Saggistica Aracne
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Innocenzo Alfano
Fra tradizione colta
e popular music:
il caso del rock progressivo
Introduzione al genere
che sfidò la forma canzone
ARACNE
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ISBN
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senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: dicembre 2004
«…chiudo gli occhi di fronte a tutte le guerre del
mondo, e mi ritiro silenzioso nel regno della musica, come nel regno della fede, dove tutti i nostri
dubbi e i nostri dolori si annegano in un mare di
suoni…»
Wilhelm Heinrich Wackenroder
Ringraziamenti
Questo libro è stato possibile grazie ai suggerimenti e agli stimoli
che ho ricevuto da un numero molto grande di persone. Vorrei nominarle tutte, ma, certo che ne dimenticherei una parte cospicua, mi limiterò a ricordare solo le figure che considero fondamentali nel buon
esito di questo impegno. Innanzitutto il Dott. Roberto Agostini, titolare di Musiche popolari contemporanee presso la Facoltà di Lettere
dell’Università di Pisa, che a suo tempo mi ha dato i consigli e le indicazioni utili per iniziare a scrivere il libro che avevo in mente. Senza il
suo prezioso aiuto e il suo costante incoraggiamento credo che mai sarei riuscito nell’intento. Leonardo Anastasia, paziente e preciso nella
ricerca dei dischi che, in grande quantità, lo pregavo di procurarmi.
Vito Cantacesso, vero mago dell’informatica: quasi tutto quello che so
fare con un computer, e in particolare scriverci correttamente dei libri
(almeno uno), lo devo ai suoi disinteressati insegnamenti. Alessandro
Magnani, titolare del Record Store “GAP” di Pisa, sempre disponibile
a mettere sul piatto qualsiasi ellepì gli chiedessi di poter ascoltare
mentre, ammirato, osservavo negli scaffali del suo negozio le bellissime copertine dei vecchi e romantici 33 giri. Fabio Rametta, raffinato
e sensibile conoscitore di musica rock, le cui indicazioni discografiche
hanno pressoché sempre soddisfatto i miei gusti. Pino Pugliese, sorta
di guida spirituale nei momenti in cui i dubbi della vita diventano realmente atroci e non si sa come risolverli. Infine, ma sono i primi in
ordine di importanza, i miei genitori, i quali continuano a sopportare
(e spesso a finanziare), con raro spirito di sacrificio ma anche con infinito amore, ogni mia più stravagante curiosità intellettuale. A tutte
queste persone, e alle tante che non ho nominato, va il mio più sincero
ringraziamento.
Indice
11.
13.
17.
Prefazione
Premessa
Avvertenze
I. Hang On To A Dream
19.
22.
29.
34.
Primi passi e definizione del genere
Vecchi arnesi contagiano il rock
Rock o Bach?
In The Wake of Bach: tre brani a confronto
II. Beyond And Before
43.
50.
59.
71.
The Turning Point: rock e letteratura
Bourée
Tempi dispari, tempi moderni
Bolero
Appendice
79.
Spaghetti rock: l’Italia del progressive
87.
91.
93.
97.
Conclusioni
Fonti degli esempi musicali
Riferimenti discografici
Bibliografia
Prefazione
Una prefazione rappresenta, se pur breve e limitatamente allo spazio concesso, un percorso attraverso una scrittura dedicata all'altrui fatica, un “gesto” di riconoscimento e/o di ri-appropriazione di teorie,
idee o sensazioni proposte dall'autore del volume, un “segno” che quel
testo e quell'autore hanno qualcosa in comune con chi la scrive; oppure, ma non è questo il caso, può essere solo un “segno di riconoscimento” per l'altrui fatica intellettuale, un segno di approvazione, magari tiepido, prendendo parimenti le distanze dalle tesi esposte dall'autore.
Nel caso del testo di Innocenzo Alfano e dello studio che dedica al
cosiddetto “rock progressivo”, dobbiamo considerare che egli si pone
nella posizione particolare del giovane studioso, il quale non avendo
vissuto direttamente l'esperienza storica dell'ascolto “dal vivo” dei
musicisti citati (tranne alcuni), pur tuttavia ne sente ancora nell'aria le
“vibrazioni” attraverso l'ascolto dei materiali rappresentati dalle registrazioni dei concerti su disco vinile o dai CD rimasterizzati, oltre naturalmente allo studio dei materiali cartacei documentali che ogni seria
ricerca storica presuppone.
Va segnalata la particolarità che, per giungere ad un primo compimento del suo interesse di studioso, egli affronta in maniera sperimentale l'oggetto studiato, ovvero cercando di circoscriverlo, visualizzarlo,
analizzarlo attraverso metodologie tra loro non confrontabili se non in
un percorso parallelo: da un lato la ricerca musicologica storiografica
sui testi e sulle pubblicazioni, dall'altro una ricerca analitica (utilizzando strumenti tecnici di analisi propriamente musicali) sul singolo
testo musicale: si veda ad esempio l'analisi armonica del brano di J. S.
