Saggistica Aracne 36 Innocenzo Alfano Fra tradizione colta e popular music: il caso del rock progressivo Introduzione al genere che sfidò la forma canzone ARACNE Copyright © MMIV ARACNE editrice S.r.l. www.aracne–editrice.it info@aracne–editrice.it via Raffaele Garofalo, 133 A/B 00173 Roma redazione: (06) 72672222 – telefax 72672233 amministrazione: (06) 93781065 ISBN 88–7999–926–5 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: dicembre 2004 «…chiudo gli occhi di fronte a tutte le guerre del mondo, e mi ritiro silenzioso nel regno della musica, come nel regno della fede, dove tutti i nostri dubbi e i nostri dolori si annegano in un mare di suoni…» Wilhelm Heinrich Wackenroder Ringraziamenti Questo libro è stato possibile grazie ai suggerimenti e agli stimoli che ho ricevuto da un numero molto grande di persone. Vorrei nominarle tutte, ma, certo che ne dimenticherei una parte cospicua, mi limiterò a ricordare solo le figure che considero fondamentali nel buon esito di questo impegno. Innanzitutto il Dott. Roberto Agostini, titolare di Musiche popolari contemporanee presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Pisa, che a suo tempo mi ha dato i consigli e le indicazioni utili per iniziare a scrivere il libro che avevo in mente. Senza il suo prezioso aiuto e il suo costante incoraggiamento credo che mai sarei riuscito nell’intento. Leonardo Anastasia, paziente e preciso nella ricerca dei dischi che, in grande quantità, lo pregavo di procurarmi. Vito Cantacesso, vero mago dell’informatica: quasi tutto quello che so fare con un computer, e in particolare scriverci correttamente dei libri (almeno uno), lo devo ai suoi disinteressati insegnamenti. Alessandro Magnani, titolare del Record Store “GAP” di Pisa, sempre disponibile a mettere sul piatto qualsiasi ellepì gli chiedessi di poter ascoltare mentre, ammirato, osservavo negli scaffali del suo negozio le bellissime copertine dei vecchi e romantici 33 giri. Fabio Rametta, raffinato e sensibile conoscitore di musica rock, le cui indicazioni discografiche hanno pressoché sempre soddisfatto i miei gusti. Pino Pugliese, sorta di guida spirituale nei momenti in cui i dubbi della vita diventano realmente atroci e non si sa come risolverli. Infine, ma sono i primi in ordine di importanza, i miei genitori, i quali continuano a sopportare (e spesso a finanziare), con raro spirito di sacrificio ma anche con infinito amore, ogni mia più stravagante curiosità intellettuale. A tutte queste persone, e alle tante che non ho nominato, va il mio più sincero ringraziamento. Indice 11. 13. 17. Prefazione Premessa Avvertenze I. Hang On To A Dream 19. 22. 29. 34. Primi passi e definizione del genere Vecchi arnesi contagiano il rock Rock o Bach? In The Wake of Bach: tre brani a confronto II. Beyond And Before 43. 50. 59. 71. The Turning Point: rock e letteratura Bourée Tempi dispari, tempi moderni Bolero Appendice 79. Spaghetti rock: l’Italia del progressive 87. 91. 93. 97. Conclusioni Fonti degli esempi musicali Riferimenti discografici Bibliografia Prefazione Una prefazione rappresenta, se pur breve e limitatamente allo spazio concesso, un percorso attraverso una scrittura dedicata all'altrui fatica, un “gesto” di riconoscimento e/o di ri-appropriazione di teorie, idee o sensazioni proposte dall'autore del volume, un “segno” che quel testo e quell'autore hanno qualcosa in comune con chi la scrive; oppure, ma non è questo il caso, può essere solo un “segno di riconoscimento” per l'altrui fatica intellettuale, un segno di approvazione, magari tiepido, prendendo parimenti le distanze dalle tesi esposte dall'autore. Nel caso del testo di Innocenzo Alfano e dello studio che dedica al cosiddetto “rock progressivo”, dobbiamo considerare che egli si pone nella posizione particolare del giovane studioso, il quale non avendo vissuto direttamente l'esperienza storica dell'ascolto “dal vivo” dei musicisti citati (tranne alcuni), pur tuttavia ne sente ancora nell'aria le “vibrazioni” attraverso l'ascolto dei materiali rappresentati dalle registrazioni dei concerti su disco vinile o dai CD rimasterizzati, oltre naturalmente allo studio dei materiali cartacei documentali che ogni seria ricerca storica presuppone. Va segnalata la particolarità che, per giungere ad un primo compimento del suo interesse di studioso, egli affronta in maniera sperimentale l'oggetto studiato, ovvero cercando di circoscriverlo, visualizzarlo, analizzarlo attraverso metodologie tra loro non confrontabili se non in un percorso parallelo: da un lato la ricerca musicologica storiografica sui testi e sulle