Il dopoguerra tedesco nell`opinione italiana

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Il dopoguerra tedesco nell’opinione italiana
Montanelli inviato del “Corriere della Sera”
Filippo Focardi
Nell’estate del 1948, in un momento contrassegna­
to dall’avvio del processo di costituzione dello
Stato tedesco occidentale e dalla reazione sovieti­
ca concretizzatasi nel “blocco di Berlino”, il “Cor­
riere della Sera” decideva di inviare in Germania
come osservatore privilegiato uno dei suoi giorna­
listi più prestigiosi: Indro Montanelli. Tenace so­
stenitore della linea politica statunitense, Monta­
nelli cercò con le sue corrispondenze di fornire alla
nascente Repubblica federale tedesca una duplice
legittimazione sia rispetto allo Stato germanico in
fase di costituzione ad est dell’Elba, sia come rico­
noscimento del diritto dei tedeschi a reinserirsi nel
consesso dei popoli civili. In questo senso Monta­
nelli mirò a riconciliare l’opinione pubblica mode­
rata del “Corriere” con il popolo tedesco, supe­
rando il carico dei risentimenti germanofobi retag­
gio della guerra. Critico severo del principio della
“colpa collettiva” e della denazificazione, rivendi­
cò 1’esistenza di un’“altra Germania” antagonista
del nazismo, capace di un “autonomo esame di co­
scienza” e meritevole di ogni fiducia. Tale Germa­
nia non era quella del movimento operaio tedesco,
tacciato anzi (specie per quanto riguarda la com­
petente comunista) di connivenza col nazismo. Es­
sa veniva invece identificata con le forze militarborghesi, le uniche — a suo avviso — ad aver pro­
dotto una resistenza antihitleriana. All’immagine
di una Germania fanatica e guerriera, Montanelli
ne contrapponeva una edulcorata e rassicurante
fondata sulle tradizioni dell’umanesimo tedesco,
sui valori piccolo-borghesi di una vita serena e pa­
cifica (la “Germania dello strudel, della birra e dei
salsicciotti”), sulle virtù rigeneratrici di uno svi­
luppo economico fondato sull’intraprendenza in­
dividuale. Tale immagine sarebbe poi invalsa da
Adenauer a Kohl, senza riuscire del tutto a rimuo­
vere profonde e ricorrenti preoccupazioni.
Italia contemporanea”, dicembre 1995, n. 201
In the summer of 1948, a period marked by the on­
coming construction of a West-German state
countered by a Soviet reaction culminating in the
“Berlin blockade’’, the “Corriere della Sera’’sent
to Germany Indro Montanelli, one of its most pro­
minent commentators. A strenuous supporter of
the American policy, in his reports Montanelli
seeked to credit the rising Federal Republic with
a double legitimation, both as against the other
German state rising east of the Elba river and in
defence of the right of Germany to be readmitted
in thefamily of civilized nations. To this end Mon­
tanelli strived to reconcile the typical “moderate’’
reader of the “Corriere’’ with the Germans, over­
coming the bitter resentment due to the war
events. Extremely critical toward the “collective
guilt”assumption and the policy o f denazification,
he claimed the existence of “another Germany”
hostile to Nazism and capable of “an autonomous
self-examination”, hence utterly reliabile under
every respect. Such was not the Germany of the
workers movement, accused on the contrary o f in­
telligence with the Nazis, at least as far as the
Communists were concerned; rather, this Ger­
many was to be identified with the military-bour­
geois forces, the only ones accredited to have de­
veloped — in his view — a visible resistance. To
the spectre of a warlike Prussian Germany Mon­
tanelli opposed the edulcorated and reassuring im­
age based on the tradition of classical studies, the
Biedermeier values of quiete ordinary life (the
“Germany of strudel, beer and sausages”) and
the revitalizing virtues of an economic growth
brought off through individual free enterprise.
An image bound to gain lasting popularity from
Adenauer to Kohl, yet never capable of ousting
deep and recurrent concern over the role and fate
of the new Germany.
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Filippo Focardi
tanelli “una specie di linea Curzon dell’Occi­
dente”, la più rigorosa — egli notava — fra le
“Demarkationslinien” formatesi sul bordo
Il 22 giugno 1948, all’indomani dell’entrata della “cortina di ferro” . Un’altra tappa veni­
in vigore della riforma monetaria nelle “zo­ va cosi a compiersi verso la “ divisione del
ne” occidentali della Germania1, il “Corriere mondo in due blocchi antitetici e irreconcilia­
della Sera” affidava ad uno dei suoi giornali­ bili” .
Dopo aver illustrato ai lettori del “Corrie­
sti più prestigiosi, Indro Montanelli, il com­
mento dell’importante notizia. Già in procin­ re” le ragioni economiche delle misure predi­
to di partire per Francoforte come inviato sposte dalle autorità americane e averne de­
speciale per compiere un’indagine sulla que­ scritto senza infingimenti le drastiche conse­
stione tedesca, Montanelli non tralasciava guenze politiche, due giorni più tardi Monta­
di rilevare, oltre all’aspetto economico, an­ nelli non esitava ad esprimere un giudizio
che il decisivo significato politico della rifor­ nettamente positivo su quest’ultime, accet­
ma2. Certo necessaria e indilazionabile per tandone di buon grado tutte le implicazioni4
avviare il rilancio produttivo della Trizona3 quali ad esempio l’introduzione della nuova
da tempo sprofondata nel “micidiale disordi­ moneta che significava inequivocabilmente
ne” di una perversa spirale speculativo-infla- “l’abbandono dell’accordo di Potsdam”, l’u­
zionistica, l’introduzione della “ Deutsche nico “contratto” cioè che ancora vincolava le
Mark” aveva a suo dire l’effetto di sancire quattro nazioni vincitrici. Tale esito non do­
in maniera perentoria la “ spartizione della veva suscitare eccessivi allarmismi: gli inter­
Germania” , ratificando l’“immissione della venti degli alleati in Germania negli ultimi
Germania dell’Ovest nel piano Marshall e tre anni erano tutti avvenuti in deroga degli
nel sistema economico occidentale, senza accordi stipulati a Potsdam e peraltro fondati
più possibilità di equivoci” . La “ Deutsche a suo avviso su un coacervo di errori mador­
Mark” diventava dunque agli occhi di Mon-I nali5. Non si poteva certo imputare alla rifor-
Montanelli, il “Corriere della Sera” e
la sfida americana per la Germania
II presente lavoro si basa sulla ricerche condotte da chi scrive per la tesi di laurea dedicata a La questione tedesca e l'o­
pinione pubblica italiana: il “Corriere della S era’’ (1945-1949 ), discussa presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'U­
niversità di Firenze nell’anno accademico 1992-1993, relatore il professor Enzo Collotti.
1 Dopo aver preso agli inizi di giugno la decisione definitiva di procedere alla costituzione di uno stato tedesco occi­
dentale, francesi, inglesi ed americani predisposero l’introduzione di una nuova moneta nelle “zone" della Germania
da essi occupate. Annunciata il 18 giugno, la riforma monetaria era entrata in vigore due giorni dopo. Sull’argomento
cfr. Enzo Collotti, Storia delle due Germanie (1945-1968), Torino, Einaudi, 1968, pp. 127-130 e Antonio Missiroli, La
questione tedesca. Le due Germanie dalla divisione a ll’unità (1945-1990), Firenze, Ponte alle Grazie, 1991, pp. 39-41.
2 I. Montanelli, Spartizione della Germania, “ Il Nuovo Corriere della Sera” (d’ora in poi CdS), 22 giugno 1948.
3 Con questo nome si indicava l’insieme delle tre zone occidentali della Germania sottoposte all’occupazione francese, bri­
tannica e statunitense. Il governo di Parigi aveva preso la decisione di unire la propria zona alla Bizona anglo-americana (già
costituitasi nel 1946) in occasione della seconda conferenza di Londra (25 aprile-2 giugno 1948). In questa sede Francia, Stati
Uniti e Gran Bretagna, in intesa con i tre Paesi del Benelux, avevano concordato [’inserimento delle rispettive zone nell’Or­
ganizzazione per la cooperazione economica europea ed espresso il proposito di creare uno Stato tedesco occidentale e di dar
vita ad un ente internazionale per il controllo della Ruhr. (Cfr. E. Collotti, Storia delle due Germanie, cit„ pp. 126-127)
4 I. Montanelli, Fine di Potsdam, CdS, 24 giugno 1948.
5 Montanelli sottolineava in particolare due errori commessi dagli alleati: la divisione della Germania in zone secondo
criteri sconsiderati che avevano compromesso il funzionamento economico del paese e l’assunzione in proprio della ge­
stione amministrativa senza porre un termine di tempo, supponendo di poterla svolgere “di comune accordo” e con l’e­
sclusione dei tedeschi. Ricordiamo che a Potsdam i vincitori avevano concordato le misure attuative dei principi già
fissati a Yalta per il trattamento della Germania. Erano stati previsti criteri ed organi di gestione unitaria del Paese
(cfr. E. Collotti, Storia delle due Germanie, cit., pp. 20-27)
Il dopoguerra tedesco nell’opinione italiana
ma monetaria la responsabilità dell’“uccisione” di Potsdam: il suo “decesso risaliva già a
vari mesi, solo che nessuno aveva avuto [...] il
coraggio di constatarlo e di provvedere alla
rimozione del cadavere” , rimasto invero
troppo a lungo ad “ingombrare l’opera di ricostruzione” . Ma l’accordo di Potsdam non
doveva essere in alcun modo rimpianto: l’e­
sperienza stava a dimostrare che “ soltanto
da quando gli angloamericani si sono decisi
ad archiviare quel documento, la loro azione
in Germania ha cessato di essere negativa e si
è messa sulla strada di una autentica ricostru­
zione”6. L’incisivo intervento con i due arti­
coli sulla prima pagina del “Corriere” cui ab­
biamo fatto riferimento e le numerose corri­
spondenze spedite poco dopo dalla Germa­
nia durante i mesi “caldi” del “blocco di Ber­
lino” , testimoniavano il pieno recupero da
parte di Montanelli di un ruolo di primo pia­
no sul giornale milanese.
Collaboratore del “ Corriere” dal 1938,
egli aveva acquisito enorme notorietà nei pri­
mi anni del conflitto mondiale come inviato
speciale sui più diversi fronti di guerra7. Per
le sue corrispondenze ostili all’azione espan­
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sionistica della Germania hitleriana e refrat­
tarie alla retorica bellicistica e interventista
di Roma, Montanelli era però entrato ben
presto in rotta di collisione col regime mussoliniano. In poco tempo la rottura si era fatta
definitiva e irricomponibile. Esauritasi pro­
gressivamente la sua fiducia nel fascismo8,
dopo l’8 settembre Montanelli aveva abban­
donato il giornale, caduto sotto il controllo
repubblichino, ed era passato nella clandesti­
nità, impegnandosi nell’attività antifascista9.
Arrestato dai tedeschi nel febbraio 1944 e
condannato a morte, era riuscito ad evadere
dal carcere e a rifugiarsi in Svizzera. Tornato
al “Corriere” dopo la Liberazione, aveva vis­
suto un difficile rapporto col nuovo direttore
Mario Borsa, vecchio democratico di ascen­
denza mazziniana assai vicino al Partito d’a­
zione e a Ferruccio Parri10. Rappresentante
di un antifascismo conservatore fortemente
prevenuto verso le istanze di trasformazione
economico-sociale sostenute dalle forze poli­
tiche della sinistra, monarchico fervente,
Montanelli non aveva trovato spazio ade­
guato sul quotidiano di via Solferino. La li­
nea politica del quotidiano era, infatti, im-
6 I. Montanelli, Fine di Potsdam , cit.
7 Inviato speciale a Berlino nei giorni dello scoppio della guerra, Montanelli segui in prima persona molte delle più im­
portanti vicende belliche quali l’aggressione tedesca della Polonia, l’invasione sovietica dell’Estonia, il conflitto russofinnico, la sfortunata azione britannica in Norvegia, le varie fasi della guerra nei Balcani. Su quest’esperienze e sulle
successive di cui riferiamo, cfr. Glauco Licata, Storia del Corriere della Sera, Milano, Rizzoli, 1976, pp. 294 sg.; Claudio
Mauri, M ontanelli l ’eretico, Milano, Sugarco, 1982, pp. 47 sg.; nonché quanto riferisce lo stesso Montanelli nel suo Qui
non riposano, Milano, Mondadori, 1954 (prima ediz. 1945), pp. 131 sg.
8 Dopo gli esordi giovanili di una sincera militanza fascista con la collaborazione a “L’Universale” di Berto Ricci e
l’esperienza da ufficiale volontario in Etiopia, già al momento della guerra di Spagna Montanelli (allora inviato del
“Messaggero”) aveva avuto un primo, duro, scontro col regime. Per un articolo non gradito al governo, il giornalista
era stato richiamato in Italia, radiato dall’albo professionale e licenziato. Espulso inoltre dal partito, egli non avrebbe
più fatto richiesta della tessera. Sulla vicenda cfr. C. Mauri. Montanelli l ’eretico, cit., pp. 28-29 e I. Montanelli, Qui non
riposano, cit., pp. 113-121.
9 Già nei primi mesi del 1943, tramite Ugo La Malfa, Montanelli era entrato in contatto con ambienti milanesi di “Giu­
stizia e libertà” . Alla caduta del fascismo, il 25 luglio, nel breve periodo precedente la nascita della Repubblica di Salò,
pubblicò sul “Corriere” articoli di condanna contro il regime. Sempre nello stesso periodo, aveva cominciato a frequen­
tare la cerchia di Maria Josè, moglie del principe Umberto, di cui erano note le simpatie per gli alleati. Entrato dopo l’8
settembre nella clandestinità, al momento in cui fu arrestato, nel febbraio 1944, stava per assumere il comando di una
formazione partigiana nell’Ossola (Cfr. C. Mauri, Montanelli l'eretico, cit., p. 64-65).
10 Sul personaggio Borsa, si rimanda all'autobiografia uscita nel 1945. (Mario Borsa, M emorie di un redivivo, Milano,
Rizzoli, 1945). Sulle vicende che portarono alla scelta di Borsa come direttore del “Corriere” e sulla sua gestione del
giornale, cfr. G. Licata, Storia del Corriere della Sera, cit., pp. 383-412.
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Filippo Focardi
prontata alla rivendicazione della necessità di
un profondo rinnovamento democratico del­
la società italiana e Borsa aveva schierato il
“Corriere” a sostegno della causa repubbli­
cana durante la campagna per il referendum
istituzionale. Pressoché assente dalle pagine
dell’edizione principale, confinato alla dire­
zione della “ Domenica degli Italiani” 11,
Montanelli aveva dunque dovuto aspettare
la “ restaurazione conservatrice” 11213di Gu­
glielmo Emanuel per tornare in auge.
Il cambiamento intervenuto col pieno ri­
torno del “Corriere” nelle mani dei fratelli
Crespi e con la conseguente sostituzione di
Borsa con Emanuel nell’agosto 1946 era sta­
to quanto mai radicale1'. Intensificata la col­
laborazione di uomini fino ad allora rimasti
ai margini come Montanelli, Savinio e Piovene, il nuovo direttore si era subito assicurato
la collaborazione di personaggi prestigiosi
dell'antifascismo moderato come Croce e
Merzagora, riaprendo anche le porte a gior­
nalisti fortemente compromessi col regime
quali Orio Vergani e Cesco Tomaselli. Dra­
stico fu il mutamento di linea politica. Al­
l’impegno in senso democratico-progressista
profuso dal “Corriere” “ciellenista” di Borsa
a favore delle istanze di rinnovamento scatu­
rite dalla Resistenza, subentrò un saldo so­
stegno alla De degasperiana venato da un vi­
goroso sentimento anticomunista. Notevole
fu la differenza di atteggiamento anche nei
confronti delle questioni di politica estera.
Se il “Corriere” di Borsa aveva sempre pero­
rato il mantenimento della cornice rooseveltiana di collaborazione fra le grandi potenze
e auspicato fino in fondo un’Europa federata
mediatrice fra Est ed Ovest, il “Corriere” di
Emanuel, al contrario, si mostrò innanzitutto
preoccupato della minaccia sovietica ed inte­
ressato ad una decisa contromanovra an­
gloamericana capace di frenare l’espansioni­
smo del Cremlino14. Il giornale appoggiò
pertanto, senza esitazioni, le prime manife­
stazioni della politica statunitense di contain­
ment. Questa posizione era emersa in modo
evidente anche a proposito della questione
tedesca. Il “Corriere” di Emanuel non esitò
infatti a farsi battagliero corifeo del nuovo
corso della Deutschlandpolitik americana
inaugurato dal discorso tenuto a Stoccarda
dal segretario di Stato Byrnes (6 settembre
1946), finalizzato alia riabilitazione politica
ed economica della Germania15. L’atteggia­
mento del giornale era stato contrassegnato
da una lettura oltranzista della politica di
Washington. Accantonati il richiamo alla
cooperazione interalleata e le preoccupazioni
per la rieducazione democratica dei tedeschi
per ottenere opportune garanzie di sicurezza,
11 Montanelli tenne la direzione della “Domenica degli Italiani”, versione “epurata” della "Domenica del Corriere”,
dal settembre 1945 all’ottobre 1946 (cfr. G. Licata, Storia del Corriere delta Sera, cit., p. 611).