Bach utilizzato dai Jethro Tull con le varianti da essi proposte, o le varie esperienze di fusione di materiali musicali diversi (classici, jazz,
folk od altro) utilizzati dai gruppi musicali del periodo (considerando,
come dato storico importante, la presenza in questi gruppi di musicisti
che provenivano da percorsi di studio effettuati in ambito classico e/o
contemporaneo, oppure direttamente provenienti dall'ambiente jazz).
Questa metodologia di ricerca è applicata prevalentemente in ambito
classico, mentre nell'ambito della popular music, anche per il tipo di
pubblico diverso e con diverse capacità di lettura del dato analitico, si
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è dato prevalentemente spazio ad un tipo di ricerca più mediata dal dato aneddotico e storico generale.
Considerando la breve distanza che ci separa, in termini di tempo,
dagli avvenimenti citati nel libro (stiamo parlando della fine degli anni
'60, fino alla metà degli anni '70 del secolo appena conclusosi) potrebbe essere fuorviante analizzare tali avvenimenti con l'ottica del ricordo: per sua fortuna l'autore riesce ad eludere tale evenienza e a recuperare, attraverso i materiali analizzati, un dato storico che può costituire
un primo significativo passo verso uno studio approfondito del fenomeno progressive rock e di ciò che esso ha rappresentato, sia in termini economici (pensiamo ai milioni di dischi venduti da alcuni dei
gruppi musicali citati) che in termini culturali più ampi, nell'ambito
della popular music europea.
Arduino Gottardo
Premessa
A proposito della musica degli Emerson Lake & Palmer, un noto
critico di musica rock dei primi anni Settanta (del secolo che abbiamo
ormai alle spalle) scrisse: «Queste persone dovrebbero essere considerate criminali di guerra».1 Giudizi di questo tipo rivolti al cosiddetto
“rock progressivo” (anche definito semplicemente “progressive”, termine che sovente userò nel prosieguo del libro) erano piuttosto frequenti negli anni compresi tra il 1970 e il 1976, cioè nel periodo in cui
questo genere musicale si diffuse, dapprima in Inghilterra e poi nel resto d’Europa, e raggiunse il suo massimo splendore (ed anche le sue
maggiori fortune commerciali). In particolare, la “colpa” maggiore del
progressive, a giudizio dei detrattori, era quella di essersi troppo allontanato dalle “radici del rock”, cioè dagli stilemi consolidatisi durante il
periodo 1954-1964 in seguito all’opera di pionieri del rock’n’roll come Elvis Presley, Chuck Berry e Little Richard, e alla fondamentale
influenza del blues e soprattutto del rhythm’n’blues, evidente nella
musica dei primi Beatles, dei Rolling Stones e dei Them, solo per citare alcuni tra i maggiori gruppi della prima metà degli anni Sessanta. In
altre parole, quello che era andato irrimediabilmente perduto era, si
pensava, l’“autenticità” di una musica legata ad una cultura “bassa”,
tipica delle classi urbane proletarie, e perciò spontanea, a favore di una
musica che invece strizzava l’occhio alla cultura “alta” delle classi
borghesi, finendo inevitabilmente per cadere nell’elitarismo bohemien
dell’arte per l’arte o per scadere nella pacchianeria delle superproduzioni artificiose e piene d’effetti speciali fini a se stesse.2
1
«These guys amount to war criminals». L’invettiva è di Lester Bangs ed è contenuta in Exposed! The Brutal Energy Atrocities of Emerson Lake and Palmer,
«Creem» 6, 1974, p. 40, citato in Edward Macan, Rocking the Classics. English
Progressive Rock and the Counterculture, Oxford University Press, New York,
1997, p. 167.
2
Per il concetto di autenticità e per il dualismo alto/basso si rimanda a Richard
Middleton, Studiare la popular music, Feltrinelli, Milano, 2001, pp.182-242 (tr. it.
di Studying Popular Music, Open University Press, Buckingham, 1990) e a Simon
Frith, “L’industrializzazione della musica e il problema dei valori”, in Enciclopedia
della musica, Volume primo, Il Novecento, Einaudi, Torino, 2001, pp. 953-965.
