Nikolajewka 26 gennaio 1943

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La ritirata di Russia dell’A.R.M.I.R.
Nikolajewka
26 gennaio 1943
A.N.A. Gruppo di Sovizzo
Stampato in proprio, gennaio 2001
Ristampa Aprile 2009
http://www.webalice.it/gptecc
Raccolta a cura di Gian Paolo Tecchio
LA MOTIVAZIONE DELLA MEDAGLIA D'ORO AL VALOR MILITARE
ASSEGNATA ALLA BANDIERA DEL 5° REGGIMENTO ALPINI.
"In sette mesi di durissima campagna sul fronte russo, si dimostrava granitica e
potente unità di guerra, saldissimo fascio di indomite energie, di ferree volontà e di
leggendario ardimento. Durante una difficile manovra di ripiegamento dal fronte
del Don sempre vittoriosamente tenuto, i suoi battaglioni "Tirano",
"Morbegno","Edolo", malgrado le eccezionali avverse condizioni di clima e di elementi, le asperrime estenuanti marce lungo sterminate distese di neve, la mancanza
assoluta di ogni rifornimento, davano continue fulgidissime prove delle loro fiere
qualità guerriere. Operando con rara abilità in territorio insidiosissimo, superando
ogni umana possibilità di resistenza fisica e morale, a Scororyb, a Schelijakino, a
Warwarowka, a Nikitowka, a Nikolajewka ed in altri numerosi durissimi combattimenti, stroncavano sempre nuove soverchianti forze nemiche appoggiate da potenti
mezzi corazzati e con furore leonino rompevano il cerchio di ferro e di fuoco in cui
l'avversario, rabbiosamente deciso ad annientarli, si illudeva di averli ormai chiusi.
Col loro intrepido valore e con la loro travolgente irruenza, in nobile gara di abnegazione, di arditezza e di irresistibile slancio con i battaglioni del reggimento gemello, travolgevano il nemico, ne contenevano e ne arginavano l'irruente avanzata,
creando la indispensabile premessa alla ripresa ed aprivano la via della salvezza a
numerose unità. Primi nell'offerta, nella sofferenza e nel sacrificio, i tre ferrei battaglioni, sempre fedeli alla loro antica tradizione, hanno superato con più che leggendario valore il loro eroico passato di guerra.
Fronte russo Agosto 1942 - Febbraio 1943
BIBLIOGRAFIA
G. Messe, LA GUERRA AL FRONTE RUSSO. IL CORPO DI SPEDIZIONE
ITALIANO (C.S.I.R.), Rizzoli, Milano, 1947.
La testimonianza del colonnello Alessandro Bettoni Cazzago in una lettera inviata
alla famiglia il 30 agosto 1942, in: "STORIA ILLUSTRATA", marzo 1958.
L. Ceva, LE FORZE ARMATE, Utet, Torino, 1981.
E. Corti, I PIU' NON RITORNANO, Garzanti, Milano, 1973.
G. Tolloy, CON L'ARMATA ITALIANA IN RUSSIA, Mursia, Milano, 1968.
E. Corradi, LA RITIRATA DI RUSSIA, Longanesi, Milano, 1965.
N. Revelli, LA STRADA DEL DAVAI.
G. Bedeschi, NIKOLAJEWKA C'ERO ANCH'IO, Mursia, Milano.
G, Fuseo, LA LUNGA MARCIA, Longanesi, Milano, 1961.
L. Simoni, BERLlNO. AMBASCIATA D'ITALIA 1939-1943, Migliaresi, Roma.
G. Tedeschi, CENTOMILA GAVETTE DI GHIACCIO, Mursia, Milano, 1972.
REPORTAGE DI GUERRA Hobby and Work Italiana Srl editrice, Cinisello B.
Questa breve raccolta di cenni storici, dati e testimonianze sulla presenza degli
Italiani sul fronte russo, trova la sua giusta collocazione in occasione dell'Anniversario della Battaglia di Nikolajewka che ogni anno viene tradizionalmente
celebrato dagli Alpini alla fine di gennaio.
E' quasi un invito, sopratutto verso i più giovani, a capire la tragedia che è diventata simbolo di tutto il corpo degli Alpini e che si traduce nella solidarietà che è
oggi la più alta espressione dell'animo alpino.
Tutti i nostri Alpini in Russia, ma anche i Fanti con loro o che li hanno preceduti
nel C.S.I.R., hanno subito innumerevoli privazioni, soprattutto morali, e il senso
dell'abbandono da parte della loro patria.
Hanno combattuto numerose e cruente battaglie con armamenti gravemente insufficienti e, senza alcun rifornimento, hanno combattuto soprattutto la fame e il
gelo.
Hanno mantenuto la stessa umanità della gente di montagna, dei contadini dell'Emilia o della Basilicata, oppure del bracciante delle solfatare Siciliane, con la
sfortunata popolazione russa con cui hanno avuto contatti.
Erano ragazzi ventenni nel fiore della loro vita che partirono per il fronte russo
obbedendo ma con un solo pensiero, nettamente in contrasto con il credo di quel
periodo, cioè quello di "ritornare a casa".
Pochi…, troppo pochi sono tornati…
Il pensiero e la gratitudine di ognuno di noi va quindi a tutti quei ragazzi; a quelli che fortunatamente allora sono tornati, a chi prigioniero è riuscito a tornare
dopo anni, a chi è stato trattenuto per scopi politici in un paese straniero (e sembrano essere moltissimi), a chi è tornato in una piccola cassetta con sopra il tricolore solo recentemente, ma soprattutto a chi non tornerà più ed è rimasto sotto un manto di neve a Nikolajewka.
NON LI ABBIAMO DIMENTICATI!
Essi sono "andati avanti", come è caro dire agli Alpini, ma ci parlano ogni volta
che noi uomini liberi critichiamo il nostro Paese, ogni volta che ci vergognamo di
essere Italiani, ogni volta che ci riempiamo la bocca di " libertà " e dimentichiamo che loro sono morti per essa.
A tutti quelli che sono andati avanti,
quelli che sono rimasti
sotto la neve di Nikolajewka.
GLI ITALIANI IN RUSSIA
La tragedia dell’A.R.M.I.R.
Nel giugno del 1941, con 3 milioni di uomini (tra Tedeschi e alleati), Hitler attaccava la Russia con l’operazione “Barbarossa”, lo sterminato Paese governato
con il pugno di ferro dal dittatore comunista Yosif Visarionovic Dzugasvili più
noto col nome di "Stalin".
La Germania aveva stipulato il 23 agosto 1939 il Patto di non belligeranza con
l’U.R.S.S., autentico voltafaccia alla storia detto “Patto del diavolo”, con il quale
la Hitler si garantiva la necessaria libertà d’azione sul fronte occidentale e si
divideva la Polonia coi russi. Violando tale ambiguo patto il Führer firmava anche la sua condanna a morte che si concretizzava, al termine della controffensiva
portata dai russi all'indomani della battaglia di Staligrado, con il loro arrivo sino
a Berlino.
L'attacco nelle prime settimane fu travolgente e, nelle successive, Hitler spinse in
profondità le divisioni corazzate tedesche che, in enormi manovre a tenaglia, isolavano le truppe russe catturando centinaia di migliaia di prigionieri.
Galeazzo Ciano, il Ministro degli Esteri italiano, era avvertito del1'attacco solo
poche ore prima.
Il Capo del Governo Benito Mussolini, poco dopo, si affrettava a dichiarare guerra alla Russia chiedendo a Hitler di poter mandare le truppe italiane sul fronte
russo.
Hitler, contrario alla proposta, suggeriva correttamente al "Duce", in una lettera,
di aumentare invece 1'impegno nella guerra in Mediterraneo e nell'Africa settentrionale.
Mussolini però fu irremovibile e ordinò la costituzione immediata di un corpo di
spedizione (C.S.I.R) e succeduto poi nell'estate del 1942 all'8° Corpo d'Armata
(A.R.M.I.R.). Hitler fu costretto infine ad accettare, persino ringraziando:
"Accetto con gratitudine la vostra offerta generosa...".
IL C.S.I.R.
L'intervento dell'Italia all'invasione della Russia fu deciso da Mussolini in fretta e,
in sole tre settimane, venne costituito il C.S.I.R. (Corpo di Spedizione Italiano in
Russia).
Il Corpo di Spedizione Italiano in Russia (62.000 uomini al comando del generale
Francesco Zingales era composto da:
la Divisione autotrasportabile Pasubio (comandata dal generale Vittorio
Giovannelli), comprendente:
il 79° Reggimento Fanteria,
l'80° Reggimento Fanteria,
l'8° Reggimento Artiglieria Motorizzato, più Genio e Servizi,
(19 ufficiali e 242 sottufficiali e soldati) e 572 feriti e congelati (30 ufficiali e 542
sottufficiali e soldati). Dal 20 agosto al 1° settembre del
1942 ("Prima battaglia difensiva del Don") l'A.R.M.I.R. ebbe 2.704 caduti e dispersi (139 ufficiali e 2.565 sottufficiali e soldati) e 4.212 feriti e congelati (207
ufficiali e 4.005 sottufficiali e soldati).
