazioni, scenografie e “sorprese”
continue. Si tratta di un'idea che non
corrisponde – come si è detto – alla
sensibilità dell'architettura romana antica
ma si trova in grande sintonia con gli ideali
espressi dei sovrani ellenistici in Egitto,
Siria, Palestina nel periodo dei diadochi;
non a caso, tra gli edifici principeschi più
facilmente avvicinabili a Villa Adriana si
annoverano i palazzi tolemaici e quelli fatti
costruire da Erode il Grande in Palestina al
tempo di Augusto.
Dal punto di vista cronologico gli
interventi edilizi furono condotti in due
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fasi consecutive; il primo tra il 118 e il 125
d.C. e il secondo tra il 125 e il 113 d.C., in
concomitanza con i viaggi dell’imperatore.
È noto infatti come Adriano scelse di
visitare personalmente le diverse province
per elaborare strategie di governo e di
difesa consone a un regno ormai diventato
molto grande e diversificato dal punto di
vista culturale, etnico e linguistico. Non è
un caso che proprio ad Adriano si debba il
progetto di una provincializzazione
dell'esercito e l'idea di far stazionare
stabilmente i militari nei territori da
difendere in modo tale da creare una
relazione di carattere affettivo e utilitario
tra limes e soldato. Tale soluzione – che fu
tuttavia messa in pratica solo molto più
tardi, nel VII sec, con l’istituzione dei temi
bizantini – la dice lunga sulla capacità
riformatrici e le ampie vedute di Adriano.
Sembra poi possibile che i continui viaggi
dell'imperatore siano stati ispirati da una
concezione dell'esercizio del potere
influenzata dalle teorie universalistiche
egualitarie di matrice cinica e storica in
voga in questo periodo della storia di
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Roma.
Per quanto ci è dato di costruire, i primi
viaggi furono condotti in Germania, Italia,
Britannia, Spagna e Grecia tra il 121 e il
125; nel 126 Adriano si trovava a Roma ma
vi si fermò solamente un anno; nel 127
attraversò l'Italia settentrionale per
proseguire l'anno successivo in direzione
dell'Africa, della Grecia, dell'Asia Minore,
della Siria, della Giudea e dell'Egitto dove,
nel 130, fondò Antinopoli.
Nel 134, dopo un ennesimo e lungo
soggiorno ad Atene, Adriano fece ritorno a
Roma morendo a Baia presso Napoli il 13
luglio del 138; in questa data a villa
Adriana i lavori erano ancora in fase di
completamento per cui, appare chiaro,
come l'imperatore ebbe ben poche
occasioni per godere della splendida
realizzazione architettonica che egli stesso
aveva contribuito a progettare. L'edificio
rimase a disposizione dei successori i quali
però, per ragioni organizzative, strategiche
e di gusto personale ebbero modo di
soggiornarvi solo saltuariamente.
Per quanto concerne Villa Adriana, appare
certo come i vari padiglioni costruiti
all'interno della villa siano ispirati, almeno
nella toponomastica, ai luoghi celebri
dell'antichità visitati dall'imperatore
durante i suoi viaggi.
Villa Adriana fu dunque probabilmente
concepita come un centro di raccolta di
opere d'arte (opera nobilia) raccolte
secondo un vero e proprio gusto
collezionistico.
La villa sorse in un'area lungo il corso
dell’Aniene ubicata nelle immediate
vicinanze dell'antica Tibur (oggi Tivoli),
una località rinomata nell'antichità e
sfruttata sin dall'età repubblicana per la
creazione di ville e residenze suburbane.
Certamente un ruolo importante fu giocato
dalla vicinanza con Roma e delle famose
cave di travertino (il lapis tiburtinus) che
furono ampiamente sfruttate per la
realizzazione dell'edificio.
Vediamo ora di descrivere i padiglioni
principali del complesso così da
approfondire i caratteri di questa opera del
tutto unica nel panorama romano.
Teatro greco: si tratta di un piccolo
teatro dal diametro di 36 m riservato
evidentemente a un ristretto numero di
spettatori. Questo edificio ha la cavea volta
a settentrione in modo da esporre il
palcoscenico a meridione, secondo quanto
proposto dei trattati di architettura per
garantire una migliore illuminazione
durante tutta la giornata. Le scalinate sono
sormontate, al vertice, da un piccolo vano
rettangolare che avrà certamente ospitato
un piccolo sacello sacro. Alle spalle della
scena si trovava il tradizionale
quadriportico di 120 x 83 m abbellito da
un giardino fiorito destinato al ritrovo
degli spettatori nei tempi di pausa o a
rifugio in caso di pioggia. Il ritrovamento
di due capitelli con delfini scolpiti e i
frammenti di un fregio con un genio su un
ippocampo indussero il Piranesi a
ipotizzare che l'edificio fosse utilizzato per
delle naumachie o giochi acquatici ma
l'assenza di tubi d'adduzione dell'acqua
sembra escludere questa possibilità.
Palestra: identificato durante le prime
ricerche settecentesche come “palestra
greca”, l’edificio è stato oggetto di uno
scavo sistematico nel 2005. Sulla base
delle ricerche è possibile descriverlo come
una piazza di 50 x 40 m sostruita da una
duplice galleria di fornici con volta a botte;
la più esterna di queste gallerie costituiva
un vero e proprio criptoportico ovvero una
via sotterranea destinata alle passeggiate
climatizzate soprattutto nel periodo estivo;
la galleria più interna sembrerebbe avere
avuto carattere semplicemente strutturale
e di consolidamento della terrazza tufacea.