pubblicazioni, dall'altro una ricerca analitica (utilizzando strumenti tecnici di analisi propriamente musicali) sul singolo testo musicale: si veda ad esempio l'analisi armonica del brano di J. S. Bach utilizzato dai Jethro Tull con le varianti da essi proposte, o le varie esperienze di fusione di materiali musicali diversi (classici, jazz, folk od altro) utilizzati dai gruppi musicali del periodo (considerando, come dato storico importante, la presenza in questi gruppi di musicisti che provenivano da percorsi di studio effettuati in ambito classico e/o contemporaneo, oppure direttamente provenienti dall'ambiente jazz). Questa metodologia di ricerca è applicata prevalentemente in ambito classico, mentre nell'ambito della popular music, anche per il tipo di pubblico diverso e con diverse capacità di lettura del dato analitico, si 11 12 è dato prevalentemente spazio ad un tipo di ricerca più mediata dal dato aneddotico e storico generale. Considerando la breve distanza che ci separa, in termini di tempo, dagli avvenimenti citati nel libro (stiamo parlando della fine degli anni '60, fino alla metà degli anni '70 del secolo appena conclusosi) potrebbe essere fuorviante analizzare tali avvenimenti con l'ottica del ricordo: per sua fortuna l'autore riesce ad eludere tale evenienza e a recuperare, attraverso i materiali analizzati, un dato storico che può costituire un primo significativo passo verso uno studio approfondito del fenomeno progressive rock e di ciò che esso ha rappresentato, sia in termini economici (pensiamo ai milioni di dischi venduti da alcuni dei gruppi musicali citati) che in termini culturali più ampi, nell'ambito della popular music europea. Arduino Gottardo Premessa A proposito della musica degli Emerson Lake & Palmer, un noto critico di musica rock dei primi anni Settanta (del secolo che abbiamo ormai alle spalle) scrisse: «Queste persone dovrebbero essere considerate criminali di guerra».1 Giudizi di questo tipo rivolti al cosiddetto “rock progressivo” (anche definito semplicemente “progressive”, termine che sovente userò nel prosieguo del libro) erano piuttosto frequenti negli anni compresi tra il 1970 e il 1976, cioè nel periodo in cui questo genere musicale si diffuse, dapprima in Inghilterra e poi nel resto d’Europa, e raggiunse il suo massimo splendore (ed anche le sue maggiori fortune commerciali). In particolare, la “colpa” maggiore del progressive, a giudizio dei detrattori, era quella di essersi troppo allontanato dalle “radici del rock”, cioè dagli stilemi consolidatisi durante il periodo 1954-1964 in seguito all’opera di pionieri del rock’n’roll come Elvis Presley, Chuck Berry e Little Richard, e alla fondamentale influenza del blues e soprattutto del rhythm’n’blues, evidente nella musica dei primi Beatles, dei Rolling Stones e dei Them, solo per citare alcuni tra i maggiori gruppi della prima metà degli anni Sessanta. In altre parole, quello che era andato irrimediabilmente perduto era, si pensava, l’“autenticità” di una musica legata ad una cultura “bassa”, tipica delle classi urbane proletarie, e perciò spontanea, a favore di una musica che invece strizzava l’occhio alla cultura “alta” delle classi borghesi, finendo inevitabilmente per cadere nell’elitarismo bohemien dell’arte per l’arte o per scadere nella pacchianeria delle superproduzioni artificiose e piene d’effetti speciali fini a se stesse.2 1 «These guys amount to war criminals». L’invettiva è di Lester Bangs ed è contenuta in Exposed! The Brutal Energy Atrocities of Emerson Lake and Palmer, «Creem» 6, 1974, p. 40, citato in Edward Macan, Rocking the Classics. English Progressive Rock and the Counterculture, Oxford University Press, New York, 1997, p. 167. 2 Per il concetto di autenticità e per il dualismo alto/basso si rimanda a Richard Middleton, Studiare la popular music, Feltrinelli, Milano, 2001, pp.182-242 (tr. it. di Studying Popular Music, Open University Press, Buckingham, 1990) e a Simon Frith, “L’industrializzazione della musica e il problema dei valori”, in Enciclopedia della musica, Volume primo, Il Novecento, Einaudi, Torino, 2001, pp. 953-965. 