Dal 30 luglio al 13 agosto del 1942 (durante le operazioni nell'ansa di Serafimovic) la Divisione Celere ebbe 251 caduti e dispersi (11 ufficiali e 240 sottufficiali
e soldati) e 950 feriti e congelati (42 ufficiali e 908 sottufficiali e soldati).
Dal 5 agosto 1941 al 30luglio 1942, il C.S.I.R. ebbe 1.792 caduti e dispersi (97
ufficiali e 1.695 sottufficiali e soldati) e 7.858 sottufficiali e soldati (348 ufficiali e
7.510 sottufficiali e soldati).
UN AMARO RITORNO PER I REDUCI
Il ritorno del generale Italo Gariboldi, il Comandante dell'A.R.M.I.R., fu amaro. Il
generale, ad un diplomatico che lo vide mentre era in viaggio per l'Italia, apparve:
"Curvo, triste, stanco". Il diplomatico aggiunse addirittura che: "Faceva pena".
Gli altri reduci della Russia, spossati, feriti, congelati, furono rimpatriati nella
primavera del 1943.
Viaggiarono, come all'andata, in ferrovia: su lunghi treni che, rientrati in Italia,
vennero chiusi per impedire che la gente vedesse dentro.
Così ricordò poi il viaggio di ritorno Giulio Bedeschi:
"Alle stazioni è vietato affacciarsi! ", ingiungevano voci imperiose. "Chiudere i
vetri dei finestrini!".
"Che roba è questa?", si cominciò a gridare dall'interno dei vagoni.
"Non siamo bestie".
"Aprite! Aprite!", urlavano ormai gli Alpini riabbassando i vetri e scotendo invano le maniglie.
"Siamo in Italia!". "Siamo gli Alpini!". "Siamo gli Alpini!", gridavano. Sulla pensilina, dinanzi al vagone della Ventisei, stava immobile un ferroviere, con le mani
nelle tasche dei pantaloni.
"La popolazione non vi deve vedere: è l'ordine", spiegò seccamente al più vicino
grappolo d'uomini che si affannavano sbrecciandosi dal finestrino.
"Non abbiamo la peste, noi! Siamo gli Alpini che tornano dalla Russia, cavalo
vestio da omo!", gli gridò esasperato Scudrera, mentre il treno si muoveva.
"Che Alpini o non Alpini! Ma vi vedete?", urlò allora ai rinchiusi il ferroviere.
"Vi accorgete si o no, Cristo, che fate schifo?".
ni come noi ma più coraggiosi, che si erano avventati contro le difese nemiche al
seguito del generale Reverberi il quale, sulla torretta dell'ultimo carro armato tedesco ancora efficiente, urlava: "Avanti Tridentina. Avanti. Di là c' è l'Italia! ".
E la massa si mosse, dapprima lentamente e poi sempre più veloce... "Avanti,
avanti.. .", si udiva gridare da più parti. "Forza ragazzi… avanti Alpini…", e gli
uomini intorpiditi, stanchi, affamati, congelati, feriti, si buttarono, nel gelo del
tramonto, contro le mitragliatrici russe... Ed... entrammo a Nikolajewka, dopo
avere perso ancora tanti dei nostri Alpini...".
IL GENERALE REVERBERI COMANDANTE DELLA TRIDENTINA
Il generale Luigi Reverberi, eroico protagonista a Nikolajewka, dove venne ucciso, tra gli altri, il generale Giulio Martinat, Capo di Stato Maggiore del Corpo
d'Armata Alpino, nacque a Cavriago, in provincia di Reggio Emilia, nel 1892.
Prese parte alla guerra di Libia e alla prima guerra mondiale, combattendo negli
Alpini, nella quale venne più volte decorato.
Nel 1939 divenne generale di Brigata e nel 1941 fu mandato in Albania a comandare il XXVI Corpo d'Armata.
L'anno seguente fu mandato in Russia a comandare la Divisione Tridentina dell'A.R.M.I.R.
Per l'eroico comportamento tenuto a Nikolajewka ebbe la medaglia d'oro al Valor
Militare.
Morì a Milano nel 1954.
LE PERDITE DELL'A.R.M.I.R.
La battaglia di Nikolajewka permise ai resti del Corpo d'Armata Alpino, con i
pochi superstiti d'altre unità italiane, tedesche, ungheresi e romene, di raggiungere
la salvezza.
Il 31 gennaio i primi uomini raggiunsero Scebekino, sulla nuova linea del fronte
presidiata dai Tedeschi e gli altri continuarono ad arrivare, di giorno e di notte,
sino al 3 febbraio.
I feriti e i congelati più gravi vennero trasportati nell'ospedale militare italiano di
Karkov. I meno gravi vennero curati sul posto.
Le perdite subite dagli Italiani dell'A.R.M.I.R., 229.005 uomini, dall'11 dicembre
del 1942 al 20 febbraio del 1943, durante la "Seconda battaglia difensiva del
Don", furono molto pesanti.
Secondo le fonti ufficiali italiane, Stato Maggiore dell'Esercito - Ufficio Storico, i
caduti e i dispersi furono 84.830 (3.010 ufficiali e 81.820 sottufficiali e soldati), i
feriti e i congelati furono 29.690 (1.290 ufficiali e 28.400 sottufficiali e soldati)!
Degli 84.830 caduti e dispersi, 10.030 dispersi, che erano stati fatti prigionieri,
ritornarono in Italia negli anni dopo la guerra.
Durante la "Seconda battaglia difensiva del Don" l'A.R.M.I.R. perse il 76% dell'armamento, il 97% delle artiglierie, il 70% degli automezzi.
Le fonti ufficiali italiane forniscono anche i dati delle perdite subite dagli Italiani
nei mesi precedenti.
Dal 2 settembre al 10 dicembre del 1942 1'A.R.M.I.R. ebbe 261 caduti e dispersi
la Divisione Autotrasportabile Torino (comandata dal generale Luigi Manzi), comprendente:
l'81° Reggimento Fanteria,
1'82° Reggimento Fanteria,
il 52° Reggimento Artiglieria Motorizzato, più Genio e Servizi,
la Divisione Celere "Principe Amedeo Duca d'Aosta" (comandata dal generale Mario Marazzani), comprendente:
il 3° Reggimento Bersaglieri,
il Reggimento "Savoia Cavalleria",
il Reggimento "Lancieri di Novara",
il 3° Reggimento Artiglieria a Cavallo, più Genio e Servizi,
la Legione Camicie Nere "Tagliamento" (comandata dal console Nicolò
Nicchiarelli),
il 30° Raggruppamento Artiglieria di Corpo d'Armata (comandato dal
colonnello Lorenzo Matiotti).
Capo di Stato Maggiore del C.S.I.R. era il colonnello Guido Piacenza, della Divisione Pasubio il tenente colonnello Umberto Ricca, della Divisione Torino il tenente colonnello Umberto Scalcino e della Divisione Duca d'Aosta (detta comunemente Celere) il tenente colonnello Dandolo Battaglini.
L'artiglieria del C.S.I.R. era composta da 220 pezzi, divisi in 47 batterie, di 60
carri armati leggeri e di 83 aerei (51 caccia, 22 ricognitori, 10 da trasporto), sotto
il comando del colonnello Carlo Drago e disponeva per il trasporto di 5.500 autocarri, sufficienti soltanto per trasportare una divisione alla volta.
VERSO LA RUSSIA
Il 10 luglio i primi treni trasportavano il C.S.I.R. verso la Russia attraverso Bolzano, Vienna e Budapest, il trasporto impiegò 216 convogli sino al 5 agosto.
In Ungheria si attestarono nella zona di Marmaros Sziget-Felsoviso-Borsa, e proseguirono su autocarri (prima una divisione, poi, ritornati indietro gli autocarri,
un'altra, per tre volte di seguito!) verso la Romania, attraverso il Passo di Prislop
sulla Catena dei Carpazi.
In Romania si radunarono nelle zone di Botosani (il Comando) e di Gura Hormolui-Falticeni-Suceava (le divisioni). Durante il viaggio, il 13 luglio, il generale
Zingales si ammalò, venne ricoverato in ospedale a Vienna e fu sostituito dal generale Giovanni Messe, che giunse a1 comando in Ungheria il 17 luglio.
Messe ebbe 1'ordine di portare il C.S.I.R. al più presto dalla Romania alla Russia
e di radunarlo nella zona di Jampol, sulla sponda sinistra del Dniester, aggregato
all'11a Armata tedesca che stava avanzando verso il fiume Bug.
L'11a Armata tedesca (schierata tra la 17a Armata tedesca, a Nord, e la 4a Armata
romena, a Sud) comprendeva da Settentrione a Meridione queste unità:
il Corpo Ungherese,
la 3a Armata Romena,
l'XI Corpo d'Armata Tedesco,
il XXX Corpo d'Armata Tedesco,
il IV Corpo d'Armata Romeno
il LIV Corpo d'Armata Tedesco.
