Luigi Fontana Stelle da record La più vicina, la più luminosa, la più giovane, la più importante... 9788895650487 GRUPPO EDITORE Luigi Fontana Stelle da record La più vicina, la più luminosa, la più giovane, la più importante... GRUPPO EDITORE Questo libro è dedicato alle due persone più importanti della mia vita. Al mio papà, che quando mi regalò un piccolo telescopio, nel 1980, certo non immaginava quanto avrebbe inluenzato la mia vita. E a mia moglie Alessandra, che accetta nella nostra vita i numerosi eredi di quel telescopio, e tutte quelle piccole stranezze necessarie per vivere con un appassionato di astronomia. In copertina La stella Proxima Centauri ripresa dalla camera WFPC2 del telescopio spaziale Hubble. È una “stella da record” perché è la più vicina al Sole, ma non è visibile a occhio nudo. Sommario Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 4 1. La stella più “veloce” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 6 2. La stella più vicina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 24 3. La stella più luminosa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 35 4. La stella più debole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 51 5. La stella più importante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 66 6. La stella più calda e quella più fredda . . . . . . . . . . . . . . . p. 83 7. La stella più vecchia e quella più giovane . . . . . . . . . . . . p. 98 8. La stella più grande e quella più piccola . . . . . . . . . . . . . . p. 117 9. Le stelle più… strane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 137 3 Introduzione Immaginate di essere sotto un bel cielo stellato, in una tiepida notte estiva. Attorno a voi, per chilometri e chilometri, non ci sono luci artiiciali, nemmeno un paesino, una casa e neppure una strada. Buio completo. La Via Lattea divide maestosamente in due la volta celeste, e ovunque guardate vedete stelle, tante stelle. Un’inondazione di stelle. Brillanti e deboli, delicatamente colorate oppure bianche, il cielo ne è pieno. l desiderio di saperne di più, sui quegli innumerevoli puntini luminosi, è grande, e antico quanto l’uomo, come ben testimoniano miti e leggende di ogni epoca e di ogni civiltà. Ebbene, se avete in mano questo libro, vivete in un’epoca fortunata, almeno per avere risposte circa le stelle. Ironia della sorte, oggi abbiamo dificoltà ad ammirare il irmamento, perché l’inquinamento luminoso ci obbliga a raggiungere posti molto isolati per goderne, ma in compenso sappiamo moltissimo su quei puntini luminosi che hanno affascinato i nostri progenitori sin dalla notte dei tempi. Immensamente più di quanto ne sapessero Aristotele o Galileo, ma anche ben più di quanto se ne sapesse per esempio all’epoca di Edwin Hubble (attorno al 1920) quando si cominciò a comprendere l’Universo nel suo insieme. Anche se l’astronomia vanta una storia millenaria, da meno di duecento anni sappiamo davvero qualcosa sui “fratelli cosmici” del nostro Sole. Risale appena al 1838, infatti, la prima misura di una distanza stellare, e addirittura a un secolo dopo la comprensione di come e perché una stella “funziona” e si evolve. E diversi tasselli di questo complicato puzzle sono ancora oggi da sistemare. Questo libro è nato per raccontare, in maniera accessibile, molti “record” riguardanti le stelle. Descrivendo la stella più calda, quella più fredda, la più vicina o la più giovane, racconteremo poco per volta come si è arrivati a tutte queste informazioni, e alla ine sapremo parecchio in più sui “puntini luminosi” che popolano il cielo notturno. La sequenza dei capitoli ricalca per lo più l’ordine cronologico delle scoperte che hanno permesso di determinare i vari primati delle stelle; ma si può tranquillamente saltare subito al capitolo che interessa, per soddisfare una curiosità speciica. E nel farlo, magari, si scoprirà 4 anche qualcosa di interessante o inaspettato, come spesso è avvenuto per gli astronomi che quelle scoperte le hanno fatte. Come in tutte le scienze, anche in astronomia ogni risposta porta con sé nuove domande, e strumenti migliori portano nuovi risultati. Di conseguenza, alcuni dei record riportati in questo libro sono destinati a cambiare, magari nel prossimo futuro. Ma questo è semplicemente segno del fatto che l’astronomia, oggi, è una scienza straordinariamente vitale, e il progresso della conoscenza in questo