NUOVE FRONTIERE DEL DIRITTO SPECIALE CIVILE L'apparentia iuris: principi e ricadute pratiche SPECIALE PENALE La violenza intrafamiliare ed i maltrattamenti subdoli Il caso Scientology per la giurisprudenza italiana e comunitaria SPECIALE AMMINISTRATIVO Liberalizzazioni, semplificazioni e privatizzazioni ALL’INTERNO INTERVISTA A Prof. Silvano Fuso in merito al C.I.C.A.P. - Centro Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale- Rivista telematica giuridico-scientifica Anno 2012 Aprile Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 1 La rivista telematica "Nuove frontiere del diritto" nasce dalla intuizione di alcuni studenti (ora divenuti magistrati, alti funzionari, professionisti ed avvocati) di dar vita ad una piattaforma culturale globale e senza fini di lucro, in cui far confluire contenuti non solo strettamente giuridici, ma anche di attualità. La cronaca giudiziaria infatti ha assunto ormai un ruolo predominante nella informazione quotidiana e troppo spesso si assiste al fenomeno per cui i processi si volgono prima in televisione che in tribunale. Ciò rappresenta un evidente corto circuito logico, cui ci si deve opporre prima come cittadini che come giuristi. Per tale ragione la rivista ha inserito nel suo comitato scientifico non solo giuristi di eccellenza, ma anche importanti firme giornalistiche di operatori del settore, con la precipua finalità di fornire contributi obiettivi e giuridicamente comprensibili non solo all'operatore del diritto, ma anche a qualsiasi lettore che per la prima volta si approcci al mondo del diritto. La parte più strettamente giuridica della rivista si compone di numerose sezioni didattiche di alto profilo (pubblicazione di temi, pareri, saggi giuridici, note a sentenze) scritte sempre con un occhio attento al lettore: prima che spiegare, si vuole insegnare. Insegnare al lettore a ragionare in primo luogo sulle disposizioni, per poi valutare il risultato ermeneutico con la giurisprudenza e la dottrina. Per tale ragione i contributi, quindi, non rappresentano sterili e sterminati resoconti dottrinali e giurisprudenziali (tanto di moda oggigiorno), ma analisi condotte sul piano logico-normativo. Si e' inoltre scelto di includere tra i collaboratori anche studenti e ricercatori, non ancora arrivati al culmine della loro carriera, ma che hanno dimostrato di essere validi giuristi sulla base di una attenta selezione. Non bisogna infatti dimenticare che il superamento di un concorso, per quanto importante, non conferisce da solo il crisma delle bravura e, soprattutto, che l'errore peggiore che può commettere un giurista e' quello di ritenere di non aver più nulla da imparare. "Nuove frontiere del diritto" e' dunque una rivista che, pur affiancata ed integrata da un comitato scientifico di eccellenza, nasce dalla base, perché tutti sono partiti dalla base. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 2 In occasione del trasferimento della rivista dalla piattaforma forum free alla piu' ambiziosa piattaforma http://www.nuovefrontierediritto.it non ci si può esimere dal fornire ai lettori le motivazioni di tale scelta. La spiegazione di tale decisione risiede nel noto brocardo "memento audere semper". Nella vita, infatti, non ci si deve mai scordare di osare, di credere nei propri ideali e di non rinunciare mai ad essi. Per tali ragioni si e' deciso, terminata la fase sperimentale, di ingrandire il progetto al fine di conferirgli una maggior diffusione negli ambienti scientifici e, soprattutto, di dotarlo di una piattaforma multimediale in grado di soddisfare le esigenze del lettore, senza perdere le due caratteristiche principali della rivista: l'indipendenza e la gratuità. Il progetto e' stato possibile grazie a numerosi collaboratori, giuristi e non giuristi, i quali, gratuitamente, hanno contribuito, mattone dopo mattone, a costruire questo immenso edificio. Ci auguriamo che i lettori continuino a seguirci, contribuendo in tal modo a far crescere l'ambizioso progetto. Un sentito ringraziamento va al dott. Riccardo Scannapieco, il quale ha instancabilmente e con grande professionalità lavorato per rendere possibile il passaggio alla nuova piattaforma. Federica Federici Samantha Mendicino Davide Nalin Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 3 Fondatore: Federica Federici Direzione: Federica Federici e Davide Nalin Coordinamento e redazione: D.ssa Federica Federici – Davide Nalin (magistrato) – Avv. Samantha Mendicino Comitato scientifico: Davide Nalin (magistrato) - Massimo Marasca (magistrato) - D.ssa Federica Federici - Fabiana Rapino (magistrato) – Prof. Avv. Carlo Pilia - Avv. Samantha Mendicino - Avv. Domenico Salvatore Alastra - Barbara Carfagna (giornalista) - Avv. Luigi Caffaro - Avv. Alessia Canaccini - Luca Marzullo (magistrato) Hanno collaborato alla rivista del mese: - Avv. Tommaso Migliaccio - Avv. Angela Quatela Avv. Barbara Carrara - Avv. Lucia Marra – Avv. Danila D’Alessandro – D.ssa Maria Luisa Pignatelli - Paola Lena (scrittrice) - Dott. Michele Molinari (funzionario Direzione Regionale Toscana dell'Agenzia Entrate - Settore controlli, contenzioso e riscossione) - Pietro Algieri Donatella Rocco - D. ssa Rosalia Manuela Longobardi - Donatella Rocco - Avv. Martino Modica – Paola Lena Nuove frontiere del diritto è on line www.nuovefrontierediritto.it Nuove frontiere del diritto ha un Gruppo Facebook, una pagina Facebook ed una pagina Twitter (@RedazioneNfd) L'e-mail è [email protected] Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 4 NUOVE FRONTIERE DEL DIRITTO SOMMARIO La posta – Lettere alla redazione A lezione di… D. Civile A lezione di... D. Penale A lezione di... D. Amministrativo A lezione di... D. Tributario La scheda Concorsi - Abilitazioni (1) Eserciziario (2) Massimario Diritto Civile - Penale ed Amministrativo (3) Focus Normativa Il Caso Criminologia del Nuovo Millennio Oltre il mio nome Le frontiere della mediazione Convivenza uomo-animale Il brocardo del mese Spigolature Recensioni e novità editoriali (4) Rassegna stampa Eventi e Convegni (5) LICEO A LUCI ROSSE - Il feilleuton di Paola Lena – IV Capitolo 1 da questo mese le relative Rubriche si troveranno sul sito ufficiale www.nuovefrontierediritto.it 2 da questo mese le relative Rubriche si troveranno sul sito ufficiale www.nuovefrontierediritto.it 3 da questo mese le relative Rubriche si troveranno sul sito ufficiale www.nuovefrontierediritto.it 4 da questo mese le relative Rubriche si troveranno sul sito ufficiale www.nuovefrontierediritto.it 5 da questo mese le relative Rubriche si troveranno sul sito www.nuovefrontierediritto.it Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 5 INDICE La posta - Lettere alla redazione pag. 4 A lezione di... DIRITTO CIVILE Quando, per la tutela della giustizia sostanziale, "ciò che non è" vale per "ciò che è". Il sommario pag. 11 L'apparenza del diritto: nozione e funzione (Angela Quatela) pag. 12 Apparenza pura ed apparenza colposa. Specifica di alcune ipotesi applicative: rappresentante apparente, apparente, erede apparente (Lucia Marra) creditore pag. 16 pag. 33 Il ruolo dell'apparentia iuris nell'istituto del mandato e della simulazione (Samantha Mendicino) procurator, Il principio dell'apparenza del diritto nei rapporti condominiali (Alessia Canaccini) falsus pag. 38 La società apparente (Danila D'Alessandro) pag. 41 L’apparenza nel diritto processuale: errore del Giudice e rimedi impugnatori (Maria Luisa Pignatelli) pag. 49 DIRITTO PENALE Il nemico in casa: la violenza intrafamiliare ed i maltrattamenti subdoli (Barbara Carrara) pag. 53 Il fenomeno della "magia" nel diritto penale: i termini dell'odierna analisi (Federica Federici) Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico pag. 75 Pag. 6 Il caso Scientology per la giurisprudenza italiana e comunitaria (Federica Federici) pag. 77 DIRITTO AMMINISTRATIVO Semplificazione, liberalizzazione e privatizzazione "nomina sunt consequentia rerum". Il sommario6 pag. 91 Semplificazione, liberalizzazione e privatizzazione: inquadramento generale (Davide Nalin) pag. 92 Il fenomeno delle privatizzazioni (Donatella Rocco) pag. 94 Il fenomeno delle liberalizzazioni (Davide Nalin) pag. 100 Il fenomeno della semplificazione (Davide Nalin) pag. 111 Diritto tributario L’Accertamento con adesione: quest’oggetto (quasi) misterioso (Michele Molinari) pag. 117 La scheda Combinazione di beni. Il regime delle aree parcheggio (Massimo Marasca) pag. 127 6 N.B.: la trattazione in materia di liberalizzazioni, semplificazioni e privatizzazioni sarà suddivisa in due parti: la Ia parte, generale, fornisce al lettore le competenze tecniche atte ad orientarsi nelle complesse questioni che hanno sollevato le più recenti riforme. La IIa parte, in uscita con il numero di mese di maggio, rappresenta invece una applicazione dei più rilevanti interventi normativi nella materia di riferimento Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 7 Focus "Prospettive di un possibile processo al patrimonio: norme, orientamenti, finalità7" - Le confische viste dall’alto: breve viaggio nel diritto sovranazionale (Fabiana Rapino) pag. 135 Normativa Il protesto dei titoli di credito (Massimo Marasca) pag. 143 Il Caso Il sistema "Vanna Marchi" (Martino Modica) pag. 148 Criminologia del Nuovo Millennio L'influenza di maghi imbonitori e stregoni nell'era del web (Rosalia Manuela Longobardi) 7 pag. 152 Il primo appuntamento de ""Prospettive di un possibile processo al patrimonio: norme, orientamenti, finalità" lo trovate sul numero 3 Marzo 2012 di Nuove frontiere del diritto Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 8 Oltre il mio nome Intervista al Prof. Silvano Fuso in merito al CICAP (Tommaso Migliaccio) Prof. Silvano Fuso è docente di chimica e divulgatore scientifico, socio effettivo e responsabile per la scuola del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale) pag. 155 Le frontiere della mediazione La tutela della riservatezza nella mediazione (Carlo Pilia) pag. 159 Convivenza uomo-animale Il trasporto dell'animale su mezzi pubblici, navi ed aerei (Samantha Mendicino) pag. 178 Il brocardo del mese Iuris et de iure e iuris tantum (Pietro Algieri) Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico pag. 184 Pag. 9 Spigolature Buona fede (Samantha Mendicino) Rassegna stampa pag. 189 pag. 194 LICEO A LUCI ROSSE - Il feilleuton di Paola Lena IV° Capitolo Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico pag. 198 Pag. 10 A lezione di… diritto civile L'apparentia iuris Quando, per la tutela della giustizia sostanziale, "ciò che non è" vale per "ciò che è"! Sommario: I) L'apparenza del diritto: nozione e funzione; II) Apparenza pura ed apparenza colposa. Specifica di alcune ipotesi applicative: rappresentante apparente, falsus procurator, creditore apparente, erede apparente; III) Il principio dell'apparenza del diritto nei rapporti condominiali; IV) Il ruolo dell'apparentia iuris nell'istituto del mandato e della simulazione; V) La società apparente; VI) L’apparenza nel diritto processuale: errore del Giudice e rimedi impugnatori. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 11 I) L'apparenza del diritto: nozione e funzione di Angela Quatela L’intensificarsi dei traffici commerciali e dei rapporti economici e la necessità di velocizzare la circolazione giuridica dei beni, liberando gli operatori dal dover effettuare complessi accertamenti circa la legittimazione in capo alle singole fattispecie, ha necessitato la ricerca di strumenti idonei al fine di offrire, in presenza di condizioni di incertezza, una maggiore tutela agli interessi dei terzi. L’apparentia juris, o apparenza del diritto, è un principio generale del nostro ordinamento che tutela la buona fede e l’affidamento incolpevole dei terzi in quelle situazioni in cui ci sia una significativa divergenza tra situazione di fatto e quella di diritto. L’elaborazione dottrinaria individua l’apparenza giuridica come una relazione tra due fenomeni, per cui una situazione di fatto, manifestatasi concretamente, fa apparire come reale una situazione giuridica che, in realtà, non esiste o esiste con modalità diverse rispetto a come si è manifestata. Con l’applicazione del suddetto principio, il nostro ordinamento tende ad equiparare gli effetti di ciò che si è manifestato nel fatto ma non è sorto nel diritto a ciò che è giustificato dal diritto. A tanto, si è giunti attraverso un percorso relativamente recente che è nato dai dati normativi sparsi nei codici civili del 1865 e 1942 per poi essere studiato e teorizzato da alterna dottrina e dalle pronunce giurisprudenziali. Il diritto romano privilegiava la tutela della volontà e della titolarità effettiva del dominus, rispetto alle esigenze di tutelare il traffico giuridico, riconoscendo solo la particolare fattispecie dell’alienazione dell’eredità effettuata dall’erede apparente. Detti principi furono successivamente confermati dal giusnaturalismo europeo ma con la scuola del diritto naturale accanto al dogma della tutela assoluta della volontà dei contraenti, si aggiunse il principio del nemo dat quod non habet, per cui nessuna protezione veniva riconosciuta al destinatario della dichiarazione. Il diritto germanico, nonostante la forte impronta romanista, ha da sempre attribuito notevole importanza ai problemi di affidamento creati dalle dichiarazioni negoziali, per cui si può sostenere che la teoria dell’apparenza giuridica sia nata storicamente in Germania nel XIX secolo per la tutela dei terzi nel traffico giuridico, per poi essere trapiantata nell’ordinamento italiano non senza censure da una parte della dottrina. Fu M.D’Amelio, Presidente della Corte di Cassazione del tempo, che sulla base delle disposizioni del codice del 1865 in materia di erede apparente e creditore apparente, Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 12 elaborò nel 1934 una nozione generale di apparenza, non senza incontrare critiche circa l’inutilità di tale principio, considerato privo di autonomo rilievo e quindi inidoneo ad assurgere a principio generale dell’ordinamento. ll successivo codice civile del 1942 oltre a recepire e riproporre le due predette fattispecie dal precedente codice, aggiunse altre disposizioni a tutela dell’affidamento e dei terzi di buona fede, in materia di interpretazione del contratto (art.1366 c.c.) e di riconoscibilità dell’errore (art.1431 c.c.) aprendo così il sistema sempre più in senso dichiarazionistico. In assenza di una disciplina legislativa dell’istituto, è stato compito dell’interprete individuare gli elementi costitutivi della figura giuridica. Il primo fondamentale elemento di carattere oggettivo è la divergenza tra la situazione di fatto e quella di diritto non riconoscibile come errore secondo un criterio di normalità, sulla base, quindi, del senso di comune esperienza. Ne consegue che affinché l’errore possa qualificarsi come scusabile e quindi meritevole di tutela, deve essere valutato applicando i criteri di ordinaria diligenza dell’uomo medio o dell’uomo di media diligenza in rapporto alla conduzione di uno specifico affare, con ciò escludendo ogni ipotesi di errore, quale falsa rappresentazione della realtà che si forma in un soggetto in assenza di elementi esterni fuorvianti. Se l’apparenza è legata all’errore, non può confondersi con esso, poiché l’errore giuridicamente rilevante, tale da potenzialmente condurre all’annullabilità del contratto, è un fenomeno individuale e soggettivo, mentre l’apparenza è un fenomeno sociale ed oggettivo. Secondo, A. Falzea uno dei giuristi più insigni in materia, l’apparenza, dunque, è una falsa segnalazione della realtà esteriore, idonea a cagionare un possibile errore. Si parla di possibilità, poiché in effetti, nonostante l’errore sia collettivo non è certo che tutti ne vengano necessariamente attratti e ingannati. Il carattere oggettivo dell’apparenza si desumerebbe anche dalle norme positive, in particolare dalle circostanze univoche di cui all’art.1189 c.c. ma necessita dell’apprezzamento in concreto dal giudice. L’ulteriore imprescindibile elemento costitutivo della apparenza è di carattere soggettivo ed è la buona fede del terzo che pure va accertata in concreto, al fine di verificare se lo stesso abbia effettivamente ignorato la situazione giuridica reale e non abbia compreso la divergenza tra realtà di fatto e realtà di diritto. La dottrina prevalente suole distinguere l’apparenza giuridica in pura o oggettiva e colposa. La prima tipologia è disciplinata espressamente dalla legge ed è configurabile in presenza di circostanze univoche non imputabili al comportamento di nessun soggetto. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 13 La seconda, si configura quando lo stato di apparenza è dovuto ad un comportamento colposo di un soggetto che ha causato tale stato e pertanto ne subirà gli effetti sfavorevoli. Detta ultima tipologia non si rinviene nella struttura codicistica del nostro ordinamento, poiché trattasi di creazione di tipo giurisprudenziale, in particolare in tema di rappresentanza apparente e società apparente. L’apparenza non va distinta con altri istituti a cui talvolta è stata assimilata, come il possesso o l’acquisto a non domino, ciò poiché come teorizza il Falzea, “ l’apparenza è una realtà che segnala qualcosa d’altro e non può identificarsi in fatti caratterizzati da una struttura opaca che non sono in grado di segnalare alcunché, al di fuori della propria esistenza”. Il possesso, infatti, è tutelato nel nostro ordinamento di per sé e non come manifestazione esterna del corrispondente diritto reale e la tutela dell’acquisto a non domino pur prevedendo la tutela dell’acquirente in buona fede, richiede una fattispecie complessa che non contempla l’errore collettivo-oggettivo e che quindi va al di là dell’apparenza. Per quanto riguarda l’applicazione del principio de quo al formalismo in genere, ed in particolare ai titoli formali di legittimazione, agli atti muniti di pubblica fede e ai fatti di pubblicità, nei casi di non conformità tra la situazione giuridica in essi rappresentati e la situazione giuridica reale, si è ampiamente discusso in dottrina. Parte minoritaria ha considerato assimilabile l’apparenza a queste fattispecie al fine di tutelare la buona fede dei terzi ,altra (Falzea, Pugliatti) l’ha esclusa, considerando la tutela che viene riconosciuta in questi casi di diversa natura. Infatti la legge protegge i terzi, nell’ipotesi di divergenza tra dichiarazioni formali e corrispondenza con la realtà giuridica dalle stesse enunciata, col solo scopo di esonerare il soggetto-terzo dall’accertamento della realtà giuridica dichiarata ma non per conferire a quelle dichiarazioni l’esistenza di quella realtà, tipica dell’applicazione del principio dell’apparenza. L’apparenza è un elemento elastico, che il giudice è chiamato ad accertare e ricostruire sulla base di tutti gli elementi di fatto percepiti dalla generalità dei consociati, diversamente le fattispecie predette sono fatti rigidi che solo in casi isolati possono essere suscettibili di protezione dell’affidamento. In realtà, la pubblicità come l’apparenza rispondono all’esigenza concreta che vuole la tutela della sicurezza dei traffici, con l’effetto pratico che solo nell’ipotesi in cui il sistema di pubblicità sia imperfetto si ricorra alla tutela dell’apparenza. Circa l’utilità pratica del concetto di apparenza giuridica c’è da rilevare che nulla aggiunge agli istituti che già applicano il principio presenti nel codice civile vigente in materia di petizione di eredità (art.534c.c.), di obbligazioni (art.1189c.c.), di rappresentanza senza potere (art.1398 c.c.), di simulazione (art.1415 c.c.), di annullamento del contratto (art.1445 Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 14 c.c.),di mandato (art.1729 c.c.) la cui analisi critica sarà di seguito trattata da altri Autori in questo numero della rivista. Se la prevalenza della dottrina riconosce nel nostro ordinamento, ormai indiscutibilmente, il principio dell’apparentia juris, si argomenta, se a parte le ipotesi codificate, la stessa possa applicarsi per sua interpretazione analogica a fattispecie diverse. La giurisprudenza a parte la creazione delle figure della rappresentanza e della società apparente, si è espressa in modo diversificato, partendo dalla negazione dell’esistenza del principio al di fuori delle ipotesi normativamente previste (Cass.Civ.n.2311/95) al riconoscerlo anche in materia processuale (Cass.Civ.SS.UU.n.390/11). Concludendo, il Legislatore ha mostrato di voler proteggere il soggetto dell’affidamento con numerosi accorgimenti, innanzitutto prestando la tutela all’individuo caduto in errore o ignaro della effettiva situazione di fatto, senza pretendere altri requisiti e proteggendolo con il riconoscimento della semplice buona fede. Inoltre, a completamento della tutela, oltre a fondare la protezione sul fatto psicologico individuale della buona fede, con l’applicazione del principio dell’apparenza, il Legislatore ha inteso riconoscere l’apprezzamento che la generalità dei consociati tende a dare ad una determinata situazione. Per mera completezza, si segnala che tale importante esigenza di protezione non è solo peculiarità dei paesi di civil law, come è il nostro ordinamento, ma anche in quelli di common law di origine anglosassone. Anche in queste realtà, esiste un istituto del tutto speculare all’apparenza, l’estoppel che è un rimedio di equità di generale applicazione, in forza del quale se qualcuno ingenera in altri una falsa rappresentazione della realtà, non può in un momento successivo far valere l’effettiva realtà delle cose. Strettamente connesso ai problemi di tutela dell’affidamento è vigente anche l’istituto del promissory estoppel, principio in base al quale se qualcuno mediante promessa induce altri ad effettuare spese o ad assumere obbligazioni, è tenuto a tener fede al suo impegno, creando quindi anche una forma di affidamento oneroso. Bibliografia D’Amelio M. “Apparenza del Diritto” in Nuovo Digesto It.,Utet Falzea A. “L’apparenza” in Encicl.del Diritto, Giuffrè Gallo P. “L’apparenza” in Trattato del contratto, Tomo 3, Utet 2010 Morchella “Contributo alla teoria dell’apparenza giuridica”, Milano Pugliatti S.“La trascrizione”, Giuffrè Roppo V. “Il contratto”, Giuffrè Sacco R. “L’apparenza del diritto” in Digesto delle Discipline Privatistiche, Utet 1987 Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 15 II) Apparenza pura ed apparenza colposa. Specifica di alcune ipotesi applicative: rappresentante apparente, falsus procurator, creditore apparente, erede apparente di Lucia Marra PRINCIPIO DI APPARENZA DEL DIRITTO L’apparenza del diritto possiamo definirla una regola di fenomenologia giuridica: cioè una regola che disciplina, a livello giuridico, dei fenomeni. Il concetto giuridico di apparenza del diritto è una situazione di fatto, contrapposta alla situazione di diritto, eppure conforme apparentemente a quella situazione; la situazione di fatto è contrastante alla situazione di diritto, non è conforme ad essa, eppure all’esterno, ai soggetti che entrano in contatto con quella situazione di fatto, tale situazione appare conforme alla situazione di diritto. Chi entra in relazione con quella situazione di fatto non conforme alla situazione di diritto, ha l’apparenza che quella situazione sia in realtà conforme alla situazione di diritto. Quando ciò si verifica il problema è: quale situazione prevale? Prevale la situazione di fatto, apparentemente conforme alla situazione di diritto, o prevale la situazione di diritto? Per risolvere questo problema la dottrina tedesca e la nostra giurisprudenza, hanno elaborato il principio di apparenza del diritto; che quindi serve per risolvere i conflitti tra situazione di fatto, apparentemente conforme alla situazione di diritto, e situazione di diritto. Il principio di apparenza del diritto è definito da Sacco come « la più importante regola civilistica di creazione giurisprudenziale preterlegale ». Da questa definizione di Sacco si ricava innanzitutto che il principio di apparenza del diritto è una regola, una norma, creata dalla giurisprudenza in modo preterlegale, perché non espressamente contenuta in alcuna norma del codice civile. Tuttavia, l’apparenza è un principio che si fonda su talune norme del codice civile, che la giurisprudenza ha elaborato. Innanzitutto la norma sull’erede apparente ex art. 534 co. 2 c.c., secondo cui chi acquista un diritto in buona fede a titolo oneroso, dall’erede apparente, cioè da colui che non è erede, non è effettivo titolare del diritto di successione, eppure appare esserlo, fa salvo il proprio acquisto, purché l’acquisto sia appunto in buona fede e a titolo oneroso. In questo caso, il legislatore attribuisce prevalenza alla situazione di fatto, che appare conforme a quella di diritto ma non lo è, attribuisce alla situazione di fatto prevalenza rispetto alla situazione di diritto: chi vende non è erede, non è titolare del diritto successorio e Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 16 quindi non potrebbe trasferire il bene oggetto dell’eredità; eppure, pur non essendo realmente titolare del diritto successorio, appare esserlo e l’apparenza prevale sul diritto effettivo, la situazione apparente prevale sulla situazione di diritto. L’altra norma è l’art. 1189 c.c., il pagamento al creditore apparente, altra norma che contiene in nuce il principio di apparenza del diritto: il debitore che paga a chi appare essere creditore, ma creditore non è, paga bene ed è liberato dalla propria obbligazione. Anche in questo caso, chi riceve il pagamento non è titolare effettivo del diritto di credito, appare solo essere titolare, la situazione di fatto non è conforme alla situazione di diritto, ma appare essere conforme. Anche in questo caso, l’ordinamento attribuisce prevalenza alla situazione di fatto che appare essere conforme alla situazione di diritto ma non lo è. Terza norma: l’acquisto a non domino ex artt. 1153 e 1159 c.c., secondo cui chi acquista da chi non è proprietario, ma appare esserlo, perché l’acquisto è effettuato in buona fede, acquista bene; chi vende non è titolare del diritto di proprietà, non è dominus, ma appare esserlo; l’acquisto a non domino, a determinate circostanze è un acquisto come se fosse a domino. Quarta norma: l’annotazione su libretto di risparmio effettuata dal funzionario apparente. Chi appare legittimato ad annotare sul libretto di risparmio presentato allo sportello, ma non è in realtà legittimato, è solo un apparente legittimato, nonostante ciò la annotazione sul libretto è valida, efficace e vincolante per la banca; di nuovo, si tratta di una situazione di fatto, contrastante con una situazione di diritto, che prevale sulla situazione di diritto. Dal complesso di queste norme, la giurisprudenza ha ricavato il principio di apparenza del diritto, principio che quindi consente di attribuire prevalenza alla situazione di fatto, apparentemente conforme, sulla situazione di diritto; in presenza di questa discrasia, tra situazione di fatto e situazione di diritto, in presenza di una apparente conformità della situazione di fatto alla situazione di diritto, opera il principio di apparenza del diritto, che attribuisce prevalenza alla situazione di fatto sulla situazione di diritto. Il principio di apparenza, che si fonda a livello normativo sulle norme poc’anzi citate, ha due perni, due cardini: il principio di auto-responsabilità e il principio di tutela del legittimo affidamento. Cosa vuol dire principio di auto-responsabilità? Il soggetto realmente titolare del diritto, se assume un comportamento colposo, tale da ingenerare nel terzo il legittimo affidamento che una situazione di fatto, pur non realmente conforme alla situazione di diritto, appare esserlo, poiché versa in stato di colpa, è chiamato a rispondere della situazione di fatto cui ha dato causa col suo comportamento colposo, quindi auto-responsabilità. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 17 L’altro principio cardine del principio dell’apparenza è il principio di tutela del legittimo affidamento: il soggetto, che a causa del comportamento del titolare del diritto, ha fatto affidamento legittimo, senza sua colpa nella conformità della situazione di fatto alla situazione di diritto, deve essere tutelato rispetto alla situazione di fatto, perché è sulla situazione di fatto che egli ha posto affidamento. - Condizioni di operatività del principio di apparenza. Apparenza pura ed apparenza colposa I problemi sono due: quando opera il principio di apparenza e quali sono le conseguenze dell’operatività del principio di apparenza. Partendo dal primo problema, l’apparenza del diritto opera in presenza, simultaneamente, di quattro presupposti, due di tipo oggettivo e due di tipo soggettivo. Primo presupposto oggettivo: deve sussistere uno iato tra fatto e diritto, deve sussistere una situazione di fatto non conforme alla situazione di diritto. Secondo presupposto oggettivo: la situazione di fatto, ancorchè non conforme alla situazione di diritto, deve essere assistita da elementi oggettivi e univoci, tali che qualsiasi uomo di media diligenza possa fare legittimo affidamento sulla conformità della situazione di fatto alla situazione di diritto. Terzo presupposto, soggettivo: è quello dal lato del soggetto che entra in contatto con la situazione di fatto. Il terzo, che entra in contatto con questa situazione di fatto, deve essere in buona fede, cioè deve avere un legittimo affidamento, circa la conformità della situazione di fatto alla situazione di diritto. Quarto presupposto soggettivo: questa volta dal lato del titolare del diritto. Il soggetto che è titolare del diritto deve porre in essere un comportamento colposo tale da ingenerare nel terzo il legittimo affidamento che la situazione di fatto è conforme alla situazione di diritto. La giurisprudenza distingue tra apparenza pura e apparenza colposa: l’apparenza pura è anche detta apparenza oggettiva, perché opera a prescindere dalla sussistenza dal quarto presupposto, dell’elemento soggettivo del comportamento colposo del titolare del diritto, al contrario dell’apparenza colposa, che opera solo al sussistere di tutti e quattro i presupposti. Quindi la prima postula uno stato di fatto non corrispondente ad uno stato di diritto e il ragionevole convincimento del terzo, derivante da errore scusabile, che la realtà di fatto rispecchi la realtà giuridica; la giurisprudenza riconduce a tale nozione la fattispecie del creditore apparente. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 18 La seconda implica, come in precedenza chiarito, un comportamento colposo, positivo o negativo, del soggetto nei cui confronti è invocata l’apparenza. Si pensi al caso del rappresentante apparente del creditore e, più in generale, alle situazioni non esplicitamente disciplinate dal legislatore. Questa distinzione è importante perché per l’operatività dell’apparenza pura non occorre il comportamento colposo del titolare del diritto, quindi si può fare ricorso a questo principio anche in mancanza di colpa del titolare del diritto. La giurisprudenza precisa al riguardo, che l’apparenza pura, oggettiva, opera solo in due fattispecie tipiche: l’erede apparente e il pagamento al creditore apparente; in tutti gli altri casi e quindi in tutte le ipotesi non disciplinate dal legislatore, in tutte le fattispecie atipiche, di apparenza del diritto, l’apparenza opera solo se sussistono tutti e quattro i presupposti esaminati. - Conseguenze applicative del principio di apparenza del diritto a) rappresentanza apparente Il rappresentante apparente si presenta al terzo contraente come legittimato alla rappresentanza, ma non lo è, perché il rappresentante non è munito del potere rappresentativo, non ha una valida ed efficace procura, non è legittimato ad agire in nome e per conto del rappresentante. Quindi la situazione di fatto non è conforme alla situazione di diritto perché il rappresentante sedicente non è munito di potere rappresentativo eppure agisce come se lo fosse. Il secondo presupposto è la spendita del nome altrui appare essere legittima, perché assistita da elementi oggettivi e univoci tali per cui qualunque terzo contraente di media diligenza, farebbe affidamento circa la titolarità del potere rappresentativo in capo al soggetto agente. Questo presupposto è speculare al secondo presupposto della apparenza del diritto: la rappresentanza apparente è un’ipotesi, una fattispecie di apparenza del diritto e quindi si configura quando sussistono tutti e quattro i presupposti dell’apparenza del diritto. Il terzo presupposto è quello soggettivo: la rappresentanza apparente si configura quando il terzo contraente è in buona fede, versando in stato di legittimo affidamento, fa affidamento legittimo sulla titolarità del potere rappresentativo, in capo al soggetto sedicente rappresentante. Quarto presupposto, lo pseudo-rappresentato, titolare del diritto, pone in essere un comportamento colposo, tale da ingenerare nel terzo contraente il legittimo affidamento circa la titolarità, in capo al sedicente rappresentante, del potere rappresentativo. Lo Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 19 pseudo-rappresentato, con il suo comportamento ingenera o contribuisce a ingenerare nel terzo contraente il legittimo affidamento che il rappresentante apparente sia un effettivo rappresentante. In presenza di questi quattro presupposti, il sedicente rappresentante, cioè il rappresentante privo del potere rappresentativo, diviene un rappresentante apparente. Su tali presupposto e sul problema della buona fede del terzo contraente, è intervenuta recentemente la Cass. sez. II, 22 luglio 2010, n. 17243, la quale ha risposto al quesito se la buona fede del terzo contraente è esclusa nell’ipotesi in cui il terzo contraente non richiede al sedicente rappresentante la giustificazione del potere rappresentativo. Questo problema si è posto perché l’art. 1393 c.c. prevede che il terzo contraente possa richiedere la giustificazione del potere rappresentativo, quindi si è affermato che se c’è la norma che prevede la richiesta del potere giustificativo, il terzo contraente che non richiede la giustificazione del potere rappresentativo, viola una norma di legge, violando una norma di legge pone in essere un comportamento colposo; quindi la mancata richiesta di giustificazione del potere rappresentativo, integra l’elemento costitutivo della colpa del terzo contraente, colpa che esclude il suo legittimo affidamento, che impedisce il configurarsi del terzo presupposto della rappresentanza apparente e quindi impedisce l’applicazione del principio di apparenza del diritto. La Cassazione, sul punto, ha precisato che l’art. 1393 c.c. non stabilisce un obbligo, un dovere di richiedere la giustificazione del potere rappresentativo, ma la norma prevede una facoltà: il terzo contraente, può, se ritiene, chiedere la giustificazione del potere rappresentativo; se non lo fa, non esercita una facoltà, ma non viola una norma di legge, quindi non versa in uno stato di colpa specifica. Quindi, la sola mancata richiesta di giustificazione del potere rappresentativo, non vale a escludere la buona fede del terzo contraente e dunque non vale da sola ad escludere l’applicazione del principio di apparenza del diritto. Occorre qualcosa di più, occorre la violazione, la colpa specifica, di un precetto espresso, ovvero una colpa generica, ma non la mancata, secca, richiesta di giustificazione del potere rappresentativo. Un’ipotesi in cui il terzo contraente versa in stato di colpa, quindi è esclusa l’operatività del principio di apparenza del diritto, è quando la rappresentanza risulta dai pubblici registri; se il potere rappresentativo risulta da un pubblico registro, il terzo contraente è sempre in stato di mala fede, perché deve conoscere e se non conosce, male fa a non conoscere, che il soggetto che agisce, sulla base del pubblico registro, non è titolare del potere rappresentativo. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 20 Altro intervento giursiprudenziale vi è stato sul quarto presupposto, ovvero il comportamento colposo del titolare del diritto. Il problema è: basta una mera condotta omissiva, l’inerzia, ovvero, tecnicamente detta, la tolleranza da parte dello pseudo-rappresentato, per configurare il quarto presupposto di operatività, cioè il comportamento colposo del titolare del diritto? Il problema si è posto in giurisprudenza, sempre nella stessa sentenza del 22 luglio 2010, in relazione alla seguente fattispecie. L’associazione Hare Krsna, tramite il suo presidente, sulla base di una delibera falsa, attributiva al presidente di un potere rappresentativo, effettua una donazione a favore di un’altra associazione; la donazione, è nota all’associazione donante, perché risulta dai bilanci del’associazione; ciononostante, l’associazione solo a distanza di due anni dall’effettuazione della donazione, impugna la donazione facendo valere il difetto di rappresentanza da parte del presidente, sulla base della falsità della delibera attributiva del potere rappresentativo. L’assemblea non ha deliberato e non ha conferito il potere rappresentativo, la delibera è falsa, quindi l’associazione donante, a distanza di due anni, chiede la nullità della donazione, per ottenere la restituzione di quanto donato. La Cassazione, nella fattispecie, ha rigettato la domanda, affermando che sussiste una situazione di fatto non conforme a situazione di diritto; sussistono presupposti oggettivi e univoci, perché il soggetto che ha effettuato la donazione è il presidente dell’associazione, è un soggetto qualificato, astrattamente legittimato. L’associazione che ha ricevuto la donazione da parte del presidente, la riceve sulla base di una delibera, quindi c’è buona fede dell’associazione che ha ricevuto la donazione e quindi sussiste anche il terzo presupposto. Quanto al quarto presupposto, l’associazione donante, che sapeva che era stata effettuata una donazione da parte del suo presidente e sapeva che il potere rappresentativo non era stato conferito su base di procura valida ed efficace, e ciononostante è rimasta inerte per oltre due anni, questo comportamento dell’associazione donante è sufficiente a configurare il quarto presupposto, il comportamento colposo del titolare del diritto? La risposta è affermativa. Si configura in questa ipotesi la cosiddetta rappresentanza tollerata; lo pseudorappresentato non conferisce il potere rappresentativo, ma sa che c’è un soggetto che sta spendendo il proprio nome e ciononostante non fa nulla per impedire la spendita del nome, tollerando il comportamento del rappresentante non munito di potere; tollerando quel comportamento è come se contribuisse a ingenerare nel terzo il legittimo affidamento che il rappresentante sia munito di poteri. L’inerzia dello pseudo-rappresentato, ove assistita, ove preceduta dalla conoscenza, è un comportamento colposo, sub specie di rappresentanza Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 21 tollerata, che si configura quando, in primo luogo, lo pseudo-rappresentato è a conoscenza della spendita del proprio nome, da parte di un soggetto non munito del potere rappresentativo; il secondo presupposto è che lo pseudo-rappresentato tollera la spendita del proprio nome da parte del soggetto non legittimato. Sussistono questi due presupposti, si configura quindi la cosiddetta rappresentanza tollerata, che è ipotesi di rappresentanza apparente. Quali conseguenze, derivano dall’operatività del principio di apparenza del diritto, nell’ipotesi specifica della rappresentanza? Cosa succede quando il rappresentante, non munito di poteri, il sedicente rappresentante, diviene un rappresentante apparente, perché sussistono tutti e quattro i presupposti, le condizioni di operatività del principio di apparenza? La conseguenza è che il contratto, stipulato dal rappresentante apparente, col terzo contraente di buona fede, è un contratto valido ed efficace nei confronti dello pseudorappresentato, il quale pur non avendo attribuito il potere rappresentativo e quindi pur non avendo voluto il contratto stipulato, dal rappresentante apparente, è vincolato a quel contratto; pur non essendo parte del contratto, stipulato tra rappresentante apparente e terzo contraente, lo pseudo-rappresentato diviene parte di quel contratto, è obbligato, è vincolato a quel contratto, sulla base dei principi generali del nostro ordinamento, quel contratto non potrebbe vincolare, lo pseudo-rappresentato è terzo e non parte del contratto. L’ordinamento giuridico, la giurisprudenza, allora, mediante il principio di apparenza, trasforma lo pseudo-rappresentato in parte sostanziale del contratto, pur non essendo parte del contratto, perchè non ha conferito il potere rappresentativo, il contratto stipulato tra soggetti terzi, in deroga al principio di relatività degli effetti del contratto, vincola lo pseudo-rappresentato, terzo astrattamente, rispetto al contratto, che diviene parte sulla base del principio di apparenza del diritto. Il che vuol dire che l’apparenza del diritto è fonte del diritto, è attraverso l’apparenza del diritto che il terzo pseudo-rappresentato diviene parte sostanziale del contratto, quindi l’apparenza del diritto diventa fonte del diritto, rientra tra gli altri fatti o atti idonei a produrre obbligazioni secondo l’ordinamento giuridico ex art. 1173, quindi l’apparenza del diritto è una fonte atipica del diritto, atipica nel senso che si applica ad una pluralità indeterminata di fattispecie e tipica quanto ai suoi presupposti, perché l’apparenza del diritto opera solo in presenza dei presupposti di cui abbiamo detto; ecco perché Sacco definisce l’apparenza del diritto la più importante regola civilistica. E nell’ipotesi in cui il sedicente rappresentante conclude, con il terzo contraente, un negozio per il quale la legge prevede la forma scritta ad substantiam? Se il sedicente rappresentante stipula un contratto a forma vincolata col terzo contraente, valgono le considerazioni fatte Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 22 poc’anzi? Il contratto stipulato dal sedicente rappresentante è valido ed efficace, è vincolante nei confronti dello pseudo-rappresentato? La risposta della Cassazione è negativa: Cass. sez. III, 12 febbraio 2010, n 3364: quando il contratto tra rappresentante non munito di poteri e il terzo contraente è un contratto con forma scritta ad substantiam, il terzo contraente non ha la facoltà di richiedere la giustificazione, ma ha, dice la Cassazione, un onere legale, il terzo contraente, in presenza di un contratto vincolato nella forma, ha l’onere di richiedere al rappresentante la giustificazione del potere rappresentativo, non la mera facoltà ex art. 1393, ma l’onere, con la conseguenza, che se il terzo contraente non richiede la giustificazione, del potere rappresentativo, il contratto stipulato col rappresentante sedicente non è un contratto stipulato col rappresentante apparente, perché il terzo contraente, violando l’onere legale, versa in stato di colpa, manca il terzo presupposto, soggettivo, della buona fede del terzo contraente. dunque mancherà il terzo presupposto di operatività del principio di apparenza del diritto, dunque il rappresentante sedicente non è un rappresentante apparente, quindi il contratto stipulato dal sedicente rappresentante, col terzo in stato di colpa per non aver richiesto la giustificazione dei poteri, non vincola lo pseudo-rappresentato. Quindi si nota la differenza tra quando opera e quando non opera l’apparenza del diritto: se l’apparenza opera, il contratto è valido ed efficace anche nei confronti dello pseudorappresentato; se non opera, il contratto non vincola lo pseudo-rappresentato. Ma vincola il sedicente rappresentante? Il contratto, stipulato tra sedicente rappresentante e il terzo contraente, che fine fa? Non vincola lo pseudo-rappresentato perché è terzo rispetto a quel contratto, secondo il principio generale di relatività degli effetti del contratto; non essendoci la procura, il contratto resta res inter alios acta, non opera l’apparenza del diritto che deroga alla relatività degli effetti del contratto, dunque lo pseudo-rappresentato non è vincolato dal contratto; ma è vincolato forse il rappresentante sedicente? No, perché il sedicente rappresentante non esprime la propria volontà; il contratto è l’accordo, quindi deve sussistere un incontro di volontà; il sedicente rappresentante non esprime la propria volontà, il proprio consenso al contratto, ma esprime la volontà di un altro, quindi il sedicente rappresentante non può essere vincolato al contratto, perché non ha manifestato il proprio consenso al contratto, non è parte sostanziale del contratto; il contratto, dunque, non vincola lo pseudo-rappresentato, non vincola il rappresentante sedicente; quindi il contratto è inefficace, non vincola nessuno. La Cassazione parla di nullità del contratto; lo fa in relazione alla forma ad substantiam. Ma il contratto, anche se non fosse nullo, sarebbe inefficace, perché non vincolerebbe nessuna delle parti, perché manca una parte in senso Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 23 sostanziale del contratto. E il terzo contraente, che ha stipulato un contratto inefficace, è tutelato? Il contratto non vincola il sedicente rappresentante, non vincola lo pseudo-rappresentato, il terzo contraente con chi può rivalersi? Il terzo contraente è in stato di colpa, male ha fatto a stipulare il contratto, non versa in stato di buona fede, quindi non può far valere neppure la responsabilità precontrattuale; il presupposto dell’art. 1338 è il legittimo affidamento del terzo contraente; se l’affidamento non è legittimo perché c’è colpa, il terzo contraente non ha un affidamento legittimo, dunque manca il presupposto della responsabilità precontrattuale, quindi non ha nessuna tutela. b) falsus procurator Che differenza c’è, tra il rappresentante apparente e il falsus procurator ex art. 1398 c.c.? Le due figure sembrano apparentemente sovrapporsi; l’art. 1398 c.c., già rubricato rappresentanza senza potere, fa riferimento all’ipotesi in cui il rappresentante non è munito di potere, quindi è un sedicente rappresentante; sussistono dei presupposti oggettivi e univoci, tali per cui il sedicente rappresentante pare essere un rappresentante, tanto che (terzo presupposto) sussiste la buona fede del terzo contraente, lo dice l’art. 1398, il terzo contraente fa affidamento sulla validità di quel contratto. Quindi sussistono i primi tre presupposti,; la differenza tra falsus procurator ex art. 1398 e rappresentante apparente è nel quarto presupposto: se oltre a sussistere lo iato, oltre a sussistere i presupposti oggettivi e oltre a sussistere la buona fede del terzo contraente, sussiste il comportamento colposo del titolare del diritto rappresentato, allora si configura l’apparenza del diritto. Il falsus procurator e la relativa disciplina, di cui vedremo i precipitati applicativi, si configura solo quando sussistono i primi tre presupposti, ma non sussiste il quarto presupposto: il titolare del diritto rappresentato non sa che c’è un soggetto che sta spendendo il proprio nome e non sapendolo, non può far nulla per impedire la spendita del proprio nome e quindi non gli può essere addebitato il comportamento del sedicente rappresentante, dunque non opera il principio di auto-responsabilità. Il precipitato applicativo lo specifica l’art. 1398: se il rappresentante senza potere, non è un rappresentante apparente, perché manca il quarto presupposto e quindi il sedicente rappresentante è un falsus procurator, il falsus procurator risponde del danno che il terzo in buona fede ha sofferto per aver fatto affidamento senza colpa sulla validità del contratto. Ciò vuol dire che il contratto stipulato dal falsus procurator è un contratto non vincolante per Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 24 lo pseudo-rappresentato: a differenza del contratto stipulato dal rappresentante apparente, che in virtù del comportamento colposo, del titolare del diritto, vincola quest’ultimo. Vincola il falsus procurator? No perché il falsus procurator non è una parte sostanziale del contrattoe non esprime la propria volontà: è un sedicente rappresentante che agisce senza potere, falsamente in nome e per conto di un altro, non è parte sostanziale del contratto. Qual è allora la sorte del contratto stipulato dal falsus procurator? Lo dice la legge, all’art. 1398: “…ha confidato nella validità…”, il contratto è invalido, secondo l’orientamento prevalente della dottrina. Se il contratto è invalido, ex art. 1399, interviene la ratifica dello pseudo-rappresentato, il quale non ha conferito il potere rappresentativo e non ha posto in essere un comportamento colposo, quindi non è parte del contratto, non lo vincola, tuttavia lo pseudo-rappresentato può aderire, ratificando il contratto stipulato dal falsus procurator; in questo caso, la ratifica che natura giuridica assume? È un negozio di convalida di un contratto invalido; la giurisprudenza invece ritiene che il contratto stipulato dal falsus procurator, non sia un contratto invalido, ma sia un contratto inefficace. Il contratto stipulato dal falsus procurator non vincola nessuno, quindi ha la caratteristica di essere inefficace; questa la posizione netta e chiara della giurisprudenza: il contratto stipulato dal rappresentante apparente, vincola ed è efficace nei confronti dello lo pseudorappresentato, il contratto stipulato dal falsus procurator è un contratto inefficace, che non vincola nessuno. Se interviene la ratifica, in questa prospettiva della giurisprudenza, dello pseudorappresentato, che natura giuridica ha questa ratifica? È una condizione sopravvenuta di efficacia del contratto. Il contratto è inefficace, la ratifica costituisce condizione sopravvenuta di efficacia del contratto; diamo conto, al fine di completezza, di una terza posizione, della dottrina minoritaria, secondo cui il contratto stipulato dal falsus procurator è un contratto perfetto, che però non vincola il lo pseudo-rappresentato; è efficace per il terzo contraente ed è inefficace per lo pseudo-rappresentato, è un contratto che ha due diverse operatività. Si tratta di una sorta di contratto claudicante, operativo per un verso, non operativo per un altro verso, opinione difficilmente condivisibile. In questa prospettiva, la ratifica dello pseudo-rappresentato è qualificata come elemento costitutivo sopravvenuto, di un contratto già concluso. Lo pseudo-rappresentato, ratificando il contratto, sta esprimendo il proprio consenso al contratto; il consenso è elemento costitutivo di un contratto già concluso; ma se il consenso è elemento costitutivo, come fa il contratto ad essere già perfetto? Si tratta di una posizione difficilmente condivisibile. Quindi, il contratto stipulato dal falsus procurator, orientamento della giurisprudenza, cui rimaniamo ancorati, è un contratto inefficace; non vincola lo pseudo-rappresentato, non Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 25 vincola il falsus procurator, è un contratto inefficace che non vincola nessuno; il terzo contraente non è tutelato? Qual è, se c’è, una tutela che l’ordinamento può apprestare a favore del terzo contraente? Abbiamo detto che il falsus procurator, pur non essendo rappresentante apparente, in che animus versa? In buona fede; è un soggetto che versa in buona fede, che fa legittimo affidamento sulla validità ed efficacia del contratto; se il contratto è inefficace e il terzo contraente versa in buona fede, il rimedio è quello della responsabilità precontrattuale ex art. 1338 c.c.: il terzo contraente ha fatto affidamento, senza colpa, nell’efficacia del contratto; se il contratto è inefficace, risponderà il soggetto che ha fatto credere che il contratto era efficace, cioè il falsus procurator, il quale risponderà a titolo di responsabilità precontrattuale, che abbiamo visto essere una responsabilità di tipo extracontrattuale, con tutti gli oneri che ne derivano in termini di prova. Il danno risarcibile sarà l’interesse negativo, ex art. 1338, cioè il danno sofferto da stipulazione inutile, il tempo perso, le spese sostenute, le occasioni alternative mancate. c)- Il pagamento al creditore apparente. Ai sensi dell’art. 1189 c.c. il debitore che esegue il pagamento a chi appare legittimato a riceverlo in base a circostanze univoche, è liberato se prova di essere stato in buona fede. Presupposti affinché possa verificarsi l’effetto liberatorio sono l’apparenza della legittimazione in capo al ricevente e la buona fede del debitore. L’art. 1242 del codice del 1865 considerava valido il pagamento eseguito in favore “di chi si trova in possesso del credito”, restringendo notevolmente l’ambito di applicazione della norma e conferendole principalmente carattere possessorio. Secondo l’interpretazione dell’epoca, si faceva riferimento alla situazione di colui che si trovava in possesso dei documenti giustificativi del credito ricevuti a titolo di successione mortis causa . Per quanto concerne l’apparenza, si è rilevato il contrasto tra l’art. 1189 c.c. e l’art. 1188 c.c., dai quali emerge la contrapposizione tra “creditore apparente” e “chi appare legittimato a ricevere”. La dottrina dominante ha chiarito che il legittimato apparente non è un legittimato a ricevere: la liberazione del debitore non dipende dalla posizione giuridica del ricevente, ma dall’errore dell’adempiente che confida in una posizione esistente. L’apparenza della legittimazione rileva solo in quanto idonea a suscitare il ragionevole affidamento del debitore di pagare al vero destinatario dell’adempimento. La questione è stata sollevata in ordine alla particolare ipotesi del pagamento effettuato al rappresentante apparente del creditore, il c.d. falsus procurator. La soluzione della questione dipende dall’interpretazione della locuzione “chi appare legittimato a ricevere”. Nel caso in cui si propenda per un’interpretazione estensiva, anche Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 26 la regolamentazione del pagamento nei confronti del falsus procurator sarà riconducibile all’art. 1189 c.c.; ove si accolga l’interpretazione restrittiva, troverà applicazione l’art. 1188 c.c.. L’orientamento prevalente, sia in dottrina che in giurisprudenza, è favorevole all’applicazione dell’art. 1189 c.c., facendo leva sull’esistenza di un rapporto di occasionalità necessaria tra le incombenze dell’accipiens e il comportamento del solvens, che abbia fatto ragionevole affidamento sull’apparenza del potere rappresentativo. In tale evenienza ed anche ove vi siano stati precedenti di pagamenti fatti al falsus procurator andati a buon fine, l’apparenza deve essere causata da circostanze univoche e concordanti, obiettive, certe e incontroverse. Di opposto avviso è la giurisprudenza che ravvisa nei precedenti pagamenti andati a buon fine elementi idonei ad ingenerare l’affidamento: una recente pronuncia di un tribunale di merito ha sancito che “elementi idonei ad ingenerare l’affidamento del debitore di buona fede possono essere desunti in via presuntiva anche dal fatto che precedenti, ripetuti pagamenti, tutti andati a buon fine, siano stati eseguiti per il tramite della stessa persona senza che il creditore abbia mai mosso rilievi circa la loro regolarità” . Secondo la giurisprudenza, il concetto di apparenza si riferisce ad una non corrispondenza tra stato di fatto e stato di diritto, accompagnata dal ragionevole convincimento del solvens che il primo rispecchi il secondo, per causa a lui non imputabile (errore scusabile). L’ordinamento tutela l’affidamento incolpevole del terzo, che tenga un comportamento rispondente ad una situazione giuridica che appaia tale, ma non sia corrispondente alla realtà di fatto, rendendo irrilevante l’errore (incolpevole) in cui sia incorso. Elementi essenziali sono pertanto la buona fede del terzo e la ragionevolezza dell’affidamento. Quanto alla buona fede, rileva il c.d. status soggettivo del solvens che inerisce il procedimento di identificazione del creditore. Un primo orientamento considera sufficiente il solo errore scusabile del solvens, che abbia ragionevolmente ipotizzato di entrare in rapporto con il vero creditore. Un secondo, più risalente nel tempo, si fonda sulla necessaria presenza del comportamento colposo del creditore quale causa generatrice dell’errore scusabile delsolvens. Nel caso in cui il debitore abbia pagato a mezzo di persona da lui incaricata, deve escludersi che il debitore possa giovarsi della buona fede di costui, quando egli non sarebbe Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 27 caduto in errore se avesse eseguito personalmente il pagamento, in quanto il debitore non può riversare sul creditore i rischi di un esito negativo dell’utilizzazione del terzo per il proprio interesse. I più recenti arresti giurisprudenziali hanno tentato di offrire soluzione ai numerosi dubbi sorti in relazione al pagamento effettuato al creditore apparente. In particolare, si è ritenuto che l’art. 1189 c.c. non si riferisca esclusivamente al pagamento effettuato direttamente al creditore apparente, ma a tutte quelle persone che appaiono autorizzate a ricevere la prestazione; tale tesi fa leva sul collegamento sistematico con l’art. 1188 c.c.. Pur se l’art. 1189 c.c. è rubricato “pagamento al creditore apparente”, la lettera del testo (“a chi appare legittimato a riceverlo”) e la ratio della norma (volta a tutelare la buona fede, che viene richiesta in chi esegue il pagamento) rendono palese che il legislatore ha inteso far riferimento ad un concetto più ampio di quello indicato nella rubrica, tanto da ricomprendere chiunque appaia legittimato a ricevere il pagamento ex art. 1188, comma 1, c.c.(il pagamento deve essere fatto al creditore o al suo rappresentante, ovvero alla persona indicata dal creditore o autorizzata dalla legge o dal giudice a riceverlo). In conclusione, effetto del pagamento al creditore apparente è la liberazione del debitore che conserva il diritto alla controprestazione (art. 1189 c.c.). Il principio dell’apparenza del diritto, che mira alla tutela della buona fede dei terzi, trova applicazione quando concorrono le due condizioni costituite dallo stato di fatto non corrispondente alla situazione di diritto e dal convincimento del terzo, derivante da errore scusabile, che lo stato di fatto rispecchi la realtà giuridica. Partendo da tale principio i giudici di piazza Cavour hanno specificato che “occorre procedere all’indagine, da compiersi caso per caso, non solo sulla buona fede del terzo, ma anche sulla ragionevolezza dell’affidamento il quale, perciò, non può essere invocato da chi ad esempio, versi in una situazione di colpa, riconducibile alla negligenza, per aver trascurato l’obbligo di accertarsi della realtà delle cose, facilmente controllabile e per essersi affidato alla mera apparenza. Tale indagine coinvolge perciò una mera quaestio facti, le cui conclusioni non sono censurabili nel giudizio di legittimità, ove si fondino su argomentazioni logiche e prive di contraddizioni” . L’onere di provare la ricorrenza delle condizioni appena descritte incombe sul debitore. Tuttavia, la buona fede di quest’ultimo si presume ai sensi dell’art. 1147 c.c., poiché incombe sul creditore, che contesti l’efficacia del pagamento, provare che il debitore ha agito con colpa. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 28 In dottrina, al contrario, si è osservato che graverebbe sul solvens, che invochi l’apparenza, la prova della propria buona fede, che potrebbe in concreto presumersi in base alla scusabilità dell’errore, consistente nell’oggettiva idoneità delle circostanze a trarre in inganno circa l’identità del soggetto legittimato a ricevere il pagamento . Da quanto detto si può rilevare la differenza con il caso di pagamento al rappresentante apparente del creditore, c.d. falsus procurator, in cui l’effetto liberatorio per il debitore è, secondo la prevalente giurisprudenza, legato all’accertamento di un quid pluris: l’apparenza deve essere giustificata da circostanze univoche e concordanti imputabili al comportamento del creditore, il quale con la sua condotta ha determinato o concorso a determinare l’errore del solvens in buona fede circa la effettività dei poteri dell’accipiens. Secondo tale orientamento, il debitore che invochi il principio dell’apparenza giuridica dovrebbe fornire la prova non solo di aver confidato senza sua colpa nella situazione apparente, ma anche che il proprio erroneo convincimento è stato indotto da un comportamento colposo del creditore. A norma dell’art. 1189, comma 3 c.c., il creditore c.d. “vero” può agire per la restituzione di quanto pagato nei confronti dell’apparente legittimato, facendo ricorso alla disciplina in materia di indebito. d) L’erede apparente L'erede apparente è colui il quale sia apparso ai terzi come erede in base a qualche indizio oggettivo attendibile sulla base del quale il terzo è stato determinato ad avere rapporti giuridici con lui. La nozione di erede apparente non (sempre) coincide con quella di convenuto nell'azione di petizione ereditaria perché la nozione di erede apparente non sempre presuppone che il soggetto sia in possesso dei beni ereditari, quanto piuttosto la presenza di una situazione o di manifestazioni esteriori tali da indurre i terzi a ritenere che ad un dato soggetto è attribuibile la qualifica di erede di quei beni. In sostanza la nozione di erede apparente è collegata all'esistenza di una situazione esteriore che sia obiettivamente idonea a generare nei terzi la convinzione (l’errore) di trovarsi di fronte all'”erede vero”. L'articolo 534 al 1° comma prevede la tutela dell'erede nei confronti degli aventi causa dal possessore. L'azione di petizione intentata dall'erede effettivo può essere esercitata anche nei confronti degli aventi causa dell'erede apparente che sia stato anche possessore e sia figurato come erede apparente. L’avente avente causa dal possessore, in caso di condanna, ha l'obbligo di restituire all’erede effettivo il bene che si considererà a come mai uscito dal patrimonio ereditario. Il 2° comma dell'articolo 534 invece introduce una deroga a Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 29 quanto stabilito al primo comma, affermando la salvezza degli acquisti onerosi dall’erede apparente fatti a titolo oneroso e in buona fede dal terzo. Si tratta di acquisti che si sottraggono all'azione di petizione e al conseguente obbligo di restituzione quando sussistono alcune condizioni: - acquisto da chi per particolari circostanze obiettive pareva essere erede vero; - l'esistenza di una convenzione a titolo oneroso sulla considerazione che il testo subacquirente cerchi di evitare un danno; - La buona fede del terzo che abbia creduto per errore scusabile di contrarre con l'erede effettivo. In questo caso la buona fede però non è presunta (non si applica la regola di cui all'art. 1147 ccc. secondo cui la buona fede si presume), ma deve essere provata dal terzo perché costituisce un elemento costitutivo del valido acquisto. Non ha importanza che l'erede apparente abbia o non abbia un titolo, non ha rilevanza nemmeno la sua buona o mala fede. È decisiva solo la buona fede dell'acquirente [Trib. Bologna Sez. IV, 30/08/2004, Cass. civ., Sez. III, 24/06/2003, n.10014]. - nelle ipotesi in cui l'acquisto del terzo riguardi beni immobili o mobili registrati (art. 534, 3° comma) si applicano i principi della pubblicità immobiliare (è richiesta la doppia trascrizione). Si vuole che il terzo sia diligente e verifichi, consultando i pubblici registri, la legittimazione dell'alienante: perciò l'acquisto dell’avente causa dall'erede apparente è fatto salvo soltanto se l'acquisto a titolo di erede (da parte dell'erede apparente) e il successivo trasferimento dall'erede apparente al terzo sono stati trascritti anteriormente alla trascrizione dell'acquisto da parte del vero erede o del vero legatario, oppure anteriormente alla trascrizione della domanda giudiziale di petizione dell'eredità contro l'erede apparente. In ogni caso la buona o mala fede dell’erede apparente potrebbe avere una qualche rilevanza. Infatti qualora l’erede apparente sia in buona fede troverà applicazione il 2° comma dell’art. 535 c.c. e l’erede apparente dovrà restituire all’erede vero il corrispettivo ricevuto o, se questo deve essere ancora corrisposto, l’erede vero subentrerà nel diritto di conseguirlo. Nel caso in cui, invece l’erede apparente sia in mala fede si ritiene in dottrina che debba essere analogicamente applicato l’art. 2039 c.c. 2° comma, e pertanto l’erede apparente sarà obbligato a restituire la cosa in natura o a corrispondere il valore, oltre naturalmente a risarcire il danno. Non è configurabile un legatario apparente, ma non perché la vicenda, in tal caso, si esaurisce nel rapporto con un singolo bene o complesso di beni, potendo anche tale rapporto, in teoria, rilevare, quanto perché l'articolo 534 c.c. è norma eccezionale e non speciale, insuscettibile di estensione (Gazzoni). In tali casi l'erede Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 30 vero ha diritto soltanto ad ottenere il prezzo o il corrispettivo ricevuto dal possessore medesimo. Le ragioni di questa disciplina particolare, che sacrifica i diritti dell’erede in favore di quelli dei terzi e della certezza dei rapporti giuridici, costituisce un'eccezione rispetto alla tutela dell'erede nei confronti dei terzi ed in particolare nei confronti dell'avente causa dal possessore o dall'erede apparente si giustificano considerando che nella pratica sussistono difficoltà di verificare con certezza la qualità di erede, poiché per es. può essere erede apparente anche l'erede legittimo quando si scopre successivamente un testamento che istituisca erede un altro soggetto. In tali casi si dovrebbe poter escludere che il de cuius abbia fatto testamento o abbia fatto ulteriori testamenti (dato che il testatore può sempre modificare o revocare il testamento precedente), oppure che abbia altri parenti legittimi o figli naturali, eccetera. Se il legislatore non avesse ritenuto opportuno anche per facilitare la circolazione dei beni, tutelare gli aventi causa dall'erede apparente, nessuno acquisterebbe mai beni provenienti eredità per non correre il rischio di se doverli restituire. L'art. 534 cod.civ. al II comma prevede che sono salvi i diritti acquistati, per effetto di convenzione a titolo oneroso con l'erede apparente, dai terzi i quali provino di avere contrattato in buona fede. Deve esser svolta una precisazione relativamente all'espressione dell'art. 534 cod.civ. che fa menzione delle "convenzioni" poste in essere dall'erede apparente. Si reputa infatti che possano valere anche semplici atti unilaterali, sempreché si tratti di atti a titolo oneroso. Si pensi all'atto di concessione di ipoteca volontaria su un bene del de cuius. Proprio in relazione a detta specie di atto, è stata decisa la prevalenza del diritto del creditore ipotecario in buona fede avente causa dall'erede (apparente rispetto alla proprietà piena) rispetto al coniuge del defunto, legatario ex lege ai sensi del II comma dell'art. 540 cod.civ., anche se quest'ultimo soggetto non tanto si può reputare avente causa dall'erede, quanto dal de cuius (Cass. Civ. Sez. III, 10014/03 ; molto più scontata invece è la ritenuta prevalenza del creditore ipotecario sul legatario del diritto di abitazione quando il primo abbia conseguito il proprio diritto di garanzia dal de cuius cfr. Cass. Civ. Sez. III, 463/09 ). Giova anzitutto rilevare che l'apparenza dell'erede non postula il possesso dei beni ereditari, bensì una situazione esteriore idonea ad ingenerare nei terzi la ragionevole opinione di esser di fronte all'erede effettivo. Volendo operare una similitudine che si riferisca ad altre discipline giuridiche, si potrebbe fare riferimento alla figura del funzionario di fatto nel diritto amministrativo. Nel caso che ci occupa, colui che acquista dal terzo deve non soltanto provare l'elemento soggettivo della buona fede, bensì anche dar conto dell'elemento oggettivo costituito dalla struttura della fattispecie idonea a far sorgere nella collettività l'opinione che il proprio dante causa possedesse le caratteristiche di cui al 534 Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 31 cod.civ. : che cioè, in base all'oggettività della situazione fattuale, chiunque avrebbe potuto esser tratto in inganno dall'apparenza. La fattispecie è del tutto peculiare: si tratta dell'unica figura di acquisto a non domino fondata su una situazione di apparenza in senso tecnico. La qualità di terzo di chi acquista dall'erede apparente non è qualificata(come invece accade nelle altre ipotesi di acquisto non fondate sul possesso) da un rapporto dell'alienante (il non dominus ) con il titolare vero del diritto, ma è piuttosto qualificata in forza di una apparente successione dell'alienante rispetto al de cuius. Qui si tratta di apparenza vera: fonte cioè di un possibile errore collettivo che si materializza nell'errore individuale dell'avente causa dall'erede apparente Questo significa propriamente la buona fede di chi acquista: che costui è caduto in un errore scusabile in quanto la situazione era oggettivamente ingannevole. Il requisito è duplice: decettività oggettiva e errore soggettivo. L'onere della prova di entrambi i componenti della fattispecie acquisitiva incombe ex art. 534 cod.civ. su colui che pretende di far valere l'acquisto. In base a tale ultima disposizione viene prevista una tutela aggiuntiva per colui che avesse acquistato un diritto dall'apparente erede, anche a titolo gratuito, qualora la domanda giudiziale volta a contestarne il fondamento fosse stata proposta successivamente al decorso di cinque anni a far tempo dalla data dell'acquisto. Questa ulteriore ipotesi acquisitiva sarà oggetto di specifica analisi in tema di acquisto dal legatario apparente, fattispecie qualificata da presupposti del tutto analoghi. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 32 III) Il principio dell'apparenza del diritto nei rapporti condominiali di Alessia Canaccini Si è discusso dell'applicabilità del principio di apparenza anche in relazione ai rapporti obbligatori tra il condominio e i condomini. Per comprende appieno i termini del problema e come il problema stesso si possa risolvere, è opportuno partire dal dato normativo. Sulla ripartizione delle spese l'art.1123, comma 1, c.c. dispone che :" Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione". Tuttavia in caso di compravendita di un immobile in condominio, l'art. 63 disp.di att. al c.c. prescrive che "chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato, solidalmente con questo, al pagamento dei contributi relativi all'anno in corso e a quello precedente". Qualora il nuovo condomino e il vecchio restino inadempienti sulle spese, si tratta di stabilire se l’amministratore possa agire solo nei confronti del reale condomino oppure possa farlo anche nei confronti del condomino apparente. Sulla questione si sono formati in Giurisprudenza due orientamenti, rispettivamente l'uno favorevole e l'altro contrario. L'orientamento favorevole di cui è emblematica la pronuncia Cass. 20 marzo 1999, n. 2617, sostiene che il principio di apparenza, ammesso espressamente in alcuni casi- ad es. art. 1189, co1, cc. secondo cui “ il debitore che esegue il pagamento a chi appare legittimato a ricevere in base a circostanze univoche, è liberato se prova di essere stato in buona fede”- e solo implicitamente in altri- obbligazioni assunte da soci di società apparente- sia stato poi esteso a tutti quei casi in cui il terzo, senza sua colpa sia stato indotto a confidare nella perfetta corrispondenza tra ciò che appare e ciò che è. Del resto il principio in esame non è estraneo alla materia dei diritti reali, se si considera la struttura del possesso. In merito al rapporto tra la pubblicità e l’apparenza, questo orientamento sostiene che non vi sia inconciliabilità, perché è ammesso che sulla pubblicità << possa venire a innestarsi una situazione derivata che, nel complesso dei suoi elementi costitutivi, consenta di ravvisare l’esistenza di circostanze idonee a generare legittimo convincimento del terzo di essere entrato in rapporto con l’avente diritto>> ( Cass.S.U. 5035/2002). Da una parte la fattispecie dell’apparenza richiede l’elemento oggettivo di una situazione di fatto con contenuto corrispondente alla situazione di diritto, oltre alla buona fede del terzo, dall’altra parte quando la pubblicità è imposta, impedisce che vi sia la buona fede del terzo. Tuttavia è opportuno distinguere l’ipotesi in cui vi sia un rapporto diretto, da quella in cui vi sia un rapporto mediato tra pubblicità e situazione giuridica per la quale si invoca l’applicazione Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 33 del principio di apparenza. Se il legame è diretto, la pubblicità ha ad oggetto proprio la situazione giuridica rispetto alla quale si invoca l’applicazione dell’apparenza. In questo caso il principio non potrà essere applicato, perché la pubblicità rende nota la posizione giuridica cui si riferisce. Invece nel caso di rapporto mediato, è chiaro che oggetto di pubblicità non è proprio il diritto rispetto al quale si invoca l’apparenza, bensì una situazione giuridica legata ad esso. Per questo tipo di rapporto la verifica delle risultanze dei pubblici registri non ha lo scopo di accertamento. Dunque tale verifica può essere realizzata per prudenza, ma non può essere imposta. La dottrina favorevole all’applicabilità dell’apparenza al condominio ritiene che si tratti di un canone generale applicabile per analogia. Quanto al sistema di pubblicità, data la sua eccessiva rigidità, l’apparenza è considerata necessaria per ridurre i formalismi del regime di pubblicità, per la tutela della certezza del diritto. In questo senso, a fronte del mancato controllo nei pubblici registri da parte dell’amministratore, l’apparenza può essere fatta valere se non vi è corrispondenza tra la situazione di fatto e le risultanze, ove la situazione apparente sia solo il presupposto di una fattispecie complessa, diretta a giustificare l’errore del terzo di buona fede. Quindi gli oneri condominiali sono connessi col diritto di proprietà, ma è evidente che su di essi non si troverà attestazione sui registri immobiliari. Altra giurisprudenza, di segno opposto, tra cui si ricorda Cass.8 luglio 1998, n. 6653, affermava che solo il proprietario vero della porzione dell’immobile potesse essere legittimato passivo, perché non sussistevano le condizioni richieste per l’operare del principio di apparenza. Tale principio è diretto a tutelare l’affidamento incolpevole del terzo: il terzo ha fatto affidamento su una situazione non esistente nella realtà, ma solo in apparenza, alla quale l’ordinamento non potrebbe ricollegare alcun effetto giuridico - proprio perché non si tratta di una situazione giuridica reale – se non operasse il principio di apparenza, con conseguente grave pregiudizio per le ragioni del terzo incolpevole. Nel rapporto tra condominio e condomino non si ha esigenza di tutelare un incolpevole affidamento del condominio, non solo perché il condominio non è terzo, ma anche perché a differenza dei casi classici di applicazione del principio di apparenza- si pensi ad esempio al rappresentante apparentenon occorre collegare alcun effetto giuridico ad una situazione apparente, laddove sussiste un vero e proprio rapporto giuridico tra condominio e vero condomino, non influenzabile dal comportamento di nessuno, neppure di chi appare come condomino. Sul punto è giusto evidenziare che mentre nelle ipotesi classiche di apparenza (rappresentante apparente e società apparente) non esiste un rapporto giuridico e l’unico modo per dare tutela all’affidamento e alla buona fede del terzo è attribuire rilevanza giuridica alla situazione apparente, nella fattispecie di condomino apparente esiste un rapporto giuridico effettivo. Dunque applicare il principio di apparenza in questo caso significherebbe disconoscere il Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 34 rapporto reale sussistente per riconoscere un rapporto apparente, del medesimo contenuto, senza una effettiva esigenza di tutela di un terzo, solo perché l’amministratore ha agito nei confronti di chi non era condomino. Un’ipotesi particolare nella quale potrebbe verificarsi una confusione tra il dato reale e quello apparente è contemplata dall’art. 10, co.1 e 2, L.392/78, secondo cui : “il conduttore ha diritto di voto, in luogo del proprietario dell’appartamento locato, nelle delibere relative alle spese e alle modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d’aria. Egli ha inoltre diritto di intervenire, senza diritto di voto, sulle delibere relative alla modificazione degli altri servizi comuni.” Invero nel prevedere il diritto di voto e di partecipazione del conduttore il legislatore non ha assolutamente previsto la legittimazione passiva dello stesso rispetto al pagamento delle spese condominiali, ammissibile solo in caso di accollo esterno del conduttore con accordo dell’amministratore. Contro l’applicazione del principio di apparenza nei rapporti condominiali si è espressa anche parte della dottrina. In primo luogo si è esclusa l’operatività del suddetto principio nei casi in cui sia previsto un regime di pubblicità costitutiva, ad probationem oppure di semplice notizia. Se esiste un sistema di pubblicità è chiaro che il terzo può verificare quale sia la situazione giuridica reale su cui fare affidamento. Pubblicità e apparenza risultano dunque complementari, perché dirette alla tutela del terzo di buona fede, eppure incompatibili, nel senso che ove sia previsto un regime di pubblicità, l’operatività dell’apparenza non sarebbe giustificata da esigenze meritevoli di tutela. Più precisamente la pubblicità può essere considerata come un limite all’apparenza: se la situazione di fatto risulta in contrasto con quanto attestato dai pubblici registri, non è possibile invocare il principio dell’apparenza e prevale la pubblicità. Con la pronuncia a Sezioni Unite n. 5035 del 8 aprile 2002 il Supremo Collegio ha statuito che legittimato passivo rispetto al ricorso per il recupero delle spese condominiali non corrisposte non sia chi appare, ma chi è proprietario della porzione di immobile, in virtù di idoneo titolo di acquisto. Le ragioni a fondamento di tale ricostruzione sono essenzialmente due: il proprium del principio di apparenza e l’interpretazione degli artt. 1123 cc e 63 disp.di att. cc., in caso di iniziativa processuale dell’amministratore. Quanto al principio di apparenza è stato precisato che è diretto alla tutela dell’affidamento incolpevole del terzo, purchè in buona fede in ordine alla corrispondenza tra situazione apparente e situazione reale. Sennonchè il condominio non è terzo rispetto al condomino ed anzi si crea un rapporto obbligatorio in cui il condominio si pone come ente di gestione. Quindi non nasce alcuna esigenza di tutela di affidamento incolpevole del condominio rispetto ad una situazione apparente. Più precisamente proprio perché tra il condominio e il condomino esiste un rapporto, non è necessario che l’ordinamento ricolleghi sulla base del Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 35 principio di apparenza effetti giuridici ad una situazione apparente con l’intento di tutelare il terzo che, senza sua colpa, aveva confidato sull’esistenza e sulla validità del rapporto tra condomino e condominio. L’interpretazione dell’art. 63 disp.di att.cc., fatta propria dalla Suprema Corte, evidenzia che il pagamento dei contributi da parte del condomino apparente in ipotesi non contenziosa risponde ad esigenze di celerità prevalenti sui doveri di informazione e di correttezza da parte del condomino apparente nei confronti del condominio, oltrechè sul dovere di consultazione dei registri immobiliari da parte dell’amministratore. A questo proposito si ribadisce che non è previsto alcun dovere dell’amministratore di consultare i pubblici registri immobiliari, evitando così aggravi economici per la sua gestione. In ogni caso il pagamento del condomino apparente può essere spiegato come adempimento del terzo, ai sensi dell’art. 1180 cc. Se invece occorre un’azione giudiziale per il recupero delle spese condominiali, è esclusa l’applicazione del principio di apparenza, che è solo sostanziale, ma sarà necessario agire sulla base di presupposti processuali, come appunto la legittimazione passiva, strettamente ancorati alla realtà. In questo senso qualora l’amministratore di condominio agisca in giudizio sia per ragioni di prudenza sia per il rispetto delle disposizioni sulla tutela del credito, è necessario che l’amministratore stesso verifichi preliminarmente chi sia il vero condomino obbligato, anche consultando i registri immobiliari. Tale dovere prevale su quello di correttezza ed informazione proprio del condomino. Del resto anche su un piano pratico è più conveniente per l’amministratore aggredire il patrimonio del condomino reale giacchè, se egli agisse nei confronti del condomino apparente, correrebbe il rischio di non potere soddisfare il proprio credito, nel caso in cui quest’ultimo non abbia ulteriori beni nel proprio patrimonio. Peraltro la disciplina di cui agli artt. 1123 cc. e 63 disp.att.cc. a come scopo non solo garantire celerità nel pagamento delle spese comuni, ma anche rafforzare la garanzia di soddisfacimento del credito nell’interesse della gestione condominiale. A seguito della pronuncia delle S.U. n.5035 del 2002 la giurisprudenza di legittimità si è assestata sulla tesi dell’inammissibilità dell’apparenza nei rapporti tra condominio e condomini. Anche di recente questo orientamento è stato confermato, ex multis Cass. 9 febbraio 2005 n. 2616, che ribadisce la completa irrilevanza di tutte quelle circostanze fattuali che vengono comunemente invocate a sostegno della fondatezza della pretesa creditoria fatta valere nei confronti del condomino c.d. «apparente», in quanto non proprietario di un'unità immobiliare sita nell'edificio. Come comportamento concludente della qualità di condomino, insussistente però in diritto, ma comportante l'incolpevole affidamento del condominio vengono invocate ad esempio le seguenti circostanze: partecipazione alla formazione delle deliberazioni assembleari, direttamente o a mezzo delega, pagamento continuativo delle bollette condominiali afferenti una determinata Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 36 unità immobiliare, mancata comunicazione all'amministratore del condominio del trasferimento di proprietà della singola unità immobiliare, eventualmente imposta dal regolamento condominiale, inesistenza di un obbligo specifico di consultazione dei registri immobiliari ovvero di un accertamento delle «autoqualificazioni» dei partecipanti alle assemblee condominiali e per le quali dovrebbe riconoscersi una sorta di autoresponsabilità. La pronuncia precisa, molto opportunamente, che la inconfigurabilità del principio dell'apparenza del diritto nel condominio, in ragione della insussistenza di una relazione di terzietà tra il condomino e il condominio, comporta la necessità dell'esatta individuazione del condomino effettivo, non solo nella fase di recupero delle quote condominiali, ma anche nella precedente fase di convocazione dell'assemblea condominiale. L’applicazione del principio di apparenza si è ipotizzata anche in caso di omessa convocazione del condomino effettivo. In materia, la Suprema Corte a S.U., con sentenza del 7 marzo 2005, n. 4806, ha statuito che: nonostante la maggiore stabilità assicurata alle deliberazioni condominiali dalla configurazione del vizio di annullabilità, invece di nullità, per l'omessa convocazione del condomino effettivo, il condomino effettivo che non riceva l'avviso di convocazione, potrà sempre impugnare le deliberazioni entro il termine di trenta giorni previsto dall'art. 1137 c.c., dalla data della comunicazione della delibera, in quanto da ritenersi «assente». L'indirizzo giurisprudenziale dell'inapplicabilità del principio dell'apparenza del diritto nei rapporti condominiali ha, comunque, sottolineato, in relazione alla palese ingiustizia di tale rigoroso orientamento ermeneutico, che «il fatto che il condominio, per errore determinato da un comportamento altrui, possa avere intrapreso una iniziativa giudiziaria, può rilevare ad altri effetti e determinare semmai altre responsabilità ed in altre direzioni» (Cass. 27 giugno 1994 n. 6187, Tale osservazione, scarsamente considerata dagli interpreti, risulta densa di significati e può rivelarsi compensativa dell'ingiusto pregiudizio causato alla gestione condominiale da un comportamento quantomeno non corretto se non dolosamente preordinato congiuntamente al condomino effettivo per la sua liberazione dall'obbligazione alla quale non può sottrarsi. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 37 IV) Il ruolo dell'apparentia iuris nell'istituto del mandato e della simulazione di Samantha Mendicino Si è già avuto ampiamente modo di precisare come l'apparenza del diritto rappresenti l'esito di un intervento, quasi necessitato, dell'ordinamento giuridico il quale, in determinate e particolari situazioni di incertezza8, agisce valutando il fatto apparente al pari di un evento reale a tutela del principio della buona fede (in generale), di quello dell'affidamento incolpevole dei terzi (in particolare) ed anche, per come meglio si vedrà nel prosieguo, del principio della certezza nelle transazioni commerciali e/o nei contratti a titolo oneroso. Si è potuto rilevare, inoltre, che l'errore è e rimane un fenomeno individuale-soggettivo mentre, all'opposto, l'apparenza è un fenomeno sociale-oggettivo. L'applicazione di questi concetti nella fenomenologia giuridica comporta che l'apparenza è l'origine di "un errore collettivo possibile9". In particolar modo ciò si rileva nell'applicazione dell'apparentia iuris nell'istituto del mandato (art. 1729 c.c.), in tema di atti compiuti dal mandatario ancor prima di conoscere la causa di estinzione del mandato. Iniziamo col richiamare, seppur brevemente, le caratteristiche del mandato, quale contratto cd. di collaborazione nell'altrui sfera giuridica o di gestione: "il mandato è il contratto col quale una parte (cd. mandatario) si obbliga a compiere uno o piu' atti giuridici per conto dell'altra (cd. mandante" (art. 1703 c.c.) e ciò può accadere in due modalità differenti normativamente previste e, cioè, con o senza rappresentanza (rispettivamente, artt. 1704 e 1705 c.c.). La conseguenza -dell'essere di una o dell'altra opzione- è la differente operatività degli effetti del contratto concluso in capo al mandante: nel primo caso, difatti, gli effetti si esplicheranno ipso iure ed in modo diretto nei suoi riguardi; mentre nella seconda ipotesi, affinchè gli effetti del contratto concluso possano essere "trasmessi" nella titolarità del mandante sarà necessaria un'ulteriore attività da parte del mandatario. Detto ciò, si può passare al summenzionato art. 1729 c.c., secondo cui: "Gli atti che il mandatario ha compiuto prima di conoscere l'estinzione del mandato sono validi nei confronti del mandante o dei suoi eredi". Detto altrimenti: il mandatario, nelle ipotesi di 8 necessitano sempre i requisiti di: 1) errore sulla corrispondenza tra apparenza e realtà del terzo in buona fede; 2) presenza di elementi oggettivi idonei a trarre in inganno un qualsiasi soggetto dotato di media diligenza; 3) mancanza di colpevolezza nell'errore; 4) secondo parte della dottrina esiserebbe un quarto requisito consistente nella necessaria presenza della colpa in capo al titolare della situazione reale (cd. apparenza colposa, già spiegata nel suesteso II° capitolo) 9 FALZEA A., Apparenza in Enciclopedia del Diritto, Vol. II - Milano, Giuffrè 1958, pag. 694 e ss. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 38 estinzione10 del mandato, non subisce gli effetti del contratto concluso in virtù del mandato sebbene ciò sia avvenuto in medio tempore tra l'estinzione del mandato stesso ed il momento in cui questi viene a conoscenza della causa estintiva. Dunque, da un lato, rimane salvo (e qui non c'era il minimo dubbio) l'eventuale diritto acquisito dal terzo in virtù della stipula di un contratto col mandatario (anche perchè, ad esempio, in ipotesi di revoca del mandato, rimangono obbligatori gli oneri del mandante di portare a conoscenza dei terzi tale revoca con i mezzi idonei) e, dall'altro, lo stesso mandatario non sarà responsabile in maniera diretta degli effetti del detto contratto, proprio in virtù dell'apparenza relativa alla persistenza del proprio incarico. E' evidente nel caso del mandato, più che in ogni altra ipotesi, come il legislatore si sia preoccupato di applicare il principio dell'apparentia iuris soprattutto a tutela della certezza dei traffici commerciali oltre che, ovviamente, a garanzia dei già summenzionati principi. Altro discorso è, poi, il rapporto tra il principio dell'apparentia iuris e la simulazione. L'art. 1415 c.c. così dispone: "La simulazione non può essere opposta né dalle parti contraenti, né dagli aventi causa o dai creditori del simulato alienante, ai terzi che in buona fede hanno acquistato diritti dal titolare apparente, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di simulazione". Dunque, poichè lo scopo principale della simulazione è proprio quella di creare "una apparenza" che mascheri la realtà dei fatti, sarebbe una contraddizione logica -prima ancora che una ingiustizia sostanziale- il riconoscere al simulato alienante (rectius il soggetto che "appare" come alienante ma che, in virtù del negozio dissimulato, rimane l'effettivo titolare del bene e/o diritto) e/o a suoi eredi e creditori il poter profittare (per la seconda volta) degli effetti di tale apparenza. Ed è a questo punto che occorre sottolineare una importate differenza tra le tipiche ipotesi di apparenza in senso stretto e le dissimili situazioni di apparenza determinate dalla simulazione. Ebbene, in entrambi i casi si ha un acquisto a 10 Tra le cause di estinzione del mandato si ricordano: A) la già menzionata revoca del mandato da parte del mandante (art. 1723 c.c.) che rappresenta un recesso unilaterale con effetto ex nunc e che il maandante può esercitare fin tanto che non gli viene comunicata l'esecuzione del mandato "Il mandante puo' revocare il mandato; ma, se era stata pattuita l'irrevocabilita', risponde dei danni, salvo che ricorra una giusta causa..."; B) la cd. revoca tacita (art. 1724 c.c.) "La nomina di un nuovo mandatario per uno stesso affare o il compimento di questo da parte del mandante importano revoca del mandato, e producono effetto dal giorno in cui sono stati comunicati al mandatario"; C) in caso di morte o incapacità del mandante in cui l'estinzione ha effetto ex nunc (art. 1728/1 co, c.c.) "Quando il mandato si estingue per morte o per incapacita' sopravvenuta del mandante, il mandatario che ha iniziato l'esecuzione deve continuarla, se vi e' pericolo nel ritardo". Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 39 non domino: si pensi all'esempio della vendita di bene da parte dell'erede apparente11 -per la I a ipotesi- ed a quello della vendita di bene da parte del simulato acquirente12 in favore di terzi -per la IIa ipotesi-. Però, mentre nel caso dell'erede apparente esiste un soggetto che "sembra", "appare", "si presenta" avente causa dal de cuius, in base proprio ad un giustificabile e possibile errore collettivo, ma che, nella realtà, non ha il potere di compiere gli atti in discorso perchè non è concretamente un erede; nel secondo caso, il soggetto che agisce e che vende (rectius il simulato acquirente che, nel compiere gli atti di compravendita, sarà l'alienante nei confronti dei terzi) ha il potere per far ciò perchè esiste nella realtà dei fatti un atto (il contratto simulato) che lo legittima. Il discorso secondo cui, poi, in base ad un altro atto, anch'esso esistente in concreto (il contratto dissimulato), egli non risultava tale, è un diverso argomento che rileva nei rapporti tra simulato alienante e simulato acquirente ma che non può nuocere ai terzi (tranne i casi in cui si riesce a dimostrare che, con qualunque mezzo/modo, anche questi fossero a conoscenza dell'esistenza di tale contratto dissimulato). Dunque, nell'ipotesi dell'erede apparente non esiste un atto che possa giustificare e legittimare gli atti di disposizione di questi (ed è perciò che interviene l'ordinamento con il principio del'apparenza, salvaguardando la buona fede e l'incolpevolezza nell'errore dei terzi). Nella simulazione, invece, esiste concretamente il documento che legittimerebbe, agli occhi dei terzi ed in maniera del tutto valida, gli atti di disposizione da parte del simulato acquirente e, pertanto, non c'è alcuna apparenza nel senso suddetto: come "errore collettivo possibile". Non ci sarebbe, insomma, alcuna apparenza in senso tecnico. Tutto quanto scritto sino ad ora vale a giustificare i limiti di tutela offerti all'avente causa dell'erede apparente, rispetto all'avente causa del simulato acquirente ex art. 534 c.c. 11 Art. 534 c.c.: "L'erede può agire anche contro gli aventi causa da chi possiede a titolo di erede o senza titolo. Sono salvi i diritti acquistati, per effetto di convenzioni a titolo oneroso con l'erede apparente, dai terzi i quali provino di avere contrattato in buona fede" 12 Art. 1415 c.c.: "La simulazione non può essere opposta né dalle parti contraenti, né dagli aventi causa o dai creditori del simulato alienante, ai terzi che in buona fede hanno acquistato diritti dal titolare apparente, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di simulazione". Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 40 V) La società apparente di Danila D’Alessandro 1) Il principio dell’apparentia iuris Il principio di apparenza del diritto è riconosciuto dal nostro ordinamento giuridico, per assicurare delle forme di tutela e di garanzia dei rapporti giuridici complementari al sistema legale di pubblicità. La ratio sottesa al riconoscimento del principio risiede nella necessità di agevolare la circolazione dei beni, tutelando l’affidamento riposto dal terzo nella rispondenza della situazione di fatto apparente alla situazione di diritto. Il principio dell’apparenza consente, dunque, di colmare il vuoto esistente tra il fatto e la qualificazione giuridica di esso, superando l’eventuale distacco tra la realtà fattuale e la realtà giuridica, cosi garantendo il terzo, che abbia legittimamente risposto fiducia nell’effettività giuridica dell’effettività fenomenica, circa la corrispondenza della seconda alla prima. Attraverso una fictio iuris, la situazione di fatto percepita dal terzo, pur non corrispondendo a quella di diritto, è qualificata dall’ordinamento come se fosse corrispondente a quest’ultima. Pertanto, tale situazione diviene produttiva degli stessi effetti che si sarebbero prodotti in ragione della sussunzione sub iure del fatto medesimo. Il principio di apparenza del diritto opera, soprattutto, nell’ambito di situazioni giuridiche soggettive non disciplinate dall’ordinamento mediante la previsione di un meccanismo di pubblicità, che permetta di verificare la rispondenza della realtà fattuale al piano del diritto. Tale principio si affianca alle forme di pubblicità, disciplinate dal nostro legislatore, e produce un effetto integrativo e di chiusura del sistema di garanzia. Perciò con l’applicazione del principio d’apparenza vi è, la certezza delle situazioni giuridiche soggettive nei rapporti di scambio. L’ordinamento giuridico italiano, al contempo, limita l’operatività` del principio dell’apparentia iuris, condizionandone l’efficacia alla sussistenza di tre presupposti fondamentali: a. l’apparenza c.d. semplice; b. l’affidamento; c. la buona fede. L’apparenza semplice rappresenta il requisito oggettivo del principio, consistente in una situazione di fatto, conseguente ad un comportamento o ad una dichiarazione di un soggetto, che si vincola per effetto della propria condotta o della propria dichiarazione alla situazione falsamente prodotta e alle conseguenze che ne derivano secondo l’ordinamento giuridico. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 41 L’apparenza semplice si verifica quando la situazione di fatto abbia ingenerato nel terzo un legittimo affidamento, realizzando la conformità della stessa alla realtà giuridica. La ‘‘legittimità’’ dell’affidamento viene a mancare, oltre che in ipotesi di dolo del terzo, anche laddove il terzo avrebbe potuto conoscere, usando l’ordinaria diligenza, la difformità della situazione apparente da quella reale-giuridica. Sul punto, è costante l’orientamento giurisprudenziale bel richiedere che il giudizio del terzo, che si forma in ordine alla corrispondenza tra le due realtà ‘‘debba essere ragionevole, cioe` non determinato da un atteggiamento colposo, il quale va ravvisato ogni qual volta il terzo, non attenendosi ai dettami della legge o a quelli della normale diligenza, trascuri di accertarsi della realtà, facilmente controllabile e si fidi, invece, della mera apparenza, incorrendo in un errore inescusabile’’ (Cass. 6 novembre 1998, n. 11186). Costituisce, infine, limite esterno dell’efficacia del principio di apparentia iuris la pubblicità, dove la realtà giuridica risulta con certezza ed immediatezza, secondo le modalità di forma prescritte per il regime proprio delle diverse tipologie di pubblicità. 2) L’applicabilità del principio dell’apparentia iuris in materia societaria. Società occulta, irregolare e apparente. Una volta delineati gli elementi distintivi del principio dell’apparenza, resta da verificare la sua applicabilità nei rapporti tra i soci e i terzi, in relazione alla figura della cd. società apparente. Nelle società di persone l’atto costitutivo, a differenza di quanto previsto per le società di capitali, non è soggetto a forme particolari. Pertanto, il contratto tra le parti può perfezionarsi anche per fatti concludenti, cioè con comportamenti tenuti dai soci corrispondenti al contenuto dell’atto costitutivo, indipendentemente dalla manifestazione di volontà espressa. In effetti, s’individua la particolare figura della società di fatto, quando due o più persone lavorano insieme utilizzando beni e risorse economiche comuni al fine di realizzare e di dividere gli utili. Perciò, tale fenomeno è una società esistente fra i soci e non iscritta nel Registro delle Imprese, ed è una società collettiva irregolare che esiste come società e che appare all’esterno come società. Tale tipologia di società non è disciplinata dal codice civile, quindi, è necessario verificare di volta in volta la sussistenza dei presupposti per dichiarare l’esistenza della società di fatto. Perciò, la società di fatto è regolata dalla normativa vigente in materia di società semplice, quando l’attività esercitata non si possa ritenere a carattere commerciale. Di conseguenza tutti i soci saranno chiamati a rispondere personalmente e illimitatamente delle obbligazioni sociali. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 42 Con l’espressione irregolare, invece, s’intende una società commerciale di persone non iscritta nel Registro delle Imprese, poiché l’iscrizione non costituisce uno dei requisiti fondamentali per la validità di tali forme societarie, ma è sufficiente la sussistenza di un atto costitutivo valido. Pertanto, la società irregolare si distingue dalla società di fatto, poiché in quest’ultima è assente un accordo, anche solo verbale, tra i soci, pur sussistendo la volontà di esercitare l’attività economica in forma societaria allo scopo di dividerne gli utili. Invece, nella società irregolare deve esistere un accordo tra i contraenti, il cui contenuto minimo deve riguardare l’oggetto sociale e i conferimenti. In effetti, recentemente la Corte di Cassazione si è pronunciata in materia con la sentenza del 15 marzo 2010 n. 6175, con la quale ha stabilito che “ la concreta mancanza della prova scritta di un contratto societario relativo ad una società di fatto o irregolare non impedisce al giudice di merito l’accertamento aliunde dell’esistenza di una struttura societaria. Inoltre la Suprema Corte ha ribadito che è sufficiente a far sorgere la responsabilità solidale dei soci ai sensi dell’art. 2297 del c.c. l’esteriorizzazione del vincolo sociale, ossia l’idoneità della condotta complessiva di taluno dei soci ad ingenerare all’esterno il ragionevole affidamento circa l’esistenza della società. Un altro fenomeno è, invece, la società occulta, che è costituita con la concorde e manifesta volontà dei soci di svolgere l’attività d’impresa per conto della società, senza spenderne il nome ed esteriorizzarne l’esistenza. Perciò i soggetti che decidono di dar vita ad una società occulta, si accordano (cd. patto di occultamento) affinché non risulti il loro vincolo societario all’esterno nei rapporti con i terzi. Il fine dell’accordo di non esteriorizzazione della società è quello di limitare la responsabilità verso terzi al patrocinio del solo gestore, evitando, in altri termini, che la società e gli altri soci rispondano delle obbligazioni dell’impresa. Infatti, solitamente i soci occulti dispongono che nei confronti di terzi appaia uno solo dei soci (o addirittura un terzo) il quale, pur agendo per conto della società, tuttavia spende unicamente il suo nome, di modo che, all’esterno la società appaia come un’impresa individuale. In effetti, la società occulta è composta usualmente da un imprenditore individuale, che appare all’esterno, e da un socio che resta nascosto, pur avendo tutte le caratteristiche del ruolo. Perciò, la società occulta è una società esistente realmente in tutti i suoi elementi costitutivi. Inoltre, le società occulte evidenziano delle problematiche in materia di fallimento. Infatti, già prima che il D.Lgs. 156/2006 (riforma delle procedure concorsuali) intervenisse a modificare l’art. 147 della L.F., alcuni studiosi (Ferri, Bigiavi) e la giurisprudenza prevalente sostenevano che la mancata esteriorizzazione della società non impedisse Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 43 l’estensione del fallimento dell’imprenditore individuale anche ai soci occulti, a tal fine veniva interpretato estensivamente il 2°co. dell’art. 147 della L.F.. Però, con l’intervento della riforma delle procedure concorsuali, il legislatore ha consacrato normativamente l’orientamento espresso sia dalla dottrina sia dalla giurisprudenza, stabilendo nel 5°co. , l’estensione del fallimento dell’imprenditore individuale alla società occulta, anche quando si scopra l’esistenza della società successivamente alla dichiarazione di fallimento, coinvolgendo l’imprenditore fallito come socio illimitatamente responsabile (art. 147 L.F.). In entrambi i casi, difatti, per provare l’esistenza della società viene richiesta, quindi, la prova di un contratto sociale, costituito per regolare i rapporti tra i soci, in modo da poter tutelare e garantire i terzi. Pertanto, la mancata esteriorizzazione del rapporto tra i soci non impedirà l’estensione di eventuali responsabilità alla società stessa e a tutti gli associati. Da queste tipologie di società dobbiamo distinguere la società apparente. La figura della “società apparente” è di esclusivo conio giurisprudenziale ed è coerente con la ricostruzione del principio di apparenza che la Suprema Corte ha costantemente sancito, affermando la prevalenza della situazione apparente e di fatto, su quella di diritto, con la conseguente responsabilità verso l’esterno di chi abbia attuato comportamenti o circostanze atte a ingenerare nei terzi il convincimento dell’esistenza di un contratto societario tra chi ha agito come socio e l’imprenditore. In effetti, la dottrina prevalente afferma che la società apparente si realizza quando due o più soggetti, non legati da alcun rapporto societario, si comportano in modo da ingenerare nei terzi la convinzione che essi agiscono in qualità di soci, inducendoli a fare affidamento sull’esistenza della società e sulla sua responsabilità solidale per le obbligazioni assunte (F. Galgano). La società apparente, è, quindi, tecnicamente una società simulata, retta dagli specifici principi della simulazione dei contratti. Pertanto, la giurisprudenza precisa che per la società apparente occorre una manifestazione di volontà anche dall’altro socio, sia pure di carattere omissivo, come il reiterato silenzio, purché questo sia tale da denotare l’approvazione di fronte agli altri del conosciuto comportamento (Cass. 8 ottobre 1973, n.2534). Perciò, alla luce dell’orientamento dottrinale e giurisprudenziale consolidato, tale istituto è recepito ed applicabile su scala generale nel nostro ordinamento, che ammette l’esistenza di un imprenditore o di una società anche quando non sussistano nella realtà, ma di essi sia stato creato il riflesso esterno, così da creare negli incolpevoli soci la convinzione che l’imprenditore o la società siano effettivamente esistenti ( Cass. 19 febbraio 1993 n.2020, in Giur. It, 1993,I,1,2008 in Corriere giur. 1993, 826, in Foro It.,1994,I,159, in Riv. Dir. Comm., Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 44 1993,II,432). A tale apparenza, quindi, consegue la responsabilità nei confronti di terzi di coloro che appaiono come soci purché il rapporto sociale di fatto, sebbene, non corrispondente ad una situazione di diritto, possa considerarsi esistente nei confronti di terzi in guisa da far ritenere che le obbligazioni sociali siano garantite dal patrimonio sociale e quello individuale dei singoli soci, è necessario che da parte di quest’ultimi vi siano manifestazioni tali da ingenerare nei terzi, che con loro trattano, il convincimento dell’effettiva esistenza e della responsabilità dell’apparente società (Cass. 22/04/1966 n. 1040). Per la giurisprudenza, insomma, l’esteriorizzazione di un rapporto sociale, benché non sussistente nei rapporti interni tra i soci apparenti, basta per tutelare i terzi che su quel comportamento abbiano fatto affidamento (Cass. 10 agosto 1990, n. 8154, in Giur. it. 1991, I, 1, 591; Cass. 4 agosto 1988, n. 4827, ivi, 1989, I, 1, 463. In dottrina, isolatamente, Marziale, Società di fatto, società apparente e affidamento dei terzi, in Giur. comm. 1975, II, 606). In applicazione del principio generale di tutela dell’affidamento, quindi, la giurisprudenza dominante considera responsabili illimitatamente e solidalmente, per le obbligazioni assunte, i soci apparenti, che, colposamente, hanno realizzato una situazione difforme dalla realtà generando nei terzi un legittimo affidamento. Nella società apparente, la condotta dei soggetti agenti assume una funzione preminente ai fini della tutela dei terzi, senza che sia necessario indagare se la società esista o meno in concreto. Perciò, si ritiene che la prova contraria non deve consistere nella dimostrazione dell’inesistenza della società, ma deve essere rivolta a fare escludere il comportamento mediante il quale i soci apparenti hanno generato nei terzi in buona fede il convincimento incolpevole dell’esistenza della società. Ai fini dell’assoggettabilità al fallimento di una società apparente è la condotta idonea a ingenerare il convincimento incolpevole, nei terzi della sussistenza di un vincolo sociale, è da sola sufficiente ad affermare l’esistenza di una società di persone, senza aver necessità di accertare, se in concreto, ricorrano i presupposti della comunione dei conferimenti e della condivisione dell’alea (Cass. 14.02.2001 n. 2095). Pertanto, un orientamento consolidato della Suprema Corte sostiene che per limitare la portata di tali principi è necessario il ricorrere di elementi come i seguenti: l’affidamento dei terzi non discenda da loro colpa, per aver trascurato l’onere di accertarsi della realtà delle cose; l’apparenza oggettiva della situazione giuridica e la buona fede del terzo si accompagni ad una condotta dolosa o colposa da parte del titolare della situazione apparente che ha causato l’errore del terzo. In presenza di tali condizioni è ammissibile il fallimento della società apparente. Pertanto, in concreto si perviene al fallimento della società in virtù del fatto che la prova dell'esistenza Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 45 della stessa si è ritenuta raggiunta attraverso la mera apparenza del rapporto. Inoltre, la giurisprudenza ha precisato opportunamente che la verifica del presupposto soggettivo ai fini dell'apertura del procedimento concorsuale di fallimento va condotta muovendo da due differenti angoli visuali: la prova, diretta o presuntiva, degli elementi costitutivi del contratto sociale (società di fatto), oppure l'apparenza di un'entità imprenditoriale collettiva in realtà insussistente (società apparente). Nello stesso senso, in verità, si è espressa la dottrina largamente prevalente (Cottino, Diritto commerciale, I, 2, Padova, 1994, 103-104; Di Sabato, Manuale delle società, Torino, 1995, 73; Di Chio, Rapporti interni e comportamenti con i terzi come prove dirette... Cassazione civile Sentenza, Sez. I, 12/09/1997, n. 9030 - Pres. Borruso - Est. Bibolini - P.M. Maccarone (conf.)). Naturalmente, in tale contesto la qualificazione in termini di socio apparente assume rilevanza ai fini pratici del suo assoggettamento a responsabilità e per l’eventuale dichiarazione di fallimento dello stesso. Parte della dottrina ritiene che il consolidato orientamento giurisprudenziale sulla società apparente vada contro i principi generali del sistema civilistico, in quanto, più coerentemente con gli stessi principi, un socio apparente dovrebbe rispondere solamente per illecito extracontrattuale ex art.2043 c.c. o, più in particolare, a titolo di rappresentante senza potere. Molto spesso, per giustificare l’applicazione in materia societaria del principio in esame, si fa ricorso anche al concetto di rappresentanza apparente, ma parte della dottrina ha sollevato eccezioni su tale ricostruzione ritenendo controversa l’applicabilità della disciplina nella rappresentanza in diritto commerciale anche perché qui la stessa nozione di rappresentanza assume connotati differenti. Resta, però, il dato di fatto di un principio di diritto effettivo che dichiara il socio apparente responsabile per i debiti societari e assoggettabile a dichiarazione di fallimento. Il socio apparente va inquadrato insieme al socio occulto nella più generica figura del socio di fatto, ma le due species sono profondamente differenti. Il socio apparente, pur non essendo socio reale, si comporta come tale nei rapporti con i terzi, mentre il socio occulto, pur essendo realmente socio, tuttavia cerca di celare ai terzi la sua qualità. La profonda differenza di presupposti delle due figure induce la giurisprudenza a ritenere che nella declaratoria di fallimento di un socio di fatto non può essere giustificata sulla base del contemporaneo accertamento in capo ad un soggetto della qualità di socio apparente e di socio occulto perché le due figure sono alternative. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 46 Nella prassi l’individuazione e l’accertamento di una società apparente diventa più complessa quando viene realizzato il coinvolgimento nei rapporti imprenditoriali o societari dei consanguinei dell’imprenditore o del socio. Il problema deriva dalla difficoltà di individuare il discrimen tra atti neutri spiegabili in termini di affectio familiaris e effettivo sodalizio sociale. Così la giurisprudenza, se, da un lato, afferma che in caso di società di fatto ritenuta tra consanguinei la prova dell’esteriorizzazione del vincolo debba essere particolarmente rigorosa, dall’altro, giunge a dichiarare il fallimento della moglie e del figlio dell’imprenditore, ravvisando l’esteriorizzazione del vincolo sociale nelle fideiussioni continuative e sistematiche prestate dai primi a favore del secondo. 3) Conclusioni In conclusione, il principio dell’apparentia iuris è applicato in materia di diritto societario ed in particolar modo nell’identificazione della società apparente, con la finalità di tutelare e garantire i terzi. La giurisprudenza e la dottrina maggioritaria ha stabilito che per la sussistenza di una società apparente è necessario l’operare due o più persone nel mondo esterno, in modo da ingenerare l’opinione che siano legate da un vincolo sociale e la conseguente induzione dei soggetti con i quali esse entrano in rapporto a fare affidamento in buona fede sulla effettività e sulla responsabilità dell’apparante sodalizio. Pertanto il ragionevole convincimento dell’esistenza di una società apparente, comporta la responsabilità dei soci verso e l’assoggettabilità alle procedure fallimentari, indipendentemente dall’obiettivo riscontro della stipulazione ed operatività del patto sociale. Bibliografia Cass. 9 giugno 1993, n. 6438, Riv. Dir. Lav. 1994, II, 297 Cass. 5 marzo 1987 n. 2311 Cass 14.02.2001 n. 2095 Cass. 10 agosto 1990, n. 8154, in Giur. it. 1991, I, 1, 591 Cass. 4 agosto 1988, n. 4827, in Giur.it. , 1989, I, 1, 463 Cass. 22/04/1966 n. 1040 Cass. 19 febbraio 1993 n.2020, in Giur. It, 1993,I,1,2008 in Corriere giur. 1993, 826, in Foro It.,1994,I,159, in Riv. Dir. Comm., 1993,II,432 Cass. civ., 24 Marzo 1981 n. 1708 Cass. civ., sez. I, 26 Luglio 1996 n. 6770 Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 47 Cottino, Diritto commerciale, I, 2, Padova, 1994, 103-104 Di Sabato, Manuale delle società, Torino, 1995, 73 Di Chio, Rapporti interni e comportamenti con i terzi come prove dirette... Cassazione civile Sentenza, Sez. I, 12/09/1997, n. 9030 Galgano F., Trattato di diritto civile. Le società in genere, 2010 Jaeger P., Appunti di diritto commerciale. Impresa e Società, Giuffrè Ed., 2010 Di Marzio F., La crisi d’impresa, Cedam, 2010 Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 48 VI) L’apparenza nel diritto processuale: errore del Giudice e rimedi impugnatori di Maria Luisa Pignatelli Un neofita del diritto che muove i primi passi nello studio del processo civile è facile preda del tecnicismo delle forme che pervade la procedimentalizzazione del processo. Il codice di rito è un catalogatore di procedure e procedimenti; ogni istanza di tutela del diritto è inglobata in una forma ed introitata in uno specifico rito che si dinoccola in distinte fasi, frutto di altrettante forme e procedure. I soggetti di diritto sono liberi nel potere di agire in giudizio ma vincolati nelle forme di esercizio alla lettera del codice. Il formalismo della procedura, seppur sovrabbondante nell’ordinamento italiano13, lungi dal rappresentare una spamodica superfetazione compilativa, sottende la garanzia di certezza del diritto nella dinamica dell’azione giudiziaria. La forma del diritto è un presupposto della effettività del principio fondamentale garantito dalla Carta costituzionale ex art. 24: la predeterminazione di tutti gli aspetti formali dell’esercizio dell’azione, diversificando la veste esteriore degli atti processuali e i riti che incardinano in ragione del petitum e della causa petendi, consente alle parti di orientarsi in modo consapevole nelle controversie da dirimere attraverso le vie legali. La funzionalizzazione della forma alla effettività della tutela giudiziaria è comprovata dalle soluzioni giurisprudenziali rassegnate in occasione di disfunzioni patologiche del formalismo processuale. Più volte la Suprema Corte è stata investita del giudizio su questioni di scollamento tra la sostanza e la forma degli atti giuridici, e più volte il giudice monofilattico ha fatto sapiente ricorso al principio dell’affidamento incolpevole in chiave processualistica, derivata del principio di apparenza del diritto. Più noto nel ramo del diritto civile sostanziale14, l’apparentia iuris trova espressione anche nella dimensione processualistica, quale modalità di espressione ed attuazione della tutela del diritto alla difesa riconsociuto dall’art, 24 della Costituzione. La norma riconosce al contempo il diritto di azione in giudizio e il diritto di difesa in giudizio, qualificandoli come ius omnium, riconosciuti a tutti i consociati, a prescindere dallo status di cittadino. In particolare il secondo comma, nel precisare che “la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del processo” fornisce l’appiglio giuridico su cui arroccare la soluzione giurisprudenziale della prevalenza della forma sulla sostanza quando si ha riguardo alla necessità di individuare il 13 L’esigenza di semplificazione del processo civile attraverso la riduzione dei tretantrè riti esistenti, si è tradotta nella ratio legis del d.lgs. n. 150/2011. 14 Nell’ambito del diritto civile sostanziale il principio di apparenza si riscontra in materia di petizione di eredità (ex art. 534 cc.), di obbligazioni (ex art. 1189 cc. ), di rappresentanza (ex art. 1398), di annullamento del contratto (ex art. 1445 cc.), di simulazione (ex art. 1415 cc.) e di mandato (ex art. 1729 cc.) Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 49 corretto rimedio impugnatorio. Diversamente opinando il “diritto di difesa in ogni grado del processo” sarebbe ostacolato nel suo concreto esercizio dall’incertezza delle modalità di impugnazione; il tutto si traddurrebbero in una denegata giustizia per il soccombente. La giurisprudenza di legittimità, sensibile alle esigenze di giustizia, ha preferito avvallare la tutela della buona fede. Di fatti il principio di tutela della buona fede espressamente declinato in diversi istituti del diritto sostanziale, (si pensi ad esempio alla materia contrattuale alla buona fede nelle trattattive ex art. 1337 c.c., nell’interpretazione ex 1366 c.c.; nell’esecuzione ex art. 1375 c.p.c.), corre di pari passo con il principio della apparenza del diritto e trova espressione anche nella dimensione processualistica, in ragione del suo fondamento costituzionale, da rinvenire nell’art. 2 comma 2 della Costituzione (dovere di solidarietà sociale). Dalle esposte coordinate normative si ricava che il principio dell’apparentia iuris nella sua dimensione processuale garantisce la tutela dell’affidamento incolpevole del soggetto che, nell’individuazione del rimedio impugnatorio, abbia confidato nella correttezza della forma prescelta dal giudice di prime cure, giusta o sbagliata che sia. Se è vero che in linea generale l’ordinamento giuridico garantisce la prevalenza della sostanza sulla forma, imponendo di qualificare gli atti giuridici in base al loro contenuto, anche se ciò importa una divergenza dal nomen iuris, una deroga si pone per gli atti del giudice (sentenza, ordinanza o decreto) in ragione della massima garanzia dell’espribilità del rimedio impugnatorio. La Suprema Corte ha ritenuto che attraverso una limitazione si possa paradossalmente assicurare una maggior garanzia di certezza del diritto e di tutela giurisdizionale. La limitazione, per l’appunto, opera in relazione alla scelta del rimedio impugnatorio da parte del soccombente, che non potrà arbitrariamente optare per il mezzo di impugnazione a sua scienza più consono, ma dovrà osservare la forma prescritta dal giudice di prime cure, anche laddove quest’ultimo abbia ritenuto di dover adottare un provvedimento decisorio diverso da quello specificamente prescritto dalla legge in ragione del rito. L’ipotesi non è così peregrina: si pensi al caso in cui il giudice neghi la sua giurisdizione ex art. 37 c.p.c. e 41 c.p.c. con un’ (apparente) ordinanza in luogo di sentenza, oppure con una sentenza (apparente) decida nel merito di un’opposizione a decreto ingiuntivo relativo al pagamento di prestazioni giudiziali forensi ex. art 30 l. n. 794/1942. Ed altre se ne potrebbero aggiungere in tema di opposizione all’esecuzione ex art 615 cpc o agli atti esecutivi ex art 617 c.p.c., fino alla completa rassegna di tutti i riti attualmente vigenti o comunque ancora applicabili ratione temporis per procedimenti in corso di causa. Non vi è chi non veda in questa conclusione una improvida menomazione del principio di strumentalità delle forme, ricavabile dal terzo comma dell’art. 156 c.p.c., tuonando contro la prescrizione della scelta di un mezzo impugnatorio conforme alla veste esteriore del provvedimento giudiziale Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 50 evidentemente distonica rispetto al contenuto sostanziale, così avallando l’errore giudiziale. All’obiezione si può facile resistere osservando che la regola enunciata in via giurisprudenziale offre maggiori garanzie di riduzione del pregresso errore giudiziale15; ed infatti, se il giudice ha erroneamente deciso con sentenza una controversia da dover definire secondo rito con ordinanza non impugnabile, il soccombente, legittimato alla proposizione dell’appello ex art. 339 c.p.c. in ragione della forma del provvedimento giudiziale, avrebbe la possibilità di godere di un ulteriore grado di giudizio nel merito. Di fatti l’art. 339 cpc espressamente definisce l’oggetto dell’impugnazione con riferimento alla sua veste esteriore di sentenza, così come definita dagli artt. 132 e 133 c.p.c. All’opposto, se il Giudice ha erroneamente deciso con ordinanza non impugnabile un giudizio destinato a concludersi con sentenza, il soccombente potrebbe trovar rimedio all’errore giudiziale attraverso il ricorso straordinario ex art. 111 Cost., ipotesi limitare di garanzia giurisdizonale avverso provvedimenti giurisdizionali non altrimenti ricorribili, e per tale via, essere rimesso in termini per la propozione dell’appello. La compromissione del principio di libertà di forma è evidentemente giustificato da una primaria esigenza di ampliare la base della tutela giuridica dinanzi all’errore giudiziale. Tutto ciò senza neppure considerare come la libertà di individuazione del rimedio impugnatorio in caso di sentenza nella veste di ordinanza o di ordinanza nella veste di sentenze potrebbe risultare un ostacolo alla proposizione dell’impugnazione, gravando la parte del non facile compito di interprete della volontà del giudicante espressa nel corpo del provvedimento16, e, se estremizzata, potrebbe indurre la parte, nel dubbio, ad esperire contemporaneamente più rimedi impugnatori. Il principio di affidamento nella sua dimensione processualcivilistica, applicato alla natura del rimedio impugnatorio, va a braccetto con la regola giurisprudenziale dell’ultrattività del rito17. 15 La obiezione e la controdeduzione sono rassegnate nella sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, n. 390/2011, cui liberamente si ispira il contenuto dell’articolo redatto. 16 Quanto finora esposto non trova applicazione nel caso in cui la forma del provvedimento giudiziale sia frutto di un mero errore materiale, risultando evidentemente l’epilogo non coerente con il rito nel concreto adottato dal giudice in corso di causa. In tal caso il principio di affidamento pur opera, ma nella diversa prospettazione della correttezza dell’affidamento nella forma del procedimento (e non del provvedimento decisorio) del soccombente intenzionato ad esperire un’impugnazione. 17 In una recentissima pronuncia (cfr. sent. ord. Cass. civ. del 19.1.2012, n. 774), la Corte di Cassazione ha qualificato il principio di ultrattività del rito come “specificazione del più generale principio per cui l’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile deve avvenire in base al principio dell’apparenza”. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 51 Ed invero per costante giurisprudenza si ritiene che il rito concretamente attuato dal Giudice nel primo grado di giudizio, anche se erroneo, deve essere osservato nelle fasi successive del giudizio; ciò in quanto unico titolare del potere di disporre un mutamento del rito è l’autorità giudiziaria. Consentire alle parti di scegliere un rimedio impugnatorio diverso da quello consono al rito seguito dal giudice nella precedente fase del giudizio, varrebbe a violare la prerogativa esclusivamente giudiziale della facoltà di mutamento del rito18. Una regola che ammette un temperamento in ragione del principio di strumentalità delle forme19, già sopra richiamato ed ora ricorsivamente sottolineato, con la finalità di far salvi gli effetti della domanda introduttiva del giudizio di impugnazione, seppur viziata nella forma. Così l’appellante che erroneamente abbia introdotto con atto di citazione un appello relativo ad un procedimento definito in primo grado con rito del lavoro potrà avvalersi dell’automatica conversione della citazione in appello se il deposito dell’atto introduttivo ritualmente notificato sia avvenuto nei termini di legge per il gravame; parimenti un appello introdotto con ricorso anziché con la prescritta citazione sarà comunque procedibile se la notifica del ricorso e del pedissequo decreto di fissazione dell’udienza di comparizione sia avvenuto nei termini di legge. Le esposte conclusioni testimoniano che gli orientamenti giurisprudenziali tendono sempre più a modulare il rigore delle formalismo procedurale fino agli estremi limiti consentiti dalla necessità di garantire certezza del diritto e difesa giurisdizionale di tutte le parti in causa. 18 Le pronunce di legittimità in materia di ultrattività del rito sono numerose; tra le tante si segnalano: Cass. civ. n. 682/2005, Cass. civ. s.u. n. 20749/2008, Cass. civ. n. 12990/2010, Cass. civ. n. 14406/2011. 19 Tale principio viene anche denominato “principio della congruità delle forme allo scopo”, cfr. C. MANDRIOLI , Diritto processuale civile, vol. I., Giappichelli, Milano, XVI ed., p 407. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 52 A lezione di… diritto penale Il nemico in casa: la violenza intrafamiliare ed i maltrattamenti subdoli di Barbara Carrara Sommario: 1) Maltrattamenti in famiglia; un fenomeno in aumento?; 2) La violenza domestica; 3) Le violenze psicologiche 4)Un diritto penale della famiglia; 5) I maltrattamenti subdoli; 6) Conclusioni 1. Maltrattamenti in famiglia: un fenomeno in aumento ? In occasione dell'apertura dell'anno giudiziario 2012, il Procuratore Aggiunto della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Roma Maria Monteleone ha riportato alcuni dati statistici in merito ai reati contro la libertà sessuale e la famiglia che sicuramente meritano qualche riflessione. Si tratta di dati rilevati dalla Procura di Roma sulla base delle denunce pervenute ed iscritte dal 1 luglio 2010 al 30 giugno del 2011: da queste rilevazioni emerge che - nell'ambito del purtroppo generale aumento di reati contro le donne - anche i maltrattamenti in famiglia hanno riportato un innalzamento pari all'8,44%. Ancora, secondo le risultanze della Procura di Roma, gli indagati per il reato di maltrattamenti risultano infine essere quasi sempre uomini, a differenza invece delle condotte di stalking che vedono invece coinvolta una massiccia presenza femminile.20 Come sempre, tuttavia, il punto cruciale è la rilevazione statistica: l'analisi del fenomeno attraverso atti formali - ossia registrati da istituzioni pubbliche - quali sono le denunce delle parti offese non può non tener conto che le cifre fanno riferimento a persone indagate per il reato di maltrattamenti e non condannate in base a sentenza definitiva; non è neppure poi possibile ignorare il fatto che vengono talvolta portate avanti anche accuse completamente strumentali, dirette precipuamente a creare pressioni e tensione in vista dei giudizi civili per la separazione dei coniugi o l'affidamento dei minori. 