La piattaforma vera e propria, situata al
livello superiore, era costituita da un
grande cortile pavimentato con lastre di
marmo cipollino, cinta da un doppio
portico ad archi con pilastri in muratura. Il
portico prospiciente il cortile era interrotto
da nicchie in cui erano originariamente
posizionate delle statue; il lato esterno
dava su un affaccio panoramico di grande
suggestione, arricchito da piccole fontane e
fioriere. Il complesso era dotato anche di
una seconda piazza posteriore di 30 x 30
m, anch'essa circondata da un portico a
pilastri con pavimento in opus spicatum
nero o giallo, accompagnato da una
raffinata sistemazione a giardino, con
aiuole separate da vialetti e mosaici a
grandi tessere marmoree. Il complesso si
concludeva con alcune aule monumentali,
spesso caratterizzate da una notevole
altezza, con gli ingressi principali rivolti
verso l'area circostante il parco.
L’edificio era completato da due grandi
aule a pianta cruciforme con volte a
crociera rivestite di marmi e stucchi
dipinti, un’aula rettangolare con volta a
botte dotata di una esedra sul fondo (ove
forse si trova una statua) e un edificio a più
piami sorretto a valle da un blocco di
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fornici voltati ipogeici. Si accedeva al
complesso tramite una scala monumentale
situata in prossimità del teatro greco che
permetteva di superare il dislivello della
terrazza, collegata al resto della villa da un
lungo viale o portico che rasentava la scena
del vicino teatro. Anche questo edificio era
originariamente abbellito da soggetti
egittizzanti quali una sfinge in marmo
bianco – scoperta recentemente e acefala –
forse destinata a decorare lo scalone. Dalla
stessa area proviene un busto colossale di
Iside-Demetra che ripropone ancora una
volta l’Egitto come denominatore comune
di tutti gli edifici facenti parte della grande
villa costruita da Adriano alle porte di
Roma.
Ninfeo: non lontano dal casotto del Conte
Braschi si trova un raffinato padiglione a
forma di rotonda periptera scambiato
inizialmente per una fontana. Ricerche
successive hanno permesso di ricostruire
una trabeazione dorica e di riconoscere, al
centro dell'emiciclo, una statua prassitelica
raffigurante Afrodite. Nelle vicinanze
furono anche scoperte dal Conte Fede delle
statue di Amore e Psiche, busti di erme e
frammenti di mosaico. Da qui proviene la
raffinatissima scultura in marmo rosso
antico raffigurante un satiro oggi esposta
ai Musei Vaticani.
Pecile: il cosiddetto Pecile prende il nome
dalla stoà poikìle (ovvero la stoà dipinta)
che sorgeva un tempo presso l'agorà di
Atene e che era stata istoriata con
magistrale abilità dal famoso pittore
Polignoto di Taso. L'edificio è una grande
terrazza a forma rettangolare circondata
da un muro su cui erano appoggiate delle
colonne a carattere decorativo; le
dimensioni sono notevoli, dal momento
che questa area all'aperto misurava 232 m
sui lati maggiori e 97 m sui lati minori. La
parte centrale è solcata da un ampio canale
in cui si è riconosciuta una peschiera di
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105,50 x 26 m profonda 1,50 m.
Anticamente l'acqua necessaria al grande
complesso palaziale era addotta tramite
un acquedotto derivato dal fiume Aniene
che riforniva terme, peschiere, ninfei e
fontane di ogni genere. Il lato maggiore –
posto a nord – è interrotto da una grande
porta ricavata all'interno del muro in opus
reticolatum sezionato a intervalli regolari
da ricorsi di laterizi. Conservato quasi
dovunque per tutta la sua altezza di 9 m, il
muro mostra ancora i grandi fori in cui si
inserivano 104 travi in legno destinate a
sorreggere uno spiovente che creava un
percorso protetto lungo il perimetro della
grande piazza. L’identificazione di questo
spazio di rappresentanza con il Pecile di
Atene è del tutto arbitraria e fu proposta
da Pirro Ligorio nel corso del Settecento
diventando poi comunemente accettata;
certo è che tale attribuzione è del tutto
improbabile dal momento che nelle
murature non si trova alcun incasso
destinato a pitture o quadri da cavalletto.
È invece degno di nota che le fronti dei
muri principali, esposte alternativamente
a nord e a sud, permettano a qualunque
ora del giorno di ottenere un percorso
ombreggiato. È stato pertanto proposto
che questo grande giardino all'aperto fosse
utilizzato dall'imperatore e dei suoi ospiti
per la tipica ambulatio postprediale,
ovvero per la passeggiata digestiva che i
medici dell'epoca consigliavano dopo i
pasti per lo spazio d'un miglio.
Biblioteca: adiacente al lato corto del
Pecile, l'edificio è costituito da una sala
monumentale di 20,55 x 14,35 m la cui
fronte settentrionale è interrotta da una
grande abside volta a mezzogiorno
all'interno della quale sono ricavate sette
nicchie rettangolari che avrebbero potuto
ospitare statue oppure librerie lignee.
I primi scopritori attribuivano le sette
nicchie a una colta citazione dei Sette saggi
della Grecia antica e la soprannominarono
Sala dei filosofi. Molto presto apparve loro
evidente come l'edificio potesse essere più
facilmente interpretabile in qualità di
biblioteca o come sala di ricevimento,
tanto più che la ridotta profondità delle
nicchie renderebbe impossibile il fissaggio
di statue. È probabile che il soffitto fosse
realizzato a cassettoni in legno, mentre le
cronache dei secoli scorsi ricordano un
pavimento in porfido e marmo di
portasanta.