12 La definizione è di G. Licata, Storia del Corriere della Sera, cit.. p. 433.
13 Nel luglio del 1946 i fratelli Mario, Aldo e Vittorio Crespi, proprietari del giornale, erano stati assolti nel processo
loro intentato in relazione alle vicende relative all’estromissione nel 1925 di Albertini dal “Corriere”, entrato allora in
loro possesso. Recuperato così il pieno controllo, i Crespi avevano proceduto a sostituire Mario Borsa col liberal-conservatore Guglielmo Emanuel. Sulla questione cfr. G. Licata, Storia del Corriere della Sera, cit., pp. 412-419.
14 Sulla gestione Emanuel cfr. G. Licata, Storia del Corriere della Sera, cit., pp. 433-445.
15 II discorso di Byrnes aveva sancito un deciso cambiamento di rotta nella politica occidentale. Al posto della politica
di controllo e punizione seguita fino ad allora, si impostava appunto un’azione ricostruttiva volta alla riabilitazione po­
litica ed economica della Germania. Ricordiamo che già dal luglio il segretario di Stato americano aveva avanzato l’idea
di procedere alla fusione tra la zona statunitense e le zone delle altre potenze disposte ad aderirvi. La Gran Bretagna
aveva espresso subito la propria disponibilità. Per il discorso di Stoccarda cfr. E. Collotti, Storia delle due Germanie,
cit., pp. 35-36 e, sul “Corriere”, Nuova politica di Washington verso la Germania. 7 settembre 1946. In generale, sulla
politica tedesca degli Stati Uniti cfr. J. Gimbel, The American Occupation o f Germany: Politics and thè M ilitary
1945-1949, Stanford, Stanford University Press, 1968 e Frank A. Ninkovich, Germany and lite United States. The Transformation o f thè German Question since 1945, New York, 1988.
Il dopoguerra tedesco nell’opinione italiana
su cui aveva invece sempre insistito Mario
Borsa, il quotidiano di Emanuel aveva presto
interpretato la scelta angloamericana di fu­
sione delle rispettive zone d’occupazione e
di rilancio dell’economia tedesca quale neces­
sario e auspicabile preludio ad una struttura­
zione anche politica della Germania occiden­
tale, destinata a diventare il principale ba­
luardo dell’Occidente16.
Fin dalla vigilia della conferenza di Mosca
(10 marzo-24 aprile 1947), il “Corriere” ave­
va apertamente sconfessato le ragioni del­
l’amministrazione quadripartita concordata
a Potsdam negando l’opportunità di un’inte­
sa col governo sovietico17. Il giornale fonda­
va la sua intransigente posizione sulla con­
vinzione che la Russia si fosse procurata in
Germania un netto vantaggio, di duplice na­
tura: da un lato si pensava infatti che l’Urss
avesse già compiuto molti passi avanti nel­
l’inserimento della propria zona d’occupa­
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zione all’interno del blocco sovietico, dall’al­
tro si riteneva che Stalin, dopo l’incisivo in­
tervento di Molotov a Parigi (10 luglio
1946)18, avesse in mano al tempo stesso le
carte migliori per tentare una soluzione uni­
taria, per realizzare cioè la costituzione di
un governo centrale tedesco, destinato preve­
dibilmente a gravitare entro la sfera d’in­
fluenza sovietica19.
Di fronte alla sfida “unitarista” lanciata
da Mosca che non esitava ad appellarsi diret­
tamente al nazionalismo germanico e a ricer­
care persino l’appoggio del vecchio prussianesimo20, l’unica risposta efficace era parsa
pertanto quella di congelare lo status quo,
di interrompere la ricerca dell’accordo qua­
dripartito, e di procedere invece in maniera
“ unilaterale” e a tappe forzate al risolleva­
mento della parte occidentale della Germa­
nia. Sostenuta con vigore da giornalisti come
Augusto Guerriero21, Indro Montanelli22,
16 Pur condividendo i punti fondamentali delle proposte anglosassoni (unità economica, governo federale, rilancio pro­
duttivo), il “Corriere" di Borsa aveva invece sempre rivendicato l’esigenza di mantenere integra la cornice quadripartita.
Vi era infatti la convinzione che solo l’accordo con l’Unione Sovietica avrebbe permesso di ricostruire una Germania
democratica, al riparo dai possibili rigurgiti del revanscismo tedesco.
17 Augusto Guerriero, I! grande problema , CdS. 15 febbraio 1947.
18 Intervenendo alla seconda sessione del Consiglio dei ministri degli Esteri, Molotov aveva duramente attaccato sia i
progetti separatistici della Francia intenzionata a staccare la Renania e la Ruhr dalla Germania sia i programmi anglosassoni per un assetto federalistico dello Stato tedesco. Ad essi, che egli condannava come ispirati da volontà punitiva,
Molotov contrapponeva la proposta sovietica di dar vita ad uno Stato tedesco centralizzato. Cfr. E. Collotti, Storia
delle due Germanie, cit., p. 34.
19 Augusto Guerriero, La Germania fa tta a pezzi, CdS, 17 agosto 1946.
20 Era quanto sosteneva, ad esempio. Montanelli in una sua corrispondenza da Geislingen dell’autunno 1946 (cfr. Mon­
tanelli, Patate sulla mensa degli "Junlcer" prussiani, CdS. 10 novembre 1946).
21 Editorialista di estera arrivato al “Corriere” al seguito di Emanuel, liberal-conservatore di sentimenti naziona­
listi, già sostenitore della politica imperiale del fascismo, l’avellinese A. Guerriero rappresentò sul giornale mila­
nese il punto di vista più strettamente realpolitisch, favorevole ad una ferma contrapposizione strategico-militare
dell’Occidente al blocco sovietico. Riguardo alla Germania si vedano, oltre ai due articoli già citati, anche: A.
Guerriero, La Germania fra Occidente e Oriente, “Corriere d’informazione” , 17-18 novembre 1947 e A. Guerriero,
La Germania dopo la conferenza, “Corriere d’informazione”, 22-23 dicembre 1947. Ricordiamo che il “Corriere
d’informazione” era l'edizione pomeridiana del “Corriere” . La tiratura di quest’edizione era di circa 150 mila
copie, rispetto alle circa 400 mila dell’edizione principale (per questi dati cfr. Paolo Murialdi, La stam pa italiana
del dopoguerra, Bari, Laterza, 1978, pp.202-203). D ’ora in poi per il “Corriere d’informazione” useremo l’abbre­
viazione Cdl.
22 Montanelli si era accreditato sul giornale come il massimo esperto di questioni tedesche. Egli aveva condotto una
prima indagine sulla Germania e sull’Austria nell’ottobre-novembre del 1946, si era quindi occupato del processo Kesselring nel febbraio-marzo del 1947, era intervenuto con alcuni articoli importanti in occasione della conferenza di Mo­
sca, era infine tornato in Austria come inviato speciale nell’autunno 1947. Avremo modo di menzionare in seguito i suoi
articoli più significativi.
612
Filippo Focardi
Clara Falcone23, questa linea aveva trovato
attuazione con la decisione presa da Stati
Uniti, Francia e Gran Bretagna, nella pri­
mavera del 1948, di procedere aH’inserimento delle tre zone occidentali della Germania
nel piano Marshall e di avviare la costituzio­
ne di uno Stato tedesco dell’Ovest2425.Inaugu­
rata dall’introduzione della riforma moneta­
ria, iniziava cosi quella delicata fase politica
che avrebbe portato un anno più tardi alla
nascita della Repubblica federale tedesca.
Era una fase di cruciale importanza e per se­
guirla da vicino il “Corriere” prese la deci­
sione di inviare in Germania in veste di os­
servatore privilegiato Indro Montanelli il
suo maggiore esperto di cose tedesche, che,
insieme a Guerriero, si era già messo in evi­
denza come il più tenace propugnatore della
Deutschlandpolitik patrocinata dalla Casa
Bianca. Le sue corrispondenze pressoché
giornaliere, comparse sul “Corriere” dal lu­
glio 1948 al febbraio 1949, costituiscono
una testimonianza di particolare interesse.
Con grande abilità Montanelli svolse infatti
una duplice, importante funzione da un lato
egli difese con efficacia la politica tedesca
degli Stati Uniti, giunta in quei mesi al pas­
saggio difficile e decisivo dell’avvio del pro­
cesso costitutivo dello Stato tedesco-occi­
dentale, rivendicandone sempre un'intransi­
gente applicazione; dall’altro, svolse con­
temporaneamente un’azione culturale di
grande rilievo nel senso di riconciliare il
pubblico del “ Corriere” con i tedeschi e
con la Germania. Nel momento infatti in
cui si profilava la nascita ad ovest dell’Elba
di uno Stato tedesco destinato ad integrarsi
nel blocco occidentale, diventava necessario
agli occhi del giornale superare il carico di
risentimenti germanofobi retaggio della
guerra. I tedeschi della Trizona si appresta­
vano a diventare alleati nel comune fronte
anticomunista, a costituirne anzi la compo­
nente più significativa. Si trattava dunque
di presentare un’immagine della Germania
diversa da quella inquietante contrassegnata
dalla svastica nazista, un’immagine che ri­
conciliasse coi tedeschi l’opinione pubblica
moderata cui il “Corriere” si rivolgeva. Fu
proprio Montanelli a farsi carico di questo
compito impegnativo, svolgendolo con in­
dubbia abilità.
Montanelli e il “blocco di Berlino”
Inviato, forse non a caso, a sostituire il cor­
rispondente Sandro Volta, unica voce che
sul giornale non aveva rinunciato a sostene­
re la possibilità di una soluzione del proble­
ma tedesco concordata con l’Urss23, Monta­
nelli partiva per Francoforte proprio nei
giorni in cui la situazione in Germania preci­
pitava drammaticamente.
Il 24 giugno infatti, come risposta alla ri­
forma monetaria e alle decisioni prese dalla
23 Clara Falcone scrisse corrispondenze per il “Corriere” dall’Austria e dalla Germania in un arco di tempo compreso
fra il settembre 1946 e il marzo 1947. Di lei si possono ricordare: Clara Falcone, Un'occhiaia alla zona russa, Cdl, 9-10
dicembre 1946 e, soprattutto, "Entnazifizierung" parola troppo complicata , Cdl, 17-18 marzo 1947. un articolo forte­
mente polemico nei confronti della denazificazione.
24 Cfr. E. Collotti, Storia delle due Germanie, cit., pp. 126-127.
25 Inviato speciale del “Corriere” in Germania dall’ottobre 1947 all’aprile 1948 (vi ritornerà poi nel marzo 1949), San­
dro Volta era stata voce particolarmente assidua sul giornale (abbiamo contato 38 lunghe corrispondenze nel periodo
suddetto). Egli aveva insistito molto nel mettere in guardia i lettori del “Corriere” circa la persistenza di sentimenti e
mentalità nazisti fra i tedeschi. Cosa che lo portava a consigliare il mantenimento di uno stretto controllo su base qua­
dripartita. Non è da escludere che il suo richiamo in Italia, nel momento in cui gli occidentali prendevano la decisione
definitiva di dar vita ad uno Stato tedesco occidentale (prima sessione della conferenza di Londra 23 febbraio-6 marzo
1948) provocando la rottura con Mosca (ritiro del generale Sokolovskij dal Consiglio di controllo alleato, 20 marzo
1948), fosse proprio da ricondurre ad una precisa scelta politica del giornale intenzionato ad appoggiare incondiziona­
tamente il corso della Deutschlandpolitik occidentale.
Il dopoguerra tedesco nell’opinione italiana
conferenza a sei di Londra, le autorità so­
vietiche interrompevano tutte le vie di ac­
cesso stradali, ferroviarie e fluviali da e
per Berlino, isolando la città col chiaro pro­
posito di annetterla26. Pur dipingendo la si­
tuazione come “la più pericolosa e critica”
fra quante se ne erano determinate fino a
quel momento in Europa, Montanelli esclu­
deva tuttavia recisamente che si fosse alla
vigilia di uno showdown militare, che ci si
trovasse dinanzi all’ineluttabilità di una
prova di forza27.
Sottolineata l’efficacia del ponte aereo or­
ganizzato dagli angloamericani per approv­
vigionare Berlino, egli motivava il proprio
ottimismo in base ad una semplice e realisti­
ca considerazione. Da quando avevano ri­
conosciuto l’impossibilità di una convivenza
coi russi e rinunciato ad una Germania uni­
ta sotto il controllo quadripartito, gli alleati
occidentali non si erano mai prefissi lo sco­
po, irrealizzabile, di fare di Berlino la capi­
tale della loro Germania. L’obiettivo perse­
guito da anglosassoni e francesi era sempre
stato infatti quello minimo di evitare che
fossero i sovietici a trasformare Berlino,
“simbolo dell'unità tedesca” , nella capitale
della Germania orientale. E in questo Lon­
dra, Parigi e Washington avevano tutti i ti­
toli per riuscire. “I russi — egli scriveva —
potranno affamare i berlinesi e metterli nel­
la disperata necessità di fuggire, ma la guar­
613
nigione americana non potranno scacciarla
senza guerra. E con una guarnigione stra­
niera in corpo la capitale non si fa”28. Gli
occidentali non si trovavano dunque in
svantaggio rispetto all’antagonista sovieti­
co, “ anzi essi si trovano in netto vantag­
gio” . Le osservazioni di Montanelli non fa­
cevano che confermare la linea ufficiale fis­
sata in un editoriale sul “Corriere” alcuni
giorni prima29. “Nessun allarme” per l’azio­
ne russa su Berlino, si leggeva nell’articolo.
Mosca aveva tutto l’interesse ad evitare
“una rottura irreparabile” . Suo vero obiet­
tivo era di “ tornare a sedersi intorno ad
un tavolo per trattare” . Prova ne era la riso­
luzione concordata a Varsavia dai paesi del
blocco sovietico, i quali, temendo uno strap­
po definitivo, avevano rinunciato a procla­
mare la nascita di uno Stato tedesco orien­
tale ed avevano invece rilanciato la discus­
sione a quattro per la pace tedesca30. La
prepotenza delle misure prese da Stalin a
Berlino celava in realtà una “ritirata diplo­
matica” . Era questo il risultato della “tough
policy” statunitense. Da quando, edotti dal
colpo di stato comunista a Praga, gli Stati
Uniti avevano deciso di riarmare e di proce­
dere senza più remore coi propri piani in
Germania, il Cremlino si era dovuto porre
sulla difensiva perdendo il margine di van­
taggio politico-diplomatico accumulato dal­
la fine della guerra in poi31.
26 Sulla vicenda del blocco di Berlino cfr. Avi Shlairn, The United States and the Berlin Blockade 1948-1949. A study in
Crisis Decision-making. Berkeley, 1983 e A. e J. Tusa, The Berlin Blockade, London, 1988. Per un’agile sintesi in italiano
cfr. Daniel Yergin, Il blocco di Berlino, in Elena Aga Rossi (a cura di), Gli S tati Uniti e le origini della Guerra fredda.
Bologna, Il Mulino, 1984, pp. 239-258.
2i I. Montanelli, Colpi bassi tra graziosi sorrisi, questa è la battaglia di Berlino, CdS, 2 luglio 1948.
28 I. Montanelli, Colpi bassi tra graziosi sorrisi, questa è la battaglia di Berlino, cit.
29 Nessun allarme, CdS, 26 giugno 1948.
30 Riunitisi a Varsavia il 23 e 24 giugno 1948, i paesi del blocco sovietico avevano da quella sede riproposto l'istituzione
di un governo centrale tedesco provvisorio, la conclusione con esso di un trattato di pace e il ritiro di tutte le truppe di
occupazione entro un anno dalla stipulazione del trattato.
31 Ricordiamo che, all’indomani del colpo di stato comunista in Cecoslovacchia (20-25 febbraio 1948), Il "Corriere"
aveva accolto con vivo compiacimento le voci provenienti dagli Stati Uniti circa una possibile “corazzatura” del piano
Marshall (Cfr. Ugo Stille, Gli S.U. pronti a concedere garanzie militari ai Paesi de! piano Marshall, CdS, 28 febbraio
1948). Era il segnale di avvio delle discussioni che avrebbero condotto all’Unione atlantica di cui il giornale parlò
per la prima volta il 20 maggio 1948.