campo è davvero impetuoso, soprattutto grazie agli strumenti resisi disponibili negli ultimi decenni, dai telescopi giganti ai sensori CCD, dai supercomputer agli osservatori spaziali. Molte discipline, dalla spettroscopia alla isica nucleare, hanno permesso di scoprire questi “record”. Esporre tutto rigorosamente in queste pagine sarebbe dificile e noioso. È l’eterno limite della divulgazione. Pertanto, spero che non me ne vorranno, i lettori più esperti, per qualche necessaria approssimazione. Se qualcosa non risulta chiaro, si può saltare tranquillamente. Il discorso generale non sfuggirà di certo. L’importante è non dimenticarsi di una cosa, dopo che si è chiuso questo libro: andare a sdraiarsi sotto un bel cielo stellato, in una tiepida notte estiva... Luigi Fontana 5 capitolo 1 La stella più “veloce” Uno dei molti nomi dati al irmamento è quello di “sfera delle stelle isse”. Tale nome, come è facile immaginare, deriva dal fatto che apparentemente - la posizione reciproca delle stelle in cielo non varia con il trascorrere delle stagioni e degli anni. In effetti, se una persona molto volenterosa realizzasse con la massima accuratezza possibile una mappa del cielo ogni anno per cinquant’anni, avvalendosi solo degli strumenti disponibili in epoca pretelescopica, tra la prima e l’ultima mappa sarebbe molto dificile notare qualsiasi differenza. Questa apparente immutabilità, unita a considerazioni religiose e ilosoiche, sostanzialmente indiscusse per due millenni, aveva reso solidissimo il convincimento che la “sfera delle stelle isse” fosse davvero immutabile ed eterna. C’erano state, è vero, delle stelle “nuove”, come quella riportata da Tycho Brahe nel 1572 o quella osservata da Keplero nel 1604, ma erano sempre rimaste visibili solo poche settimane, per poi scomparire senza lasciare alcuna traccia (almeno per l’occhio nudo). I saggi dell’epoca, per lo più, le avevano liquidate come fenomeni atmosferici o comunque vicini, appartenenti al mondo “sublunare” il che aveva, bene o male, salvaguardato la perfezione delle stelle isse. Tra i contrari a questa idea, spiccava lo stesso Keplero, che stimò la stella molto più lontana della Luna, e quindi appartenente alla sfera delle stelle isse. Ma la breve durata nel tempo di questa stella aveva solo incrinato e non scardinato, per così dire, l’idea di immutabilità del irmamento. Nemmeno l’avvento del telescopio, nei primi anni del XVII secolo, aveva cambiato molto le cose. Si potevano osservare più stelle, e determinarne la posizione con maggiore precisione, ma in ogni caso sembravano rimanere reciprocamente immobili. Le stelle non sono “isse”! Per dare una scossa a questa visione del cosmo, bisogna attendere il 1718, cioè oltre un secolo dopo l’introduzione del telescopio. Fu allora che il famoso astronomo inglese Edmund Halley (1656-1742), confrontando le proprie osservazioni “astrometriche” (cioè relative 6 alla posizione precisa delle stelle) con quelle di Ipparco, tramandate da Tolomeo nel suo Almagesto, e risalenti quindi a circa 1850 anni prima, fece una scoperta rivoluzionaria. Halley evidenziò che tre stelle molto brillanti (Sirio, Arturo e Alde- Busto di Edmund Halley. 7 Lo spostamento della stella Arturo tra la posizione riportata da Ipparco e quella misurata all’epoca di Halley. Lo spostamento non è entusiasmante, ma risulta evidente. baran) avevano un “moto proprio”, cioè si erano spostate rispetto alle altre stelle in maniera inequivocabile, pur considerando le incertezze delle osservazioni antiche. In particolare, Arturo, secondo le ricerche di Halley, si era spostata verso sud di circa 33’, vale a dire poco più del diametro apparente della Luna Piena. Un angolo certo non enorme, ma molto maggiore dell’incertezza delle misure di Ipparco, e comunque suficiente a deformare in maniera visibile, per un osservatore allenato, la costellazione del Boote, alla quale appartiene Arturo. In realtà, lo spostamento di Arturo in un periodo simile è alquanto maggiore, circa 1° (equivalente a 60’), ma questo non toglie nulla al valore del lavoro di Halley. Egli, semplicemente, aveva fatto il meglio possibile con dati e strumenti molto meno precisi di quelli attuali. La scoperta di Halley aveva un’importanza fondamentale per l’astronomia dell’epoca, anche se per un motivo legato solo indirettamente al moto proprio. Bisogna ricordare che in quegli anni l’idea che le stelle