La sfida del filosofo: “La fede ultima spiaggia della ragione”

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25 agosto
Il dialogo tra Giancarlo Cesana e il vescovo di Sidney, coordinatore della Giornata mondiale della gioventù 2008
“La verità è un tuffo al cuore”
Monsignor Fisher: “Ciò che ho incontrato al Meeting è un esempio per l’azione pastorale della Chiesa in Australia”
Il leader laico di Cl: “Se la verità è una proposta, chiede la libertà. Anche quella degli adulti chiamati a educare”
L’Australia irrompe al Meeting. E
che sia un appuntamento importante,
lo si vede dai particolari: il professor John Kinder (il primo ciellino
australiano), che presiede l’incontro
sul tema “La verità è una proposta”,
mostra uno sfavillante sorriso sopra
uno splendido papillon azzurro. È un
appuntamento importante per il livello dei relatori: mons. Anthony Fisher, vescovo ausiliare di Sidney e
coordinatore della Giornata Mondiale della Gioventù Sidney 2008, e
Giancarlo Cesana. Ma è un momento importante anche per gli amici del
Meeting che vivono in Australia,
qui presenti quest’anno ben in otto.
“Nel titolo ci sono anch’io, è presente ognuno di noi – esordisce Kinder – Ma se la verità è qualcosa di
assoluto, trascendentale, mi può interessare fino ad un certo punto. Se
invece la verità è una proposta, allora entra in gioco l’io, io devo rispondere in quanto nella proposta posso
toccare un barlume di verità che ha
afferrato l’altro”.
Mons. Fisher ha conosciuto il
Meeting da poco. È il più giovane
dei vescovi australiani. Racconta la
situazione della Chiesa in Australia,
in cui la cultura si sta secolarizzando
in maniera impressionante: di fronte
a questa sfida, la Chiesa ha deciso di
organizzare proprio a Sidney la
Giornata Mondiale della Gioventù
del 2008, come occasione di testimonianza e nuova evangelizzazione.
“La verità in quanto proposta invita
ad una risposta – afferma mons. Fisher – L’evangelizzazione è una risposta alla proposta che abbiamo fatto e la gratuità di questa proposta ci
consente di rispondere in modo creativo ad essa”.
“Se la verità è una proposta, signi-
fica che può essere riconosciuta dalla libertà. La verità chiede la libertà
– incalza Cesana, che poi aggiunge –
la verità si può rifiutare, ma non si
può scegliere. Che la verità implichi
la libertà è un dramma: è un impegno per chi è chiamato ad accoglierla e per chi la propone. La verità
coinvolge tutta la vita, è un’attrattiva
che si manifesta attraverso il coinvolgimento di tutta la persona. L’uomo riconosce la verità di sé attraverso l’esperienza di bellezza, di corrispondenza che essa suscita. È un’attrattiva totale”. Così il leader di Cl
giunge al cuore della moralità e della
questione educativa, quella che gli
sta più a cuore, soprattutto per quanto riguarda gli adulti: “Ciò che convince della verità è la presenza di coloro che sono disposti a morire per
essa, cioè a donare la vita. Per essere
giovani ci vogliono degli adulti. CL
è un movimento in cui ci sono i giovani perché è nato da un adulto che
era più giovane dei giovani”.
Così, “i giovani devono trovare aduti che dicono ‘segui quello che seguo io, così che tu possa giudicare se
è vero’. Questa è la possibilità che
Il salone D5
strapieno
di persone
durante
l’incontro
“La verità è
una proposta”.
Sotto,
monsignor
Anthony Colin
Fisher,
vescovo
ausiliare
di Sidney
gli adulti devono dare ai giovani”.
Picchia duro Cesana; parole che,
nella durezza, fanno crescere: “La
debolezza educativa degli adulti è
nel fatto che non si sentono richiamati loro da ciò a cui richiamano gli
altri; se un adulto non è fecondo non
serve. La verità deve essere un significato (cioè che mette in rapporto
con le cose) e soddisfacente (deve
dare ragione). È il problema che abbiamo nell’educazione dei nostri figli”. E ancora “La verità serve perché aiuta a vivere: siamo cristiani
perché seguendo Cristo la nostra vita
è migliorata”. Non c’è spazio per gli
sforzi moralistici: “Cosa può ridestare l’interesse per il vero? Un incontro – dice citando Giussani – un
tuffo al cuore, qualcosa che ti commuove”. E la verità si vede nei particolare della vita: “ Se Dio si è fatto
uomo, non c’è contenuto senza forma. La verità si vede nelle sfumature”. “Niente applausi – richiama di
fronte alle continue sottolineature
del pubblico, per non disperdere la
ricchezza di quanto è stato detto perché la ragione della verità per cui
siamo al mondo è la missione”.