614
Filippo Focardi
Un’“ arma spuntata”
Fortemente ridimensionata risultava anche
la carta apparsa fino ad allora come la più
pericolosa fra quelle in mano di Mosca:
l’appello al nazionalismo germanico. Già
paventata in un libro importante dell’esule
liberal-conservatore tedesco Heinrich Hau­
ser, libro tradotto e pubblicato nel 1947 da
Longanesi ed ampiamente utilizzato come
fonte di ispirazione da Montanelli32, l’al­
leanza fra l’“ aquila prussiana” e l’“ aquila
sovietica” aveva costituito a partire dall’ap­
pello gesamtdeutsch di Molotov uno dei fan­
tasmi più inquietanti per la stampa modera­
ta e per il “ Corriere” in particolare. Voci
reiterate, fra cui lo stesso Montanelli3', ave­
vano ad esempio accreditato 1’esistenza di
un’azione sovietica volta a stabilire un con­
nubio organico con la classe dirigente degli
Junker, reintegrati nelle loro posizioni di co­
mando dopo le iniziali misure punitive prese
con la riforma agraria del 1945. Allo stesso
tempo ampio spazio era stato dato alla no­
tizia, ripetutamente affacciatasi, dell’esi­
stenza di una grande armata tedesca forma­
ta in territorio sovietico da reduci della
Wehrmacht posti al comando del celeberri­
mo maresciallo Paulus e sotto il controllo
di Stalin, armata pronta a prendere il posto
delle truppe straniere d'occupazione al mo­
mento del loro ritiro dalla Germania3435.Il te­
ma dell’alleanza fra comunismo sovietico e
nazional-militarismo germanico, usato dal­
l’inverno del 1947 per screditare sul piano
ideologico gli appelli all’unità tedesca lan­
ciati dal Volkskongress33, fu dunque ripreso
da Montanelli nei primi giorni successivi al­
l’inizio del blocco di Berlino. Le sue osser­
vazioni se da un lato confermavano l’esi­
stenza degli sforzi sovietici per un’intesa
col prussianesimo e il militarismo tedesco,
dall’altro però ne dimostravano una volta
per tutte la totale inefficacia ed impraticabi­
lità36. Come avevano rivelato i servizi segre­
ti americani, il tentativo di Mosca di con­
quistare la capitale tedesca era frutto secon­
do Montanelli di un piano lungamente con­
gegnato, volto alla costituzione di un
“grande Reich rosso” abbracciante tutta la
32 Pubblicato nei primi mesi del 1947 col titolo Un tedesco risponde (Milano, Longanesi), il libro di Hauser — già best­
seller negli Stati Uniti — fu recensito con toni entusiastici da Montanelli sul “Corriere” (cfr. I. Montanelli, Ha parlato in
inglese la prima voce della Germania , CdS, 29 aprile 1947). “Saggio politico di decisiva importanza”, indispensabile per
affrontare il problema della Germania “al di fuori e al disopra di ogni rancore e passionalità” , il libro di Hauser aveva
costituito per Montanelli l’“atto d'accusa più spietato” contro la politica punitiva inizialmente svolta dagli americani in
Germania. Numerose e significative erano inoltre le posizioni politiche e le argomentazioni che Montanelli traeva da
Hauser, fra queste ricordiamo la pretesa impossibilità di denazificare il paese “la cui classe dirigente era stata tutta na­
zista” e la piena riabilitazione degli Junker “unici veri antinazisti” . Come dimostrano alcune corrispondenze del novem­
bre 1946, Montanelli conosceva il testo di Hauser già prima della sua traduzione in italiano e vi si era fin troppo fedel­
mente ispirato (cfr. I. Montanelli, P atate sulla mensa degli "Junker" prussiani, cit. e Id„ Il campanello nascosto, CdS, 17
novembre 1946).
33 Cfr. I. Montanelli, Patate sulla mensa degli "Junker" prussiani, cit.
34 Una prima menzione alle “trame” di Paulus coi sovietici risale sul “Corriere” all’autunno del 1946 (cfr. F.H., M is­
sione segreta per von Paulus, Cdl, 19-20 novembre 1946). Si tornò poi a parlare con insistenza dell’“armata von Paulus”
(in realtà, però, il generale tedesco non era un “von”) esattamente un anno dopo, a partire dall’ottobre 1947, in occa­
sione della riunione del Consiglio dei ministri degli Esteri di Londra (25 novembre-15 dicembre 1947).
35 Nei giorni in cui si svolgeva a Londra la riunione del Consiglio dei ministri degli Esteri si era riunito a Berlino (6 e 7
dicembre 1947), su iniziativa delle forze politiche della Germania orientale, il Congresso del popolo tedesco per l’unità e
la giusta pace. Esso decise l’invio di una delegazione alla conferenza di Londra, che tuttavia i ministri degli Esteri oc­
cidentali rifiutarono di ricevere. Il Volkskongress tornò a riunirsi nel marzo successivo. Da esso prese avvio quel pro­
cesso costituzionale che doveva portare l’anno successivo alla fondazione della repubblica democratica tedesca (cfr.
E. Collotti, Storia delle due Germanie, cit., pp. 156-158).
36 I. Montanelli, Si deve a Clay se i tedeschi non sono tornati al passo dell’oca, CdS, 4 luglio 1948.
Il dopoguerra tedesco nell’opinione italiana
Germania. Constatata l’impermeabilità dei
tedeschi all’ideologia comunista e naufraga­
to con ciò il progetto sostenuto dalla diri­
genza della Sed37 per la creazione di uno
Stato tedesco dell’Est, il Cremlino aveva de­
ciso, già da alcuni mesi, di giocare la carta
del nazionalismo, “che — osservava Monta­
nelli — costituisce ancora l’unico linguggio
comprensibile ai germanici”38. Abbandona­
ti Ulbricht, Piede e Grotewohl al loro desti­
no39, Stalin si era pertanto rivolto agli uffi­
ciali della Wehrmacht passati al suo fianco,
riponendo ogni speranza di successo nell’a­
zione del “ omitato nazionale della Germa­
nia libera40. Trasferiti in gran segreto nella
capitale tedesca i due leader del Comitato,
il maresciallo Paulus e il generale von Seydlitz, insieme ad altri militari e a membri
dell’“ Elmo d’Acciaio” , Mosca aveva dun­
que posto risolutamente l’assedio a Berlino,
unico “pulpito” dal quale il richiamo all’u­
nità germanica avrebbe potuto riecheggiare
con forza giungendo a scaldare il cuore di
ogni tedesco. Scriveva Montanelli:
Necessario era che quel governo di “von” parlasse
dal pulpito di Berlino. Solo a questa condizione il
popolo tedesco di qua e di là dalla cortina di ferro
avrebbe visto in esso l’espressione della Nazione
germanica, quale i Germanici tuttora la concepi­
scono, nonostante la guerra perduta e la propa­
ganda (sbagliata) con cui gli hanno riempito la te­
sta dopo la disfatta: la Nazione dei soldati e del­
l’autorità, che non ha colore politico, che ha solo
il diritto ed il dovere di farsi obbedire. [...] E non
615
c’è il minimo dubbio che se gli alleati avessero
sgombrato Berlino, oggi Paulus e Seydlitz parle­
rebbero dalla Wilhelmstrasse in nome dell’unità
tedesca e i milioni di reduci della Wehrmacht di
tutta la Germania presterebbero orecchio compia­
cente alla voce di quella sirena. Pochi sono in que­
sto paese coloro che rimpiangono Hitler, reo di
aver perso la guerra, ma molti — la stragrande
maggioranza — sono quelli che serbano la nostal­
gia dell’“uomo forte”, del “pugno di ferro”, che
domini la situazione e ridia al “Feldwebel” le sue
caserme e al poliziotto il suo manganello41.
Contrariamente ad Augusto Guerriero che
continuava a prendere sul serio la minaccia
rappresentata dall’appello sovietico al nazio­
nalismo germanico42, Montanelli la ridimen­
sionava senza indugio. Egli parlava del ruolo
di Paulus e di von Seydlitz e dei progetti ad
essi legati principalmente allo scopo di solle­
vare dalle spalle delle potenze occidentali il
peso della responsabilità per la divisione del­
la Germania. Il blocco di Berlino, a suo avvi­
so, non era stato, come faceva intendere Mo­
sca, una legittima reazione alla mossa di rot­
tura rappresentata dall’introduzione della
nuova moneta nella Trizona, bensì un’azione
da lungo tempo meditata per assumere l’ege­
monia in Germania. Per quanto riguardava
poi le possibilità di successo dei piani sovieti­
ci, Montanelli era categorico: esse erano nul­
le. Nonostante la propaganda degli emissari
di Paulus e l’“apostolato” di Ernst Niekisch,
prestigioso rettore dell’Università del popolo
di Berlino e fautore autorevole di un “bolsce-
37 II partito socialista unitario era nato nell’aprile del 1946 nella zona sovietica dalla fusione di socialdemocratici e co­
munisti.
38 I. Montanelli, Colpi bassi fra graziosi sorrisi, questa è la battaglia di Berlino, cit.
39 Si trattava dei tre maggiori leader della Sed.
40 II Nationalkomitee Freies Deutschland era stato creato nell’estate del 1943 in Unione Sovietica per iniziativa di emi­
grati politici tedeschi, in gran parte comunisti (E. Weinert. J. R. Becher, W. Ulbricht, W. Pieck e altri), con la collaborazione di prigionieri della Wehrmacht. Il Comitato fu affiancato dalla Lega degli ufficiali tedeschi (Bund deutscher Offiziere) presieduta dal generale von Seydlitz, alla quale aderì anche il maresciallo Paulus, lo sconfitto di Stalingrado (cfr.
E. Collotti, La Germania nazista, Torino, Einaudi, 1962, pp. 299-300). E interessante rilevare come Montanelli consi­
derasse il Comitato nazionale per la Germania libera totalmente sotto il controllo e l’ispirazione dei militari.
41 I. Montanelli, Si deve a Clay se i tedeschi non sono tornati a! passo dell'oca, cit.
42 A suo avviso. Mosca aveva ancora le chances migliori per conquistare un’“anima” della Germania, “anima” pretta­
mente nazionalistica (cfr. A. Guerriero, La lotta per la Germania, CdS, 1 luglio 1948).
616
Filippo Focardi
vismo nazionale” filosovietico43, due fattori
erano però intervenuti ad ostacolare le trame
moscovite: la rottura con Tito e la caparbia
resistenza occidentale nella capitale tedesca.
Dopo l’“affare Tito” , notava Montanelli4445,
giocare la “carta Paulus-Seydlitz” era diven­
tato troppo rischioso per il Cremlino. Una
volta al potere i due generali tedeschi avreb­
bero potuto seguire infatti l’esempio jugosla­
vo svincolandosi da Mosca. Ciò che più era
venuto a scompaginare i progetti di Stalin
era ad ogni modo la tenacia dimostrata da
americani, inglesi e francesi nel difendere
Berlino. Essa stava mettendo in seria difficol­
tà i sovietici. Per Montanelli
L’ostinazione degli alleati ha cacciato i Russi in
una situazione difficile [...] L’assedio fa ai Sovieti­
ci cattiva propaganda, mentre ne fa una eccellente
agli Americani il loro imponente ponte aereo.
Mosca ha due alternative: o insistere nell’assedio
nella vana speranza che gli alleati si stanchino op­
pure accettare lo smacco, togliere il blocco alla
città e tornare al primo modesto programma, un
Reich orientale con capitale Lipsia e gli screditati
Grotewohl e Pieck alla testa, invece dei prestigiosi
Montanelli per la linea dura
Dagli articoli di Montanelli emergeva una
valutazione politicamente spregiudicata ma
non priva di lucidità della crisi berlinese.
Non solo la prova di forza attuata dai sovie­
tici nascondeva in realtà un ripiegamento di
Mosca, indotto dal processo di organizzazio­
ne politico-militare dell’Occidente e dall’inci­
piente messa in opera dei progetti di costitu­
zione dello Stato tedesco occidentale. Ma era
altresì evidente che l’assedio alla capitale ger­
manica stava rivelandosi, già dai primi giorni
di luglio, inutile e controproducente in ragio­
ne rispettivamente del successo del ponte ae­
reo allestito dagli alleati e degli effetti psico­
logici negativi provocati sulla popolazione
tedesca.
Era su queste premesse che poggiava il fer­
mo convincimento dell’opportunità che i go­
verni occidentali non scendessero in alcun
modo a patti con i russi. Per il “Corriere” ,
angloamericani e francesi avrebbero dovuto
tener duro a Berlino e contemporaneamente
accelerare i tempi di costruzione dell’Unione
atlantica e della Germania occidentale. Stalin
si sarebbe trovato così senza una via d’uscita
e la politica tedesca dell’Urss avrebbe fatto
clamoroso naufragio.
Stante questa posizione, si può dunque ca­
pire come il giornale rimanesse spiazzato al­
lorché il 6 luglio una nota anglo-franco-ame­
ricana comunicò ai sovietici la disponibilità
occidentale a riaprire trattative quadripartite
sulla Germania. Per Montanelli si trattava di
un errore colossale. Ciò significava infatti ri­
nunciare al vantaggio acquisito e tornare a
fare il gioco della Russia, che nel porre D ’as­
sedio” a Berlino aveva mirato non tanto alla
conquista in sé della città quanto piuttosto a
contrastare la costituzione dello Stato tede-
43 I. Montanelli, La Russia inietta ai tedeschi il veleno della "Grande Germania", CdS, 8 luglio 1948.
44 I. Montanelli, Si deve a Clay se i tedeschi non sono tornati al passo dell’oca , Cit. La rottura di Tito con Mosca era
recentissima: si era prodotta infatti alla fine di giugno.
45 I. Montanelli, Si deve a Clay se i tedeschi non sono tornati al passo dell'oca , cit. Ricordiamo che lo spettro dell’“armata Paulus”, ricomparso sulle pagine della stampa occidentale ai primi di agosto, fu allontanato una volta per tutte da
Montanelli verso la metà del mese. Recisamente egli negò che nella Germania orientale ci fosse un esercito di reduci
tedeschi agli ordini di Mosca. I due milioni e mezzo di prigionieri germanici in mano ai russi erano nella stragrande
maggioranza "internati come operai” nelle più remote regioni dell’Urss. Solo poche migliaia vestivano ancora la divisa
militare, inquadrati in unità sovietiche di stanza lontano dalla Germania “ché — diceva Montanelli — quando [...] qual­
che reparto vi fu mandato, passò subito in occidente” . L’armata del feldmaresciallo Paulus era dunque solo "uno spec­
chietto per le allodole, strumento di propaganda politica” (cfr. 1. Montanelli, L ’Arm ata Paulus c ’è ma è fa tta di pure
ombre , CdS, 14 agosto 1948).
Il dopoguerra tedesco nell’opinione italiana
sco dell’Ovest46. Montanelli notava che sco­
po di Mosca, era stato e restava bloccare,
tramite la riapertura dei negoziati a quattro,
il processo di formazione del “ Reich occi­
dentale” in modo tale da “ gettare nuova­
mente la Germania nel caos, così favorevole
alla propaganda comunista del quadripartitismo”47.
Il tentativo di ricostruire l’unità tedesca
sotto il controllo quadripartito era, a suo giu­
dizio, del tutto velleitario: la “spartizione del­
la Germania” — ribadiva — era un “ fatto
compiuto” ormai da molto tempo, “da molto
prima che le decisioni della conferenza di
Londra e la riforma del marco la sanzionas­
sero”4849.L’appello sovietico al quadripartitismo e all’unità tedesca era per di più ipocrita.
Proprio a Mosca andava infatti imputata la
divisione della Germania. Osservava Monta­
nelli:
Anche se le decisioni di Londra e la riforma del
marco venissero revocate nulla e nessuno potrebbe
revocare ciò che nello spazio di tre anni hanno fat­
to le autorità sovietiche nel loro settore, a clamo­
rosa smentita degli accordi firmati a Potsdam.
Le due Germanie erano già divise da un solco in­
colmabile quando il “Deutsche Mark” è venuto
a renderlo definitivo44.
A riprova delle sue parole, Montanelli faceva
seguire una descrizione a tinte fosche dei dra­
stici cambiamenti introdotti dal comuniSmo
nella Germania orientale. La proprietà priva­
ta non esisteva più. Oltre tre milioni di ettari
di terreno erano stati “ Kolkhosiert” dallo
Stato. Ma la nazionalizzazione non era anda­
ta a vantaggio dei contadini. Spesso sottopo­
sti nuovamente al giogo dell’“antico padro­
617
ne” tornato come rappresentante di “un Go­
verno onnipotente”, più di mezzo milione di
essi aveva abbandonato le campagne e subito
10 stesso trattamento riservato da Stalin ai
kulaki. Anche le banche erano state naziona­
lizzate e tutti i depositi confiscati. Nel campo
dell’istruzione, “ migliaia di nuovi maestri
elementari usciti’dalle scuole di Mosca e Le­
ningrado” stavano già insegnando “la lingua
russa secondo i metodi russi”. Tutte le risorse
del paese erano state sistematicamente depre­
date dall’occupante che fin dall’inizio aveva
trattato la Ostzone alla stregua di “una pro­
vincia dell’Urss” .
Dopo trasformazioni cosi radicali risulta­
va ora “ quasi impensabile una sutura fra i
due monconi tronchi dell’antico Reich. [...]