20 Intervista rilasciata alla Agenzia DIRE dal Procuratore Aggiunto Maria Monteleone, pubblicata il 6 marzo 2012 ( www.dire.it) Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 53 Per converso, dall'esperienza giudiziaria emerge come coloro che effettivamente hanno subito abusi in ambito familiare sono poi i più restii a denunciarne gli autori alle autorità competenti, per paura, vergogna o per un certo malinteso senso del decoro: gli operatori non possono poi fare a meno di constatare con una certa frequenza come, tra la vittima ed il soggetto abusante, operino molteplici legami emotivi, anche di estrema intensità, per cui non è raro che si possa arrivare a percepire l'auto - colpevolizzazione del medesimo soggetto passivo dell'abuso, il quale – in determinate condizioni – può persino giungere a considerare se stesso come indirettamente responsabile dell'accaduto. E' una semplice ed amara constatazione il fatto che la violenza endofamiliare sia sempre esistita in ogni realtà socio - culturale che si ricordi21 ; i rilevamenti statistici non sono poi in grado di riferirci con esattezza se si tratti di un fenomeno in aumento, però è un dato certo che ne sia sicuramente mutata la percezione: in questo senso si consideri che l’opera costante svolta in questi ultimi anni dai centri antiviolenza e dai servizi territoriale pubblici e privati - anche attraverso l’utilizzo di gruppi di lavoro composti da operatori specializzati - ha sicuramente permesso di superare alcune fra le moltissime resistenze che spesso frenano le vittime, legate appunto a doppio nodo agli autori di reati da rapporti sentimentali, familiari, di amicizia e purtroppo di mal riposta fiducia. Nel corso del tempo l’ordinamento giuridico italiano ha recepito questa cruda realtà in maniera molto diversa a seconda del susseguirsi dei diversi contesti storici e socio culturali: la stessa giurisprudenza delle corti di merito e di legittimità ha maturato – nel corso gli ultimi venti anni - una sensibilità del tutto peculiare verso le tematiche attinenti i reati intrafamiliari, puntualizzando ed al tempo stesso tuttavia ampliando gli elementi basilari quali concetto stesso di ambito familiare, di abuso e di violenza. 2. La violenza domestica Secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità (WHO), la violenza domestica può essere definita come “ogni forma di violenza fisica, psicologica o sessuale che riguarda tanto soggetti che hanno, hanno avuto o si propongono di avere una relazione intima di coppia, quanto soggetti che all’interno di un nucleo familiare più o meno allargato hanno relazioni di carattere parentale o affettivo”. 21 “La sua esistenza è un fatto noto, persino ovvio; al contrario, la sua visibilità “coram populo” è legata alla evoluzione dei popoli ed alle sue contingenze” in Violenza domestica, un ossimoro da svelare e comprendere, Quaderni per la salute e la sicurezza ISPESL, pag. 8 Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 54 Nel 2006 è stato istituito l’Osservatorio Nazionale sulla Violenza Domestica (ONVD), seguito dell’Accordo di Collaborazione stipulato tra l’ISPESL (Osservatorio Epidemiologico Nazionale sugli ambienti di vita) e l’Università di Verona, alla presenza del Ministro della Salute22. La struttura si avvale del Patrocinio del Ministero dell’Interno, ed il lavoro svolto sul campo fornisce un valido punti di riferimento per un quadro rappresentativo della situazione in tema di violenza intrafamiliare. Prendendo come riferimento la nozione di “violenza domestica” elaborata dall’WHO e già riferita, le forze di Polizia e dei Carabinieri presenti nella regione Veneto che hanno monitorato il territorio nei primi sei mesi del 2011 hanno poi proceduto a segnalare ogni episodio qualificabile come “violenza domestica”. In sei mesi di segnalazioni, sono stati individuati 1.224 casi di violenza: il dato fa riferimento alle denunce ed interventi diretti delle forze dell’ordine, e non comprende quindi le richieste alle Centrali delle Forze di Polizia. L'esito finale di questa attività monitorata è che – nel periodo e nella zona presa in esame - le forze dell’ordine si sono trovate a dover fronteggiare circa quattro chiamate al giorno per violenza intrafamiliare.23 In questo ambito, sono state rilevate non solo 1.169 vittime dirette, ossia persone che hanno materialmente subito la violenza, ma anche 328 persone che hanno dovuto in qualche modo assistere – perché concretamente presenti - al momento consumativo del fatto violento, come nel caso di parenti e familiari. Il punto veramente sconfortante riportato nel rapporto è che che una vittima su tre segnala come si tratti solo del singolo episodio di una serie di soprusi: quindi, che almeno nel 30% dei casi la vittima della violenza non riesce ad uscire dalla sua difficile situazione. Un dato di sicuro interesse riportato dall’ ONVD è dato dall’aumento delle vittime di violenze domestiche appartenenti al genere maschile: ovviamente si tratta di percentuali 22 L’attività dell’ONVD è precipuamente di osservazione, rilevazione e monitoraggio del fenomeno, attraverso gli “atti formali” registrati da Istituzioni pubbliche: il passo successivo, grazie all’apporto di professionalità diverse quali criminologi, ricercatori universitari, medici, personale delle Unità di Pronto Soccorso nonché operatori delle Forze dell’Ordine, è stato l’analisi, le interpretazioni e le indicazioni e proposte per gli operatori e proposte. E’ comunque di estrema validità la scelta metodologica per la indagine “a tappeto” piuttosto che le selezioni per campione, che rende il dato sicuramente interessante. In tale senso, si veda http://www.onvd.org/it/presentazione/metodologia-e-finalita. 23 I dati completi sono rilevabili su “Appunti per un lungo viaggio”, ONVD 2011 pag 7-9 Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 55 assolutamente inferiori rispetto alle sopraffazioni subite dalle donne, però si tratta di un nuovo dato significativo. 3.Le violenze psicologiche Non si ritiene sia concretamente possibile riportare in questa sede un elenco esaustivo delle diverse tipologie di violenza che possono essere perpetrate in ambito familiare; questo per ragioni di completezza, poiché sia che si parli di violenze fisiche, psicologiche o sessuali in ogni caso la gamma di ipotesi che si presentano è veramente elevata, sia perché la stessa definizione di violenza può essere diversamente intesa a seconda del contesto di riferimento24. Si procederà invece ad un approfondimento in tema dell’abuso psicologico, verso il quale negli ultimi anni le corti di merito e di legittimità hanno mostrato una certa sensibilità. Per abuso psicologico si intende generalmente quel tipo di comportamento che si manifesta attraverso una serie di minacce ed intimidazioni, come pure attraverso vessazioni e denigrazioni, volte a porre la vittima in una condizione di prostrazione e sottomissione tale da lederne i fondamentali diritti di personalità e dignità. Si parla in tal senso di violenza emotiva, poiché viene realizzata attraverso una serie di condotte finalizzate ad umiliare la vittima, quali ad esempio i ricatti e le colpevolizzazioni, le svalutazioni e le squalificazioni che - ripetute in modo continuativo - possono portare la vittima all’annientamento morale. Una tecnica di violenza psicologica ora valutata con molta attenzione è data dall’isolamento, ovvero quella serie di condotte volte a rendere la vittima particolarmente fragile ed insicura grazie ad una progressivo allontanamento della stessa da ogni tipo di rapporto sociale extra familiare, spesso accompagnato anche dalla distanza emotiva con l’autore stesso della condotta violenta, che tende così ad isolare la vittima da ogni altro possibile confronto costruttivo. E' bene notare come anche la violenza fisica porti con se’ - in realtà - una importante componente di abuso psicologico: in un rapporto continuativamente connotato da forme di violenza, la tensione e l’aggressività non possono che essere altissime e così pure anche lo 24 Una analisi veramente ampia, lucida ed esaustiva sulla gamma e sulle modalità della violenza intrafamiliare è riportata in Giordano - De Masellis “ Violenza in Famiglia – percorsi giurisprudenziali, Giuffrè 2011, pag. 4-122. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 56 stress ininterrotto della parte lesa che vive, per così dire, ogni sua giornata sul filo del rasoio nel terrore di porre in essere, volontariamente od involontariamente, un pretesto che possa far scattare la violenza come causa scatenante.25 4. Un diritto penale della famiglia. La migliore dottrina ha in passato sottolineato la volontà del legislatore del 1930 di riconoscere alla famiglia la dignità di un soggetto che - pur privo di personalità giuridica sicuramente meritava un ruolo centrale nell’ordinamento, quale, appunto, ente distinto ed autonomo dai membri stessi che lo compongono. Ed è in questa prospettiva che dovrebbe quindi essere compreso lo sforzo del legislatore ove questi, nel delineare il titolo XI del Libro II, lo abbia ampliato tramite l'inserimento di nuove fattispecie, quali appunto il reato di cui all'art. 570 c.p nonché tramite lo spostamento di ipotesi di reato già precedentemente sanzionate nell’ambito dei reati contro la persona, come appunto è accaduto per il reato di maltrattamenti in famiglia previsto dall'art. 572 c.p.26 Ad avviso di questa importante corrente dottrinale, l’obiettivo dunque sarebbe stato il dovuto riconoscimento della tutela alla famiglia, realizzato attraverso un sostanzioso allargamento delle ipotesi di reato poste a sua tutela, organizzate così in un apposito titolo del codice penale. E' interessante notare come nel codice, nonostante lo sforzo compiuto per potenziare il diritto penale per la tutela della famiglia non sia poi stata inserita una definizione formale di famiglia: com'è noto, i riferimenti diretti alla famiglia sono riportati nell'art. 307 c.p. 4 comma 27, nelle circostanze aggravanti previste appositamente per il 25 Alcuni autori segnalano anche l’interessante categoria della violenza economica: si tratta di una ipotesi di controllo indiretto, per cui l’autore della condotta impedisce alla vittima di divenire economicamente indipendente, mantenendone così il totale controllo. La testi è sicuramente suggestiva, tuttavia la violenza economica appare piuttosto come una species del più ampio genus della violenza psicologica. 26 In tal senso, si veda la fondamentale monografia di F. Coppi, “Maltrattamenti in famiglia”, pag 204 - 207, Perugia, 1979. E’ opinione dell’Autore che quella stessa dottrina che negli anni trenta riproponeva la famiglia quale soggetto dotato di “un suo onore, un suo ordine, una sua morale”, altro non avrebbe fatto che ripresentare la medesima posizione assunta dai compilatori medesimi del codice Rocco. 27 Art 307 c.p. IV comma "Agli effetti della legge penale, si intendono per “prossimi congiunti” gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti: Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 57 reato di omicidio di cui all'art. 577 c.p. 28, nell'art. 649 c.p in tema di causa di esclusione di punibilità per i reati in danno dei prossimi congiunti 29 ed infine nell'art. 540 c.p. che equipara la filiazione illegittima a quella legittima nel caso in cui il rapporto di parentela sia elemento costitutivo del reato, circostanza aggravante o attenuante o causa di non punibilità 30; in merito, è stata avanzata anche l'ipotesi che si sia trattato di una scelta prudente, orientata ad estendere la tutela posta dalla famiglia tradizionale anche ad altre forme di relazione differenti, nella illuminata prospettiva di una possibile evoluzione dell'istituto. Ben diverso, ovviamente, è lo spirito con cui è stata intesa la società naturale fondata sul matrimonio riconosciuta e garantita dagli art 29 e 20 della Costituzione e grazie nondimeno, nella denominazione di prossimi congiunti, non si comprendono gli affini, allorché sia morto il coniuge e non vi sia prole.” 28 Art. 577 c.p “Altre circostanze aggravanti. Ergastolo. Si applica la pena dell’ergastolo se il fatto preveduto dall’articolo 575 è commesso: 1) contro l’ascendente o il discendente;2) col mezzo di sostanze venefiche, ovvero con un altro mezzo insidioso;3) con premeditazione;4) con concorso di talune delle circostanze indicate nei numeri 1 e 4 dell’articolo 61. La pena è della reclusione da ventiquattro a trenta anni, se il fatto è commesso contro il coniuge, il fratello o la sorella, il padre o la madre adottivi, o il figlio adottivo o contro un affine in linea retta.” 29 Art. 649 c.p. “Non punibilità a querela della persona offesa, per fatti commessi a danno di congiunti. Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dallo stesso titolo in danno: 1) del coniuge non legalmente separato;2) di un ascendente o discendente o di un affine in linea retta, ovvero dell’adottante, o dell’adottato;3) di un fratello o di una sorella che con lui convivano. I fatti preveduti da questo titolo sono punibili a querela della persona offesa, se commessi a danno del coniuge legalmente separato, ovvero del fratello o della sorella che non convivano coll’autore del fatto, ovvero dello zio o del nipote o dell’affine in secondo grado con lui conviventi. Le disposizioni di questo articolo non si applicano ai delitti preveduti dagli articoli 628, 629 e 630 e ad ogni altro delitto contro il patrimonio che sia commesso con violenza alle persone.” 30 Art 540 c.p “ Rapporto di parentela. Agli effetti della legge penale, quando il rapporto di parentela è considerato come elemento costitutivo o come circostanza aggravante o attenuante o come causa di non punibilità, la filiazione illegittima è equiparata alla filiazione legittima. Il rapporto di filiazione illegittima è stabilito osservando i limiti di prova indicati dalla legge civile, anche se per effetti diversi dall’accertamento dello stato delle persone.” Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 58 alla quale sono state introdotte nel nostro ordinamento riforme epocali quali l'istituto del divorzio del 1970 e la riforma del diritto di famiglia del 1975. Il diritto penale ha visto, grazie alla rinnovata concezione di famiglia, una sensibile evoluzione che ha inciso in maniera considerevole sulla struttura codicistica: solo per citare alcune profonde innovazioni si ricorda la legge 5.08.1981 (abrogazione della rilevanza della causa d'onore), grazie alla quale sono stati abrogati gli articoli del codice concernenti l'omicidio e la lesione personale per causa d'onore 31, l'infanticidio per causa di onore32 e l'abbandono di neonato per causa di onore. In sintesi, possiamo sicuramente affermare che l'originaria articolazione del titolo Xi in 14 articoli è stata senz'altro rivista dall'intervento della Corte Costituzionale in esito alla mutata concezione del rapporto familiare. Di pari importanza è sicuramente poi la disciplina - introdotta con la legge 4.04.2011 n.154 - in tema di misure contro la violenza nelle relazioni familiari, grazie alla quale nello stesso codice di procedura penale è stata inserita la misura cautelare personale dell'allontanamento della casa familiare di cui all'art. 282 bis c.p.p.: si tratta di una misura volta alla concreta difesa della famiglia nei confronti di comportamenti abusanti, poiché il giudice per le indagini preliminari, su richiesta del Pubblico Ministero, con il medesimo provvedimento che dispone l'allontanamento del soggetto violento può ingiungere al medesimo lasciare la casa familiare e di non farvi rientro senza l'autorizzazione del giudice che procede. Per garantire l'incolumità della persona lesa e dei suoi congiunti, al soggetto sottoposto alla misura può anche essere vietato l'accesso nei luoghi solitamente frequentati 31 Art 587 c.p. (abrogato) : “"Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell'atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d'ira determinato dall'offesa recata all'onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella". 32 Art. 578. c.p. : “Infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale. La madre che cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto, o del feto durante il parto, quando il fatto è determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto, è punita con la reclusione da quattro a dodici anni. A coloro che concorrono nel fatto di cui al primo comma si applica la reclusione non inferiore ad anni ventuno. Tuttavia, se essi hanno agito al solo scopo di favorire la madre, la pena può essere diminuita da un terzo a due terzi. Non si applicano le aggravanti stabilite dall’articolo 61 del codice penale (1)Articolo così sostituito dalla L. 5 agosto 1981, n. 442. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 59 dalla persona offesa, quali il posto di lavoro, il domicilio della famiglia di origine e dei prossimi congiunti ( art 282 ter c.p.p.).33 Dopo le importanti modifiche introdotte dalla Corte Costituzionale, i quattro capi del Titolo XI risultano decisamente snelliti rispetto alla prospettazione originaria: il primo capo, concernente i delitti contro il matrimonio (556 - 563 c.p., ma gli articoli dal 559 al 563 sono stati resi costituzionalmente illegittimi dalla Corte Costituzionale con le decisioni n. 126 del 19.12.1968 e 147 del 3.12.1969 ); il secondo, relativo ai delitti contro la morale familiare (art. 564-565 c.p.); il terzo capo, attinente ai delitti contro lo stato di famiglia (566 - 569 c.p.) ed infine, il quarto capo, dedicato ai delitti contro l’assistenza familiare, ove trovano luogo l'art. 570 c.p. in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare nonché le due fattispecie di cui agli art. 571 c.p., concernente l’abuso dei mezzi di correzione e 572 .c.p. in tema di maltrattamenti in famiglia. Chiudono il capo i tre articoli in materia di sottrazione consensuale di minorenni (art. 573 c.p.), di sottrazione di persone incapaci (art. 574 c.p.) nonché l'art. 574 bis relativo alla sottrazione e trattenimento di minore all’estero introdotto dalla L. 15.09.2009 n. 94, art 3, comma 29, lett. b, cd “Pacchetto sicurezza”. Sicuramente nelle aule di giustizia trovano ben più ampia applicazione le ipotesi di reato previste nel quarto capo rispetto alle altre fattispecie configurate nel titolo XI benché, come già rilevato in precedenza, i casi di maltrattamenti in famiglia che giungono in aula non siano che la minima parte di un impressionante dato sommerso. 5. Maltrattamenti in famiglia: la fattispecie in breve In un certo senso, la condotta di reato tipizzata nel reato di maltrattamenti in famiglia, così come configurato nell'art. 572 c.p., individua per eccellenza - sia pure in maniera non esaustiva - il fenomeno della violenza intrafamiliare34: non può rappresentarlo in 33 Come si ha già avuto modo di vedere, l'allontanamento del familiare che sia anche autore dei comportamenti lesivi se – per un verso – garantisce l'incolumità dei familiari, presenterebbe tuttavia anche il risvolto di togliere alla famiglia anche il portatore di reddito. Per questo motivo il testo dell'art 282 bis prevede, nel suo ultimo comma, la previsione di un assegno familiare in favore dei conviventi, che può essere versato – ove così disponga il giudice – anche direttamente dal datore di lavoro del familiare sottoposto alla misura. L'ordine di pagamento ha efficacia di titolo esecutivo. 34 Art. 572. Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli. Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 60 maniera completa perché – come detto – sono molte le modalità in cui può sfociare la violenza endofamiliare; a mero titolo di esempio, tramite le ingiurie, le percosse, le lesioni per giungere sino alla violenza sessuale ed all’omicidio. Ed è singolare che - sin dai suoi esordi - proprio sulla fattispecie di cui all'art. 572 c.p. si siano concentrate le più dibattute discussioni sulla famiglia quale oggetto di tutela sia nella ipotesi di reato di cui all'art. 572 c.p. come pure di tutte le fattispecie previste dal Titolo XI del codice Rocco 35. Il punto dibattuto, quindi , si sostanzia nella scelta operata nel 1930 di collocare la fattispecie in esame nel titolo dedicato appunto ai reati contro la famiglia, ritenendosi invece - da alcune voci dottrinali - che fosse in realtà diverso l'oggetto di salvaguardia delineato dal testo codicistico. Il codice Zanardelli già sanzionava i maltrattamenti attraverso la previsione di cui all'art. 391 c.p., sistematicamente collocata nell'ambito dei reati contro la persona, ove la condotta criminosa veniva sanzionata con una pena edittale pari nel massimo a trenta mesi: rispetto alla normativa preunitaria - con riferimento sia al codice sardo del 1839 che rispetto a quello sardo – piemontese del 1959 – venne comunque sensibilmente ampliato il novero dei soggetti passivi di questa ipotesi di reato, che nei codici preunitari prevedeva esclusivamente i cattivi trattamenti che fossero intercorsi tra coniugi36: nel codice Zanardelli la formulazione dell'art. 391 c.p. ricomprendeva invece condotte delittuose - sempre procedibili ad iniziativa della parte privata - anche in danno di ascendenti, discendenti od affini in linea retta. Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a otto anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a venti anni. 35 “ Il problema che per primo ci sembra opportuno affrontare è quello, del resto fondamentale e tuttora al centro di vivaci discussioni, dell’individuazione dell’oggetto giuridico del delitto previsto dall'art. 572 c.p. Collegato tradizionalmente a questo è poi il problema (..) se la “famiglia” possa essere considerata il soggetto passivo del reato di maltrattamenti o, più in generale, di tutti i delitti previsti nel titolo XI del secondo libro del codice” in F. Coppi, Maltrattamenti in Famiglia, pag. 203, Università di Perugia, 1979. 36 Nei codici preunitari, infatti, l'art. 515 del codice sardo piemontese – inserito fra i Delitti contro l'ordine delle famiglie” sanzionava “i cattivi trattamenti di un coniuge verso l'altro, quando siano gravi e frequenti “; anche il precedente codice sardo del 1839 aveva già stabilito con l'analoga norma di cui all'art. 561 un reato di maltrattamenti nell'ambito dei reati contro l'ordine delle famiglie. In entrambe le fattispecie, le sanzioni erano lievi e l'ambito di applicazione delle norme infine risultò molto relativo. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 61 Nella formulazione del codice Rocco, la collocazione di una fattispecie ove si prevedono condotte lesive anche nei confronti di persone non comprese nel nucleo familiare poteva lasciar supporre che il bene giuridico tutelato dalla norma non fosse poi la famiglia in quanto tale.37 Sul punto sono in realtà state delineate diverse linee di pensiero: un primo indirizzo ritiene che l'oggetto della tutela debba essere appunto essere individuato nella difesa della famiglia, che nel senso delineato dalla norma in esame indicherebbe un aggregato familiare in senso ampio, inteso come comunanza di vita e non come legame propriamente di sangue. 38 Secondo una diversa corrente dottrinale, non favorevole alla scelta operata dal Codice Rocco, la norma in esame sarebbe esclusivamente finalizzata alla difesa della integrità psico – fisica della vittima;39 un'altra linea interpretativa suggerisce poi che alla tutela della integrità fisica e morale della persona si aggiunga la ulteriore difesa della famiglia 40. Di grande suggestione è infine la tesi che individua l'oggetto di tutela nel peculiare rapporto di affidamento che unisce la vittima, sia esso familiare, minore o persona affidata alla cura od autorità, all'autore del reato; detto legame presuppone una correttezza sulla quale la parte offesa deve poter fare, per l'appunto, completo affidamento. In questa prospettiva assume fondamentale rilievo la differenza tra l'offesa recata al bene giuridico tramite un singolo comportamento lesivo e la lesione portata da una serie continua di maltrattamenti, realizzati nell'ambito di un determinato contesto familiare o para 37 Sul punto, si veda Pisapia, voce Maltrattamenti in famiglia, in Novissimo Digesto Italiano, pag. 73: l'Autore specifica che la norma in esame rappresenta il caso tipico in cui il contenuto plurioffensivo della norma è dato dalla diversità dei rapporti che la norma stessa disciplina, vertendosi, in questa ipotesi, di un contenuto alternativamente plurioffensivo e non contemporaneamente plurioffensivo. Ad avviso quindi dell'Autore, nel testo dell'art. 572 vengono accomunate ipotesi che hanno un diverso oggetto giuridico ed è il legislatore a decidere quale sia il bene giuridico la cui tutela sia prevalente e quindi, la classificazione. 38 E' la posizione sostenuta da Delogu , Diritto Penale, 644. L'Autore specifica che il danno alla persona sarebbe in realtà un danno indiretto, perché in via principale il maltrattamento colpirebbe l'ambiente in cui l'individuo stesso organizza e sviluppa la sua personalità. 39 Così, Blaiotta, Maltrattamenti nelle istituzioni assistenziali e dovere di solidarietà, CP 1996, 516. 40 In tal senso, Colacci, Maltrattamenti in famiglia e verso i fanciulli, Napoli 1963 pag. 17 ss. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 62 - familiare. Ne consegue quindi che l'offesa viene propriamente perpetrata nei confronti della “personalità”, intesa come la completa dimensione e dignità dell'individuo. 41 Il nucleo caratteristico della fattispecie criminosa è dato dalla abitualità delle condotte di reato, come si rileva dalla stessa intitolazione della norma che parla, appunto, di maltrattamenti intesi al plurale: un singolo episodio lesivo non può integrare la fattispecie perché la azione criminosa deve essere reiterata nel tempo, in modo da far sì che il rapporto relazionale venga reso abitualmente doloroso.42 D'altro canto, sia che si intenda il bene giuridico oggetto di tutela come il rapporto di affidamento sia che lo si individui nella intera personalità e dignità dell'affidato, si tratta in ciascuna di queste definizioni di beni suscettibili di subire una lesione continua nel tempo: poiché si verte in tema di di reato abituale e non permanente, non si richiede che la condotta vessatoria sia ininterrotta, ritenendosi pertanto assolutamente compatibile la sua integrazione con periodi di (relativa) tranquillità .43 L'abitualità della condotta comporta, necessariamente, che non sia configurabile l'ipotesi del tentativo.44 41 E' questa la tesi di Coppi, Maltrattamenti in famiglia, pag. 232. 42 Si parla pertanto di reato abituale a condotta plurima: la dottrina maggioritaria ritiene che si tratti di un reato abituale proprio, nonostante la norma letteralmente indichi come soggetto attivo del reato “chiunque”. 43 Cass. VI sez., penale 12.04.2006 n.26235 “pur non rilevando, data la natura abituale del reato, che durante il lasso di tempo considerato siano riscontrabili nella condotta dell'agente periodi di normalità e di accordo con il soggetto passivo (Sez. VI, 26 giugno 1996, Lombardo; Sez. VI, 1 febbraio 1999, Valente).“ Si consideri poi che – trattandosi di reato a condotta plurima - nulla esclude che si verifichino addirittura serie di episodi, distinte a loro volta da periodi di quiete, per cui potrebbe infine concretamente realizzarsi l'ipotesi di reato continuato ex art 81 cpv. c.p. La giurisprudenza di legittimità ha inoltre affermato che si può configurare il reato continuato anche nell'ipotesi di maltrattamenti posti in essere nei confronti di più familiari (Cass.Pen. VI sez. 31.01.2003 n.7781): “poiché l'interesse protetto dal reato di cui all'art. 572 c.p. è la personalità del singolo in relazione al rapporto che lo unisce al soggetto attivo, è configurabile il reato continuato nel caso di maltrattamenti posti in essere nei confronti di più familiari” in Riv. Pen. 2004, 122 rv 224048. 44 Ritengono tuttavia che il tentativo si astrattamente configurabile Coppi, Maltrattamenti in famiglia, pag. 285 e Colacci, Maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli, pag. 127: poiché si tratta di un reato necessariamente abituale, sarebbe possibile che venga compiuta una serie di atti che ancora non sia sufficiente ad integrare il reato consumato e questa serie venga interrotta poco prima della consumazione e con elevata possibilità di danno. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 63 La struttura stessa del reato come necessariamente abituale ha portato poi ad escludere, da parte della prevalente dottrina, l'applicabilità della attenuante della provocazione di cui all'art. 61 1 comma n. 2 c.p. Poiché questa tipologia di reato si realizza sovente in contesti caratterizzati da alta conflittualità, ci si è posti in effetti la questione se il fatto ingiusto della persona offesa possa determinare la condotta criminosa e, pertanto, permettere l'applicazione della attenuante di cui sopra. In generale la conclusione è sempre stata sfavorevole, sia perché la reazione d'ira mal si concilia con una ipotesi delittuosa che sanziona propriamente la volontà di maltrattare, sia perché, trattandosi di una serie continua di atti di maltrattamento, appare ben difficile che il fatto in sé provocatorio riesca a giustificarli tutti.45 Il presupposto del fatto è l'esistenza di un rapporto familiare oppure di un rapporto di subordinazione o di affidamento: ad avviso della prevalente dottrina l'idea ispiratrice dello stesso Guardasigilli era l'ampliamento del novero delle persone offese per rafforzare il concetto stesso di famiglia quale “unità sociale”, portatrice di suoi interessi distinti ed autonomi rispetto a quelli dei suoi singoli componenti; questa posizione, unitamente alla volontà di considerare il reato di maltrattamenti in maniera unitaria rispetto alla ipotesi di abuso dei mezzi di correzione (che contemplava già una categoria più ampia di persone offese) si è risolta nella attuale formulazione.46 La Suprema Corte ha da tempo assunto l'indirizzo univoco per cui, ai sensi dell'art. 572 c.p., deve intendersi quale famiglia ogni “consorzio di persone tra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà, senza la necessità della convivenza e della coabitazione”: anche la cessazione del rapporto di convivenza non fa venir meno la configurabilità del reato.4748 Anche per quanto attiene la natura dell'elemento psicologico del reato vi sono state in passato alcuni interessanti confronti – mai sopiti a dire il vero – in merito alla necessità di un dolo sì generico ma unitario e programmatico e quindi di una rappresentazione completa e 45 Anche il giudice di legittimità ha escluso che vi sia compatibilità tra l'attenuante della provocazione ed un reato a condotta abituale: cfr. Cass. Pen. VI sez. 27.10.2000 n. 12307, CP 2002, 1393. 46 Una ampia ed articolata ricostruzione della evoluzione dottrinale in tal senso è proposta da L. Monticelli in “I maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli “, in I Reati contro la Famiglia, Utet 2006. 47 Cass. Pen. III sez., 19.01.2010, n. 9242; Cass. Pen. VI sez. 3.03.2010 n. 24668.; Cass. Pen. VI ,29.01.2008 n. 20647 ( dep. 22.05.2008); Cass. Pen VI sez. 24.01.2007 n. 21329. 48 Cass. Pen. VI sez. 27.06.2008, n. 26571. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 64 volontaria di tutte le azioni criminose in un unico quadro d'insieme da parte del soggetto agente. 49 Di diverso avviso è invece quella linea dottrinale che ritiene sia più coerente con la struttura del reato proprio abituale la previsione e la volontarietà delle singole condotte, purché sia presente la consapevolezza delle condotte precedenti: in una decisione molto recente della Corte d'Appello di Trento (27.01.2012 n. 3809) viene nuovamente ribadita questa posizione, specificando che il dolo in questa tipologia di reato è sicuramente di natura unitaria, “in modo da non confondersi con la coscienza e volontà di ciascun frammento della condotta, ma non è necessario che scaturisca da uno specifico programma criminoso rigorosamente finalizzato alla realizzazione del risultato effettivamente raggiunto. Ciò che la legge impone è solo che sussista la coscienza e volontà di commettere una serie di fatti lesivi della integrità fisica e della libertà o del decoro della persona offesa in modo abituale”. Dalla accettazione dei singoli episodi, ognuno dei quali previsto dall'agente con la consapevolezza dei precedenti, viene così rilevata la inclinazione della volontà a maltrattare50; ad avviso della Corte di legittimità, il momento soggettivo di questa figura di reato può ben realizzarsi in modo graduale, giungendo così a costituire poi il singolo momento unificatore delle singole condotte. 51 Il peculiare schema del reato di maltrattamenti ha comportato in dottrina ed in giurisprudenza l'insorgere di due ordini di problemi, che sono stati risolti nel tempo in maniere assai differenti. Prima di tutto ci si è trovati ad affrontare la controversa questione del concorso tra i la figura di maltrattamenti con i singoli reati che concorrono a realizzarne la fattispecie, e quindi – in alternativa - dell'assorbimento di questi ultimi nell' ipotesi stessa di cui all'art. 572 c.p. Il punto di partenza di ogni analisi in questo senso non può che essere – come dettato dall'art. 15 c.p. - l'identità del bene oggetto di tutela: per questo motivo si è ritenuto che il reato di maltrattamenti assorba le diverse fattispecie di percosse (art 581 c.p.) e minacce (art. 612 c.p.) anche gravi, qualora le singole condotte siano state poste in essere 49 E' questa la posizione sostenuta da Pagliaro ed - in tempi meno recenti - da Giovanni Leone, seguito peraltro da una corrente minoritaria della giurisprudenza di legittimità. 50 Cass. Pen. VI sez. n. 6319 del 22.01.1994. 51 Cass. Pen. sez VI, 18.02.1995 n.2800 in Rivista Penale , 1995, 5, 583. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 65 con la rappresentazione e la volontà di maltrattare, perché in essi identica è l'offesa al bene giuridico oggetto di tutela 52 . Per quanto invece concerne le lesioni, che – come per la morte – sono espressamente previste dal secondo comma dell'articolo in esame come aggravanti speciali della condotta di maltrattamenti qualora ne siano una conseguenza consapevole, voluta o comunque accettata della condotta lesiva, si rileva come queste stesse – qualora non volute dall'agente - concorrano con la condotta di maltrattamenti proprio perché hanno una obiettività giuridica differente.53 E' purtroppo estremamente frequente che la condotta di maltrattamenti in ambito intrafamiliare venga realizzata mediante atti di violenza sessuale, che sarebbero ordinariamente sanzionati dagli art 609 bis ss c.p.; un caso abbastanza esemplare è dato dal coniuge al quale vengono imposti – contro la sua volontà – rapporti sessuali sadomasochistici o comunque di altro genere non gradito al solo fine di provocarne la mortificazione e la prostrazione (si veda la recentissima decisione di Cass. Pen. VI, 29.10.2011 n. 39228). In tal caso, attesa la diversa struttura della fattispecie di cui agli art 609 bis e 572 c.p. nonché il differente bene giuridico tutelato suggeriscono il concorso di reati. 54 Anche per quanto concerne il reato di riduzione in schiavitù di cui all'art. 600 c.p., non vi è identità di vedute in dottrina ed in giurisprudenza: sempre argomentando sul diverso oggetto di tutela nonché della differente condotta materiale si può ritenere che vi sia concorso di reati: tuttavia una diversa linea di pensiero parte invece dalla constatazione che il tratto comune nelle due ipotesi di reato sia dato dallo sfruttamento della vittima e quindi dal suo maltrattamento; così, potendo applicare il principio di consunzione anche nel 52 Cass. Pen. VI sez. n.33091 del 19.06.2003 ( ud.5.08.2003) RV 226443; 53 Così Cass. Pen VI sez. 11.05.2004 n.28367 “la diversa obiettività giuridica del reato di maltrattamenti del reato di lesioni personali esclude l'assorbimento del secondo nel primo, rendendoli, anzi concorrenti”; ma in tema di lesioni involontarie lievi, si ritiene generalmente, sia da parte della dottrina che della giurisprudenza, che le lesioni involontarie lievi o lievissime vadano assorbite dal delitto di maltrattamenti come sua normale conseguenza, mentre per le lesioni lievi o lievissime si verifichi il concorso di norme. 54 Questa posizione è tutt'altro che pacifica nell'ambito delle corti di legittimità: in Cass. Pen. III sez. 29.11.2000 n. 3998 si specificò che il delitto di violenza sessuale continuata non può concorrere formalmente con il delitto di maltrattamenti, poiché entrambi presentano un dolo unitario e programmatico, e la diversa obiettività giuridica è un criterio estraneo al principio di specialità. Conforme, Cass. Pen. Sez. VI, 24.06.2004 n. 35849. A favore del concorso, invece, Cass. Pen. Sez. III 16.05.2007 n. 22850, Cass. Pen. VI sez. 25.06.2008 n. 35910, Cass. Pen VI. 12.02.2010 n. 12423. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 66 caso di beni giuridici non omogenei, proprio perché le due norme hanno il comune obiettivo della tutela del soggetto più debole da atteggiamenti di sopraffazione, non si potrà configurare il concorso tra l'ipotesi di reato di cui all'art. 600 e quella di cui all'art. 572 c.p.55 Si ritiene invece pacificamente che non sia configurabile il rapporto di specialità tra il reato di maltrattamenti ed il sequestro di persona, sia per la diversità di bene giuridico che di condotta materiale. 56 Un diverso approfondimento merita poi verifica del rapporto sussistente tra i maltrattamenti in famiglia e la fattispecie criminosa espressamente richiamato dallo stesso art 572 c.p., ovvero l'abuso dei mezzi di correzione. Da una prima lettura della norma il delitto di maltrattamenti parrebbe unicamente una ipotesi residuale rispetto all'abuso di mezzi di correzione, con la espressa clausola di riserva specifica; la clausola esclude infatti l'applicazione del reato di maltrattamenti nel caso in cui ricorra il cosiddetto fine pedagogico. Nel corso degli anni l'asse del discorso si è tuttavia spostato dall'animus corrigendi, quale criterio di discrimine fra le due fattispecie, alla condotta materiale concretamente posta in essere e quindi al mezzo correttivo; poiché la violenza - a qualsiasi fine venga utilizzata - rappresenta sempre e comunque un mezzo illecito, solo qualora il metodo correzionale sia lecito in sé si potrà allora verificare se esista la volontà di vessare un proprio sottoposto o familiare ed in tal caso si potrà quindi valutare la sussistenza dell'abuso di mezzi di correzione. Ponendo quindi la dovuta attenzione al mezzo correttivo utilizzato, la Suprema Corte ha consolidato l'indirizzo per cui i mezzi di correzione consentiti sono esclusivamente quelli che non comportano ricorso alla violenza, quindi rimproveri o punizioni non corporali: “gli atti di violenza devono ritenersi oggettivamente esclusi dalla fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, dovendo ritenersi tali solo quelli per loro natura a ciò deputati, che tradiscano l'importante e delicata funzione educativa” (Cass. Pen. VI 22.09.2005, n. 39927) ed ancora “l'esercizio della funzione correttiva con modalità afflittive e deprimenti della personalità, nella molteplicità delle sue dimensioni, contrasta con la pratica pedagogica e con la finalità di promozione dell'uomo ad un grado di maturità tale da renderlo capace di integrale e libera espressione delle sue attitudini, inclinazioni ed aspirazioni.” (Cass. Pen. VI sez. 25.09.1995 n. 2609). 55 La decisione della Cassazione prendeva in esame un caso di sfruttamento di minori, costretti alla mendicità dai genitori stessi (Cass. Pen. VI sez. 12.12.2006 – 17.01.2007 n.1090); 56 Cass. Pen. 1 sez. 2.05.2006 n.18447. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 67 Un secondo ordine di questioni è insorto in merito alla corretta qualificazione in cui inserire le ipotesi disciplinate dal secondo comma dell'art. 572 c.p., ove si legge che “Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a otto anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a venti anni.” Ad avviso di una dottrina minoritaria, si tratta di circostanze oggettive di maggiore punibilità che comporterebbero la fattispecie tra i delitti preterintenzionali in senso lato, poiché l'evento più grave deve essere causato, ma non voluto dall'agente.57 Secondo una diversa corrente di pensiero, il fatto che rimanga inalterata la struttura del reato porterebbe a pensare che si tratti in realtà di circostanze aggravanti speciali. La dottrina maggioritaria sostiene invece che si tratti di autonome figure di reato, aggravate o qualificate dall'evento: questa soluzione sembra più coerente con la differenza di pena prevista tra l'ipotesi del primo comma (la reclusione da uno a cinque anni) ed i casi previsti nel secondo comma, che prevede la reclusione da quattro ad otto anni per le lesioni gravi, da sette a quindici anni per le lesioni gravissime e da dodici a venti anni in caso di morte: si tratta in effetti di pene troppo elevate per semplici circostanze aggravanti.58 Infine, occorre prendere in esame il caso in cui la vittima, in esito ai maltrattamenti subiti, decida di porre fine alla sua vita. Se infatti le pronunce giurisprudenziali hanno considerato integrata l'ipotesi di cui al secondo comma dell'art. 572 c.p. solo qualora vi fosse un sicuro collegamento tra il suicidio ed i gravi e ripetuti episodi di maltrattamento, tali da provocare alla vittima il desiderio di porre fine alle sue sofferenze, la dottrina ritiene che debba essere comunque operato un approfondito accertamento nel rapporto causale tra maltrattamenti e suicidio; si argomenta in tal senso partendo dal presupposto che – almeno nella maggioranza dei casi – l'autore del reato non desidera la fine della sua vittima, che, anzi, gli è necessaria per appagare i suoi istinti prevaricatori. Secondo questa teoria, quindi, per poter contestare l'ipotesi aggravata occorrerebbe una indagine aggiuntiva sulle modalità del suicidio, al fine di comprendere se la decisione finale del soggetto passivo sia effettivamente l'inevitabile conclusione di una vicenda di maltrattamenti oppure l'effetto di una causa diversa connessa magari con la personalità del suicida.59 57 Così Pisapia, Maltrattamenti in famiglia, in Novissimo Digesto pag. 79. 58 E' questa la posizione sostenuta da Coppi, in Maltrattamenti in famiglia, pag. 262 e da Delogu, Diritto penale, pag. 638. 59 Questa è l'interessante teoria di Preziosi, in “Maltrattamenti seguiti da suicidio: oggettivo e soggettivo nell'imputazione dell'evento ulteriore, sullo sfondo della colpevolezza dell'autore” in 1988. Si veda però anche Cass. Pen. VI, 29.11.2007 n. 12129, ove si ritiene che l'espressione “deriva” utilizzata dal legislatore Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 68 6. I maltrattamenti subdoli Come si è visto sono ad ora, le dispute sulla natura del reato sono dovute precipuamente dal fatto che la condotta di maltrattamento solitamente si estrinseca in altre condotte delittuose; tuttavia non è infrequente che tali condotte singolarmente individuate, non configurino poi alcuna tipologia criminosa ed anzi, solo valutate nel contesto complessivo della loro ripetizione abituale vengano qualificate per quel che realmente sono: ovvero singoli momenti di un contegno complessivo volto a rendere un inferno l'esistenza del soggetto passivo. D'altro canto, l'ipotesi di reato descritta nell'art. 572 è una fattispecie a forma libera, quindi può essere realizzata attraverso qualsiasi “comportamento idoneo”, sia esso una condotta commissiva od omissiva60: da questa prospettiva, particolare rilievo è dato alla sia alla sensibilità dell'operatore delle strutture di supporto di cui si è già fatto cenno, al quale è richiesta la capacità di percepire e far emergere il malessere nella vittima del maltrattamento, così da poter eventualmente aiutare e sostenere la presa di coscienza nel secondo comma dell'art. 572 c.p. non possa essere intesa come una limitazione della attribuibilità delle lesioni e della morte della vittima dei maltrattamenti ai soli casi in cui trovino in tale condotta la loro unica causa. Ad avviso di questa pronuncia, “in natura non si hanno eventi prodotti da una sola ed unica causa e che il ricorso alla espressione derivare non può significare una deroga ai principi posti dallo stesso art 41 c.p., ma che, anzi, stia a segnalare proprio un rinvio alle regole in cui il codice penale regolamenta l'imputazione soggettiva degli eventi causati dall'autore di un reato. Si ritiene infatti, condividendo altra autorevole dottrina, che nella specie la condotta suicida possa considerarsi come una causa sopravvenuta che abbia potenziato l'efficienza causale dei maltrattamenti concorrendo a produrre l'evento.” 60 In dottrina si è soliti riportare l'esempio del minore privato di cure o sostegno alimentare: si segnala tuttavia una rilevante decisione dei giudici di legittimità, ove si specifica che la morte del minore determinata dalla mancata somministrazione di cibo integra il reato di omicidio volontario e non la più lieve ipotesi di morte in conseguenza di maltrattamenti contemplata dall'art. 572 2 comma c.p. ( Cass. Pen. 1 sez., 14.05.2008 n. 21329. La Corte argomenta dal fatto che è nella cognizione è nell'esperienza di qualsiasi individuo che la mancata somministrazione di cibo ad un bambino ne cagionerà sicuramente la morte; pertanto occorre valutare – come nel caso affrontato – la presenza del dolo diretto omicidiario poiché “ attesa la diversa obiettività giuridica del debito previsto dall'art. 572 c.p. E di quello di omicidio volontario, qualora dai maltrattamenti derivi, come nel caso in esame, la morte della persona offesa non è configurabile l'ipotesi aggravata di cui al capoverso dell'art. 572 c.p. Ed è da escludere l'assorbimento, nell'ambito della citata fattispecie, del delitto di omicidio volontario, quando la morte, lungi dal costituire una conseguenza non voluta della condotta abituale di maltrattamenti, è stata oggetto della sfera rappresentativa e volitiva dell'agente, oltre ad essere causalmente collegata alla condotta da questa posta in essere.” Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 69 della situazione del soggetto passivo e segnalare il caso alle autorità; sia poi alla prudente valutazione del magistrato cui compete di verificare se le condotte evidenziate integrino o meno la fattispecie criminosa in esame. Si è già avuto modo di vedere come le corti di merito abbiano da circa vent'anni adottato un criterio dichiaratamente aperto per la individuazione di quelle condotte che possono integrare il reato di maltrattamenti, ritenendo che questi non si realizzano necessariamente tramite la compromissione della integrità fisica del soggetto passivo, intendendo con ciò fare riferimento ai cosiddetti maltrattamenti “che lasciano il segno”, ma anche gli atti di disprezzo e di offesa alla dignità, purché questi si risolvano comunque in vere e proprie sofferenze morali 61; quel che rileva è se la singola condotta rientri nella sopraffazione sistematica del soggetto debole, diretta a renderne impossibile l'esistenza: nel caso di reati fra coniugi, per esempio “occorre di volta in volta verificare se la condotta irrispettosa dell'un coniuge verso l'altro abbia carattere meramente estemporaneo ed occasionale, nel senso che sia solo l'espressione reattiva di uno stato di tensione, che comunque può sempre verificarsi nella vita di coppia, nel qual caso si dovrà eventualmente fare richiamo a figure criminose estranee ai delitti contro la famiglia e rientranti tra quelli contro la persona, oppure se la detta condotta si concreti nella inosservanza cosciente e volontaria dell'obbligo di assistenza morale ed affettiva verso l'altro coniuge ( …) oppure, se la condotta antidoverosa assuma connotati di tale gravità da costituire, per il soggetto passivo, fonte abituale di sofferenze fisiche e morali, nel qual caso l'ipotesi delittuosa configurabile è quella di maltrattamenti di cui all'art. 572 c.p. “ (così Cass. Pen. III, 9.03.1998, n. 4752). Alcuni autori hanno evidenziato come alla base della violenza domestica vi sia fondamentalmente un abuso di posizione dominante, che può senz'altro essere considerato un elemento decisivo sulla base della quale poter distinguere la violenza domestica dalla conflittualità familiare . 62 Il giudice di merito viene così chiamato, volta per volta, ad operare una ricostruzione del contesto familiare in cui è maturata la vicenda che si assume criminosa, per valutare con esattezza il rilievo penale delle singole condotte poste in essere nell'ambito del consorzio familiare; lo schema normativamente previsto della fattispecie non richiede un completo stato di soggezione dipendenza della vittima rispetto all'autore della condotta criminosa 63, ed il giudice di legittimità – con un discusso provvedimento del 2010 - 61 Cass.Pen VI, 7.06.1996, Vitiello 62 Giordano – De Masellis, Violenza in famiglia – Percorsi giurisprudenziali, Giuffrè 2011 63 Cass. Pen. VI, n.4015 del 4.03.1996 Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 70 ha escluso la sussistenza del reato qualora la parte offesa, per una sua particolare forza di carattere, riesca a non farsi intimorire dai comportamenti prepotenti del coniuge.64 Così, come si è già avuto modo di vedere, anche la “intollerabile avarizia” può integrare il reato in questione quando “non rappresenta altro che il callido alibi dietro cui imporre il proprio autoritarismo gratuito, inconciliabile con il benché minimo rispetto dell'affectio maritalis”; anche le infedeltà ostentate, quando siano dirette a creare nel coniuge una situazione di vita dolorosa ed avvilente, rientrano sicuramente nell'ambito della condotta materiale dei maltrattamenti in famiglia e così pure il comportamento del coniuge che obbliga la moglie a tollerare la presenza della concubina nel domicilio coniugale ( Cass. Pen. Sez. VI, 20 aprile 1977 n.1303). Una recente decisione della Corte di legittimità ha individuato la condotta di maltrattamenti anche nei comportamenti iperprotettivi della madre e del nonno nei confronti del minore che ne abbiano impedito la socializzazione e, pertanto, ne abbiano turbato lo sviluppo psichico. Nel caso in esame, la condotta criminosa è stata qualificata come “eccesso di accudienza”; in breve, la madre ed il nonno del minore sono stati ritenuti responsabili del reato di cui all'art. 572 c.p. per aver privato il minore di ogni contatto sociale con i suoi coetanei nonché di avere di fatto cancellato la figura del padre, rappresentato al ragazzo come una personalità del tutto negativa ed impedendo allo stesso figlio di assumere il cognome del padre. Il decisum della Corte è estremamente indicativo nel precisare la natura della materialità dei maltrattamenti necessari per integrare la condotta criminosa: la rubrica dell'art. 572 non sanziona esclusivamente quel tipo di atteggiamenti che presentano una “chiara connotazione negativa”, almeno secondo il comune sentire, come abbandonare un minore in strada per obbligarlo all'elemosina oppure esporlo a contesti erotici. Questo perché l'interesse dello Stato – in questo tipo di delitto – non è solo, come si è visto, la salvaguardia della famiglia dai comportamenti dichiaratamente negativi, ma 64 L'iter logico del giudice nomofilattico è lineare: non è sufficiente un semplice stato di tensione che per poter parlare di sopraffazione di un coniuge in danno di un altro, ma è necessaria una condotta abitualmente lesiva della integrità fisica e morale del soggetto più debole che – nel caso in esame – si era poi rilevato semplicemente “fortemente scosso” dai comportamenti dell'imputato che – evidentemente-non erano idonei ad integrare la condotta lesiva (Cass. Pen. VI 12.03-02.07.2010 n. 25138). Diversamente, i comportamenti umilianti, volgari ed irriguardosi, come una serie continua di aggressioni verbali ed ingiuriose possono senz'altro configurare il reato di maltrattamenti quando realizzino un regime di vita mortificante ed avvilente (Cass. Pen. II 11.11.2011 n.4101- conforme Cass.Pen. VI sez. 16.11.2010 - 28.12.2010 n. 45547). Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 71 anche la tutela della incolumità fisica e psichica dei soggetti passivi indicati nella norma, “interessate al rispetto integrale della loro personalità e delle loro potenzialità nello svolgimento di un rapporto, fondato su costruttivi e socializzanti vincoli familiari aperti alle risorse del mondo esterno, a prescindere da condotte pacificamente vessatorie e violente” In questa prospettiva anche gli atteggiamenti iperprotettivi e le deprivazioni psicologiche e sociali possono integrare il reato di maltrattamenti: ne' può essere portato quale discrimine del maltrattamento lesivo della maturazione psicologica e fisica del minore il fatto che quest'ultimo non percepisca il maltrattamento quale tale ma anzi ritenga inconsapevolmente di vivere in uno stato di benessere, poiché il minore esige tutela anche al di là della sua percezione soggettiva. Sul punto il provvedimento richiama poi la ferma posizione della giurisprudenza di legittimità per cui il reato di maltrattamenti non può mai essere scriminato dal consenso dell'avente diritto; il consenso ad essere maltrattati è sicuramente una tematica estremamente viva nell'ambito delle dinamiche intrafamiliari, ove sovente si ravvisano forme di auto colpevolizzazione da parte dei soggetti passivi del reato. La dottrina maggioritaria ha da sempre ritenuto che i beni salvaguardati dalla disciplina dei reati contro la famiglia non rientrino nell'ambito dei diritti disponibili cui fa riferimento l'art. 50 c.p.65 Alcuni autori ritengono che il limite alla disponibilità del diritto alla integrità personale vada circoscritto in base all'articolo 5 del codice civile, che limita gli atti di disposizione del proprio corpo; tuttavia si ritiene genericamente che se le condotte lesive dell'integrità personale vengano realizzate in un contesto familiare, l'ordinamento ponga una tutela rafforzata rispetto ai reati contro l'incolumità individuale ed, in tal senso, deve essere anche intesa la procedibilità d'ufficio per il reato di maltrattamenti prevista nella normativa codicistica.66 Nel caso affrontato dalla Suprema Corte per l'eccesso di accudienza, si ritiene che il reato di maltrattamenti non possa mai essere scriminato dal consenso dell'avente diritto, “sia pure affermato sulla base di opzioni sub-culturali o, come nella specie, scelte e stili pedagogici obsoleti, od in assoluto contrasto con i principi che stanno alla base dell'ordinamento giuridico italiano, in particolare con la garanzia dei diritti inviolabili 65 Articolo 50 c.p. Consenso dell’avente diritto. Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente disporne. 66 L. Monticelli, Maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli, in Reati contro la famiglia. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 72 dell'uomo sanciti dall'art. 2 Cost., i quali trovano specifica considerazione in materia di diritto di famiglia.” Si tratta sicuramente di un provvedimento innovativo che segna un passo avanti nella nozione di maltrattamento 67: in tale senso la giurisprudenza sta mostrando una considerevole sensibilità per adeguare il concetto stesso al mutare della realtà sociale e dei costumi. In precedenza si è fatto riferimento ad alcune recenti rilevazioni statistiche, che correttamente hanno censito non solamente le vittime dirette delle condotte di reato, ma anche tutti coloro che – in qualche modo – erano stati costretti ad assistere al perpetrarsi della violenza. Ebbene, già nel 2010 i giudici di legittimità avevano sancito come la condotta vessatoria ed umiliante diretta verso la madre abbia sicuramente ripercussioni tali nei figli minori - costretti ad assistere alla mortificazione della madre – da integrare la condotta di maltrattamenti in famiglia. Nel caso affrontato dalla Suprema Corte con la sentenza n. 41142/2010, i giudici di legittimità avevano rilevato come tale fosse il clima di angoscia maturato in ambito familiare che i figli minori avevano più volte espresso la volontà di non recarsi a scuola nel timore di lasciare la madre senza difesa. Poiché il reato può essere realizzato anche mediante atti omissivi, non è quindi necessario – ad avviso della Corte - uno specifico comportamento vessatorio nei confronti di un soggetto determinato, ma è sufficiente l'instaurazione di un clima di prostrazione all'interno di una comunità, ove i soggetti attivi siano tutti consapevoli degli abusi realizzati, a prescindere dalla entità numerica degli atti vessatori e della loro riferibilità ad uno qualsiasi dei soggetti passivi (Cass. Pen. VI sez. 8592 del 21.12.2009 (dep.03.03.2010); conforme, Cass. Pen.V sez. 22.11.2010 n. 41142.) Conclusioni I riferimenti giudiziari sul maltrattamenti psicologici sono in costante aumento: i casi individuati segnalano che si tratta di manifestazioni differenziate e spesso complesse, indici di una conflittualità esasperata in ambito familiare. Il richiamo alla prudenza nelle valutazioni è ovviamente di rigore, poiché non di rado la questa conflittualità si traduce in forme di insidia non immediatamente percepibili che 67 Secondo un arguto commento, la Cassazione sembra aver assunto quasi il ruolo di giudice minorile, chiamato a valutare il contesto familiare e la condotta lesiva indipendentemente dalla percezione che ne abbia il minore cf. V. Pusateri, in Diritto Penale Contemporaneo Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 73 richiedono agli operatori sia grandi capacità di analisi che la rara capacità di vedere oltre l'immediato. Se infatti una violenza fisica, per quanto devastante, può forse essere individuata e comunque fermata, la violenza psicologica può lasciare del pari tracce indelebili e talvolta insanabili. Nel 2000 venne data alle stampe una pubblicazione della WHO, l'Organizzazione mondiale della Sanità, in tema di Violenza domestica contro le donne e le bambine: sin dalle prime battute del documento si rileva una verità sotto gli occhi di tutti, potremmo dire di una evidenza cristallina: donne e bambini, quindi o soggetti deboli per eccellenza, corrono i maggiori pericoli proprio nel luogo ove teoricamente dovrebbero trovarsi più la sicuro: la famiglia. 68 La violenza psicologica, ovviamente, per sua stessa natura sfugge per lo più ad ogni tentativo di classificazione: in questo modo non è facile fornire una misura di un fenomeno che riguarda uno dei livelli più insidiosi e pericolosi di violenza. Le vittime spesso riferiscono che una vita passata nel terrore è sovente più orribile della stessa violazione della integrità fisica. Il problema non è strettamente connesso al livello sociale o di istruzione, come pure al censo od all'etnia. Numerosi studi sul tema confermano – sia pure con tutta la prudenza che suggeriscono dati che abbiamo visto essere molto limitati - che gli autori delle violenze domestiche sono spesso persone incensurate, senza nessun atteggiamento apparentemente criminale o comunque pericoloso. Alcuni appaiono all'esterno come genitori normali e coniugi affettuosi; solo l'oggetto delle violenze è quindi a conoscenza di avere, purtroppo, il nemico in casa. 68 M. Khan, La violenza domestica contro le donne e le bambine, Innocenti Digest n. 6 Giugno 2000, in http://www.unicef-irc.org/publications/235. Si veda anche la rilevazione statistica eseguita dall'ISTAT e pubblicata nel 2007 in www3.istat.it/salastampa/comunicati/non...00/testointegrale.pdf. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 74 Il fenomeno della "magia" nel diritto penale: i termini della odierna analisi di Federica Federici Tra i numerosi e delicati aspetti di rilievo giuridico afferenti al fenomeno di maghi, imbonitori ed all’occultismo ed esoterismo in generale, si rinvengono: - la questione della qualifica della fattispecie dei possibili reati ad esso sottesi. che vanno dal plagio alla circonvenzione di incapaci, dalla violenza morale ai maltrattamenti - anche minorili - nonché ricatti ed estorsioni, associazione a delinquere, esercizio abusivo della professione medica, violazioni delle leggi che disciplinano il rapporto di lavoro, minacce ed evasioni fiscali, reati tribunati, fino alla truffa; - il tema dell’inquadramento dei gruppi a cui i soggetti si affiliano, che associano gli adepti condizionando necessariamente le loro abitudini, valori, idee, atteggiamenti come singoli e nel tessuto familiare e sociale; - il sistema sanzionatorio trattandosi di organizzazioni spesso non riconosciute o soggetti difficilmente individuabili; - la loro natura come enti religiosi o come sette o come associazioni o come altra tipologia di associazione con aspetti criminali, la cui qualifica ha una ricaduta inevitabile nell’ordinamento penale; - il trattamento fiscale e tributario a loro spettante; - le questioni di carattere internazionale e trasnazionale del loro trattamento; - questioni legate al sistema gerarchico interno sia sotto il profilo giuridico che sociologico che criminologico. La rivista, riservandosi di approfondire tali tematiche nei numeri successivi proprio per la complessità del fenomeno, affronta in questo numero il caso Scientology69, che non è 69 I governi di Svizzera (Rapporto della Commissione Consultiva della Sicurezza dello Stato. Luglio 1998), Germania (Rapporto Jaschke del 1995 e Cosiddette Sette e Psicogruppi, rapporto finale presentato al Governo dal Parlamento Tedesco, giugno 1998) e Belgio definiscono ufficialmente Scientology come un culto totalitario. In Germania, in particolare, nel dicembre del 2007, il ministro dell'Interno tedesco Wolfgang Schäuble e i responsabili dell'Interno dei 16 stati federali hanno concordato di "non considerare Scientology un'organizzazione compatibile con la costituzione" aprendo quindi la strada per una possibile messa al bando dell'organizzazione. In Francia, un documento parlamentare (Rapporto Guyard prodotto nel 1995 ha classificato l'organizzazione come un culto pericoloso; in Francia Scientology è stata condannata per truffa nell'ottobre 2009 e ad una multa di 600 000 euro, Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 75 riconosciuta come confessione religiosa dall'ordinamento giuridico italiano e non è, altresì, riconosciuta come Ente di Culto. Pertanto, Scientology, mancando sia dell'intesa che della qualifica di ente di culto, non è una religione riconosciuta dallo Stato Italiano. Per la precisione, si analizzeranno con particolare attenzione: - le sentenze della CEDU del 2007 e della Cassazione Penale (Cass. Pen., III Sez., sent. 23 febbraio 2000, n. 2081) relative al fenomeno Scientology; - il "Sistema Vanna Marchi" nella Rubrica "Il caso" di Martino Modica; - la situazione attuale dell'occultismo in Italia nella rubrica "Oltre il mio nome" dove troverete l'intervista al Prof. Silvano Fuso, responsabile per la scuola del C.I.C.A.P. (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale) condotta da Tommaso Migliaccio Buona lettura. evitando il rischio di scioglimento grazie ad un recente emendamento legislativo che impedisce alla giustizia francese di sciogliere le organizzazioni condannate per truffa. In Gran Bretagna, Scientology non raggiunge gli standard legali per essere considerata una religione. In Grecia un'inchiesta partita nel 1995 ha portato alla condanna in tribunale e conseguente smantellamento dell'organizzazione avvenuto nel gennaio 1997. Lo status di Scientology continua ad essere fonte di controversie in molti paesi nel mondo e Scientology stessa tende a presentarsi come religione o negando di esserla a seconda delle norme vigenti nel Paese. Lo stesso Parlamento europeo nel 1997 si è occupato del fenomeno settario in Europa. Nella relazione viene più volte citata Scientology come esempio di setta. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 76 Il caso Scientology per la giurisprudenza italiana e comunitaria70 di Federica Federici Forse non è (abbastanza) noto né all’opinione pubblica né agli operatori del diritto che - sia in ambito nazionale che comunitario - vi sono state pronunce su Scientology. La qualifica di Scientology, termine che deriva dal latino scio (da cui scientia) ovvero "conoscere” e dal vocabolo greco logos ovvero "parola, è molto controversa: i siti ufficiali di Scientology parlano di "filosofia religiosa applicata", in realtà Scientology è un'organizzazione che raccoglie e diffonde l'insieme delle credenze e pratiche ideate da L. Ron Hubbard nel 1954 basate sul precedente sistema di auto-aiuto denominato Dianetics. Hubbard ha dato nel tempo diverse definizioni di Scientology ("filosofia religiosa", "corpo organizzato di conoscenza", ecc.). Molte fonti71 la definiscono una setta. Da un punto di vista giuridico il riconoscimento dello status di "religione" è accordato a Scientology solo in alcuni Stati (ad esempio Stati Uniti e Australia); in Europa, nella maggioranza degli Stati, non gode dello status di religione riconosciuta.72 Manca a 70 Il simbolo di Scientology, la croce ad otto punte, è molto simile a quello della setta del satanista Aleister Crowley di cui Hubbard fu membro (secondo Scientology come spia del governo americano anche se questa tesi è considerata assolutamente ridicola dai suoi detrattori). 