B: situato alle spalle dell’abside della
Biblioteca, in tale edificio deve riconoscersi
una terma caratterizzata dalla presenza di
un frigidarium a cielo aperto e di una sala
sopraelevata destinata ad heliocamino.
Quest'ultima struttura – teorizzata dai
medici dell'epoca – è un vero è proprio
solarium esposto a meridione costruito
nella forma di una sala rotonda coperta a
cassettoni dalla quale era possibile
effettuare cure di sole immersi in sabbia
riscaldata, la cui temperatura era
ulteriormente innalzata per mezzo di
intercapedini ricavate nei muri collegati ad
un forno sottostante. La volta della cupola
fu alleggerita per mezzo dell'inserimento di
frammenti di cocci laterizi nell'intradosso.
Teatro marittimo: si tratta di un
padiglione del tutto insolito, caratterizzato
da una spiccata forma circolare. Il
perimetro esterno è chiuso agli sguardi
indiscreti da un muro continuo e
all'interno un colonnato circonda un
canale che isola, al centro, uno spicchio di
terra anch'esso circolare allestito a
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padiglione. Il diametro dell'edificio è di
42,56 m ed il portico interno raggiunge
un'ampiezza di 3,43 m con 40 colonne
lisce di marmo caristio e capitelli d'ordine
ionico. L'anello del canale interno è largo
4,80 m con una profondità di 1 m, 50; fu
rivestito di lastre di marmo lunense e si
caratterizza per un fondo inclinato che
facilita lo scorrimento delle acque verso
settentrionale dove si trova un foro di
deflusso a sezione conica, un tempo
bloccato per mezzo di un chiusino.
Nell'antichità era possibile accedere
all'isolotto solo tramite due ponti girevoli
in legno fissati con dei perni all'isola e che
potevano essere ritratti con l'ausilio di
guide conformate a quarto di cerchio in
modo tale da farli scomparire.
I muri portanti del padiglione costruito
sull'isolotto sono in opera articolata con
listature di laterizio; realizzate in forma di
emicicli colonnati aperti sul canale
esterno, le aule abitative erano certamente
addobbate con stucchi e raffinate
suppellettili, come testimoniato anche
dalla presenza di incassi nei muri che
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avrebbero potuto contenere dei quadri su
tavola o a mosaico. Al centro del
padiglione si trovava una tazza destinata a
fontana e lo spazio circostante era partito
in piccoli vani, uno dei quali dotato di
vasca da bagno con gradini per la discesa.
Le colonne che sostenevano la trabeazione
delle piccole aule situate sull'isolotto
furono realizzate con marmo giallo della
Numidia, mentre la trabeazione era
decorata con fregi adorni di mostri marini
quali Tritoni, Nereidi, carri trainati da
animali diversi, uccelli guidati da geni.
Proviene da questo padiglione la splendida
scultura raffigurante un satiro in rosso
antico oggi conservata nel gabinetto delle
maschere del Museo Vaticano e un vaso
con rilievo raffigurante cicogne e serpenti
conservato nel Museo Nazionale Romano.
Il restauro del padiglione è stato condotto
nel 1955 dall'architetto Italo Gismondi
sotto la direzione del professor Pietro
Romanelli. L'edificio è singolare ed
enigmatico, e si è proposto di riconoscervi
uno studio privato riservato all'imperatore
il quale sappiamo delle fonti antiche
essersi dedicato alla pittura e alla
progettazione architettonica; più
recentemente si è ipotizzato che l'edificio
fosse anche collegato alle osservazioni
astronomiche che l'imperatore era solito
attendere in compagnia di astrologi
qualificati, nel rispetto di una sensibilità e
dii gusti caratteristici del periodo
imperiale.
Palazzo ed hospitalia: il cosiddetto
palazzo costituisce quanto rimane di una
primitiva villa a peristilio di età
repubblicana che fu senza dubbio
acquistata da Adriano e incorporata
all'interno della Villa; ne rimangono solo
più quelle parti che furono funzionali al
progetto adrianeo e, nello specifico, un
piccolo criptoportico di servizio sottoposto
a una grande terrazza attrezzata con pali e
velari che avrebbe potuto essere utilizzata
come coenatio nel periodo estivo. Nelle
immediate vicinanze si trova una blocco
architettonico costruito certamente
dall'imperatore caratterizzato dalla
presenza di un corridoio-cortile centrale su
cui si affacciano molte piccole stanzette
graziosamente decorate con mosaici
monocromi in bianco e nero; si è ipotizzato
trattarsi di cubicula sicché, in tal caso, ci
troveremo davanti a una sorta d'albergo
lussuoso riservato gli ospiti più importanti.
Piazza d’Oro: anche questo edificio ha
una denominazione del tutto arbitraria dal
momento che alla sua scoperta fu
battezzato solo basandosi sulla
straordinaria sontuosità dei marmi
scopertivi. L'edificio è caratterizzato da un
vasto peristilio sorretto da un portico di 18
colonne sui lati maggiori e 12 lati minori
con colonne alternativamente di cipollino e
di granito orientale. Sul muro di fondo che
sorregge la copertura del doppio portico
sono ricavate a scopo decorativo delle
semicolonne di laterizio originariamente
rivestite di stucco che potevano essere
facilmente scambiate per marmo. La
pigmentazione originale era costituita da
mattonelle marmoree policrome talora
rettangolari, talora triangolari o
rettangolari; in alcuni punti erano anche
inseriti degli emblemata in mosaico
policromo, forse tra i più belli e meglio
conservati della Villa.