13 14 Anche in Italia non sono mancati autorevoli detrattori del genere, e una eco di quelle polemiche continua ad influenzare, a distanza di alcuni decenni, i giudizi e le analisi che di quell’epoca si tenta faticosamente di costruire. Molto curioso, nonché paradigmatico, è al riguardo l’esempio del compianto Arrigo Polillo, autore negli anni Settanta di un fondamentale lavoro sulla musica jazz.3 Curioso è il fatto che questo eminente storico della musica jazz abbia dedicato un intero capitolo della sua opera più importante (e tra le più importanti in Italia dedicate al jazz) alla musica rock, con l’unico ed esplicito obiettivo di ridicolizzare questo genere musicale. Nelle quasi trenta pagine del capitolo intitolato “L’ora del rock e dell’Europa”4 vengono posti in evidenza quasi esclusivamente i risvolti sociali legati ai due generi, il jazz e il rock appunto, messi in relazione l’uno con l’altro, affrettandosi a precisare, tuttavia, che quella non è «la sede adatta per una disamina delle varie musiche che passano sotto la generica etichetta di pop».5 Ma se manca la “disamina” non si capisce in base a che cosa il rock sarebbe un «prodotto […] privo quasi sempre di proposte stimolanti».6 Tra l’altro, sempre nello stesso libro, viene citato una sola volta (che rimarrà anche l’unica se si escludono le monografie aggiornate e curate da Franco Fayenz in fondo al volume) Jimi Hendrix, grande innovatore della chitarra elettrica e punto di riferimento obbligato (assieme al suo gruppo, la Jimi Hendrix Experience), per tutto il rock della seconda metà degli anni Sessanta ma anche del jazz elettrico che allora muoveva i primi passi e che presto si sarebbe chiamato jazz-rock o fusion.7 E comunque nessun accenno viene fatto al rock progressivo, nonostante la concomitanza tra la stesura del libro di Polillo e lo sviluppo del genere che in questa sede prenderemo in considerazione. 3 Arrigo Polillo, Jazz, Mondadori, Milano, 1997(5). Questo libro, pubblicato per la prima volta nel 1975, è presto diventato un classico della musica afro-americana. 4 Ivi, pp. 283-311. 5 Ivi, p. 289. 6 Ibidem. 7 Inventore di questo nuovo genere fu, nel biennio 1968-1969, il grande trombettista jazz Miles Davis, il quale, spesso, suggeriva ai chitarristi che transitavano nei suoi vari gruppi fusion di suonare tenendo bene in mente la lezione di Jimi Hendrix. Cfr. Miles Davis con Quincy Troupe, Miles. L’autobiografia, Minimum Fax, Roma, 2001. 15 In altri casi invece la musica dei vari Emerson Lake & Palmer, Genesis, Jethro Tull ecc. viene presa di mira apertamente. Anche qui però si evita di scendere nel dettaglio per concentrarsi unicamente sul “risultato”, che, mentre nelle intenzioni dei musicisti doveva essere l’“arte”, era, al contrario, «molto spesso, il kitsch».8 E si sottolinea il fatto, evidentemente considerato motivo di biasimo, che alcuni di quei musicisti provenivano dalla borghesia e non dal proletariato, cosa impensabile solo pochi anni prima, vale a dire all’epoca del beat. Tutto ciò si collega con quanto detto poco sopra, ma è importante ribadire il concetto che secondo non pochi critici musicali il rock sarebbe un genere speciale, e i musicisti che intendono farne parte devono attenersi ad alcune “regole”, tanto rigide quanto, si pensa, evidenti di per sé. Due però sono quelle da cui non si può in alcun modo prescindere, e dalle quali scaturiscono tutte le altre. La prima stabilisce che un musicista rock deve appartenere ad una classe sociale la più vicina possibile al proletariato (meglio se urbano), e comunque tale da non oltrepassare la soglia della piccola borghesia. La seconda, che in parte è conseguenza della prima, prescrive ai musicisti rock il divieto di arricchire la propria musica con stilemi e procedimenti tipici della tradizione colta, poiché questo li trasformerebbe in pericolosi soggetti dall’atteggiamento elitario. Chiunque non si attenga a queste norme deve essere visto, secondo il parere di questi critici, con sospetto. Senza alcun intento polemico, ma con profonda convinzione, devo dire che, a mio giudizio, il tentativo di trattare la musica unicamente come fatto sociale risulta troppo limitante. La musica è fatta soprattutto di note, cioè di suoni singoli o aggregati, e credo che da quelle bisognerebbe partire prima di ogni altra considerazione. Il seguente libro esula tuttavia da tali problematiche, e, anche se considerazioni di ordine sociale e culturale non mancheranno, l’obiettivo precipuo è quello di mettere in evidenza gli stretti rapporti musicali intervenuti tra il rock progressivo e il repertorio della tradizione colta, con esempi e riferimenti ad autori che coprono un arco temporale compreso grosso modo tra la prima metà del Settecento e gran parte del Novecento. Il sottotitolo Introduzione avverte fin da subito il lettore che si troverà di fronte ad una trattazione volontariamen8 Cfr. Elio Venditti, Storia del rock, Editori Riuniti, Roma, 1997, pp. 72-75. 16 te incompleta, non essendo enciclopedico l’intento di questo lavoro ma soltanto divulgativo o, più semplicemente, “introduttivo”.