71 Time 6 maggio 1991, Richard Bear; L'espresso Numero 5 - ANNO XLIII - 6 febbraio 1997; LA VOCE n. 30, 8 agosto 1997; Dipartimento di Sociologia dell'Università di Alberta, Canada. Scientology: is this a religion? - documento rilasciato il 30 giugno 1997 a Lipsia, Germania, Jon Atack, 1990; A Piece of Blue Sky: Scientology, Dianetics and L. Ron Hubbard Exposed, Russell Miller, Bare-Faced Messiah 1988, Il libro nero delle sette in Italia, Caterina Boschetti, Newton Compton, 2007, Rapporto Guyard; Relazione sulle sette dell'unione europea, Rapporto del Dipartimento di Pubblica Sicurezza sul fenomeno delle sette (Italia). 72 Il quartier generale di Scientology si trova nella cittadina statunitense di Clearwater (Florida). A gestire i marchi d'impresa è il Religious Technology Center (RTC). Dopo la morte di Hubbard nel 1986, il movimento è guidato da David Miscavige, presidente del Consiglio d'Amministrazione del Religious Technology Center (RTC). Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 77 Scientology una teologia e un concetto di dio definito, e non richiedendo di aver fede in esso, secondo alcuni non potrebbe essere definita una religione, bensì un culto o un sistema di automiglioramento. Prima di approfondire la posizione della giurisprudenza comunitaria e nazionale sul fenomeno Scientology, si tenga presente che tale organizzazione è considerata la “religione” più costosa della terra: esistono infatti esistono precisi listini per qualsiasi prodotto (libri, audiocassette, ecc.) o servizio (auditing, corso, ecc.) proposto dall'organizzazione. Dai "listini delle donazioni obbligatorie" interni si può quantificare in circa 25.000 euro il costo complessivo per raggiungere lo "stato di Clear", e in circa 250.000 euro quello per l'ottenimento del livello di OT VIII, il più alto attualmente a disposizione. Oltre all'elevamento spirituale in quanto tale, le Chiese di Scientology organizzano periodicamente grandi "event" che si concludono con raccolte fondi per l'attuazione di questo o quel progetto, e le testimonianze parlano di forti pressioni a versare ingenti somme di denaro, o all'acquisto di materiali e gadget vari. Scientology costituisce un vero e proprio mondo a parte per i suoi membri, che vengono invitati a disconnettere, cioè a troncare i contatti, con chi è ostile al movimento e che, a giudizio degli istruttori di Scientology, ha l'unico scopo di distruggere Scientology, ostacolare il percorso spirituale dello scientologist, impedire il "chiarimento del pianeta". La persona che quindi mette in atto un qualsiasi comportamento di critica o contrasto verso Scientology viene etichettata come "persona soppressiva" e può essere non solo il criminale conclamato che non ha mai speso una parola contro Scientology, ma anche il genitore semplicemente preoccupato dall'affiliazione del figlio, chi scrive un articolo critico su internet ecc.... A volte si tratta di ex-membri che hanno abbandonato Scientology e parlano apertamente delle loro esperienze negative. Ai membri di Scientology viene vietato qualsiasi contatto con la persona etichettata come "soppressiva". Scientology ha la reputazione di intraprendere azioni ostili verso chiunque la critichi pubblicamente. Giornalisti, politici, ex scientologisti, gruppi anti sette, già a cominciare dal 1960, hanno accusato Scientology delle più svariate malefatte e quasi senza eccezione, tutte queste critiche, sono state oggetto di ferma reazione da parte di Scientology attraverso cause legali e accusando pubblicamente i critici di personali malefatte. Molti critici hanno inoltre riferito di essere stati oggetto di molestie e minacce. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 78 Il fenomeno Scientology in Italia Scientology arriva in Italia nel 1974 con la fondazione del primo "Hubbard Dianetics Institute", inizialmente senza l’utilizzo del nome Scientology e senza che il movimento si presentasse come una religione.73 Con i primi seguaci arrivano rapidamente anche le prime polemiche. Sin dall'inizio infatti i vari centri di dianetica furono oggetto di esposti ed indagini di varie preture d'Italia per reati di truffa, violazione valutaria, associazione a delinquere, esercizio abusivo della professione medica, circonvenzione di incapaci, violazioni delle leggi che disciplinano il rapporto di lavoro. Alla metà degli anni ottanta Scientology fu quindi al centro di una gigantesca inchiesta giudiziaria che si concluse con il rinvio a giudizio, nel 1988, di 140 operatori dei suoi centri, ormai diffusi su quasi tutto il territorio nazionale. Le imputazioni spaziavano dalla circonvenzione di incapace all'abuso della professione medica, fino all'associazione per delinquere. Il procedimento, che per 12 anni vide alternarsi pesanti condanne dei giudici di merito e annullamenti dalla Corte di Cassazione, si concluse in via definitiva nel 2000. I vertici furono assolti dall'imputazione di associazione per delinquere, ma furono mantenute alcune condanne per circonvenzione di incapace e abuso della professione medica. Nel 1996 Scientology (più propriamente la New Era Pubblications Italia Srl, casa editrice della chiesa) viene condannata dall'Autorità garante della Concorrenza e del Mercato per pubblicità ingannevole (Provvedimento n. 3582).74 Nel 1997 Scientology viene nuovamente 73 Il primo statuto della sede di Milano del 1977 affermava che l'organizzazione aveva natura "idealistica", la dianetica era indicata non quale religione ma quale scienza. Con lo statuto del 1982 (dopo circa trent'anni dalla fondazione di Scientology) per la prima volta i fini dell'organizzazione verranno definiti "religiosi, culturali ed idealistici", anche in Italia, e sarà introdotto il termine "chiesa", nonostante l'organizzazione di Milano continuasse a denominarsi Dianetics Institute. Con lo statuto del 1985 l'organizzazione assumerà anche in Italia il nome di Chiesa di Scientology. 74 Si legge nel provvedimento del Garante che “il messaggio pubblicitario, apparso sul settimanale "Oggi" (n. 35 del 30 agosto 1995, pag. 87), teso a promuovere la vendita, effettuata dalla New Era Pubblications Italia Srl, del libro "Dianetics" di L. Ron Hubbard, abbinata all'omaggio del libro "La via della felicità", costituisce, limitatamente alla parte in cui si vantano come riconoscimenti da parte di 130 Governi e del Congresso degli Stati Uniti semplici ringraziamenti di cortesia per l'invio in omaggio del libro "La Via della felicità", pubblicità ingannevole, ai sensi dell'articolo 2, lettera b), del Decreto Legislativo n. 74/92, e ne vieta l'ulteriore diffusione.” Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 79 condannata dall'Autorità garante della Concorrenza e del Mercato per pubblicità ingannevole (Provvedimento n. 5016).75 Infine nel novembre del 2004 il Tribunale di Cagliari condanna (N. 1555/2003 R.G. TRIB. N. 25/1999 R.N.R.) un dirigente della locale organizzazione di Scientology a 4 anni e 6 mesi di reclusione per il reato di estorsione, nel dettaglio il dirigente è stato condannato: perché, anche in concorso con altre persone non identificate, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, mediante minacce, costringeva ripetutamente De. R. a consegnargli varie somme di danaro in contanti per un ammontare complessivo di circa cento milioni di lire, così procurandosi l'ingiusto profitto della predetta somma, con pari danno della persona offesa. Minacce consistite: nel prospettare la morte della persona offesa e dei suoi genitori; nel prospettare rivelazioni su particolari intimi della vittima appresi nell'ambito dell'associazione "Missione Chiesa di Scientology" di Cagliari frequentata dalla vittima (e di cui il Ca. era dirigente). Esistono tuttavia una serie di provvedimenti - a livello nazionale e non - favorevoli all’organizzazione.76 75 Si legge nel provvedimento del Garante che “il messaggio pubblicitario reclamizzante 20 lezioni di "Anatomia della mente umana", così come descritto al punto 2, è da ritenere ingannevole ai sensi degli artt. 1 e 2, con riferimento all'articolo 3 del Decreto Legislativo del 25 gennaio 1992 n. 74, per le ragioni e nei limiti esposti in motivazione, e ne vieta, con effetto immediato, l'ulteriore diffusione.” 76 Nel 1993, negli USA, Scientology ottiene la piena esenzione fiscale per sé ed i gruppi affiliati e il riconoscimento dello status di "charity". Nel novembre 2007 in Spagna la terza sessione amministrativa dell'Audiencia Nacional, il tribunale speciale spagnolo, ha dato il via libera all'iscrizione di Scientology nel Registro unico delle Entità Religiose del Ministero della Giustizia, dandole così personalità giuridica.Per ottenere la pronuncia favorevole (dopo il diniego avuto dal Ministero della Giustizia, due anni prima) Scientology ha dovuto riscrivere il proprio statuto. Il 5 aprile 2007 la Corte Europea dei diritti dell'uomo ha accolto il ricorso della Scientology contro la Russia. In particolare il processo ha sanzionato la Russia per la condotta che ha tenuto nella richiesta di registrazione come ente religioso di Scientology, poiché ha negato tale registrazione senza fornire spiegazioni adeguate. In sostanza, quindi, Scientology non viene "riconosciuta" come religione (compito che non è di pertinenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo), più semplicemente viene sanzionato il comportamento negligente delle istituzioni Russe nella valutazione dello status di Scientology. Nell’ottobre 2001, la Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione ha annullato una precedente sentenza sfavorevole a Scientology della Commissione Tributaria Regionale di Milano, in quanto ha affermato che la natura religiosa di un ente va accertata di volta in volta sulla base delle indicazioni date dalla Corte Costituzionale. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 80 Attualmente Scientology è presente in Italia con una ventina di "org" (chiese) e una quarantina di missioni sparse su tutto il territorio nazionale, con una netta prevalenza nelle regioni settentrionali. Dichiara di vantare più di 100.000 seguaci sul territorio nazionale, ma il Rapporto di Pubblica Sicurezza del Ministero dell'Interno su "Sette religiose e nuovi movimenti magici in Italia" del 1998 ne ha identificati circa 7.000. Massima A prescindere dalla natura - religiosa o meno - di centri ed organizzazioni aventi caratteristiche come quelli affiliati a Scientology, essi devono soggiacere ai fini tributari al trattamento degli enti commerciali, sia per quanto attiene alle imposte dirette sui redditi sia per quanto riguarda l'imposta sul valore aggiunto. In altri termini, si tratta di un'attività religiosa "a pagamento", che, in quanto produttiva di reddito per l'organizzazione che la gestisce, pertanto essa non è sottratta agli obblighi tributari. Sintesi del caso In seguito a denunce presentate da familiari di aderenti alla associazione, preoccupati soprattutto del salasso economico cui andavano incontro i loro parenti per usufruire dei servizi offerti dalla chiesa, venivano avviati vari procedimenti penali per truffa, esercizio arbitrario della professione medica e associazione per delinquere, quasi tutti però conclusi con l'archiviazione. La materia del contendere La qualificazione quali enti religiosi dei c.d. centri Narconon, gestiti in Calabria dalle imputate delle sentenza appellata, che si presentano come articolazioni operative della ormai nota Chiesa di Scientology Nella fattispecie di causa alle imputate, quali amministratici della Comunità Narconon Albatros, è stata contestata l'omessa presentazione della dichiarazione fiscale ai fini delle imposte dirette e dell'imposta sul valore aggiunto, nonché la omessa annotazione nelle scritture contabili obbligatorie ai fini delle imposte dirette e dell'I.V.A. di corrispettivi superiori alle soglie di punibilità (per gli anni dal 1990 al 1993). Si tratta quindi di stabilire se per la Comunità Narconon ricorrevano i presupposti soggettivi e oggettivi per l'applicazione della imposta sui redditi delle persone giuridiche e dell'imposta sul valore aggiunto. Quaestio juris Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 81 La mancanza di un formale riconoscimento da parte dell'ordinamento giuridico italiano fa sì che la natura di confessione religiosa andrà accertata di volta in volta dal giudice chiamato a dirimere una data questione. L'accertamento della natura religiosa andrà fatto sulla base dei principi indicati dalla Corte Costituzionale che dice: Nulla quaestio quando sussista un'intesa con lo Stato. In mancanza di questa, la natura di confessione potrà risultare anche da precedenti riconoscimenti pubblici, dallo statuto che ne esprima chiaramente i caratteri, o comunque dalla comune considerazione. Normativa di riferimento D.P.R. 26.10.1972 n. 633 D.P.R. 917/1986 - T.U.I.R. artt. 87, 108 e 111 D.Lgs. 4.12.1997 n. 460 Nota esplicativa L'autoqualificazione statutaria della chiesa di Scientology come associazione religiosa è diventata centrale nelle vicende processuali che la riguardavano sotto il profilo penale o tributario. In virtù della sua natura religiosa, infatti, molte decisioni delle commissioni tributarie le riconoscevano il diritto all'esenzione dai tributi spettante appunto alle associazioni con scopo religioso o culturale; così come molte pronunce dei giudici penali assolvevano dai reati tributari, in base alla considerazione che la chiesa e le sue articolazioni operative non rientravano tra i soggetti passivi delle imposte sui redditi e dell'I.V.A. In ordine ai reati tributari, la Cassazione sottolinea come la natura religiosa dell'ente, secondo la normativa vigente, non sempre esclude i presupposti soggettivi e oggettivi degli obblighi tributari e quindi delle norme che puniscono la violazione degli obblighi stessi. Per quanto invece riguarda l'applicabilità dell'imposta sui redditi delle persone giuridiche, viene in rilievo il capo terzo del titolo secondo del t.u.i.r., specificamente dedicato agli enti noti commerciali, vale a dire agli enti che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciale (lettera c), comma 1 dell'art. 87), come sono in genere gli enti religiosi, assistenziali, terapeutici e simili. Per questi enti l'art. 108 del testo unico stabilisce che non si considerano attività commerciali (e quindi non sono soggette all'imposta) le prestazioni di servizi (diverse dalle attività industriali, di intermediazione, di trasporto, bancarie e assicurative di cui all'art. 2195 cod. civ.) "rese in conformità alle finalità istituzionali dell'ente senza specifica organizzazione e verso pagamento di corrispettivi che non eccedono i costi di diretta imputazione". Per conseguenza, sono da considerarsi attività commerciali soggette all'imposta quelle prestazioni di servizi che, pur conformi alle finalità istituzionali dell'ente, sono rese attraverso una specifica organizzazione e contro corrispettivi che eccedono il costo del servizio, ovverosia producono reddito. E ciò vale - com'è stato notato - sia quando il servizio Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 82 "a pagamento" è diverso e solo strumentale rispetto all'attività religiosa dell'ente, sia quando costituisce l'essenza stessa dell'attività religiosa. La Cassazione ha concluso che, pur ammettendo il carattere religioso della chiesa di Scientology di quelle sue articolazioni terapeutiche che sono i centri Narconon, considerata la specifica organizzazione che li caratterizza, e la prestazione di servizi, comprensivi di vitto e alloggio, a fronte di corrispettivi più che remunerativi rispetto ai costi, tali centri devono soggiacere ai fini tributari al trattamento degli enti commerciali, sia per quanto attiene alle imposte dirette sui redditi sia per quanto riguarda l'imposta sul valore aggiunto. In altri termini, si tratta di un'attività religiosa "a pagamento", che, in quanto produttiva di reddito per l'organizzazione che la gestisce, non è sottratta agli obblighi tributari. Se è vero che per gli enti di tipo associativo, al cui novero appartiene sia la chiesa di Scientology sia la comunità Narconon, l'art. 111 del t.u.i.r. detta una disciplina particolare, secondo cui non è considerata commerciale l'attività svolta dall'ente nei confronti degli associati o partecipanti, in conformità alle finalità istituzionali dell'ente stesso, sicché le somme versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi associativi non concorrono a formare il reddito complessivo soggetto al tributo (comma 1), è altrettanto vero che, a norma del secondo comma dello stesso art. 111, si considerano tuttavia effettuate nell'esercizio di attività commerciali le prestazioni di servizi agli associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, compresi i contributi e le quote supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali hanno diritto; sicché in tal caso tali corrispettivi concorrono alla formazione del reddito complessivo tassabile, come componenti del reddito di impresa ove la prestazione del servizio abbia carattere di abitualità. I giudici di merito avevano accertato - con motivazione non censurata in sede di legittimità che la retta pagata dagli ospiti della comunità Narconon non era affatto una quota associativa, ma configurava piuttosto un corrispettivo specifico per il servizio reso, tanto vero che aumentava o diminuiva in ragione del prolungamento o della precoce interruzione del "trattamento". Come tale concorreva alla formazione del reddito tassabile. La quota associativa, invece, per sua natura, è svincolata dalla prestazione del servizio e dalle sue vicende, ma esprime solo una partecipazione alla associazione. Secondo la Cassazione alla stessa conclusione si deve giungere a seguito della evoluzione legislativa maturata dopo i fatti per cui è processo, la quale anzi è chiaramente ispirata all'intento di limitare il trattamento tributario di favore per le organizzazioni religiose, sindacali, culturali, etc. o almeno di introdurre più serie garanzie per evitare che le associazioni Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 83 interessate strumentalizzino le finalità istituzionali dichiarate nei loro statuti per lucrare indebiti benefici ed esenzioni fiscali. Il D.Lgs. 4.12.1997 n. 460, sul riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (o.n.l.u.s.), poi modificato dal D.Lgs. 19.11.1998 n. 422, ha introdotto significative restrizioni alle esenzioni fiscali degli enti religiosi, sia in materia di I.V.A., (modificando l'art. 4 del D.P.R. 633/1972) che in materia di i.r.p.e.g. (modificando l'art. 111 e introducendo l'art. 111 bis del D.P.R. 917/1986, t.u.i.r.). In particolare, l'esenzione tributaria per le attività svolte dagli enti religiosi in attuazione degli scopi istituzionali a favore degli iscritti, associati o partecipanti, verso pagamento di contributi specifici, è accordata solo a condizione che lo statuto dell'ente contenga clausole determinate, sintomaticamente assunte come "indici di non commercialità", quali: il divieto di distribuire utili o avanzi di gestione, nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell'associazione; l'obbligo di devolvere il patrimonio dell'ente, in caso di suo scioglimento, ad altra associazione con finalità analoga; l'obbligo di redigere e approvare annualmente un rendiconto economico e finanziario; l'intrasmissibilità inter vivos della quota o contributo associativo (comma 4 quinquies dell'art. 111 cit.). Inoltre, indipendentemente dalle previsioni statutarie, l'ente perde la qualifica di ente non commerciale qualora eserciti prevalentemente attività commerciale per un intero periodo di imposta (art. 111 bis). La Cassazione ha ritenuto quanto mai chiara l'intenzione del legislatore tributario di accertare il carattere commerciale o non commerciale degli enti sulla base di parametri effettivi e non meramente formali, e di prevenire il rischio di un uso fiscalmente fraudolento di finalità socialmente apprezzabili come non lucrative. Il che è tanto più rilevante per le finalità religiose: per queste, infatti, si legge in sentenza come “l'ordinamento giuridico si inibisce laicamente ogni penetrante valutazione di merito; ma contemporaneamente sì riserva di accertare se all'ombra dell'intangibile libertà religiosa prosperi di fatto un'attività lucrativa fiscalmente apprezzabile”. Ha pertanto respinto tutti i ricorsi che miravano ad ottenere le varie esenzioni. Dottrina E’ stato fondatamente osservato dalla dottrina che il riconoscimento della natura religiosa (di per sé molto problematico in un ordinamento come quello italiano, che laicamente, si astiene dal definirla) non è dirimente ai fini penali, potendo ricorrere il caso che nell'ambito Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 84 di un'associazione religiosa alcuni membri commettano reati o addirittura si associno per delinquere (è noto il caso, ormai risalente, dei frati di Mazzarino). Sentenze e precedenti conformi e difformi - Cass. Sez. III, n. 3857 del 3.4.1992, ud. 11.3.1992, Zanella, rv. 189810, con riferimento a un'analoga associazione per la liberazione dalla droga, citata anche dalla sentenza qui commentata. - In ordine, invece, ai reati comuni di associazione per delinquere e di estorsione, contestati a dirigenti di Scientology, è stata emblematica una lunga vicenda giudiziaria che ha visto protagoniste la corte di appello milanese e la seconda Sezione della Cassazione, attestate con vari argomenti su una diversa concezione di religione e dei suoi parametri di identificazione nell'ordinamento giuridico (App. Milano 5.11.1993, Segalla ed altri; Cass. Sez. II, 9.2.1995, Avanzini e altri, che ha annullato con e senza rinvio App. Milano 5,11.1993; App. Milano 2,12.1996, Bandera e altri; Cass. Sez. Il, 8.10.1997, Bandera e altri, che ha annullato con rinvio App. Milano 2.12.1996). Da una parte il giudice di merito era propenso a escludere il carattere religioso di Scientology, perché l'autoqualificazione confessionale contenuta nello statuto appariva un mero espediente preordinato al fine di ottenere il trattamento di favore riconosciuto alle confessioni religiose. Dall'altra il giudice di legittimità ha correttamente ribadito che la valutazione di religiosità di un'associazione, in ossequio al principio di laicità dell'ordinamento costituzionale, deve essere condotta su criteri formali e oggettivi, prescindendo da orientamenti personali e anche da concezioni storicamente egemoni come quelle risalenti alle religioni "del libro" (ebraismo, cristianesimo e islamismo). Testo sentenza Cassazione. Terza Sezione Penale. Sentenza 23 febbraio 2000, n. 2081 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE TERZA SEZIONE PENALE (omissis) ha pronunciato la seguente SENTENZA (omissis) Motivi della decisione 5 - Per chiarezza sembra opportuno premettere che i C.D. centri Narconon, quali quelli gestiti in Calabria dalle imputate, si presentano come articolazioni operative della ormai nota Chiesa di Scientology, fondata nella metà del secolo XX da uno scrittore americano di fantascienza, Ron Hubbard. Questi, nel 1950, pubblicava il libro "Dianetics: the modern science of mental health" e nel 1954 fondava la "Church of Scientology" allo scopo di diffondere i principi della dottrina dianetica, che non è il caso di riferire in questa sede. A partire dagli anni Settanta, la chiesa si diffonde anche in Italia, attraverso l'apertura di vari istituti nei quali viene offerta una serie di servizi, progressivamente complessi e costosi, principalmente costituiti da sedute di auditing (sorta di terapia di tipo psico- Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 85 analitico) e programmi di purification (cicli di saune, con somministrazione massiccia di vitamine), nel contesto di una martellante opera di indottrinamento sulle teorie di Hubbard. Negli anni Ottanta, sempre ispirati alle teorie di Hubbard, cominciano a essere aperti nel territorio italiano i centri Narconon per il recupero dalla tossicodipendenza. Quasi contemporaneamente, in seguito a denunce presentate da familiari di aderenti alla associazione, preoccupati soprattutto del salasso economico cui andavano incontro i loro parenti per usufruire dei servizi offerti dalla chiesa, venivano avviati vari procedimenti penali per truffa, esercizio arbitrario della professione medica e associazione per delinquere, quasi tutti però conclusi con l'archiviazione. Ben presto l'autoqualificazione statutaria della chiesa di Scientology come associazione religiosa diventava centrale nelle vicende processuali che la riguardavano sotto il profilo penale o tributario. In virtù della sua natura religiosa, infatti, molte decisioni delle commissioni tributarie le riconoscevano il diritto all'esenzione dai tributi spettante appunto alle associazioni con scopo religioso o culturale; così come molte pronunce dei giudici penali assolvevano dai reati tributari, in base alla considerazione che la chiesa e le sue articolazioni operative non rientravano tra i soggetti passivi delle imposte sui redditi e dell'I.V.A. (anche se una sentenza della suprema corte aveva statuito che nessun tipo di organizzazione era escluso dalla sfera di applicazione dell'obbligo tributario: Cass. Sez. III, n. 3857 del 3.4.1992, ud. 11.3.1992, Zanella, rv. 189810, con riferimento a un'analoga associazione per la liberazione dalla droga, citata anche dalla sentenza impugnata). In ordine, invece, ai reati comuni di associazione per delinquere e di estorsione, contestati a dirigenti di Scientology, è stata emblematica una lunga vicenda giudiziaria che ha visto protagoniste la corte di appello milanese e la seconda Sezione di questa corte, attestate con vari argomenti su una diversa concezione di religione e dei suoi parametri di identificazione nell'ordinamento giuridico (App. Milano 5.11.1993, Segalla ed altri; Cass. Sez. II, 9.2.1995, Avanzini e altri, che ha annullato con e senza rinvio App. Milano 5,11.1993; App. Milano 2,12.1996, Bandera e altri; Cass. Sez. Il, 8.10.1997, Bandera e altri, che ha annullato con rinvio App. Milano 2.12.1996). Da una parte il giudice di merito era propenso a escludere il carattere religioso di Scientology, perché l'autoqualificazione confessionale contenuta nello statuto appariva un mero espediente preordinato al fine di ottenere il trattamento di favore riconosciuto alle confessioni religiose. Dall'altra il giudice di legittimità ha correttamente ribadito che la valutazione di religiosità di un'associazione, in ossequio al principio di laicità dell'ordinamento costituzionale, deve essere condotta su criteri formali e oggettivi, prescindendo da orientamenti personali e anche da concezioni storicamente egemoni come quelle risalenti alle religioni "del libro" (ebraismo, cristianesimo e islamismo). Peraltro, è stato fondatamente osservato dalla dottrina che il riconoscimento della natura religiosa (di per sé molto problematico in un ordinamento come quello italiano, che laicamente, si astiene dal definirla) non è dirimente ai fini penali, potendo ricorrere il caso che nell'ambito di un'associazione religiosa alcuni membri commettano reati o addirittura si associno per delinquere (è noto il caso, ormai risalente, dei frati di Mazzarino). 6 - Altrettanto si deve concludere in ordine ai reati tributari, giacché la natura religiosa dell'ente, secondo la normativa vigente, non sempre esclude i presupposti soggettivi e oggettivi degli obblighi tributari e quindi delle norme che puniscono la violazione degli obblighi stessi. Nella fattispecie di causa alle imputate, quali amministratici della Comunità Narconon Albatros, è stata contestata l'omessa presentazione della dichiarazione fiscale ai fini delle imposte dirette e dell'imposta sul valore aggiunto, nonché la omessa annotazione nelle scritture contabili obbligatorie ai fini delle imposte dirette e dell'I.V.A. di corrispettivi superiori alle soglie di punibilità (per gli anni dal 1990 al 1993). Si tratta quindi di stabilire se per la Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 86 Comunità Narconon ricorrevano i presupposti soggettivi e oggettivi per l'applicazione della imposta sui redditi delle persone giuridiche e dell'imposta sul valore aggiunto. Più esattamente si tratta di stabilire se la Comunità Narconon: a) svolgeva operazioni soggette all'I.V.A., ai sensi dell'art. 1 del D.P.R. 26.10.1972 n. 633, e in specie prestava servizi nell'esercizio di impresa ai sensi degli artt. 1 e 4 dello stesso decreto; b) in quanto ente privato diverso dalle società, che non ha per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali (ex art. 87, comma 1, lett. c) del testo unico delle imposte sui redditi, D.P.R. 22.12.1986 n. 917), possedeva redditi di impresa o altri redditi imponibili (ex art. 86, in relazione all'art. 6, del citato t.u.i.r.). A tal fine occorre tenere presente quello che i giudici di merito, con motivazione congrua e legittima, incensurabile in questa sede, hanno accertato in fatto. E cioè che la Comunità Narconon, per un trattamento di tre-quattro mesi, a fronte di una retta di lire 14.000.000 versata da ciascun iscritto o partecipante (nell'anno 1993), offriva in via principale vitto e alloggio, e in via economicamente marginale un servizio "terapeutico" consistente in una sauna giornaliera di varie ore, nonché in meditazioni e discussioni sulle teorie di Hubbard e sulla filosofia "Scientology"; che a tal fine la Comunità aveva una specifica organizzazione, e che i costi sopportati per questa organizzazione e per l'erogazione dei predetti servizi erano sicuramente inferiori ai proventi derivanti dalle suddette rette di partecipazione pro capite (v. soprattutto pagg. 4 e 5 della sentenza impugnata). Orbene, a norma dell'art. 4 del D.P.R. 26.10.1972 n. 633 (istitutivo dell'imposta sul valore aggiunto) si considerano effettuate in ogni caso nell'esercizio di imprese (e quindi sono assoggettate all'imposta) anche le prestazioni di servizi fatte dagli enti o associazioni ai propri soci, associati o partecipanti (comma 3). Si considerano fatte nell'esercizio di attività commerciali (e quindi sono assoggettate all'imposta) anche le prestazioni di servizi ai soci, associati o partecipanti verso pagamenti di corrispettivi specifici, o di contributi supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto, ad esclusione di quelle effettuate in conformità alle finalità istituzionali da associazioni politiche, sindacali, religiose, assistenziali, culturali etc., anche se rese nei confronti dei rispettivi soci, associati o partecipanti (comma 4). Peraltro, sono considerate in ogni caso commerciali (e quindi sono assoggettate all'imposta) alcune specifiche attività, fra cui l'organizzazione di viaggi e soggiorni turistici e le prestazioni alberghiere o di alloggio (comma 5). Ne deriva che anche per gli enti religiosi i corrispettivi riscossi per i servizi di vitto e alloggio costituiscono base imponibile per l'imposta sul valore aggiunto. Per quanto invece riguarda l'applicabilità dell'imposta sui redditi delle persone giuridiche, viene in rilievo il capo terzo del titolo secondo del t.u.i.r., specificamente dedicato agli enti noti commerciali, vale a dire agli enti che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciale (lettera c), comma 1 dell'art. 87), come sono in genere gli enti religiosi, assistenziali, terapeutici e simili. Per questi enti l'art. 108 del testo unico stabilisce che non si considerano attività commerciali (e quindi non sono soggette all'imposta) le prestazioni di servizi (diverse dalle attività industriali, di intermediazione, di trasporto, bancarie e assicurative di cui all'art.2195 cod. civ.) "rese in conformità alle finalità istituzionali dell'ente senza specifica organizzazione e verso pagamento di corrispettivi che non eccedono i costi di diretta imputazione". Per conseguenza, sono da considerarsi attività commerciali soggette all'imposta quelle prestazioni di servizi che, pur conformi alle finalità istituzionali dell'ente, sono rese attraverso una specifica organizzazione e contro corrispettivi che eccedono il costo del servizio, ovverosia producono reddito. E ciò Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 87 vale - com'è stato notato - sia quando il servizio "a pagamento" è diverso e solo strumentale rispetto all'attività religiosa dell'ente, sia quando costituisce l'essenza stessa dell'attività religiosa. Se ne deve concludere che, pur ammettendo il carattere religioso della chiesa di Scientology di quelle sue articolazioni terapeutiche che sono i centri Narconon, considerata la specifica organizzazione che li caratterizza, e la prestazione di servizi, comprensivi di vitto e alloggio, a fronte di corrispettivi più che remunerativi rispetto ai costi, quei centri devono soggiacere ai fini tributari al trattamento degli enti commerciali, sia per quanto attiene alle imposte dirette sui redditi sia per quanto riguarda l'imposta sul valore aggiunto. In altri termini, si tratta di un'attività religiosa "a pagamento", che, in quanto produttiva di reddito per l'organizzazione che la gestisce, non è sottratta agli obblighi tributari. 7 - Vero è che per gli enti di tipo associativo, al cui novero appartiene sia la chiesa di Scientology sia la comunità Narconon amministrata dalle prevenute, l'art. 111 del t.u.i.r. detta una disciplina particolare, secondo cui non è considerata commerciale l'attività svolta dall'ente nei confronti degli associati o partecipanti, in conformità alle finalità istituzionali dell'ente stesso, sicché le somme versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi associativi non concorrono a formare il reddito complessivo soggetto al tributo (comma 1). Ma è altrettanto vero che, a norma del secondo comma dello stesso art. 111, si considerano tuttavia effettuate nell'esercizio di attività commerciali le prestazioni di servizi agli associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, compresi i contributi e le quote supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali hanno diritto; sicché in tal caso tali corrispettivi concorrono alla formazione del reddito complessivo tassabile, come componenti del reddito di impresa ove la prestazione del servizio abbia carattere di abitualità. Orbene, nella fattispecie concreta, i giudici di merito hanno accertato - anche qui con motivazione incensurabile in sede di legittimità - che la retta pagata dagli ospiti della comunità Narconon non era affatto una quota associativa, ma configurava piuttosto un corrispettivo specifico per il servizio reso, tanto vero che aumentava o diminuiva in ragione del prolungamento o della precoce interruzione del "trattamento". Come tale concorreva alla formazione del reddito tassabile. La quota associativa, invece, per sua natura, è svincolata dalla prestazione del servizio e dalle sue vicende, ma esprime solo una partecipazione alla associazione. Si potrebbe ancora obiettare, ed è stato obiettato dai difensori, che per le associazioni religiose, assistenziali, culturali e simili, fra le quali indubbiamente rientra l'associazione de qua, il terzo comma del predetto art. 111 prevede una ulteriore specifica disciplina, secondo la quale non si considerano commerciali (e quindi non sono assoggettate all'i.r.p.e.g.) le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti. Ma a questo riguardo si deve replicare che, per effetto del quarto comma, la disposizione del predetto terzo comma non si applica per le somministrazioni di pasti, per le prestazioni alberghiere, di alloggio e simili. Sicché anche sotto questo profilo si deve concludere che il servizio di vitto e alloggio prestato dalla comunità Narconon deve considerarsi attività commerciale; con la conseguenza che la retta versata a titolo di corrispettivo concorre a formare il reddito complessivo della comunità. 8 - Infine, va sottolineato che alla stessa conclusione si deve giungere a seguito della evoluzione legislativa maturata dopo i fatti per cui è processo, la quale anzi è chiaramente ispirata all'intento di limitare il trattamento tributario di favore per le organizzazioni religiose, sindacali, culturali, etc. o almeno di introdurre più serie garanzie per evitare che le associazioni interessate strumentalizzino le finalità istituzionali dichiarate nei loro statuti per lucrare Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 88 indebiti benefici ed esenzioni fiscali. Così il D.Lgs. 4.12.1997 n. 460, sul riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (o.n.l.u.s.), poi modificato dal D.Lgs. 19.11.1998 n. 422, ha introdotto significative restrizioni alle esenzioni fiscali degli enti religiosi, sia in materia di I.V.A., (modificando l'art. 4 del D.P.R. 633/1972) che in materia di i.r.p.e.g. (modificando l'art. 111 e introducendo l'art. 111 bis del D.P.R. 917/1986, t.u.i.r.). In particolare, l'esenzione tributaria per le attività svolte dagli enti religiosi in attuazione degli scopi istituzionali a favore degli iscritti, associati o partecipanti, verso pagamento di contributi specifici, è accordata solo a condizione che lo statuto dell'ente contenga clausole determinate, sintomaticamente assunte come "indici di non commercialità", quali: il divieto di distribuire utili o avanzi di gestione, nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell'associazione; l'obbligo di devolvere il patrimonio dell'ente, in caso di suo scioglimento, ad altra associazione con finalità analoga; l'obbligo di redigere e approvare annualmente un rendiconto economico e finanziario; l'intrasmissibilità inter vivos della quota o contributo associativo (comma 4 quinquies dell'art. 111 cit.). Inoltre, indipendentemente dalle previsioni statutarie, l'ente perde la qualifica di ente non commerciale qualora eserciti prevalentemente attività commerciale per un intero periodo di imposta (art. 111 bis). In sostanza, si fa sempre più chiara l'intenzione del legislatore tributario di accertare il carattere commerciale o non commerciale degli enti sulla base di parametri effettivi e non meramente formali, e di prevenire il rischio di un uso fiscalmente fraudolento di finalità socialmente apprezzabili come non lucrative. Il che è tanto più rilevante per le finalità religiose: per queste, infatti, l'ordinamento giuridico si inibisce laicamente ogni penetrante valutazione di merito; ma contemporaneamente sì riserva di accertare se all'ombra dell'intangibile libertà religiosa prosperi di fatto un'attività lucrativa fiscalmente apprezzabile. 9 - Per le ragioni testé esposte tutti i motivi di ricorso devono essere disattesi siccome giuridicamente infondati. In particolare, in ordine al primo motivo del ricorso sottoscritto dall'avvocato Leale, si può ribadire che la corte di merito ha motivatamente accertato il contenuto dei servizi resi dalla comunità Narconon agli iscritti, e che essendo già in grado di decidere allo stato degli atti - non aveva l'obbligo di rinnovare l'istruzione dibattimentale ex art. 603 c.p.p. per acquisire documenti peraltro non essenziali (quali i libri di testo usati). In ordine al secondo motivo dedotto a sostegno del ricorso Leale, va ribadito che la retta versata dagli iscritti aveva natura di specifico corrispettivo del servizio prestato e non di mera quota associativa. Quanto poi al ricorso sottoscritto dall'avvocato Gallucci, si è già spiegato perché la comunità Narconon non aveva titolo per l'esenzione dall'i.r.p.e.g. e dall'I.V.A. Mentre per quanto attiene alla buona fede invocata sia nel ricorso Leale che in quello Gallucci, basti osservare che si tratta di reati contravvenzionali, a integrare i quali è sufficiente la mera colpa. Nel caso di specie l'errata interpretazione delle norme tributarie extrapenali non può dirsi inescusabile ai sensi dell'art.5 cod. pen. e dell'art. 8 legge 516/1982, anche se indotta dal consiglio del commercialista di fiducia. Il fatto stesso che prima del 1990 il centro Narconon tenesse la contabilità fiscale e presentasse le dichiarazioni dei redditi esclude il carattere inescusabile e inevitabile della ignorantia legis dedotta. 10 - I ricorsi vanno quindi respinti. Segue per legge la condanna alle spese del processo. In ragione del contenuto Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 89 dell'impugnazione, non si ritiene di dover irrogare anche la sanzione pecuniaria di cui all'art.616 c.p.p. P.Q.M. La corte rigetta i ricorsi e condanna le ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali. (omissis) Sentenza Il 5 aprile 2007 la Corte Europea dei diritti dell'uomo ha accolto il ricorso della Scientology contro la Russia. In particolare il processo ha sanzionato la Russia per la condotta che ha tenuto nella richiesta di registrazione come ente religioso di Scientology, poiché ha negato tale registrazione senza fornire spiegazioni adeguate. In sostanza, quindi, Scientology non viene "riconosciuta" come religione (compito che non sarebbe in ogni caso di pertinenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo), è stato semplicemente sanzionato il comportamento negligente delle istituzioni Russe nella valutazione dello status di Scientology. Il caso Il governo russo aveva più volte rifiutato la registrazione della Chiesa di Scientology, in alcuni casi senza fornire alcuna motivazione, in altri casi sulla base di una valutazione discrezionale dell'attività dell'organizzazione religiosa oppure per la presunta mancanza di requisiti per la registrazione, non previsti dalla legge. Nota esplicativa Il rifiuto di registrare un'organizzazione religiosa comporta una violazione sia dell'art. 11 (libertà di associazione), sia dell'art. 9 (libertà di religione) della Convenzione europea per la Salvaguardia dei diritti umani (CEDU), in quanto la mancanza di una registrazione può impedire all'associazione il libero esercizio di una serie di attività connesse con la pratica religiosa. La pubblica amministrazione nel procedere alla registrazione di un'associazione religiosa deve assumere un atteggiamento neutrale ed applicare eventuali restrizioni solo se si tratta di misure prescritte dalla legge, appropriate e necessarie per la salvaguardia dell'ordine e della morale pubblica in una società democratica. Testo sentenza su: http://www.coordiap.com/Document/europe.pdf N.B.: ulteriori approfondimenti in materia sono reperibili nella Rubrica "Oltre il mio nome" ed in "Rassegna stampa" del presente numero. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 90 A lezione di… diritto amministrativo Semplificazione, liberalizzazione e privatizzazione "nomina sunt consequentia rerum" A cura di Davide Nalin (paragrafi 1, 3, 4, 5), Donatella Rocco (paragrafo 2), Luigi Caffaro (paragrafo 6) Direzione e coordinamento: Davide Nalin Sommario: 1. Semplificazione, liberalizzazione e privatizzazione: inquadramento generale; 2. Il fenomeno delle privatizzazioni; 3. Il fenomeno delle liberalizzazioni; 4. Il fenomeno della semplificazione; 5. Il d.l. n. 1/2012: una prima analisi; 6. Liberalizzazioni nella avvocatura o della avvocatura? Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 91 Questo mese, data la complessità degli argomenti affrontati, si e' deciso di suddividere la trattazione in materia di liberalizzazioni, semplificazioni e privatizzazioni in due parti. La prima parte, generale, fornisce al lettore le competenze tecniche atte ad orientarsi nelle complesse questioni che hanno sollevato le più recenti riforme. La seconda parte, in uscita con il numero di mese di maggio, rappresenta invece una applicazione dei più rilevanti interventi normativi nella materia di riferimento 1. Semplificazione, liberalizzazione e privatizzazione: inquadramento generale Semplificazioni, liberalizzazioni e privatizzazioni sono concetti che ricorrono sempre più spesso nella cronaca e nelle trattazioni giuridiche, tant'è che sovente si assiste ad un loro accostamento tale da far ritenere che essi siano sostanzialmente dei sinonimi. Tuttavia così non e'. Si tratta infatti di tre fenomeni giuridici che presentano, accanto ad alcuni punti di contatto, notevoli differenze. Compito del presente lavoro e' dunque tracciare un'esatto confine tra i fenomeni in esame, al fine di evitare pericolose confusioni terminologiche destinate necessariamente a tradursi in errori nella applicazione delle leggi. Orbene, il termine privatizzazione può essere inteso in una pluralità di significati (F. BELLOMO, Manuale di diritto amministrativo, Cap. X vol. I, CEDAM). In generale, detta locuzione fa riferimento al fenomeno di dismissione della proprietà pubblica che può avere per oggetto i beni facenti parte del demanio pubblico, del patrimonio indisponibile e disponibile della P.A. e, infine, il controllo di attività imprenditoriali e di pubblico interesse tout court, con conseguente alienazione dei pacchetti azionari. Di privatizzazione, inoltre, si e' discusso anche con riferimento al rapporto di pubblico impiego (ad eccezione di alcune categorie) a seguito di vari provvedimenti normativi (d.lgs. 29/93 e d.lgs. 80/98) e con riferimento agli enti pubblici economici, che ha avuto la sua fonte principale nella l.n. 359/92 (e per certi aspetti residuali nella l.n. 35/92). La privatizzazione può avere natura formale o sostanziale (il fenomeno globalmente inteso prende il nome di privatizzazione della titolarità). La prima espressione si riferisce alla adozione di una forma giuridica di tipo privatistico, in luogo di una di tipo pubblicistico, senza Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 92 che tuttavia detta trasformazione sia contestualmente affiancata da vicende traslative aventi ad oggetto il capitale societario di maggioranza, che rimane in mano pubblica. La privatizzazione sostanziale, di contro, si identifica nell'effettivo trasferimento, totale o parziale, della proprietà di impresa da un soggetto pubblico ad uno privato. Secondo l'opinione dominante, la privatizzazione sostanziale e' ipotizzabile solo nel caso in cui lo Stato, in una operazione globale di dismissione, perda il controllo della società. Dalla privatizzazione della titolarità (privatizzazione formale e sostanziale) va tenuta distinta a privatizzazione della gestione, la quale postula l'affidamento ai privati della cura del servizio, che resta tuttavia nella titolarità dell'ente pubblico. In tale accezione la privatizzazione può assumere significati più o meno ampi, a seconda che venga affidata solo l'erogazione o anche la organizzazione, e che l'affidamento avvenga tramite modelli pubblicistici o privatistici. La privatizzazione e' un fenomeno che si presenta strettamente contiguo con la liberalizzazione, essendo entrambi applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale (art. 118 ultimo comma Cost.), tuttavia deve essere tenuta distinta da quest'ultima. Secondo la migliore dottrina (BELLOMO,), la liberalizzazione può riguardare il mercato e l'accesso al mercato. Nella prima ipotesi, va rilevato che un mercato liberalizzato si presenta alla stregua di un mercato concorrenziale, accessibile cioè a qualsiasi operatore economico. La liberalizzazione dell'accesso al mercato, viceversa, comporta la possibilità per chiunque di concorrere ad ottenere il provvedimento giuridico che consente di entrare in un mercato chiuso o a numero limitato (non liberalizzato, dunque, nell'accesso). Si e' in presenza, quindi, di una concorrenza per il mercato e non nel mercato. Volendo tracciare una distinzione tra i fenomeni della privatizzazione e della liberalizzazione, va rilevato che essi non sempre vanno di pari passo, pur essendo entrambi una applicazione del principio di sussidiarietà nel mercato (la quale si presenta nelle seguenti forme: privatizzazione dell’impresa pubblica, liberalizzazione dei servizi pubblici economici e liberalizzazione delle attività economiche private). Esistono, infatti, mercati liberalizzati in cui vi e' la presenza di operatori pubblici (non privatizzati, quindi) e mercati non liberalizzati in cui vi e' la presenza di operatori privati, ai quali e' affidata la gestione. La semplificazione (che può avere natura amministrativa o normativa; v.infra) , infine, si colloca a fianco della sussidiarietà orizzontale (e quindi della liberalizzazione e della semplificazione) perchè risponde alla stessa esigenza di modernizzare il sistema pubblico in nome di una nuova concezione del bene pubblico, più attenta all'effettiva soddisfazione del Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 93 cittadino (la c.d. customer satisfaction) ed ai costi dell'azione amministrativa. La sussidiarietà mira a questo obiettivo attraverso devoluzione, esternalizzazione, fuoriuscita del pubblico. La semplificazione attraverso il taglio dei costi per cittadini e imprese mediante l'impiego di moduli sostitutivi (s.c.i.a. - silenzio assenso). Ciò precisato su di un piano generale, e' possibile ora procedere ad una analisi maggiormente dettagliata dei concetti esposti. 2. Il fenomeno delle privatizzazioni. Con riguardo al termine privatizzazione deve tenersi presente che questo è usato in diverse accezioni, sia con riferimento alla dismissione del patrimonio demaniale indisponibile o disponibile, con riferimento alla disciplina del pubblico impiego, infine con riguardo alle modifiche strutturali degli enti pubblici economici statali e alla dismissione della partecipazioni statali o locali. Si può distinguere tra una privatizzazione della titolarità, che ha ad oggetto proprio la veste formale o sostanziale dell’ente, rispetto ad una privatizzazione della gestione, in special modo dei pubblici servizi, con affidamento a privati della cura del servizio con permanenza della titolarità in capo al soggetto pubblico. A fronte di un sostanzioso intervento dello Stato nell’economia operato nel corso del secolo scorso con la pubblicizzazione di rilevanti ed importanti settori dell’economia accentuatasi tra gli anni ’60 e ’70, a partire dai successivi anni ’80 e soprattutto nel corso degli anni ’90 si è assistito ad un progressivo mutamento di tendenza, caratterizzato da un lato dall’apertura alla cd. deregulation e dall’altro dalla privatizzazione delle imprese pubbliche e dalla dismissione delle partecipazioni azionarie. L’evoluzione del rapporto esistente tra lo Stato e il settore economico trae le sue motivazioni dalla inadeguatezza sistema di partecipazioni dello Stato o degli enti locali nell’economia pubblica, caratterizzato da gestioni in grave perdita economica, e nella scarsa compatibilità di questo con i principi di diritto comunitario in materia di interventi pubblici in economia. Si è, quindi, verificato, alla fine del secolo scorso, un progressivo mutamento del ruolo dello Stato con una riduzione di interventi diretti in economia ed un abbandono della veste di operatore economico con attribuzione invece di ruolo di controllo e razionalizzazione dell’economia con regolamentazione del mercato. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 94 Si assiste a tale collegamento tra privatizzazione dei servizi e attività di regolamentazione in ipotesi di cd. pubblic utilities, laddove ai sensi del disposto di cui all’art. 1 bis legge n. 474/1994 le dismissioni delle partecipazioni azionarie di enti pubblici gestori di servizi di pubblica utilità sono subordinate alla costituzione di autorità indipendenti per la regolamentazione e il controllo della qualità dei servizi e la regolarità delle tariffe. Per quanto riguarda gli impulsi forniti dall’appartenenza dello Stato Italiano alla Unione Europea e all’obbligo di rispetto delle statuizioni comunitarie si deve tener presente che la disciplina comunitaria ha alla propria base come obiettivo l’istituzione di un mercato unico caratterizzato da parità di condizioni e neutralità rispetto ad un regime pubblico o privato degli operatori economici. In base all’art. 86 comma 1 del Trattato CE “gli stati membri non emanano ne mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche, e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme del presente Trattato, specialmente a quelle contemplate dagli artt. 12 e da 81 a 89 inclusi”. Ciò che caratterizza l’ordinamento comunitario è proprio la neutralità rispetto ad un regime pubblico o privato dell’operatore economico per cui non vi è avversione rispetto alla partecipazione degli stati membri nell’economia qualora questa sia rispettosa delle regole del mercato e non le falsi a proprio favore. Il sistema delineato dal diritto comunitario ha imposto limiti agli stati membri innanzitutto rispetto alla possibilità di operare i cd. aiuti di stato, sotto forma di norme legislative di favore o di provvedimenti amministrativi altrettanto di favore alle imprese pubbliche, che siano rappresentati da contributi palesi o da agevolazioni indirette di vario tipo (ad esempio agevolazioni fiscali, agevolazioni tariffarie o sgravi di oneri sociali o tassi di interesse). Preso atto della richiamata normativa comunitaria e degli obblighi di adeguamento del sistema economico dello Stato, si è assistito ad un procedimento di privatizzazione con dismissione delle imprese pubbliche e delle partecipazioni statali che ha riguardato tanto gli interventi economici a livello statale che a livello di autonomie locali. La dottrina e la giurisprudenza distinguono, in merito alla privatizzazione della titolarità, una privatizzazione di carattere formale da una si carattere sostanziale. Nella prima ipotesi si ravvisa una modificazione della struttura organizzativa di un ente pubblico che assume veste privatistica. Il modello tipico degli enti privati può non essere recepito integralmente, permanendo la previsione di un regime speciale differenziato rispetto ai parametri privatistici. Si avrà così una mera trasformazione dell’ente con Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 95 mutamento della natura giuridica senza che ad esso corrisponda il trasferimento del patrimonio ad un soggetto diverso. Nella seconda ipotesi, invece, si verifica il vero e proprio trasferimento di quote societarie o dei pacchetti azionari dello Stato a soggetti privati, con perdita di controllo da parte dello Stato dell’impresa che viene acquisita dai privati. La distinzione tra privatizzazione formale o sostanziale non assume rilevanza meramente descrittiva del fenomeno mutamento del ruolo dello Stato nell’economia, ma riveste rilevanti ripercussioni in materia di regime giuridico applicabile, tra cui in tema di assoggettabilità dell’ente o meno ai controlli della Corte dei Conti, con risposta affermativa da parte della Corte Costituzionale con sentenza n. 466/1993 laddove manchi la dismissione del patrimonio azionario da parte dello Stato che rimanga unico azionista o azionista di maggioranza; in tema di disciplina relativa al diritto di accesso agli atti amministrativi e di esercizio da parte del privato nei confronti dell’ente, ammissibile per la giurisprudenza amministrativa in presenza di privatizzazione formale (si veda TAR Lombardia Milano, 05.03.2003 n. 360); in tema di patrocinio da parte dell’Avvocatura dello Stato. Il processo di privatizzazione operato da parte del legislatore italiano ha visto disciplinare entrambe le nozioni di privatizzazione, delineando anche un iter cronologico fondato sulla trasformazione del modello giuridico dell’ente pubblico in società per azioni con successiva possibilità di dismissioni del patrimonio azionario a favore di privati. Il quadro normativo di riferimento, con riguardo alla privatizzazione formale, è dato dal decreto legge n. 386 del 1991 convertito nella legge n. 35 del 1992, che ha previsto la trasformazione in s.p.a. degli enti pubblici economici, delle aziende autonome e degli enti di gestione, mediante un procedimento rimesso all’iniziativa degli enti stessi con apposita delibera. Preso atto dell’inerzia degli enti, il legislatore è successivamente intervenuto stabilendo con la legge n. 359 del 1992 due diverse fattispecie costitutive delle s.p.a., caratterizzate una prima dalla espressa disposizione di legge di trasformazione per i maggiori enti pubblici (quali IRI,ENI,INA,ENEL) e una seconda modalità mediante deliberazione del CIPE, che, secondo il disposto dell’art. 18 legge n. 359/1992, avrebbe prodotto gli stessi effetti della legge. Le trasformazioni sono così avvenute in maggior parte in modo coattivo, poiché imposto dalla legge o dalle delibere del CIPE, e diretto, poiché avvenute con unica fase di trasformazione da ente pubblico in s.p.a. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 96 Il procedimento di privatizzazione statale sostanziale ha quale normativa di riferimento la legge n. 474/1994, che prevede le norme per la dismissione delle partecipazioni azionarie dello Stato nelle varie società pubbliche. Con tali operazioni lo Stato persegue gli obiettivi di riduzione del debito pubblico, auspicando una gestione efficiente delle società rivelatesi scarsamente competitive ed antieconomiche, vuole favorire il cd. azionariato diffuso e, infine, ridurre il debito pubblico. La legge n. 474/1994 prevede due distinte modalità di alienazione delle partecipazioni, la prima mediante offerta pubblica di vendita delle azioni disciplinata dalla legge n. 149/1992 ora sostituita dal D.Lgs n. 58/1998 e una seconda modalità con cessione sulla base di trattative dirette con i potenziali acquirenti. Le due distinte procedure possono anche combinarsi tra di loro vendendo così a prevedersi una terza tipologia con modalità mista. Come specificatamente indicato nella legge n. 474/1994 art. 1 comma 3, il legislatore ha previsto una peculiare ipotesi di vendita mediante trattativa diretta che favorisca la presenza di un nucleo privato di azionisti di riferimento che rappresenti il cd. nocciolo duro e che dia garanzia di continuità di indirizzo della società. L'intento di rendere più efficiente e funzionale il sistema delle imprese pubbliche perseguito dal processo di privatizzazione ha comportato un mutamento di ruolo dello Stato in economia passando da uno stato-padrone ad uno stato-regolatore. Proprio per assicurare la possibilità di esercitare tale importante compito di controllo, il legislatore ha previsto accanto alla dismissione delle partecipazioni azionarie anche peculiari norme in deroga alla disciplina comune delle società per azioni che prevedono poteri speciali in capo all'azionista pubblico quali strumenti in grado di assicurare la tutela dell'interesse pubblico nella fase della privatizzazione sostanziale. Nel settore dei servizi pubblici le dismissioni delle partecipazioni azionarie dello Stato sono state subordinate alla creazione di agenzie di regolazione, ossia autorità amministrative indipendenti per risponderebbero la regolazione all'esigenza di dei servizi sorvegliare il pubblici privatizzati. mercato finale, Tali esigenza Authorities che non riguarderebbe il solo ente pubblico in questione, ma l'intero settore economico. Le Autorità si caratterizzano per l'assenza di poteri di gestione diretta dei servizi pubblici, ma per la presenza di poteri precettivi e sanzionatori, di soluzione dei conflitti, di verifica e di controllo sull'attività dei gestori dei servizi. La legge n. 481/1995, indicando le norme per l'istituzione delle autorità di regolazione dei servizi pubblici di utilità, ha attribuito loro la funzione di garantire la promozione della concorrenza e dell'efficienza, adeguati livelli di qualità dei servizi, tariffe trasparenti. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 97 Con specifico riguardo alla disciplina speciale delle società privatizzate ed agli strumenti individuati per la tutela dell'interesse pubblico, si indicano, in primo luogo, i nuclei stabili, che prevedono che la cessione del pacchetto di controllo avvenga a favore di soggetti predeterminati, mentre viene collocata sul mercato solamente la quota residua. Altro strumento è stata la possibilità di previsione di tetti di possesso azionario, ossia limiti al possesso di azioni sia da parte di singoli che di alleanze di imprenditori, così favorendo l'azionariato diffuso. Un sistema volto a conservare il controllo su decisioni importanti e sugli organi societari previsto in settori ritenuti strategici, quali difesa trasporti energia è dato dal cd. golden share, quale azione riservata al Governo cui permangono poteri di intervento nelle decisioni di maggiore importanza nella vita societaria. Viene così previsto l'obbligo di inserire nello statuto delle società privatizzate una clausola che attribuisca al Ministero del tesoro poteri speciali in tema di controllo e guida, tra cui ad esempio poteri di nomina di un quarto degli amministratori, gradimento a pena di invalidità su patti e accordi conclusi in vista di vendita o acquisto mediante offerte pubbliche di acquisto di azioni od obbligazioni, potere di veto su determinate delibere modificative dello statuto. La normativa di riferimento si riviene nella legge n, 474 del 1994, il cui art. 2 inizialmente prevedeva ed indicava i vari poteri speciali a favore del Ministero del Tesoro, da esercitare d'intesa con gli altri ministeri del bilancio e della programmazione economica e con il Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato. Tali previsioni, nel tempo, sono state oggetto di critica da parte della dottrina ed anche di esame da parte della giurisprudenza comunitaria. Difatti, nonostante i chiari intenti di tutela dell'interesse pubblico, gli speciali poteri in discussione non appaiono in linea con i principi di autonomia propri del modello societario, né tanto meno con i principi di libera concorrenza e circolazione libera di capitali di matrice comunitaria. Il legislatore è così dovuto intervenire per specificare le modalità di esercizio di tali poteri, correggendo i possibili punti di conflitto con la disciplina comunitaria. La stessa Corte di Giustizia CE nella causa C-58/1999 nella valutazione del rispetto o meno del diritto comunitario delle norme attributive dei poteri speciali di cui sopra al Ministero del Tesoro ha individuato quattro condizioni necessarie affinché manchi il temuto contrasto, ossia l’applicazione in modo non discriminatorio di tali poteri, devono essere giustificati da motivi imperativi di interesse generale, devono essere idonei a garantire il conseguimento dell’obiettivo perseguito e non devono andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 98 Al fine di porre in linea con i principi di diritto comunitario così indicati dalla Corte di Giustizia CE, il legislatore ha trasformato i poteri speciali inizialmente previsti da strumenti di controllo preventivo in poteri di controllo solamente eventuali a fronte di elementi di sospetto nell’assetto societario. La legge n. 350 del 2003 ha così modificato i poteri speciali di gradimento in poteri di opposizione soggetti a obbligo di motivazione in relazione al potenziale concreto pregiudizio arrecato ai preminenti interessi generali statali. Anche il potere di nomina degli amministratori ha subito rilevante ridimensionamento con la previsione di un solo amministratore senza poteri di voto. La privatizzazione della titolarità ha avuto riguardo non solo quella dei servizi pubblici statali,ma anche quelli locali. Il legislatore ha previsto all’art. 115 T.U degli enti locali la possibilità di trasformazione delle aziende speciali, enti strumentali dell’ente locale dotati di personalità giuridica e di autonomia gestionale, in società per azioni. Anche in tale ipotesi si assiste alla possibilità di una privatizzazione in senso formale ed in una successiva privatizzazione in senso sostanziale. Difatti, la norma richiamata prevede espressamente che l’ente locale possa rimanere unico azionista entro il limite di due anni dalla trasformazione, entro tale termine dovrà poi operarsi la dismissione del patrimonio azionario. Con riguardo poi alla erogazione di servizi pubblici di rilevanza economica ex art. 113 comma 12 T.U. degli enti locali la dismissione del pacchetto di azioni di proprietà dell’ente nelle società miste create per l’erogazione di tali servizi potrà avvenire mediante procedure ad evidenza pubblica. Come anticipato la privatizzazione formale e quella sostanziale degli enti pubblici economici di cui si è discusso ha avuto riguardo alla titolarità degli stessi, per cui si è assistito ad una modificazione solamente nella forma nel primo caso o anche nella sostanza nel secondo caso dell’ente pubblico interessato. Tale privatizzazione si distingue dalla diversa ipotesi in cui essa non riguarda la titolarità del servizio pubblico esercitato ma la sua gestione, che viene affidata a soggetto privato permanendo in capo alla Pubblica Amministrazione la titolarità del medesimo. Il fenomeno può essere inquadrato nel più ampio ambito delle cd. esternalizzazioni, per cui l’esercizio di attività pubbliche, siano esso funzioni amministrative, servizi pubblici o attività strumentali alla realizzazione dello stesso o alla gestione di un bene pubblico, vengono affidate a soggetti diversi dalla P.A. sia ricorrendo a sua volta strumenti di affidamento di carattere pubblicistico come la concessione o di carattere privatistico come il ricorso a contratti sinallagmatici tipici o atipici. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 99 3. Il fenomeno delle liberalizzazioni Da un punto di vista generale, la migliore dottrina (F. BELLOMO, Manuale di diritto amministrativo, Cap. XXIV vol. II, CEDAM) ha inquadrato il fenomeno delle liberalizzazioni nell'ambito della sussidiarietà orizzontale (118 u.c. Cost.). Precisamente, la sussidiarietà orizzontale può esplicare effetti rilevanti nel triangolo StatoSocieta'-mercato. Per quanto riguarda lo Stato, la sussidiarietà implica a) chiusura di attività di governo non necessarie77; b) incremento dell'autonomia di quegli enti pubblici che si collocano sulla frontiera tra i poteri pubblici e la società civile78; c) devoluzione ai privati di attività di interesse generale propri dello Stato, in cui la presenza dello Stato è immanente alla sua esistenza e funzione79. Nell'ambito dl la Società, essa implica: a) possibilità per i privati di affiancare gli enti pubblici nella gestione di compiti di interesse generale propri del Welfare, in cui la presenza dello Stato e frutto di un’opzione politica, e non della natura intrinsecamente pubblica del settore80; b) disciplina di maggior favore per gli enti privati che operano nel sociale81. Infine, la sussidiarietà nel Mercato postula: a) privatizzazione dell’impresa pubblica; b) liberalizzazione dei servizi pubblici economici; 77 es. la soppressione o la trasformazione degli enti autarchici che svolgono funzioni non essenziali 78 università, enti di ricerca, camere di commercio 79 es. sicurezza pubblica, giustizia 80 es. le fondazioni che svolgono attività finalizzata al perseguimento di scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico, annoverate dalla Corte Costituzionale nel settore cd. dell'organizzazione delle libertà sociali (cfr. i pareri del CdS n. 1354/02 e 1794/02 relativi alle fondazioni sociali ed alle società costituite o partecipate dal Ministero per i beni culturali) 81 es. la legge sull’impresa sociale, che ammette la forma societaria per il perseguimento di scopo non lucrativi Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 100 c) liberalizzazione delle attività economiche private. Nella presente sede ci si occuperà per ragioni sistematiche soltanto di quest'ultima ipotesi con particolare riferimento alle liberalizzazioni (per quanto concerne le privatizzazioni si rinvia al precedente paragrafo), avendo cura altresì di specificare come la sussidiarietà orizzontale impatti nell'ambito delle autorizzazioni e delle concessioni. Ma procediamo con ordine, iniziando la disamina dalle liberalizzazioni dei servizi pubblici economici (ipotesi sub b), che possono riguardare 1) il mercato e 2) l'accesso al mercato. I processi di liberalizzazione nel campo dei servizi pubblici sono in generale ricollegati ad un duplice fattore: accanto all'intento di migliorare la qualità e l'efficienza di essi attraverso il coinvolgimento di gestori privati si e' assistito ad una progressiva rottura del monopolio pubblico dovuta alla applicazione della disciplina comunitaria. Emblematica a tal riguardo e' la disciplina contenuta nell'art. 119 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, secondo cui "Ai fini enunciati all'articolo 3 del trattato sull'Unione europea, l'azione degli Stati membri e dell'Unione comprende, alle condizioni previste dai trattati, l'adozione di una politica economica che è fondata sullo stretto coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri, sul mercato interno e sulla definizione di obiettivi comuni, condotta conformemente al principio di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza". Come si può agevolmente comprendere dalla disposizione riportata, la libera concorrenza nel mercato unico appare il fondamento dell'edificio comunitario, costituendo una opzione in favore di una concezione teorica liberale che nella scienza economica e' da sempre discussa. Per quanto concerne la liberalizzazione del mercato nell'ambito dei servizi pubblici (ipotesi sub 1), occorre mettere in evidenza che un mercato liberalizzato ha natura concorrenziale, essendo esso accessibile a tutti gli operatori senza limitazioni. Queste ultime, più precisamente, possono essere sia di tipo giuridico che materiale. Il primo tipo di limitazioni e' dato dalla riserva pubblica originaria o dal successivo trasferimento di imprese o categorie di imprese riferibili a servizi pubblici essenziali disciplinate dall'art. 43 della Costituzione. Limitazioni materiali ricorrono invece nel caso delle c.d. barriere all'ingresso, derivanti da posizioni monopoliste od oligopoliste di fatto, o dall'imperfetto funzionamento della concorrenza. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 101 La riserva pubblica del mercato può dipendere da necessita' di carattere economico (ricollegate a a caratteristiche oggettive del settore - es. scarsità fisica dei beni - che determinano inevitabili fallimenti del mercato concorrenziale) oppure da scelte di carattere politico (dettate principalmente dal perseguimento degli obiettivi dello Stato sociale o da ragioni di finanza pubblica). In tali occasioni la liberalizzazione e' legata al superamento dei fattori di ordine tecnicoeconomici o politici preclusivi, dovuti rispettivamente al progresso scientifico-tecnologico e alle modificazioni in ordine alle modalità' del perseguimento delle finalità pubbliche. L'apertura del mercato e' segnata dal passaggio dal sistema concessorio a quello autorizzatorio, occorrendo sul punto precisare che un regime di autorizzazione e' coerente con la liberalizzazione del mercato solo se si traduce esclusivamente in una verifica di idoneità tecnica dell'operatore. Ove, invece, la stessa implichi la verifica in ordine alla compatibilità dell'accesso con le condizioni di mercato, mirando alla salvaguardia di un tetto massimo di presenze nel settore, il mercato non può' dirsi totalmente liberalizzato. La liberalizzazione dell'accesso al mercato (ipotesi sub 2) comporta, invece, la possibilità per chiunque di concorrere ad ottenere il provvedimento giuridico che consente di entrare in un mercato che rimane a numero chiuso o limitato, con la conseguenza che si viene a realizzare una concorrenza per il mercato e non del mercato (come nella ipotesi sub 1). La liberalizzazione dell'accesso al mercato si sostanzia dunque nella adozione di una procedura competitiva di scelta del soggetto privato chiamato a gestire il servizio. Le liberalizzazioni nelle attività economiche (ipotesi sub b) private presuppongono la sottrazione al regime amministrativo di attività economiche originariamente sottoposte ad autorizzazione, in ragione di un più ampio riconoscimento della libertà di iniziativa privata. In tal modo il diritto del privato allo svolgimento della attività può essere esercitato al di fuori di qualsiasi condizionamento, salvo il rispetto dell'altrui sfera giuridica. Una prima applicazione del fenomeno delle liberalizzazioni nel mercato può' essere individuata nel d.l. n. 138/2011, convertito in nella legge n. 138/2011. Si riporta per intero l'articolo 3 (abrogazione delle indebite restrizioni all'accesso e all'esercizio delle professioni e delle attivita' economiche), data la sua importanza ai fini della materia in esame: "1. Comuni, Province, Regioni e Stato, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, adeguano i rispettivi ordinamenti al principio Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 102 secondo cui l'iniziativa e l'attivita' economica privata sono libere ed e' permesso tutto cio' che non e' espressamente vietato dalla legge nei soli casi di: 2. vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali; 3. b) contrasto con i principi fondamentali della Costituzione; c) danno alla sicurezza, alla liberta', alla dignita' umana e contrasto con l'utilita' sociale; d) disposizioni indispensabili per la protezione della salute umana, la conservazione delle specie animali e vegetali, dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale; e) disposizioni ((relative alle attivita' di raccolta di giochi pubblici ovvero)) che ((comunque)) comportano effetti sulla finanza pubblica. 2. Il comma 1 costituisce principio fondamentale per lo sviluppo economico e attua la piena tutela della concorrenza tra le imprese. 3. Sono in ogni caso soppresse, alla scadenza del termine di cui al comma 1, le disposizioni normative statali incompatibili con quanto disposto nel medesimo comma, con conseguente diretta applicazione degli istituti della segnalazione di inizio di attivita' e dell'autocertificazione con controlli successivi. Nelle more della decorrenza del predetto termine, l'adeguamento al principio di cui al comma 1 puo' avvenire anche attraverso gli strumenti vigenti di semplificazione normativa. ((Entro il 31 dicembre 2012 il Governo e' autorizzato ad adottare uno o piu' regolamenti ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, con i quali vengono individuate le disposizioni abrogate per effetto di quanto disposto nel presente comma ed e' definita la disciplina regolamentare della materia ai fini dell'adeguamento al principio di cui al comma 1.)) 4. L'adeguamento di Comuni, Province e Regioni all'obbligo di cui al comma 1 costituisce elemento di valutazione della virtuosita' dei predetti enti ai sensi dell'articolo 20, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. 5. Fermo restando l'esame di Stato di cui ((all'articolo 33 quinto comma della Costituzione)) per l'accesso alle professioni regolamentate, gli ordinamenti professionali devono garantire che l'esercizio dell'attivita' risponda senza eccezioni ai principi di libera concorrenza, alla presenza diffusa dei professionisti su tutto il territorio nazionale, alla differenziazione e pluralita' di offerta che garantisca l'effettiva possibilita' di scelta degli utenti nell'ambito della piu' ampia informazione relativamente ai servizi offerti. Gli ordinamenti professionali dovranno essere riformati entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto per recepire i seguenti principi: Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 103 a) l'accesso alla professione e' libero e il suo esercizio e' fondato e ordinato sull'autonomia e sull'indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnica, del professionista. La limitazione, in forza di una disposizione di legge, del numero di persone che sono titolate ad esercitare una certa professione in tutto il territorio dello Stato o in una certa area geografica, e' consentita unicamente laddove essa risponda a ragioni di interesse pubblico (tra cui in particolare quelle connesse alla tutela della salute umana)e non introduca una discriminazione diretta o indiretta basata sulla nazionalita' o, in caso di esercizio dell'attivita' in forma societaria, della sede legale della societa' professionale; b) previsione dell'obbligo per il professionista di seguire percorsi di formazione continua permanente predisposti sulla base di appositi regolamenti emanati dai consigli nazionali, fermo restando quanto previsto dalla normativa vigente in materia di educazione continua in medicina (ECM). La violazione dell'obbligo di formazione continua determina un illecito disciplinare e come tale e' sanzionato sulla base di quanto stabilito dall'ordinamento professionale che dovra' integrare tale previsione; c) la disciplina del tirocinio per l'accesso alla professione deve conformarsi a criteri che garantiscano l'effettivo svolgimento dell'attivita' formativa e il suo adeguamento costante all'esigenza di assicurare il miglior esercizio della professione. Al tirocinante dovra' essere corrisposto un equo compenso di natura indennitaria, commisurato al suo concreto apporto. Al fine di accelerare l'accesso al mondo del lavoro, la durata del tirocinio non potra' essere complessivamente superiore a tre anni e potra' essere svolto, in presenza di una apposita convenzione quadro stipulata fra i Consigli Nazionali e il Ministero dell'Istruzione, Universita' e Ricerca, in concomitanza al corso di studio per il conseguimento della laurea di primo livello o della laurea magistrale o specialistica. Le disposizioni della presente lettera non si applicano alle professioni sanitarie per le quali resta confermata la normativa vigente; d) il compenso spettante al professionista e' pattuito per iscritto all'atto del conferimento dell'incarico professionale prendendo come riferimento le tariffe professionali. E' ammessa la pattuizione dei compensi anche in deroga alle tariffe. Il professionista e' tenuto, nel rispetto del principio di trasparenza, a rendere noto al cliente il livello della complessita' dell'incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell'incarico. In caso di mancata determinazione consensuale del compenso, quando il committente e' un ente pubblico, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi, ovvero nei casi in cui la prestazione professionale e' resa nell'interesse dei terzi si applicano le tariffe professionali stabilite con decreto dal Ministro della Giustizia; Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 104 e) a tutela del cliente, il professionista e' tenuto a stipulare idonea assicurazione per i rischi derivanti dall'esercizio dell'attivita' professionale. Il professionista deve rendere noti al cliente, al momento dell'assunzione dell'incarico, gli estremi della polizza stipulata per la responsabilita' professionale e il relativo massimale. Le condizioni generali delle polizze assicurative di cui al presente comma possono essere negoziate, in convenzione con i propri iscritti, dai Consigli Nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti; f) gli ordinamenti professionali dovranno prevedere l'istituzione di organi a livello territoriale, diversi da quelli aventi funzioni amministrative, ai quali sono specificamente affidate l'istruzione e la decisione delle questioni disciplinari e di un organo nazionale di disciplina. La carica di consigliere dell'Ordine territoriale o di consigliere nazionale e' incompatibile con quella di membro dei consigli di disciplina nazionali e territoriali. Le disposizioni della presente lettera non si applicano alle professioni sanitarie per le quali resta confermata la normativa vigente; g) la pubblicita' informativa, con ogni mezzo, avente ad oggetto l'attivita' professionale, le specializzazioni ed i titoli professionali posseduti, la struttura dello studio ed i compensi delle prestazioni, e' libera. Le informazioni devono essere trasparenti, veritiere, corrette e non devono essere equivoche, ingannevoli, denigratorie. 6. Fermo quanto previsto dal comma 5 per le professioni, l'accesso alle attivita' economiche e il loro esercizio si basano sul principio di liberta' di impresa. 7. Le disposizioni vigenti che regolano l'accesso e l'esercizio delle attivita' economiche devono garantire il principio di liberta' di impresa e di garanzia della concorrenza. Le disposizioni relative all'introduzione di restrizioni all'accesso e all'esercizio delle attivita' economiche devono essere oggetto di interpretazione restrittiva, fermo in ogni caso quanto previsto al comma 1 del presente articolo. 8. Le restrizioni in materia di accesso ed esercizio delle attivita' economiche previste dall'ordinamento vigente sono abrogate quattro mesi dopo l'entrata in vigore del presente decreto,fermo in ogni caso quanto previsto al comma 1 del presente articolo. 9. Il termine «restrizione», ai sensi del comma 8, comprende: a) la limitazione, in forza di una disposizione di legge, del numero di persone che sono titolate ad esercitare una attivita' economica in tutto il territorio dello Stato o in una certa area geografica attraverso la concessione di licenze o autorizzazioni amministrative per Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 105 l'esercizio, senza che tale numero sia determinato, direttamente o indirettamente sulla base della popolazione o di altri criteri di fabbisogno; b) l'attribuzione di licenze o autorizzazioni all'esercizio di una attivita' economica solo dove ce ne sia bisogno secondo l'autorita' amministrativa; si considera che questo avvenga quando l'offerta di servizi da parte di persone che hanno gia' licenze o autorizzazioni per l'esercizio di una attivita' economica non soddisfa la domanda da parte di tutta la societa' con riferimento all'intero territorio nazionale o ad una certa area geografica; c) il divieto di esercizio di una attivita' economica al di fuori di una certa area geografica e l'abilitazione a esercitarla solo all'interno di una determinata area; d) l'imposizione di distanze minime tra le localizzazioni delle sedi deputate all'esercizio di una attivita' economica; e) il divieto di esercizio di una attivita' economica in piu' sedi oppure in una o piu' aree geografiche; f) la limitazione dell'esercizio di una attivita' economica ad alcune categorie o divieto, nei confronti di alcune categorie, di commercializzazione di taluni prodotti; g) la limitazione dell'esercizio di una attivita' economica attraverso l'indicazione tassativa della forma giuridica richiesta all'operatore; h) l'imposizione di prezzi minimi o commissioni per la fornitura di beni o servizi, indipendentemente dalla determinazione, diretta o indiretta, mediante l'applicazione di un coefficiente di profitto o di altro calcolo su base percentuale; i) l'obbligo di fornitura di specifici servizi complementari all'attivita' svolta. 10. Le restrizioni diverse da quelle elencate nel comma 9 precedente possono essere revocate con regolamento da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, emanato su proposta del Ministro competente entro quattro mesi dall'entrata in vigore del presente decreto((, fermo in ogni caso quanto previsto al comma 1 del presente articolo.)) 11. Singole attivita' economiche possono essere escluse, in tutto o in parte, dall'abrogazione delle restrizioni disposta ai sensi del comma 8; in tal caso, la suddetta esclusione, riferita alle limitazioni previste dal comma 9, puo' essere concessa, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita ((l'Autorita' garante della concorrenza e del Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 106 mercato)), entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, qualora: a) la limitazione sia funzionale a ragioni di interesse pubblico((, tra cui in particolare quelle connesse alla tutela della salute umana;) b) la restrizione rappresenti un mezzo idoneo, indispensabile e, dal punto di vista del grado di interferenza nella liberta' economica, ragionevolmente proporzionato all'interesse pubblico cui e' destinata; c) la restrizione non introduca una discriminazione diretta o indiretta basata sulla nazionalita' o, nel caso di societa', sulla sede legale dell'impresa". In materia di liberalizzazioni va altresì segnalato l'art. 34 (Liberalizzazione delle attività economiche ed eliminazione dei controlli ex ante) del d.l. n. 291/2011, convertito nella l. n.214/2011, secondo cui: " 1. Le disposizioni previste dal presente articolo sono adottate ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lettere e) ed m), della Costituzione, al fine di garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità e il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonché per assicurare ai consumatori finali un livello minimo e uniforme di condizioni di accessibilità ai beni e servizi sul territorio nazionale. 2. La disciplina delle attività economiche è improntata al principio di libertà di accesso, di organizzazione e di svolgimento, fatte salve le esigenze imperative di interesse generale, costituzionalmente rilevanti e compatibili con l’ordinamento comunitario, che possono giustificare l’introduzione di previ atti amministrativi di assenso o autorizzazione o di controllo, nel rispetto del principio di proporzionalità. 3. Sono abrogate le seguenti restrizioni disposte dalle norme vigenti: a) il divieto di esercizio di una attività economica al di fuori di una certa area geografica e l’abilitazione a esercitarla solo all’interno di una determinata area; b) l’imposizione di distanze minime tra le localizzazioni delle sedi deputate all’esercizio di una attività economica; c) il divieto di esercizio di una attività economica in più sedi oppure in una o più aree geografiche; Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 107 d) la limitazione dell’esercizio di una attività economica ad alcune categorie o divieto, nei confronti di alcune categorie, di commercializzazione di taluni prodotti; e) la limitazione dell’esercizio di una attività economica attraverso l’indicazione tassativa della forma giuridica richiesta all’operatore; f) l’imposizione di prezzi minimi o commissioni per la fornitura di beni o servizi. g) l’obbligo di fornitura di specifici servizi complementari all’attività svolta. 4. L’introduzione di un regime amministrativo volto a sottoporre a previa autorizzazione l’esercizio di un’attività economica deve essere giustificato sulla base dell’esistenza di un interesse generale, costituzionalmente rilevante e compatibile con l’ordinamento comunitario, nel rispetto del principio di proporzionalità. 5. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato è tenuta a rendere parere obbligatorio, da rendere nel termine di trenta giorni decorrenti dalla ricezione del provvedimento, in merito al rispetto del principio di proporzionalità sui disegni di legge governativi e i regolamenti che introducono restrizioni all’accesso e all’esercizio di attività economiche. 6. Quando è stabilita, ai sensi del comma 4, la necessità di alcuni requisiti per l’esercizio di attività economiche, la loro comunicazione all’amministrazione competente deve poter essere data sempre tramite autocertificazione e l’attività può subito iniziare, salvo il successivo controllo amministrativo, da svolgere in un termine definito; restano salve le responsabilità per i danni eventualmente arrecati a terzi nell’esercizio dell’attività stessa. 7. Le Regioni adeguano la legislazione di loro competenza ai princìpi e alle regole di cui ai commi 2, 4 e 6. 8. Sono escluse dall’ambito di applicazione del presente articolo le professioni, il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea, i servizi finanziari come definiti dall’articolo 4 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 e i servizi di comunicazione come definiti dall’art. 5 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno)". In materia di liberalizzazioni occorre, inoltre, richiamare per la sua importanza la "direttiva servizi" (direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno, attuata con il d.lgs. n. 59/2010). Precisamente, la direttiva in esame si fonda sul principio generale affermato nella nota sentenza Cassis de Dijon del 1979 secondo la quale se un bene è prodotto e Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 108 commercializzato legalmente in uno stato europeo, gli altri stati membri non possono limitarne la circolazione bensì presupporre la sua conformità. Questo è il principio della mutua fiducia. La direttiva, che rientra nel quadro della strategia di Lisbona, propone quattro obiettivi principali: 1) facilitare la libertà di stabilimento e la libertà di prestazione di servizi nell'Ue, in quanto i servizi rappresentano il 70% dell'occupazione in Europa e la loro liberalizzazione aumenta l'occupazione ed il Pil europeo; 2) rafforzare i diritti dei destinatari dei servizi, promuovere la qualità dell'offerta e, infine, stabilire una cooperazione amministrativa effettiva tra gli Stati membri; 3) obbligo di valutare la compatibilità dei regimi di autorizzazione alla luce dei principi di non discriminazione e di proporzionalità; obbligo di rispettare determinati principi quanto alle condizioni e alle procedure di autorizzazione applicabili al settore dei servizi e divieto di alcuni requisiti giuridici esistenti nelle legislazioni di determinati Stati membri e che non possono essere giustificati; 4) in materia di libera prestazione di servizi, la direttiva prevede che gli Stati membri debbano garantire il libero accesso a un'attività di servizi, nonchè il suo libero esercizio sul loro territorio. Nel quadro della tutela dei diritti dei destinatari dei servizi si precisa il diritto a utilizzare servizi in altri Stati membri e ottenere informazioni sulle regole applicabili ai prestatori di servizi, qualunque sia il loro luogo di stabilimento e sui servizi offerti da un prestatore di servizi. In relazione alla qualità dei servizi si mira a rafforzarla mediante, ad esempio certificazioni volontarie, e a incoraggiare l'elaborazione di codici di condotta europei. Infine, sulla cooperazione amministrativa tra gli Stati membri, la direttiva stabilisce un obbligo legale vincolante di collaborare con le autorità di altri stati membri per garantire un controllo efficace delle attività di servizi dell'Unione e la creazione di un meccanismo di allerta basato su un sistema elettronico di scambio di informazioni tra gli Stati membri. Per quanto concerne il campo di applicazione, occorre mettere in evidenza che la direttiva interessa molteplici attività come i servizi alle imprese (quali, ad esempio, servizi di pubblicità, certificazione e collaudo, manutenzione degli uffici), i servizi collegati al settore immobiliare (come le agenzie immobiliari, l'edilizia, la distribuzione, l'organizzazione di fiere, agenzie di Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 109 viaggio) e i servizi ai consumatori (servizi ricreativi, guide turistiche, servizi nel settore del turismo). Sono invece esclusi, fra quelli forniti dietro corrispettivo economico, i seguenti servizi: - servizi non economici di interesse generale, servizi finanziari; - servizi di comunicazione elettronica in relazione alle materie disciplinate dalla direttiva; - servizi nel settore dei trasporti, compresi quelli portuali; - servizi delle agenzie di lavoro interinale; - servizi sanitari; - servizi audiovisivi, attività di azzardo, attività connesse con l'esercizio di pubblici poteri; - alcuni servizi sociali (nel settore degli alloggi e del sostegno alle famiglie e alle persone bisognose); - servizi privati di sicurezza; - servizi forniti da notai e ufficiali giudiziari nominati con atto ufficiale della Pubblica amministrazione. Sebbene non sia la presente la sede più' appropriata per analizzare funditus la disciplina della direttiva servizi, occorre rilevare che il suo ambito di applicazione e' limitato esclusivamente alle autorizzazioni. I riferimenti alle concessioni, invece, rappresentano un atecnicismo, dovuto al linguaggio comunitario maggiormente incline a far prevalete la sostanza sulla forma. Dal punto di vista logico, dunque, le autorizzazioni stanno alle attività economiche come le concessioni stanno ai servizi. Si hanno ora a disposizione gli strumenti necessari per valutare in che modo i principi in materia di liberalizzazioni nel mercato e di sussidiarietà orizzontale impattino sull'esercizio delle funzioni ampliative (autorizzazioni e concessioni). Occorre mettere in evidenza a tal riguardo che l'ordinamento comunitario, come si può agevolmente notare leggendo la c.d. direttiva servizi più sopra citata, nella materia in esame risulta essere maggiormente permissivo rispetto all'art. 41 co.2 Cost., con particolare riferimento alla libertà dei servizi. Orbene, per quanto concerne le autorizzazioni, occorre distinguere a seconda che il mercato di riferimento sia a numero chiuso o a numero aperto. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 110 Nel primo caso la sussidiarietà opera nel senso di ampliare il numero dei soggetti che vi possono accedere, come emerge plasticamente dall'art. 12 della direttiva servizi, secondo cui: " 1. Qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento. 2. Nei casi di cui al paragrafo 1 l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami. 3. Fatti salvi il paragrafo 1 e gli articoli 9 e 10, gli Stati membri possono tener conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto comunitario". Nel caso in cui venga in rilievo un mercato a numero aperto, invece, la sussidiarietà orizzontale implica liberalizzazione tout court. Laddove si ravvisi la necessita' (di natura politica) di mantenere dei controlli ex post, la liberalizzazione viene parzialmente ridimensionata dalla semplificazione (per la cui analisi si veda infra). Per quanto riguarda, invece, le concessioni, il venir meno della necessita' economica e politica fa si' che si assista al fenomeno della liberalizzazione; al contrario, la sussistenza di esigenze di controllo all'ingresso di operatori (necessita' politica) comporta, laddove venga meno la necessita' e economica, che il mercato non venga liberalizzato, bensì che la concessione si converta in autorizzazione. 4. Il fenomeno della semplificazione. La tematica della semplificazione si presenta strettamente interferente con quello della sussidiarietà. La semplificazione può' riguardare la funzione amministrativa e quella normativa (sul punto v. amplius (F. BELLOMO, Manuale di diritto amministrativo, Cap. V vol. I, CEDAM). Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 111 La semplificazione della funzione amministrativa attiene alla attività della Pubblica Amministrazione e tende da un lato alla deregolazione (semplificazione funzionale: eliminazione degli interventi amministrativi non strettamente necessari) e dall'altro alla revisione di procedimenti di organi (semplificazione organizzativa: riduzione e accorpamento dei procedimenti e delle fasi, riordino delle competenze, soppressione di organi e uffici superflui). Essa richiede a monte scelte di carattere politico in ordine alla ingerenza del potere pubblico nei settori privati e alla ristrutturazione della organizzazione amministrativa. La semplificazione amministrativa trova un diretto referente a livello organizzativo e procedimentale nell'art. 97 della Costituzione. Senza pretesa di esaustivita', le principali applicazioni a livello legislativo possono essere identificate nelle seguenti griglie normative: l.n. 241/90, l.n. 59/97, l.n. 127/97, d.P.R. n. 445/2000, l.n. 246/05. Di particolare interesse sono gli articoli 25, 26 e 74 del d.l. n. 112/08, che si riportano integralmente data la loro importanza. Articolo 25 (Taglia-oneri amministrativi): "1. Entro sessanta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e del Ministro per la semplificazione normativa, è approvato un programma per la misurazione degli oneri amministrativi derivanti da obblighi informativi nelle materie affidate alla competenza dello Stato, con l'obiettivo di giungere, entro il 31 dicembre 2012, alla riduzione di tali oneri per una quota complessiva del 25%, come stabilito in sede europea. Per la riduzione relativa alle materie di competenza regionale, si provvede ai sensi dell'articolo 20 ter della legge 15 marzo 1997, n. 59, e dei successivi accordi attuativi. 2. In attuazione del programma di cui al comma 1, il Dipartimento della funzione pubblica coordina le attività di misurazione in raccordo con l'Unità per la semplificazione e la qualità della regolazione e le amministrazioni interessate per materia. 3. Ciascun Ministro, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e con il Ministro per la semplificazione normativa, adotta il piano di riduzione degli oneri amministrativi, che definisce le misure normative, organizzative e tecnologiche finalizzate al raggiungimento dell'obiettivo di cui al comma 1, assegnando i relativi programmi ed obiettivi ai dirigenti titolari dei centri di responsabilità amministrativa. I piani confluiscono nel piano d'azione per la semplificazione e la qualità della regolazione di cui al Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 112 comma 2 dell'articolo 1 del decreto legge 10 gennaio 2006, n. 4, che assicura la coerenza generale del processo nonché il raggiungimento dell'obiettivo finale di cui al comma 1. 4. Con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e del Ministro per la semplificazione normativa, si provvede a definire le linee guida per la predisposizione dei piani di cui al comma 3 e delle forme di verifica dell'effettivo raggiungimento dei risultati, anche utilizzando strumenti di consultazione pubblica delle categorie e dei soggetti interessati. 5. Sulla base degli esiti della misurazione di ogni materia, congiuntamente ai piani di cui al comma 3, e comunque entro il 30 settembre 2012, il Governo è delegato ad adottare uno o più regolamenti ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e del Ministro per la semplificazione normativa, di concerto con il Ministro o i Ministri competenti, contenenti gli interventi normativi volti a ridurre gli oneri amministrativi gravanti sulle imprese nei settori misurati e a semplificare e riordinare la relativa disciplina. Tali interventi confluiscono nel processo di riassetto di cui all'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59. 6. Degli stati di avanzamento e dei risultati raggiunti con le attività di misurazione e riduzione degli oneri amministrativi gravanti sulle imprese è data tempestiva notizia sul sito web del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, del Ministro per la semplificazione normativa e dei Ministeri e degli enti pubblici statali interessati. 7. Del raggiungimento dei risultati indicati nei singoli piani ministeriali di semplificazione si tiene conto nella valutazione dei dirigenti responsabili. Articolo 26 (Taglia-enti): "1. Gli enti pubblici non economici con una dotazione organica inferiore alle 50 unità, con esclusione degli ordini professionali e loro federazioni, delle federazioni sportive e degli enti non inclusi nell’elenco ISTAT pubblicato in attuazione del comma 5 dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, degli enti la cui funzione consiste nella conservazione e nella trasmissione della memoria della Resistenza e delle deportazioni, anche con riferimento alle leggi 20 luglio 2000, n. 211, istitutiva della Giornata della memoria e 30 marzo 2004, n. 92, istitutiva del Giorno del ricordo, nonché delle Autorità portuali, degli enti parco e degli enti di ricerca, sono soppressi al novantesimo giorno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ad eccezione di quelli confermati con decreto dei Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa, da emanarsi entro il predetto termine. Sono, altresì, soppressi tutti gli enti pubblici non Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 113 economici, per i quali, alla scadenza del 31 marzo 2009, non siano stati emanati i regolamenti di riordino ai sensi del comma 634 dell’articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244. Nei successivi novanta giorni i Ministri vigilanti comunicano ai Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa gli enti che risultano soppressi ai sensi del presente comma. 2. Le funzioni esercitate da ciascun ente soppresso sono attribuite all’amministrazione vigilante ovvero, nel caso di pluralità di amministrazioni vigilanti, a quella titolare delle maggiori competenze nella materia che ne è oggetto. L’amministrazione così individuata succede a titolo universale all’ente soppresso, in ogni rapporto, anche controverso, e ne acquisisce le risorse finanziarie, strumentali e di personale. I rapporti di lavoro a tempo determinato, alla prima scadenza successiva alla soppressione dell’ente, non possono essere rinnovati o prorogati". Articolo 74 (Riduzione degli assetti organizzativi): "1. Le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, ivi inclusa la Presidenza del Consiglio dei Ministri, le agenzie, incluse le agenzie fiscali di cui agli articoli 62, 63 e 64 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 e successive modificazioni e integrazioni, gli enti pubblici non economici, gli enti di ricerca, nonché gli enti pubblici di cui all'articolo 70, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni ed integrazioni, provvedono entro il 31 ottobre 2008, secondo i rispettivi ordinamenti: a) a ridimensionare gli assetti organizzativi esistenti, secondo principi di efficienza, razionalità ed economicità, operando la riduzione degli uffici dirigenziali di livello generale e di quelli di livello non generale, in misura non inferiore, rispettivamente, al 20 e al 15 per cento di quelli esistenti. A tal fine le amministrazioni adottano misure volte: alla concentrazione dell'esercizio delle funzioni istituzionali, attraverso il riordino delle competenze degli uffici; all'unificazione delle strutture che svolgono funzioni logistiche e strumentali, salvo specifiche esigenze organizzative, derivanti anche dalle connessioni con la rete periferica, riducendo, in ogni caso, il numero degli uffici dirigenziali di livello generale e di quelli di livello non generale adibiti allo svolgimento di tali compiti. Le dotazioni organiche del personale con qualifica dirigenziale sono corrispondentemente ridotte, ferma restando la possibilità dell'immissione di nuovi dirigenti, nei termini previsti dall'articolo 1, comma 404, lettera a), della legge 27 dicembre 2006, n. 296; Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 114 b) a ridurre il contingente di personale adibito allo svolgimento di compiti logisticostrumentali e di supporto in misura non inferiore al dieci per cento con contestuale riallocazione delle risorse umane eccedenti tale limite negli uffici che svolgono funzioni istituzionali; c) alla rideterminazione delle dotazioni organiche del personale non dirigenziale, apportando una riduzione non inferiore al dieci per cento della spesa complessiva relativa al numero dei posti di organico di tale personale". La semplificazione normativa attiene, invece, ai procedimenti di produzione normativa ed ha la precipua finalità di ridurre le leggi in vigore, di migliorare la chiarezza del linguaggio legislativo attraverso la raccolta delle disposizioni in codici e testi unici e, infine, di eliminare fonti superflue. In sintesi, gli strumenti per realizzare gli obiettivi indicati nel nostro ordinamento giuridico sono i seguenti: (a) la legge annuale di semplificazione; (b) la delegificazione; (c) la deregolamentazione; (d) i testi unici ricognitivi e innovativi, i testi unici misti di norme legislative e regolamentari, i codici; (e) l'analisi dell'impatto della regolamentazione (c.d. AIR) e la verifica di impatto della regolamentazione (VIR); (f) taglia leggi. Sul fronte della semplificazione amministrativa la direttiva servizi obbliga gli Stati membri a snellire tutte le procedure relative all’istituzione e alla realizzazione di un’attività di servizio. Devono essere eliminati requisiti formali, quali l’obbligo di presentazione dei documenti originali, le traduzioni certificate o le copie di certificati conformi, fatte salve alcune eccezioni. Dal dicembre 2009 le imprese e i privati devono poter espletare per via elettronica tutte le formalità necessarie mediante gli “sportelli unici”, i quali sono dei portali di amministrazione elettronica realizzati dall’amministrazione nazionale di ogni paese dell’UE. In conclusione, occorre soffermare la attenzione sulle modalità con le quali si verifica la interferenza tra semplificazione e funzioni ampliative. Precisamente, la semplificazione della funzione amministrativa opera nel senso di sostituite i provvedimenti autorizzatori con il silenzio assenso (art. 20 l.n. 241/90) e con la S.C.I.A. (art. 19 l.n. 241/90). Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 115 Con riferimento, invece, alle concessioni, la semplificazione implica la applicazione dell'art. 1 co.1bis l.n. 241/90 e dell'art. 11 della l.n. 241/90. Qualora venga in rilievo congiuntamente la sussidiarietà orizzontale, essendosi la funzione trasformata da concessoria in autorizzatoria (salve le ipotesi di liberalizzazione tout court), si verificano i medesimi effetti più sopra messi in evidenza (silenzio assenso e S.C.I.A.). Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 116 Diritto tributario L’Accertamento con adesione: quest’oggetto (quasi) misterioso a cura di Michele Molinari L’istituto dell’adesione ha più di dieci anni di vita e conosciuto diverse rivisitazioni, ma, nonostante il clamore mediatico e giornalistico pressoché quotidiano suscitato ormai dai temi fiscali, si ha l’impressione che resti ancora un oggetto misterioso, che francamente neppure la stampa specializzata contribuisce a “disvelare” pienamente: difficilmente potrebbe esserlo se viene chiamata indifferentemente (e impropriamente) transazione fiscale, concordato, o addirittura patteggiamento (sic!), termini che rievocano un solo comune denominatore: il concetto di “accordo”, ma che, per il resto, divergono molto tra loro, se ci si ferma a riflettere, come qualunque giurista e economista ben sa. Altro spunto di riflessione è che l’adesione è sempre oggetto di articoli e servizi dei massmedia solo quando riguarda personaggi famosi, come se fosse un “privilegio” riservato ai pochi eletti che possono servirsi dei migliori studi e consulenti. In realtà l’accertamento con adesione è a portata di tutti, è lo strumento principe impiegato quotidianamente per cercare un confronto tra Amministrazione Finanziaria e il contribuente, cui si rivolge non solo il vip, ma anche e soprattutto il professionista, la piccola e media impresa, così come il cittadino privato. L’Accertamento con adesione conosce la luce con il d.lgs. n. 218 del 1997, facendo seguito alla legge delega n. 662 del 23/12/1996: viene creato un corpus omogeneo di articoli con cui viene istituzionalizzato il dialogo tra le parti. L’istituto non ha avuto vita facile: prima del 1997 c’erano solo norme settoriali, per i singoli (e non tutti) tributi ed il primo vero tentativo si è avuto col d.l. 452/94, decaduto per mancata conversione, il cui contenuto è stato trasfuso in una serie di decreti legge reiterati, fino alla conversione finale nella legge 656 del 1994, più volte modificata fino all’attuale d.lgs. Sul piano soggettivo, non esistono particolari preclusioni (a differenza di quanto previsto inizialmente nel 1994), in quanto l’accesso è consentito a tutta la platea dei contribuenti: persone fisiche (privati e titolari di partita iva), società di persone e assimilati di cui all’art. 5 del dpr 917/86 (es: azienda familiare), società di capitali e assimilati di cui all’art. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 117 87 del dpr 917/86 (es: i trust), sostituti di imposta (coloro che effettuano ritenute di legge a qualunque titolo). Sul piano oggettivo, l’adesione è applicabile alle imposte dirette (irpef e relative addizionali, ires, irap, imposte sostitutive) ed alle principali indirette, quali iva, registro, imposta di successione e donazioni, ipocatastali (l’art 1 parla ancora di INVIM, ma in realtà non esiste più dal 2000/01), ma non all’imposta di bollo; ugualmente importante è sottolineare che può essere oggetto di adesione qualunque categoria di reddito delle attuali sei, quindi non più solo il reddito di impresa o reddito autonomo (per molto tempo privilegiati), ma anche il reddito da lavoro dipendente (es, a seguito di accertamenti su lavori in nero), oppure redditi di fabbricati (es: i canoni di locazione non denunciati). Per essere ancora più appetibile per il contribuente, l’adesione è esperibile potenzialmente per tutti i tipi di accertamenti previsti dalla legge, e quindi si pensi agli accertamenti da indagini finanziarie, accertamento per omessa dichiarazione, accertamento sintetico (es: il c.d. redditometro), accertamenti induttivi-analitici (es: da studi di settore), accertamenti induttivi puri (es: quando si prescinde da una contabilità inaffidabile), accertamenti parziali (es: si rettificano i redditi da lavoro dipendente in presenza di due o più Cud, non tutti conteggiati, prendendo in considerazione solo in seguito, per il medesimo anno, alcuni affitti attivi in nero percepiti). TIPOLOGIA DI CONTROLLI AI QUALI E’ APPLICABILE Il Lettore attento avrà intuito che il nome stesso dell’istituto (Accertamento con adesione) e l’uso ripetuto del termine accertamento non è causale: l’adesione non è esperibile in presenza di un qualunque controllo, ma solo in presenza di una fattispecie tipica codificata dal Legislatore, cioè quel controllo disciplinato dagli articoli 37 e ss del d.p.r. 600/1973 che può sfociare emissione di un atto amministrativo tipico chiamato “Avviso di accertamento” (per le imposte dirette e l’iva) oppure “avviso di rettifica e liquidazione” (per le iposte indirette), avente un contenuto tassativo (art. 42 del d.p.r. 600) e sottoposto a termini di notifica precisi (art. 43 del dpr 600). L’Accertamento è quel tipo di controllo che implica una certa complessità di analisi della situazione, che comporta “uno sforzo” intellettivo e intepretativo del controllore, che consente un sindacato sulla condotta fiscale del contribuente, il quale può spingersi molto in profondità, come nell’ipotesi della disciplina antielusiva (art. 37bis del dpr 600) e nella sua evoluzione giurisprudenziale dell’abuso di diritto, ma proprio perché l’accertamento, come controllo, è frutto di interpretazione e (di fatto) è spesso un sindacato di merito non può non Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 118 contenere un margine di incertezza o errore nella quantificazione del possibile imponibile evaso, che si riverbera nell’avviso di accertamento. Pertanto l’adesione serve ad aprire un contraddittorio per ridurre questa incertezza o errore, in tale sede il contribuente può far valere le sue argomentazioni e documentazione per confutare in toto o in parte le pretese erariali. In assenza di tale sforzo intellettivo, dove la discrezionalità è ridotta al minimo se non nulla, non si può parlare di accertamento, ma solo di controlli formali (in senso lato), cui possono seguire sanzioni, con o senza recupero di imposta, attraverso “atti di contestazione” o avvisi bonari con successiva iscrizione a ruolo: il pagamento delle sanzioni ridotte per chiudere subito la pendenza, tecnicamente, non è adesione, ma genericamente definizione I DIVERSI TIPI DI ADESIONE E PROCEDIMENTO DI DEFINIZIONE Al fine di ridurre quanto possibile il tasso di litigiosità e deflazionare il relativo contenzioso spesso defaticante per entrambe le parti, il legislatore ha arricchito nel tempo le ipotesi di adesione, da ultimo coi dd.ll. n. 112 e 185 del 2008. Pertanto attualmente abbiamo: Adesione ai verbali di constatazione (art. 5bis del d.lgs 218/97) Se una verifica, un accesso, un’ispezione ha avuto esito negativo con la redazione di un Processo Verbale di Constatazione con indicazione delle violazioni riscontrate e relativo imponibile sottratto, il contribuente entro 30 gg dalla notifca del pvc può aderire ai rilievi (con l’apposita modulistica) e nei successivi 60 notificherà l’atto di definizione col prospetto delle imposte (o meggiori imposte) da pagare, con gli interessi e le sanzioni ridotte ad 1/6. Più precisamente i benefici dell’art. 5bis si applicano alle ipotesi in cui col pvc siano constatate violazioni che portino all’emissione di accertamenti parziali, di cui all’art. 41bis del dpr 600/73 (c.d. Decreto Accertamento) e art. 54 del dpr 633/1972 (c.d. decreto IVA). In questa ipotesi non è previsto contraddittorio, pertanto l’adesione al pvc deve essere totale, senza possibilità di osservazioni: da qui l’incentivo della sanzione ad un sesto. Se il contribuente non ritiene di aderire e le memorie difensive non sono ritenute congrue per un’archiviazione, segue l’avviso di accertamento, ma è NON è preclusa la possibilità di presentare istanza di adesione, ma in questo caso, se l’esito fosse positivo, le sanzioni sarebbero ad 1/3. L’art. 5bis non è applicabile alle imposte indirette. Adesione all’invito al contraddittorio (art. 5 del d.lgs. 218/97) Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 119 Con le modifiche del 2008 e la previsione delle sanzioni ad 1/6 in caso di adesione, l’invito al contraddittorio ha conosciuto un grande sviluppo diventando di largo uso: basti pensare che ormai un accertamento da studi di settore, spesso complesso per la sua metodologia di calcolo, è sempre preceduto da questo strumento. Come suggerisce il nome, l’invito è un atto che riproduce in modo identico il contenuto del potenziale avviso di accertamento, indicando i motivi del controllo, i prospettivi riepilogativi e contabili ed infine le imposte, interessi e sanzioni da pagare (1/6), invitando il contribuente a pagare entro un certo termine oppure presentarsi per avviare il contraddittorio. Nella prima ipotesi dovrà aderire in toto ai rilievi dell’Ufficio e la sua posizione è da considerarsi quindi chiusa per ogni singolo anno d’imposta controllato, mentre nella seconda ipotesi il contraddittorio (in una o più sedute) può essere utile per ottenere l’archiviazione delle contestazioni o comunque una loro riduzione nel successivo avviso di accertamento. Il rifiuto di definire con l’invito non è passibile di sanzione pecuniaria, ma comunque preclude questa volta la possibilità di presentare successivamente richiesta di adesione (art. 6). La disciplina dell’art. 5 è applicabile anche alle imposte indirette (soprattutto al registro). Adesione tradizionale (art. 6 del d.lgs. 218/97) Con questa dizione si indica l’adesione che staturisce dall’istanza presentata dal contribuente a seguito di un avviso di accertamento, non preceduto da un invito di cui all’art. 5. L’Ufficio ha tempo 15 gg (termine ordinatorio) per formulare, anche per telefono, un invito a comparire per iniziare il contraddittorio, che naturalmente può svolgersi in più incontri in modo di dare alla parte la possibilità di reperire, per quanto possibile, nuova documentazione contro i rilievi mossi. Un effetto importante dell’istanza è quello di sospendere per 90 gg i termini dell’avviso di accertamento (60 gg) per pagare o presentare ricorso. La sospensione è considerata per prassi dell’Amministrazione, confermata dalla giurisprudenza (cfr. Cass sent. 3762 del 9 marzo 2012), a termine fisso, anche in presenza di un contraddittorio negativo già dopo poche settimane o un rifiuto/rigetto immediato dell’Ufficio: in definitiva il contribuente ha a disposizione un totale di 150 gg in caso di adesione per valutare la propria posizione. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 120 Il termine complessivo è destinato ad allungarsi se l’avviso di accertamento cade nel periodo estivo, trovando applicazione la sospensione feriale dei 45 gg (1 agosto – 15 settembre) prevista dalla legge 742 del 1967. Per quanto riguarda la tipologia di documentazione, in sede di contraddittorio non sono previste particolari preclusioni, quindi il contribuente può porre all’attenzione dell’ufficio qualunque elemento ritenuto utile. La tipologia di argomentazioni e documenti utilizzati sono i più disparati, ma cercando di categorizzare, in genere si fanno presente costi e spese non considerati nei rilievi mossi (frequente per le partite iva) oppure redditi non imponibili perché, ad es., esenti per legge, perché già tassati in precedenza, perché sottoposti ad imposte sositutive, ecc. Effetti tributi ed extratributari dell’accertamento con adesione L’esito positivo in un’adesione viene siglata con la redazione di un atto in duplice copia e comporta la riduzione delle sanzioni ad 1/3 dell’imposta, ma soprattutto ridurre la base imponibile su cui calcolare l’imposta ( o le imposte). In genere l’avviso di accertamento rettifica un reddito rilevante per più tributi contemporaneamente, quindi l’adesione riduce innanzitutto la base imponibile per tutti, ma potrebbe anache azzerare una determinata imposta per via delle diverse aliquote applicate ai tributi. Si tenga presente che sia l’accertamento sia l’adesione non fanno altro che rettificare la propria dichiarazione: se sono presenti delle voci negative, delle spese, dei costi, dei crediti d’imposta, questi potrebbero risultare superiori in termini assoluti rispetto ad una delle imposte rideterminate. Esempio: a Mario Rossi, professionista, viene accertato un mggior imponibile di € 100.000, su cui quindi si calcolano la maggiore irpef, iva ed irap. A seguito di adesione l’imponibile viene ridotto a € 70.000, e rideterminate (a ribasso) tutte le imposte; il contribuente potrebbe anche dimostrare di non essere soggetto ad irap, che quindi viene annullata, restando immutati gli atri tributi. L’irap tuttavia, con un’aliquota più bassa (max 6,82 %) rispetto a irpef (min. 23%), ires (27,50) e iva (21% aliquota ordinaria), potrebbe anche non essere più dovuta perché l’imponibile accertato viene ridotto tanto che l’irap ricalcolata è sì maggiore di quella dichiarata, ma comunque inferiore all’insieme delle componenti negative deducibili e detraibili: ad es, € 2000 di componenti negativi - € 1500 di irap = - € 500, quindi nessuna imposta dovuta). Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 121 Altra possibilità data dall’adesione è il pagamento del dovuto (imposta/e, sanzioni e interessi) a rate, di importo variabile a secondo del quantum; pagamento agevolato ulteriormente con l’abolizione dell’obbligo di prestare garanzia fideiussoria a partire dal 2011. La maggiore iva viene calcolata sempre con la regola dell’aliquota media (art. 2), quindi sempre conveniente rispetto a quella presente in un avviso di accertamento, calcolata con le aliquote di legge. L’accertamento definito con adesione non è impugnabile dalle parti, non integrabile o modificabile dall’Ufficio se non nei casi tassativi previsti dall’art. 2 (es: in presenza di accertamento parziale, se vi sono nuovi elementi con un maggior reddito superiore al 50% del reddito definito e comunque non inferiore a € 77.850), ma che di rado vengono presi in considerazione. Quanto agli effetti extratributari, ha effetto sui contributi previdenziali e assistenziali, perché riducendo l’imponibile si riducono i contributi dovuti e inoltre non sono dovute le sanzioni e gli interessi. In campo penale, nei caso di reati tributari di cui al d.lgs. 74/200, il pagamento delle somme prima dell’apertura del dibattimento di primo grado costituisce attenuante, permettendo l’abbattimento fino alla metà delle sanzioni e la non applicazione delle pene accessorie. La scheda Gli Istituti deflattivi del contenzioso Autotutela È il potere-dovere dell’A.F. di procedere all’annullamento o revoca (totale o parziale) dei propri atti ritenuti illegittimi o infondati. Funzione E’ esperibile in qualunque fase, ed a determinate condizioni, anche in presenza di sentenza definitiva. E’ attivabile d’ufficio o su richiesta di parte, e l’stanza non richiede particolari forme né il pagamento del bollo. In linea generale, va presentata presso l’Ufficio che ha emanato l’atto, ma le comunicazioni di irregolarità (c.d. avvisi bonari ex art. 36bis) sono annullabili anche via call center. La Direzione regionale competente ha poteri sostitutivi in caso di grave inerzia dell’Ufficio adito, e deve esprimere parere preventivo all’annullamento totale o parziale quando l’importo totale contestato superi euro 516.456,89. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 122 L’annullamento dell’atto illegittimo comporta l’annullamento di tutti gli atti consequenziali ed, a seguito dell’annullamento, il contribuente avrà diritto alla restituzione delle somme, maggiorate degli interessi. L’istanza di autotutela non sospende i termini di impugnazione dell’atto. Art. 2-quater del D.L. 564/94 conv. nella L. 656/94 D.M. 11.2.1997 n. 37 Disciplina c.m. 198/S del 1998; c.m. 258/E del 1998; C. Agenzia Entrate n. 103 del 2001 Acquiescenza Accettando i rilievi dell’avviso di accertamento e versando gli importi dovuti, si ottiene una riduzione delle sanzioni ad 1/3 oppure a 1/6 se l’avviso Funzione non è stato preceduto da invito ex art. 5. Art. 15 del d.lgs. 218 Disciplina c.m. 235/E del 1997; c.m. 238/E del 1997; c.m. 180/E del 1998; circ. AE 14 del 2006 Adesione al pvc Funzione Sanzione ridotta ad 1/6 se il contribuente accetta tutti i rilievi mossi nel Pv.C. notificatogli. E definibile solo il verbale che comporta l’emissione di un accertamento parziale ed attivabile solo per le imposte dirette e iva. E’ possibile versare soluzione unica o a rate, senza obbligo di garanzia. La mancata accettazione non preclude la possibilità di presentare istanza di adesione. E’ ammessa compensazione con altri crediti tributari vantati. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 123 Disciplina Art. 5bis del d.lgs. 218/97 Circ AE 55/2008; circ. AE 8/2009; Circ Ris. AE 426/2008; Adesione all’invito al contraddittorio Funzione Sono previste sanzioni ad 1/6 se il contribuente accetta i rilievi, versando il dovuto. E’ possibile versare con soluzione unica oppure a rate, senza obbligo di garanzia. E’ applicabile alle imposte indirette. E’ ammessa la compensazione con altri crediti tributari vantati. Disciplina Art. 5 del d.lgs. 218/97 Circ AE 55/2008; circ. AE 8/2009; Circ Ris. AE 426/2008; Ris. AE n. 482/2008 Provvedimento del Direttore dell’Agenzia prot. 48.780 del 29.3.2012, in merito alla riorganizzazione degli uffici interni, in particolare l’Ufficio legale Accertamento con adesione Funzione Sono previste sanzioni ad 1/3, imponibile riderteminato se l’Ufficio accoglie le osservazioni del contribuete. L’Istanza sospende per 90 gg i termini dell’accertamento, cui si possono aggiungere i 45 gg della sospensione feriale. l’adesione può riguardare tutti o il singolo tributo tra quelli indicati dell’avviso. l’adesione ridetermina nache i contributi prev. , essendo calcolati sul medesimo imponibile fiscale. In caso di penale, consente un abbattimento fino alla metà della pena, se il versamento del dovuto avvienen prima del dibattimento, e la non applicazioni delle pene accessorie. E’ applicabile alle imposte indirette. E’ ammessa la compensazione con altri crediti tributari vantati. Disciplina Art. 6 del d.lgs. 218/98 c.m. 235 del 1997; c.m. 65 del 2001; c.m. 28 del 2002; c. AE 14 del 2006 Conciliazione giudiziale Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 124 Funzione E’ applicabile a tutte le controversie sotto l giurisdizione della commissione tributaria provinciale e non oltre la prima uienza. Non è obbligatoria né vincolante. Può essere pesentata da ambo le parti e anche dal giudice. La conciliazione può essere in udienza o fuori udienza. Se l’esito è positivo, il contribuente può versare in un’unica soluzione o a rate senza obbligo di garanzie. Le somme sono compensabili tra imposte dirette e iva con altri crediti vantati, ma non con i tributi versabili in F23 (altre imposte indirette). Le sanzioni sono dovute nella misura del 40% Disciplina Art. 48 del d.lgs. 546/92. Reclamo e Mediazione Funzione Dal 1 Aprile 2012 è obbligatorio, a pena di inammissibilità del ricorso, presentare reclamo con eventuale proposta di mediazione conto una serie di atti emessi dall’Agenzia delle Entrate con valore non suepriore a € 20.000: si considera solo l’imposta, al netto di sanzioni e interessi, e per gli atti di contestazioni il vaore della sanzioni stessa. Nelle ipotesi previste dalla nuova disciplina, non è applicabile la conciliazione giudiziale. Il relcamo deve avere tutti i requisiti previsti per il ricordo , posto che si “trasforma” in ciò se non si raggiunge un accordo con l’Agenzia. Con il reclamo si chiede l’annullamento totale o parziale dell’atto e se ciò non accade si passa alla eventuale fase di mediazione proposta dal contribuente o dell’Ufficio. La circolare 9/2012 precisa che il reclamo non sospende l’efficacia dell’atto impugnabile, cosa che invece dovrebbe accadere se vi fosse la fase della mediazione, che risulta conciliabile con l’accertamento con adesione. Reclamo e mediazione devono essere presentati presso un ufficio diverso da quello che ha emanato l’atto, individuato nell’Ufficio legale della D.P. competente o Direzione regionale. L’esito positivo della mediazione comporta l’appicazioni delle sanzioni al 40%. Art. 17bis del d.lgs. 546/92 Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 125 Disciplina Circ. 9/2012 Giurisprudenza su... ... redditometro Motivata valutazione delle deduzioni del contribuente Cass. sez. trib., 22 febbraio 2008, n. 4624 E’ illegittimo l’avviso di accertamento fondato sulla mera applicazione dei coefficienti e parametri presuntivi di reddito derivanti dal c.d. redditometro laddove l’Amminstrazione finanziaria abbia omesso di dare contezza, in sede di motivazione dell’atto impositivo, delle puntuali e dettagliate deduzioni difensive presentate dal contribuente a seguito della relativa richiesta di chiarimenti formulata nei propri confronti. Possibilità di provare un reddito inferiore Cass. sez. trib. 18 giugno 2008, n. 16472 La determinazione del reddito effettuata sulla base dell’applicazione del c.d. redditometro non preclude l’assolvimento dell’onere della prova circa la sussistenza di un reddito imponibile inferiore a quello accertato. Le presunzioni previste ex lege hanno carattere relativo e non assoluto; conseguentemente, il thema probandum non è limitato all’accertamento della sussistenza di redditi esenti o redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, essendo ammissibile dimostrare l’entità del reddito inferiore. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 126 La scheda COMBINAZIONE DI BENI. IL REGIME DELLE AREE PARCHEGGIO. di Massimo Marasca 1. Premessa. Un bene giuridico può risultare anche dalla particolare connessione che può instaurarsi tra più cose: si discorre, in queste ipotesi di combinazioni di cose, che possono essere cose composte o universalità di mobili. Le universalità di mobili (art. 816 c.c.) sono costituite dalla relazione di più cose destinate alla funzione unitaria, appartenenti allo stesso proprietario (biblioteca). La disciplina è diversa da quella dei singoli beni; ad esempio il principio possesso vale titolo è applicabile ai singoli beni, ma non alle universalità. Si distingue (Galgano): In direzione esterna tra universitas rerum e universitas personarum, quest’ultima universitas consistente personarum (v. nell’associazione, associazione, – concepita come quale universitas personarum). In direzione interna tra universitas facti e universitas iuris. La seconda sarebbe costituita da quelle pluralità di cose che ricevono una considerazione unitaria non per la destinazione impressa loro dal proprietario, ma per disposizione di legge. Gli esempi che si sogliono fare, quelli dell’azienda (v.) e dell’eredita` (v.), dimostrano che la categoria dell’universitas iuris non è prevista nel nostro ordinamento, poiché le figure richiamate hanno una disciplina radicalmente diversa tra di loro e con l’universalità di beni mobili. • Le cose composte sono costituite dalla connessione di più cose che, nella destinazione unitaria, perdono la loro funzione originaria per adempierne una diversa (ad esempio la ruota dell' automobile). La cosa composta si distingue dall’universalità di mobili fondamentalmente perché nell’universalità non vi è coesione fisica fra i vari elementi: la cosa composta è considerata come un bene semplice (recte, unico). È possibile, in sede di vendita di immobile in condominio, evitare la cessione della quota millesimale dell'area condominiale. (Cass. Civ., Sez. VI, n. 22361 del 26 ottobre 2011) Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 127 2. Nozione di pertinenza. Le pertinenze riguardano quei beni che hanno funzione durevole, di servizio o di ornamento, di un altro bene; esse danno luogo ad una combinazione di cose per accessorietà. Tanto la cosa principale quanto la pertinenza possono essere sia cose mobili sia cose immobili. Esempi (Galgano): le scialuppe di salvataggio di una nave sono cose mobili al servizio di altra cosa mobile; l’arredo di un albergo è un insieme di cose mobili legate da rapporto pertinenziale di servizio all’immobile adibito ad albergo; il garage di un appartamento o di una villa è un immobile al servizio di un altro immobile; e la statua collocata nel giardino è una cosa mobile posta ad ornamento di un immobile. 