L'elemento più interessante dell'edificio
sono tuttavia i padiglioni di accesso situati
sui lati corti; quello ottagonale, in
particolare, presenta un'interessante
raccordo tra la base quadrata e la parte
superiore del tamburo ottenuto facendo
uso di vele a creare una “volta ad
ombrello”, una soluzione messa a punto
proprio in quegli anni dell'architettura
romana che si contrappone alla cupola su
cuffie angolari, un’idea più caratteristica
del mondo orientale.
Sul lato opposto della piazza si trovava la
sala di rappresentanza principale
dell'intero palazzo. Si tratta di un'aula a
croce greca con quattro lati fortemente
convessi verso il centro della sala e quattro
lati inflessi verso l'esterno della sala stessa.
Lo svuotamento dello spessore dei muri, il
moltiplicarsi delle colonne, il gioco di luci e
di ombre generato dalle colonne e dalle
trabeazione esprimono una cultura
figurativa e architettonica del tutto nuova
che dobbiamo attribuire alla sensibilità di
Adriano. Nel mezzo dell'aula si riconosce
anche un ampio basamento destinato a
sostenere una statua di proporzioni
maggiori al vero, forse quella
dell'imperatore.
Secondo le memorie di Pirro Ligorio in
questo complesso furono trovate due
statue di Diana, una statua di Atalanta,
una della Fortuna, una testa di Marco
Aurelio e un busto di Caracalla.
Oltrepassati gli ambienti orientali si accede
ad una terrazza affacciata sulla cosiddetta
Valle di Tempe dalla quale, nell'antichità,
si godeva d'una piacevole vista sulla
natura. Qui sorgeva un viale realizzato con
39
una doppia fila di 44 colonne che giungeva
ad un padiglione finestrato.
Ninfeo, triclinio estivo: alle spalle della
Piazza d'oro si trova un'altra fastosa
architettura denominata “ninfeo”. Un
grande muro incurvato ad esedra costruito
in opus reticolatum con ricorsi di mattoni
costituiva la sorgente della grande fontana
che si gettava verso il basso all'interno di
una serie di vasche successive. Anche
questo edificio presenta spiccate
caratteristiche e ripropone la simbologia
dell'acqua nilotica così presente nella
teologia isiaca.
Caserma dei vigili: è stato
convenzionalmente denominato Caserma
dei Vigili per i confronti con i fabbricati di
Ostia un edificio in calcestruzzo mattoni a
più piani caratterizzato da un grande
portale d'accesso e da un cortile interno.
Sala dei pilastri dorici: l'edificio è
dominato da un cortile porticato
delimitato da pilastri in muratura con
capitelli dorici. Alle spalle di questo
colonnato è impostata una volta a botte
mascherata anteriormente da una finta
40
trabeazione a metope e triglifi; appare
evidente l'elemento scenografico e
artificioso di questa ricostruzione
architettonica nella quale gli elementi
della cultura figurativa greca sono
completamente fraintesi dal punto di vista
statico e strutturale in funzione di un
interesse decorativo che rappresenta un
vero e proprio caso di collezionismo
erudito. E’ stato proposto in passato che
sul portico del secondo piano si
appoggiasse una colossale copertura, nel
qual caso saremmo di fronte d'un
padiglione coperto circondato da colonnati
del tipo definito dagli antichi come oecus
aegyptius; in Oriente, in effetti, le grandi
aule da banchetto erano spesso traforate
lungo le pareti per permettere alla brezza
di contrastare l’afa e la calura estive. Tale
interpretazione sembra però messa in
dubbio dall'esiguità dello spessore dei
muri i quali, privi di contrafforti, non
sembrerebbero in grado di sostenere un
peso così elevato.
Canopo: uno degli edifici più interessanti
ed enigmatici degli Adriana è senza dubbio
il cosiddetto canopo. Si tratta di un grande
canale creato artificialmente non lontano
dal cuore della Villa, lungo il quale era
posto un colonnato alternato a statue
classiche che si specchiano nell'acqua. Sul
lato meridionale, un padiglione
caratterizzato da un canale scenografico
permetteva all'acqua, raccolta in una
cisterna situata alle sue spalle, di fluire nel
canale anteriore in modo spettacolare.
In passato è stato tentata una ricostruzione
dell'aspetto originario del Canopo
partendo dall’inventario delle opere
scultoree trovate nelle sue vicinanze, ma
una recente revisione dei dati ha permesso
di scoprire che, inaspettatamente, molte di
esse erano state portate alla luce ad una
certa distanza, nei terreni dei Cappuccini,
così che l'associazione statue-canopo è
stata messa in dubbio. Nella ricostruzione
originaria si era immaginato che sul fondo
del corridoio della sorgente fosse posto un
colossale busto di Iside-Demetra; il grande
acrolito oggi conservato nei Musei Vaticani
è piuttosto monumentale e presenta una
sguardo fisso abbastanza enigmatico. Il
ritrovamento di statue della medesima
altezza avevano fatto ipotizzare che nelle
nicchie situate lungo il corso del canale
artificiale fossero disposte
alternativamente statue di divinità egizie
(Ptah, Iside e Horus) e di Antinoo
(l'amante bitinico di Adriano affogato
misteriosamente nel Nilo e divinizzato
dopo la morte da Adriano).