11 settore sovietico — sentenziava Montanelli
— risulta ormai talmente impoverito da non
poter costituire più, come una volta, il gra­
naio dell’Ovest industrializzato, ma soltanto,
se il ricongiungimento si facesse, una sua pro­
letarizzata e affamata appendice” . Anche i
tedeschi della Trizona, pur estremamente
sensibili al principio dell’unità nazionale,
erano tuttavia “coscienti che un nuovo quadripartitismo avrebbe ripiombato l’intera
Germania nel caos, tornando ad impoverire
la zona occidentale a beneficio non già di
quella orientale, sibbene solo dei suoi padro­
ni” . La conclusione dell’articolo era perento­
ria: un ennesimo tentativo di ricostituire l’in­
tesa a quattro sarebbe stato fatalmente desti­
nato a far perdere soltanto tempo prezioso, a
rimandare alfinfinito l’opera di ricostruzione
iniziatasi nella zona occidentale e probabil­
mente a sfociare in un nuovo e più violento
contrasto fra i due blocchi rivali.
46 Questa affermazione contrastava in qualche modo con quanto sostenuto in precedenza da Montanelli. Come si ri­
corderà, egli si era detto convinto dell’esistenza di un piano sovietico per instaurare un governo centrale tedesco con
l’appoggio del vecchio militarismo germanico. Aveva sostenuto che era a questo scopo che Mosca aveva deciso di porre
l’assedio a Berlino.
47 1. Montanelli, Clay dice che i S okoh vsky non nascono solo in Germania, CdS, 10 luglio 1948.
48 I. Montanelli, L ’unità è il sogno dei tedeschi ma la realtà è per ora contraria, CdS, 14 luglio 1948.
49 I. Montanelli, L'unità è il sogno dei tedeschi ma la realtà è per ora contraria, cit.
618
Filippo Focardi
Lucius Clay il “demiurgo”
della riscossa americana
Di fronte alle improvvide tentazioni occiden­
tali di negoziato con FUnione Sovietica, chi
mostrava di saper mantenere nervi saldi e
lungimiranza politica era per Montanelli sol­
tanto il governatore militare americano in
Germania: l’intransigente Lucius D. Clay30.
Decisamente contrario alla posizione conci­
liante sostenuta non solo dalla Francia e dal­
la Gran Bretagna ma sempre più chiaramen­
te anche dal Dipartimento di Stato, Clay an­
dò presto configurandosi agli occhi di Mon­
tanelli (e dei lettori del giornale) come
l’unica vera àncora di salvezza per l’Occiden­
te. Il plauso fino ad allora genericamente tri­
butato alla Deutschlandpolitik statunitense si
trasformò cosi in un sostegno vigoroso alla
linea politica impersonata dal generale ame­
ricano, la cui figura prese a campeggiare nelle
appassionate corrispondenze dell'inviato del
“Corriere” .
A Washington dal 20 al 25 luglio per con­
cordare con Truman la direttrice d’azione
americana, Clay aveva suggerito fin dai primi
giorni della crisi berlinese il ricorso ad un
braccio di ferro con FUnione Sovietica. La
prospettiva dell’amministrazione militare
americana in Germania, che Montanelli —
come si è già accennato — aveva mostrato
di condividere pienamente, era molto diversa
rispetto a quella dei circoli politico-diploma­
tici europei e washingtoniani spaventati dal­
l’idea di un possibile confronto armato. Per
Clay, come per Montanelli51, il blocco di Ber­
lino non implicava alcun reale pericolo di
guerra. All’est dell’Elba esistevano sì ingenti
forze di polizia, ma non truppe sul piede di
battaglia. Anzi, dalla disposizione delle forze
armate sovietiche trapelavano più apprensio­
ni difensive che non propensioni offensive.
La verità era che l’Urss temeva la guerra e
la potenza americana. Essa aveva giocato la
carta dell’isolamento della capitale tedesca
spinta dalla preoccupazione per la decisione
londinese di costituire uno Stato tedesco oc­
cidentale. Ma dietro l’arroganza del gesto si
nascondeva una fragilità politica che occor­
reva smascherare. E per smascherarla Clay
aveva proposto l’invio di un convoglio arma­
to a Berlino32. Lungi dal riaprire negoziati a
quattro sulla Germania assecondando la vo­
lontà sovietica, gli Stati Uniti avrebbero do­
vuto provocare una sfida aperta con Mosca.
Dietro la proposta di Clay non vi era, secon­
do Montanelli, il proposito di usare concre­
tamente le armi. Si trattava solo di esercitare
una forte pressione e di correre un rischio cal­
colato: impossibilitati a scatenare una guerra
che li avrebbe visti soccombere, i sovietici
avrebbero alla fine certamente ripiegato53.
Già messa in crisi dalla nota del 6 luglio,
questa strategia parve però del tutto compro­
messa alla fine del mese quando, presso i go­
verni di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti
sembrò prevalere definitivamente la volontà
di trattare. Dopo un lungo dibattito, i tre go­
verni presero infatti la decisione di inviare
una delegazione diplomatica a Mosca per
esperire la possibilità di un accordo54. Con­
trariamente al corrispondente da Washing­
ton, Ugo Stille, favorevole alla mossa occi­
dentale e fiducioso nella possibilità di un set-
■° Sulla figura di Clay si possono vedere le memorie (Lucius D. Clay, Decision in Germany, Melbourne, London, To­
ronto, Heinemann, 1950) nonché l’opera del Krieger (W. Krieger, General Lucius Clay und die amerikanische Deutsch­
landpolitik , Stuttgart, 1987).
51 I. Montanelli, Entro i prossimi dieci giorni la crisi toccherebbe la sua acme , CdS, 22 luglio 1948.
52 La prima menzione della proposta del convoglio armato la troviamo sul “Corriere” il 12 luglio (cfr. P.T., Il generale
Robertson riferisce a Bevin sulla situazione tedesca, Cdl, 12-13 luglio 1948).
x1 Ricordiamo che alla metà di luglio gli Stati Uniti avevano inviato in Inghilterra 60 “superfortezze volanti” pronte ad
un eventuale attacco nucleare.
54 Ugo Stille, La tesi conciliativa prevale su quella militare, CdS, 27 luglio 1948.
Il dopoguerra tedesco nell’opinione italiana
tlement con l’Urss53*55, le reazioni di Montanel­
li dalla Germania furono durissime. Così, se
all’inizio della missione dei rappresentanti
occidentali a Mosca egli sottolineò come
non vi fosse alcun margine per un’intesa sin­
cera col Cremlino56, in agosto, poi, quando
sembrò trovarsi una base per la trattativa,
Montanelli non si trattenne dall’indicare
con foga ai lettori i gravi pericoli che un even­
tuale accordo avrebbe comportato57.
Per l’inviato del “Corriere” gli effetti nega­
tivi di un’intesa quadripartita si compendia­
vano tutti nella possibilità, in quel caso data
per certa, che il governatore Clay venisse ri­
mosso dal suo incarico. “ Clay — scriveva
Montanelli — sarà il capro espiatorio dell’ac­
cordo russo-americano se questo accordo si
farà”58. La rimozione del “proconsole” Lu­
cius Clay avrebbe significato inevitabilmente
la sconfitta della sua vincente politica tede­
sca, di quella “politica di prestigio” che, ini­
ziata con la decisione di rilanciare l’economia
germanica e condotta con inflessibilità grazie
a “poteri quasi illimitati” , aveva avuto uno
sviluppo “virtuoso” attraverso la decisione
di fondere le due zone angloamericane, pri­
ma, e di avviare la creazione di uno Stato te­
desco occidentale, poi. L’energica azione del
generale americano, osteggiato non solo dai
sovietici ma sovente anche dagli stessi alleati
franco-britannici, aveva avuto per Monta­
nelli l’impareggiabile merito di ribaltare i gio­
chi in Germania, troppo a lungo nelle mani
della propaganda “unitarista” del Cremlino.
Adesso però quella politica rischiava di nau­
fragare miseramente riaprendo così la strada
alle torbide manovre staliniane.
619
Già il prestigio dell’Occidente era stato se­
veramente incrinato nel momento in cui, ri­
fiutando lo showdown suggerito da Clay, in­
glesi, americani e francesi erano andati a Mo­
sca per contrattare.
I tedeschi hanno il culto della forza e una delle ra­
gioni per le quali i berlinesi accettarono i benefici
dell’assedio fu la gioia di vedersi svolazzare sulla
testa 500 e più quadrimotori al giorno che davano
ad essi la consolante convinzione della schiaccian­
te superiorità occidentale nei riguardi dei sovietici.
Tutta la lotta interna contro il comuniSmo era ed è
basata su questa certezza che l’Occidente, sia pure
democratico, è più forte e meglio organizzato del­
l’Oriente, sia pure totalitario. Ora, lo spettacolo
dei tre ambasciatori alla porta di Mosca ha inferto
un grave colpo a questa convinzione [,..]59.
Le paure di Montanelli circa la possibilità di
un accordo con la Russia si rivelarono co­
munque infondate.
Interrottosi infatti alla metà di settembre
il dialogo con Mosca, gli occidentali porta­
rono la questione di Berlino in discussione
alle Nazioni Unite (29 settembre), dove ac­
cusarono i sovietici di aver arrecato col loro
blocco “una minaccia alla pace e alla sicu­
rezza mondiale”.
Come notarono molte fra le “firme” più
prestigiose del “Corriere”60, tale iniziativa
diplomatica significava l’abbandono di ogni
residua volontà di patteggiamento con Mo­
sca e il libero dispiegarsi di una politica
prettamente “offensiva” , fondata su tre ca­
pisaldi: la prosecuzione del ponte aereo, ca­
pace ormai di rifornire Berlino in qualsiasi
condizione metereologica61; l'ulteriore fase
53 U. Stille, La "guerra fredda" sarebbe superata , CdS, 4 agosto 1948.
36 I.Montanelli, Il carosello non si arresta nel corridoio aereo tedesco, CdS, 28 luglio 1948.
57 I. Montanelli, Se si fa rà l ’accordo ne andrà di mezzo Clay, Cds, 11 agosto 1948.
58 I. Montanelli, Se si fa rà l ’accordo ne andrà di mezzo Clay, cit.
59 I. Montanelli, Se si fa rà l'accordo ne andrà di mezzo Clay, cit. [corsivo nel testo].
60 Ci riferiamo in particolare ad Augusto Guerriero e ai due inviati del “Corriere” in Inghilterra, Piero Treves e Giorgio
Sansa.
61 Di lì a poco, in dicembre, il ponte aereo sarebbe stato in grado di rifornire Berlino di 4. 500 tonnellate di merci al
giorno: 500 tonnellate in più rispetto al fabbisogno della città. (Cfr. D. Yergin, Il blocco di Berlino, cit., p. 254)
620
Filippo Focardi
di definizione del progetto di Unione atlan­
tica62; l’accelerazione del processo di costi­
tuzione dello Stato tedesco occidentale6’.
Era quanto aveva sempre auspicato Indro
Montanelli che, infatti, non si lasciò sfuggi­
re l’occasione per rilanciare una volta per
tutte e con la massima forza possibile quella
tough polìcy di cui era stato costantemente il
più appassionato e caparbio fautore6465. Da
Francoforte Montanelli osservava che la
rottura dei negoziati rendeva finalmente ra­
gione alla linea politica del comandante
Clay, alla sua tesi di “un’assoluta impossibi­
lità d’intesa con i russi e della necessità di
usare con loro la maniera forte”63.
Dalle parole di Montanelli il governatore
americano emergeva come l’autentico “ de­
miurgo” della riscossa occidentale in Ger­
mania. Determinato e lungimirante, si dove­
va alla sua tenacia e al suo intuito politico
se in terra tedesca, come dimostravano le re­
centi elezioni in Renania e in Westfalia66, il
comuniSmo aveva cominciato ad arretrare.
Era ormai chiaro a tutti come la Deutsch­
landpolitik propugnata da Clay fosse l'uni­
ca in grado di porre la Germania al riparo
dalle insidie propagandistiche di Stalin e di
mettere in difficoltà i sovietici, innalzando
al tempo stesso il prestigio degli alleati occi­
dentali presso tutta la popolazione
germanica. “ I tedeschi — egli aveva osser­
vato — credono molto di più agli effetti nu­
tritivi della carne in scatola americana che
non alle capacità organizzative della demo­
crazia importata dai vincitori” . Clay era
stato uno dei pochi a capire il carattere ed
i sentimenti del popolo tedesco senza dete­
starli o pretendere di modificarli. Era inutile
insistere con l’indottrinamento democrati­
co. Occorreva piuttosto riconsegnare senza
paura nelle mani dei tedeschi la chiave del
loro destino. Occorreva fare di tutto per as­
secondare la ripresa della Germania in una
cornice politica di rigorosa contrapposizio­
ne all’Unione Sovietica.
Se voleva vincere la battaglia per Berlino,
l’Occidente, per Montanelli, doveva seguire
senza incertezze la strada della fermezza in­
dicata dal generale americano: tenersi stret­
ta la capitale germanica, accelerare il pro­
cesso del proprio riarmo e affrettare i tempi
della costituzione di uno Stato tedesco del­
l’Ovest economicamente forte, capace di so­
stenere la ricostruzione europea. Anche al
fine di rilanciare l’economia germanica era
opportuno seguire senza esitazioni la via in­
dicata da Lucius Clay.
Avversario accanito della politica punitiva
di puro “saccheggio” economico condotta in
Germania dagli inglesi e dai francesi67, con­
trario alla prosecuzione degli smantellamenti
industriali, Clay sosteneva con ostinazione la
necessità che la produzione venisse subito ri­
messa nelle mani degli imprenditori tedeschi
per essere rilanciata senza impedimento di
sorta68.
62 II 10 settembre 1948 si era chiusa la prima delle tre tornate degli Exploralory talks on security tra gli Stati Uniti e il
Canada e i cinque paesi dell’Unione Occidentale.
63 11 1° settembre si era riunito a Bonn il Consiglio parlamentare tedesco, incaricato di redigere il testo costituzionale
dello Stato tedesco occidentale.
,4 I. Montanelli, Sul comodino di Clay ì libri contro i vincitori, CdS, 27 ottobre 1948.
65 I. Montanelli, Sul comodino di Clay i libri contro i vincitori, cit.
1,6 Nelle elezioni tenutesi il 17 ottobre il partito comunista aveva perso il 40 per cento dei voti, crollando — diceva Mon­
tanelli — ad un “miserabile” 7 per cento.
67 Per quanto riguarda la politica inglese cfr. I. D. Turner (a cura di), Reconstruction in Post-war Germany. British Occupation Policy and ’.he Western Zones. 1945-1955 , Oxford, 1989. Sulla politica tedesca della Francia cfr. invece M. Hillel. L'occupation franpuise en Allemagne 1946-1949 , Paris, 1983.
" 1. Montanelli. Soltanto in Paradiso cronometri a volontà, CdS, 12 settembre 1948; Id., Partita dallo zero assoluto la
produzione tedesca sale di giorno in giorno, CdS, 30 ottobre 1948; Id., Lo spodestato "re dell'acciaio ” a cena dai suoi vec­
chi operai, CdS, 18 novembre 1948.
Il dopoguerra tedesco nell’opinione italiana
Montanelli faceva propria incondiziona­
tamente questa posizione69. Egli era catego­
rico: di fronte alle resistenze della Francia
ancora ossessionata dal “pericolo teutoni­
co” , di fronte ai progetti di nazionalizzazio­
ne patrocinati dal laburismo inglese, occor­
reva ancora una volta adottare e difendere
il pragmatico punto di vista del governatore
americano favorevole ad una politica schiet­
tamente liberistica, la sola che garantisse il
massimo potenziamento del sistema produt­
tivo germanico. L’imponeva una ragione
economica: il rilancio produttivo dell’Euro­
pa occidentale. L’imponeva un calcolo poli­
tico: la definitiva conquista del consenso del
popolo tedesco.
Montanelli non nascondeva la speranza
che la potenza industriale e la floridezza del­
la Germania ad ovest dell’Elba avrebbero
potuto esercitare un giorno un’irresistibile
forza d’attrazione anche sulla Germania po­
sta al di là della cortina di ferro. La politica
promossa da Clay e dall’amministrazione
statunitense avrebbe dunque permesso al­
l’Occidente non solo di vincere la battaglia
per Berlino ma anche di ipotecare la vittoria
621
finale nel confronto per la supremazia sul­
l’intero paese70.
La Germania di Montanelli
L’incondizionato sostegno alla Deutschland­
politik americana si accompagnava al ferreo
convincimento della necessità di un pieno ri­
scatto politico, morale ed economico dei te­
deschi, che significava innanzitutto per Mon­
tanelli la possibilità di una completa autono­
mia d’azione per il futuro governo germani­
co, messa a repentaglio dalle direttive alleate
concordate a Londra71, che egli non esitava
a criticare.