L'ordine di radunare il C.S.I.R. nella zona di Jampol, sulla sponda sinistra del
Dniester, non poté essere eseguito al più presto per la mancanza degli autocarri
necessari e, per questa ragione, ai primi di agosto solo la Divisione Pasubio, poté
radunarsi nella zona prevista.
Scrisse poi il generale Messe nelle sue memorie: "Quando giunsi in Russia e assunsi il comando del C.S.I.R., mi resi subito conto dell'assoluta insufficienza dello
strumento affidatomi. Il mio desiderio (che corrispondeva poi alle direttive del
Comando Supremo italiano) di impiegare il C.S.I.R. in modo unitario, lo svantaggio di una sfavorevole situazione iniziale creata dall'enorme distanza delle teste di
sbarco ferroviarie rispetto alla zona raggiunta dalla 1a Armata tedesca, con la quale si doveva operare, già padrona della linea del Dniester e in rapida marcia verso
il Bug, mi posero subito di fronte a un complesso di problemi gravissimi...
Fin dall'inizio i tedeschi mostrarono un'accentuata incomprensione delle reali possibilità del nostro Corpo di Spedizione... Essi... non volevano assolutamente convincersi che per noi la qualifica di "autotrasportabile" voleva soltanto significare
che la fanteria era "addestrata all'autotrasporto"... una delle tante genialissime
trovate del tragico bluff della nostra potenza militare!"
IL GENERALE MESSE COMANDANTE DEL C.S.I.R.
Giovanni Messe nacque a Mesagne, in provincia di Brindisi, il 10 dicembre del
1883.
Si arruolò volontario in fanteria, a diciotto anni, e venne mandato in Cina. Entrò
nel 1908 nell'Accademia militare di Modena, da cui uscì nel 1910 con il grado di
sottotenente di fanteria. Prese parte alla guerra di Libia e alla Grande guerra, guidando valorosamente, nel 1918, un reparto di assaltatori sul Monte Grappa.
Fu nominato, nel 1923, aiutante di campo del re Vittorio Emanuele III. Quattro
anni dopo divenne colonnello e, nel 1935, generale di brigata.
Inviato nell'Africa Orientale Italiana, prese poi parte, come vice comandante del
Corpo di Spedizione, all'occupazione dell'Albania nel 1939.
Comandò degnamente il C.S.I.R. dal luglio del 1941 al luglio del 1942 e poi il
XXXV Corpo d'armata C.S.I.R. sino al 31 ottobre del 1942 quando fu rimosso,
ufficialmente per motivi tattici militari, in realtà per i noti contrasti con Mussolini.
Nel febbraio del 1943 assunse il comando della 1a Armata italiana in nord-africa,
impegnata contro gli Inglesi sul fronte Tunisino. Alla fine delle operazioni nell'Africa settentrionale venne nominato maresciallo. Si distinse sino alla resa, nel
maggio dello stesso anno. Catturato dagli Inglesi, rientrò in Italia nel novembre
del 1943 per assumere 1'incarico di Capo di Stato Maggiore delle Forze armate
del Governo Badoglio. Incarico che mantenne poi sino alla fine della guerra.
Morì a Roma il 18 dicembre del 1968.
L'ATTACCO DELL'EDOLO
L'Edolo si schierò, con la bandiera di combattimento in testa.
Poi, con l' appoggio di tutti i cannoni disponibili, l'ultimo battaglione del Corpo
d'Armata Alpino attaccò.
Gli Alpini cominciarono a salire l'altura, sotto un fuoco di sbarramento violentissimo e come i compagni che li avevano preceduti, anch'essi avanzarono e riuscirono a raggiungere le prime case del paese.
Poi i Russi contrattaccarono. Ancora decine, ancora centinaia di feroci corpo a
corpo: senza quartiere, senza pietà.
L'Edolo non si ritirò, ma purtroppo non riuscì più ad avanzare. L'angoscia si dipinse sui volti provatissimi della massa degli sbandati che, pieni di speranza, stavano osservando la battaglia.
Per un momento tutto sembrò perduto. Poi, improvvisamente, accadde una cosa
straordinaria.
Il generale Reverberi che, come tutti, aveva seguito il generoso tentativo dell'Edolo di cacciare i Russi dal paese, visto l'insuccesso salì su un semovente tedesco e,
gridò a squarciagola: "Tridentina avanti". Tentò l'arma estrema, l'arma della disperazione: cercò di lanciare la massa degli sbandati contro i Russi.
Il grido del comandante della Tridentina si propagò in un attimo. La massa enorme, la massa spaventosa degli sbandati, con i muli, i cavalli, le slitte, si lanciò
rumoreggiando in avanti, salì l'altura, raggiunse gli Alpini dell'Edolo che stavano
ancora combattendo, investì i Russi come un gigantesco fiume in piena... e li travolse.
LE TESTIMONIANZE
Il caporal maggiore Pietro Ongaro della Compagnia Comando del 5° Reggimento
ricordò poi:
"L'Edolo è andato avanti, è già impegnato nell'attacco alla città. II Comando della
Tridentina è con noi, c'è del nervosismo, un via vai d'ufficiali. L'Edolo non riesce
a passare, c'è uno sbarramento infernale da parte dei russi...
Dietro affluiscono monconi di reparti, arrivano sbandati. Alcuni pezzi d'artiglieria
nostri hanno preso posizione e sparano sulla città da cui partono boati di mortaio
contro l'Edolo.
Arriva una Cicogna tedesca, atterra lì vicino, il pilota parla con il generale Reverberi: superata Nikolajewka non ci sono più colonne russe.
Il momento è drammatico, tutti intuiscono la gravità della situazione: o si supera
Nikolajewka o è la fine per tutti... la Siberia invece che l'Italia!".
La testimonianza del tenente Arturo Vita del Battaglione Tirano:
"...venne improvviso un urlo a rompere quell'atmosfera, un urlo lanciato da uomi-
Erano uomini provati, sfiniti, affamati, feriti, congelati e disperati perché la strada
verso Occidente, verso la salvezza, era sbarrata dai Russi.
Fu deciso un nuovo attacco. Questa volta sarebbe toccato al 5° Reggimento, ma il
5° aveva perso il Battaglione Morbegno, a Varvarovka, e il Battaglione Tirano ad
Arnautovo.
A1 5° restava soltanto il Battaglione Edolo: troppo poco, anche se l'Edolo, grazie
al sacrificio del Morbegno e del Tirano, aveva mantenuto nella ritirata una compattezza ammirevole.
Il Battaglione Edolo era formato da Alpini giovani e giovanissimi provenienti
dalle valli bresciane e da quelle a esse contigue. Erano soldati umili ma saldissimi
grazie ad uno spirito di corpo molto vivo e al forte senso di solidarietà delle genti
di montagna.
II sole stava tramontando. La temperatura si abbassava. Il momento era decisivo e
se l'attacco fosse fallito, per tutti sarebbe stata la prigionia e per chissà quanti la
morte!
GLI SBANDATI
L'Edolo si stava preparando ad attaccare e nel frattempo la massa degli sbandati si
ingrandiva sempre di più.
Le condizioni fisiche in cui quelle decine di migliaia di disperati si trovarono davanti a Nikolajewka possono essere immaginate rileggendo la testimonianza di
Giancarlo Fusco sulla loro marcia dei giorni precedenti:
"La marcia, attraverso il setaccio sempre più sottile dei sovietici, era appesantita
da slitte, slittine, carretti, portantine, da traini ridotti ad una semplice tavola, trascinata sulla neve con una corda...
In mezzo agli uomini, fra le garze gelide della tormenta, vecchi ronzini pescati
chissà dove, muli scheletriti, buoi spigolosi rubati ai mugiki, procedevano a testa
bassa, stremati dalla fame e dalla stanchezza. Crollavano di schianto sulla neve...
Su di essi piombavano subito gli uomini a contendersi, in una babele di lingue e di
dialetti, le parti più tenere, soprattutto la lingua, che ci metteva meno ad arrostire
su fiammate brevi e violente, accese lì per lì, ai margini della strada.
Tutti i giorni, specialmente sull'imbrunire, molti soldati impazzivano... Quei fantasmi covavano in silenzio la loro follia, assieme alle torture della fame e del freddo. Gli occhi, un po' alla volta, si smorzavano, diventavano torbidi e fissi, perdevano quell'espressione d'ansietà, di paura, che è ancora un segno d'attaccamento
alla vita. Le gambe, legnose, marciavano meccanicamente. Poi, all'improvviso, la
molla si spezzava. II tarlo divoratore, annidato nel cervello, aveva compiuto scrupolosamente il suo lavoro. Alcuni, con un ruggito, si avventavano sui compagni.