Su un ponticello che attraversa
curiosamente il canale era poi posizionato,
induttivamente, il complesso scultoreo
raffigurante due sacerdoti e una
sacerdotessa in atto di culto davanti al dio
Serapide. Tale ricostruzione, come si è
detto, è stata oggi fortemente rimessa in
discussione e, pertanto, non esiste più un
modello ricostruttivo dell'apparato
scultoreo condiviso dall'ambiente
accademico. Anche le statue disposte lungo
il corso del canopo verrà proprio è
discussa; nella primitiva ricostruzione ai
soggetti figurativi di tipo egizio del canale
sorgente si sarebbe contrapposta una
sfilata di statue greche lungo il canale del
Canopo: quattro cariatidi del ritiro di
Atene, un Ares hoplitodromos, una statua
acefala di Hermes e statue delle Amazzoni.
Il passo successivo è stato quello di
mettere definitivamente in discussione
anche l'identificazione del complesso
architettonico con quello che Adriano
avrebbe soprannominato “canopo” nel
ricordo del canale situato alle foci del Nilo
che Adriano visitò in Egitto e presso il
quale si trovava un importante tempio di
Serapide. Come ho già avuto modo di
osservare in alcuni contributi, sono
fermamente dell'idea che l'errata
interpretazione del complesso scultoreo
non rappresenti di per sé una negazione di
questa architettura con quella del canopo
egizio; si tratta infatti dell'unico canale di
dimensioni monumentali realizzato
all'interno della villa e le fonti antiche
insistono nell'osservare che Adriano
elaborò un'associazione di fantasia tra uno
dei padiglioni della villa e il canale nilotico;
il fatto che tanto nell'esedra di raccordo tra
il ninfeo monumentale e il canale ipetrale
siano presenti dei triclini destinati a fastosi
banchetti non prova il contrario perché,
come sappiamo, Adriano non effettuò delle
ricostruzioni in scala degli edifici che vide
personalmente durante i suoi viaggi ma ne
progettò di nuovi associando loro nomi di
fantasia che si collegavano
“letterariamente” all'entità originaria.
Tale osservazione mi sembra confermata
dal fatto che il ninfeo-sorgente presenta
una serie di cataratte la cui funzione
sembra essere di carattere funzionale (cioè
finalizzato a rallentare e regolamentare la
velocità di scorrimento dell'acqua), ma
anche quella di formare una allegoria delle
sorgenti del principale del Nilo, oggetto di
venerazione da parte dei devoti di Iside,
Osiride e Serapide. È degno di nota poi che
l'acqua, attraversato il corridoio del ninfeosorgente raggiunga un'esedra dopo essersi
divisa in quattro bracci semicircolari che
41
evocano, in modo alquanto evidente, le
quattro bocche con le quali il fiume si
gettava nel Mediterraneo. Diventa invece
più difficile da sostenere che la divisione
fra statue in marmo nero situate nelle
ninfeo-sorgente – simbolo araldico
dell'alto Egitto – e statue in marmo rosso
– simbolo araldico del basso Egitto –
situate lungo il Canopo siano una cosa
voluta; è più probabile che gli archeologi
che tentarono la ricostruzione del
complesso abbiano orientato
artificiosamente il loro posizionamento.
Se è vero dunque che i temi egittizzanti
sono presenti in modo ossessivo in tutti
padiglioni della Villa, non sembra possibile
ubicare altrove che presso il Canopo quel
bellissimo coccodrillo in marmo cipollino
capace di virare verso il verde scuro a
contatto dell'acqua e che, originariamente,
faceva parte di una fontana. Rientrano
anche nella cultura egittizzante le statue
colossali del Nilo e del Tevere e una terza
di Oceano le quali erano presenti con la
stessa funzione architettonica e
probabilmente cultuale all'interno del
Serapeo del Campo Marzio, il più grande
complesso monumentale dedicato al culto
di Iside nella capitale.
Rimane invece privo di una collocazione il
complesso scultoreo di chiara ispirazione
ellenistica rappresentante Scilla nell'atto di
avventarsi compagni di Ulisse che si
credeva, originariamente, installato alla
bocca del ninfeo-sorgente; certo è che
questo complesso scultoreo presenta
notevoli punti di contatto con le sculture
del grande ninfeo monumentale scoperto
presso la grotta di Tiberio a Sperlonga.
Per ritornare alla denominazione di
Canopo riportato dalla Historia Augusta a
proposito di Villa Adriana è stato osservato
che questo potrebbe essere stato utilizzato
per definire un ambiente destinato a
banchetti licenziosi sul modello di quanto
avveniva lungo il canale che portava al
tempio di Serapide nel delta del Nilo.
42
Cento camerelle: questo edificio è
costituito da una massiccia sostruzione in
calcestruzzo romano realizzata attraverso
la concatenazione di fornici su più piani
che permettono di ottenere una serie di
stanze attrezzate con ripiani e scale in
legno. L'infrastruttura colma un dislivello
di 15 m incombendo, senza essere
particolarmente visibile, sulle terme e sul
canopo. Sembra probabile che tali
infrastrutture fossero riservate alle
guardie o comunque al personale di
servizio nella villa.
Ninfeo stadio: nella valle coltivata ad
ulivi che separa una peschiera superiore
con un edificio a tre esedre e fontane si
trova una struttura allungata di 127 x
22,50 m che fu originariamente
interpretata come uno stadio destinato
agli esercizi ginnici; studi avvenuti nel
corso degli anni Sessanta hanno permesso
di mettere in dubbio questa ricostruzione e
di riconoscere nel complesso l'ennesimo
ninfeo, come dimostrato dalla presenza di
bacini per l'acqua, imponenti strutture di
fondazione e fontane. L'edificio era
parimenti circondato da padiglioni
presidenziali e da terrazze.