Salvatore Ingrassia
Partire da
un’affermazione
concreta (come
“questo è un orologio”)
e, scoprire, attraverso
l’esperienza, che
in ogni conoscenza
è già compresa tutta
l’esigenza dell’uomo
“La verità è sempre relativa”. Evandro Agazzi inizia così, provocatoriamente, l’incontro “Quid est veritas?”, dialogo tra filosofi. “La verità
è sempre relativa... ma prima di mettermi alla gogna, permettete di spiegare questa affermazione: se consideriamo la verità come la proprietà
di un oggetto (‘questo orologio è vero’), non possiamo fare a meno di riferirla a qualcosa”. Così, spiega Agazzi, non si può giudicare la verità o
la falsità di una frase senza sapere a
cosa si riferisca.
Il dialogo, introdotto da Costantino
Esposito, ha visto Agazzi (docente di
Filosofia Teoretica all’Università degli Studi di Genova) rispondere alle
domande dei colleghi Giovanni Maddalena, Paolo Ponzio e Massimiliano
Savini.
“La verità – prosegue – è la proprietà di un discorso che, come tale,
ha bisogno di un ‘io’ per farlo e di una
realtà cui riferirsi”. Nell’arduo compito di spiegare cosa sia la verità, un
aiuto inaspettato proviene dall’errore:
“Senza la verità, innanzitutto, non esisterebbe la nozione di errore che,
però, è fondamentale. Infatti, non si
La sfida del filosofo: “La fede
ultima spiaggia della ragione”
Evandro Agazzi risponde alle domande dei colleghi sul tema “Quid
est veritas?”. Appoggiandosi alla nozione di errore, rivaluta il ruolo
dell’esperienza e riesce a spiegare che “la verità è sempre relativa”
può definire la verità con un discorso
astratto, bisogna tirarla fuori attraverso il suo opposto”. È più facile comprendere cosa sia attraverso l’esperienza (“questo è un orologio e non uno zampone di Parma”) che riflettendo sulla definizione che ne ha dato
san Tommaso.
Nel processo conoscitivo quotidiano riscontriamo sempre degli eventi
che stridono col sistema di pensiero
particolare e storico con cui guardiamo ogni cosa. Davanti a un dato che
non riusciamo a spiegare ci sono due
possibilità: eliminarlo o adeguare il
nostro sistema di pensiero. “Ma davanti a qualcosa che non posso in al-
cun modo spiegarmi, o concludo che
è inspiegabile, quindi irrazionale, e rinuncio alla ragione o riconosco che
c’è una ragione che io non riesco a
comprendere. Per questo la fede è
l’ultima spiaggia della ragione”. L’alternativa è vivere nell’irrazionalità.
Nulla di quanto detto finora, per
quanto vero, avrebbe valore se l’adesione a ciò che si conosce non fosse
libera: “Il soggetto che conosce è storico, determinato dalle circostanze
particolari in cui nasce e cresce. Ogni
conoscenza è libera perché nessuno
cerca senza interesse e perché l’assenso (‘è vero che questo è un orologio’)
non può essere imposto da nessuno”.
Solo la mia libertà può decidere a
cosa dare l’assenso, ma su quali basi?
“Nel percorso conoscitivo si hanno
delle opinioni, delle credenze e solo
dopo un lavoro si raggiungono delle
certezze. Noi siamo assolutamente
certi di una cosa quando è evidente,
cioè quando è presente alla conoscenza in modo tale che non lascia spazio
al dubbio”.
Sempre attaccato all’esperienza, Agazzi riconosce che di evidenze ne abbiamo poche e che “per lo più viviamo di certezze di fede, anzi, certezze
di fede pratiche”. Un esempio: “Io
non ho mai visto Sidney, ma credo
nella sua esistenza perché non ho ra-
gionevoli motivi per dubitarne”. Alla
malora il genio maligno di Cartesio,
per intenderci. Per fare a meno di
queste certezze bisogna rinunciare a
ciò che dà senso e valore alla nostra
vita. “Noi cerchiamo certezze assolute perché solo l’assoluto, cioè non ulteriormente rimandabile ad altro, può
tenere in piedi una vita. Badate che
non si parla per forza di Dio: qualcuno infatti lo identifica con la giustizia
sociale”.
L’ultima domanda che viene rivolta
ad Agazzi riguarda l’esistenza o meno
di criteri unici per riconoscere la verità. “Qualcuno esiste – risponde – ma
un margine di fede rimane sempre. Io
sono cristiano perché trovo una risposta alla mia vita. Dio lo incontri nell’esperienza e la filosofia aiuta a dimostrare quanto sia ragionevole ciò in
cui credi”.
Conclude Esposito: “Siamo partiti
da un’affermazione (‘questo è un orologio’) e approfondendo questa banale esperienza, siamo arrivati a scoprire
che in ogni conoscenza è già compresa tutta l’esigenza dell’uomo”. Poi dicono che la filosofia è astratta.
Leone Grotti