Altri, senza una parola, abbandonavano la colonna, curvi, fissando attentamente la
neve, come se cercassero un oggetto smarrito. Si fermavano un istante, davano
ancora un'occhiata all'interminabile processione, poi si afflosciavano sul margine
della strada. Parevano disossati. Restavano lì, in una strana posizione, né seduti né
sdraiati, né sul fianco né sulla schiena, muti, vuoti, rassegnati alla terribile morte
bianca".
LA ZONA DELLE OPERAZIONI
Dopo aver raggiunto la zona di Jampol, sulla sponda sinistra del Dniester, la Pasubio ricevette 1'ordine di avanzare verso il Bug, ormai raggiunto dalla 1a Armata
tedesca, spingendosi sino a Nord di Voznessensk. Da lì avrebbe dovuto proseguire
verso Sud, lungo il corso del Bug, fino a Nikolaiev, e contribuire all'accerchiamento delle unità russe rimaste tra il Dniester e il Bug ("Battaglia dei due fiumi").
Così gli autocarri che sarebbero dovuto ritornare indietro a prendere le divisioni
Torino e Celere restarono alla Pasubio e le due sfortunate divisioni dovettero raggiungere la Russia a piedi.
Il 10 agosto la Pasubio raggiunse Voznessensk e, nei giorni seguenti, combatté a
Pokrovskoje e a Jasnaja Poljana, contribuendo efficacemente all'accerchiamento
delle unità russe rimaste tra il Dniester e il Bug. Dopo la "Battaglia dei due fiumi"
il C.S.I.R. passò alle dipendenze del Gruppo corazzato Von Kleist e partecipò alle
operazioni tra il Bug e il Dnieper, distinguendosi, tra il 28 e il 30 settembre, nella
manovra di Petrikowka. Nel mese d'ottobre il C.S.I.R. partecipò alle operazioni
per la conquista del bacino industriale del Donez. Operazioni che furono compiute
vittoriosamente e, nella prima fase, il C.S.I.R. si spinse dal Dnieper al fiume
Voltsctj e conquistò Sen la testa di ponte di Pavlograd.
IL COMBATTIMENTO COI RUSSI
Di come combattevano i Russi, nell'ottobre del 1941, ricordava ancora il generale
Messe nelle sue memorie: "La resistenza attiva si associava generalmente alle
difese passive delle distruzioni e dei campi minati, che 1'avversario sapeva usare
con grande abbondanza e avvedutezza, lungo le principali vie di comunicazione e
in corrispondenza dei passaggi dei corsi d'acqua. Ad ogni passo ci si imbatteva in
mine d'ogni genere, dalle più rudimentali alle più complicate, ma tutte di sicuro
funzionamento, che rappresentavano un'insidia costante e causavano non poche
perdite.
Quanto alle distruzioni, i russi sapevano praticarle con grande abilità e spregiudicatezza, in conformità ad un preciso programma di larghe proporzioni, nell'ambito
di un'organizzazione efficiente e modernamente attrezzata.
Tutti i ponti di legno, in muratura, in ferro erano fatti crollare; tutte le ferrovie
interrotte, anche con 1'impiego di speciali macchine che realizzavano il guasto
con rapidità e potenza inaudite, rendendo inutilizzabili tutti i materiali strappati...
Fedeli alleate delle retroguardie russe si mostrarono infine le condizioni meteorologiche. Fin dal 7 ottobre si era verificata la prima bufera di neve, alla quale ben
presto altre numerose seguirono, frammiste a precipitazioni temporalesche che
allagarono totalmente il suolo e ridussero le piste in canali pantanosi. Costrette a
rinunciare in gran parte ai loro automezzi, le truppe dovettero affrontare a piedi
tappe di 30 chilometri e di oltre 50 la cavalleria, intrise di pioggia e neve, affondando nel terreno molle e viscido, sferzate dal vento...".
SI CONSOLIDANO LE POSIZIONI E ARRIVANO RINFORZI
A conclusione delle operazioni che portarono alla conquista del bacino industriale
del Donez, il C.S.I.R. si impegnò nel consolidamento delle posizioni raggiunte,
sostenendo il combattimento d'Ubescicce e passando all'attacco nella zona di Chazepetovka.
Poi, durante la grande controffensiva russa, fu impegnato nella "Battaglia di Natale", riuscendo a respingere il nemico, il 24 dicembre, e passando ancora all'attacco.
Il C.S.I.R. dovette ancora, al termine della "Battaglia di Natale", combattere a
Voroscilova per far fronte all'offensiva russa d'Izjum e infine, nel maggio del 1942, ricevette come unità di rinforzo:
il 6° Reggimento Bersaglieri
il 120° Reggimento Artiglieria Motorizzato
il Battaglione Alpini Sciatori Monte Cervino.
Prese parte, in seguito, alla controffensiva tedesca d'Izjum, passando il 3 giugno
alle dipendenze della 17a Armata tedesca. Il 9 luglio passò sotto il Comando dell'8a Armata italiana, che si stava radunando nelle retrovie e assunse la denominazione di XXXV Corpo d'armata (esattamente di XXXV Corpo d'armata C.S.I.R.).
Secondo le fonti ufficiali italiane, il C.S.I.R. ebbe, tra il 5 agosto del 1941 e il 30
luglio del 1942, 1.792 caduti o dispersi (97 ufficiali, 1.695 sottufficiali e soldati) e
7.858 feriti o congelati (348 ufficiali, 7.510 sottufficiali e soldati).
Il generale Messe ricordò , nelle sue memorie, che gli uomini del C.S.I.R. furono:
"Soldati italiani impegnati in una prova fra le più ardue che la storia ricordi, anche
per condizioni di clima e d'ambiente, a migliaia e migliaia di chilometri dalla loro
terra, obbedienti alla voce del dovere e della disciplina, scevri d'odio e di cupidigia, ma pronti ad immolarsi per 1'onore militare, per la gloria della propria bandiera, per la loro dignità di uomini e d'Italiani".
E ancora: "I mezzi a loro disposizione erano infinitamente impari alla bisogna,
scarsi ed antiquati, inferiori a quelli dell'avversario, inferiori a quelli dell'alleato;
ma quei soldati seppero attingere nel loro intimo la forza per tenere onorevolmente il proprio posto accanto all'alleato come di fronte al1'avversario".
L'8^ ARMATA ITALIANA (A.R.M.I.R.)
L'8a Armata italiana (o A.R.M.I.R., Armata Italiana in Russia) venne costituita da
Mussolini contro il parere del generale Messe che, in base al1'esperienza del
C.S.I.R., aveva consigliato più volte di ritirare gli Italiani dal fronte russo. Messe,
durante l'incontro avuto a Roma con il "Duce" il 2 giugno, era fortemente convinto che un'armata di oltre 200.000 uomini si sarebbe trovata fuori luogo in Russia e
che le grandi difficoltà che il C.S.I.R. aveva dovuto affrontare con i suoi 60.000
uomini si sarebbero moltiplicate all'infinito.
Lo scarso e antiquato armamento, la mancanza assoluta di mezzi corazzati, la
grande insufficienza degli automezzi, i gravi problemi dei trasporti e dei rifornimenti, resi più difficili dall'incomprensione e dall'irriducibile egoismo dei Tedeschi, avrebbero creato problemi insormontabili.
Mussolini, però, si era dimostrato irremovibile perché era convinto che: "Al tavo-
"... il tenente Slataper …ci spiega come, oltre all'attacco dei russi contro il paese,
su ad Arnautowo la 33a Batteria del Gruppo Bergamo già da mezzanotte sia costretta a sparare sul nemico che ormai è sotto.
Bisogna andare là.
Ci avviamo sotto un grandinare di colpi di mortaio, attraversiamo un ponticello ed
iniziamo la salita... Giunti in vicinanza delle prime slitte del1'artiglieria, siamo
presi d'infilata dagli anticarro russi. E un macello...
Avanziamo per gli ultimi metri, raggiungiamo le slitte che sono affiancate lungo
la pista e ci appiattiamo dietro di esse. Il combattimento è in pieno svolgimento.
La potenza del fuoco del nemico è impressionante...
"Plotone collegamenti avanti con me". È Slataper che, mitragliatore in spalla,
chiama a raccolta i suoi Alpini.
Io e Piero, con le cassettine delle munizioni, seguiamo lui e Soncelli che, scavalcate le slitte, hanno cominciato ad avanzare.
Strisciando sulla neve scendiamo giù nella balka sotto un grandinare di pallottole
e rispondiamo al fuoco. Passiamo alternativamente i caricatori ai nostri tenenti...
Cerchiamo di avanzare. Slataper spara due o tre raffiche e poi, colpito, si accascia
nella neve. Dopo un solo attimo, con feroce volontà, si rialza addirittura in piedi:
"Viva L'Italia, viva il 5° Alpini", urla sparando l'intero caricatore. Una seconda
raffica lo abbatte per sempre... poco più in là di Slataper, vedo Soncelli, anche lui
immobile nella neve, e vedo ancora decine e decine di Alpini caduti".
NIKOLAJEWKA, UNICA VIA DI FUGA, E' OCCUPATA DAI RUSSI.