Terme: tra il Pecile e il Canopo si
succedono, con il medesimo orientamento,
due complessi termali di cui uno di
maggiori dimensioni. La presenza di due
complessi termali a breve distanza
potrebbe collegarsi all'uso di edificare
terme invernali ed estive con diverse
caratterizzazioni, ma il comune
orientamento sembra portare a escludere
questa soluzione. È molto più probabile
che, invece, le terme piccole siano state
progettate in funzione di uno sfruttamento
da parte del principe e del suo più ristretto
entourage, mentre quelle grandi fossero
riservate agli amministratori e ai cortigiani
che vivevano a fianco del principe. Le
terme piccole presentano una planimetria
ancora relativamente disorganica,
dominata da una grande sala a pianta
ellittica dotata di due vasche all'interno di
absidi destinate a frigidarium, una piscina,
un apodyterium a pianta ottagonale e un
calidarium pianta circolare dotato di
quattro nicchie. Qua e là sono intercettabili
alcuni avanzi delle decorazioni originarie,
pavimenti a mosaico o in marmo
policromo. Le grandi terme sono dominate
da una grande sala absidata parzialmente
travolta dal crollo di due grandi nuclei di
calcestruzzo caduti da una volta a
semicupola. Anche questo edificio era
dotato di una palestra a cielo aperto, di un
frigidarium, di una natatio e di altri
ambienti ausiliari. Particolarmente
interessante il grande oculo dell'ala
circolare che permetteva di regolare la
fuoriuscita del vapore acqueo e che ci
permette di riconoscere in questo
ambiente un sudatorium. Degna di nota
poi la decorazione a stucco della volta del
frigidarium.
Edificio con tre esedre e fontana:
43
situato a sud-est del quadriportico del
Pecile questo edificio è sicuramente uno
dei più significativi dal punto di vista
planimetrico e in esso si può riconoscere
nella massima misura la sensibilità di
Adriano in qualità di architetto; l'edificio
presenta infatti una pianta trilobata che
anticipa e spiana la strada a molteplici
realizzazioni civili e religiose del periodo
tardo-romano e bizantino; l'elemento più
interessante è certamente costituito dal
diaframma costituito dalle pareti che, non
più intese come solido elemento portante
capace di separare ambienti destinati a
diversa destinazione viene ora interpretato
come una apertura colonnata che permette
agli sguardi di attraversare fondali
consecutivi e di percepire una sorta di
espansione ad onda degli spazi interni, dal
centro verso la periferia. L'edificio era
certamente utilizzato per sontuosi
banchetti e, in una fase successiva, fu
dotato sul lato orientale di una grande
fontana rettangolare circondata da un
ambulacro in marmo nel quale erano
fissate statue decorative. Ognuna delle tre
esedre disposte sui tre rimanenti punti
cardinali era segnata da un portico a
colonne; due ampie finestre aperte nella
44
parete meridionale e settentrionale
permettevano di intercettare due fontane
che con il mormorio della cascata d’acqua
permettevano di rinfrescare i commensali
in un'atmosfera rilassata e raffinata.
Secondo gli studi del Kähler in una prima
fase furono edificati la grande fontana
quadrangolare orientale e l’abside ad essa
opposta, mentre solo in un secondo
tempo, vennero aggiunte le due absidi
colonnate meridionale e settentrionale che
conferiscono all'edificio una forma a
trifoglio che i greci definivano trichora.
Vie sotterranee: Villa Adriana fu
progettata tenendo in considerazione i
tipici problemi relativi al movimento di
merci e beni all'interno di un complesso di
dimensioni straordinarie; è infatti
evidente come il carico e lo scarico di
quanto necessario al sostentamento delle
guarnigioni, degli ospiti, dei funzionari,
avrebbe velocemente intasato le vie di
accesso ai vari padiglioni generando
rumore e turbamento nella vita di corte.
Per tale motivo, ci si premurò di realizzare
un sistema di vie sotterranee larghe
mediamente due metri e mezzo e alte circa
cinque metri, illuminate a distanze
regolari (circa 12 m) da lucernari; i tunnel
attraversavano diverse regioni della villa
senza mai intercettare il punto in cui si
trovavano le aree residenziali, limitandosi
a costeggiarle. Lo snodo principale di
questa rete sotterranea è costituita dal
cosiddetto Grande trapezio, posto alla
profondità di 7 m al di sotto dell'ala sudorientale della villa. In questo punto i
cunicoli creano per l’appunto un trapezio
che permette l'inversione di marcia e di
raggiungere velocemente i principali punti
nevralgici della logistica interna. Il trapezio
fu dunque immaginato come luogo di
manovra e di sosta dei carri dal momento
che la ridotta larghezza delle gallerie non
avrebbe permesso altrimenti un'inversione
di marcia. Indagini archeologiche io hanno
messo in evidenza gli incassi per oltre 260
mangiatoie che ci possono dare un'idea
dell'ingente del traffico veicolare diretto di
giorno alla villa, sicuramente regolato da
orari precisi. Dal Grande trapezio un
diverticolo sotterraneo conduce all’Odeion
(ovvero al teatro coperto), segno che le
gallerie non erano solamente riservate agli
inservienti ma, all’uopo, potevano anche
essere sfruttate per permettere agli
spettatori di raggiungere velocemente le
aree destinate all’intrattenimento.
Antinoeion: Antinoo – il giovane
originario della Bitinia, diventato amasio
di Adriano – morì nell'estate del 130 d.C.
in Egitto durante lo svolgimento delle feste
dei Neiloa cadendo e affogando nel fiume.
Divinizzato dopo la morte e identificato in
una costellazione, egli fu oggetto di
venerazione in tutto l'impero sino alla
morte di Adriano, dopo di che scomparve
dalla monetazione e dagli edifici di culto
(attorno al 138 d.C.).