Frutto di un compromesso fra la volontà
americana di dar vita ad uno Stato tedesco
occidentale e la volontà francese di “silurar­
lo”7273,viziati dalla fretta di precedere i sovie­
tici anch’essi impegnati nella creazione di
un’entità statale nella Germania dell’Est7j,
gli accordi presi a Londra evidenziavano,
per il giornalista toscano, un’esagerata vo­
lontà di controllo da parte delle potenze occi­
dentali occupanti. Commentando rincontro
69 In linea con la posizione del giornale da sempre critico nei confronti degli smantellamenti in conto riparazioni e fa­
vorevole all'innalzamento dei livelli produttivi tedeschi, Montanelli assumeva però un atteggiamento più radicale sulla
questione deH’internazionalizzazione della Ruhr. Se infatti, in occasione della conferenza sulla Ruhr (11 novembre-28
dicembre 1948), il “Corriere” mostrava di condividere l’esigenza di creare una forma di controllo sulla distribuzione dei
prodotti dell’importante distretto industriale (il giornale condivideva la posizione americana favorevole ad un controllo
sulla distribuzione dei prodotti, mentre avversava la posizione francese che sollecitava un controllo anche sulla produ­
zione), Montanelli al contrario si dichiarava apertis verbis contrario all’internazionalizzazione. Essa avrebbe significato,
a suo giudizio, la “collettivizzazione delle miniere e delle fonderie” e impedito il rilancio produttivo tedesco. Anche in
questo caso egli contava sugli americani e su Clay in particolare, per niente intenzionati — se ne diceva convinto — a
rispettare gli accordi presi con la Francia per internazionalizzare la Ruhr (I. Montanelli, Lo spodestalo "re dell’acciaio"
a cena dai suoi vecchi operai, cit.). Sull’argomento cfr. E. Collotti, Storia delle due Germanie, cit., 70 sg.
70 I. Montanelli, P artita dallo zero assoluto la produzione tedesca sale di giorno in giorno, cit.
71 Affermato ivi il proposito di dar vita ad uno Stato tedesco-occidentale, si era pertanto raccomandato ai governatori
militari della Trizona di prendere contatto con i ministri presidenti dei Laender al fine di predisporre la convocazione di
un'Assemblea costituente che elaborasse una Costituzione da sottoporre quindi all’approvazione dei Laender. Si era an­
che indicato che il futuro Stato tedesco avrebbe dovuto avere forma federale (cfr. E. Collotti, Storia delle due Germanie ,
cit., pp. 126-127).
72 1. Montanelli, Clay dice che i Sokolovsky non nascono solo in Germania, cit.
73 I. Montanelli, Sotto ogni Quisling si può nascondere un Tito, CdS, 3 luglio 1948. Secondo Montanelli gli americani
avevano avuto fretta di precedere “una mossa sovietica intesa a creare un Governo comunista sotto l’egida di Mosca
per tutta la Germania” . Per questo essi si erano “accontentati di un documento che non dà sufficiente soddisfazione
alla volontà tedesca di autogoverno”, venendo incontro ad alcune delle richieste francesi.
622
Filippo Focardi
del 1Qluglio fra i governatori militari alleati e
i presidenti dei governi dei Laender della Trizona74, Montanelli non mancava di manife­
stare forti perplessità nei confronti di diretti­
ve che, a suo dire, prefiguravano “un regime
di protettorato di illimitata durata”75. Que­
sto era infatti il pericolo che trapelava in par­
ticolare dalla lettura del terzo dei tre docu­
menti notificati dai governatori militari alle
autorità tedesche, riguardante il nuovo Sta­
tuto di occupazione.
I lineamenti generali del nuovo Statuto,
che avrebbe regolato i rapporti fra le autorità
d’occupazione e il futuro governo tedesco,
indicavano chiaramente per Montanelli il de­
ficit di sovranità che continuava a gravare
sulla Germania: le relazioni esterne, il com­
mercio con l’estero, il controllo internaziona­
le dell’economia germanica, la smilitarizza­
zione del paese erano infatti tutti campi asse­
gnati al rigoroso monopolio delle potenze
vincitrici. Potenze che si riservavano, inoltre,
un diritto di intervento e di veto in materia
costituzionale e legislativa. Montanelli mo­
strava di comprendere quindi la delusione
manifestata dai tedeschi e le ragioni della lo­
ro “pessimistica rinuncia ad ogni collabora­
zione”76. Era stato compiuto solo “un picco­
lo passo avanti verso l’autonomia, più picco­
lo di quanto si sperasse”77789. La legittima vo­
lontà tedesca di autogoverno non era stata
sufficientemente soddisfatta, tanto che la
Germania continuava ad essere un semplice
“oggetto della politica altrui”7S. Non si trat­
tava, per l’inviato del “Corriere”, di respin­
gere le direttive di Londra76 — che anzi egli
invitava con grande fermezza ad approvare
per creare in funzione antisovietica il “fatto
compiuto dello Stato tedesco dell’Ovest”80
—, quanto piuttosto di tener conto delle giu­
ste esigenze etico-politiche dei tedeschi. Esi­
genze che si traducevano in richieste lecite
che i governi di Francia, Stati Uniti e Gran
Bretagna avrebbero dovuto esaudire. Anda­
vano capite ad esempio le riserve dei politici
tedeschi contrari a ratificare la divisione del
paese e restii ad accettare un regime di se­
mi-indipendenza. Non si poteva calpestare
il loro sentimento nazionale. Le richieste dei
ministri-presidenti dei Laender di non parla-
74 Nell’incontro, svoltosi a Francoforte sul Meno, i governatori militari impartirono alle autorità tedesco-occidentali le
direttive concordate a Londra per il ripristino di una struttura statale nella Germania dell’Ovest. In particolare furono
consegnati tre documenti. Il primo di questi autorizzava i ministri presidenti dei Laender a convocare un’Assemblea
costituente che doveva riunirsi entro il 1B settembre 1948 con il compito di redigere un progetto di costituzione da sot­
toporre poi a referendum popolare in ciascun Land. Il secondo documento invitava invece i ministri presidenti a pre­
sentare proposte per l’eventuale modifica dei confini dei Laender fissati dopo il 1945. Il terzo, infine, riguardava il nuo­
vo Statuto di occupazione che avrebbe regolato i rapporti tra le autorità d’occupazione e il governo tedesco cfr. E.
Collotti, Storia delle due Germanie, cit., pp. 138-140).
75 I. Montanelli, Colpi bassi fra graziosi sorrisi, questa è la battaglia di Berlino , cit.
76 I. Montanelli, Sotto ogni Quisling si può nascondere un Tito , cit.
7' I. Montanelli, Colpi bassi fra graziosi sorrisi, questa è la battaglia di Berlino , cit.
78 I. Montanelli, Sotto ogni Quisling si può nascondere un Tito, cit.
79 Fin dalla prima riunione a Coblenza dei ministri presidenti dei Laender (8-10 luglio), erano emerse molte riserve circa
le direttive impartite dai governatori militari. Ci furono poi altri due incontri (il 20 e il 26 luglio) prima di giungere ad
una risposta definitiva delle autorità tedesche. Tutte le proposte da esse formulate furono accettate. Fra queste la pro­
posta di parlare di una Legge fondamentale piuttosto che di una Costituzione vera e propria (a sottolineare il carattere
provvisorio dello Stato che si andava a formare: non si voleva infatti assumere la responsabilità della divisione del pae­
se); il proposito quindi di non convocare un’Assemblea costituente bensì un Consiglio parlamentare; la decisione, infine,
di evitare di sottoporre a referendum popolare la ratifica della Legge fondamentale che sarebbe stata invece demandata
ai singoli Landtage. (Cfr. E. Collotti, Storia delle due Germanie, cit., pp. 140-143).
80 “[...] tutti coloro che si oppongono al progetto alleato, di destra o di sinistra che siano, finiscono — scriveva Mon­
tanelli — per fare soltanto, sia pure involontariamente, gli interessi dei sovietici” (cfr. I. Montanelli, d a y dice che i Sokolovsky non nascono solo in Germania, cit.)
Il dopoguerra tedesco nell’opinione italiana
re di una Costituzione della Germania occi­
dentale ma piuttosto di una Legge fondamentale, di non convocare un’Assemblea co­
stituente bensì un Consiglio parlamentare, di
evitare di sottoporre a referendum popolare
la Basic Law erano per Montanelli richieste
sacrosante nonché politicamente opportune.
Sulla classe dirigente democratica tedesca,
rappresentata a suo avviso dalla Cdu e dalla
Spd, non doveva riversarsi alcuna responsa­
bilità per la divisione della Germania. Altri­
menti sarebbe stato il neonazismo clandesti­
no ad avvantaggiarsene, con grave pericolo
per tutti. Alcune pericolose avvisaglie già
non avevano mancato di manifestarsi81.
Montanelli e la critica al principio della “ col­
pa collettiva”
Il riscatto politico della Germania, voluto in
verità per Montanelli solo dagli americani,
non poteva poggiare a suo avviso che su un
riscatto di natura anche morale. Egli non esi­
tava ad assumere una posizione controcor­
rente, critica nei confronti del principio co­
munemente accettato della “colpa collettiva”
del popolo tedesco82 e assolutamente ostile al
processo di denazificazione e rieducazione
portato avanti dalle quattro potenze occu­
panti a partire dalla conferenza di Potsdam.
Centrale nel ragionamento di Montanelli
era il problema della “colpa” . Notava che83
tutti gli osservatori europei in Germania
sembravano convinti del fatto che i tedeschi
non si fossero affatto pentiti e che essi fossero
623
rimasti sempre gli stessi. Questa impressione,
però, era a suo giudizio falsa e fuorviante: “a
me pare che i tedeschi invece si pentano mol­
tissimo e che il loro irrigidimento dinanzi alle
accuse altrui, che gli stranieri lamentano, non
provenga da una incapacità di contrizione,
ma solo da un istinto di difesa” . Difesa da
che cosa? Montanelli non aveva dubbi:
La “colpa” tedesca, lo “Schuld” è la cittadella mo­
rale degli alleati, che vi hanno costruito sopra il lo­
ro edificio punitivo. Se essa viene a mancare crolla
tutto: la resa incondizionata, la spartizione in due,
le annessioni polacche, la Bibbia di Churchill e di
Roosevelt, lo statuto di occupazione, i processi di
denazificazione. Tutto. E questo mi pare che spie­
ghi a sufficienza come mai gli alleati insistono tan­
to a volere la penitenza e i tedeschi altrettanto in­
sistano nella impenitenza84.
“Malaugurata invenzione del puritanesimo
anglosassone” , il principio della “colpa”
non risultava inficiato soltanto per il fatto
di rappresentare agli occhi dei tedeschi l’ele­
mento giustificatorio di una prassi punitiva
ispirata da istanze vendicative. Esso era in­
fatti ulteriormente screditato poiché i tede­
schi ritenevano sinceramente “ingiustificate”
le accuse loro rivolte. Qui il discorso di Mon­
tanelli si faceva davvero delicato. Innanzitut­
to pur non negando le “carneficine di Ausch­
witz e di Dachau” , i tedeschi negavano tutta­
via “il diritto delle vittime al generale com­
pianto [...] Essi realmente ignorano —
notava il giornalista — che per i Lager è pas­
sato il fior fiore dell’intelligenza europea nel­
la sua tragica lotta per la libertà” . A causa
81 I. Montanelli, La “X " della Germania è il neo-nazismo clandestino , CdS, 29 luglio 1948. Montanelli si riferiva in par­
ticolare a due gruppi politici: il “democratico-nazionale” di von Schlabrendorff e l’“unitario universale” di von Heydt.
Se il primo non rappresentava per Montanelli una grave minaccia (“getta abilmente il ponte alla parte buona del nazi­
smo, appellandosi alla solidarietà nazionale e alla necessità di por fine alle vendette e alle epurazioni”), il secondo vi­
ceversa costituiva un pericolo serio. Von Heydt non nascondeva infatti il proposito di rifare “un nazismo senza Hitler” e
non nascondeva il suo credo razzista.
82 Cfr. in proposito Jens Petersen, La Resistenza tedesca vista dall'Italia: il giudizio dei contemporanei e degli storici , in
Claudio Natoli (a cura di), La Resistenza tedesca 1933-1945, Milano, Angeli, 1989, pp. 254-256.
83 I. Montanelli, Accettano la sconfìtta, respingono l'infamia , CdS. 21 luglio 1948.
84 1. Montanelli, Accettano la sconfìtta, respingono l ’infamia , cit.
624
Filippo Focardi
della “ diabolica astuzia” di Flimmler che
aveva mescolato nei Lager “l’elemento mo­
rale più alto con quello più abietto, obbli­
gando il detenuto politico a convivere col ra­
pinatore di strada”, tutti in Germania tende­
vano ad identificare il detenuto politico col
criminale comune. Senza spendere neppure
una parola sulla tragedia dell’Olocausto85,
Montanelli si mostrava fin troppo compren­
sivo nei confronti di quest’atteggiamento.
Finita la guerra e spalancati i cancelli dei
campi di concentramento, l’“elemento buo­
no” sopravvissuto alla dura prova, e specialmente gli occidentali, aveva subito preso la
via del ritorno in patria. In Germania era in­
vece rimasta soprattutto la feccia, gente sla­
va, rapinatori e borsari neri, che si era presto
data ad imperversare per il paese, autentica
Landplage, “flagello della contrada”, dedita
a furti, rapine e stupri. Era dunque com­
prensibile, a suo avviso, che il “galantuomo
tedesco” si sentisse “dispensato da ogni pie­
tà” e fosse portato a vedere nei detenuti dei
Lager solo dei soggetti criminali86. A spinge­
re i tedeschi in questo senso agiva inoltre,
aggiungeva Montanelli, un’“altra e più pro­
fonda ragione”: “la Obrigkeit e cioè il rispet­
to dell’ordine e dell’autorità costituita”87.
Caratteristica tipica dello spirito germanico
e riconducibile all’insegnamento di “quel
lontano (e vicinissimo) precursore di Hitler”
che era stato Martin Lutero88, la Obrigkeit
aveva annacquato il senso di colpa dei tede­
schi agendo in due direzioni: confermando,
da un lato, il discredito verso quei concitta­
dini che si erano ribellati a Hitler contravve­
nendo all’autorità ufficiale (per il “confor­
mismo tedesco la parola ‘Resistenza’ ha sa­
pore di scandalo e di empietà”89) e legitti­
mando, dall’altro, le azioni criminose
commesse da quanti pensavano di obbedire
ad ordini superiori. Montanelli riconosceva
certo come tutto ciò fosse una “ stortura
mentale” . Ma constatato che tale “stortura”
esisteva e che ad essa andavano imputate le
atrocità perpetrate dai tedeschi, non biso­
gnava tanto chiedersi se questi si fossero
più o meno pentiti quanto piuttosto se “i si­
stemi rieducativi praticati dai vincitori fosse­
ro i meglio qualificati a raddrizzare” quella
“stortura” . Cosa che egli negava recisamen­
te90. La “squalifica morale” della Germania
sottesa alle politiche di epurazione e rieduca­
zione era stata un grande “errore” . I tede­
schi infatti potevano “accettare la sconfitta”
ma respingevano l’“infamia” . Un’“infamia”
che non aveva altro effetto se non quello di
accumulare un’enorme riserva di risentimen­
to, pronto ad esplodere contro gli alleati vit­
toriosi come già era accaduto dopo la prima
guerra mondiale. All’indomani della caduta
del Terzo Reich Montanelli notava che “i te­
deschi, forse, erano pronti a un esame di co­
scienza [...] erano pronti a prendere atto del­
le atrocità commesse dai “funzionari” di
Himmler e a punirle di conseguenza [...] No­
rimberga — però — li ha dissuasi [...] Il fatto
che i vincitori si siano sostituiti alla loro giu-
85 Notiamo che in nessuna delle sue corrispondenze dalla Germania Montanelli si è mai occupato dello sterminio del
popolo ebraico.
86 I. Montanelli, Accettano la sconfìtta, respingono l ’infamia , cit.
8' I. Montanelli, Accettano la sconfìtta, respingono l'infamia , cit.
88 Lutero, secondo Montanelli, aveva insegnato ai tedeschi a praticare il libero arbitrio solo all’interno della sfera pri­
vata. Era in interiore hominis che si doveva esercitare la libertà, non nella sfera pubblica ove doveva vigere invece il ri­
spetto incondizionato per l’autorità costituita. Per il giornalista toscano questa distinzione fra morale privata e morale
pubblica era all’origine di tutte le nefandezze compiute dalla Germania. Egli vi si era soffermato più volte. Cfr. I. Mon­
tanelli, Mancava un Martino ma non era Bormann, CdS, 17 ottobre 1946 (articolo scritto a commento del processo di
Norimberga) nonché I. Montanelli, È Dio che possiede la bomba atomica, CdS, 18 maggio 1947.
89 1. Montanelli, Accettano la sconfitta, respingono l ’infamia, cit.
90 I. Montanelli, Accettano la sconfitta, respingono l'infamia, cit.
Il dopoguerra tedesco nell’opinione italiana
stizia e che li abbiano costretti a prendere vi­
sione dei misfatti compiuti dai loro capi sotto
pena di rappresaglie, li ha esentati da qualun­
que atto di contrizione [...] Una grande occa­
sione di estirpare per sempre dall’anima tede­
sca la mortale malattia del totalitarismo è an­
data perduta. Siamo però ancora in tempo.