Dopo aver raggiunto Nikolajewka, e averla trovata occupata dai Russi, la colonna
della Tridentina fece una breve sosta.
Tutti compresero che, per proseguire, bisognava conquistare il paese e cacciare i
Russi.
L'impresa, però, appariva difficile, forse addirittura impossibile. Nikolajewka,
infatti, sorgeva sopra un'altura, una solida posizione difensiva naturale che i Russi
avevano fortemente trincerato.
Non c'era però tempo da perdere. Ogni ora che passava indeboliva la colonna e
faceva aumentare la possibilità che arrivassero sul posto altri Russi e così fu deciso l'attacco.
Alle 9,30 del mattino del 26 gennaio gli uomini ancora validi del 6° Reggimento,
Battaglioni Verona, Val Chiese e Vestone, appoggiati dalla 32a Batteria del Gruppo di Artiglieria Bergamo, da altri sei pezzi italiani e dai semoventi tedeschi, attaccarono.
La battaglia fu tremenda.
Gli Alpini cominciarono a salire l'altura, sotto un fuoco di sbarramento violentissimo, avanzarono subendo gravi perdite, riuscirono a raggiungere le prime case
del paese.
Poi i Russi contrattaccarono.
Si accese una serie di feroci corpo a corpo nella neve.
Gli Alpini cominciarono a ritirarsi. Mentre la battaglia infuriava, davanti al paese
la colonna della Tridentina stava diventando una massa enorme di sbandati. Si
trattava ormai di 30.000, di 40.000 uomini, Italiani, Tedeschi, Ungheresi, Rumeni.
La stazione radio, però, nonostante reiterati tentativi, non riuscì a mettersi in contatto con il Comando dell'A.R.M.I.R. La colonna della Tridentina combatté a Skororyb, a Opit e a Postojalyi. Dovette affrontare una tremenda tempesta di neve,
nella quale la temperatura scese sotto i 40 gradi.
Poi, molto provata, giunse nei pressi di Krawzowka e lì la stazione trasmittente
tedesca riuscì finalmente a mettersi in contatto con il comando dell'A.R.M.I.R., e
questi ordinò alla colonna della Tridentina di abbandonare la direzione Valuijki,
che era caduta nelle mani dei russi, e di prendere invece la direzione di Nikolajewka, che era ancora libera.
Questo ordine, trasmesso sulle invisibili onde dell'etere, sembrava essere proprio
la salvezza!
VERSO NIKOLAJEWKA
La colonna della Tridentina riprese dunque il cammino in direzione di Nikolajewka.
Il 22 gennaio combatté a Sceljachino, dove venne raggiunta dai superstiti dell'8°
Reggimento e del Gruppo di Artiglieria Conegliano della Julia.
Il 23 gennaio combatté a Varvarovka, dove una colonna formata dal Battaglione
Morbegno e dalla 31a Batteria del Gruppo di Artiglieria Bergamo venne quasi
totalmente distrutta. Il 24 gennaio combatté a Malakijeva e, la sera del 25, raggiunse Nikitovka. In questa località la colonna della Tridentina sostò brevemente.
Poi, prima di riprendere il cammino, mandò avanti alcuni reparti del Battaglione
Val Chiese e del Battaglione Vestone.
Contemporaneamente la 32a e 33a Batteria del Gruppo di Artiglieria Bergamo
vennero mandate sul fianco destro, ad Arnautovo, dove era stata segnalata la presenza di ingenti forze nemiche.
Lì si accese una battaglia tremenda e gli artiglieri si difesero con straordinario
coraggio per sette ore, respingendo una serie di violenti attacchi dei Russi. Poi
vennero soccorsi dal Battaglione Tirano, che respinse i Russi ma restò semidistrutto.
Consumato il sacrificio del Battaglione Morbegno a Varvarovka e del Battaglione
Tirano ad Arnautovo, la colonna della Tridentina, all'alba del 26 gennaio, raggiunse finalmente Nikolajewka, dove ebbe l'amara sorpresa di costatare che il paese
era ormai stato occupato da ingenti forze nemiche.
L'ampia manovra a tenaglia dei Russi era pienamente riuscita e tutto il Corpo
d'Armata Alpino era rimasto intrappolato!
GLI ALPINI DELLA VALTELLINA
Il Battaglione Morbegno e il Battaglione Tirano, che avevano subito perdite spaventose nei combattimenti di Varvarovka e di Arnautovo, erano composti in gran
parte da montanari della Valtellina.
L'Alpino Filippo Bianchi del Tirano ricordò poi così il combattimento di Arnautovo:
lo della pace peseranno assai più i 200.000 dell'A.R.M.I.R. che i 60.000 del
C.S.I.R."!
L'A.R.M.I.R. arrivò in Russia tra l'estate e 1'autunno del 1942 e venne schierata
all'inizio dell'inverno sul fronte del Don, nel settore tenuto dalla 2a Armata ungherese (a Nord) e dalla 3a Armata romena (a Sud) mentre la battaglia infuriava nel
bacino industriale del Dones.
I reparti presero parte nell'estate e nell'autunno alle operazioni nel bacino minerario del Mius (Krasnyi Luch), alle operazioni nell'ansa di Serafimovic e alla "Prima
battaglia difensiva del Don".
LA CARICA DEL SAVOIA CAVALLERIA
Durante i combattimenti della "Prima battaglia difensiva del Don" avvenne un
episodio divenuto poi leggendario: la carica del Reggimento "Savoia Cavalleria" a
Isbuscenski. Fu una pagina gloriosa della storia dell'A.R.M.I.R., scritta da eroici
soldati a cavallo, in una guerra dominata dai carri armati.
La sera del 23 agosto 1942 la lunga colonna del Savoia cavalleria, al comando del
colonnello Alessandro Bettoni Cazzago, raggiungeva la quota 213,5 distante circa
7 chilometri dal villaggio di Isbuscenski, nel settore sotto il controllo dalla 79a
Divisione di fanteria tedesca.
La zona era piatta e movimentata da leggere ondulazioni del terreno circondata
dai campi di girasoli caratteristici della steppa russa.
Il colonnello Bettoni arrestò il reparto e i cavalieri italiani assunsero per la notte,
ormai imminente, una strategica posizione difensiva: un ampio quadrato difeso da
mitragliatrici pesanti, fucili mitragliatori e da pezzi anticarro, con gli uomini coricati sul terreno e i cavalli in piedi al centro.
Poi una volta sopraggiunta l'oscurità, la temperatura cominciò ad abbassarsi e,
nella steppa, regnò il più assoluto silenzio.
Il Savoia cavalleria doveva mettersi in movimento alle 4.00 e, mezz'ora prima, il
colonnello Bettoni inviò in avanscoperta una pattuglia, che si spinse avanti per
circa un chilometro senza incontrare anima viva. I cavalieri entrati in un campo di
girasoli spararono qualche colpo di moschetto senza avere reazione. Il sottufficiale capo pattuglia fece allora da cavallo una raffica col parabellum e fu come se
una polveriera avesse preso fuoco.
La pattuglia rientrò con tre feriti, ma un coro rabbioso di mitragliatrici (ne furono
poi rinvenute più di 60), di mortai e di artiglieria si rovesciò a tenaglia sulla colonna che stava per muoversi.
La situazione apparve subito gravissima. In meno di 20 secondi le mitragliatrici
del Savoia risposero con uguale intensità. Fu fatto aprire il fuoco alle batterie dei
cannoni anticarro, ma erano in molti, troppi per fermarli.
Due battaglioni siberiani avevano attaccato il Savoia Cavalleria.
Fu importante per il colonnello Bettoni, negli attimi successivi , avere manovrato
il suo reggimento con rapidità e risolutezza dando l'impressione al nemico di contrattaccarlo frontalmente. Il 4° Squadrone, agli ordini del capitano Abba iniziò la
manovra e il 2° Squadrone del capitano De Leone creò la sorpresa lanciandosi a
cavallo sul fianco e la carica si rovesciò furiosa dalla sinistra alla destra dello
schieramento nemico.
Il maggiore Manusardi, ex comandante del 2° Squadrone, aveva voluto caricare
con i suoi vecchi soldati e portò lo squadrone alla seconda carica da destra a sinistra, galoppando sulle mitragliatrici, sui mortai, sui cannoni.
Il nemico ebbe la prima battuta d'arresto ma nel proseguimento dell'attacco frontale il nemico riprese a reagire: erano sopraggiunti rinforzi.
Fu la volta del 3 ° Squadrone, comandato dal capitano Marchio, che caricò nuovamente lanciando bombe a mano da cavallo. I due plotoni mitraglieri che avrebbero
dovuto mettere le armi a terra non ne ebbero il tempo e caricarono con le mitragliatrici sui basti e i cavalli sottomano.
Seicentocinquanta cavalieri, appiedati e a cavallo, ebbero la meglio su due battaglioni (quasi 3.000 uomini).
Alle ore 6.30 del mattino la battaglia fu terminata.