Cassio Dione nella Storia di Roma, libro
69, 11, 2-4 riporta: «in Egitto Adriano
riedificò anche la città che da allora prese
nome da Antinoo; Antinoo era nato a
Bythinium, città della Bitinia chiamata
anche Claudiopolis. Egli era stato un
favorito dall'imperatore e morì in Egitto
per una caduta nel Nilo, come scrive
Adriano, o come risponde al vero perché fu
offerto in sacrificio. Infatti, Adriano, come
ho affermato, era sempre molto curioso e
praticava divinazioni e magie di ogni
genere. In conseguenza egli onorò Antinoo
per il suo amore per lui o perché il giovane
aveva volontariamente deciso di morire
(era infatti necessario che egli si
sacrificasse spontaneamente per sventare
la fine che incombeva su Adriano) con la
costruzione di una città nel luogo ove egli
era andato incontro al suo destino e che
denominò con il nome di quello. Adriano
gli eresse anche statue, o piuttosto
immagini sacre, praticamente in tutto il
mondo. Infine egli dichiarò di aver visto
una stella che riteneva essere quella di
Antinoo e volentieri prestò orecchio a falsi
racconti inventati dei soldati per fargli
credere che la stella fosse realmente nata
dallo spirito di Antinoo e che era comparsa
allora per la prima volta. A causa di tutto
ciò, in seguito, egli fu messo in ridicolo,
anche perché alla morte di sua sorella
Paolina non le tributò così prontamente
alcun genere d'onore».
Il cosiddetto Antinoeion è stato portato
alla luce durante gli scavi condotti nel 1999
in prossimità della terrazza di accesso alla
villa, nota da tempo per il grande anello
stradale che permetteva ai convogli
provenienti da Roma di approcciare il
grande palazzo fatto costruire da Adriano.
L'edificio portato alla luce è caratterizzato
da un cortile rettangolare, con il lato lungo
parallelo alla doppia via d'accesso ad
anello, caratterizzato da una complessa
sistemazione ad esedra, fontane e giardini,
dominato sul fondo da un piccolo sacello e
segnato da due tempietti teatrastili prostili
ai lati. Gli edifici si presentano attualmente
rasi al suolo anche a causa degli ingenti
lavori di spietramento eseguiti dei
contadini nei secoli passati che hanno
45
disperso gran parte del materiale
archeologico; quello più prezioso fu poi
oggetto sin dall'antichità di ruberie da
parte di clandestini e collezionisti. Il
carattere egittizzante di questo edificio è
garantito dal ritrovamento nelle fosse di
spoliazione e nei cunicoli sottostanti di
frammenti di sculture egizie.
Dal punto di vista planimetrico l’edificio
ripropone una serie di soluzioni divenute
caratteristiche nel mondo romano nei
santuari dedicati al culto di Iside, dal
famoso Serapeo del Campo Marzio sino ad
arrivare a santuari di minori proporzioni
dislocati in vari punti dell'impero, primo
tra tutti l'Iseo d'Industria alle porte di
Torino. Tutti questi edifici si
caratterizzano per la presenza di sorgenti
d'acqua, strade processionali, obelischi,
statue egizie, esedre monumentali, vasche
e fontane e ambienti segreti separati da
cortili.
Nello specifico, l'edificio di Villa Adriana è
costituito da un recinto (temenos)
rettangolare di 63 x 23 m concluso sul lato
lungo occidentale da una esedra
semicircolare dal diametro di 27 m.
All'interno del recinto si trovano due
templi affrontati di dimensioni pari a 15 x
9 m. I due templi sono del tipo classico
romano-italico, con un podio in travertino
e una scalinata anteriore e pronao
tetrastilo abbastanza profondo. Secondo la
ricostruzione corrente – non ancora del
tutto certa – le colonne erano d'ordine
ionico e il tempietto culminava in alto con
un timpano semicircolare. Tutto l’elevato
dell'edificio era realizzato in marmo sino al
culmine del tetto. L'esedra era segnata da
un portico ottenuto con colonne di giallo
antico e si innestava sul “rettilineo” del
cortile quadrangolare con canali per
l'acqua di 13 x 1 m, rivestiti anch'essi di
marmo bianco. Tutta l'area del cortile era
strutturata a giardino ed era dominata al
centro da palme capaci di evocare il
paesaggio egiziano, alternate ad aiuole o
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fioriere. Di particolare interesse il tipico
ninfeo nilotico associato anche a questo
edificio; come ho già fatto notare in una
precedente pubblicazione, questo è
insolitamente forzato sul lato corto
meridionale, forse per rievocare
simbolicamente le sorgenti del Nilo.
Tramite una cisterna alimentata da un
canale, l'acqua raggiungeva un ninfeo
addossato al banco roccioso e delineato da
una serie di nicchie rettangolari rivestite
con concrezioni calcaree. Da qui l'acqua
zampillava all'interno di lunghe vasche
situate alla base per poi confluire in un
cunicolo sotterraneo che attraversava
longitudinalmente il recinto. Al centro
della piazza, tra i due templi, si innalzava
un obelisco in granito rosso recante
iscrizioni in geroglifico.