Approfittiamone”91. Secondo il giornalista,
per rimediare agli errori compiuti gli alleati
potevano fare solo una cosa: interrompere il
“castigo”92. I “tribunali anglosassoni col lo­
ro mostruoso codice di vendetta intinta nella
Bibbia” avevano causato già troppi danni.
Come aveva dimostrato al momento della
sconfitta e come continuavano a dimostrare
le voci di molti suoi “figli”, pressoché ignora­
te dagli stranieri93, la Germania era disposta
ad abbandonare la via dell’“orgoglio” per ri­
trovare quella dell’“umiltà” , era disposta a
riprendere quell’“esame di coscienza” inizia­
to all’indomani della fine del conflitto ma poi
interrotto come comprensibile reazione psi­
cologica alla vis correttivo-punitiva dei tribu­
nali alleati; un’“esame di coscienza” , come
sottolineava Montanelli, che il popolo tede­
sco doveva e poteva compiere “da solo” . I te­
deschi erano disposti a “confessare tante cose
[...] basterebbe non tendere verso di loro il di­
to accusatore ma battere loro fraternamente
la mano sulla spalla”9495.
625
Montanelli rivendicava categoricamente la
necessità che l’opera di denazificazione fosse
subito fermata93. “ La denazificazione scriveva — continua ad essere la piaga della
Germania, una sciagura più catastrofica del­
la stessa sconfitta”96. La “sciagura stava nel­
le dimensioni del fenomeno che aveva tocca­
to ben il 28 per cento della popolazione
adulta. “ Non c’è più una sola famiglia in
Germania che non abbia il suo ‘epurato’ da
mantenere, intorno al quale naturalmente si
forma una massiccia solidarietà”. Inquinata
da spirito di vendetta, la denazificazione ave­
va fallito ogni finalità rieducativa. Dopo
l’“orgia iniziale di delazioni” non si riusciva
più a trovare fra i tedeschi un solo testimone
d’accusa. L’intera Germania era infatti “soli­
dale” con gli epurati e “offriva lo spettacolo
di tutti i suoi avvocati antinazisti schierati
gratis a difesa degli imputati nazisti”97.
Il giornalista si mostrava estremamente
comprensivo verso tale comportamento, mo­
tivato non solo dalla ripulsa per rimpianto
vessatorio della giustizia alleata, ma anche e
soprattutto da un’istanza di tipo politico­
ideologico che egli pienamente condivideva.
“ La denazificazione — osservava l’inviato
del “ Corriere” — equivale in sostanza alla
proletarizzazione della Germania e, a cose
fatte, si rivela per quella che è: il mezzo più
I . Montanelli, Accettano la sconfitta, respingono l ’infamia , cit.
92 I. Montanelli, Terribili rose sulla tomba di Jodl, CdS, 26 agosto 1948.
93 Montanelli faceva l’esempio dei due pastori protestanti Asmussen e Niemoller.
94 I. Montanelli, Terribili rose sulla tomba di Jodl, cit.
95 Ricordiamo che già dalla fine del 1946 il “Corriere” aveva espresso grosse riserve sull'opera di denazificazione. Par­
tendo dal presupposto che gli occidentali avevano perduto molto terreno rispetto ai sovietici nella “corsa” ad accatti­
varsi le simpatie germaniche e che di conseguenza niente doveva esser lasciato di incompiuto per risollevare la Germania
dell’Ovest e conquistarne i favori, si era fin da allora rivendicata apertamente la necessità di utilizzare tutte le forze te­
desche disponibili per la ripresa del paese, e fra queste, inevitabilmente, anche quelle compromesse col passato regime.
Riprendendo argomenti dello Hauser, Montanelli era stato uno dei più strenui sostenitori di questo punto di vista. A
suo avviso, se si voleva una classe dirigente efficiente non era possibile privarsi dell’appoggio della vecchia classe diri­
gente scesa a patti col nazismo. (1. Montanelli, Ha parlato in inglese la prima voce della Germania , cit. ; ld.. Anche la
Germania ha i suoi Ambrosini, CdS. 4 maggio 1947). Cfr. anche C. Falcone, "Entnazifizierung"parola troppo complicala,
cit.
9 6 I . Montanelli, Processare i nazi non è più tanto facile , CdS, 25 luglio 1948.
97 I. Montanelli, Processare i nazi non è più tanto facile, cit. Sull’atteggiamento della Germania verso gli epurati e gli
epurandi cfr. anche 1. Montanelli, Un casto Talleyrand sul banco di Norimberga, CdS, 31 luglio 1948 (articolo su Ernst
von Weizsaecker, ex segretario di Stato al ministero degli Esteri, sottoposto a giudizio a Norimberga).
91
626
Filippo Focardi
rapido, escogitato dai comunisti, per svuota­
re lo Stato e strangolare legalmente la classe
media”9*98. L’epurazione avrebbe infatti por­
tato all’“eliminazione di tutta la classe diri­
gente tedesca”, dopo di che la Germania sa­
rebbe rimasta “acefala”, in balia di un prole­
tariato manovrato da Mosca. Egli ne era
convinto che presto un colpo di Stato sul mo­
dello cecoslovacco, ordito dalla “quinta co­
lonna” comunista, avrebbe consegnato il
paese nelle mani di Stalin.
La Resistenza tedesca.
Quanto le ragioni della contrapposizione al
comunismo influissero sul giudizio di Mon­
tanelli lo dimostrano anche i suoi articoli
sul Widerstand, sulla Resistenza tedesca99:
un tema, questo, cruciale, che merita prelimi­
narmente alcune riflessioni.
Nel porre sotto accusa il principio della
“ colpa collettiva” nonché l’intero sistema
di punizione-controllo che su quel principio
gli alleati avevano costruito, Montanelli ave­
va utilizzato due argomenti principali. Il pri­
mo, fondato su un ragionamento di tipo uti­
litaristico, era incentrato sulla constatazione
del carattere controproducente della “politi­
ca di castigo” condotta dagli occidentali in
Germania, politica sfociata in un progressi­
vo e pericoloso accrescimento del risenti­
mento popolare contro gli occupanti. Il se­
condo, invece, riguardava direttamente l’ori­
gine e la peculiarità della “colpa” germanica
e si basava sull’idea della possibilità di un
autonomo “ esame di coscienza” da parte
dei tedeschi, considerati pienamente in gra­
do di redimersi da soli purché non sottoposti
alla spada di Damocle dei processi di epura­
zione100. Ora, se il primo argomento poteva
avere una plausibile motivazione laddove si
mettevano innanzi le vitali esigenze della lot­
ta dell’Occidente democratico contro l’O­
riente bolscevico, che spingevano ad accatti­
varsi con ogni mezzo le simpatie dei tede­
schi, il secondo argomento al contrario
non poteva non suscitare serie perplessità
ed interrogativi. Dal momento che Monta­
nelli non aveva affatto negato la persistenza
di alcune “storture mentali” del popolo ger­
manico, rispolverando vecchi stereotipi co­
me l’ossequio incondizionato all’autorità co­
stituita, il culto della forza e dell’organizza­
zione, l’ossessione nazionalistica nonché
un’innata ostilità alle forme della vita demo­
cratica, risultava allora logico chiedersi se il
suo confidare nelle capacità di autoredenzio­
ne dei tedeschi non costituisse un’apertura di
credito troppo avventata. Non avevano, in­
somma, ragione quanti affermavano che i
discendenti di Arminio non erano cambiati,
che rimanevano pericolosi come sempre, co­
me sempre convinti della propria superiorità
razziale e decisi a procedere alla conquista
del mondo?
9S I. Montanelli, Processare i nazi non è più tanto facile, cit.
1,9 Sull’argomento cfr. Enzo Collotti, Per una storia d ell’opposizione antinazista in Germania, “Rivista storica del socia­
lismo” . 1961, n. 12, pp. 105-137; Id. La Germania nazista, Torino, Einaudi, 1962, pp. 273-305; Id. L ’opposizione anti­
nazista e l ’attentato del 20 luglio, “Il Movimento di liberazione in Italia”, 1964, n. 76, pp. 102-112; Id., Idee di riforma
della società tedesca nei progetti dell'opposizione aninazista, in A spetti sociali ed economici della Resistenza in Europa,
Milano-Varese, Ist. edit. Cisalpino, 1967, pp. 275-294; Id., Una nuova storia dell’opposizione antinazista in Germania,
“Il Movimento di liberazione in Italia”, 1969, n. 96, pp. 96-109; Peter Hoffmann, Tedeschi contro il nazismo, Bologna,
Il Mulino, 1994; C. Natoli (a cura di), La resistenza tedesca, cit. ; Giorgio Vaccarino, Storia della Resistenza in Europa
1938-1945, Milano, Feltrinelli, 1981, pp. 19-152.
100 Autorevole sostenitore della necessità di un autonomo esame di coscienza da parte dei tedeschi era stato in Italia
Benedetto Croce. Negando l’efficacia di cure imposte con la forza dall’esterno, egli aveva sottolineato che una autentica
riabilitazione dei tedeschi poteva derivare unicamente da una loro “ìntima conversione”, da una “conversione” delle
coscienze. (Cfr. Benedetto Croce, Il dissidio spirituale della Germania con l ’Europa, Bari, Laterza, 1944). Si veda anche
la prefazione all’edizione tedesca dell’opera (Benedetto Croce, Germania ed Europa, CdS, 31 dicembre 1946).
Il dopoguerra tedesco nell’opinione italiana
Per sostenere la sua tesi, avversa allo
Schuld e favorevole al pieno riscatto del po­
polo germanico, Montanelli introduceva qui
il problema della Resistenza tedesca, affron­
tando il tema scottante della cosiddetta “al­
tra Germania” . Le sue corrispondenze sul­
l’argomento 101 e soprattutto la lunga indagi­
ne sull’opposizione militare tedesca a Hitler
uscita a puntate sull’edizione pomeridiana
del “ Corriere” e poi pubblicata in volume
da Longanesi nel 1949102, rappresentarono
un contributo di tutto rilievo, senz’altro im­
portante nel panorama della pubblicistica
nazionale del tempo.
Di contro all’orientamento invalso nella
pubblica opinione italiana portata ad identi­
ficare il popolo tedesco col nazismo, Monta­
nelli rivendicava l’esistenza in Germania di
un forte movimento di resistenza antihitle­
riana. Ricordando, ad esempio, il sacrificio
di Hans e Sophie Scholl animatori della
“Rosa bianca” 103, egli sottolineava come ol­
tre ottocentomila tedeschi fossero passati
627
per i Lager e come di questi ben cinquecentomila fossero morti104105. Quest’ultima cifra
era indubbiamente esagerata, ma essa con­
tribuiva ad indicare nel modo più incisivo
possibile agli scettici lettori italiani realtà e
dimensioni della Resistenza tedesca102.
Montanelli sosteneva dunque che anche la
Germania aveva avuto i suoi caduti per la li­
bertà. Il loro martirio non doveva essere
dimenticato. “ Io so — egli scriveva — che
non è giusto dimenticare questi morti soltan­
to perchè sono tedeschi in grazia di un razzi­
smo a rovescio, non meno assurdo e infame
di quello che lo precedette” 106.
Va comunque osservato che l’immagine
della Resistenza che egli dipingeva era politi­
camente connotata e volutamente opposta ri­
spetto a quella tracciata dalle forze di sini­
stra. Se queste identificavano l’“altra Germa­
nia” nella nuova Germania del movimento
operaio, unico vero oppositore — a loro giu­
dizio — della tirannide nazista107, Montanel­
li la identificava invece nella vecchia Germa-
101 Cfr. in particolare, I. Montanelli, Né un romanzo né un monumento per ¡ tedeschi della Resistenza, CdS, 23 settembre
1948 e Id.. L'Umanesimo tedesco è stato epurato in massa, CdS, 29 settembre 1948.
102 Uscita in diciannove puntate sul “Corriere d’informazione” (dal 13 dicembre 1948 al 17 febbraio 1949), l’indagine di
Montanelli venne pubblicata da Longanesi col titolo Morire in piedi. Come egli avvertiva nella prefazione, il lavoro si fon­
dava sul vaglio della pubblicistica straniera, in gran parte non tradotta in italiano. Montanelli si riferiva esplicitamente alle
opere e alle testimonianze di von Hassel, Gisevius, Dulles, von Schlabrendorff, Pechel, Bernadotte, Trevor-Roper, Boldt,
Mourin. Il libro di Montanelli si inseriva in un filone ben preciso: quello della valorizzazione della componente militar-borghese della resistenza antihitleriana. Filone cui appartenevano alcune delle opere più importanti fra quelle pubblicate in Ita­
lia sul Widerstand tedesco. Fra queste i libri di Hermann Rauschning (Hitler mi ha detto, Roma, Edizioni delle Catacombe,
1945 e La rivoluzione del nichilismo, Milano, Mondadori, 1947), la testimonianza di Fabian von Schlabrendorff ( Wehrmacht
contro Hitler, Milano, Ed. Gentile, 1947), quella di Ulrich von Hassel (Diario segreto, Milano, Rizzoli, 1948). Sulla ricezione
in Italia di queste opere cfr. J. Petersen, La resistenza tedesca vista dall’Italia: il giudizio dei contemporanei e degli storici, in C.
Natoli (a cura di), La resistenza tedesca, cit., pp. 256-258; sulla resistenza nazionalconservatrice a Hitler cfr. invece G. Vaccarino, Storia della Resistenza in Europa , cit., pp. 109-153, nonché Klaus-Jùrgen Mueller, La resistenza nazionalconserva­
trice, in C. Natoli (a cura di), La resistenza tedesca, cit., pp. 67-81, con la bibliografia ivi riportata.
103 Sul martirio dei fratelli Scholl e sulle vicende del movimento antinazista La Rosa bianca cfr. Inge Scholl, La Rosa
bianca, Firenze, La Nuova Italia, 1953 e successive edizioni; Klaus Vielhaber, Violenza e coscienza. Willi Graf e la Rosa
bianca, Firenze, 1978; Paolo Ghezzi, La Rosa bianca, Milano, Edizioni Paoline, 1994.
104 I. Montanelli, Né un romanzo né un monumento per i tedeschi della Resistenza, cit.
105 Secondo quanto riporta Giorgio Vaccarino, nel periodo 1933-1945 i cittadini tedeschi fatti giustiziare dal regime
nazista in seguito a pronuncia di sentenza furono 32.600 (cfr. G. Vaccarino, La resistenza tedesca nel contesto europeo,
in C. Natoli (a cura di), La resistenza tedesca, cit., pp. 187-188)
106 I. Montanelli, Né un romanzo né un monumento per i tedeschi della Resistenza, cit.
107 Sulla resistenza antinazista del movimento operaio tedesco cfr. G. Vaccarino, Storia della Resistenza in Europa, cit.,
pp. 19-74 nonché Detlev J. K. Peukert, La resistenza operaia. Problemi e prospettive, in C. Natoli (a cura di), La resi­
stenza tedesca, cit., pp. 40-66 e la bibliografia ivi riportata.
628
Filippo Focardi
nia, la Germania borghese preweimariana, ai
cui valori avevano attinto quelli che a suo av­
viso, contrariamente ai convincimenti delle
sinistre, erano stati i soli autentici artefici del­
la resistenza antinazista: letterati e filosofi,
diplomatici, alti prelati ed esponenti minori
del mondo religioso (specialmente cattolico),
membri delfaristocrazia e, soprattutto, gene­
rali dell’esercito108. Con un atteggiamento
analogo a quello già manifestato verso il mo­
vimento antifascista in Italia109, Montanelli
mostrava di privilegiare l’azione di quelle
forze che erano venute maturando lentamen­
te la loro opposizione all'interno del regime
nazista. Egli parlava, ad esempio, di quel
trenta per cento di studenti universitari tede­
schi che, ispirati dalla grande tradizione libe­
rale dell’umanesimo germanico, avevano ri­
fiutato la tessera del “Guf hitleriano”, il Na­
tionalsozialistischer Studentenbund. Possibi­
le “nerbo di una Resistenza di massa” , pur­
troppo essi erano stati richiamati per primi
alle armi e mandati a morire ancor giovani
sui lontani fronti di guerra: una potenziale
schiera di oppositori antihitleriani era stata
cosi falcidiata senza scampo1101.