2.1. Relazione pertinenziale. La relazione pertinenziale può essere costituita, modificata o estinta. A) Costituzione. La relazione pertinenziale può essere costituita solo dal proprietario della cosa principale, o da chi ha su di essa altro diritto reale (art. 817, comma 2o, c.c.). Tuttavia, non occorre, invece, che egli sia anche proprietario della pertinenza, che può appartenere ad altri. Può accadere, perciò, che il proprietario trasferisca la cosa principale senza escludere dall’atto di trasferimento le pertinenze, che non gli appartengono. Orbene, il rapporto pertinenziale fa sì che l’acquirente della cosa principale acquisti anche le pertinenze, salvo che egli non fosse in mala fede al momento dell’acquisto, ossia sapesse che le pertinenze non appartenevano al venditore. Se però la pertinenza è un immobile o un mobile registrato, il suo proprietario può rivendicarla anche nei confronti dell’acquirente di buona fede, se il suo diritto sulla pertinenza risulta da atto avente data certa anteriore al trasferimento. La durevole destinazione richiede un elemento oggettivo, dato dall’effettiva esistenza di un collegamento economico o estetico fra i due beni, ed un elemento soggettivo, consistente nella volontà del proprietario di destinare l’uno al servizio o all’ornamento dell’altro. Questa volontà può anche essere implicita e desumersi, ad esempio, dalla clausola del contratto di locazione che prevede il rilascio del garage all’atto del rilascio dell’appartamento. E' appena il caso di precisare che il rapporto di servizio opera fra le cose, non rispetto alla persona del proprietario. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 128 B) Estinzione della relazione pertinenziale. Il rapporto pertinenziale, come è costituito per volontà del proprietario della cosa principale, così può cessare per volontà dello stesso. La cessazione non è, tuttavia, opponibile ai terzi che abbiano anteriormente acquistato diritti sulla cosa principale (art. 818, comma 2o, c.c.). La vendita separata della pertinenza implica cessazione del rapporto pertinenziale; ma la vendita, se la pertinenza è un immobile, per essere opponibile all’acquirente della cosa principale, deve risultare da atto trascritto nei registri immobiliari in epoca anteriore. C) Modificazioni (Regime di circolazione delle pertinenze). Le modificazioni derivano dagli atti di disposizione delle pertinenze. Queste possono essere alienate ad altri, tuttavia il rapporto pertinenziale influisce sulla circolazione delle pertinenze (art. 818, comma 1o, c.c.): gli atti o i rapporti che hanno per oggetto la cosa principale comprendono, se non sono espressamente escluse, anche le pertinenze. Le pertinenze possono formare oggetto di separati atti o rapporti: si possono vendere le scialuppe senza vendere la nave (art. 818, comma 2o, c.c.). Altra modificazione di rilievo riguarda il pignoramento della cosa pertinenziale. Il pignoramento non priva il debitore esecutato della proprietà dei beni pignorati, nè rende nulli gli atti di disposizione di essi: effetto del pignoramento è` di rendere inefficaci gli atti di disposizione nei confronti del creditore procedente e degli altri creditori intervenuti nell’esecuzione (art. 2913 c.c.). Il pignoramento comprende gli accessori e le pertinenze, e si estende ai frutti della cosa pignorata maturati successivamente al pignoramento (art. 2912 c.c.); sicché sono inopponibili ai creditori anche gli atti di disposizione, successivi al pignoramento, che riguardino le accessioni della cosa pignorata, le loro pertinenze, i frutti civili e i frutti naturali che, al momento del pignoramento, non erano stati ancora separati. 3. Le aree parcheggio. A partire dalla legge ponte del 1967 si sono succedute una pluralità di normative settoriali, che hanno disciplinato la circolazione delle aree parcheggio in modo distinto e, a tratti, più restrittivo rispetto a quello regolato dal codice civile. A) Nozione spazi parcheggio. Sono porzioni di terreno destinate alla sosta dei veicoli e alle manovre relative. Se ne conoscono diverse specie: 1. aree scoperte, che danno luogo ai cosiddetti posti auto; 2. aree coperte, che a loro volta si distinguono in: Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 129 aree chiuse su tre lati- cd box; aree chiuse su quattro lati- cd garages. B) i molteplici regimi giuridici. In base alla normativa succedutasi nel tempo si possono distinguere una pluralità di regimi giuridici a cui sono soggette le aree parcheggio (Cass. 21003 del 2008). 1. Parcheggi liberi; 2. Parcheggi legge ponte, ma anteriori alla legge 246-2005; 3. Parcheggi legge Tognoli 1989. 4. Parcheggi successivi alla legge 246-2005; 3. I Parcheggi liberi. I parcheggi liberi sono quelli che, in linea di massima, sono assoggettati alla disciplina del codice civile. Per questi beni non sussiste alcun limite alla libertà negoziale. Nell’ambito di questo macro gruppo di parcheggi vi sono quelli: Costruiti anteriormente all’entrata in vigore della legge ponte; Quelli costruiti successivamente all’entrata in vigore della legge 246/2005; I parcheggi realizzati in eccedenza rispetto alla cubatura minima prevista dalle leggi Ponte e Tognoli; Parcheggi realizzati nella vigenza della legge Tognoli, ma che in ragione di una serie di decreti legge reiterati e non convertiti sono stati alienati (sanati con legge 204-1995). Parcheggi liberi ex art. 3 lett e) dpr 380-2001. In giurisprudenza di è posta la questione dei parcheggi che siano stati ristrutturati (ricostruiti) dopo la legge Ponte e alla legge Tognoli, ovvero dopo l’introduzione dei limiti alla libera circolazione. Si discute sull’applicabilità dei limiti previsti da tale legge ai parcheggi ricostruiti. La Cassazione 4465/95 ha applicato i limiti previsti dalla legge. 4. Parcheggi legge Ponte. Sono le aree parcheggio costruite dopo l’entrata in vigore della legge ponte del 1967. Punto di partenza è costituito dall’art 18 della Legge n. 765/1967, cd. Legge Ponte (così denominata poiché doveva rappresentare una disciplina transitoria in attesa di una complessiva riforma urbanistica poi non realizzata), il quale introduce l’art.41 sexies nella legge n.1150/42- cd legge urbanistica Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 130 fondamentale, prevedendo che i fabbricati condominiali costruiti posteriormente al 1 settembre 1967 devono dotarsi di spazi destinati a parcheggio rispettando la cubatura indicata dalla norma stessa. La norma citata non specifica la natura giuridica del vincolo riguardante le aree destinate a parcheggio, ciò ha dato adito ad una querelle interpretativa in giurisprudenza, caratterizzata dall’emersione di due contrapposte teorie: A. TESI VINCOLO OGGETTIVO. Secondo una prima tesi, l’art. 18 L. n.765/67 avrebbe costituito un vincolo oggettivo tra la cosa principale e l’area parcheggio: la seconda sarebbe assoggettata alla destinazione d’uso in favore della prima. Pertanto, le unità immobiliari destinate a parcheggio potrebbero essere attribuite, cedute in proprietà o date in locazione a persone diverse dai proprietari dei singoli appartamenti immobiliari, purché ne venga rispettata la destinazione a parcheggio. Il vincolo avrebbe carattere generale e pubblicistico; esso riguarderebbe solo i profili amministrativistici, cosicché da un punto di vista civilistico non rileva se il diritto di godimento sulla pertinenza è esercitato da un soggetto diverso dal proprietario. D’altronde il diritto civile conosce ipotesi di scissione tra titolarità e legittimazione, nel cui novero andrebbe inserita anche questa. B. TESI DEL VINCOLO SOGGETTIVO. Secondo questa tesi il vincolo avrebbe natura soggettiva, con la conseguenza che il diritto reale di godimento sulla pertinenza deve appartenere necessariamente al proprietario. CONSEGUENZE DELLA TESI. La legge avrebbe, quindi, costituito una pertinenza necessaria ed inderogabile. Essa risponderebbe ad un interesse pubblico, rappresentato dalla lotta al parcheggio selvaggio. La violazione di tale norma imperativa comporterebbe la nullità virtuale ex artt. 1418 co 1 e 1419 co 2 di tutte quelle clausole derogatorie al regime giuridico tracciato dalla stessa legge, che escludono cioè la cessione del parcheggio. Queste clausole sarebbero sostituite ex art. 1339 cc da una clausola che ex lege costituisce un diritto reale in favore del cedente (Questo orientamento si può dire culminante nella nota pronunzia Cass. Civ. Sez. Unite, 6600/84). l'integrabilità ope judicis degli atti di alienazione delle unità abitative separatamente rispetto ai posti auto (Cass. Civ. Sez.II,7994/91; Cass.Civ. Sez.II, 244/95; Cass.Civ., 10459/01); l'indispensabilità del trasferimento del diritto di uso dell'area a parcheggio Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 131 anche in favore del conduttore, essendo conseguentemente viziato di nullità parziale il contratto di locazione che lo escluda (Cass.Civ. Sez.III, 19308/05). la natura di credito di valore e non di valuta del corrispettivo da versarsi a fronte dell'integrazione dell'oggetto del contratto costituita dal posto auto (Cass.Civ. Sez.II, 4622/93); la determinabilità giudiziale del prezzo in caso di disaccordo (Cass. 5755/04). CRITICHE ALLA TESI. Si sostiene (Rescigno) che la tesi è priva di qualsiasi fondamento giuridico sia per quanto riguarda la nullità virtuale, poiché questa può operare solo in assenza di altre “sanzioni” (come poteva essere ad es quella risarcitoria), sia per quanto concerne la sostituzione integrativa, poiché nessuna norma dice il cosa, il come e il quando sostituire; Anche il diritto reale d’uso appare (Fusaro) una soluzione tecnicamente non condivisibile: l’art. 1021 cc stabilisce la personalità del diritto d’uso e l’art.1024 cc ne prevede l’incedibilità. Si tratta di caratteri difficilmente conciliabili con la realità accessoria della pertinenza e con la sua trasmissibilità mortis causa. Le finalità pubblicistiche sono vanificate dalla possibilità di prescrizione ventennale per mancato esercizio ex art. 1014 e 1026 cc(Cass.14731-00, che ha ammesso la prescrizione estintiva del diritto reale d’uso). Su questa regolamentazione è intervenuto l’art. 26 L. n.47/1985, il quale ha qualificato espressamente le aree destinate a parcheggio come pertinenze rispetto al fabbricato d’appartenenza, prevedendo l’applicazione della disciplina generale di cui agli artt. 817 e ss. C.c. A seguito dell’intervento legislativo, Si sono contrapposti due orientamenti: Il più remoto sostenuto da Cass. 3363 del 1989 sostiene che nessuna abrogazione per incompatibilità può essere ricavata dalla legge del 1985, la quale non incide né sul carattere necessario e pubblicistico dell’area parcheggio né sui limiti all’autonomia privata. Quello più recente (cfr. Cass. S.U. n. 12793/2005; Cass. Ss.uu 24572/06; cass. 29344/08) applica la disciplina delle pertinenze: le SS.UU hanno sostenuto la tesi dell’alienabilità delle aree destinate a parcheggio limitatamente a quelle realizzate in eccedenza Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 132 rispetto allo standard urbanistica, poiché si tratta di spazi che sono aggiuntivi e che quindi possono soddisfare esigenze di tipo privatistico. 5. Parcheggi legge Tognoli. Sono parcheggi da realizzare su edifici già esistenti e soggetti a due tipologie di agevolazioni: Urbanistiche- è una costruzione soggetta a DIA e la realizzazione può avvenire anche in deroga agli strumenti urbanistici vigenti; Civilistiche- la legge Tognoli qualifica questi parcheggi come innovazione condominiale e la assoggetta a maggioranze ridotte rispetto a quelle ex art. 1136 cc. L’atto di cessione è, però, nullo. 6. Parcheggi ex legge 246/05. La legge di semplificazione 28 novembre 2005, n.246 incide sul secondo comma dell’art.41 sexies della legge urbanistica: Recide il vincolo pertinenziale; Esclude la sussistenza del diritto d’uso; Consente la libera cedibilità delle aree parcheggio. La Cassazione n.4264 del 2006 sancisce che: la legge si applica solo ai parcheggi di nuova realizzazione, non avendo applicazione retroattiva ex art. 11 delle preleggi; 7. la legge incide sul regime civilistico degli spazi parcheggi e non su quello urbanistico. IL DECRETO SEMPLIFICAZIONE N.5/12. L’art. 10 del DL 5/12, rubricato “Parcheggi pertinenziali”, sostituisce il precedente testo dell'articolo 9, comma 5, della legge 24 marzo 1989, n. 122, stabilendo che: "5. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 41-sexies, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni, e l'immodificabilita' dell'esclusiva destinazione a parcheggio, la proprieta' dei parcheggi realizzati a norma del comma 1 puo' essere trasferita, anche in deroga a quanto previsto nel titolo edilizio che ha legittimato la costruzione e nei successivi atti convenzionali, solo con contestuale destinazione del parcheggio trasferito a pertinenza di altra unita' immobiliare sita nello stesso comune. I parcheggi realizzati ai sensi del comma 4 non possono essere ceduti separatamente dall'unita' immobiliare alla quale sono legati da Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 133 vincolo pertinenziale e i relativi atti di cessione sono nulli.". In sostanza la novità normativa amplia ulteriormente l’area dei cosiddetti parcheggi liberi, prevedendo (B. Consales) che la proprietà dei parcheggi di pertinenza delle abitazioni può essere trasferita separatamente dall’unità immobiliare di riferimento, a condizione che ciò avvenga solo con contestuale destinazione del parcheggio trasferito a pertinenza di altra unità immobiliare sita nello stesso Comune. Rimangono, invece, incedibili quei parcheggi realizzati su previsione dei Comuni nell’ambito del programma urbano dei parcheggi, da destinare a pertinenza di immobili privati, insistenti su aree comunali o nel sottosuolo delle medesime. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 134 Focus PROSPETTIVE DI UN POSSIBILE PROCESSO AL PATRIMONIO: NORME, ORIENTAMENTI, FINALITA’82 Le confische viste dall’alto: breve viaggio nel diritto sovranazionale di Fabiana Rapino La oramai acquisita consapevolezza di far parte di un ordinamento giuridico più ampio dei confini territoriali nazionali, e la conseguente costante esigenza di armonizzare discipline diverse, bilanciare esigenze, trovare punti di equilibrio tra specificità nazionali e base comune europea, portano con sé la necessità di vagliare qualunque aspetto del diritto nazionale sotto la lente sovranazionale. Spesso è l’Europa a chiederci di adottare degli strumenti legislativi; altre volte capita invece che essa sia la sede in cui raccogliere gli elementi che possano poi porsi come minimo comune denominatore tra tutti gli Stati, comportando talvolta la rinuncia a qualche peculiarità interna, e forse anche un abbassamento del livello di tutela, passaggi obbligati per raggiungere una disciplina europea della materia. Benchè non esista ancora un diritto penale europeo, diversi sono i modi in cui l’Unione Europea può intervenire sulla potestà penale dello Stato: non può certo imporre la previsione di fattispecie penali, pena la violazione del principio di legalità, ma può certamente condurre all’armonizzazione in una determinata materia o, sul piano sanzionatorio, richiedere agli Stati di prevedere sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive, lasciando così alla discrezionalità statale la scelta della misura. Questo, in linea generalissima, l’approccio dell’UE. La visuale sovranazionale sarebbe però monca se non si considerasse anche, e soprattutto, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo83, la quale spicca per la sua natura non La I a parte del Focus "Prospettive di un possibile processo al patrimonio: norme, orientamenti e finalità", intitolata Introduzione generale e profili storico-evolutivi della prevenzione speciale è contenuta in Nuove frontiere del diritto n. 3 - Marzo 2012, pag. 63 e ss. 82 Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 135 meramente proclamatoria ma anzi cogente, vincolante per gli Stati, e per la caratteristica di essere lo strumento di protezione dei diritti civili e politici più efficace a livello internazionale. Da un lato, quindi, è nell’ambito di tale perimetro sovranazionale, che devono necessariamente inserirsi i mezzi di ablazione che colpiscono i patrimoni illecitamente accumulati. E, dall’altro lato, l’attenzione ai fenomeni di criminalità economica, sostanzialmente organizzata, non può rimanere confinata al territorio nazionale, poiché la costruzione di un processo al patrimonio non può non passare indenne al vaglio della tutela europea dei diritti e delle garanzie processuali, e poiché anche in tale materia ferve l’opera di armonizzazione e l’applicazione del mutuo riconoscimento. Ciò premesso, la rapida disamina che ci si accinge a svolgere tenterà di analizzare i punti di contatto/scontro della confisca di sicurezza e di quella di prevenzione sia con la legislazione dell’UE, sia con i principi scolpiti nella Cedu. La Cedu. Quando si parla di confisca, a prescindere dalla sua esatta qualificazione giuridica, ci si riferisce all’ablazione, a favore dello Stato, di determinati beni, che per un motivo o per un altro risultano legati alla condotta criminosa, o per lo meno alla pericolosità sociale, del soggetto che li detiene o li utilizza. Dei beni, quindi, vengono espropriati ed assegnati allo Stato, con tutto ciò che ne consegue in termini di loro riutilizzo per fini sociali, di loro “purificazione” dall’illegalità e reimmissione in un circuito economico sano: appare evidente come si incida fortemente sul diritto di proprietà dei titolari di tali beni. Dal confronto tra il nostro testo costituzionale e la Cedu, emerge una diversa rilevanza di questo diritto che chiarifica quanto sostiene la Corte Edu: essa, sostanzialmente, considera la confisca un’ingerenza nel godimento di un diritto fondamentale. La Costituzione repubblicana, in tema di proprietà, ribalta quella che era la concezione liberale ottocentesca, per cui il diritto in esame era “sacro” (basti pensare che nello Statuto Albertino la proprietà era considerata un diritto fondamentale ed inviolabile dell’individuo, quasi, se vogliamo, “illimitato” di fronte ai poteri pubblici), affermando all’opposto la centralità della persona e non ricomprendendo la proprietà tra i diritti fondamentali dell’individuo. Troviamo il diritto di proprietà, infatti, “soltanto” all’art. 42 Cost., tra i rapporti economici, privo della preminenza che aveva ante 1948. Ex adverso, nell’alveo della Cedu la proprietà è considerata un diritto fondamentale84 che, certo, può subire compressioni e limitazioni, come nel caso della 83 Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata dall’Italia con legge 4 agosto 1955 n. 848. 84 Art. 1 Prot. 1 Cedu: Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 136 confisca, ma in virtù di alcune precise condizioni: la confisca è legittima se è prevista dalla legge, se realizza uno scopo legittimo, e se è necessaria in una società democratica 85. La misura è perciò compatibile con la Cedu quando viene ritenuto giusto l’equilibrio tra diritto individuale ed esigenza della collettività; altrimenti, la Cedu considera la confisca un’intromissione dello Stato nel diritto al godimento di beni proprio. Per inciso, la Corte di Giustizia dell’UE, invece, sebbene riconosca l’illegittimità di un intervento sproporzionato rispetto alle prerogative del proprietario, sembra porre maggiormente l’accento sul par. 2 art. 1 Prot. 1 Cedu, ritenendo il diritto di proprietà non una prerogativa assoluta, ben potendo trovare dei limiti data la sua funzione sociale 86, quasi in perfetto parallelismo con la Costituzione italiana. È stato fatto notare come tale orientamento della Corte di Giustizia sia stato confermato anche dalla Carta di Nizza del 2000 laddove, all’art. 17, bilancia l’uso dei beni con i limiti imposti dall’interesse generale 87. Ma non è questo l’unico punto di frizione tra diritto interno e Cedu. Quanto alla confisca come misura di sicurezza, la Corte edu interviene anche in punto di qualificazione giuridica. Unanime è il riconoscimento “camaleontico”, è stato detto 88, della natura proteiforme di tale strumento reale, poiché adatta la propria natura in considerazione della funzione che gli è attribuita. Questo però alla Cedu non interessa: essa, in un’ottica di tutela effettiva, non guarda alla qualificazione interna data alla confisca ma guarda se essa, alla luce dei suoi principi, vada considerata o meno come una pena. Il riferimento è alla nota vicenda di Punta Perotti, più volte oggetto di pronuncia sia della Corte di Cassazione che della Corte Edu: la confisca ex art. 44 d.P.R. n. 380/01 è stata emblematica dell’applicazione della concezione autonomistica della sanzione propria della Corte dei Diritti. Senza voler qui ripercorrere l’intera vicenda, basti solo considerare la diversa qualificazione data a tale particolare confisca dalla Corte sovranazionale: privilegiando il punto di vista dell’effettività della tutela piuttosto che quello della formale qualificazione di una fattispecie, tale Corte ha legge e dai principi generali del diritto internazionale. Le disposizioni Precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende. 85 G. PISTORIO, La disciplina della confisca nel dialogo tra Corti europee e giudici nazionali, in Giur. It., n. 8-9/2009, p. 2069. 86 C.G.C.E., 13 dicembre 1979, C-44/79 L. Hauer c. L. Rheinland-Pfalz, reperibile in http://www.giurcost.org/casi_scelti/CJCE/C-44-79.htm. 87 G. PISTORIO, La disciplina della confisca nel dialogo tra Corti europee e giudici nazionali, cit., p. 2070. 88 In questi termini, A. AULETTA-A. SERPICO, La natura giuridica della confisca e l’incidenza della Cedu, in Innovazione e Diritto, n. 6/2010, reperibile al seguente indirizzo: http://www.innovazionediritto.unina.it/archivionumeri/1006/aulettaserpico.pdf. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 137 ritenuto la confisca una pena a tutti gli effetti, in quanto rispetta i criteri che qualificano in tale modo una sanzione, ossia il collegamento alla commissione di un reato, la gravità, la funzione preventiva e repressiva 89. A ben vedere, l’impostazione autonomistica della Cedu nel considerare ciò che è sanzione e ciò che non lo è appare necessitata proprio dal ruolo di garante assoluto dei diritti che spetta alla Corte: compiere tale valutazione sulla base delle norme interne svilirebbe tale ruolo, per questo la Corte guarda al “perché”, e non al “come” una norma è scritta, traendone una propria interpretazione, per l’appunto “europea”. Viene spontaneo pensare che la natura proteiforme della confisca (post delictum), soprattutto in quelle ipotesi in cui è forte il contenuto affittivo della misura, possa, alla luce dei principi della Cedu, essere ricondotta ad un unicum: ossia ad una sola natura giuridica, quella che tradotta nel linguaggio della convenzione è, semplicemente, pena, con tutto ciò che ne consegue in termini di rispetto degli artt. 6 e 7 Cedu. Del resto, viene altrettanto spontaneo ritenere come tali principi sovranazionali, e pattizi e giurisprudenziali, essendo ormai parte integrante dell’ordinamento nazionale, condurranno sempre più i giudici interni a guardare le diverse ipotesi di confisca con gli occhi della Cedu, e a ritenerle a pieno titolo sanzioni. Diversa è la posizione della confisca di prevenzione. Viene in rilievo, innanzitutto, la natura di misura prettamente preventiva, e non repressiva, di tale confisca, che la rende estranea all’ambito strettamente attinente alla sanzione penale. Qui la Corte edu è consapevole del fatto di non poter svolgere lo stesso ragionamento seguito in merito alla confisca di sicurezza: vista la diversa ratio sottesa ai due tipi di misura, posta la loro diversa incidenza temporale e soprattutto considerato il fondamentale discrimine dato dalla commissione di un reato, per quanto la Corte edu sia impegnata a dare effettività ai diritti dell’uomo proclamati dalla Convenzione, nel caso della confisca di prevenzione la stessa Corte trova un limite, per così dire invalicabile, rappresentato dalla sua natura, appunto, preventiva. Non possono trovare applicazione i principi dalla Corte elaborati in punto di natura sostanziale di pena di una certa misura, perché così facendo si 89 Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza del 30.08.2007, ed ancora sentenza 20.01.2009, Sud Fondi srl c. Italia . La questione posta dal caso di Punta Perotti ha portato la Corte a ritenere pena la confisca ex art. 44 d.P.R. n. 380/2001 e quindi a ritenerla compresa nell’applicazione del principio di legalità ex art. 7 Cedu; principio che è risultato poi violato in quanto la previsione interna di tale pena non rispettava i requisiti di accessibilità e prevedibilità ritenuti necessari dalla Cedu affinchè una pena sia conforme all’art. 7 Cedu. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 138 andrebbe a snaturare la ratio stessa della misura in parola 90. Ciò che la Cedu riconduce nella sostanza al concetto di pena è comunque un istituto che presuppone la commissione di un reato; la misura di prevenzione, invece, mira a prevenire quest’ultimo e per la sua applicazione non è richiesto tale presupposto. Essenzialmente, quindi, né la confisca ante delictum è una pena, né la Cedu, nel suo ruolo di garante effettivo dei diritti, la considera tale. Si pone qui l’incidentale riflessione per cui, a ben vedere, le misure di prevenzione, la cui costituzionalità è maggiormente posta in discussione nell’ordinamento interno, essendo criticate dalla dottrina perché ritenute sotto più profili incostituzionali (benchè la Corte Costituzionale abbia quasi sempre respinto le accuse di illegittimità), siano poi quelle che meno soffrono al vaglio di compatibilità sovranazionale. Fondamentale è anche qui il profilo dei rapporti col diritto di proprietà: l’ingerenza statale nel godimento dei propri beni è forte ed evidente anche nel caso della confisca preventiva, ma la Corte edu l’ha sempre ritenuta proporzionata e giustificata in relazione alle finalità proprie di tale intervento ablatorio. Si legge, infatti, nelle sentenze della Corte edu come, a fronte del par. 1 dell’art. 1 Prot. 1 Cedu, rilevi in queste circostanze il successivo par. 2 ai sensi del quale è comunque legittimo il diritto degli Stati si applicare le leggi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in relazione all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri tributi o ammende. Ciò che gioca a favore della compatibilità europea della confisca di prevenzione è quindi la possibilità, legittima, per lo Stato di intervenire per tutelare un interesse generale, che è quello di impedire un uso illecito e pericoloso per la società di beni la cui provenienza lecita non è stata dimostrata. Per comprendere quanto ampio sia il margine d’azione dello Stato a riguardo occorre notare come la Corte edu mostri consapevolezza dell’esigenza perseguita dal legislatore interno: “la Corte sottolinea che la misura controversa si inserisce nella cornice di una politica di prevenzione criminale e considera che, nel collocamento in opera di tale politica, il legislatore deve godere di una grande margine per pronunciarsi tanto sull'esistenza di un problema di interesse pubblico che richiama una regolamentazione che sulla scelta delle modalità di applicazione di questa ultima. Osserva peraltro che il fenomeno della criminalità organizzata ha raggiunto, in Italia, delle proporzioni molto preoccupanti. I profitti smisurati che le associazioni di tipo mafioso traggono dalle loro attività illecite danno loro un potere la cui esistenza rimette in causa il primato del diritto nello stato. Così, i mezzi adottati per 90 F. MENDITTO, L’amministrazione dei beni confiscati anche nell’ottica europea: problemi e prime interpretazioni, in incontro del csm 16 febbraio 2012, “Il codice antimafia e le politiche dell’Unione Europea”, in www.csm.it. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 139 combattere questo potere economico, in particolare la confisca controversa, possono apparire come indispensabili per lottare efficacemente contro suddette associazioni” 91. Come si avrà modo di rilevare a breve, a beneficiare dell’applicazione della confisca di prevenzione sembrano essere anche i diritti di iniziativa economica e di libera concorrenza: la misura preventiva toglie dal circuito economico i patrimoni illeciti che falsano il mercato. Si tratta di valori appartenenti anche alla nostra Costituzione e fortemente esaltati dall’ordinamento sovranazionale, in particolar modo dall’UE, la cui tutela si impone sia a favore del singolo che a favore della collettività. Da un punto di vista strettamente procedimentale, la Corte edu ha posto l’attenzione sul mancato rispetto del principio di pubblicità nell’ambito dell’udienza del procedimento applicativo delle misure di prevenzione. Si può in tale sede solo accennare al fatto che tale udienza, per la disciplina italiana, doveva avvenire, prima delle pronunce non solo della Corte dei diritti ma anche della Corte Costituzionale 92, in primo grado e in appello, senza la presenza del pubblico. La Corte edu93 si è pronunciata affermando la violazione dell’art. 6 Cedu, posto che la pubblicità dell’udienza è un diritto fondamentale dell’individuo necessario per la realizzazione di un processo equo e deve trovare realizzazione in tutte le società democratiche94. L’Unione Europea. Oltre al fondamentale profilo di compatibilità con la Cedu risulta fondamentale anche l’azione delle istituzioni europee miranti all’armonizzazione delle discipline nazionali ed al potenziamento dei mezzi per contrastare i traffici delittuosi transnazionali. Quanto alla confisca di sicurezza, due sono le decisioni quadro95 che, sotto il profilo dell’armonizzazione della materia, hanno previsto i requisiti minimi della confisca, lasciando al contempo la facoltà per gli Stati di introdurre o mantenere altri strumenti di ablazione e, sotto il profilo dell’applicazione del principio del mutuo riconoscimento, hanno disciplinato il procedimento di emissione ed esecuzione dell’ordinanza, o meglio, eurordinanza, che 91 Corte edu, sentenza Bongiorno c. Italia, 05.01.2010 traduzione non ufficiale reperibile in http://www.anptes.org/cedu/repertorio/sentenza.asp?id=1029&termini1=&termini2= 92 Corte Cost., sentenza 12.03.2012 n. 93, reperibile in http://www.giurcost.org/decisioni/2010/0093s- 10.html. 93 Corte edu, sentenza Bongiorno, cit.; sentenza Pozzi c. Italia, 26.07.2011, in Cass. pen., n. 12/2011 pag. 4491. 94 M. MONTAGNA, La pubblicità dell’udienza quale diritto fondamentale dell’individuo nel procedimento di prevenzione tra Corte europea dei diritti dell’uomo e Corte Costituzionale, in www.diritticedu.unipg.it. 95 Si tratta della decisione quadro 2005/212/GAI, 24 febbraio 2005, in tema di armonizzazione, e della decisione quadro 2006/783/GAI, 6 ottobre 2006, in tema di mutuo riconoscimento. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 140 dispone la confisca, mediante rapporti diretti tra autorità giudiziarie 96. Le due decisioni quadro si inseriscono a pieno titolo nel quadro già delineato dalla Convenzione di Strasburgo del 1990 97: su entrambi i fronti, comunitario e pattizio, l’obiettivo è neutralizzare i profitti economici della criminalità quindi privare chi delinque dei proventi dei reati 98. Quanto alla confisca di prevenzione, si ritiene che vada esclusa dal campo di applicazione delle succitate decisioni quadro, soprattutto perché queste fanno riferimento a misure ablatorie emesse a seguito di un procedimento penale: serve necessariamente l’accertamento della commissione di un reato, ciò che ontologicamente manca nelle misure di prevenzione; il basso standard probatorio richiesto per l’applicazione di tali misure, peraltro, non sarebbe sufficiente garanzia per il mutuo riconoscimento 99. L’Unione Europea, tuttavia, si muove comunque per estendere e promuovere in maniera uniforme l’applicazione delle misure di prevenzione. Vero è che, in base a quanto visto in relazione alla Cedu, è necessario rispettare i diritti fondamentali dell’uomo, sub specie il diritto di proprietà; altrettanto vero è, però, che vi sono altri aspetti, come si accennava supra, parimenti rilevanti in ambito europeo e fortemente sostenuti dall’UE, quali il diritto di iniziativa economica ed il principio di libera concorrenza, che traggono beneficio dall’ablazione di patrimoni illeciti. La legittimità europea delle misure di prevenzione emerge, quindi, non solo sotto il profilo convenzionale, ma anche nell’ottica comunitaria: eliminare, ancor prima che vengano commessi reati, patrimoni e ricchezze illecitamente accumulati che possano falsare il mercato e ledere i corretti equilibri tra imprese e l’economia in generale, è auspicato dall’UE ed anzi è un’azione di fondamentale rilievo per la tutela del primario intesesse europeo alla libertà di concorrenza. In tale contesto trova spazio la Risoluzione sulla criminalità organizzata nell’UE, adottata dal Parlamento europo del 25 ottobre 2011100 che, seppur priva di efficacia vincolante, valorizza fortemente le misure patrimoniali ed in particolare quelle di prevenzione. In tale risoluzione si chiedono alle istituzioni europee diversi interventi, tra i quali la presentazione di una proposta 96 G. I UZZOLINO, La confisca nel diritto penale dell’Unione Europea tra armonizzazione normativa e mutuo riconoscimento, in Cass. pen., n. 4/2011, p. 1554. 97 Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, conclusa a Strasburgo, 8 novembre 1990, ratificata in Italia con legge 9 agosto 1993, n. 328. 98 G. I UZZOLINO, La confisca nel diritto penale dell’Unione Europea tra armonizzazione normativa e mutuo riconoscimento, cit., pag. 1556. 99 Ancora, su tali profili, G. I UZZOLINO, La confisca nel diritto penale dell’Unione Europea tra armonizzazione normativa e mutuo riconoscimento, cit., pag. 1556-7. 100 Reperibile al seguente indirizzo: http://www.penalecontemporaneo.it/upload/Risoluzione%20Parlamento%20UE%20su%20c%20o%20.pd f. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 141 di direttiva sulla procedura di sequestro e di confisca dei proventi di reato, che consenta di intervenire efficacemente, la predisposizione di norme sul riutilizzo dei proventi a scopi sociali, il rafforzamento della cooperazione tra Stati. Correttamente, è stato rilevato come la legislazione italiana in materia di misure di prevenzione patrimoniali possa ergersi a pieno titolo a modello di riferimento per la costruzione di un sistema europeo di intervento patrimoniale 101. Il futuro prossimo delle misure patrimoniali, di sicurezza e di prevenzione, è quindi nel senso di una sempre maggiore convergenza tra legislazione interna e sovranazionale. Non potrebbe essere altrimenti, posto il carattere transnazionale che la criminalità economica, mafiosa e non, spesso presenta. 101 A. Balsamo-C. Lucchini, La risoluzione del 25 ottobre 2011 del Parlamento europeo: un nuovo approccio al fenomeno della criminalità organizzata, in http://www.penalecontemporaneo.it/materia/2-/22-/-/1033la_risoluzione_del_25_ottobre_2011_del_parlamento_europeo__un_nuovo_approccio_al_fenomeno_de lla_criminalit___organizzata/. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 142 Normativa IL PROTESTO DEI TITOLI DI CREDITO di Massimo Marasca Nozione e funzione. Il mancato pagamento o il rifiuto di accettare un titolo di credito, cambiale o assegno, comporta l’elevazione del protesto nei confronti del soggetto emittente. Il protesto è un atto solenne, redatto dal notaio, dall'ufficiale giudiziario o dall'aiutante ufficiale giudiziario (oppure, in mancanza di costoro, dal segretario comunale), con il quale si constata il mancato pagamento o il rifiuto di accettare il titolo. La levata di protesto nell’assegno è condizione per agire in regresso verso i giranti e i loro avallanti: esso deve essere levato entro il termine di presentazione dell’assegno, pena la decadenza dall’azione di regresso . Il protesto dell‘assegno è , invece, superfluo per agire in regresso verso il traente dell’assegno (art. 45, comma 2o, r.d. n. 1736 del 1933). L’esercizio dell’azione di regresso è , però , consentita senza necessita` del – nei seguenti casi: a) il trattario abbia dichiarato di non voler pagare con dichiarazione scritta sull’assegno e indicante il luogo e il giorno della presentazione; b) una stanza di compensazione (v.) emette dichiarazione datata e attestante che l’assegno le e` stato trasmesso in tempo utile, ma non e` stato pagato (art. 45, comma 1o, r.d. n. 1736 del 1933). Il traente, i giranti e gli avallanti possono porre sul titolo la clausola senza spese o senza –, con l’effetto di dispensare il portatore dell’assegno dall’onere di levare – per esercitare il regresso. La clausola deve essere apposta sul titolo e sottoscritta (art. 48,comma 1o, r.d. cit.). Quando la clausola predetta e` apposta dal traente, essa e` efficace verso tutti i firmatari dell’assegno; se invece e` apposta da un girante o da un avallante produce effetto solo rispetto a questi (art. 48 comma 3o, r.d. n. 1736 del 1933). Anche nella cambiale è condizione per l'esercizio dell'azione di regresso è che il rifiuto di accettazione o il mancato pagamento siano stati constatati, in modo formale, tramite il protesto (eccezion fatta per il caso di fallimento del trattario o di fallimento del traente di una cambiale non accettabile, nel quale è sufficiente, per agire in via di regresso, la Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 143 produzione della sentenza dichiarativa di fallimento: art. 51, ult.comma, l.camb.). Ad ogni modo il protesto non è condizione necessaria dell’azione, come chiarito da Cass., 12 gennaio 1995, n. 329, in Giust. civ., 1995, I, 2788. Si discute se sia possibile in quei casi in cui difetti un'azione di regresso da conservare (per es., quando il primo prenditore faccia valere il pagherò contro l'emittente: in senso favorevole Martorano, Pavone La Rosa). Casistica giurisprudenziale. La giurisprudenza ha affrontato negli ultimi anni le seguenti questioni: 1. la possibilità di invocare la tutela cautelare per ottenere la cancellazione dall’albo dei protesti; 2. Integrazione del contraddittorio; 3. la risarcibilità dei danni derivanti da illegittima levata di protesto. Cancellazione. I pubblici ufficiali incaricati alla levata del protesto alla fine di ogni mese devono trasmettere alla Camera di Commercio competente l'elenco dei protesti levati durante il mese. La Legge n° 235/2000 e il Decreto del Ministero delle Attività Produttive N° 316/2000 hanno dato attuazione al Registro Informatico dei Protesti (generalmente definito Elenco Protesti o Bollettino Ufficiale dei Protesti) incaricando le Camere di Commercio della pubblicazione ufficiale degli elenchi dei protesti. La cancellazione dal Bollettino Ufficiale dei Protesti, invece, può essere ottenuta: per avvenuto pagamento del titolo cambiario, per illegittimità od erroneità del protesto oppure per riabilitazione. La legge n. 77 del 1955, come successivamente modificata, prevede una procedura amministrativa di cancellazione con istanza al presidente della camera di commercio competente per territorio: · ad istanza del debitore in caso di pagamento tardivo nei 12 mesi dal protesto; · da parte di chiunque vi abbia interesse, se dimostri di aver subito levata di protesto, al proprio nome, illegittimamente od erroneamente; Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 144 · nonché dai pubblici ufficiali incaricati della levata del protesto o dalle aziende di credito, quando si è proceduto illegittimamente od erroneamente alla levata del protesto. Il responsabile dirigente dell'ufficio protesti provvede non oltre il termine di venti giorni dalla data di presentazione della istanza; conseguentemente, dispone la cancellazione richiesta, curando sotto la sua personale responsabilità l'esecuzione del provvedimento, <<da effettuare non oltre cinque giorni dalla pronuncia dello stesso, mediante la cancellazione definitiva dal registro dei dati relativi al protesto, che si considera, a tutti gli effetti, come mai avvenuto. In caso contrario, decreta la reiezione dell'istanza>>. In tale caso o se non vi è decisione sull’istanza presentata da parte del responsabile dirigente dell'ufficio protesti, entro il termine di cui al comma 3, l'interessato può ricorrere al giudice di pace (art. 4). 1. Tutela cautelare. La giurisprudenza reputa che la tutela cautelare non sia assoggettata al preventivo espletamento del descritto procedimento amministrativo (Tribunale di Napoli, III Sezione Civile, 28 maggio 2010) e ciò in ragione dell'effettività della tutela e della strumentalità con l'azione di merito (di solito risarcitoria), che prescindono dal ricorso amministrativo. Peraltro, la domanda e il dispositivo cautelare vanno limitati alla sola sospensione dell'iscrizione, poiché qualora si traducessero nella cancellazione verrebbero a coincidere con una delle possibili tutele di merito (risarcimento in forma specifica). La disciplina ex art. 4 legge 77 del 55 è stata applicata anche agli assegni (Corte di Cassazione, Sezione 1 civile Sentenza 28 giugno 2006, n. 14991). 2. Litisconsorzio. Secondo Cassazione civile, sent. n. 14005 del 10/06/2010. – L’Ufficiale levatore è parte necessaria nei processi vertenti sull’accertamento dell’illegittimità od erroneità degli atti di protesto, mentre la Camera di commercio è parte eventuale affinché l'eventuale pronuncia - alla cui ottemperanza quest'ultima non potrebbe in ogni caso sottrarsi - faccia direttamente stato anche nei suoi confronti per la parte relativa all'obbligo di cancellazione.Essendo, tuttavia, la domanda di cancellazione strettamente collegata all'accertamento della illegittimità della levata di protesto, il giudizio non può prescindere Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 145 dalla presenza necessaria del soggetto cui questa potrebbe essere astrattamente addebitata: soggetto che, nel caso in cui venga dedotta la illegittimità del protesto di un assegno bancario in quanto emesso con firma di traenza diversa da quella del titolare del conto corrente, va identificato non già nella banca trattaria - non discutendosi della illegittimità del rifiuto di pagamento in rapporto alla inesistenza della provvista -, ma unicamente nel pubblico ufficiale che ha levato il protesto, cui compete la verifica della regolarità formale della compilazione dell'assegno all'atto della sua emissione. Per inciso si rammenta che la disciplina del litisconsorzio necessario è applicata alla seguente condizione: occorre, cioè, verifcare prognosticamente gli effetti dell'emanando provvedimento a chi sono diretti (Trib Roma 12 marzo 2001). Risarcimento. Inizialmente il danno è stato ricondotto nell'alveo dell'art. 2043 cc, sancendo che "il protesto cambiario, conferendo pubblicità all'insolvenza del debitore, costituisce causa di discredito sia personale, che commerciale per lo stesso e, pertanto, se illegittimo, è idoneo a provocare danno patrimoniale". (Cassazione civile, sez. I, 23 marzo 1996, n. 2576 - Giust. civ. Mass. 1996, 420 Danno e resp. 1996, 320), ma è evidente che l'impostazione risentiva dell'impostazione multipolare del danno anteriore al 2003. Con la rivisitazione del sistema risarcitorio ( Cassazione, sez III, 31 Maggio 2003, n.8827, e n.8828, nonchè Corte costituzionale, 11 luglio 2003 , n. 233) is ribadisce la dualità dei dei: patrimoniale e non: danno patrimoniale, di cui all' art. 2043 cod. civ., e danno non patrimoniale, ex art. 2059 cod. civ.. Nel 2005 la giurisprudenza (Cassazione, sez. III civile, 30.03.2005 n. 6732) espressamente colloca il danno da illegittimo protesto nella categoria dei danni non patrimoniali, quali "danni che derivano dalla violazione e lesione di posizioni soggettive protette, di rango costituzionale o ordinario, sulla base di precisi riferimenti normativi". Si ribadisce che "il protesto cambiario, conferendo pubblicità ipso facto all' insolvenza del debitore, non è destinato ad assumere rilevanza soltanto in un«ottica commerciale imprenditoriale, ma si risolve in una più complessa vicenda, di indubitabile discredito, tanto personale quanto patrimoniale, così che, ove illegittimamente sollevato ed ove privo di una conseguente, efficace rettifica, esso deve ritenersi del tutto idoneo a provocare un danno patrimoniale anche sotto il profilo della lesione dell«onore e della reputazione del protestato Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 146 come persona, al di là ed a prescindere dai suoi eventuali interessi commerciali\" (Cassazione, sez. I civile - 28 giugno 2006 n. 14977). Il Collegio afferma che qualora l«illegittimo protesto venga riconosciuto lesivo di diritti della persona, come l«immagine, il danno è da ritenersi in re ipsa, e va senz«altro risarcito, non incombendo sul danneggiato l«onere di fornire la prova della sua esistenza; diversamente, allorchè venga in considerazione il danno, squisitamente patrimoniale, da lesione del diritto alla reputazione commerciale, è indispensabile allegare e provare specifiche circostanze dalla quali sia possibile desumere una compromissione, nell«ambiente commerciale, del credito goduto dal soggetto illegittimamente protestato, come, ad esempio, l«interruzione di forniture o trattive commerciali (App. Genova, sez. III, 30/06/2005, n.669). La distinzione fra "reputazione commerciale" e "reputazione personale", assume rilievo ai fini dell'onere della prova, in quanto se il danno ha riguardo la reputazione commerciale, la lesione è ritenuta costituire un semplice indizio dell«esistenza di un danno effettivo "da valutare nel contesto di tutti gli altri elementi della situazione in cui si inserisce". L'orientamento della giurisprudenza di merito riconduceva il danno da illegittimo protesto nell«alveo dei danni non patrimoniali da lesione dei valori costituzionali, fino a spingersi al punto di classificarlo nella controversia categoria dei danni esistenziali ( Trib. Modena, 29 marzo 2007). Una conferma discendeva dalla sentenza della Corte di Cassazione ( Cassazione, sez. III civile - 18 aprile 2007, n. 9233 ) la quale stabilisce che "allorchè emerga l«illegittimità del protesto, spetta il risarcimento del danno conseguente alla lesione della propria reputazione personale, e la prova della lesione, contestuale alla prova della illegittimità del protesto, costituisce danno ingiusto "in re ipsa" ( ex pluribus Cassazione sent. n. 2576/96 ; n. 11103 /98 ; n. 4881/01 e n. 14977/06). Tuttavia, questa lettura non sopravvive alle sentenze gemelle di S. Martino (Cass. SS.UU. 2008), poiché la Suprema Corte, poco dopo afferma che “la semplice illegittimità del protesto, pur costituendo indizio in ordine alla esistenza di un pregiudizio alla reputazione .. non è di per sé sufficiente per la liquidazione del danno”, per la quale il danneggiato è tenuto a dimostrare la gravità della lesione subita e la non futilità delle sue conseguenze, anche mediante presunzioni semplici (Cassazione 25 marco 2009, n. 7211; Cassazione civile sez. VI Data: 08 settembre 2011 n. 18476). Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 147 Il caso Il Sistema “Vanna Marchi” di Martino Modica Vanna Marchi, assieme alla figlia Stefania Nobile, al sedicente mago Mario Pacheco Do Nascimento e all'ex convivente Francesco Campana, celebre commerciante nel settore della televendita grazie alle sue peculiari modalità comunicative, è stata al centro di una vicenda giudiziaria in cui è finita condannata per bancarotta fraudolenta, truffa aggravata e associazione per delinquere finalizzata alla truffa a seguito di trasmissioni televisive in cui si raggiravano molti telespettatori102. Le “regine delle televendite” e i loro collaboratori sono stati infatti ritenuti colpevoli di aver creato un'associazione a delinquere finalizzata alla truffa e all'estorsione con un giro di oltre 32 milioni di euro (circa 65 miliardi di lire) incassati fra il 1996 e il 2001. I due centralinisti, tra cui il Mago Victor, hanno confessato di aver seguito personalmente persone che hanno speso fino a 30 milioni per curare mali d'amore e 60 per curare "problemi" di spiritismo. La tecnica era semplice: inviare dei numeri da giocare al Lotto, dati sicuramente vincenti ai clienti che venivano poi convinti ad accettare, e a pagare, delle pratiche anti malocchio nel caso in cui i numeri non uscissero. Un meccanismo oliato che secondo l'accusa la Marchi e sua figlia volevano addirittura esportare in Spagna, dove erano pronte a emigrare. La tecnica era quella "di un continuo e insistente rapporto telefonico - scrivono gli investigatori - con persone generalmente da essi individuate e accuratamente studiate. La maggioranza delle vittime sono donne dall'età medio-alta, che versano in modeste condizioni economiche e spesso vivono davvero delicate situazioni famigliari, psicologiche e di salute". 102 Per costruire con precisione l'intera vicenda, che fu seguita per diverso tempo in maniera quasi morbosa dai media, sono state consultate le seguenti fonti: 1) l'articolo di Paolo Biondani pubblicato nel Corriere della Sera del 28.01.2002; 2) gli scritti di Francesca Brunati per l' Ansa del 28.02.2005; 3) l'articolo di Emilio Randacio de La repubblica del 09.12.2010; 4) Wikipedia.org; 5) sito internet http://www.cesap.net/index2.php?option=com_content&do_pdf=1&id=68 da La Repubblica on line dell'11.12.2001 Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 148 Spietato il raggiro. Era la prima telefonata a far finire nei guai i clienti. La Marchi, sua figlia e il mago reclamizzavano numeri vincenti al lotto. Era il pretesto per agganciare i clienti e farli entrare in un vortice tremendo. Per uscire dai guai promettevano rimedi inesistenti, ma che si facevano pagare a peso d'oro. "La Marchi e sua figlia Stefania - ha dichiarato uno dei testimoni sentiti dagli inquirenti d'accordo con do Nascimento avevano dato precise disposizioni di far leva sulle persone le cui situazioni familiare e psicologica erano particolarmente delicate103". Una delle storie più toccanti e drammatiche è quella raccontata dalla signora Michelina, una casalinga 48enne di Genova, sposata e con un figlio, e che ora ha dei "grossissimi sensi di colpa per aver prelevato dal conto corrente di famiglia piu' di nove milioni. Mi avevano spaventata", ha spiegato, "e mi sono sentita minacciata e sotto pressione". Per lei la prima volta e' stato nel '96, quando in onda su una tv privata vide una trasmissione condotta da Vanna Marchi e il mago Do Nascimiento (fuggito in Brasile appena scattata l'inchiesta dopo i servizi-denuncia di Striscia la Notizia). "Davano i numeri del Lotto per centomila lire", ha raccontato. "Cosi' li contattai, pagai e mi dissero di giocare mille lire e che avrei vinto una cifra superiore". La vincita non arrivo' e la signora ci mise una pietra sopra: salvo poi, nel 2001, cinque anni dopo, essere ricontattata da un addetto della societa' Ascie'. La centralinista in quell'occasione avverti' la signora che il mago Do Nascimiento l'aveva sognata e aveva previsto "una vincita elevata", ma era necessario pagare 300 mila lire. La signora Michelina si prese un giorno di tempo per pensarci e poi accetto', quindi le arrivo' il 'corriere' a casa, un addetto con il compito di consegnare la busta con i numeri della fortuna e ritirare i contanti. La vincita arrivo', ma solo di 400 mila lire, e arrivo' anche una nuova telefonata. Era l'operatrice numero 16 (i centralinisti si presentavano sempre e soltanto con un numero) che l'avverti' che quella non era la vincita fortunata e che i numeri non uscivano perche' avevo una forte negativita': per toglierla dovevo pagare 4 milioni “Mi avevano preso in un momento particolare, e mi spiegarono che se non fosse stata tolta questa negativita' ci sarebbero state conseguenze sui miei familiari e su mio figlio". La signora paga di nuovo ma non basta: troppo forte la negativita', e per scacciarla ci vogliono ancora 5 milioni. In in quel frangente la donna parlo' per telefono con Vanna Marchi: "Le ho chiesto spiegazioni e lei mi ha risposto: 'Io non so chi lei sia, non capisco cosa voglia da me, lei e' un'esaltata'. Ma mi ha anche domandato: 'Quanti soldi ha versato?'. Le ho risposto nove milioni, e dopo un oh! mi ha messo giu"'. 103 Tutte le dichiarazioni sono quelle riportate nelle fonti ufficiali specificate nella precedente nota. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 149 La storia della signora Michelina e' la fotocopia di quella raccontata in maniera un po' confusa da un'anziana signora dell'hinterland milanese, e di quella vissuta da Pamela, una ragazza di Busto Arsizio: a lei sono stati chiesti addirittura 15 milioni (poi grazie ad uno sconto scesi a 5) per una "purificazione totale" che avrebbe dovuto essere fatta dall' 'Ordine dei maghi brasiliani'. «Mi sono prostituita per pagare i riti magici>> dichiara Elisabetta; in una telefonata la Marchi le urla "Lei è una vagabonda, io e mia figlia ci alziamo alle cinque del mattino per venire a lavorare per voi, andiamo fino in Brasile per salvare le vostre vite e lei non è neanche in grado di mettere insieme dieci milioni? Si vergogni”. Il maestro, da canto suo, le aveva detto che un «grave lutto» colpirà la sua famiglia: la morte della figlia. «Se fosse successa una disgrazia, sarei morta per il rimorso», dice la vittima. Si vergogna a tal punto che proprio lei - la «vagabonda», la donna che «non sa mettere insieme dieci milioni» - decide di prostituirsi. A 50 anni e senza un rene. «Volevo salvare mia figlia, era in carcere per furto e avevo scoperto che si bucava». La segretaria Emilia le chiede dolcemente: «Preferisce trovare sua figlia morta in un fosso?». No, Elisabetta preferisce prostituirsi. E paga: mette insieme 150 milioni, poi non ce la fa più. La segretaria non si arrende: «Se non ha niente, va bene anche l' oro». Le «quaglie», come le chiamava Vanna, hanno raccontato ai magistrati il loro calvario, un circolo vizioso infinito, farsa e tragedia che si intrecciano: a ogni pagamento segue una minaccia, a ogni minaccia un pagamento. Il maestro, intanto, celebra, tra rametti d' albero tagliati nel giardino e sale antimalocchio, il rito del corallo, della terra, del trionfo. La «negatività» è ovunque, colpa dei riti «voodoo» e «tibetani» ma più di frequente della scarsa solvibilità. «Qualcosa di pesante accadrà alla sua famiglia», dicono a Franca: 26 milioni e in cambio nastrini da infilare sotto il materasso. «Ti attendono malefici terribili», dicono a Rosaria, 58 anni, che paga 15 milioni per i «riti purificatori». Poi però si stufa e la cosa non piace per nulla: «Stupida, cretina, deficiente», le urlano. Gli insulti fanno parte del repertorio: «"Sei una deficiente", mi diceva Vanna - racconta Maria, 55 anni, di Varese -. "Tua madre morirà in un incidente e perderai la pensione. Se non paghi sei stron..., non ti faccio più vincere. E questo te lo dice Vanna Marchi, parola mia"». La vita della figlia di Vlasta, ceca emigrata in Italia, vale due milioni: «Se non paghi, andrai presto al suo funerale». Non tutte le minacce vanno a buon fine, come per Loredana, 32 anni, di Bergamo: «Mi hanno detto: "Potrebbe accadere qualcosa ai suoi figli". Difficile, ho risposto, non ne ho». Va peggio a Berta, pensionata di Treviso, immobilizzata a letto. Prima che i parenti se ne accorgano e la facciano interdire, ha già pagato 300 milioni. L' «assistente 46» si occupa di Rosalia, 54 anni, di Milano: «Gli dico che mio figlio ha un melanoma alla colonna vertebrale. Vista la "gravità della situazione", il maestro accetta il Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 150 consulto. Servono due milioni, però, e non li ho. Lei insiste: "Possibile che non vuole pagare una cifra così bassa? Sembra proprio che non gli vuole bene, a suo figlio"...». Nel caso di Pamela, varesina di 20 anni, la «negatività» è così grave che il «maestro» si vede costretto a contattare «l' Ordine dei maghi brasiliani». Procedura costosa: 15 milioni di lire, cinque con lo sconto. Una «maledizione eterna» attende Antonio, quarantenne genovese. Ma l' «eternità» è di breve durata: «Entro sei mesi sarai morto». Rosaria invece si dichiara «nullatenente» e la lasciano perdere subito. Le minacce non mancano mai, i centralinisti di notte chiamano i «clienti» e li spaventano: tacciono, urlano, fanno versi. Ogni tanto la ditta Marchi fa appello ai sentimenti. «La signora Emilia - racconta Fabrizio, 33 anni, di Pisa - mi chiedeva sempre di inviare anche un' offerta per i bambini poveri del Brasile. Mandavo 200 mila lire». I numeri del lotto non escono, le minacce di morte non si avverano, ma i riti continuano e le vittime pagano. Come Maria Assunta, di Varese: «Stefania mi diceva che sarei diventata la donna più ricca della Lombardia. Vanna invece mi minacciava. Una volta mi ha detto: "Vengo a casa sua e la sbatto giù se non paga i due milioni che mi deve"». Alla fine li paga e non solo quelli: 600 milioni. «Vedevo gente in tv che ringraziava per le vincite e mi fidavo. Ma in sette anni ho fatto solo un ambo: 200 mila lire». E ora che tutto è finito? «Sono rovinata per colpa loro. Ma il maestro no, lui era buono, mi aiutava, diceva che anche in Brasile avrebbe pensato a me. E le sue magie funzionavano: se avevo mal di schiena, facevo colare la cera delle candele, proprio come diceva lui, e poi mi sentivo meglio. Altre volte, invece, non funzionava. Ma forse la colpa era mia». Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 151 Criminologia del nuovo millennio L'INFLUENZA DI MAGHI, IMBONITORI E STREGONI NELL'ERA DEL WEB. di Rosalia Manuela Longobardi È antica la prassi di rivolgersi a maghi, fattucchieri e stregoni per motivi più svariati che vanno dall’infuso d’amore al miracoloso unguento guaritore; Alla base di tale bisogno ci sono molteplici fattori sociali economici e culturali. Spesso tale prassi coinvolge persone che rappresentano i settori più svariati della società e ciò conduce a dire che il fenomeno del ricorso alla corte dei maghi non è legato al livello di cultura o alla conoscenza vi è, infatti, un bisogno per dire atavico di rivolgersi a qualche “dio” al fine di ottenere quello che più desideriamo nella o dalla nostra vita. Neanche la società moderna è immune dal bisogno di ricercare le “chiavi” della felicità e lo fa ricorrendo a indubbie e fantasiose pratiche magiche, In Italia il fenomeno, senza considerare il numero cosiddetto oscuro, raggiunge cifre esorbitanti. Si parla di una cifra di circa 10 milioni di persone. In Italia il fenomeno di maghi e imbonitori aveva segnato un boom sulla fine degli anni novanta con la nota vicenda di maghi e imbonitori televisivi che effettuavano truffe ed estorsioni varie a discapito di ignare vittime spesso indebolite da situazioni economiche o di salute che inevitabilmente cercavano in pozioni e affini la soluzioni di problemi. Nell’ultimo periodo, con l’acuirsi della crisi finanziaria, il fenomeno sembra aver segnato un picco: ciò è dovuto soprattutto all’ideazione di veri e propri kit magici contenti i più bizzarri oggetti e che promettono fantomatiche vincite al gioco, in un periodo dove la gente è esasperata ricorre a tutto. Le ragioni psicologiche che spingono individui come già accennato appartenenti a categorie più diverse sono però accomunate dal bisogno di appagare il desideri. In un suo scritto Sigmund Freud elaborò una convincente descrizione del meccanismo psicologico della magia; In particolare il famoso psicanalista sottolineo come sia nei primitivi che nei nevrotici la magia nasce dalla sopravalutazione di un bisogno dall’esasperazione di un desiderio. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 152 Su tale base lo studioso mostrò come gli individui ricorrono al mondo della magia chiedendo le cose più svariate e ciò rappresenta un’oggettivazione dell’infermità o quantomeno del disagio psichico o semplicemente un’espressione di un’infanzia non vissuta bene. Freud notò come il magico lungi da essere una distorsione primitiva e /o patologica e anche condizione fisiologica del ragionamento infantile. Sullo stesso filone di pensiero è Claude levi Strauss, di cui riportiamo un importante passaggio soprattutto in riferimento al ricorso della magia e filtri per curare i mali104; Un altro interessante contributo è quello di ». (BANDLER e GRINDER, La struttura della magia (1975),”dove si legge: “nell’epoca moderna il manto del mago-stregone (imbonitore) è per lo più sulle spalle di quei dinamici professionisti della psicoterapia la cui perizia è di gran lunga superiore a quella degli altri terapeuti … sembra che costoro pratichino la psicologia clinica con la facilità e il prodigio di un mago terapeuta. Penetrano nella sofferenza, nel dolore e nell’inerzia degli altri e ne trasformando la disperazione in gioia, vita e rinnovata speranza”. Il fenomeno si è sviluppato in forma organizzata: è nota la nascita di sette e nuovi movimenti religiosi; l’attività imbonitrice spesso è attuata da soggetti organizzati. La diffusione del fenomeno inoltre è avvantaggiata dalla rete web che sfrutta e dai nuovi canali mediatici che sicuramente hanno avuto un ruolo decisivo per la capacità di raggiungere i più svariati luoghi del mondo, appiattendo le distanze fisiche. Ne è esempio la adescamento di nuovi adepti tramite i social network. Un sito web che negli anni ha avuto un rilevante aumento del numero di iscritti è “I bambini di Satana” e ciò è causato da vari fattori, ne segnalo alcuni, quali la sterilita della fede, la voglia di essere “diversi”e la promessa del sapere illimitato. Sotto il profilo giuridico, infine,è utile dire che l’attività di stregoni, maghi e simili non integra reato, tuttavia se si analizza ciò che in realtà accade sotto la copertura di tali pratiche ci si imbatte davanti a fenomeno di immense dimensioni e dove spesso si consumano reati, prevalentemente di natura patrimoniale. I reati perpetuati sono la truffa, l’estorsione e secondo un’analisi di telefono antiplagio negli ultimi tempi anche l’usura e il riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite (della n’draghetta); Dal giornale telematico“Il punto”si legge che specie nella realtà settentrionale dilaga l’usura. 