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Anche in Italia non sono mancati autorevoli detrattori del genere, e
una eco di quelle polemiche continua ad influenzare, a distanza di alcuni decenni, i giudizi e le analisi che di quell’epoca si tenta faticosamente di costruire. Molto curioso, nonché paradigmatico, è al riguardo
l’esempio del compianto Arrigo Polillo, autore negli anni Settanta di
un fondamentale lavoro sulla musica jazz.3 Curioso è il fatto che questo eminente storico della musica jazz abbia dedicato un intero capitolo della sua opera più importante (e tra le più importanti in Italia dedicate al jazz) alla musica rock, con l’unico ed esplicito obiettivo di ridicolizzare questo genere musicale. Nelle quasi trenta pagine del capitolo intitolato “L’ora del rock e dell’Europa”4 vengono posti in evidenza quasi esclusivamente i risvolti sociali legati ai due generi, il jazz
e il rock appunto, messi in relazione l’uno con l’altro, affrettandosi a
precisare, tuttavia, che quella non è «la sede adatta per una disamina
delle varie musiche che passano sotto la generica etichetta di pop».5
Ma se manca la “disamina” non si capisce in base a che cosa il rock
sarebbe un «prodotto […] privo quasi sempre di proposte stimolanti».6
Tra l’altro, sempre nello stesso libro, viene citato una sola volta (che
rimarrà anche l’unica se si escludono le monografie aggiornate e curate da Franco Fayenz in fondo al volume) Jimi Hendrix, grande innovatore della chitarra elettrica e punto di riferimento obbligato (assieme al
suo gruppo, la Jimi Hendrix Experience), per tutto il rock della seconda metà degli anni Sessanta ma anche del jazz elettrico che allora
muoveva i primi passi e che presto si sarebbe chiamato jazz-rock o fusion.7 E comunque nessun accenno viene fatto al rock progressivo,
nonostante la concomitanza tra la stesura del libro di Polillo e lo sviluppo del genere che in questa sede prenderemo in considerazione.
3
Arrigo Polillo, Jazz, Mondadori, Milano, 1997(5). Questo libro, pubblicato per
la prima volta nel 1975, è presto diventato un classico della musica afro-americana.
4
Ivi, pp. 283-311.
5
Ivi, p. 289.
6
Ibidem.
7
Inventore di questo nuovo genere fu, nel biennio 1968-1969, il grande trombettista jazz Miles Davis, il quale, spesso, suggeriva ai chitarristi che transitavano nei
suoi vari gruppi fusion di suonare tenendo bene in mente la lezione di Jimi Hendrix.
Cfr. Miles Davis con Quincy Troupe, Miles. L’autobiografia, Minimum Fax, Roma,
2001.
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In altri casi invece la musica dei vari Emerson Lake & Palmer, Genesis, Jethro Tull ecc. viene presa di mira apertamente. Anche qui però si evita di scendere nel dettaglio per concentrarsi unicamente sul
“risultato”, che, mentre nelle intenzioni dei musicisti doveva essere
l’“arte”, era, al contrario, «molto spesso, il kitsch».8 E si sottolinea il
fatto, evidentemente considerato motivo di biasimo, che alcuni di quei
musicisti provenivano dalla borghesia e non dal proletariato, cosa impensabile solo pochi anni prima, vale a dire all’epoca del beat. Tutto
ciò si collega con quanto detto poco sopra, ma è importante ribadire il
concetto che secondo non pochi critici musicali il rock sarebbe un genere speciale, e i musicisti che intendono farne parte devono attenersi
ad alcune “regole”, tanto rigide quanto, si pensa, evidenti di per sé.
Due però sono quelle da cui non si può in alcun modo prescindere, e
dalle quali scaturiscono tutte le altre. La prima stabilisce che un musicista rock deve appartenere ad una classe sociale la più vicina possibile al proletariato (meglio se urbano), e comunque tale da non oltrepassare la soglia della piccola borghesia. La seconda, che in parte è conseguenza della prima, prescrive ai musicisti rock il divieto di arricchire la propria musica con stilemi e procedimenti tipici della tradizione
colta, poiché questo li trasformerebbe in pericolosi soggetti
dall’atteggiamento elitario. Chiunque non si attenga a queste norme
deve essere visto, secondo il parere di questi critici, con sospetto.
Senza alcun intento polemico, ma con profonda convinzione, devo
dire che, a mio giudizio, il tentativo di trattare la musica unicamente
come fatto sociale risulta troppo limitante. La musica è fatta soprattutto di note, cioè di suoni singoli o aggregati, e credo che da quelle bisognerebbe partire prima di ogni altra considerazione.
Il seguente libro esula tuttavia da tali problematiche, e, anche se
considerazioni di ordine sociale e culturale non mancheranno,
l’obiettivo precipuo è quello di mettere in evidenza gli stretti rapporti
musicali intervenuti tra il rock progressivo e il repertorio della tradizione colta, con esempi e riferimenti ad autori che coprono un arco
temporale compreso grosso modo tra la prima metà del Settecento e
gran parte del Novecento. Il sottotitolo Introduzione avverte fin da subito il lettore che si troverà di fronte ad una trattazione volontariamen8
Cfr. Elio Venditti, Storia del rock, Editori Riuniti, Roma, 1997, pp. 72-75.
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te incompleta, non essendo enciclopedico l’intento di questo lavoro
ma soltanto divulgativo o, più semplicemente, “introduttivo”.