Il Reggimento "Savoia Cavalleria" ebbe 32 morti (3 ufficiali), 52 feriti (5 ufficiali) e un centinaio di cavalli fuori combattimento.
I Russi ebbero 250 morti e un numero imprecisato di feriti. Persero altri 300 uomini, che vennero fatti prigionieri, e molto del loro armamento
COME ERA COMPOSTO L'A.R.M.I.R.
L'A.R.M.I.R., comandata dal generale Italo Gariboldi, schierava all'inizio dell'inverno 1942-1943 sul fronte del Don, da Nord (dove era la 2a Armata ungherese) a
Sud (dove era la 3a Armata romena), 4 corpi d'armata:
il Corpo d'Armata Alpino, comandato dal generale Gabriele Nasci, comprendente:
la Divisione Tridentina (generale Luigi Reverberi),
la Divisione Julia (generale Umberto Ricagno),
la Divisione Cuneense (generale Emilio Battisti),
e che aveva in seconda schiera:
la Divisione di Fanteria Vicenza (generale Etelvoldo Pascolini).
Il II Corpo d'Armata (generale Giovanni Zanghieri), comprendente:
la Divisione Cosseria (generale Enrico Gazzale),
la Divisione Ravenna (generale Eduardo Nebbia),
ed era appoggiato dal:
318° Reggimento Granatieri Tedesco.
Il XXXV Corpo d'Armata C.S.I.R. (generale Giovanni Messe sino al
31 ottobre, generale Francesco Zingales dall'1 novembre), comprendente:
LA TRAGEDIA DELLA CUNEENSE
L'Alpino della Cuneense Michelangelo Pattoglio ricordò poi così il momento della cattura da parte dei Russi:
"... nel buio raggiungiamo in colonna la periferia di Valuijki. Sostiamo. Il generale Battisti manda avanti una pattuglia in ricognizione nel villaggio. La pattuglia
torna e dice che il villaggio è occupato dai russi. Allora il generale parla a noi che
gli siamo attorno. Dice: "L'Italia è a Occidente. Chi si sente prosegua la marcia..." .
Il mio gruppo prosegue verso il villaggio, raggiunge le prime case senza vedere
1'ombra di un russo. Sono stanco e mi infilo nella prima isba e dormo fino alle
10.00.
Quando mi sveglio la sparatoria sta infuriando attorno alla mia casa. Guardo fuori
e vedo carri armati e cavalleria (...). Ho i piedi congelati. Prendo un paio di valenchi ad una donna russa.
Usciamo dal villaggio, ci allontaniamo un tratto nella steppa. Incontriamo un artigliere con un mulo. Sul mulo, in un fagotto, c'è una mezza forma di formaggio,
venti gallette e molti pacchetti di sigarette tedesche. "Siamo prigionieri", dico
all'artigliere, "tira giù la sacca dal mulo che mangiamo qualcosa prima di andare
ad alzare le mani" (...).
Sul fondo valle i carri armati e la cavalleria stanno raccogliendo la massa dei prigionieri. Vedo nella larga valle decine di migliaia di soldati italiani e tedeschi. I
più sono italiani. I russi li disarmano. Li incolonnano. Decidiamo sul da farsi. Non
c' è scelta è impossibile continuare il cammino. Ci arrenderemo.
Scendiamo verso i russi.Vedo una pattuglia russa, alzo le mani".
LA TRIDENTINA
La Divisione Tridentina comprendeva:
il 5° Reggimento, con i Battaglioni Morbegno, Tirano, Edolo,
il 6° Reggimento, con i Battaglioni Vestone, Val Chiese, Verona,
i Gruppi di Artiglieria Bergamo, Vicenza, Valcamonica.
La colonna della Tridentina cominciò la ritirata il 17 gennaio e si diresse, secondo
gli ordini, verso Valuijki.
I1 giorno seguente raggiunse Podgornoje. Poi proseguì in direzione di Postojalyi.
Lungo la strada incontrò il Comando del Corpo d'Armata Alpino e il Comando
del XXIV Corpo d'Armata Corazzato Tedesco, che si aggregarono a essa.
I Tedeschi erano poche migliaia di uomini ma avevano quattro semoventi, un
gruppo di cannoni da 152, una batteria di lanciarazzi multipli. E soprattutto avevano una preziosa, potente stazione radio, capace di trasmettere e di ricevere sulle
lunghe distanze.
L'8° Reggimento e il Gruppo di artiglieria Conegliano travolsero i Russi, continuarono e si inserirono poi nella colonna della Tridentina (ad eccezione del Comando della divisione che raggiunse la colonna della Cuneense e venne catturato
dai Russi a Valuijki).
Il 9° Reggimento non riuscì a superare i Russi e, dopo accaniti combattimenti, si
arrese.
La Divisione Cuneense comprendeva:
la Divisione Autotrasportabile Pasubio (generale Vittorio Giovannelli),
era appoggiato dalla:
298a Divisione di Fanteria Tedesca.
Il XXIX Corpo d'Armata Tedesco comprendente:
il 1° Reggimento, con i Battaglioni Ceva, Pieve di Teco, Mondovì,
il 2° Reggimento, con i Battaglioni Borgo San Dalmazzo, Dronero,
Saluzzo,
i Gruppi di Artiglieria Pinerolo, Mondovì, Val Po.
La colonna della Cuneense ebbe una sorte tragica. I reggimenti e i gruppi di artiglieria combatterono valorosamente a Popovka e a Novo Postojalovka. Poi raggiunsero Valuijki dove però, il 27 e il 28 gennaio, dopo accaniti combattimenti, si
arresero.
L'INVITTA JULIA
L'ufficiale della Julia Egisto Corradi così ricordò poi il combattimento a Novo
Postojalovka:
"Dalle slitte sparavano feriti e congelati, sparavano correndo avanti gli autisti appiedati, gli scritturali, quelli del Genio, colonnelli e generali, tutti. Volavamo (...).
Eravamo nella neve alta fino a mezza gamba, ansanti per la corsa di forse un chilometro. Quand'ecco apparire dei carri. Russi. Forse tre, forse quattro. Venivano
verso di noi veloci e diritti, sobbalzando. Rivedo a pochi passi da me Alberto Croci, che sparava con una pesante, i pugni nudi che gli vibravano. I carri erano a
duecento metri, a centocinquanta, a cento. Io ero vicino a due o tre pezzi anticarro
da quarantasette che tiravano e vedevo i proiettili da quarantasette spaccarsi sul
davanti dei carri ed esplodere e i carri avanzare ugualmente verso di noi. Risento
le bestemmie atroci degli alpini e mi rivedo vicino a loro, steso, la bocca piena di
neve, mentre il carro, uno ora, passa sul pezzo da quarantasette più vicino, lo stritola e schiaccia, prosegue. Mi guizzano vicino slitte che cavalli e muli trascinano
via terrorizzati, lontano. Il carro gira, torna indietro, punta su di me che sono accucciato in una specie di cunetta. Proprio su di me, figlio di un cane. Gli altri carri
non li vedo più. D'un tratto vedo il mio, mi è ad un metro. Do un colpo di reni,
riesco a spostarmi un poco di fianco, il cingolo destro del carro mi passa a quattro
dita dalla fronte".
Neve e gelo furono armi alleate dei sovietici e la campagna di Russia cominciava
così a rivelarsi una rischiosissima avventura, trasformandosi in una tragica trappola per i nostri soldati.
la Divisione Autotrasportabile Torino (generale Roberto Lerici),
la Divisione Celere "Principe Amedeo Duca d'Aosta" (generale Mario
Marazzani),
la Divisione Sforzesca (generale Carlo Pellegrini).
L'A.R.M.I.R., che aveva in riserva soltanto la debole 27a Divisione corazzata tedesca, schierava complessivamente 10 divisioni (3 alpine e 7 di fanteria) con circa
229.000 uomini, 16.700 automezzi, 4.470 motomezzi e 25.000 quadrupedi.
Aveva 588 pezzi d'artiglieria (d'Armata, di Corpo d'Armata e di Divisione), 28
cannoni d'accompagnamento da 65/17, 278 pezzi anticarro da 47/32, 224 mitragliere contraeree da 20 mm, 423 mortai da 81 e 874 mortai da 45, 1.742 mitragliatrici, 2.657 fucili mitragliatori.
Aveva 31 carri armati leggeri L6, 19 semoventi da 47/32 e un centinaio di aerei.
ARMAMENTO SUPERATO……ED EQUIPAGGIAMENTO SCADENTE.
Senza dubbio la dotazione in armi degli Italiani era imponente, ma 1'equipaggiamento era estremamente deficitario.
Il rigido inverno 1941-1942 vissuto dai soldati del C.S.I.R. e le esperienze fatte
sui monti del fronte occidentale e del fronte Greco-albanese avevano insegnato
poco a Mussolini e allo stesso modo anche i soldati dell'A.R.M.I.R. si trovarono a
dover affrontare 1'inverno russo 1942-1943 con il vestiario insufficiente e soprattutto con calzature inadatte.