Secondo Zaccaria Mari – che ha curato lo
scavo del complesso – in questo edificio
non dovrebbe riconoscersi un semplice
tempio di carattere egittizzante, ma
l’heroon riservato ad Antinoo, fatto
costruire da Adriano al suo ritorno a Roma
attorno al 137 d.C. Tale ipotesi si basa sul
riconoscimento del basamento situato tra i
due tempietti affacciati sulla piazza nel
quale sembra potersi inserire alla
perfezione l'obelisco in granito rosso che
oggi si trova a Roma sul Pincio. L'obelisco
egizio contiene tre invocazioni in onore di
Antinoo che vi viene assimilato a Osiride,
più una quarta evocazione di Adriano e alla
consorte Sabina. Sul fusto dell’obelisco,
sotto il pyramidion – posto al culmine
superiore – il giovane bitinico vi è
raffigurato in associazione alle divinità
egizie di Ra, Thot e Horus più una quarta
figura mancante, ricevendo onori in
qualità di novello Osiride.
Particolarmente importante, ai fini della
ricostruzione sin qui proposta è il
frammento testuale che recita «Antinoo
riposa in questa tomba situata all'interno
del giardino, proprietà del principe in
Roma». E evidente che con il termine
“giardino” si sarebbe potuto indicare la
grande villa circondata da parchi situati
alle porte di Roma; sarebbe da scartare
l'ipotesi secondo la quale l'obelisco fu
portato a Roma dall'Oriente dal momento
che fu realizzato con blocchi sovrapposti e
iscritto con una grafia non originaria
dell'Egitto ma attestata nelle produzioni di
imitazione romana. L'apparato scultoreo
del complesso sarebbe completato da due
telamoni in granito rosso oggi conservati
presso i Musei Vaticani che, secondo la
documentazione in nostro possesso, si
trovavano a Tivoli ancora nei primi anni
del Cinquecento. Si è proposto che questi
fossero appoggiati sui plinti cementizi che
sporge dal centro del muro interno
dell'esedra semicircolare dell’Antinoeion.
Le sculture sono alte 3,46 m e sormontate
da un capitello a fiori di loto appoggiato
sulla testa. I giovani rappresentati
indossano le tipiche vesti regali egizie
come copricapo nemese il gonnellino
shendit, e portano il tipico ureo sulla
fronte. In tale posizione essi avrebbero
potuto enfatizzare l'ingresso al sacello
sepolcrale.
L'edicola rettangolare situata sul fondo
dell’esedra occidentale dell’Antinoeion era
probabilmente scandita da una serie di
colonnine tortili di cui è stata trovata
traccia.
Certo è che secondo quanto riferito da
Epifanio vescovo di Salamina, Antinoo
sarebbe stato sepolto in Egitto così che,
volendo sostenere la teoria sin qui
affacciata, ci troveremmo di fronte a un
cenotafio-santuario. Secondo Zaccaria
Mari non bisogna prestare troppa fede a
quanto narrato dal tardo agiografo cipriota
perché è probabile che il corpo del amasio
di Adriano sia stato recuperato e
mummificato secondo le tradizioni egizie,
trasportato in Italia per poi essere sepolto
nel luogo in cui egli amava villeggiare.
Per quanto concerne i due templi gemelli,
difficile è proporne l'attribuzione
originaria, anche se si è fatto il nome delle
coppie divine egizie di Iside/OsirideSerapide (ma potremmo pensare anche a
Thot e Anubis); purtroppo, allo stato
attuale non esistono indizi che permettano
di affinare ulteriormente le proposte
47
interpretative.
La datazione delle strutture si basa sulle
murature, realizzate con scaglie di tufo in
mattoni i cui bolli si datano tra i 133 e il
134.. Secondo alcuni studiosi, il progetto
dell'edificio sarebbe avvenuto con il
contributo di Apollodoro di Damasco, in
quella prima fase del regno in cui i
rapporti tra il principe e il grande
architetto di Traiano erano ancora distesi;
questo sulla base di una qual certa
somiglianza tra la planimetria
dell’Antinoeion e il complesso delle
biblioteche del foro di Traiano; in
entrambi i casi un elemento centrale
slanciato verso l'alto (nel foro la “colonna”,
a villa Adriana un obelisco) si configura
come il centro geometrico sul quale si
affacciano due edifici rettangolari (in un
caso le biblioteche, nell'altro i due
tempietti); un'identità curiosa ma
probabilmente occasionale, tanto più che
la tradizione pone la morte di Apollodoro
più o meno in coincidenza con quella di
Antinoo, cosa che creerebbe una
sovrapposizione cronologica abbastanza
bislacca (Apollodoro avrebbe dovuto
progettare il mausoleo di Antinoo da
morto o poche settimane prima di morire,
mentre il principe era ancora in viaggio in
48
Egitto). È poi stato proposto che
«architetture più complicate e barocche,
derivanti dalla conoscenza diretta del
panorama offerto dagli scenografici
complessi del Mediterraneo orientale
visitati da Adriano» abbiano ispirato la
seconda fase costruttiva di villa Adriana,
mentre gli edifici appartenenti alla prima
fase sarebbero stati «segnati da una
rigorosa logica classica». L'ipotesi che una
progressiva emancipazione dagli schemi
progettuali classici sia maturata con il
passare del tempo nella mente di Adriano
è quanto mai plausibile anche se la data
del 114 d.C., indicata come punto di
partenza per tale rielaborazione, sembra
precoce (almeno dal punto di vista delle
conseguenze pratiche), visto che in quella
data Adriano non era ancora imperatore.
Certo è che nel corso del II sec d.C.
divenne usuale fra i raffinati aristocratici
romani utilizzare le ville suburbane come
luogo di sperimentazione architettonica e
artistica, come testimoniato nel caso di
Marco Aurelio Frontone, il precettore di
Adriano, che «presiedeva un circolo di
intellettuali composto anche da architetti
che gli mostravano disegni di edifici»
(Aulo Gellio, Noctes Acticae).
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