Montanelli, poi, si soffermava in particola­
re sul ruolo svolto dagli Junker e dall’esercito
tedesco. Lungi dal rappresentare, secondo
un’immagine invalsa, i più stretti alleati di Hi­
tler, gli Junker erano stati per Montanelli i
suoi più intransigenti oppositori (“gli unici ve­
ri antinazisti contro le masse popolari che fu­
rono tutte fanaticamente naziste” 11’). Diver­
samente dai “generali di Hitler” quali Jodl,
Keitel o Kesselring, nessun generale prussiano
si era macchiato di delitti indegni112. Anzi,
proprio i generali del vecchio Stato Maggiore,
i generali Junker, erano stati gli animatori del­
la resistenza antihitleriana, quella resistenza
militare che, iniziata nel 1938 e culminata nel­
l’attentato a Hitler del luglio 1944, appariva
agli occhi di Montanelli come la principale,
quasi esclusiva, espressione del Widerstand te­
desco. Per lui, amico e recensore di Fabian
von Schlabrendorff113, gli “eroi” della Resi­
stenza in Germania provenivano tutti dalle fi­
la delle forze armate. Essi si chiamavano Ca-
108 Montanelli faceva i nomi di scrittori e di filosofi come Wiechert, Haecker, Ricarda Huch, Guardini, Bergengruen,
Schneider, Jaspers; di “grandi diplomatici” come Schulenburg, Berndorff, Hassel; di uomini di chiesa come i cardinali
cattolici Faulhaber, Preysing, Galen, dei gesuiti Delp. Koenig e Roesch; di “grandi generali” come Witzleben, Stuelpnagel, Beck; di “dame dell'alta società” come Hanna Soli. Lagi Ballestrem, Elisabeth von Thadden (cfr. I. Montanelli,
L ’umanesimo tedesco è stato epurato in massa, cit. ). Come si è accennato. Montanelli sottolineava con forza la maggiore
incisività dell’opposizione antinazista dei cattolici rispetto a quella dei protestanti, troppo sensibili a suo avviso all’ap­
pello alla fedeltà nazionale lanciato dal regime (cfr. I. Montanelli, Terribili rose sulla tomba di Jodl, cit. ). Sulla Resi­
stenza tedesca di matrice religiosa cfr. G. Vaccarino, Storia della Resistenza in Europa, cit., pp. 74-109 e la bibliografia
contenuta nel saggio di Klaus Gotto, / cristiano-democratici sotto la dominazione hitleriana, in C. Natoli (a cura di), La
resistenza tedesca, cit., pp. 172-173. Sui rapporti, in particolare, fra Chiesa cattolica e nazismo si rinvia al classico;
Guenter Lewy, I nazisti e la Chiesa, Milano, Il Saggiatore, 1965.
109 I. Montanelli, Qui non riposano, cit.
110 I. Montanelli, L'umanesimo tedesco è stato epurato in massa, cit.
111 I. Montanelli, Ha parlalo in inglese la prima voce della Germania, cit.
112 Era stato in occasione del processo Kesselring (10 febbraio — 6 maggio 1947) che Montanelli aveva sottolineato la
differenza di comportamento fra i vecchi generali prussiani e i generali invece entrati in carriera grazie al nazismo. “I
generali di Hitler — egli aveva scritto — non somigliano che di lontano, e per forzata imitazione, ai generali tedeschi di
classico modello. Di questi ultimi, nessuno è stato ancora processato, nè pare che lo sarà mai. Non Rundstedt, non
Brauchitsch, non Bock, non Falkenhorst, non Blomberg. Quando gli alleati hanno chiuso il sacco dei criminali di guer­
ra, non vi hanno trovato nessun “Von”, nessun generale del vecchio Stato Maggiore, nessun Junker. Estromessi, dimis­
sionari, o impiccati, nessun rappresentante dello “Herrenvolk” era rimasto sino in fondo a condividere le responsabilità
del nazismo nei delitti contro il genere umano” (cfr. I. Montanelli, Smagrito e invecchiato Kesselring fra due M. P. , Cdl,
10-11 febbraio 1947)
Per l’asserita amicizia fra Montanelli e von Schlabrendorff cfr. I. Montanelli, Processare i nazi non è più tanto facile,
cit. Montanelli, nel settembre 1946, aveva dedicato un’ampia recensione all'opera di Schlabrendorff sull’opposizione
11 dopoguerra tedesco nell’opinione italiana
naris, Beck, Olster, Haider, von Fritsch, von
Tresckow, von Witzleben, von Hammerstein,
von Stauffenberg. Il militarismo prussiano
mostrava cosi un volto inconsueto. Sulle pagi­
ne del “Corriere” esso figurava immune da
colpe e carico viceversa di molti meriti.
La polemica di Montanelli intorno alla
questione della Resistenza tedesca e dell’“altra Germania” fu durissima. Qui, infatti, si
riverberava in tutta la sua virulenza il con­
flitto ideologico fra Occidente ed Oriente.
Qui riemergeva prepotentemente quell’ele­
mento di polemica politica che abbiamo
già visto manifestarsi a proposito del proble­
ma della denazificazione. L’operazione che
Montanelli svolgeva non era quella di sem­
plice privilegiamento della componente militar-borghese del Widerstand rispetto a quella
di matrice marxista. Egli si spingeva ben ol­
tre. Non solo affermava infatti che dalle or­
ganizzazioni del movimento operaio non era
arrivato alcun serio contributo alla resisten­
za antinazista (“ non ci sono che i russi —
egli scriveva mistificando — ad avere inven­
tato la leggenda della Resistenza proleta­
ria” 114), ma addirittura non esitava a sottolineare più volte come esse, e in particolare
quelle comuniste, avessero costituito uno
dei canali principali per la conquista del con­
senso da parte del regime.
Ribaltando l’interpretazione classista del
nazismo (per lui un’autentica “fandonia” 11")
629
e ricorrendo alla categoria ideologico-politica del totalitarismo, scriveva che:
se ci fu una classe ostile al nazionalsocialismo fu
proprio quella dei capitalisti, per i quali il passag­
gio del potere da Brùning a Hitler significò la mor­
te di quel poco di iniziativa privata e di economia
individualistica che ancora esisteva in Germania.
Furono i tredici milioni di lavoratori sindacati che
determinarono il trionfo del nazismo passando nelle
sue file compatti e a bandiere spiegate. E lo fecero
appunto perchè il nazismo predicava e realizzava
un socialismo più radicale di quello di Scheidemann, instaurando — finalmente! — il capitali­
smo di Stato integrale che piace alle masse116.
Caustico verso i “professionisti dell’antinazismo''117, irridente nei confronti dei fuoriusci­
ti dal Reich a suo dire velleitari ed invisi a tut­
to il popolo germanico118, Montanelli si ac­
caniva soprattutto contro il comuniSmo tede­
sco. Era contro di esso in particolare che
veniva brandita la teoria del totalitarismo.
“I comunisti tedeschi non hanno dato inqui­
lini ai “ Lager” . Quelli dei loro capi che nel
1933 non fuggirono in Russia, li ritroviamo
presidenti dei tribunali hitleriani come Freisler o capi della Gestapo come Torgler, aiu­
tante di Heydrich in Cecoslovacchia” 119. Ac­
comunati da una visione della società e del
potere identica a quella del nazionalsociali­
smo, secondo Montanelli i lavoratori comu­
nisti si erano fin dall’inizio inseriti alla perfe-
militare a Hitler, opera uscita allora in lingua tedesca per i tipi di Europa Verlag (Offtziere gegen Hitler), cfr. I. Mon­
tanelli, // cognac che esplode, Cdl, 13-14 settembre 1946.
114 I. Montanelli, L ’umanesimo tedesco è stato epurato in massa, cit.
115 “Le origini capitalistiche del nazismo sono una fandonia”, scriveva Montanelli il 24 luglio (I. Montanelli, In un ca­
stello di caccia è nata la nuova Germania, CdS, 24 luglio 1948).
116 I. Montanelli, Ha rifatto la fabbrica adesso aspetta un "piano", CdS, 2 dicembre 1948 [corsivo nostro],
117 I. Montanelli, Un premier dell'Impero inglese viene a trattare con un gangster!, Cdl, 27-28 dicembre 1948 (cfr. anche
I. Montanelli. Morire in piedi, cit., pp. 54-55).
118 I. Montanelli, Beck con le lacrime agli occhi supplica i congiurati di agire, Cdl, 30-31 dicembre 1948 (cfr. anche I.
Montanelli, Morire in piedi, cit., pp. 57-58). Fra i fuoriusciti antinazisti. Montanelli se la era presa in particolare contro
Thomas Mann, prima campione del pangermanesimo sciovinista e in quanto tale, a suo dire, precursore del nazismo
(per Montanelli, addiritura, sarebbe stato Mann ad inventare la formula del “Terzo Reich” !), poi suo acerrimo nemico,
e. fatto grave per Montanelli, fermo sostenitore di una punizione esemplare per la Germania, (cfr. 1. Montanelli, Mann
fa a se stesso uno scherzo di cattivo genere, CdS, 20 novembre 1948).
119 I. Montanelli, Né un romanzo né un monumento per i tedeschi della "Resistenza", cit.
630
Filippo Focardi
zione nel sistema hitleriano. Essi per primi
erano entrati nel Fronte del Lavoro di Ley,
dove si erano distinti per il loro “totalitario
zelo” Il120. La requisitoria di Montanelli non
si fermava qui. A suo avviso, infatti, ai comu­
nisti andava addebitata anche un'ignobile
azione di tradimento e delazione che aveva
portato al tragico fallimento molte delle ini­
ziative clandestine antinaziste. Era questo,
ad esempio, il caso del Fronte tedesco contro
Thitlerismo che, costituito nel 1936 da Otto
Strasser insieme a cattolici e a socialdemocra­
tici, era stato denunciato alla polizia da ele­
menti comunisti e così scompaginato121.
Era questo il caso della stessa organizzazione
d’ispirazione comunista Rote Kapelle la qua­
le, una volta presa la decisione di porsi agli
ordini diretti di Mosca, era stata proditoria­
mente smascherata proprio dall’uomo che il
Cremlino aveva mandato in Germania per
dirigerla122. Alla sincerità dimostrata nel ren­
dere onore alla Resistenza tedesca non corri­
spondeva dunque analoga sincerità nel rico­
noscere i dovuti meriti ad ognuna delle parti
politiche e delle forze sociali che quella Resi­
stenza avevano animato.
La Germania di Montanelli: tradizione uma­
nistica, bonomia popolare e virtù salvifiche
del liberismo.
Il corrispondente del “Corriere” non lesina­
va, come si è visto, “colpi bassi” e i travisa­
menti strumentali della realtà, che erano tut­
tavia invalsi anche al di là della cortina di fer­
ro e sulla stampa di sinistra. Il clima ormai
arroventato della guerra fredda e la gara in­
gaggiata dalle grandi potenze per la costru­
zione di due Stati tedeschi spingevano infatti
ad un confronto propagandistico serrato in
cui veniva usato ogni mezzo per screditare
l’avversario. Delegittimare per legittimare.
Era questo l’intendimento anche di Monta­
nelli. Solo che legittimare una rinascita tede­
sca, secondo il suo proposito, non era sempli­
ce come legittimare, in generale, le ragioni
della democrazia occidentale contro quelle
del totalitarismo comunista. Sul popolo ger­
manico gravava infatti come un macigno il
peso della più radicale condanna morale
mai inflitta ad una nazione.
Il primo passo compiuto da Montanelli
sulla strada della rilegittimizzazione tedesca
era stato quello — lo si è visto — della riven­
dicazione dell’esistenza in Germania di
un’opposizione antihitleriana di natura “ari­
stocratica e liberale” , un’opposizione fatta
soprattutto di religiosi e di militari, che aveva
contrastato il regime ispirata da motivazioni
etiche e spirituali, pagando un carissimo tri­
buto di sangue. Per Montanelli, quest’“altra
Germania” che si era battuta con tanta ca­
parbietà contro il nazismo non rappresenta­
va soltanto una prova della capacità dei tede­
schi di resistere e di insorgere contro la ditta­
tura. Essa richiamava infatti alla memoria un
volto della Germania che il pubblico interna­
zionale considerava estinto e che invece costi­
tuiva, a suo avviso, una corrente sotterranea
120 I. Montanelli, Gli antinazisti tedeschi cospiravano il mercoledì, Cdl, 20-21 dicembre 1948 (cfr. anche I. Montanelli,
Morire in piedi, cit., p. 32). Omettendo del tutto di ricordare le persecuzioni patite dai comunisti tedeschi. Montanelli
riconosceva solo a Thaelmann di avere tentato una lotta di resistenza contro il nazismo. Un poco più “benevolo” il
giornalista toscano si mostrava verso la socialdemocrazia tedesca. Pur negando una sua opposizione come partito al
regime nazista, egli tuttavia ricordava le persecuzioni e il martirio patiti da alcuni suoi esponenti: i due leader Hilferding
e Breitscheid. Hermann Maas, Mierendorf, Haubach, Ludwig Schwamb, Reichwein, Leber (cfr. I. Montanelli, Gli anti­
nazisti tedeschi cospiravano il mercoledì, cit.).
121 1. Montanelli, Gli antinazisti tedeschi cospiravano il mercoledì, cit. Su Strasser e sul cosiddetto Fronte nero cfr. Otto
Strasser, Hitler segreto, Roma, De Luigi, 1944.
122 I. Montanelli, Il congiurato venuto da Mosca denuncia i “compagni" alla Gestapo, Cdl, 10-11 gennaio 1949 (cfr. an­
che I. Montanelli, Morire in piedi, cit., pp. 99-100).
Il dopoguerra tedesco nell’opinione italiana
vitale destinata in qualche modo a riemerge­
re nel futuro: il volto di una “Germania pa­
triarcale ed artigiana”, “parrocchiale”, “de­
mocratica e umanistica” 123. Montanelli face­
va intendere che un riscatto dei tedeschi non
doveva spaventare oltremisura. La Germa­
nia non si identificava necessariamente con
la nazione guerriera e conquistatrice delle
armate della Wehrmacht. Vi era infatti una
Germania non meno autentica: quella picco­
lo-borghese, serena e gaudente, “dello stru­
del, della birra e dei salsicciotti” 124. Girando
per il paese, Montanelli diceva di vedere
ovunque i segni di “un ritorno alla vera tra­
dizione tedesca, la tradizione di un popolo
sostanzialmente pacifico e cordiale, nono­
stante Dachau e le Fosse Ardeatine, fatto
di uomini che si guardano intorno alla ricer­
ca di una Ehekamaradin che senta il matri­
monio come una cosa armoniosa e casalin­
ga, e di donne dai fianchi rotondi che si
guardano intorno alla ricerca di una cucina
e di bimbi da allevare” 125.
Quest’immagine idilliaca di una Germania
pacifica e laboriosa, pullulante di donne “da­
gli occhi dolci e dai fianchi rotondi” intente a
riordinare casette sventrate dai bombardamenti, era tuttavia un’immagine che poteva
rassicurare solo a metà, che difficilmete riu­
sciva a cancellare le impronte lasciate nella
memoria collettiva dal sanguinario Reich hi­
tleriano. Ugualmente poco suadente era an­
che il richiamo di Montanelli ad una Germa­
nia precapitalistica e umanistica, dedita a vir­
tù borghesi poi corrotte dal repentino svilup­
po socio-industriale. Egli stesso aveva conti­
nuato infatti a parlare insistentemente di vizi
radicati, di caratteristiche quasi antropologi­
che dei tedeschi, quali l’obbedienza perinde
ac cadaver nei confronti del potere costituito,
123
124
125
126
127
631
la tendenza dell’individuo ad annullarsi nella
massa e nella superiore entità dello Stato, il
culto esasperato della forza e della potenza.
Ebbene, era forse sufficiente, per dimenti­
care tutto ciò ed escludere il ripetersi di nuovi
tentativi egemonici, descrivere la tranquilla
quotidianità affettivo-familiare dei tedeschi
sconfitti o appelliarsi ad una Germania set­
te-ottocentesca di letterati e artigiani? Anche
Montanelli senti in realtà la necessità di argo­
menti più convincenti. Il richiamo che egli fa­
ceva ad una Germania “aristocratica e libe­
rale” , ad una nazione “pacifica e cordiale” ,
costituiva senz’altro nei suoi intendimenti
un utile strumento per vincere le resistenze
di quanti, ricordando il vicino passato, conti­
nuavano ad opporsi ad un pieno riscatto te­
desco. Lo strumento era però largamente in­
sufficiente. Non foss’altro perchè non si po­
teva realisticamente immaginare di far com­
piere alla Germania un salto all’indietro di
oltre un secolo. Occorreva dunque qualcosa
di diverso, qualcosa che Montanelli identifi­
cò in una modernizzazione del paese all’inse­
gna del laissez faire.
Pur ribadendo la propria fiducia nei valori
della Germania goethiana, egli cercò difatti
in vari articoli di render ragione degli effetti
rigeneratori che, a suo avviso, sui tedeschi
avrebbe prodotto lo sviluppo di un moderno
capitalismo d’impresa, non più legato all'in­
tervento dello Stato ma basato sulla libera
concorrenza. I tedeschi — egli diceva ripren­
dendo un famoso motto di Gertrude Stein —
dovevano imparare a disobbedire126. E il mo­
do migliore per farlo era lasciare finalmente
briglia sciolta all’iniziativa economica indivi­
duale. La Germania era sempre stata “anti­
capitalista e socialisteggiante” — sosteneva
Montanelli127 — “dal governo degli Junker
Erano parole che Montanelli riprendeva da Keyserling (cfr. I. Montanelli, Soltanto in Paradiso cronometri a volontà, cit.)