A suo tempo, inoltre, invano il Comando del C.S.I.R. aveva mandato a Roma dei
campioni di "vàlenki", gli stivali feltrati russi che evitano il congelamento dei
piedi.
Anche le nuove unità dell'A.R.M.I.R, infatti, calzavano i "classici" scarponi chiodati di materiale molto rigido, gli stessi con cui le truppe avevano affrontato la
campagna in Africa Orientale, e che erano una vera fabbrica di congelati.
Inoltre per quanto riguardava i trasporti la situazione dell'A.R.M.I.R. era decisamente negativa, mancavano infatti, del tutto dei mezzi cingolati efficienti i soli
che avrebbero potuto avanzare senza problemi nella neve, né c'erano slitte (che
invece i Russi utilizzavano molto proficuamente, facendole trascinare dai cavalli).
Gli unici mezzi corazzati Italiani erano gli Innocenti L6, avevano un solo uomo
d'equipaggio ed erano armati solo di mitragliatrice, ma chiamarli corazzati era una
presa in giro dato che erano soprannominati dalla truppa "scatola di sardine"!
C'erano molti muli, che però servivano poco sul terreno pianeggiante della steppa,
anche perché erano soprattutto complemento dei reparti di Alpini, destinati a una
guerra lenta sui monti del Caucaso.
Negativa anche la situazione dei circa 20.000 mezzi di trasporto, questi avevano, e
allo stesso modo le armi, dei lubrificanti non adatti alle basse temperature dell'inverno russo e costringevano a tenere le mitragliatrici al riparo nelle postazioni,
invece che sulle postazioni, e i motori accesi dei veicoli onde evitarne il raffreddamento, con conseguente enorme consumo di carburante.
La mancanza poi di mezzi cingolati e di spartineve rendeva difficoltoso il movimento, nei momenti più gravi, della massa dei veicoli e parecchi furono abbandonati lungo il cammino bloccati nel fango gelato o nella neve.
IL GENERALE GARIBOLDI COMANDANTE DELL'A.R.M.I.R.
Italo Gariboldi, il comandante dell'A.R.M.I.R., nacque a Lodi, in provincia di
Milano, il 20 aprile del 1879.
Partecipò alla guerra di Libia e combatté valorosamente nella primo conflitto
mondiale, in cui venne decorato, meritando i gradi di colonnello.
Nella prima metà degli anni Trenta fu nominato generale di brigata.
Fu comandante dell'Accademia militare di Modena e partecipò alla guerra d'Etiopia come comandante della Divisione di fanteria Sabauda.
Divenne poi Capo di Stato Maggiore delle Forze Italiane nell'Impero e, quando
rientrò in Italia, nel 1939, con il grado di generale d'Armata ebbe il comando della
5a Armata in Libia.
Nel marzo del 1941 sostituì il maresciallo Rodolfo Graziani, sconfitto dagli Inglesi, nella carica di Comandante superiore delle Forze italiane in Libia.
In luglio venne sostituito dal generale Ettore Bastico.
Un anno dopo ebbe il comando dell'A.R.M.I.R., che conservò sino alla primavera
del 1943.
L'8 settembre fu fatto prigioniero dai Tedeschi e, durante la Repubblica Sociale
Italiana, venne processato e condannato a dieci anni di carcere.
Morì a Roma il 9 febbraio del 1970.
IL SETTORE DEGLI ITALIANI
L'A.R.M.I.R. si schierò dunque dall'inizio dell'inverno 1942-1943 sul fronte del
Don, tra Babka (a Nord) e Vescenskaia (a Sud), su un fronte che proseguiva a
nord sino a Leningrado, già assediata dai Tedeschi, e a meridione sino alla catena
montuosa del Caucaso.
L'ampio settore affidato agli Italiani, lungo il corso del fiume, si estendeva per
circa 300 chilometri, ma su di esso vennero messe forze insufficienti, senza rincalzi, ad eccezione della debole 27a Divisione corazzata tedesca) alle quali fu dato
come unico ordine, perentorio e assurdo, di "resistere sul posto ad ogni costo".
I Russi, schierati dall'altra parte del fiume, avevano una solida e pericolosa testa di
armati, della Brigata Corazzata della 3a Armata Russa si spinse addirittura sino a
Rossosc, sede del Comando del Corpo d'Armata Alpino.
Un testimone, l'ufficiale Giusto Tolloy, ricordò poi così quel giorno, in cui, fortunatamente, i carri armati russi vennero distrutti:
"A Rossovscia albeggiava. Dappertutto silenzio. Soltanto qua e là, lungo i muri
bianchi delle case, si vedevano ombre di pattuglie (...). Improvvisamente le sentinelle, avviluppate nelle loro giubbe, trattennero il respiro. Da qualche parte, dietro
le case coperte di neve, si sentivano strane voci che somigliavano a un singhiozzo
lontano, accompagnato da colpi sordi e da un cigolio metallico. Come se qualcuno
si divertisse ad issare e calare la catena di un pozzo.
Poi vicino all'ultima casa comparve un'ombra minacciosa. E poi ancora una (...) e
ancora (...) Era una cosa inverosimile, ma purtroppo era così: nel villaggio erano
entrati i carri armati russi...".
Dopo aver travolto la 2a Armata Ungherese a Nord, e il XXIV Corpo d'Armata
Corazzato Tedesco a Sud, i Russi cercarono di completare 1'ampia manovra a
tenaglia. E tutto il Corpo d'Armata Alpino, compresa l'invitta Julia, per non essere
intrappolato, cominciò a ripiegare verso Ovest.
Iniziò così la triste e gloriosa ritirata di Russia degli Alpini, tramandata dalle numerose e drammatiche testimonianze, diventata simbolo del sacrificio degli Alpini
e bandiera del loro spirito di corpo.
INIZIA LA RITIRATA DELLA JULIA E DELLA CUNEENSE
Il Comando dell'A.R.M.I.R. ordinò agli Alpini di dirigersi verso la località di Valuijki e, proprio in quella direzione, si mossero a Nord le Divisioni Tridentina e
Vicenza, attraverso Podgornoje, e a Sud le divisioni Cuneense e Julia, attraverso
Popovka.
La ritirata degli Alpini e dei Fanti della Vicenza, di giorno e di notte, nella steppa
coperta di neve, con una temperatura bassissima, fu spaventosa. I carri armati
russi dilagavano dappertutto. Attaccavano e colpivano. Poi scomparivano nel nulla per apparire di nuovo all'improvviso.
La Divisione Julia comprendeva:
l' 8° Reggimento, con i Battaglioni Tolmezzo, Gemona e Cividale,
il 9° Reggimento, con i Battaglioni Vicenza, L'Aquila, Val Cismon,
i Gruppi d' Artiglieria Conegliano, Udine, Val Piave.
La colonna della Julia raggiunse Popovka. Poi, il 19 gennaio, proseguì ma i suoi
reggimenti ebbero un diverso destino.
L'8° Reggimento, appoggiato dal Gruppo di artiglieria Conegliano, combatté a
Novo Postojalovka.
Il 9° Reggimento, appoggiato dai Gruppi di artiglieria Udine e Val Piave, combatté a Kopanki e a Lessnitchanskij.
il 2° Reggimento Artiglieria Alpina.
La Divisione Alpina Julia comandata dal generale Umberto Ricagno
comprendente:
l' 8° Reggimento,
il 9° Reggimento,
il 3° Reggimento Artiglieria Alpina.
La Divisione Alpina Cuneense comandata dal generale Emilio Battisti
comprendente:
il 1° Reggimento,
il 2° Reggimento,
il 4° Reggimento Artiglieria Alpina,
il Battaglione Alpini Sciatori Monte Cervino.
Inoltre comprendeva:
la Divisione di Fanteria Vicenza,
l' 11° Raggruppamento Artiglieria di Corpo d'Armata,
il XXXII e il XXIV Gruppo Cannoni del 9° Raggruppamento Artiglieria d'Armata,
il 612° Reggimento Artiglieria pesante Tedesco,
un Reggimento di Artiglieria a Cavallo e un gruppo di squadroni, appiedati.
Il Corpo d'Armata Alpino era una unità bene addestrata e molto salda, che inquadrava giovani Alpini provenienti dalle valli delle Alpi e dai massicci dell'Abruzzo.
L'ATTACCO RUSSO ALLE DIVISIONI ALPINE
I Russi attaccarono il Corpo d'armata alpino nei primi giorni di gennaio del 1943,
con un'ampia manovra a tenaglia.
A Nord attaccarono la 2a Armata ungherese, a Sud attaccarono la Julia e il XXIV
Corpo d'armata corazzato tedesco che aveva sostituito le divisioni di fanteria italiane distrutte dai Russi.
Se l'ampia manovra a tenaglia fosse riuscita, tutto il Corpo d'Armata Alpino sarebbe rimasto intrappolato!
A Nord l'attacco contro la 2a Armata ungherese ebbe successo.
