Gli impianti protesici nella chirurgia della mano: indicazioni e risultati preliminari. Dr Vinicio Perrone Specialista in Ortopedia e Traumatologia Oramai, da alcuni anni, è diventata una realtà l’impianto di artroprotesi anche nei piccoli segmenti ossei della mano. La diffusione di questa chirurgia è stata limitata dai problemi riscontrati nei primi impianti, dove era alta l’incidenza di mobilizzazione delle componenti, la rottura dell’impianto, le rigidità articolari (1). In presenza di gravi lesioni articolari in esito di fratture o di tipo degenerativo, come l’osteoartrosi (OA) e l’Artrite Reumatoide (AR), la soluzione un tempo prospettata al paziente era quella di sacrificare l’articolazione consigliando l’artrodesi, cioè le estremità ossee dell’articolazione venivano fuse, con la conseguente perdita del movimento. Da alcuni anni è stata messa a punto una nuova generazione di impianti protesici studiati per la mano, venendo incontro alle aspettative del paziente. Il gold standard di questi impianti protesici è rappresentato dalla risoluzione del dolore, dal recupero del movimento e dalla stabilità della articolazione artificiale. MODELLI PROTESICI I recenti modelli protesici riproducono l’anatomia dell’articolazione che si va a sostituire, le componenti che costituiscono la protesi non sono vincolate fra loro, preservano le strutture capsulolegamentose ed ossee (bon stock). Ne consegue, quindi, che l’impianto protesico presenta una maggiore durata nel tempo sia in termini di stabilità sia in termini di prestazioni funzionali (4, 5). Le protesi oggetto dello studio sono realizzate in pirocarbonio (Ascension). Trattasi di carbonio puro, trattato ad altissima temperatura: ne deriva un materiale biocompatibile con un modulo di elasticità vicino a que llo dell’osso corticale, altamente resistente all’usura. La forma del modello protesico è studiata per riprodurre al meglio l’articolazione da sostituire, riproducendo il suo fisiologico movimento. Vi è una ampia gamma di modelli protesici ognuno dei quali indicato per una specifica articolazione. Vi è un modello per l’articolazione interfalangea prossimale delle dita ed uno per l’articolazione rnetacarpo-falangea della mano, alloruqndo vi sono gli esiti di una frattura articolare malconsolidata. Altri modelli sono destinati all’articolazione trapezio- metacarpale allorquando affetta da rizoartrosi. 1 Il recupero è valido già a 40 giorni. La fisioterapia e la determinazione del paziente sono determinanti al pieno recupero articolare. CASI CLINCI Caso1-a: quadro radiografico preoperatorio: artrosi interfalangea prossimale. Caso1-b: aspetto clinico preoperatorio ed a 5 giorni dall’intervento. Caso1-c: quadro radiografico a 30 giorni. La linea di radiotrasparenza è dovuta al pirocarbone radiotrasparente. 2 Caso1-d: aspetto chirurgico: via laterale con ottima esposizione della falange prossimale ed intermedia del dito. Caso 2-a: frattura base P2 del 3° dito mano dx. Caso 2-b: impianto di protesi PIP. 3 Caso 2-c: aspetto intra-operatorio della componente protesica impiantata nella P1. Caso 2-d: aspetto clinico del 3° dito della mano destra a tre mesi dall’intervento. 4 Caso 3-a: frattura scomposta inveterata del colletto del 5°metacarpo mano dx. Caso 3-b: impianto di protesi CMP del 5° dito. Caso 4-a: rizoartrosi. Caso 4-b: impianto di protesi CMC. 5 Caso 5-a: rizoartrosi. Quadro radiografico post-operatorio: PyroDisc. 6