104 In “Antropologia strutturale” Strauss individua nel rapporto mago/malato un espressione del gruppo, in maniera fittizia si immagina che il malato è passività e alienazione da se mentre il mago è attività, straripamento..la cura(rappresentata dai vari rimedi “magici” è la relazione tra questi due soggetti Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 153 Interessante è l’analisi effettuata poco tempo fa nel citato giornale telematico dove Franco Trocchi, esperto del fenomeno, in prima linea presso lo sportello del XIX Municipio di Roma spiega: “Per pagare maghi e cartomanti, i clienti si rivolgono agli usurai –Nella capitale sono gli stessi maghi che spingono la gente verso agli usurai e spesso il mago è anche usuraio». Fenomeno che nel Mezzogiorno si caratterizza anche con maghi soci o in buoni rapporti con banche locali e finanziarie presta denari. E, mentre Bankitalia studia e osserva, l’uomo di strada rimane lentamente stritolato”.105 105 Dall'articolo del giornale telematico “Il punto” di Ruggero Capone del 28/02/2012 Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 154 Oltre il mio nome – L’intervista Intervista al Prof. Silvano Fuso106 in merito al CICAP di Tommaso Migliaccio 1. Perché e come nasce la vostra organizzazione? Il CICAP nasce nel 1989 su iniziativa di Piero Angela. Il noto giornalista aveva realizzato anni prima per la Rai una serie di trasmissioni dedicate al paranormale e si era reso conto di quanta disinformazione esistesse sull’argomento. Da qui nacque l’esigenza di creare anche in Italia un comitato analogo a quello che già esisteva negli Stati Uniti (CSICOP, oggi CSI). Dapprima riunì un gruppo di scienziati sensibili al problema. Successivamente, nel 1989 appunto, nacque il CICAP, inteso come associazione alla quale chiunque può aderire. 2. Quali competenze lavorano in équipe al vostro interno? La composizione dei soci effettivi (cioè quelli che rappresentano di fatto il comitato) è piuttosto composita. Abbiamo fisici, chimici, ingegneri, biologi, neuroscienziati, psicologi e comunicatori scientifici. I membri onorari sono Rita Levi Montalcini, Carlo Rubbia e Umberto Eco. I garanti scientifici sono Edoardo Boncinelli, Silvio Garattini, Margherita Hack, Tullio Regge e Umberto Veronesi. Abbiamo poi una serie di consulenti tecnici e scientifici che coprono vari settori disciplinari e ai quali ci rivolgiamo nel corso delle nostre indagini. 3. Vi è mai capitato di “interfacciarvi” col mondo del diritto e se sì in che termini? Il caso più clamoroso è costituito dai due processi che ha dovuto subire proprio Piero Angela. Nel corso di una puntata di SuperQuark, l’11 luglio 2000, era stato mandato in onda un servizio sull’omeopatia, dove veniva illustrata la posizione della comunità scientifica, inevitabilmente critica nei confronti della popolare medicina alternativa. Due associazioni di omeopati, la SIMO (Società Italiana di Medicina Omeopatica) e la FIAMO 106 Prof. Silvano Fuso, docente di chimica e divulgatore scientifico, socio effettivo e responsabile per la scuola del CICAP Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 155 (Federazione Italiana delle Associazioni dei Medici Omeopatici) querelarono Angela per diffamazione. Secondo gli omeopati, il servizio avrebbe dovuto dar spazio anche agli omeopati per illustrare le proprie ragioni. Angela dovette affrontare due processi. Come dichiarò lo stesso Angela tuttavia: «La scelta di non chiamare gli omeopati in trasmissione è stata frutto di un lungo ragionamento. Il mio punto di riferimento è la comunità scientifica, e siccome i prodotti omeopatici non sono stati sottoposti ai test e alle procedure attraverso cui una nuova medicina viene immessa nel mercato, con l'autorizzazione della Commissione unica del farmaco, non avrei potuto dare loro la parola: sarei andato contro le regole etiche del mio lavoro nel servizio pubblico...». Per fortuna i giudici si resero conto della correttezza dell’approccio di SuperQuark e assolsero con formula piena Angela. Purtroppo chi è a corto di argomentazioni scientifiche, spesso reagisce in maniera piuttosto aggressiva. 4. In particolare mai stati di supporto ad indagini giudiziarie? No, non ci è mai capitato. 5. Potreste citarci qualche caso interessante? Ce ne sono molti. Spesso veniamo contattati da individui che, in totale buona fede, credono di possedere straordinari poteri. In realtà sono vittime di autoillusioni. Ad esempio, ci era capitata una signora che sosteneva di indovinare il contenuto di scatole ermeticamente chiuse. Purtroppo dovette arrendersi di fronte ai deludenti risultati della nostra sperimentazione. Analogamente, un signore che esercitava come pranoterapeuta, si era convinto di riuscire a cambiare il sapore del vino semplicemente imponendo le mani su un bicchiere. Purtroppo però non aveva mai eseguito una prova “in cieco” e, quando gliela facemmo compiere, non fu assolutamente in grado di distinguere i bicchieri che aveva trattato da quelli non trattati. A volte capitano anche persone non proprio in buona fede. Personalmente, ad esempio, avevo avuto a che fare con una sedicente medium che, usando un trucchetto dozzinale, sfruttava il dolore e la debolezza psicologica dei suoi “clienti” facendo loro credere di comunicare con i defunti. Mi tolsi la soddisfazione di smascherarla proprio davanti ai suoi adepti che rimasero piuttosto delusi. 6. Perché il boom di fattucchieri, maghi etc.? Le motivazioni che spingono molta gente a consultare i cosiddetti operatori dell’occulto possono essere molteplici. Noi riteniamo però che la motivazione principale sia la disinformazione. Molti credono che certi individui posseggano realmente poteri Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 156 straordinari, ma in realtà nessuno lo ha mai dimostrato. Gli operatori dell’occulto trovano terreno fertile proprio nella disinformazione. Purtroppo i media non aiutano, perché spesso concedono spazio a questi individui contribuendo a dar loro credibilità e divulgano notizie sensazionalistiche senza alcun senso critico. Noi crediamo molto nel potere preventivo dell’informazione e in questo senso cerchiamo di operare. 7. Ma esiste qualcosa oltre il “normale” e il “visibile”? Fino a oggi nessuno ha mai dimostrato l’esistenza di un solo fenomeno autenticamente paranormale. Quando è stato possibile svolgere studi accurati, si è sempre trovata una spiegazione del tutto “normale”. Naturalmente sarebbe stupido ipotecare il futuro. Se un domani qualcuno dimostrasse realmente qualcosa di paranormale, saremmo i primi a esserne contenti. Sarebbe infatti un enorme passo in avanti per la conoscenza. 8. Cosa differenzia una religione da una setta? Premetto che noi come CICAP non ci occupiamo né di religioni né di sette. Ci occupiamo solo di fenomeni, non di credenze soggettive. Personalmente ritengo tuttavia che il confine tra religioni e sette sia abbastanza sfumato. Penso che un valido criterio di demarcazione sia costituito dalla libertà di scelta. 9. Una provocazione: c’è differenza tra i miracoli di Lourdes e le “magie” degli imbonitori televisivi? Come dicevo, noi non ci occupiamo di credenze soggettive. Il discorso fede esula quindi completamente dal nostro campo di azione. Ci occupiamo però di fenomeni e i miracoli sono (o dovrebbero essere) fenomeni. Recentemente un nostro membro autorevole, Luigi Garlaschelli, ha curato un libro dedicato proprio a Lourdes. Se si analizzano i fatti in modo scientifico e obiettivo, quelli che sembrano eventi miracolosi sono in realtà interpretabili in modo normale e razionale. Spesso la presunta inspiegabilità di certi fenomeni derivava semplicemente da carenza di conoscenze, che nel frattempo si sono però evolute. Il fenomeno Lourdes è ovviamente molto complesso e interessante dal punto di vista sociologico e psicologico ma, ripeto, a noi interessa solo esaminare i presunti eventi miracolosi. C’è chi, di recente, ha cercato di sfruttare anche la fama di Lourdes e di altri luoghi sacri, sostenendo che le acque di certe fonti avrebbero singolari proprietà chimico-fisiche e creando attorno a esse un certo business. Nulla di tutto ciò ha la minima fondatezza scientifica e, giustamente, è intervenuta la magistratura per fare chiarezza. In questo caso le differenze con gli imbonitori televisivi sfumano. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 157 10. Come si conciliano secondo voi alcune libertà fondamenti (come quelle di espressione e di culto) con l’esigenza di reprimere reati legati al mondo dell’occulto e del paranormale? Noi pensiamo che prevenire sia molto meglio che reprimere. Come dicevo, riteniamo fondamentale informare correttamente le persone. Solo chi è sufficientemente informato è veramente libero di scegliere. Ovviamente poi ognuno è assolutamente libero di credere a quello che vuole. Noi non facciamo alcuna caccia alle streghe, ci mancherebbe altro! Come spesso diciamo, ci rivolgiamo a chi vuole capire, non a chi vuole credere. È chiaro che quando sentiamo qualcuno che fa affermazioni palesemente false dal punto di vista scientifico, interveniamo per correggerlo. Siamo però totalmente contrari a qualsiasi forma di censura. Ovviamente però quando si va nell’illecito è giusto che la magistratura intervenga: ma noi non ci occupiamo di questi aspetti. 11. Quali consigli alle persone e alle famiglie per non cadere in trappola? Avete suggerimenti per tutelare le persone più deboli? Il consiglio principale è questo: non fidarsi mai di chi sostiene di avere poteri straordinari perché questi poteri non sono mai stati dimostrati da nessuno. Se si hanno problemi (esistenziali, di salute, di lavoro, ecc.), bisogna rivolgersi a persone qualificate e veramente esperte: psicologi, medici, consulenti del lavoro, ecc., non a ciarlatani. Per maggiori informazioni si può magari consultare il nostro sito www.cicap.org (dove si trovano davvero moltissime informazioni sui più disparati argomenti) oppure scriverci a [email protected]. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 158 Le frontiere della mediazione La tutela della riservatezza nella mediazione di Carlo Pilia Sommario: 1. La riforma della mediazione e la tutela della riservatezza. – 2. La normativa europea. – 3. La normativa nazionale. – 4. La riservatezza interna ed esterna. – 5. L’inutilizzabilità e il segreto professionale. 1. La riforma della mediazione e la tutela della riservatezza. La normativa europea e quella nazionale sulla mediazione finalizzata alla conciliazione in materia civile e commerciale prescrivono l’adeguata tutela della riservatezza. Nella disciplina della mediazione sono ravvisabili numerose disposizioni che si soffermano sulla riservatezza e, più in generale, sulla protezione dei dati personali trattati nel procedimento stragiudiziale di composizione convenzionale delle controversie. La riservatezza, in buona sostanza, costituisce un principio cardine imposto dalle norme a garanzia dei diritti fondamentali delle parti contendenti che appare necessario affinché le stesse si avvalgano della mediazione e riescano ad aprirsi al confronto costruttivo in modo da tentare di raggiungere un accordo amichevole. I rischi di fuoriuscita delle notizie e, comunque, di indebito impiego in altre sedi, a cominciare da quelle giudiziarie, dei contenuti delle informazioni e delle dichiarazioni acquisite in mediazione, infatti, finirebbero per frustrare le finalità deflattive e di pacificazione dei contendenti perseguite dalla riforma. Di qui, la formulazione di una serie di puntuali prescrizioni da rispettare nella costituzione e gestione degli organismi di mediazione e, comunque, nello svolgimento dell’attività di risoluzione delle controversie attraverso i mediatori e, comunque, quanti partecipano al relativo procedimento. Nel nuovo sistema della mediazione che l’Unione europea prescrive di strutturare in tutti i Paesi, in primo luogo, la tutela della riservatezza sottende l’imprescindibile protezione dei diritti fondamentali delle persone dei contendenti e, più in generale, dei soggetti coinvolti nel meccanismo di composizione stragiudiziale dei conflitti. In questo senso, peraltro, il rispetto della riservatezza costituisce sia un requisito essenziale da osservare affinché la procedura finalizzata alla conciliazione si svolga all’interno dei canoni di legalità, sia un Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 159 parametro di valutazione qualitativa dei servizi di mediazione erogati in un sistema di accreditamento aperto che dovrebbe spingere gli utenti a rivolgersi agli organismi e ai professionisti che, anche sul punto, si dimostrano i migliori e che, pertanto, conquistando la fiducia e il gradimento del pubblico, riescono a prevalere sul mercato. La tutela della riservatezza, infine, costituisce un’interessante prospettiva di analisi della riforma sulla mediazione non solo per le numerose questioni teoriche e pratiche che solleva e, quindi, per i delicati problemi applicativi che in ambito europeo e nazionale si dovranno affrontare, ma anche perché essa offre significativi elementi di riflessione di portata più ampia a proposito della controversa ricostruzione della natura giuridica e dell’inquadramento sistematico del nuovo istituto. La mediazione, invero, non è assimilabile alla giurisdizione, rispetto alla quale si pone come meccanismo alternativo di composizione del conflitto, affidato a organismi e professionisti distinti e gestito secondo regole di funzionamento autonome. Per questa ragione, sul piano della garanzia dei diritti dei contendenti e, in particolare, della tutela della riservatezza non si applicano le disposizioni processuali del giudizio civile. Non vi è corrispondenza neppure con gli altri meccanismi stragiudiziali di composizione dei conflitti, in particolare la transazione, l’arbitraggio e l’arbitrato che, pur accomunati dalla finalità pratica di prevenire o risolvere le controversie, divergono nettamente tanto per la peculiare natura giuridica quanto per la risalente disciplina codicistica a ciascuno di essi dedicata, senza che siano operabili delle assimilazioni tra le varie fattispecie e neppure delle estensioni delle corrispondenti normative rispetto alla nuova figura della mediazione finalizzata alla conciliazione. La novità e, soprattutto, la specificità di quest’ultima richiedono l’avvio di un’approfondita riflessione che porti a individuare la corrispondente disciplina, muovendo dai principi e dalle disposizioni contenuti nelle fonti normative, per svilupparsi attraverso gli strumenti dell’ermeneutica, principalmente declinati in base ai canoni funzionali e sistematici, al fine di dare coerente e puntuale risposta ai numerosi interrogativi lasciati aperti nella scrittura della recente riforma, quali non tarderanno a emergere dall’oramai avviata pratica quotidiana di gestione dei conflitti. 2. La normativa europea. La direttiva europea 2008/52/CE107, sulla cui scorta sono state emanate le recenti normative nazionali, compresa quella italiana, sulla mediazione finalizzata alla conciliazione 107 La direttiva 2008/52/CE CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008, relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale, sulla quale cfr. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 160 in materia civile e commerciale, richiama più volte la riservatezza, negli iniziali considerando prima che nel corpo delle disposizioni normative. Anzitutto, al considerando n. 16, la necessaria riservatezza della mediazione è indicata tra i principali fattori di successo della riforma108 che garantiscono la fiducia reciproca e che gli Stati membri dovrebbero incoraggiare, in qualsiasi modo essi ritengano appropriato, attraverso la formazione dei mediatori e l’introduzione di efficaci meccanismi di controllo della qualità in ordine alla fornitura dei servizi di mediazione. In maniera più puntuale, il considerando n. 23 ribadisce l’importanza della riservatezza nei procedimenti di mediazione che, perciò, mediante l’intervento normativo sulle regole della procedura civile, deve essere protetta nei successivi procedimenti giudiziari o di arbitrato in materia civile e commerciale. Il considerando n. 27, inoltre, proclama che la direttiva cerca di promuovere i diritti fondamentali e tiene conto dei principi riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, tra i quali è annoverata la tutela della riservatezza e, in particolare, del diritto al trattamento dei dati personali. Le disposizioni che la direttiva detta a tutela della riservatezza sono raccolte in una norma appositamente dedicata, l’art. 7 rubricato “Riservatezza della mediazione”. La norma muove dalla riconosciuta necessità del rispetto della riservatezza nella mediazione e prescrive che gli Stati membri garantiscano che né i mediatori, né i soggetti coinvolti nell’amministrazione della mediazione siano obbligati a testimoniare nel processo giudiziario o di arbitrato in materia civile e commerciale riguardo alle informazioni risultanti da un procedimento di mediazione o connesse con lo stesso. La disposizione assume un contenuto assai ampio sul piano sia soggettivo che oggettivo, dal momento che l’esenzione dall’obbligo di testimoniare si riferisce non solo ai mediatori, ossia ai professionisti ai quali è affidata l’attività di assistere i contendenti nella ricerca di un accordo amichevole, ma più in generale a tutti coloro che sono coinvolti nell’amministrazione del procedimento, tra i quali si segnalano il responsabile, i dipendenti, i periti/esperti e tutti gli ausiliari che collaborano a vario titolo con l’organismo. Le informazioni coperte da riservatezza, inoltre, sono tanto quelle risultanti dal procedimento di mediazione, quanto quelle ad esso in qualche modo connesse. L’allargamento della tutela si spiega in ragione sia della pluralità di soggetti coinvolti dalla mediazione e sia del carattere aperto degli argomenti che si affrontano e discutono nei relativi procedimenti, che non si esauriscono nel solo oggetto della lite, per abbracciare anche altri rapporti giuridici in vario modo collegati, anche se non controversi. Quanto al contenuto prescrittivo, la norma impone agli Stati membri di garantire che non ci sia l’obbligo di testimoniare nel processo giudiziario o di arbitrato in materia civile e 108 Tra i quali sono compresi anche l’incidenza della mediazione sulla decadenza e la prescrizione, nonché il riconoscimento e l’efficacia esecutiva degli accordi conciliativi. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 161 commerciale su quanto appreso in sede di mediazione. La disposizione costituisce una misura necessaria a scongiurare il rischio che le parti non si presentino in mediazione o che, pur partecipando, non si aprano al confronto dialettico tra loro e con il mediatore per il timore di vedersi successivamente pregiudicate dal contenuto delle dichiarazioni o delle informazioni raccolte durante il procedimento stragiudiziario. Un siffatto rischio, invero, si realizzerebbe se i mediatori o coloro che partecipano alla mediazione fossero per legge obbligati a testimoniare davanti all’autorità giudiziaria o agli arbitri su quanto accaduto o appreso in occasione della mediazione. La prescrizione richiamata, tuttavia, non assume carattere assoluto o rigido, in quanto sono contemplate alcune limitazioni che contribuiscono a esplicitare il fondamento e la natura giuridica della tutela della riservatezza nella mediazione. Per un verso, le limitazioni sono rimesse alla concreta decisione delle stesse parti contendenti e, per altro verso, dipendono da valutazioni normative ancorate sia a fattori superiori che a ragioni pratiche. In primo luogo, rispetto all’esenzione normativa dall’obbligo di testimoniare, si prevede che le parti possano decidere diversamente. Ai contendenti, quindi, è attribuita la scelta se mantenere riservate le informazioni risultanti dalla mediazione ovvero se acconsentire, ed eventualmente in quali termini, alla comunicazione all’esterno per il tramite della testimonianza da rendere in sede processuale o di arbitrato. Il consenso deve essere manifestato dalle parti congiuntamente o singolarmente a seconda che si faccia riferimento alle informazioni comuni o a quelle che le riguardino separatamente. Si è perciò in presenza di un’applicazione alla mediazione delle regole dell’autonomia privata che si raccordano ai principi e ai meccanismi più generali concernenti l’autodeterminazione dei soggetti interessati nella tutela della riservatezza e nel trattamento dei propri dati personali. In questo senso, si devono intendere pure le altre limitazioni legali apportate all’obbligo di testimoniare per i casi previsti dall’art. 7, par. 1, riconducibili a ragioni superiori da rispettare (lett. a) ovvero a esigenze pratiche legate all’attuazione dell’accordo raggiunto (lett. b). Nell’ordine, la prima limitazione legale della tutela della riservatezza si riferisce ai casi in cui sia necessario testimoniare sulle informazioni derivanti dalla mediazione per superiori considerazioni di ordine pubblico dello Stato membro interessato. In via esemplificativa, si indicano i casi in cui i limiti siano necessari per assicurare la protezione degli interessi superiori dei minori o per scongiurare un danno all’integrità fisica o psicologica di una persona. La difesa dei soggetti più deboli, i minori, e comunque la salvaguardia dei diritti fondamentali della persona costituiscono le esigenze superiori che giustificano l’attenuazione della soglia di rispetto della riservatezza della mediazione. Nel bilanciamento dei valori parimenti tutelati, peraltro, la direttiva circoscrive la limitazione in termini di stretta necessità con riferimento sia alla protezione degli interessi preminenti dei minori e sia alla prevenzione dei danni Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 162 all’integrità fisica o psicologica della persona. Entro questi rigorosi limiti, quindi, l’attenuazione della tutela della riservatezza nella mediazione risulta adeguatamente confinata e validamente giustificata. L’altra limitazione legale, invece, si collega all’interesse degli stessi contraenti ad attuare l’accordo raggiunto in mediazione. Più precisamente, la norma si riferisce ai casi in cui la comunicazione del contenuto dell’accordo conciliativo sia necessaria ai fini dell’applicazione o dell’esecuzione dello stesso. Anche in questi casi, peraltro, i limiti sono puntualmente definiti, in quanto si riferiscono unicamente alle informazioni che risultano dal contenuto dell’accordo e, comunque, sono necessarie per l’attuazione di esso. La limitazione, infine, riguarda la sola comunicazione, da intendere come una conoscenza circoscritta a quanti, a cominciare dai componenti degli uffici pubblici preposti109, sono direttamente coinvolti nell’attività esecutiva dell’accordo conciliativo. In conformità al carattere minimale della direttiva, l’art. 7, par. 2, esplicita che le disposizioni richiamate non impediscono in alcun modo agli Stati membri di adottare misure più restrittive anche sotto questo aspetto della mediazione. Pertanto, ciascuno Stato è abilitato ad adottare discipline più rigorose che garantiscano maggiormente la riservatezza della mediazione, non solo in relazione all’esenzione normativa dall’obbligo di testimoniare, ma più in generale per quanto attiene ai restanti e molteplici profili di tutela implicati nel trattamento dei dati personali. La puntualizzazione, peraltro, appare del tutto coerente sia con il carattere fondamentale che assumono i valori sottesi alla tutela della riservatezza in ambito internazionale, europeo e nazionale, sia con la necessità di assicurarne il pieno rispetto nella strutturazione dei servizi erogati nella mediazione che devono avere una qualità di livello adeguato in modo da riuscire a incontrare la fiducia e il gradimento degli utenti. Siffatti parametri normativi sono stati ripresi e sviluppati dal legislatore italiano che, in attuazione della direttiva 2008/52/CE, ha compiutamente disciplinato nel nostro ordinamento la mediazione finalizzata alla conciliazione in materia civile e commerciale. 3. La normativa italiana. La riforma italiana della mediazione è stata realizzata attraverso una pluralità di fonti normative che, in progressione e a diversi livelli, hanno disegnato la disciplina complessiva 109 Nella fase esecutiva dell’accordo conciliativo, tra gli altri e vario titolo, possono essere coinvolti il presidente del tribunale ai fini dell’omologa, i giudici dell’esecuzione competenti a fissare le modalità di esecuzione coattiva o a giudicarne la legittimità, gli ufficiali giudiziari incaricati delle operazioni di esecuzione forzata, e i conservatori dei registri pubblici immobiliari nei quali è data pubblicità all’accordo. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 163 dell’istituto anche per quanto concerne la tutela della riservatezza e dei dati personali, specie quelli sensibili. E’ necessario dare conto, seppur succintamente, dei fondamentali passaggi normativi che si sono avuti e dei principi generali che ispirano la riforma, prima di soffermarsi sui profili più strettamente attinenti alla tematica da approfondire. In primo luogo, la legge 69/2009110, all’art. 60 contiene la delega al Governo in materia di mediazione e di conciliazione delle controversie civili e commerciali che, tra l’altro, ha previsto che la riforma fosse adottata nel rispetto e in coerenza con la normativa comunitaria e in conformità ai principi e ai criteri direttivi enucleati al comma 2. Nel generico richiamo della normativa comunitaria, anzitutto, devono ritenersi ricomprese le disposizioni della direttiva 2008/52/CE e, in particolare, quelle sopra riportate dell’art. 7 sulla riservatezza. La tutela della riservatezza, invece, non risulta espressamente ricompresa tra i criteri e i principi formulati direttamente all’interno della delega, che si riferiscono ad altri profili connessi al rapporto tra mediazione e processo, ai requisiti degli organismi e alle regole del procedimento. In sintesi, la delega prescrive che la mediazione finalizzata alla conciliazione abbia per oggetto controversie su diritti disponibili, senza precludere l’accesso alla giustizia. La mediazione, pertanto, si sviluppa negli spazi e con gli strumenti dell’autonomia privata; quindi, non si sovrappone, né si sostituisce alla tutela giudiziale alla quale le parti in conflitto hanno diritto di rivolgersi, ancorché in una fase solitamente differita. Malgrado i vari momenti di raccordo previsti dalla riforma, la mediazione e la giurisdizione costituiscono meccanismi di tutela distinti e differenti, che non si devono confondere. Tanto risulta confermato sia dall’attribuzione dell’attività di mediazione ad appositi organismi, professionali, indipendenti e stabilmente destinati all’erogazione dei relativi servizi, sia dalla previsione di specifiche regole di costituzione e funzionamento degli organismi, oltre che di svolgimento delle procedure di mediazione, comprese quelle telematiche. La riforma, quindi, ridisegna la mediazione, quale tecnica di composizione negoziata del conflitto, in termini complessivamente innovativi, assoggettandola a proprie regole, senza che possano applicarsi quelle processuali del giudizio civile, neppure quanto alla tutela della riservatezza. Piuttosto, in conformità alle prescrizioni comunitarie richiamate, nella mediazione si deve garantire la riservatezza principalmente verso il giudizio, al fine di evitare che il timore dell’indebito trapasso di informazioni al processo finisca per rendere la mediazione inutile. In questo senso, soprattutto nella normativa delegata e regolamentare, la mediazione si pone come procedura di natura essenzialmente riservata. 110 Legge 18 giugno 2009, n. 69, recante Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 164 La delega parlamentare è stata attuata con il D.lgs. n. 28/2010111, che richiama testualmente la direttiva 2008/52/CE e disegna in maniera organica ed incisiva la disciplina della mediazione finalizzata alla conciliazione in materia civile e commerciale, anche in relazione alla tutela della riservatezza, più volte e per tanti aspetti, considerata all’interno della normativa delegata. Il sistema nel suo complesso, infatti, deve garantire la riservatezza sotto plurimi profili, con riferimento allo svolgimento della mediazione, all’eventuale risultato positivo che ne sia conseguito, nonché alla posizione dei mediatori e dell’organismo, oltre che del Ministero della giustizia, quale autorità pubblica preposta al controllo e alla vigilanza. Prima di entrare nel merito delle disposizioni dedicate al tema trattato, per cogliere la portata e l’impatto davvero notevoli dell’attuata riforma sulla mediazione occorre muovere dalla constatazione che si è in presenza di una disciplina organica, che prevede non solo i principi, ma anche i criteri e i meccanismi generali di strutturazione e funzionamento della mediazione in un ambito vastissimo di controversie. L’incidenza della riforma, peraltro, è stata accentuata dalle scelte politiche operate con il d.lgs. 28/2010, a cominciare da quelle di considerare l’esperimento del procedimento di mediazione una condizione di procedibilità della domanda giudiziale e, soprattutto, di renderla normativamente obbligatoria in tantissime controversie in materia civile e commerciale. Così, la mediazione è imposta prima di promuovere l’azione giudiziale in qualunque controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari. Inoltre, nei giudizi pendenti, anche in grado d’appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, il giudice può invitare le parti a procedere alla mediazione, se le stesse ritengono di aderire all’invito. Ancora, sono le stesse parti che nei contratti, negli statuti e negli atti costitutivi possono inserire le clausole di mediazione o conciliazione con le quali si obbligano a promuovere la procedura stragiudiziale per tentare di comporre la controversia che dovesse insorgere prima di incardinare il processo civile o arbitrale. In ogni caso, si prevede che chiunque possa accedere alla mediazione per tentare di raggiungere la conciliazione di ogni controversia civile o commerciale vertente sui diritti disponibili. Il massiccio utilizzo della mediazione, soprattutto quando la riforma entrerà a pieno regime, sollecita l’elaborazione e l’applicazione di un adeguato apparato protettivo, sia preventivo e sia repressivo, che garantisca il pieno rispetto della riservatezza della procedura 111 D.Lgs. 4 marzo 2010, recante Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 165 e, quindi, la tutela integrale dei contenuti delle informazioni, oltre che dei dati personali, specie quelli più delicati e sensibili che devono essere trattati in assoluta sicurezza. Pure i dati sensibili e giudiziari, invero, sono suscettibili di finire in mediazione, specie con riferimento alle controversie patrimoniali che concernono i profili più intimi e delicati della persona, come accade ad esempio nelle domande di risarcimento del danno derivante da responsabilità medica, oltre che da circolazione di veicoli e natanti. La mediazione si svolge davanti a organismi accreditati che hanno natura giuridica, consistenza patrimoniale, capacità organizzativa e gestionale, copertura assicurativa e professionalità assai differenti, pur in presenza degli imprescindibili requisiti minimi fissati dalla normativa attuativa (D.M. 180/2010). La tutela della riservatezza e, più in generale, la sicurezza del trattamento dei dati personali costituiscono requisiti imposti dalle norme ai fini dell’accreditamento, affidati alla preventiva valutazione e al successivo controllo del Ministero della Giustizia che, in caso di riscontrata inosservanza delle prescrizioni, deve intervenire con l’applicazione di misure sanzionatorie, ferma la possibilità per coloro i quali siano stati lesi dalle condotte illecite dei mediatori e, nel complesso, degli organismi di richiedere il ristoro dei pregiudizi patrimoniali e non patrimoniali subiti. In ogni caso, come accennato, su un piano di valutazione differente, la tutela della riservatezza costituisce un elemento di qualità del servizio che, in un sistema di libero accesso alla mediazione lasciato alla scelta dei contendenti, dovrebbe orientare le preferenze del pubblico degli utenti verso gli organismi e i mediatori che diano maggiori garanzie di tutela. Alla parte che promuove la procedura di mediazione, infatti, la riforma rimette l’individuazione dell’organismo, tra quanti sono accreditati in Italia, senza vincolo di competenza territoriale rispetto alla dislocazione della controversia e dei contendenti. Le parti chiamate in mediazione, inoltre, rimangono libere di partecipare al procedimento e di addivenire all’accordo, in ragione della valutazione complessiva di convenienza, non disgiunta dalla considerazione della qualità del servizio di mediazione, da apprezzare anche sotto il profilo della tutela della riservatezza. La designazione del mediatore nelle singole procedure, peraltro, è affidata al responsabile dell’organismo, il quale è tenuto a osservare le norme del regolamento, senza trascurare le richieste delle parti contraenti, specie quando siano convergenti nell’avere o nell’escludere l’assistenza di taluni dei professionisti accreditati. La riservatezza dell’organismo e dei suoi mediatori, infine, forma oggetto di valutazione da parte dell’istante e dei contendenti sia prima dell’instaurazione della mediazione, che durante lo svolgimento e all’esito del procedimento. La formalizzazione di quest’ultimo incombente valutativo, peraltro, è prescritto dalla normativa che impone a ciascuna delle parti la compilazione di un’apposita scheda di valutazione del servizio fruito, Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 166 nella quale si traccia anche la riservatezza dei funzionari e dei mediatori dell’organismo e che viene portata alla periodica attenzione del Ministero della Giustizia. Nel d.lgs. 28/2010 sono contenuti i principali riferimenti normativi dedicati alla riservatezza, per ciascuno si pongono delicate questioni da affrontare in chiave ricostruttiva della disciplina della mediazione. Il loro esame congiunto permette di svolgere alcune valutazioni sistematiche di carattere più generale che, anche in termini pratici, tornano utili a valutare e comparare i sistemi di sicurezza adottati in concreto dai singoli organismi di mediazione. In relazione alla disciplina applicabile e alla forma degli atti, l’art. 3 individua le regole di funzionamento della mediazione, avendo riguardo anche alla tutela della sicurezza. In primo luogo, si dispone che al procedimento di mediazione trova applicazione il regolamento dell’organismo scelto dalle parti, con la puntualizzazione che il regolamento deve in ogni caso garantire la riservatezza del procedimento, sia quella esterna e sia quella interna ai sensi dell’art. 9, oltre che rispettare una serie di altri requisiti di qualità del servizio concernenti le modalità di nomina del mediatore, che ne assicurino l’imparzialità e l’idoneità al corretto e sollecito espletamento dell’incarico. Nella riservatezza, quindi, è stato individuato il primo ed essenziale requisito che deve essere garantito dal regolamento dell’organismo. A tal fine, occorre sottolineare come attraverso le norme del regolamento si estrinsechi l’autonomia di ciascun organismo di mediazione, che deve essere sottoposta al controllo preventivo del Ministero della giustizia in sede di accreditamento e di ogni successiva revisione. Il Ministero, in particolare, è chiamato a valutare la conformità del regolamento adottato dall’organismo istante alle prescrizioni normative vigenti. L’inosservanza delle norme sulla riservatezza ovvero la contrarietà ad esse del regolamento, quindi, dovrebbero impedire l’accreditamento dell’organismo. Una volta accreditato, inoltre, l’organismo è tenuto a rispettare il proprio regolamento che viene portato a conoscenza del pubblico degli utenti. Costoro, sulla scorta delle misure concretamente adottare e rese disponibili dagli organismi di mediazione anche in materia di sicurezza, sono messi in grado di operare le scelte conseguenti e, quindi, di rivolgersi all’organismo che ritengono di preferire e, altresì, di pretendere che le mediazioni si svolgano in conformità alle relative disposizioni, oltre che nel pieno rispetto delle normative vigenti. L’autonomia regolamentare dell’organismo, stante la natura nel complesso imperativa delle norme dettate sulla riservatezza, si esplicherà tendenzialmente nell’elevazione dei livelli di tutela dei contendenti e, comunque, nella costruzione e concreta gestione del sistema di sicurezza della mediazione, da combinare con tutte le restanti scelte organizzative e di funzionamento adottate dall’ente. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 167 La riservatezza della mediazione, infatti, non si realizza unicamente attraverso le norme e le disposizioni del regolamento ad essa dedicate, in quanto, seppur indirettamente, sono suscettibili di assumere rilievo anche quelle altre regole concernenti altri aspetti organizzativi e gestionali del procedimento. A tal proposito, il medesimo art. 3, comma 3, d.lgs. 28/2010 dispone che gli atti del procedimento di mediazione non sono soggetti a formalità. In tal modo, si lascia all’autonomia dell’organismo e alle decisioni dei mediatori in esso operanti l’individuazione delle modalità di gestione del conflitto che garantiscano al meglio la riservatezza e la sicurezza della mediazione, evitando inutili quanto rischiosi appesantimenti formali costituiti da eccessive verbalizzazioni o riproduzioni documentali di dichiarazioni e attività. La libertà dai formalismi, pertanto, deve essere intesa non solo quale principio generale di efficienza e duttilità del procedimento, ma anche quale meccanismo che favorisce la tutela della riservatezza dei contenuti della mediazione, oltre che la sicurezza nel trattamento dei relativi dati. Nel regolamento si devono altresì indicare le modalità telematiche di svolgimento della mediazione utilizzate dall’organismo. L’impiego dei mezzi di comunicazione a distanza, anche sotto quest’aspetto, impone l’adozione di soluzioni organizzative e gestionali adeguate a garantire elevati standard qualitativi di riservatezza e sicurezza. Le modalità telematiche, in quanto permettono di oltrepassare gli spazi materiali dell’organismo e di prendere contatto anche con persone ubicate all’esterno delle strutture riservate della mediazione, determinano maggiori rischi di fuoriuscita delle informazioni e dei dati personali trattati e, quindi, ingenerano più gravi pericoli per la riservatezza dei contenuti della mediazione. In questo senso, si prescrive espressamente che nel regolamento di procedura, fermo quanto disposto dal d.lgs. 28/2010, debbano essere previste le procedure telematiche eventualmente utilizzate dall’organismo, in modo da garantire la sicurezza delle comunicazioni e il rispetto della riservatezza dei dati. L’impiego delle varie tecniche di comunicazione a distanza nella mediazione, in prospettiva, solleverà i maggiori problemi di tutela della riservatezza, se solo si considerano sia la spinta della riforma verso la mediazione telematica al fine di favorirne la diffusione e semplificarne l’accesso al largo pubblico, sia la tendenza generalizzata a delocalizzare la gestione dei servizi mediante soluzioni più razionali ed efficienti che permettono il contenimento dei tempi e il risparmio dei costi per l’organismo e per gli utenti. E’ da auspicare, pertanto, che nell’impiego crescente delle tecniche di comunicazione a distanza siano garantiti sempre adeguati livelli di riservatezza e sicurezza della mediazione. Le modalità telematiche nell’erogazione dei servizi della mediazione, sotto un piano differente, potrebbero essere congeniali alla migliore tutela della riservatezza in quanto permettono la gestione della procedura di mediazione a distanza, senza la contestuale Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 168 presenza fisica dei contendenti e del mediatore nel medesimo ambiente. A tal proposito, si osserva come non sia affatto semplice garantire la riservatezza della mediazione in quei contesti affollati e, comunque, frequentati da più persone che, inevitabilmente, dall’incontro o dalla frequentazione nei locali dell’organismo finiscono per evincere il coinvolgimento degli utenti nel procedimento di composizione stragiudiziale del conflitto. Basta segnalare che i principali organismi di mediazione aventi competenza generale sono quelli costituiti dai consigli degli ordini degli avvocati che operano presso i locali dei Tribunali e dalle stesse Camere di commercio che utilizzano le proprie sedi, dove verosimilmente non si riesce a garantire la piena riservatezza in ragione di una pluralità di utenti che si rivolgono ai vari servizi giudiziari e camerali. Siffatti pericoli legati alle utenze promiscue o, comunque, plurime allo sportello, di contro, non vi sarebbero nella gestione telematica delle procedure direttamente da casa o dall’ufficio dei contenenti che, collegandosi con i mezzi di comunicazione a distanza, come rilevato, sarebbero esposti a rischi differenti per quanto concerne la violazione della riservatezza e della sicurezza dei dati trattati. Gli organismi di mediazione più importanti e strutturati, peraltro, nell’erogazione dei servizi dovranno utilizzare e sapientemente combinare sia le modalità tradizionali di incontro di persona dei mediatori con i contendenti e sia quelle telematiche, da mettere a disposizione ogni volta si renda necessario per garantire la riservatezza e, comunque, la tempestività dell’accesso e dello svolgimento delle procedure. 4. La riservatezza interna ed esterna. Nel corpo del d.lgs. 28/2010, come accennato, sono ravvisabili numerose disposizioni riferite alla tutela della riservatezza e, in particolare, ad essa sono interamente dedicati gli artt. 9 e 10, nei quali sono state trasfuse e sviluppate le prescrizioni europee che assumono un ruolo fondamentale nello statuto generale della mediazione. Più precisamente, l’art. 9, rubricato “Dovere di riservatezza”, si incentra sulla posizione giuridica di quanti sono impegnati nella mediazione, distinguendo una riservatezza da mantenere verso i terzi, ossia rivolta alla costruzione di una barriera protettiva verso l’esterno (c.d. riservatezza esterna), e una riservatezza da garantire all’interno dello stesso procedimento tra mediatore e singole parti, in modo che l’una non abbia conoscenza dei contenuti riservati concernenti l’altra (c.d. riservatezza interna). La prima declinazione della riservatezza assume portata generale, riferita a tutte le mediazioni, la seconda si riferisce ai procedimenti nei quali si svolgono sessioni di incontri separati tenuti dal mediatore in maniera disgiunta con ciascuna delle parti, i cui contenuti sono da mantenere riservati in primo luogo rispetto alle controparti, oltre che nei confronti dei terzi estranei. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 169 L’art. 9 impone l’obbligo della riservatezza, indicando i soggetti ai quali si riferisce e i contenuti protetti. Sul piano soggettivo, con formula ampia e comprensiva si dispone che alla riservatezza è tenuto chiunque presta la propria opera o il proprio servizio nell’organismo o comunque nell’ambito del procedimento di mediazione. La riservatezza, pertanto, è imposta a tutti coloro che sono coinvolti nel procedimento di mediazione, tanto se risultino impegnati a prestare l’opera o il servizio all’interno dell’organismo (al riguardo si segnalano, in primo luogo, i mediatori e gli esperti o gli ausiliari dei quali esso si avvale, oltre che il responsabile, i dipendenti e i collaboratori della segreteria), quanto se agiscano all’esterno ma abbiano un ruolo nell’ambito del procedimento (tra essi, in particolare, assumono rilievo i rappresentanti, gli ausiliari delle parti contendenti) e, comunque, gli altri soggetti che sono coinvolti durante le sequenze che precedono, accompagnano e seguono l’incardinamento della mediazione. Così, per quanto riguarda la presentazione dell’istanza, la comunicazione della nomina del mediatore e della data del primo incontro, oltre che gli avvisi concernenti gli incontri successivi, ci si avvale dei vari mezzi comunicativi direttamente disponibili (per esempio telefono, fax, cellulare, email, accesso al sito web e alla rete internet) ovvero della corrispondenza cartacea spedita tramite gli uffici postali o i corrieri. Ancora, all’esterno si svolgono una serie di verifiche e controlli che concernono, tra l’altro, i profili dell’ammissione al gratuito patrocino, il pagamento delle indennità di avvio e di mediazione, oltre che delle ulteriori spese, l’autentica notarile del verbale di conciliazione in materia immobiliare, l’omologa presidenziale dell’accordo conciliativo, l’iscrizione di ipoteca giudiziale o l’esecuzione forzata o in forma specifica degli accordi conciliativi omologati, l’applicazione dei vantaggi e delle agevolazioni fiscali. A carico di tutti i soggetti direttamente o indirettamente impegnati nell’organismo e, comunque, coinvolti nell’ambito del funzionamento della mediazione, quindi, si stabilisce una comune regola di generale rispetto della riservatezza che abbraccia tutti i procedimenti, per l’intero relativo svolgimento, comprese le sequenze correlate. In relazione ai profili contenutistici dell’obbligo di riservatezza, la norma si riferisce espressamente alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento di mediazione. La formulazione deve intendersi in senso ampio e comprensivo, in ragione delle finalità perseguite e dei valori tutelati con la prescrizione della riservatezza. Pertanto, sono da ritenere coperti tutti i contenuti delle dichiarazioni rese in mediazione, sia quelle provenienti dalla parti contendenti e dai loro rappresentanti o assistenti, sia quelle emesse dal mediatore e dagli esperti o collaboratori dei quali si avvalga, sia le dichiarazioni rese dai terzi che a vario titolo intervengano nei procedimenti di mediazione, per esempio, come persone in qualche modo a conoscenza delle vicende oggetto della controversia o ad essa variamente collegate. L’obbligo di riservatezza, inoltre, riguarda tutte le informazioni Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 170 acquisite durante il procedimento di mediazione. La riservatezza, di conseguenza, si riferisce a qualsiasi contenuto delle informazioni comunque portate nel procedimento, senza esclusioni o limitazioni. In sostanza, a tutela dei contendenti di dispone che l’esistenza della mediazione e tutti i corrispondenti contenuti rimangano tendenzialmente coperti dalla riservatezza nei confronti dei terzi. Tuttavia, occorre precisare che l’esistenza e alcuni essenziali contenuti della mediazione, in relazione alle esigenze poste dagli incombenti processuali e attuativi connessi al procedimento finalizzato alla conciliazione, possono essere portati a conoscenza degli uffici giudiziari ed, eventualmente, finanziari e, comunque, di quelli preposti alla tenuta dei registri immobiliari, ai quali si estende l’obbligo di riservatezza verso l’esterno. A fonte della richiamata regola generale, ancorché non integrale, sulla riservatezza esterna, come anticipato, l’art. 9, comma 2, prescrive pure una più limitata riservatezza interna tra il mediatore e le singole parti contendenti, con riferimento alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite nel corso delle sessioni separate. La riforma della mediazione, infatti, prevede che il mediatore possa svolgere sia incontri congiunti nel contraddittorio di tutte le parti contendenti, sia incontri separati con le singole parti, dalle quali può ricevere dichiarazioni o acquisire informazioni che debbono essere mantenute riservate verso le controparti. Il mediatore, infatti, negli incontri separati si confronta riservatamente con la parte ascoltandola e scambiando dichiarazioni e informazioni che possono aggiungersi a quelle condivise tra le parti e riguardare aspetti ulteriori della controversia ovvero argomenti estranei all’oggetto del contendere, che sono ritenuti utili a capire le posizioni in conflitto e a individuare i possibili percorsi risolutivi finalizzati alla conciliazione. Con la riservatezza interna, in sostanza, si favorisce il dialogo libero e il confronto franco con il mediatore, permettendogli di conoscere in maniera più approfondita e completa le posizioni effettive, le esigenze autentiche e i desideri nascosti di ciascun contendente. La tutela della riservatezza interna, comunque, è lasciata nella disponibilità della parte che rende le dichiarazioni o alla quale si riferiscono le informazioni acquisite in sessione separata. La stessa parte, infatti, potrebbe ritenere di condividere il contenuto delle proprie dichiarazioni e informazioni con una, alcune o tutte le controparti. In questo caso, qualora la parte non intenda ripetere ovvero portare tali contenuti direttamente a conoscenza delle controparti, comunque, potrebbe prestare il consenso affinché le stesse siano rese edotte dal mediatore. Di conseguenza, spetta al mediatore nel corso delle sessioni riservate o di quelle congiunte, in funzione del perseguimento del successo della mediazione, rendere condiviso nelle modalità più adeguate il contenuto delle dichiarazioni e delle informazioni che è stato autorizzato a svelare. In tutti i casi, la rinuncia della parte alla riservatezza interna lascia Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 171 comunque intatta la tutela della riservatezza esterna verso i terzi, che devono essere tenuti all’oscuro della dichiarazioni e delle informazione scaturenti dalla mediazione. Entrambi i piani di tutela della riservatezza, infine, emergono sotto altri profili della disciplina del procedimento di mediazione e del suo esito positivo o negativo. Così, ferma la riservatezza dell’intero procedimento di mediazione, le disposizioni del d.lgs. 28/2010 si soffermano sulle principali sequenze e sugli atti più importanti che contengono i dati trattati, quali risultano dall’impiego della tecnica di mediazione aggiudicativa e, comunque, dalla redazione dell’accordo conciliativo, ovvero dal verbale di mancata conciliazione. La riforma prevede che, in caso di insuccesso della tecnica di mediazione facilitativa, qualora le parti non abbiano raggiunto un accordo amichevole malgrado l’assistenza del mediatore, questi possa utilizzare la tecnica aggiudicativa, consistente nella formulazione di una proposta scritta di risoluzione del conflitto, sulla quale le parti sono invitate a esprimere l’eventuale adesione. La formulazione di una proposta scritta, peraltro, costituisce un obbligo per il mediatore ogniqualvolta le parti ne facciano concorde richiesta, dopo essere state informate delle possibili conseguenze in ordine alle spese processuali nel successivo giudizio. Entrambe le tecniche di mediazione sono contemplate e disciplinate dal d.lgs. 28/2010, secondo un criterio di sussidiarietà, nel senso che si passa alla seconda, di regola, in caso di insuccesso della prima. Le due tecniche presentano caratteristiche assai differenti, anche in relazione ai problemi di tutela della riservatezza che, per tanti versi, si complicano e cumulano nei casi di utilizzo di entrambe le tecniche di mediazione. Con l’una tecnica, infatti, il mediatore favorisce la ricerca di un accordo amichevole attraverso un confronto aperto sulle posizioni delle parti, assistite anche separatamente, in relazione all’esame di tutti i profili della controversia significativi per il raggiungimento della composizione concertata. Con l’altra tecnica, invece, il mediatore può o, in caso di richiesta congiunta, deve tentare di raggiungere diversamente una definizione della controversia tracciando per iscritto un’ipotesi risolutiva, circoscritta all’oggetto del contendere e rispettosa delle normative vigenti, sulla quale le parti sono tenute per iscritto a esprimere l’eventuale accettazione. Nel primo caso, la tutela della riservatezza, sia esterna che interna, si pone in relazione ai numerosi contenuti delle dichiarazioni e delle informazioni risultanti dal procedimento di mediazione, sia nelle sessioni congiunte e sia in quelle separate, che sono suscettibili di oltrepassare l’oggetto del contendere e le stesse posizioni conflittuali dei contendenti. Nel secondo caso, invece, la formulazione della proposta scritta solleva più delicati problemi non solo in ordine al vaglio di legalità, professionalità e imparzialità, in quanto deve essere rispettosa delle norme imperative e dell’ordine pubblico e non risultare condizionata da quanto emerso della precedente fase facilitativa, ma anche alla necessaria tutela della riservatezza. A tal fine, il d.lgs. 28/2010 prescrive che la proposta scritta non contenga alcun Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 172 riferimento alle dichiarazioni rese o alle informazioni acquisite nel corso del procedimento. Si vuole garantire il mantenimento della riservatezza sul contenuto della mediazione, per quanto attiene ai piani interno ed esterno. La disposizione, che lascia alla decisione delle parti acconsentire di riportare dichiarazioni o informazioni, si giustifica in ragione sia dell’utilizzo della forma scritta nella redazione dell’atto e sia della condivisione del contenuto tra le parti e pure all’esterno. La proposta scritta, infatti, viene comunicata a entrambe le parti, le quali entro sette giorni sono tenute a esprimere l’accettazione o il rifiuto. In caso di accettazione, il verbale di conciliazione redatto dal mediatore recherà incorporata la proposta scritta con l’adesione delle parti. In caso di rifiuto o di mancata accettazione, invece, il verbale di mancata conciliazione indicherà comunque la proposta scritta del mediatore. La proposta scritta rifiutata, che per il tramite del verbale di mancata conciliazione risulta dall’atto finale della procedimento, assume un rilievo notevole in sede giudiziale ai fini della decisione sulle spese processuali, che sono applicate dal giudice in deroga al criterio generale della soccombenza, ai sensi dell’art. 13, d.lgs. 28/2010. La norma, infatti, prevede delle conseguenze negative in sede di giudizio per la parte che non abbia accettato la proposta scritta formulata dal mediatore, allorquando essa corrisponda alla decisione del giudice, ovvero vi siano gravi ed eccezionali ragioni. Sebbene vincitrice nel giudizio, la parte che non ha accettato la proposta scritta del mediatore non ha diritto alla rifusione delle spese, ma deve pagare quelle processuali e della mediazione sostenute dalla controparte soccombente, oltre che corrispondere ulteriori somme e penalità. In entrambe le fattispecie, peraltro, per provvedere sulle spese processuali e sulle altre somme, il giudice è tenuto a valutare la proposta scritta formulata dal mediatore, di cui può sempre acquisire copia dalla segreteria dell’organismo. La conoscenza giudiziale del contenuto della proposta scritta, quindi, determina un’evidente limitazione della riservatezza della mediazione, che non si realizza invece nell’ipotesi in cui il procedimento si svolga integralmente in base alla tecnica facilitativa. In caso di mancato raggiungimento dell’accordo amichevole, il verbale negativo viene redatto dal mediatore senza altra indicazione che il dare atto della mancata partecipazione di una delle parti al procedimento di mediazione. L’indicazione è rilevante ai fini processuali e delle conseguenze negative a carico della parte non partecipante. Più precisamente, la mancata partecipazione senza giustificato motivo alla mediazione integra un elemento di prova rilevante ai sensi dell’art. 116 c.p.c., oltre a terminare l’applicazione la sanzione pecuniaria a suo carico. La partecipazione, oltre che la promozione del procedimento di mediazione finalizzato alla conciliazione, inoltre, costituisce fattore rilevante anche quale condizione di Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 173 procedibilità della domanda giudiziale. Nelle azioni relative alle controversie in materia civile e commerciale per le quali la mediazione è normativamente o convenzionalmente resa obbligatoria, infatti, il giudice rileva d’ufficio e la controparte può eccepire il mancato assolvimento della condizione di procedibilità. Anche per tale aspetto, quindi, si ravvisa una limitazione della riservatezza della procedura di mediazione rispetto allo sviluppo processuale. Nei segnalati momenti di raccordo con il processo civile, quindi, sono ravvisabili delle limitazioni alla riservatezza della mediazione che devono intendersi in maniera tassativa. 5. L’inutilizzabilità e segreto professionale. La riservatezza della mediazione, come accennato, è altresì presidiata dall’art. 10, d.lgs. 28/2010, che contiene le disposizioni sull’inutilizzabilità e il segreto professionale rilevanti principalmente per le condotte delle parti e dei mediatori. Anzitutto, all’art. 10, comma 1, si prescrive che le dichiarazioni rese e le informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione non possono essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato, riassunto o proseguito dopo l’insuccesso della mediazione. La disposizione contiene una regola generale con la quale si vuole evitare che i contenuti del procedimento finalizzato alla conciliazione siano impropriamente riversati nel successivo giudizio. Sono da scongiurare gli atteggiamenti opportunistici delle parti che raccolgano dichiarazioni e informazioni in sede di mediazione per un utilizzo strumentale diretto non tanto a favorire la composizione concertata della controversia, ma a procurare unicamente elementi probatori per avvantaggiarsi nella successiva definizione giustiziale della stessa. Quanto accade in mediazione, in via di principio, assume un esclusivo rilievo all’interno di questo procedimento e, tendenzialmente, non è riproponibile in sede processuale. L’inutilizzabilità delle dichiarazioni e delle informazioni costituisce la sanzione processuale con la quale si colpisce la produzioni e comunque l’acquisizione in giudizio dei materiali della mediazione. Il giudice, quindi, non deve ammette l’ingresso di tali materiali e, comunque, disporne l’estromissione dal processo. In nessun caso, il giudice deve tenerne conto nella decisione del merito della controversia. In tal senso, sempre all’art. 10, comma 1, si vieta espressamente l’ingresso nel giudizio del medesimo materiale rinveniente dalla mediazione tramite le altre prove processuali, non ammettendo sul contenuto delle dichiarazioni e delle informazioni la prova per testimoni e la devoluzione del giuramento decisorio. Le due prove si differenziano nettamente quanto ai soggetti chiamati in giudizio a riferire della mediazione, dal momento che mentre il Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 174 giuramento viene deferito tra le parti contendenti, la testimonianza concerne soggetti terzi, quali sono coloro che hanno prestato la loro opera o il loro servizio nel procedimento stragiudiziale, a cominciare dai mediatori, oltre che i periti, i collaboratori e lo stesso responsabile e, comunque, chiunque altro a vario titolo sia intervenuto o abbia conoscenza dei contenuti del medesimo procedimento. In termini soggettivi, pertanto, la tutela della riservatezza può dirsi piena in quanto si esplica nei confronti di tutti, parti o terzi, siano chimati in giudizio a riferire dei contenuti della mediazione. In termini oggettivi, tuttavia, tanto l’inutilizzabilità quanto l’inammissibilità delle prove si riferiscono soltanto ai contenuti delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite durante la mediazione, non già ai materiali probatori preesistenti, successivi o, comunque, esterni al relativo procedimento. Così, le dichiarazioni e le informazioni raccolte prima o altrimenti rispetto alla mediazione, malgrado siano state acquisite nel procedimento, rimangono utilizzabili o riferibili in giudizio. In tal senso, l’eventuale documentazione concernente la controversia, malgrado sia acquisita in mediazione, non sarà resa inutilizzabile nel processo. La preclusione processuale, infatti, dovrebbe riferirsi al solo materiale che sia non solo proveniente ma altresì formato in mediazione, che deve perciò essere mantenuto all’interno del procedimento, in quanto finalizzato unicamente al tentativo di una composizione negoziale del conflitto mediante la conciliazione. Se si opinasse diversamente, infatti, si finirebbe per pregiudicare la tutela giudiziale dei diritti dei contendenti, qualora si ritenesse che qualsiasi dichiarazione o informazione portata in mediazione sia in tal modo resa inutilizzabile in sede processuale. Si favorirebbero abusi e strumentalizzazioni che, lungi dal favorire la conciliazione, mediante la proposizione in mediazione dell’avverso materiale probatorio avrebbe lo scopo di neutralizzarne l’impiego in sede giudiziale al fine di impedirne gli effetti negativi per la parte pregiudicata dalle relative risultanze. L’art. 10, comma 1, in ogni caso, lascia aperta la possibilità per le parti di accordarsi diversamente, nel senso che la parte dichiarante o alla quale si riferiscono le informazioni può acconsentire alla limitazione della riservatezza e, quindi, all’utilizzo di tali dati in sede processuale. Il consenso della parte, a seconda dei casi, può essere rilasciato in sedi, momenti e con modalità differenti. Fin dalla mediazione, già dal momento dell’effettuazione della dichiarazione o dell’assunzione dell’informazione ovvero prima della chiusura del procedimento, la parte può acconsentirne l’eventuale utilizzo anche in giudizio. In mancanza, durante il processo il consenso della parte è concedibile anche in maniera concludente attraverso la non opposizione all’utilizzo delle dichiarazioni o informazioni ovvero all’ammissione dell’interrogatorio o della testimonianza sui relativi contenuti. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 175 La tutela della riservatezza su quanto accade in mediazione, inoltre, è completata dall’art. 10, comma 2, con particolare riferimento alla posizione del mediatore. Ai sensi della disposizione richiamata, in primo luogo, il mediatore non può essere chiamato a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nel procedimento di mediazione. La formulazione dell’esonero dall’obbligo di deporre risulta assai ampia, in quanto non è circoscritto alle sole deposizioni da rendere davanti all’autorità giudiziaria, ma si estende a qualsiasi altra autorità. Tale ampliamento è significativo poiché determina un rafforzamento della riservatezza nella mediazione tanto più significativo in ragione dell’ampia area di contenzioso interessata dal riforma del d.lgs. 28/2010 e, quindi, della pluralità di autorità giudiziarie, in sede civile, penale e amministrativa, e non giudiziarie, amministrative locali, regionali, nazionali e sovranazionali, davanti alle quali i fatti oggetto della controversia sono suscettibili, per tanti aspetti, di essere trattati. Si considerino, tra le altre, le fattispecie nelle quali la condotta illecita del dipendente fonte di responsabilità civile, per ciò portata nel procedimento di mediazione dalla vittima, assuma rilievo anche in sede penale e disciplinare davanti alle varie autorità preposte. L’art. 10, comma 2, infine, si conclude prescrivendo che al mediatore si applicano le disposizioni dell’articolo 200 del codice di procedura penale e si estendono le garanzie previste per il difensore dalle disposizioni dell’articolo 103 del codice di procedura penale in quanto applicabili. In tal modo, la riforma a provveduto a completare lo statuto del mediatore e della mediazione sul punto della tutela della riservatezza attraverso il richiamo delle disposizioni del codice di procedura penale, contenute nell’ambito delle discipline dedicate, rispettivamente, ai mezzi di prova (titolo II) e, in particolare, alla testimonianza (capo I) e al difensore e più precisamente alla sue garanzie. Nell’ordine, le disposizioni sul segreto professionale dell’art. 200 prevedono che talune categorie di soggetti112, chirurghi non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria. L’applicazione della disposizione al mediatore, quale professionista che assiste e parti nel raggiungimento di un accordo amichevole, è coerente esplicazione dei principi della riforma della mediazione, quali delineati a livello comunitario. In questo senso, tra il mediatore e le parti si realizza uno spazio di riservatezza che si impone anche nel giudizio 112 Ministri delle confessioni religiose (lett. a); avvocati, investigatori, consulenti tecnici, notai (lett. b); medici, chirurghi, farmacisti, ostetriche, esercenti professioni sanitarie (lett. c); gli esercenti altri uffici e professioni ai quali la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre determinata dal segreto professionale (lett. d) e i giornalisti professionisti (comma 3). Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 176 penale, nel quale le esigenze della riservatezza della mediazione prevalgono rispetto a quelle dell’accertamento processuale. Infine, al mediatore si estendono le garanzie di libertà del difensore dell’art. 103 c.p.c., per quanto attiene ai presupposti e alle modalità di esecuzione previsti per le ispezioni e le perquisizioni e i sequestri nell’ufficio del difensore, nonché le intercettazioni delle conversazioni e delle comunicazioni, il sequestro e il controllo della corrispondenza. La violazione delle relative disposizioni, peraltro, comporta l’inutilizzabilità dei risultati probatori ottenuti. L’estensione delle disposizioni ai mediatori, peraltro, è prevista in quanto siano compatibili. Perciò è affidato all’interprete il vaglio della compatibilità e dell’individuazione del concreto contenuto normativo, formulato con riferimento al processo penale, da estendere e applicare al procedimento di mediazione. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 177 Convivenza uomo-animale Il trasporto dell'animale su mezzi pubblici, navi ed aerei113 di Samantha Mendicino Si conclude con oggi questo sintetico ma analitico excursus afferente alle regole che disciplinano il trasporto dei nostri beniamini sui vari mezzi di locomozione. In base al principio del responsabile possesso, ogni proprietario deve aver consapevolezza di come affrontare le vicende del quotidiano in compagnia del proprio animale. Ed, infatti, se è vero che, per come dice il Qoèlet114, "...chi cresce il sapere aumenta il dolore" è altrettanto verititero che "la conoscenza è potere115". Dunque, quanto segue è la rappresentazione dell'attuale regolamentazione in materia ma è sempre consigliato, in anticipo rispetto alla partenza, richiedere le opportune informazioni sul trasporto animali all'ente/trasportatore specifico: tanto al fine di conoscere eventuali modifiche regolamentari e/o normative dell'ultimo momento. 1. I trasporti urbani In merito ad autobus e metropolitane, si deve far riferimento ai regolamenti comunali il cui contenuto può essere conosciuto anche tramite accesso ai siti on line dei singoli enti: i regolamenti (come anche altri atti amministrativi) sono normalmente riprodotti in apposite rubriche oppure, semplicemente, si può profittare dei recapiti dell'URP (Ufficio Relazioni col Pubblico) che saranno di certo ivi pubblicati. Due elementi, però, rimangono fermi in tutti i 113 Per tutti coloro che dovessero avere dei quesiti in tema, si ricorda che l'e-mail della redazione a cui inviare qualunque richiesta e/o domanda e/o comunicazione e/o commento è: [email protected] 114 Il Qoèlet o Qohèlet è uno dei libri dell'Antico Testamento della Bibbia ebraico-cristiana. In esso viene narrato un ipotetico dialogo tra il bene ed il male, con esposizione dei vari "perchè" convenga seguire il bene oppure del "perchè" no, soprattutto per il fatto incontrovertibile che ogni vita termina inevitabilmente con la morte. La conclusione pare essere che allora, se la morta è l'unico fine possibile in questa vita, tutto è vano. Ma Qoèlet (che tradotto significa: colei che è l'anima del discorso) consiglia: "Abbi fiducia nel Padre e segui le Sue indicazioni" 115 Francis Bacon in Novum Organum, trad. italiana di E. De Mas, Laterza , Roma-Bari 1992 Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 178 comuni: a) anche laddove sia consentito l'accesso ai cani su autobus e metrò, non si deve dimenticare che gli stessi dovranno essere condotti con museruola e guinzaglio; b) inoltre, potrebbe essere richiesto il pagamento del biglietto. Con riferimento ai taxi, invece, il discorso cambia: qui sono i singoli tassisti/conducenti a decidere se accettare o meno l'animale nell'autovettura. Ma non si deve dimenticare che occorre sin da subito segnalare al centralino, che si contatta per richiedere il mezzo, l'esistenza del nostro cucciolo: sarà cura di questi inviare chi sarà disposto a trasportare noi ed il nostro beniamino. 2. Il treno Qui iniziano i problemi, soprattutto, in considerazione delle recenti novità regolamentari applicate dall'11 dicembre 2011 da Trenitalia ai viaggi sui propri mezzi di trasporto: disposizioni ancor più restrittive e limitative del diritto dei cittadini a poter liberamente circolare assieme al proprio animale rispetto ad un paio di anni fa. Ma procediamo con ordine. Innanzitutto, analizziamo quelle che possiamo considerare le norme comuni, cioè applicabili a qualunque treno: 1) ricordiamo che all'atto di acquisto del biglietto per l'animale potrà essere richiesta l'esibizione del certificato di iscrizione all'anagrafe canina (per i cani provenienti dall'estero, invece, il "passaporto Uno dei tanti cuccioli in adozione c/o "Ass. Progetto Aiuta un cane a Vivere" (anche su facebook): la Ia causa degli abbandoni è la difficoltà di condurre con sè il proprio animale canino") ma, soprattutto, che questo certificato dovrà essere con noi durante il viaggio: se alla richiesta del controllore non lo potremo esibire, potranno essere irrogate delle penalità e potrebbe capitare che ci venga chiesto anche di scendere alla fermata successiva (anche se c'è da discutere su questo punto); 2) gli animali ammessi nelle carrozze non possono occupare i posti destinati ai viaggiatori e Trenitalia precisa, altresì, che "qualora -gli stessi- rechino disturbo agli altri viaggiatori l’accompagnatore dell’animale, unitamente all’animale stesso, su indicazione del personale del treno, è tenuto ad occupare altro posto eventualmente disponibile o a scendere dal treno." Ma, ovviamente, tale disturbo dovrà essere oggettivo e non è ammessa, per legge, nessuna deroga al principio generale del divieto di "abuso del diritto" da parte degli altri viaggiatori. A questo punto, ricordiamo che " ... i cani di piccola taglia, i gatti ed altri piccoli animali domestici da compagnia (custoditi nell’apposito contenitore di dimensioni non superiori a 70x30x50) sono ammessi gratuitamente nella prima e nella seconda classe di tutte le categorie di treni e nei livelli di servizio AV Executive, 1^ Business, 2^ Premium e 2^ Standard. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 179 E’ ammesso un solo contenitore per ciascun viaggiatore". Mentre a bordo dei treni con le carrozze a cuccette, vetture comfort, vagoni letto, vetture Excelsior ed Excelsior E4 si dovrà acquistare il compartimento per intero. Per tutti gli altri animali (dunque, anche i cani di taglia grande) è possibile il trasporto secondo il seguente schema: 1) sui treni Espressi, Intercity ed Intercity Notte (I a e II a classe) previo pagamento116 del biglietto di IIa classe ridotto del 50%; 2) sui treni Regionali nel vestibolo o piattaforma dell’ultima carrozza, con esclusione dell’orario dalle 7.00 alle 9.00 dei giorni feriali dal lunedì al venerdì (anche se non si comprende quale sia il ragionevole motivo di fondo a questo limite temporale...), previo pagamento del biglietto ridotto del 50%; 3) nelle carrozze letto, nelle carrozze cuccette ordinarie e comfort e nelle vetture Excelsior ed Excelsior E4 per compartimenti è necessario acquistare per intero la cuccetta ed il cane dovrà pagare anche un biglietto di II a classe ridotto del 50%. Ma attenzione: il trasporto è ammesso, previa riservazione al momento dell’acquisto del biglietto dell’accompagnatore. Ovviamente, il cane dovrà essere, in ogni caso, dotato di guinzaglio e museruola. 4) Nei treni Eurostar Italia possono viaggiare solo i cani guida per i non vedenti: ciò è negato a tutti gli altri animali. 3. Gli aerei Con riferimento ai velivoli non esiste un regolamento unico per tutte le compagnie aeree (qui esiste concorrenza: elemento che non esiste con riferimento ai trasporti in treno). Conviene sempre, per tale motivo, in largo anticipo rispetto alla data di partenza, informare la biglietteria dell'esistenza di un animale al seguito, anche per conoscere la possibilità e/o modalità di trasporto dello stesso oltre al relativo costo. Del pari, una volta conosciute tali informazioni, necessiterà anche prenotare il biglietto per il nostro beniamino e portare con noi il libretto sanitario (quando si va all'estero, occorre anche lo specile passaporto europeo 116 ATTENZIONE: se il proprietario dell'animale (al controllo del personale di bordo) dovesse risultare sprovvisto del biglietto per il proprio beniamino oppure conducesse con sè l'animale sui treni in cui non è ammesso il suo trasporto, sarà tenuto a pagare il prezzo del detto biglietto maggiorato di una sopratassa. Maggiore sarà la sopratassa nel caso in cui il proprietario dovesse essere sprovvisto della prescritta iscrizione all’anagrafe canina (intorno agli € 25,00). In tutte queste ipotesi, poi, il proprietario e l'animale saranno costretti a scendere alla prima fermata successiva al riscontro delle dette irregolarità. LISTINO PREZZI E SANZIONI consultabile su http://www.trenitalia.com/cms- file/allegati/trenitalia/area_clienti/Listino_prezzi_CapitoloIV_ParteII_Trasporto_Nazionale.pdf Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 180 che ne certifichi lo stato di buona salute117). In linea generale, in cabina è ammesso solo un certo numero di animali e sempre che questi (custoditi in gabbie) siano di piccola taglia, cioè di peso inferiore ai 10 Kg (gli uccelli, ad esempio, sono condotti nelle loro gabbie; i gatti, invece, normalmente sono condotti nei loro trasportini, anche se alcune companie aeree richiedono gabbie particolari). Per gli animali di taglia medio-grande, invece, la regola generale è quella del trasporto in apposite gabbie nella stiva (posteriore) pressurizzata e climatizzata. Non bisogna dimenticare, poi, che laddove l'aereo nazionale faccia scalo all'estero oppure ivi è il luogo di destinazione, sarà necessario informarsi sulle formalità/normative in vigore nello/negli stato/i interessati: esistono alcuni Paesi, infatti, in cui il nostro animale potrebbe anche essere sottoposto Gli abbandoni sono maggiori per gli animali di taglia medio-grande, più difficili da gestire negli spostamenti. Anche lui è in adozione c/o "Ass. Progetto Aiuta un cane a Vivere" a quarantena! Le informazioni possono essere acquisite sia presso la compagia aerea che (consigliabile) presso l'ambasciata del Paese interessato. Una curiosità: non molti sono a conoscenza della esistenza di una compagnia aerea americana, la PetAirWays118, che consente il trasporto degli animali con modalità di gran lunga più sicure e comode. Infine, si ricorda che le compagnie aeree low cost normalmente non accettano animali a bordo. 4. Le navi Sulle imbarcazioni, infine, non esistono problemi particolari. Si fa riferimento alle navi, ai traghetti ecc: le compagnie di navigazione generalmente applicano regole favorevoli al trasporto degli animali, soprattutto laddove si tratti di brevi traversate. Se l'animale è di taglia grande e non è possibile, perciò, portarlo nelle tipiche "borse da viaggio" per animali, potrebbe essere richiesto dalla regolamentazione (il cui contenuto si raccomanda di richiedere al momento della prenotazione dei biglietti o, meglio, se in data 117 A lezione di... Diritto Civile: Rapporto tra uomo ed animale, Nuove frontiere del diritto, n. 2, pag. 52 e ss. Disponibile su www.nuovefrontierediritto.it 118 Opera negli Stati uniti e permette agli animali di viaggiare in apposite gabbie all'interno della cabina e non nelle stive dove vengono relegati i bagagli dei passeggeri. Esiste sull'aereo del personale adibito al controllo degli animali (che avviene ogni 15 minuti circa), anche se i costi risultano ancora elevati Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 181 anche anteriore) il trasporto dell'animale sul ponte. Su alcuni traghetti, infatti, vige il divieto di condurre l'animale di media-grande taglia all'interno della nave. Non si deve mai dimenticare, inoltre, di portare con sè il libretto sanitario (sempre meglio evitare le eventuali sanzioni in caso di omissione) oltre al guinzaglio ed alla muserola. 5. I cani dei non vedenti - i cani poliziotto - i cani destinati ad operazioni di salvataggio Tutto quanto descritto sino a qui non concerne i cani guida i quali hanno diritto a viaggiare assieme al loro padrone gratuitamente ed in qualunque mezzo di trasporto (anche in aereo). Ciò con l'unica accortezza di doverlo fornire di museruola (ma solo eventualmente: ad esempio, nei treni questo obbligo non sussiste per espressa disposizione regolamentare mentre sugli aerei è previsto) oltre che di guinzaglio (comunque necessario al non vedente per usufruire del proprio ausilio a quattro zampe). Per i cani guida non è necessario avere con sè il certificato di iscrizione all'anagrafe canina e non si applicano tutti gli altri obblighi/vincoli previsti in via generale per i cani. Questa è una diretta applicazione del principio di uguaglianza sostanziale (art. 3 Cost.) ma, soprattutto, è una necessaria misura atta a garantire il diritto inviolabile della persona a muoversi liberamente, a condurre una vita dignitosa ecc. in adempimento del dovere inderogabile di solidarietà sociale (art. 2 Cost.). Inoltre, le medesime regole più favorevoli sono estese anche ai conduttori/proprietari dei cani poliziotto e di quelli destinati alle operazioni di salvataggio. Tanto per evidenti motivi di sicurezza ed ordine pubblico. Ma non solo perchè ricordiamo, seppure brevemente, che i cani prima del loro "arruolamento" devono essere sottoposti ad accurate visite sanitare (esami clinici, Molti tra i cani poliziotto e quelli destinati alle operazioni di salvataggio (in tutto il mondo) sono "reclutati" tra i meticci. Grazie a tutti i volontari dell' "Ass. Progetto Aiuta un cane a Vivere" radiografie ecc) e debbono superare anche diverse prove psico-attitudinali, al fine di valutare la presenza dei requisiti caratteriali e psicofisici necessari per svolgere le loro eventuali future mansioni. Ciò garantisce, pertanto, una certa selezione tra gli animali che sarano poi destinati a tali funzioni. Soprattutto perchè quando si parla di requisiti psicofisici ci si intende riferire non solo alla prestanza fisica ma soprattutto alla pazienza, alla perseveranza ed all'equilibrio del cane. Solo dopo aver superato tutte queste selezioni, mediche e psico-attitudinali, il cane Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 182 inizia la sua "specializzazione" per essere destinato successivamente alle più disparate attività quali l'antidroga, il soccorso soprattutto nelle situazioni causate dalle calamità naturali, nella polizia giudiziaria o nei servizi antiesplosivo. N.B.: I prossimi approfondimenti saranno concentrati su: il maltrattamento degli animali e gli animali ed il Codice della Strada: il reato di omissione di soccorso ad animale ferito e riconoscimento dello "stato di necessità". Inoltre, la scheda pratica relativa ai nostri doveri in caso di incontro di un randagio. Ogni domanda, osservazione, richiesta, proposta e/o contributo sarà ben accetto. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 183 Il brocardo del mese di Pietro Algieri Iuris et de iure - iuris tantum La storia delle presunzioni è molto antica. La tradizione ebraica ha tramandato ai posteri la proverbiale sapienza di Re Salomone, esemplificandola nelle Scritture con il noto giudizio sulla controversia tra due donne che si contendevano la maternità del medesimo bambino ; la contesa fu decisa proprio sulla scorta di una presunzione semplice, che suggerì al re che la vera madre fosse quella disposta a perdere il figlio, piuttosto che vederlo morire. Ancora, tra le antiche leggi indiane il c.d. codice di Manù conteneva diverse presunzioni legali circa la mendacità dei contendenti e dei testimoni in un processo. A prescindere da tali riferimenti normativi risalenti nel tempo, tuttavia, l’istituto delle “presunzioni” entra a far parte a pieno titolo della storia del diritto in concomitanza con le prime costruzioni: in particolare, con lo sviluppo del diritto romano. Lo strumento presuntivo, inizialmente di valenza prettamente persuasiva, diviene col tempo anche meccanismo legale di prova e di ripartizione degli oneri. probatori; ben nota, tra le prime, è ad esempio la c.d. praesumptio Muciana, in virtù della quale si presumevano provenienti dal marito i beni di cui non fosse nota l’origine: anche tale presunzione non aveva all’inizio valore legale, ma lo assunse senz’altro in seguito, in consonanza con quello che storicamente è il processo di affermazione delle presunzioni iuris Entrate a far parte del panorama giuridico, le presunzioni non ne uscirono con la caduta dell’Impero romano; la loro applicazione non si interruppe, ma anzi fu a tratti valorizzata dalla tendenza alla prevalenza della prova legale sul libero convincimento del giudice; si avviò uno studio approfondito dell’istituto, che interessò i glossatori, i commentatori, gli umanisti; in particolare, fondamentali per la sistemazione teorica della materia furono le opere di Andreas Alciatus (Tractatus de praesumptionibus, 1551) ed ancor più di Jacobus Menochius (De praesumptionibus, coniecturis, signis et indicis, 1590); nel Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Le presunzioni prendono corpo nell’ambito delle prove artificiales (έντεχνоι nella terminologia aristotelica), ossia quelle fondate su operazioni logiche che, tramite il noto o il verosimile e in opposizione al metodo dimostrativo, cercano di conferire all’ignoto il più alto grado di attendibilità. Tale mezzo di prova veniva definito dai Roman con la la denominazione di “argumentum o argumentat”: esso è fondato sulla opinio posita in communi omnium intellectu, perfettamente corrispondente, ancora, alle κοίναι έννοιαι dei Greci, anche definite πρόληψις; Seneca traduce tale ultimo termine con la parola latina praesumptio Pag. 184 solco di tali impianti soprattutto a si muovono anche i trattatisti del XVII e XVIII secolo, impegnati superare il precedente approccio casistico e a dar corpo di sistema alla tematica Sforzo proseguito nel corso dell’‘800, ultimo secolo in cui la materia pare meritare in dottrina un approccio monografico: eppure, la legislazione sino ai giorni nostri ha continuato ad operare riferimenti – più o meno espliciti – all’istituto delle presunzioni. – Si suole tradizionalmente definire la presunzione come quel procedimento probatorio che, da un fatto noto, consente di inferire la sussistenza di un fatto ignoto direttamente rilevante per l’applicazione del diritto. Questa definizione appare certamente assai generica, e capace di ricomprendere fenomeni per la verità piuttosto diversi tra loro. Così, da sempre i giuristi hanno tentato di distinguere e classificare le differenti forme in cui esse si presentano. La prima e fondamentale distinzione deriva presuntiva. In tale ottica, si sono così dalla fonte giustificativa dell’operazione differenziate le “presunzioni legali”, dette anche praesumptiones iuris, da quelle “semplici”, dette anche praesumptiones hominis. Ora, mentre le presunzioni semplici sono notoriamente quelle che la legge lascia al libero apprezzamento del giudice; le presunzioni legali sono, invece, quelle che trovano il loro fondamento nella legge e che, pertanto, impongono al giudice di considerarle come validi elementi di prova senza lasciarne il giudizio al suo libero apprezzamento. A sua volta, nelle ipotesi di presunzioni legali si possono avere due diversi livelli di intensità: in un caso, praesumptiones iuris et de iure meglio note come presunzioni assolute, la resistenza della presunzione è massima, tale per cui nessuna prova del contrario può scalfire l’equivalenza stabilita dal legislatore; nell’altro, praesumptiones iuris tantum più conosciute come presuzioni relative, invece, è data la possibilità di provare la non corrispondenza a realtà di quanto ipotizzato come veritiero. Ritornando alle presunzioni semplici si può precisare che la fonte dell’equiparazione tra il fatto noto e quello ignoto consisterebbe in una massima di esperienza che, sulla base dell’id quod plerumque accidit, consentirebbe di affermare per via logico-induttiva che, data la nota sussistenza di x, sia assai probabile la presenza dell’elemento y, che, pertanto, viene assunto per vero. In altre parole, il giudice, al fine di accertare la sussistenza di un elemento rilevante per l’applicazione del diritto, potrebbe far riferimento ad un fatto noto per dedurne logicamente (ma sulla base di un’indagine empirica) la presenza anche del fatto ancora ignoto. L’elemento probabilistico, vera e propria anima delle presunzioni semplici, sarebbe in realtà molto spesso ratio giustificativa anche delle legali; così, il legislatore, proprio sulla scorta dell’id quod plerumque accidit, sceglierebbe di imporre la correlazione statistica in via generale, così da semplificare normativamente l’accertamento giudiziale. Da ciò, come si vedrà, è sorto l’equivoco di voler sempre ravvisare nella presunzione legale la Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 185 positivizzazione per via giuridica di una valutazione probabilistica, ritenuta dal legislatore tanto fondata da essere imposta erga omnes, giudice compreso; e proprio sulla falsa riga di tale impostazione, si è addivenuti ad escludere dal novero della nozione che qui ci occupa tutte quelle vicende che non apparivano spiegabili in termini di alta frequenza statistica: con il risultato di non cogliere talune correlazioni con la tematica dell’onere della prova, di ridurre aprioristicamente l’ampiezza della categoria in simmetricamente, di sfornire di un’adeguata collocazione fenomeni questione e, assolutamente analoghi sul piano degli effetti; che è ciò che più rileva. L’id quod plerumque accidit non è infatti l’unico fondamento giustificativo delle presunzioni legali; in primo luogo, per la considerazione generale per cui l’esperienza del legislatore potrebbe non coincidere con quella del giudice; ma soprattutto, perché la norma ha il potere di porre una presunzione prescindendo da qualsiasi frequenza probabilistica, perseguendo solo finalità di utilità o opportunità, senza che ciò infici la validità della presunzione stessa. Pertanto, può senz’altro affermarsi in via di principio la neutralità della presunzione legale in punto di attendibilità storica del fatto presunto: ogniqualvolta il legislatore sostituisca alla prova del fatto y la (più agevole) dimostrazione del fatto x, non interessa verificare che effettivamente tra i due vi sia una ragguardevole correlazione statistica; al contrario, il disposto normativo surrogherà qualsivoglia valutazione empirica, imponendo con la forza della legge un accertamento mancante. La classificazione qui proposta – presunzioni legali, assolute e relative, e presunzioni semplici – è assai risalente, ed è stata da più parti ed in più parti confutata, integrata, ridefinita. Tuttavia, assume ancora oggi valore convenzionale, ed in quanto tale viene costantemente riproposta anche ai giorni nostri, pur con le dovute cautele e precisazioni. Ed essa risulta accolta anche nel vigente codice civile, agli art. 2727 ss.; l’art. 2727 c.c., in particolare, definisce le presunzioni come “le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato”. La definizione legislativa, tuttavia, va integrata con un opportuno richiamo alle particolari caratteristiche che deve possedere il fatto noto posto a fondamento del procedimento presuntivo, e costituente la species della prova critica. In tale prospettiva, ciò che lo differenzia rispetto ad una qualsiasi fonte di prova della species rappresentativa è la sua natura non artificiale, ossia non preordinata a provare il fatto ignoto, ma di semplice argomento da cui desumerlo. La prova rappresentativa, invece, nasce proprio con la destinazione e la funzione di descrivere una realtà fenomenica ed in quanto tale è proposta al giudice. Proprio per questo, vi è chi ha considerato la presunzione come fonte probatoria primordiale, posta alla base di ogni argomentazione dimostrativa: il valore della testimonianza, ad esempio, poggerebbe sulla generale presunzione di veridicità degli uomini Tuttavia, tale opinione è eccessiva: la sussistenza e la Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 186 fondatezza di tale presunzione di veridicità ci sembrano tutte da dimostrare, né essa appare corrispondente alla realtà del procedimento probatorio; sempre restando alla testimonianza, essa non ha affatto valore di per sé, né lo acquista in virtù di una qualsivoglia presunzione; al contrario, tale mezzo di prova necessita di volta in volta di un vaglio, di una valutazione, tale per cui possa affermarsi che il narrante sia sincero e il narrato veridico. Astrattamente meno infondata, invece, ci appare altra ipotesi: quella di tener ferma la definizione legislativa, e sulla base della sua genericità ritenere che ogni mezzo di prova sia in realtà esso stesso una presunzione, ovverosia una prova critica A sostegno della tesi potrebbe appunto invocarsi che sempre l’accertamento di un fatto ignoto parte da un fatto noto, e che il procedimento presuntivo sia sempre il medesimo, ossia l’affidamento a massime di esperienza (o a precetti giuridici) che ci convincano che dal fatto noto sia dato assumere per vero l’ignorato Si potrebbe obiettare che, ad opinare così, si priverebbe di autonomia la categoria relativa disciplina. della prova critica, ma soprattutto si priverebbe di oggetto la Gli argomenti, però, non appaiono decisivi: l’eventuale assenza di un’etichetta legislativa ad hoc per la prova critica presuntiva non è di per sé un ostacolo, se prima non si dimostra che tale categoria meriti di essere isolata e diversamente regolamentata: in caso contrario, vale il brocardo entia non sunt multiplicanda sine necessitate. Quanto invece alla disciplina già prevista per le presunzioni quale mezzo di prova a sé, a prescindere dalla scarsità quantitativa delle indicazioni legislative andrebbero “perdute”, nulla osterebbe a ritenerle applicabili a qualsiasi che prova: se, ad esempio, le presunzioni semplici “sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti” (art. 2729 c.c. Tuttavia, se de iure condendo la tesi proposta può apparire non irragionevole, per ulteriore approfondimento, de iure condito essa si scontra legislativo, che pone le presunzioni sullo stesso piano quanto meritevole di con l’inequivoco disposto degli altri mezzi di prova; probabilmente il legislatore non si è avveduto che il procedimento presuntivo (legale e semplice), peraltro disciplinato con la inconsapevole genericità che si è sottolineata, potrebbe porsi quale “meccanismo di funzionamento” di tutte le prove, legali e non; ma l’impostazione prescelta dal codice civile non ci appare superabile da alcuna ricostruzione alternativa, per quanto fondata. Pertanto la definizione ivi contenuta può essere integrata, in virtù di una lettura sistematica che tenga conto degli altri mezzi di prova disciplinati altrove nel testo normativo, specificando – nei termini che si è visti – la particolare natura del fatto noto posto a base del procedimento presuntivo. sebbene prova rappresentativa e prova critica siano E può anche aggiungersi che, fenomeni concettualmente distinguibili, essi nella realtà interferiscono e si sovrappongono: accade laddove la prima funga da dimostrazione del fatto noto da cui scaturisce la seconda ed anche laddove la Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 187 prova indiziaria serva comunque ad argomentare e giustificare l’attendibilità di quella narrativa. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 188 Spigolature La buona fede di Samantha Mendicino Il richiamo al principio della buona fede pare essere un lietmotive del nostro ordinamento in tema di rapporti giuridici e/o di esercizio di diritti o poteri dei privati: lo individuiamo nel codice civile119 e lo ritroviamo anche nelle leggi speciali120. Ma, in concreto: cos'è la buona fede? 119 Ex multis: 1) artt. 1175 c.c., in materia di obbligazione: " Il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza"; 2) art. 1328 c.c., in materia di revoca della proposta contrattuale, " La proposta può essere revocata finché il contratto non sia concluso. Tuttavia, se l'accettante ne ha intrapreso in buona fede l'esecuzione prima di avere notizia della revoca, il proponente è tenuto a indennizzarlo delle spese e delle perdite subìte per l'iniziata esecuzione del contratto..."; 3) art. 1337 c.c., in materia di responsabilità precontrattuale, "le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede"; 4) art. 1358 c.c., contratti sottoposti a condizione, "colui che si è obbligato o che ha alienato un diritto sotto condizione sospensiva, ovvero lo ha acquistato sotto condizione risolutiva, deve, in pendenza della condizione, comportarsi secondo buona fede onde conservare integre le ragioni dell'altra parte"; 5) art. 1366 c.c., in tema di interpretazione, "il contratto deve essere interpretato secondo buona fede"; 6) art. 1375 c.c., in materia contrattuale,: "il contratto deve essere eseguito secondo buona fede"; 7) art. 1460 c.c., in tema di eccezione d'inadempimento, "Nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l'altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria , salvo che termini diversi per l'adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto. Tuttavia non può rifiutarsi l'esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze , il rifiuto è contrario alla buona fede" 120 Codice del consumo, D. Lgs. n. 206/2005, art. 33, in materia di vessatorietà delle clausole contenute nei contratti del consumatore, "Nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto..."; il cd. Statuto del contribuente, L. n. 212/2000, art. 10, in materia di rapporti tra Fisco e contribuente, “i rapporti tra contribuente ed amministrazione sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 189 Partendo dal suo concetto di base, ricordiamo che secondo l'art. 1147/I co. cc (in materia di possesso ma riferibile anche alla invalidità contrattuale che fa salvi i beni acquistati dal terzo in buona fede) "E’ possessore di buona fede chi possiede ignorando di ledere l’altrui diritto. La buona fede non giova se l’ignoranza dipende da colpa grave. La buona fede e presunta e basta che vi sia stata al tempo dell’acquisto". Dunque, già identifichiamo una buona fede in senso soggettivo, intesa come “ignoranza di ledere l’altrui diritto senza dolo o colpa grave” ed una buona fede in senso oggettivo, nota più generalmente come correttezza, che individua e richiama le regole di comportamento. L'obbligo di buona fede-correttezza è un autonomo dovere giuridico ed una specificazione degli inderogabili doveri di solidarietà sociale ex art 2 Cost. La sua finalità principale è quella di rappresentare una formula di chiusura dell'ordinamento giuridico: a tal proposito, nel richiamare il contenuto di Spigolature nel n. 1 della rivista (in tema di clausole generiche e/o elastiche121) ricordiamo qui brevemente che anche la buona fede fa parte di quelle clausole di salvezza che evitano che l'applicazione rigida e formale della legge si trasformi in ingiustizia sostanziale secondo il noto brocardo summum ius summa iniuria. Dunque, abbiamo precisato che la buona fede intesa come clausola generale è la buona fede oggettiva e, dunque, essa è sinonimo di correttezza. Oggi, però, la buona fede da strumento di valutazione del comportamento122 delle parti (in conformità al regolamento e che non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato ad indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria, ancorchè successivamente modificate dall’amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni ed errori dell’amministrazione”; ecc. 121 122 Spigolature, Nuove frontiere del diritto, n. 1, pag. 303 e ss. Disponibile su www.nuovefrontierediritto.it Non dimentichiamo che mentre la violazione di norme inderogabili concernenti la validità comporta la nullità dell'atto; invece, la violazione di norme inderogabili concernenti il comportamento comporta una responsabilità di tipo risarcitorio. Ex multis ricordiamo Cass. Civ. SS.UU., sent. n. 26724/2007 in tema di responsabilità dell'intermediatore finanziario, secondo cui " ... la violazione dei doveri di informazione del cliente e del divieto di effettuare operazioni in conflitto di interesse con il cliente o inadeguate al profilo patrimoniale del cliente stesso, posti dalla legge a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario, non danno luogo ad una nullità del contratto di intermediazione finanziaria per violazione di norme imperative. Le suddette violazioni, se realizzate nella fase precedente o coincidente con la stipulazione del contratto, danno luogo a responsabilità precontrattuale con conseguente obbligo di risarcimento del danno; se riguardano, invece, le operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto, danno luogo a responsabilità contrattuale per inadempimento (o inesatto adempimento), con la Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 190 negoziale) è divenuta essa stessa fonte di obbligazioni ulteriori, e non pattuiti, per le parti contrattuali. Essa non sarebbe, dunque, espressione del generale principio del neminem ledere (art. 2043 c.c.) bensì fonte di obblighi di protezione (rectius obblighi ulteriori rispetto alla prestazione) che nascono in occasione dell’incontro delle parti contrattuali. Da questo ragionamento ben si può comprendere la differenza tra la buona fede e la diligenza: mentre quest'ultima impone l'adempimento degli obblighi inseriti nel contratto, indicando la "misura del dovere" (cioè il contenuto del comportamento che il debitore deve assumere); la buon fede richiede l'adempimento di quei doveri che, sebbene non cristallizzati nel contratto, risultano per il nostro ordinamento doverosi. Ed ancora, sottolineaiamo un'altra differenza: quella tra la buona fede ed equità. La prima è una clausola generale mentre la seconda può essere definita come la giustizia del caso concreto. Ciò anche se è stato osservato che il confine tra esse è evanescente: il giudice nell'applicare la buona fede o l'equità, in termini concreti, compie operazioni simili123. Ma tornando ad approfondirne il significato, si intende evidenziare che la circostanza che la buona fede abbia assunto una notevole importanza ai giorni attuali è il frutto di una conquista avvenuta mediante una lenta e lunga evoluzione dottrinaria e giurisprudenziale che possiamo sinteticamente ripercorrere al fine di poter meglio comprendere l'attuale portata di questa clausola generale. Si è già detto che originariamente il suo concetto coincideva con la nozione di correttezza e, dunque, la buona fede rappresentava (ed anche oggi rappresenta) uno strumento di valutazione dei comportamenti. Ma non passa molto tempo e la prima tappa evolutiva vede la buona fede trasformata, in ossequio all'art. 2 Cost., a strumento di integrazione degli obblighi contrattuali: dunque, è in virtù della buona fede che le parti del contratto sono tenute non solo ad eseguire ciò che è contrattualmente previsto ed, in via integrativa, i comportamenti imposti dalla legge, dagli usi e/ dall'equità ma anche ad assumere quelle condotte solidali (ex art. 2 cost.) che risultano rispettose degli interessi della controparte. Non solo: il contenuto della buona fede, ben presto, dimostra la sua naturale propensione a rappresentare il limite all'esercizio del diritto del singolo a garanzia della funzione allo stesso conseguente possibilità di risoluzione del contratto stesso, oltre agli obblighi risarcitori secondo i principi generali in tema di inadempimento contrattuale" (dal sito www.cortedicassazione.it e, precisamente, http://www.cortedicassazione.it/Notizie/GiurisprudenzaCivile/SezioniUnite/SchedaNews.asp?ID=1841). Oppure: Cass. Civ, ord. n. 3683 del 16 febbraio 2007, nota di SCODITTI, Regole di comportamento e regole di validità nei contratti su strumenti finanziari: la questione alle sezioni unite in Foro Italiano I, 2007, 2093. 123 SACCO R., Il contratto, in Tratt. Dir. Civ., diretto da Vassalli, vol. IV, Torino, 1975, pag. 798 e ss. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 191 diritto attribuito dalla legge. Da qui discende il collegamento tra la buona fede ed il generale divieto dell'abuso del diritto con tutte le sue applicazioni (tra cui l'exceptio doli generalis124). In breve: anche quando alcuni comportamenti ricevono l'avallo normativo da parte dell'ordinamento, ciò non toglie che essi possano essere vietati funzionalmente. E ciò accade quando questi siano posti in essere per fini fraudolenti o capricciosi che sviano la funzione inizialmente attribuita loro dalla legge: ciò che sul piano formale è un diritto/potere della parte, secondo la legge, diviene sul piano sostanziale un abuso dello stesso diritto/potere125. Sul piano sanzionatorio la violazione della buona fede, in tutte le suesposte accezioni, prevede il rimedio del risarcimento del danno (sub specie di responsabilità contrattuale o extracontrattuale) oppure, nei casi più gravi, della risoluzione per inadempimento, oppure ancora, l'applicazione dell'exceptio doli generalis contro l'azione che rappresenti esercizio abusivo del diritto. Tuttavia di recente, la giurisprudenza, soprattutto in materia di contratti del consumatore, ha prospettato la possibilità che la buona fede (elevata a mezzo di controllo dell'autonomia negoziale) assurga a vera e propria regola di validità del contratto. E' evidente che da questa premessa ne deriverebbe, sul piano sanzionatorio, che alla sua violazione fa seguito la nullità virtuale della stipulazione (art. 1418 c.c.): tanto quale conseguenza della violazione della norma imperativa che impone condotte corrette in sede di stipulazione. 124 C'è da Alcuni esempi: - nell'ambito dell'aumento del capitale sociale, qualora esso sia finalizzato all'estromissione di uno o più soci; - nell'ambito del contratto autonomo di garanzia, qualora il creditore, dopo aver già ricevuto il pagamento dal debitore principale, maliziosamente pretenda (essendogli consentito dalla legge, in base alla regola della autonomia dei relativi rapporti) l'adempimento anche dal garante "a prima richiesta" (il quale avrà salva la possibilità di regresso nei riguardi del garantito) ecc. Ancora: - la L. 192/1998, sulla disciplina della subfornitura nelle attività produttive, che fa espresso riferimento al divieto di abuso dello stato di dipendenza economica nella quale si trova una impresa cliente o fornitrice nei confronti di un’altra impresa; - l'ipotesi di doppia alienazione immobiliare; Il detto principio esiste anche in diritto tributario: “Il giudice comunitario ha affermato il principio dell’abuso del diritto in materia tributaria secondo cui: non possono trarsi benefici da operazioni intraprese ed eseguite al solo scopo di procurarsi un risparmio fiscale” (Cass., sez. trib, sent. n. 22932/2005 e di pari tenore: Cass. sez. trib., sentt. n. 21221/2006 e n. 20398/2005) 125 L'orientamento giurisprudenziale e dottrinario moderno ammettono l'esistenza nel nostro sistema giuridico del divieto dell'abuso del diritto che, altro non sarebbe, se non una categoria generale nella quale far rientrare ogni ipotesi in cui un diritto cessa di ricevere tutela per essere stato esercitato al di fuori dei limiti stabiliti dalla legge. Esempi tipici sono: - l'abuso della cosa da parte del creditore pignoratizio; - il divieto di concorrenza sleale (art 2598 c.c.); - la minaccia di far valere un diritto (art 1438 c.c.); - l’abuso della potestà genitoriale ecc. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 192 precisare, però, che tale interpretazione è stata utilizzata in materia di contratti di intermediazione finanziaria da quella parte di giurisprudenza che ha intravisto nella omissione degli obblighi informativi (che l'intermediario finanziario deve assolvere in favore del risparmiatore/investitotre) un comportamento contrario a buona fede a tal punto da inficiare la validità stessa dei contratti conclusi126 (punibili con la loro nullità). Non appare un fuor d'opera il menzionare, infine, che la necessità del rispetto della clausola della buona fede si è estesa altresì all'attività amministrativa, iure privatorum o autoritativa. Si richiama, a tal uopo, la sentenza pronuciata dal Consiglio di Stato n. 3536/2008 in cui si verteva di un contenzioso ove la P.A. veniva accusata di aver indotto in errore il privato in buona fede: “... nel rispetto dei principi fondamentali fissati dall’art. 97 della Costituzione, l’amministrazione è tenuta ad improntare la sua azione non solo agli specifici principi di legalità, imparzialità e buon andamento, ma anche al principio generale di comportamento secondo buona fede, cui corrisponde … l’onere di sopportare le conseguenze sfavorevoli del proprio comportamento che abbia ingenerato nel cittadino incolpevole un legittimo affidamento127”. 126 Non si dimentichi, tuttavia, che -al di là dei contrasti di vedute in merito- resta regola immanente nel nostro ordinamento giuridico la distinzione tra norme di comportamento, la cui violazione dà origine a responsabilità aprendo la strada anche al rimedio della risoluzione, e norme di validità dei contratti, la cui violazione incide sulla genesi del contratto determinandone la nullità. Ciò si precisa perchè è la stessa giurisprudenza (proprio in tema di obblighi di informazione gravanti sugli intermediari finanziari nella prestazione dei servizi di investimento) a ribadire tale distinzione 127 Si possono leggere in materia anche: - Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 1441/2012, in materia di correttezza nella negoziazione precontrattuale della P.A.; - Cons. Stato, sez. V, sent. n. 3384/2007, in materia di correttezza negli appalti della P.A.; - Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 6190/2006 ecc. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 193 Rassegna stampa FRANCIA: SCIENTOLOGY CONDANNATA TRUFFA setta di Scientology. David Miscavige, il leader della setta, è accusato di plagio e riduzione in schiavitù di alcuni membri di PARIGI - La corte di appello di Parigi ha Scientology. E il divo hollywoodiano, fra i condannato oggi per truffa e associazione fedeli più famosi, sarebbe tra coloro che a delinquere le principali strutture francesi hanno utilizzato squadre di operai dando di loro una paga da fame, 50 dollari a Scientology, confermando una sentenza precedentemente emessa. La settimana, giustizia di manovalanza sottopagata che avrebbe "avere approfittato della vulnerabilità di ex offerto la propria disponibilità alla star adepti per sottrarre loro importanti somme proprio e solo in virtù dell'appartenenza di denaro". Il Celebrity Centre e la libreria alla setta che richiede a tutti i suoi adepti Sel dovranno pagare rispettivamente una una abnegazione totale. La Chiesa di multa di 400 mila e 200 mila euro di danni. Scientology Internazionale, da parte sua, rimprovera ai condannati scrive il New Yorker. Una smentisce, rendendo noto che «non è mai Pubblicato il 02/02/2012 dall'ANSA stato notificato alcunché, cosa di cui il New Yorker MEMBRI DI SCIENTOLOGY RIDOTTI IN SCHIAVITÙ conoscenza ORA L'FBI INDAGA ANCHE SU TOM CRUISE l'articolo». era perfettamente prima di a pubblicare L'INDAGINE - Nel dicembre 2009 gli agenti IL DIVO AVREBBE APPROFITTATO DEL FATTO di una task force dell'Fbi che si occupa CHE LA SETTA RICHIEDE della tratta di esseri umani sarebbe stata a AGLI ADEPTI ABNEGAZIONE TOTALE. L'ATTORE AVREBBE colloquio UTILIZZATO SQUADRE DI OPERAI DANDO Scientology. Alcune ex seguaci della LORO UNA PAGA DA FAME, 50 DOLLARI A comunità religiosa avrebbero detto agli SETTIMANA investigatori di essere state costrette ad Sarebbe coinvolto anche Tom Cruise, abortire su richiesta della loro guida stando spirituale. Il codice penale della California a quanto riportano i media con serie di membri indicatori di americani, nell'indagine su cui l'Fbi lavora elenca da oltre un anno che è relativa a un rientrano nella categoria «mercato degli presunto mercato di esseri umani nella esseri umani»: segni di trauma o di fatica, Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico una alcuni che Pag. 194 la paura o l'impossibilità di parlare a causa affidandosi totalmente a lui. Jett Travolta, della censura imposta da altri o misure di primogenito di Mr Pulp Fiction e Kelly sicurezza la Preston, è morto venerdì mattina dopo comunicazione. Tali condizioni sono state aver battuto la testa nella vasca da confermate dalle testimonianze di molti ex bagno della villa delle Bahamas mentre membri sfruttamento era in vacanza con i genitori e la sorellina economico di Scientology dei suoi membri Ella Bleu, di otto anni. Forse ha avuto un e attacco le che della impediscono setta. pratiche Lo brutali seguite dalla cardiaco, forse una crisi comunità religiosa sono sempre state ai epilettica: questo lo stabilirà l'autopsia confini della legalità, e a quanto sembra disposta dalle autorità per domani. Di Jett, L'Fbi sospetta che si siano trasformate in è certo solo che aveva la sindrome di vera schiavitù. Kawasaki, una malattia che provoca l'infiammazione dei vasi sanguigni nei Pubblicato il 09/02/2011 su corrieredellasera.it bambini e che, in forma grave, può causare seri problemi al cuore. La dinamica dell'incidente è stata ritrattata con il passare delle ore. Il sito Tmz.com, SCIENTOLOGY E LA MALATTIA NEGATA: TRAVOLTA che per primo ha rilanciato la notizia JR, FIGLIO MAI CRESCIUTO citando fonti locali, ha scritto che Jett era stato visto vivo l'ultima volta giovedì sera, MORTO A 16 ANNI. PER L'ATTORE NON quando stava entrando in bagno. Il SOFFRIVA DI AUTISMO: «MIGLIORÒ GRAZIE ragazzino è stato poi trovato inerte per ALLA CHIESA DI HUBBARD». LA VERSIONE terra dalle due nannies il mattino dopo DELLA DELLA alle dieci. La corsa in ambulanza al Rand INDOTTA Memorial Hospital di Freeport è stata DALL’ECCESSO DI DETERSIVI USATI PER inutile: qui i medici non hanno potuto che DISINFETTARE LA CASA constatarne il decesso. Questa la cronaca Un bambino nel corpo di un ragazzone. riportata nel bollettino della polizia di Old Avrebbe compiuto diciassette anni ad Bahama Bay. Micheal Ossi, il legale di aprile. Ma lo sguardo, l'espressione, i John Travolta, ha però negato che Jett sia movimenti, tradivano l'ingenuità ancora rimasto per tante ore da solo senza aiuto. infantile. Appare così nell'ultimo, rarissimo, E ha anche puntualizzato che la morte video «rubato» a Parigi lo scorso dicembre sarebbe e ritrasmesso adesso dalla Cnn, dove un ricovero. po' spaesato dalle telecamere, la bocca L'esatta sequenza non attenua la tragedia aperta, stringeva la mano del padre, che ha colpito l'attore hollywoodiano e FAMIGLIA: SINDROME DI SOFFRIVA KAWASAKI, Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico avvenuta due ore dopo il Pag. 195 sua moglie. «Il padre è sconvolto, aveva campione di football Doug Flutie e la un rapporto molto stretto con il figlio», ha cantante Toni Braxton, non si era mai raccontato un altro avvocato, Michael voluto impegnare nella raccolta fondi o McDermott. nelle «Trascorrevano tantissimo campagne di sensibilizzazione. tempo insieme, lo portava sempre con lui, Sempre l'Hollywood Interrupted nel 2006 erano molto attaccati», ha aggiunto Obie ne denunciò l'assenza a Los Angeles Wilchombe, membro del Parlamento ed all'anteprima del documentario Normal ex ministro del Turismo delle Bahamas. I People Scare Me, le persone normali mi fan dell'attore di film indimenticabili come spaventano, La febbre del sabato sera e Grease hanno prodotto da Joey Travolta, sorella di John. già «Scientology creato gruppi commemorativi su dedicato — scrisse all'autismo allora — non Facebook («R.I.P Jett Travolta» ha raccolto permette di oltre 800 adesioni in meno di un giorno). E neurologico, non concepisce l'idea che si magari imperfetto, possa trattare con i farmaci. I Travolta qualcuno ha rilanciato alla star una hanno sempre spiegato la disabilità del vecchia accusa: «John, perché non hai figlio mai dicendo che a provocarla erano state le con tempismo ammesso che tuo figlio era con riconoscere un e la Sindrome di disordine Kawasaki, autistico?». tossine ambientali prodotte dai detersivi Il sito Hollywood Interrupted ripropone ora domestici». una intervista del 10 maggio 2007 a Tim confessato nel 2001 in un'intervista a Larry Kenny, gestore di un ristorante a Ocala, in King: «Jett a due anni quasi morì. Ebbe un Florida, dove ha casa la famiglia Travolta. attacco terribile, tremava tutto, la febbre «Quando venne da me con sua figlia gli alta. Lo portammo all'ospedale e gli chiesi, da padre a padre di una bambina diagnosticarono la sindrome. A lungo fui autistica, se faceva seguire qualche cura ossessionato dai germi che mio figlio particolare a Jett. Lui rispose che cercava poteva prendere dentro e fuori casa. di stimolarlo nelle arti. E si offrì di spedirmi Grazie un libro di Scientology... Ecco, non posso detossificazione proposto da Scientology dire che quel ragazzino abbia subito degli le sue condizioni di salute sono molto abusi, ma di sicuro Scientology ha una migliorate». La Chiesa di Ron Hubbard fu grossa responsabilità nella negligenza con tempio e certezza. Anche ora? (OMISSIS) a John un Travolta lo aveva programma di cui è stato curato». Altri familiari di autistici avevano manifestato la loro amarezza sul Pubblicato il Sunday Telegraph nel 2007, per il fatto che corrieredellasera.it 04/01/2009 su l'attore, a differenza di altre celebrità come il collega Sylvester Stallone, il Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico Pag. 196 NUORO: LIBERATA FRANCESE SEQUESTRATA DA TRE scritte richieste di aiuto. L’uomo ha subito CONNAZIONALI APPARTENENTI A SCIENTOLOGY avvertito le forze dell’ordine che, fatta irruzione nell’abitazione, hanno scoperto UN CITTADINO DEL POSTO HA TROVATO UN al primo piano i tre francesi e al secondo BIGLIETTO CON RICHIESTA D'AIUTO FUORI la donna di origine tunisina, seminuda e in DALLA CASA. LA DONNA, UNA 47ENNE DI pessime condizioni igienico-sanitarie: di ORIGINE TENUTA fatto era costretta a vivere in una stanza PRIGIONIERA IN UN CASOLARE SUL MONTE piena di rifiuti e a dormire su un materasso ORTOBENE sporco e pieno di insetti. Mentre la donna NUORO - Un sequestro di persona. A cui veniva potrebbe essere non estraneo il movente un’ambulanza del 118 in ospedale, gli religioso. Gli agenti della squadra mobile agenti della polizia hanno arrestato con di Nuoro hanno liberato domenica sera l’accusa di sequestro di persona i tre una 47enne francese di origine tunisina francesi: Decouduh Marie Calude 42 anni, sequestrata Kabbara Rachid Hassereldith 18 anni, TUNISINA, da tre ERA connazionali, tutti fatta accompagnare Julien 18 adepti della setta religiosa di Scientology, Queyrou in un casolare nel cuore della Sardegna, in accertamenti località Monte Ortobene. accompagnati nel carcere di Badu e LA LIBERAZIONE - L’operazione è partita Carros. di anni. rito Dopo da sono gli stati dopo la segnalazione di un cittadino del posto, che nei pressi di un casale rurale Pubblicato aveva trovato alcuni biglietti di carta con corrieredellasera.it Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica a carattere giuridico-scientifico il 21/01/2008 su Pag. 197 Il feilleuton LICEO A LUCI ROSSE Romanzo breve in 12 capitoli gentilmente ed esclusivamente scritto per la Rivista da Paola Lena Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica di diritto Pag. 198 Quarto Capitolo Amfetamine Mi sono precipitata in strada in cerca della mia macchina parcheggiata chissà dove. L’ho trovata per puro caso, completamente dimentica di dove l’avessi lasciata, tanto ero fuori di me. Prima di chiudere la porta di casa alle mie spalle ho controllato il sonno regolare di Lorenzo. Avevo pochi secondi per decidere come comportarmi con lui, se svegliarlo e portarlo con me o lasciarlo dormire. Ho immaginato la scena, mi sono vista scuoterlo con agitazione, vederlo aprire gli occhi con fatica, alzarsi con riluttanza sollecitato dalle mie urla disperate, osservarlo spazientita, nel momento in cui avrebbe iniziato a piangere confuso e disorientato. Decidere di lasciarlo dov’era è stata la conclusione più logica, l’unica attuabile in quel momento. Gli ho scritto un messaggio su un foglio sopra il tavolo della cucina: “Tesoro, sono andata a prendere Adele all’uscita dalla discoteca. Se hai bisogno puoi chiamarmi sul cellulare. Baci Mamma”, annotando il numero del mio telefonino subito dopo. L’eventualità che possa svegliarsi è davvero remota: in genere il sonno di Lorenzo è profondo e ininterrotto. Provo sempre una sottile e benevola invidia nell’osservarlo mentre riposa. Vederlo dormire mi ha sempre suscitato una sensazione di benessere totale. Adesso che sto al volante della mia automobile con i fari delle altre macchine che mi sparano la loro luce accecante negli occhi, penso di aver fatto una pazzia a lasciare il mio bambino solo in casa. Mi vengono in mente mille altre soluzioni che non ho preso in considerazione, prima fra tutte quella di chiamare la mia vicina Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica di diritto Pag. 199 Clara che in casi del genere non si è mai tirata indietro. Di sicuro si sarebbe infilata la vestaglia ben disposta a vegliare sul riposo del mio piccolo, nonostante l’ora, come quella volta in cui bussai alla sua porta in piena notte, chiedendole di rimanere con Adele perché Lorenzo aveva quaranta di febbre e lo dovevo portare di corsa all’ospedale pediatrico. Do un’altra occhiata al mio orologio da polso: è l’una e un quarto. Sono passati quindici minuti dalla telefonata di Angela. Quali sono state le sue esatte parole? Non riesco a ricordarle, so solo che Adele sta male. Quanto manca all’ospedale, dannazione? Spingo il pedale sull’acceleratore e sfreccio sulla Tuscolana come fossi a Le Mans, conscia dei pochi chilometri che mi separano da mia figlia. Cosa può esserle accaduto? Mi viene subito da pensare ad un cocktail di alcol e droghe e l’angoscia si decuplica. Ogni tanto i notiziari parlano di giovani morti per aver inghiottito intrugli del genere. Cosa ti hanno dato? Cosa ti hanno fatto? Ti prego Adele, non morire. Superate le mura di San Giovanni, attraverso la piazza deserta e vedo l’ imponente e antichissimo complesso ospedaliero al cui interno c’è mia figlia che mi aspetta. Parcheggio appena fuori dal cancello principale e raggiungo di corsa il pronto soccorso. Ci sono alcune persone sedute, in attesa. I miei occhi rimbalzano da un viso all’altro alla ricerca spasmodica di Angela e delle ragazze. Non scorgo nessuna di loro. Mi attacco al cellulare, compongo il numero e lo sento trillare sia nelle mie orecchie che oltre il corridoio. Mi incammino velocemente verso lo squillo e prima ancora di sentire la sua voce rispondermi, vedo Angela in piedi di fronte alle ragazze accasciate sulle sedie nella saletta d’attesa. Adele non c’è. Chiudo la conversazione e il telefono mi scivola nella tasca del cappotto. “Angela, dov’è Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica di diritto Pag. 200 Adele? Come sta?”. La voce mi esce strozzata e di un tono più alto di quanto volessi. Sto per mettermi a piangere. Mi sforzo di ricacciare indietro le lacrime e la guardo con ansia. “E’ ancora dentro con i medici. La stanno visitando. Quando sono arrivata in discoteca per riportarle a casa, mi sono accorta subito che Adele non stava bene: era sudata, i capelli gocciolanti appiccicati sulla fronte, tremava e lamentava crampi addominali. Poi ha vomitato e subito dopo è svenuta. Non siamo riusciti a farla rinvenire. Il buttafuori ci ha aiutato a caricarla in macchina e l’abbiamo portata qui. Mentre la stavano portando via in barella, ha ripreso conoscenza ma sembrava intontita. Non credo si rendesse conto di dove si trovasse. Le hanno assegnato il codice rosso.” Guardo di nuovo l’ora. Mancano dieci minuti alle due. “Codice Rosso… mio Dio…. Non capisco, è quasi un’ora che è là dentro. Nessuno è uscito per dirti come sta e cosa le stanno facendo?” “E’ uscito il medico di turno un quarto d’ora fa. Ha detto che è fuori pericolo. Stanno provvedendo ad una lavanda gastrica. Sembra si tratti di intossicazione.” Mi avvicino alla porta. Busso ed apro senza esitazioni. Mi ritrovo in una saletta da cui si diramano tre corridoi. Non vedo nessuno. Avanzo guardinga. “E’ permesso?” continuo a ripetere, ma non ricevo risposta. Adele, dove sei? Prendo il corridoio di destra, mi affaccio in una stanzetta con la porta aperta, ma Adele non c’è. Sbuca fuori una donna di circa trent’anni, con la divisa da infermiera, che mi chiede scocciata cosa ci faccio lì. “C’è mia figlia. E’ stata portata qui un’ora fa. Un codice rosso. Si chiama Adele Carini. Ha quindici anni. La prego, devo vederla.” Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica di diritto Pag. 201 La donna cambia espressione, la piega della bocca scompare e noto un accenno di sorriso incoraggiante. “Adele, si. E’ da questa parte. Venga, mi segua. Vediamo se hanno finito con la lavanda gastrica.” Mi incammino dietro di lei con il cuore che esplode nel petto. Raggiungiamo una porta chiusa. Lei mi dice di attendere fuori. Aspetto. Quanto tempo è passato dal momento in cui l’infermiera è scomparsa nella stanza? Non saprei dirlo, la mia mente è assalita da mille pensieri, uno più nero dell’altro. Poi finalmente la porta si apre e ne esce la donna e un uomo in camice bianco. “Lei è la madre di Adele?” “Si, dottore, sono Doriana Miceli, la madre. Mi dica, come sta? Cosa le è accaduto?” “La ragazza è giunta in ospedale priva di conoscenza. Presentava tutti i sintomi di ipertermia da anfetamine. Abbiamo prima fatto scendere la temperatura corporea e, appena avuto i risultati delle analisi, abbiamo provveduto alla lavanda gastrica. Adele è fuori pericolo ora. Le stiamo somministrando liquidi per fleboclisi. La teniamo sotto controllo per ventiquattro ore. Potrà vederla subito, la stiamo trasferendo nel reparto Osservazione Breve Intensiva. E’ cosciente anche se in stato confusionale.” E in quell’attimo compare la lettiga che trasporta Adele, mortalmente pallida, le braccia nude lungo i fianchi, la flebo infilata in vena. Incontro i suoi occhi opachi e un singhiozzo di pianto mi sale in gola. La mia bambina! Mi affianco alla portantina e le accarezzo la fronte, scostandole i capelli umidi dalle tempie. “Non ti preoccupare, tesoro, va tutto bene…” “Mamma….” Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica di diritto Pag. 202 “Shhh… non parlare adesso. Devi riposare. Ti voglio bene.” Non la mollo fino a quando non arriviamo in un’ampia sala con dei letti allineati lungo la parete. Due infermieri prendono Adele per le braccia e le gambe e la sistemano su una branda dalle lenzuola candide. La coprono con delicatezza, sistemano il bastone della flebo e se ne vanno via portandosi dietro la barella ormai vuota. Mi piego sulle ginocchia, avvicinandomi più possibile al suo viso. Adesso non parla più, si vedono solo delle grosse lacrime che scivolano silenziose sulle guance e raggiungono il suo collo magro. Sto piangendo anch’io. So che non dovrei, mi sforzo di sorriderle ma vederla in quello stato è straziante per me. Continuo ad accarezzarla e lei rimane immobile e incredibilmente docile. Una mano si posa sulla mia spalla con tatto. Mi volto e riconosco il medico che l’ha soccorsa. Nella targhetta appuntata sul camice c’è scritto Dr. M. Landi. “Venga con me, adesso Adele deve riposare”. Lo seguo inebetita, continuo a tirare sul col naso e cerco disperatamente un fazzoletto nella borsetta. Figuriamoci se trovo qualcosa lì dentro. Lui infila una mano nella tasca del camice e mi porge un pacchetto. Ne sfilo uno e ringrazio, imbarazzata. Appena fuori dall’OBI mi dice che è meglio se vado a casa, ora. Adele è in buone mani, deve solo fare una lunga dormita, è inutile che io rimanga. Ho bisogno anch’io di sdraiarmi e dormire un po’ e comunque non potrebbe farmi stare dentro con lei. Mi assicura che è tutto sotto controllo. Si congeda dicendomi che ci vedremo domattina. Lui andrà via solo alle 10. Saluto anche io e ringrazio. Sparisce dietro la porta. Mi volto e non so bene dove mi trovo, ma dopo pochi istanti mi rendo conto di essere di nuovo nella sala d’attesa Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica di diritto Pag. 203 del pronto soccorso. Oltre una colonna vedo Angela e le ragazze. Non si sono mosse da dove le ho lasciate. Le raggiungo come in trance. Angela mi viene incontro, vuole conoscere le condizioni di Adele. Le dico che l’ho vista, era pallida, la flebo nel braccio, piangeva. Ora che ci penso non ho chiesto spiegazioni al medico, cosa era risultato dalle analisi, se davvero ha assunto anfetamine o se si è trattato solo di una sbronza coi fiocchi. Non ho avuto la prontezza di dire o domandare nulla. Voglio solo tornarmene a casa, da Lorenzo. Ma prima devo avvertire Gianni. Non posso non farlo. Lo chiamo sul cellulare che tiene sempre acceso. Dopo appena tre squilli risponde: “Si? Chi è?” “Sono Doriana. Volevo avvertirti che Adele passerà la notte in ospedale perché si è sentita male. Niente di grave, credo che domani la faranno tornare a casa.” Lo sento far cadere qualcosa, credo si sia rizzato di colpo sul letto e nella fretta ha urtato contro qualche oggetto sul comodino. “Aspettami, arrivo subito, in quale ospedale siete? Cos’ha?” “Gianni, non è necessario che tu venga ora. La tengono in astanteria per la notte e non possiamo entrare. Ho avuto modo di vederla ed era tranquilla. Ci vediamo domattina alle otto qui al San Giovanni e ti spiego tutto. Sembra abbia preso qualche pasticca in discoteca. Ma ora è fuori pericolo.” “Pasticca??? Nostra figlia si droga?” “Non lo so, Gianni, non lo so… Scusami ma non ce la faccio a parlare. Ti aspetto domattina, ciao” e chiudo la conversazione. Sono a pezzi. Angela ha assistito alla telefonata ed ora mi osserva mentre mi asciugo le lacrime. Le ragazze sono tutte e tre sedute di fronte a noi. Le guardo e cerco di scorgere nei Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica di diritto Pag. 204 loro occhi i segni di postumi da assunzione di speed o ecstasy o chissà cos’altro. Mi sembrano semplicemente preoccupate per la loro amica, stanche e spaventate. Mi rivolgo a loro guardando soprattutto Benedetta: “Avete avvertito a casa?” “Si, ho chiamato sia Sandra che Elena” mi risponde Angela. “Con chi stavate in discoteca? Eravate un gruppo di amici?” Benedetta mi dice che c’erano diversi compagni di scuola. Quando le chiedo se hanno dato loro delle pasticche mi risponde di no. La guardo severa, cerco di carpire la sua più piccola incertezza. Sembra sincera. Guardo le altre due che stanno con gli occhi abbassati. Soprattutto Aurora evita il mio sguardo. Lei si che nasconde qualcosa. Mi accovaccio poggiando le mani sulle sue ginocchia, alla ricerca del suo viso. “Aurora, guardami! Avete preso qualche droga in discoteca? Bevuto qualche bibita offerta da qualcuno?” “Solo una birra. Nient’altro, lo giuro!” “L’avete presa al bar o ve l’hanno portata?” “Ce l’hanno portata, credo. Insomma, basta! Non me lo ricordo!” Ha alzato la voce, è terrorizzata. “Doriana, capisco la tua preoccupazione, ma adesso è meglio tornare a casa. Vedrai che domani le ragazze risponderanno a tutte le nostre domande.” Ha ragione, non è il momento. La bacio, la abbraccio, la ringrazio. Mi offro di portare io Benedetta e Aurora, ma lei non accetta: “Corri da Lorenzo e non ti preoccupare di nient’altro”. Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica di diritto Pag. 205 2012 Nuove frontiere del diritto - Rivista mensile telematica di diritto Anno I - n. 4, chiusura il 10 aprile 2012 In attesa di assegnazione del codice ISSN In attesa di registrazione presso il Tribunale Nuove frontiere del diritto Rivista mensile telematica di diritto Pag. 206