A Sud l'attacco si infranse incredibilmente contro la granitica Julia ma ebbe successo, ancor più incredibilmente, contro il XXIV Corpo d'Armata Corazzato Tedesco.
Negli stessi giorni i Russi lanciarono una serie di violenti attacchi contro tutto lo
schieramento degli Italiani. E, il 15 gennaio, un reparto avanzato, di circa 20 carri
ponte sull'ansa di Verhnij Mamon, che difendevano con due divisioni.
Erano inquadrati in tre armate da Nord a Sud:
la 6a Armata,
la 1a Armata "Guardie",
la 3a Armata "Guardie".
Avevano in dotazione molti cannoni, le terribili lanciarazzi "Katjusce" e gli ancora più temibili "Vaniusci" ma soprattutto disponevano di una spaventosa forza
d'urto di 1000 carri armati. Erano: carri armati leggeri T70 (con corazzatura di
35/40 mm), carri armati medi T34 (con corazzatura di 45 mm) e carri armati pesanti KV-Klim Voroscilov (con corazzatura di 75 mm).
L'ATTACCO RUSSO A STALINGRADO
Nell'estate del 1942 i Tedeschi erano ritornati all'attacco.
Erano penetrati con il Gruppo di armate "A" nel Caucaso, a Sud, ma erano stati
bloccati (Gruppo armate "B") più a Nord, a Stalingrado, dove tutti i tentativi della
6a Armata del generale Paulus di cacciare i Russi oltre il fiume Volga erano falliti
miseramente.
A Stalingrado come noto la battaglia infuriò strada per strada, casa per casa, fabbrica per fabbrica. Poi, distrutta praticamente la città, e con i Russi annidatisi tra
le macerie, nelle cantine, nei sotterranei, nei condotti delle fogne, la battaglia si
trasformò in una serie infinita di agguati e di feroci corpo a corpo. Paulus scatenò
innumerevoli attacchi, ma tutto fu inutile. E i Tedeschi non riuscirono a cacciare i
Russi oltre il Volga.
Nel novembre del 1942 i Russi lanciarono la seconda grande offensiva con 6 milioni di uomini e 7.000 carri armati e semoventi. Il giorno 19 attaccarono Stalingrado con un milione di uomini e 1.000 carri armati e semoventi.
La macchina da guerra tedesca, logorata e stanca, era ormai preda della controffensiva russa che trovava nuove forze nella potenza produttiva del colosso sovietico. I numerosi prigionieri dei Tedeschi, dell'inizio della campagna, vennero sostituiti dalle riserve Siberiane: soldati che non temevano il freddo di natura, addestrati ma soprattutto ben armati ed equipaggiati.
Il piano d'attacco prevedeva di liberare la città, ormai diventata un simbolo, con
due ampie azioni convergenti verso la località di Kalac, alle spalle della 6a Armata di Paulus. Il giorno 23, la tenaglia russa si chiudeva a Sovetskij, vicino a Kalac,
intrappolando i Tedeschi.
Cominciò in questo modo la lenta agonia dei soldati della 6a Armata di Paulus
che a decine di migliaia, come topi in trappola, vennero decimati dalle bombe,
dalle pallottole, dal freddo, dalla fame e dalle malattie.
Invano il Gruppo di armate del Don, sotto il comando del maresciallo Von Manstein, cercò di portare aiuto agli assediati e la 6a Armata si avviò tragicamente alla
morte!
LA SECONDA BATTAGLIA DIFENSIVA DEL DON
L'11 Dicembre i Russi, partendo dalla testa di ponte sull'ansa di Verhnij Mamon,
attaccarono anche il settore degli Italiani. Precisamente attaccarono il tratto, a
Sud, presidiato da:
II Corpo d'Armata Italiano comprendente:
la Divisione Cosseria,
la Divisione Ravenna,
il 318° Reggimento Granatieri Tedesco.
Il XXXV Corpo d'Armata Italiano comprendente:
la Divisione Pasubio,
la 298a Divisione di Fanteria Tedesca.
Il XXIX Corpo d'Armata Tedesco comprendente:
la Divisione Torino,
la Divisione Celere,
la Divisione Sforzesca.
La 3a Armata Romena.
I Russi martellarono le divisioni italiane, e le unità tedesche che le rinforzavano,
con un tremendo bombardamento di artiglieria. Poi passarono all'attacco.
Lanciarono avanti le divisioni corazzate, un'autentica valanga di carri armati, e gli
Italiani e i Tedeschi, dopo aver cercato vanamente di resistere, cominciarono a
ritirarsi in disordine verso Ovest.
La micidiale tenaglia dei Russi puntava a Nord contro la Divisione Cosseria e a
Sud contro la 3a Armata Romena.
Se si fosse chiusa, tutte le unità italiane e tedesche schierate tra Novo Kalitva, alla
confluenza del fiume Kalitva nel Don, e Vescenskaia sarebbero rimaste intrappolate.
Mentre i Russi avanzavano a Sud, incalzando da vicino il II e il XXXV Corpo
d'Armata Italiano, il XXIX Corpo d'Armata Tedesco e la 2a Armata Romena,
Gariboldi cercò di proteggere il Corpo d'Armata Alpino, situato a Nord, e con una
mossa tempestiva, schierò la divisione Julia a Sud, sul Kalitva, sostituendola sul
Don con la Divisione Vicenza. La mossa protesse 1'ala meridionale del Corpo
d'Armata Alpino ma non evitò che l'inesorabile tenaglia dei Russi si chiudesse, tra
il 20 e il 21 dicembre, a Diogtevo. All'interno rimasero in gran parte i poveri fanti
delle divisioni Cosseria, Ravenna, Pasubio, Torino, Celere e Sforzesca.
L'AGONIA DEI FANTI
La sorte dei fanti Italiani, mentre si ritiravano disordinatamente verso Ovest, ignari di essere rimasti in trappola, fu spaventosa. Eugenio Corti, uno dei pochi superstiti, così raccontò poi la sua marcia disperata:
"Le tenebre scesero completamente. Marciavamo con il solito passo accelerato.
Sopra di noi il cielo era di una limpidezza impressionante.
Il freddo divenne così intenso, che presto ci accorgemmo di non averlo mai provato tale, qualcuno che alla fine della tappa guardò il termometro disse che segnava
47 gradi sotto zero in città.
S'alzò dalla nostra destra un leggero vento gelato, che a poco a poco aumentò d'intensità fino a farsi forte e a rovesciarci addosso, a folate, la polvere di neve. Sulla
nostra faccia si era formata una bianca maschera di ghiaccio e di brina. Su tutto il
fianco destro s'andava formando una gran crosta di ghiaccio. E il freddo aumentò
ancora e divenne inenarrabile.
La colonna lentamente si snodò, si assottigliò. Il passo divenne più veloce e i meno resistenti, a poco a poco, restarono indietro. Tale era il freddo e il vento così
dilaniante, che ci pareva di essere lì sulla neve a camminare tutti nudi; sentivamo
tutta la superficie del corpo lottare. Mi tirai sul capo la coperta più pesante e non
guardai che a terra, dove mettevo i piedi. Diedi la coperta russa a Candela, che
pure se ne avvolse la testa. Via velocemente, cercando di non pensare al freddo,
seguendo una sola idea ossessionante: camminare, camminare, camminare.
Candela cominciò a gemere, a farsi tirare. Via, avanti! (...) Là in fondo, quasi davanti a noi, sorgeva, dalla distesa cristallina della neve, la luna. Era una luna immensa, rossastra. Non volli badare né alla luna né al paesaggio.
Via! La marcia era diventata una corsa. Candela supplicava di rallentare. Lo tenevo sulla sinistra della colonna, perché quelli di destra ci riparassero un po' dal
vento che cercava di ucciderci.
Cominciammo a vedere uomini accasciati nella neve. Inutile tentare di smuoverli,
si fermavano per morire. Via! Qualcuno entrò in delirio: si fermava, si guardava
attorno, poi magari tornava indietro. C'era chi credeva di entrare nella sua casa,
chi andava con le braccia aperte verso i suoi bambini... Si udivano frasi sconnesse,
senza senso (...). Candela, di Palermo, che non si era mai trovato a temperature
sotto lo zero, era ormai fuori di sé".
II prezzo pagato in quei giorni dai poveri fanti fu altissimo. Bastano poche cifre:
del XXXV Corpo d'armata, che schierava la Divisione Pasubio e la 298a Divisione di Fanteria Tedesca, si salvarono soltanto 4.000 Italiani, 3.000 dei quali erano
feriti o congelati.
IL CORPO D'ARMATA ALPINO
Dopo aver annientato le divisioni di fanteria italiane, i Russi attaccarono il Corpo
d'Armata Alpino.
Il Corpo d'Armata Alpino, comandato dal generale Gabriele Nasci, comprendeva:
la Divisione Alpina Tridentina comandata dal generale Luigi Reverberi
comprendente:
il 5° Reggimento,
il 6° Reggimento,
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