I. Montanelli. Sono tornale le carrozzelle nella Germania democratica, CdS, 2 settembre 1948.
I. Montanelli. Sette milioni di donne alla ricerca di una cucina, CdS, 5 agosto 1948 [corsivo nostro].
I. Montanelli, Un maestro troppo sincero tiene lezione a Magonza, CdS, 28 novembre 1948.
I. Montanelli, Ha rifatto la fabbrica, adesso aspetta un "piano”, cit.
632
Filippo Focardi
fino a quello di Hitler” , il quale aveva esteso
l’intervento statale su tutto, fino a realizzare
“un socialismo integrale”, “più integrale sot­
to molti aspetti — egli notava — di quello
stesso sovietico” . Ora, però, si scorgeva
un’inversione di tendenza che faceva ben spe­
rare. La borghesia imprenditoriale tedesca
sembrava finalmente disposta a rivendicare
quell’autonomia d'azione che le era stata tol­
ta già all’indomani della rivoluzione indu­
striale dalla “burocrazia prussiana”, interes­
sata ad organizzare e controllare ogni risorsa
nazionale in vista dell’affermazione egemoni­
ca dello Stato tedesco.
La mobilitazione industriale della Germania quale
fu operata dal 1933 in poi in vista della guerra, e il
gigantesco minuzioso “piano” al quale obbedì, fu­
rono resi possibili non dai capitalisti, ma dalla
mancanza di un capitalismo che potesse far valere
le sue esigenze “economiche” rispetto a quelle
“politiche” del regime. E se la Germania, oggi,
ha bisogno di qualcosa per fare qualche passo
avanti sul difficile cammino della democrazia, è
proprio di tutto ciò che può fare ostacolo alla on­
nipotenza dello Stato, al suo centralismo livellato­
re e alla sua pericolosa tendenza ai “piani” e alle
mobilitazioni generali: cioè quelfindividualismo
di cui il capitalismo è la traduzione in termini eco­
nomici128.
Montanelli era fiducioso. Stanca per i tre “lu­
stri di tesseramento” che aveva dovuto subi­
re, la Germania stava diventando “ libera­
le” 129. Si assisteva infatti allo spettacolo di
un numero sempre crescente di imprenditori
tedeschi smaniosi “di scrollarsi di dosso ogni
controllo, di gareggiare in concorrenza, di
sottrarsi ad ogni ingerenza dell’autorità poli­
tica”. Questo processo andava però incorag­
giato. Qui nuovamente il ragionamento di
Montanelli si tingeva di forti valenze politi­
che. Per lui l’unica strada capace di favorire
questo processo era quella liberistica indicata
dagli americani. Solo essi volevano davvero
la ricostruzione del paese. Non i francesi os­
sessionati dal problema della sicurezza e ti­
morosi di una possibile concorrenza econo­
mica tedesca, non il governo laburista. So­
prattutto su quest’ultimo si appuntavano gli
strali polemici di Montanelli. A suo avviso,
non solo Londra era infatti segretamente in­
teressata a rallentare il più possibile per mo­
tivi di concorrenza lo sviluppo dell’industria
germanica, ma essa per di più intendeva “fare
della Germania la cavia di esperimenti piani­
ficatori e dirigistici” 130, a partire in primo
luogo dal progetto di nazionalizzazione della
Ruhr. Era questo, per Montanelli, un perico­
lo mortale. Egli non esitava a parlare di “to­
talitarismo laborista” 131, che avrebbe con­
dotto a pessimi risultati sia economici che po­
litici. Dal punto di vista economico, nessun
buon risultato sarebbe stato infatti raggiunto
se non si fosse subito riconsegnata la proprie­
tà delle aziende tedesche ai legittimi titolari,
gli unici disposti ad investirvi capitale, gli
unici capaci di una gestione efficiente132.
Dal punto di vista politico, poi, reintrodurre
la Planwirtschaft avrebbe significato, per
Montanelli, reintrodurre uno dei “pilastri”
del germanesimo più deteriore: la “mistica
collettivistica” 133.
La pianificazione dell’economia avrebbe
avviato la Germania occidentale sullo stesso
sentiero imboccato dalla Germania orientale
in mano ai comunisti. Un’eventualità questa
che il giornalista del “Corriere” deprecava
in modo categorico facendo proprie le paro-
128 I. Montanelli, Ha rifatto la fabbrica, adesso aspetta un "piano", cit.
129 I. Montanelli, C ’è chi vuole pianificare ma i tedeschi ne hanno abbastanza, CdS, 11 dicembre 194S.
130 I. Montanelli, In un castello di caccia è nata la nuova Germania, cit.
131 I. Montanelli, Ha rifatto la fabbrica, adesso aspetta un “piano", cit.
132 I. Montanelli, Lo spodestato “re dell'acciaio" a cena dai suoi vecchi operai, cit. Secondo Montanelli anche gli stessi
operai erano contrari alla collettivizzazione delle imprese.
133 I. Montanelli, C’è chi vuole pianificare ma i tedeschi ne hanno abbastanza, cit..
Il dopoguerra tedesco nell’opinione italiana
le profetiche del guru del liberismo tedesco,
il professor Ludwig Erhard:- “ Più schiavi
sono i tedeschi d’Oriente, più liberi devono
essere quelli d’Occidente: ad un certo punto
saranno questi a riassorbire quelli e non vi,,134
ceversa
Montanelli non aveva dubbi: il rilancio in
chiave liberal-liberista della Germania avreb­
be rappresentato sia una “medicina” indi­
spensabile a curare il più radicato e pernicio­
so dei mali teutonici, vale a dire l’irrefrenabi­
le tendenza aH’annullamento dell'individuo
nello Stato, sia uno strumento efficace a ga­
rantire col tempo la vittoria della parte occi­
dentale del paese nella contesa aperta per il
ristabilimento dell’unità nazionale.
Conclusioni
Le corrispondenze di Montanelli dalla Ger­
mania costituiscono una testimonianza gior­
nalistica e culturale di estremo interesse. Nel
momento in cui l’Occidente prendeva la deci­
sione definitiva di procedere alla costituzione
di uno Stato tedesco occidentale, per la stam­
pa democratica d'ispirazione anticomunista
si poneva immediatamente il problema della
legittimazione della nuova compagine stata­
le. Legittimazione che implicava due aspetti
diversi, ma correlati: legittimazione rispetto
allo Stato tedesco orientale che anche le auto­
rità di Mosca avevano deciso di costituire e
legittimazione come riconoscimento del dirit­
to dei tedeschi a reinserirsi nel consesso dei
popoli civili dopo l’inappellabile condanna
morale loro inflitta per le colpe del nazismo.
633
Il primo aspetto rimandava direttamente all’ormai serrato confronto internazionale fra
i due blocchi rivali guidati dagli Stati Uniti
e dall’Unione Sovietica. Il secondo, pur for­
temente condizionato dalla situazione politi­
ca mondiale, rimandava invece ad una sfera
diversa, quella della coscienza individuale e
collettiva. Su entrambi gli aspetti Montanelli
interveniva con grande incisività.
L’enfasi posta sulla figura di Lucius Clay,
identificato come il sostenitore della prova di
forza con l’Urss e della linea di piena riabili­
tazione politica e incondizionato rilancio
economico della Germania occidentale, si­
gnificava ad esempio l’abbandono inequivo­
cabile da parte del “Corriere” di ogni residua
istanza “rooseveltiana” di partnership fra le
grandi potenze vincitrici. Sulla scia di un’im­
postazione evidenziatasi sulle pagine del
giornale fin dall’estate del 1946 (inizio della
gestione Emanuel), Montanelli accettava in
pieno e portava alle sue estreme conseguenze
la logica della contrapposizione muro contro
muro fra Est ed Ovest, fra il mondo democra­
tico occidentale e il blocco comunista orien­
tale. Le ragioni della politica di potenza do­
vevano precedere ogni altro tipo di ragioni
e di considerazioni. Il problema della sicurez­
za non si configurava più come problema di
un eventuale revanscismo teutonico quanto
piuttosto come problema del contenimento
dell’incombente minaccia sovietica. La
Deutschlandpolitik di Londra, di Parigi, di
Washington non doveva porsi come obietti­
vo il controllo dei tedeschi e la loro rieduca­
zione democratica, bensì la ricostruzione
più rapida possibile e con ogni mezzo di
134 I. Montanelli. Partita dallo zero assoluto la produzione tedesca sale di giorno in giorno, cit. Già in quest’articolo Mon­
tanelli aveva puntato i riflettori sulla figura di Ludwig Erhardt allora direttore dell'amministrazione economica della
Bizona. Fautore convinto di una politica liberistica di rilancio produttivo che Montanelli contrapponeva a quella “di­
rigistica” del direttore del dipartimento dell’Alimentazione e Agricoltura Schlange-Schoeningen. Erhardt veniva para­
gonato ad Einaudi e presentato ai lettori del "Corriere” come l’ideatore della riforma monetaria (in realtà pensata dagli
americani) e come l’artefice di quello che Montanelli già non esitava a chiamare “miracolo economico" tedesco. Ricor­
diamo che il quotidiano milanese continuerà a nutrire un particolare interesse per la figura di Erhardt. Nel momento
della fondazione della repubblica federale tedesca a lui più che ad Adenauer si guarderà con simpatia quale campione
di una politica liberal-liberista pura, modello — secondo il “Corriere” — per tutta l’Europa occidentale.
634
Filippo Focardi
un’imponente forza economica germanicooccidentale necessaria al successo del piano
Marshall e con esso al contenimento della
pressione comunista. La Germania dell’O­
vest doveva diventare la barriera principale
contro l’espansionismo di Mosca. Costruire
un forte Stato tedesco occidentale era dun­
que legittimo perchè ciò era indispensabile a
fronteggiare il blocco avversario. Il solo fatto
che circolassero voci circa l’intenzione sovie­
tica di dar vita ad uno Stato tedesco nella
propria zona d’occupazione giustificava di
per sé la creazione di uno Stato tedesco al
di qua dell’Elba. Ciò che, in definitiva, era
considerato politicamente opportuno diven­
tava ipso facto lecito.
L’operazione di Montanelli — va notato
— non si risolveva nel mettere la sordina alle
esigenze della rieducazione democratica e del
controllo dei tedeschi. Egli andava oltre: ad­
ditava infatti queste esigenze e le politiche
che ne erano derivate come controproducenti
per l’Occidente. I tedeschi, a suo avviso, era­
no refrattari alla democrazia. Essi avevano il
culto della forza, dell’autorità e della poten­
za. Essi avrebbero potuto accogliere la demo­
crazia solo se essa si fosse presentata loro col
fascino di una evidente superiorità di mezzi
rispetto al comuniSmo sovietico. Era la teoria
della “ politica di prestigio” caldeggiata da
Clay. Per conquistare i tedeschi alla demo­
crazia gli occidentali avrebbero dovuto da
un lato dimostrare la propria forza diploma­
tico-militare nei confronti della Russia e dal­
l’altro dare prova di procurare alla Germania
dell’Ovest un benessere economico di gran
lunga maggiore di quello consentito dal siste­
ma sovietico alla Germania orientale. Da soli
gli sforzi pedagogici degli occupanti non
avrebbero sortito alcun effetto, tranne quello
di inimicarsi sempre più la popolazione ger­
manica.
Qui il discorso di Montanelli toccava quel
secondo aspetto cui accennavamo, cioè la
sfera della coscienza individuale e collettiva,
la sfera degli umori e dei sentimenti popolari.
Il suo appello ad una rapida e totale riabilita­
zione della Germania era certo comprensibile
ai lettori del “Corriere” che già da due anni
l’avevano ascoltato come passo indispensabi­
le per un’efficace contrapposizione all’analo­
ga azione sovietica. Nessuno però fino a quel
momento aveva negato cosi drasticamente
l’opportunità di una “rieducazione” ribaden­
do al tempo stesso i luoghi comuni dell’inna­
ta idiosincrasia del popolo tedesco verso i
principi della vita democratica. Gli animi
erano ancora segnati dalle ferite della guerra
nazista di cui si riteneva responsabile l’intera
nazione tedesca. Risultava dunque difficile
dar fiducia ai tedeschi, considerarli degli al­
leati con pari diritti nella lotta ingaggiata
contro il comunismo sovietico. Era invece
proprio questo ciò che Montanelli cercava
di fare. Egli sgombrava dal campo l’immagi­
ne demoniaca della Germania per sostituirla
con un’immagine edulcorata e rassicurante.
Il discorso del giornalista del “ Corriere”
era complesso e non mancava di cadere in al­
cune evidenti contraddizioni: ribadiva alcuni
vecchi stereotipi come il rispetto incondizio­
nato dei tedeschi verso l’autorità costituita
e il loro culto della forza, ma negava recisa­
mente il principio della “ colpa collettiva” .
Prova ne era 1’esistenza di un’“altra Germa­
nia” che si era opposta con fermezza al nazi­
smo pagando duramente per il suo coraggio e
la Resistenza tedesca aveva a suo avviso una
consistenza di massa, ma allo stesso tempo
un carattere elitario. La contrapposizione
ideologica al comunismo lo portava a negare
il ruolo svolto nell’opposizione a Hitler dal
movimento operaio e le persecuzioni da esso
subite. Come avrebbe poi fatto la Germania
di Adenauer negli anni cinquanta, Montanel­
li esaltava l’azione dell’opposizione militarborghese al nazismo screditando invece com­
pletamente la “Resistenza operaia”, e in spe­
cial modo quella comunista. Ma viene da
chiedersi come fosse possibile parlare di ottocentomila prigionieri politici tedeschi inter­
nati nei Lager nazisti senza tener conto del­
Il dopoguerra tedesco nell’opinione italiana
l’azione repressiva del regime hitleriano con­
tro i partiti e i sindacati della sinistra. Pote­
vano essere quegli internati solo letterati e fi­
losofi, esponenti del clero, aristocratici e mi­
litari, come Montanelli sembrava sostenere?
Era chiaro che, oltre ad una componente
ideologica, anche una forma di risentimento
personale lo portava a delegittimare il con­
tributo di quelle forze sulle quali si stava
fondando lo Stato tedesco orientale. Il gior­
nalista toscano diffidava dei “professionisti
dell’antifascismo” . Fervido fascista in gio­
ventù, egli era andato maturando progressi­
vamente il proprio distacco dal regime mussoliniano tanto da rischiare la pena capitale
come oppositore antifascista nel 1944. Come
in tanti altri percorsi biografici, si era tratta­
to di un cammino interno al fascismo, un
cammino che, diversamente però da tanti al­
tri casi similari, non era approdato sulle
sponde della sinistra e che, forse proprio
per ciò, gli aveva attirato da quella parte cri­
tiche astiose. Non ci pare dunque da esclu­
dere che anche questo atteggiamento risenti­
to verso un antifascismo di “duri e puri” ge­
loso dell’esclusiva, pesasse non poco nell’orientare la posizione di Montanelli verso il
Widerstand tedesco, chiaramente tesa a pri­
vilegiare quegli attori politico-sociali e quelle
singole personalità che in Germania, come
in Italia era accaduto anche a lui, erano an­
dati maturando lentamente un’opposizione
al regime dall’interno, dopo le iniziali e since­
re speranze. La stessa fiducia nelle capacità
635
di autoredenzione dei tedeschi, in fondo,
può essere ricondotta all’esperienza persona­
le di Montanelli, capace di un “ salvifico”
esame di coscienza dopo i trasporti giovanili
per il verbo mussoliniano.
Se l’affermazione dell’esistenza di un
Widerstand germanico era la premessa per
una riabilitazione dei tedeschi, di grande effi­
cacia per fugare le paure dell’opinione pub­
blica italiana era dunque l’immagine che
Montanelli tracciava di un’“altra Germania”
piccolo-borghese, pacifica e gaudente, demo­
cratica ed umanistica. Anche in questo caso
una analisi attenta non avrebbe mancato di
rilevare la contraddizione fra l’esaltazione
degli Junker e dell’esercito che il giornalista
operava parlando della Resistenza e i valori
democratico-umanistici, che mal si concilia­
vano con i principi gerarchico-autoritari del
militarismo prussiano. Ma era un’immagine,
questa montanelliana, che unita alla fiducia
in uno sviluppo economico affidato alla libe­
ra iniziativa dei tedeschi, fissava una fisiono­
mia della Germania con cui italiani e europei
si sarebbero presto familiarizzati: una Ger­
mania ricca e pacifica, dedita a coltivare sere­
namente i propri affari, appagata da una vita
tranquilla ed agiata; una Germania che, sen­
za aver fatto i conti col proprio passato, sa­
rebbe diventata addirittura di li a poco sulle
pagine del “ Corriere” un modello di riferi­
mento economico e politico per l’intera Eu­
ropa occidentale.
Filippo Focardi
Filippo Focardi, laureato in Lettere alfUniversità di Firenze, è dottorando in Storia presso l’Università
di Torino. Si sta occupando dei rapporti politici ed economici italo-tedeschi nel secondo dopoguerra e
della percezione della Germania in Italia. Si è perfezionato presso l’Università di Colonia.
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