fossero dei corpi celesti simili al nostro Sole, ma immensamente più lontani, era ormai accettata praticamente da tutto 8 il mondo scientiico. Mancava tuttavia la misura di una qualsiasi distanza stellare. Il metodo da utilizzare per realizzare questa fondamentale misura era già noto da tempo: si sarebbe usata la “parallasse annua”, ovvero lo spostamento apparente delle stelle dovuto al movimento di rivoluzione terrestre. Più la stella è vicina, più è grande la sua parallasse. Ma gli strumenti disponibili non erano ancora abbastanza precisi, perciò si cercava di stabilire in base ad altre caratteristiche osservabili quali stelle fossero particolarmente vicine, per tentare poi su di esse una misura della parallasse. Sino ad allora, gli astronomi, in mancanza di altro, avevano scelto le stelle su cui tentare queste osservazioni seguendo l’idea che “le stelle brillanti, mediamente, saranno anche le più vicine”. Ma su questa strada si trovano due ostacoli concettuali. Il primo ostacolo, di gran lunga il più importante, è che 300 anni fa nessuno nemmeno sospettava che la luminosità delle stelle variasse addirittura di milioni di volte, tra le stelle meno luminose e quelle più luminose. Di conseguenza, la luminosità apparente, cioè quella che si osserva dalla Terra, è un parametro del tutto inafidabile per supporre che una stella sia più vicina di un’altra. In effetti, oggi sappiamo che la stella più vicina al Sistema Solare non è nemmeno visibile a occhio nudo, mentre cinque delle dieci più brillanti sono astri luminosissimi, ma sono molto lontani. Il secondo ostacolo - meno importante ma ugualmente interessante - è che non era possibile all’epoca misurare con precisione il rapporto di luminosità tra il Sole e una stella (rapporto che vale circa dieci miliardi per Sirio, la stella più brillante). Perciò, non si aveva nemmeno un’idea dell’ordine di grandezza delle distanze in gioco. Si erano posti soltanto - grazie a ripetuti fallimenti di misure di parallasse, dall’epoca di Galileo in poi - dei limiti minimi di distanza, sempre più alti. Con queste premesse, un elevato moto proprio era prezioso, poiché rappresentava un indicatore di “vicinanza” molto più afidabile. Infatti, se le velocità (nello spazio) delle stelle sono distribuite in modo ragionevolmente uniforme, si può assumere che le stelle più “veloci” siano, in media, anche le più vicine. Ragionamento ineccepibile e che, a posteriori, sappiamo essere esatto. Ecco quindi l’interesse degli astronomi per le stelle dotate di grande moto proprio. Erano buone candidate per tentare la misura di una distanza stellare, un risultato che avrebbe veramente rivoluzionato 9 l’astronomia, producendo per la prima volta una scala delle distanze che si estendesse al di là dei modesti conini del Sistema Solare. E che, per inciso, avrebbe regalato al suo autore un posto d’onore nella storia dell’astronomia! Misurare la velocità delle stelle Purtroppo per Halley e per i suoi contemporanei, occorse quasi un altro secolo, prima che gli strumenti diventassero abbastanza precisi per poter misurare il moto proprio di una stella, almeno delle più veloci, con osservazioni separate tra loro solo di qualche anno, e non di parecchi secoli. Il miglioramento continuo dei telescopi, in particolare l’introduzione dei rifrattori acromatici dalla metà del XVIII secolo e soprattutto l’invenzione del micrometro ilare e poi dell’eliometro (ne parleremo nel Capitolo 2) diedero un ulteriore impulso a questo settore osservativo, che conobbe la sua epoca d’oro nel corso del XIX secolo. Ma non corriamo troppo. Ancora senza usare l’eliometro, il primo moto proprio di una stella misurato in tempi “umani” venne annunciato da un astronomo italiano, Giuseppe Piazzi, nel 1806 (circa due anni dopo l’effettiva scoperta). All’epoca, Piazzi era direttore dell’Osservatorio di Palermo, dove aveva in uso strumenti molto precisi, tra cui un celebre cerchio altazimutale Un micrometro ilare conservato all’Osservatorio di Capodimonte. 10 uscito nel 1789 dalle sapienti mani del massimo artigiano di strumenti scientiici dell’epoca, l’inglese Jesse Ramsden (noto agli astroili per lo schema per oculari che porta il suo nome). Con questo strumento, nell’ultimo decennio del XVIII secolo, il gruppo diretto da Piazzi aveva compilato il Catalogo Palermo, che comprendeva accurate misure di posizione per oltre 7600 stelle, basandosi sia su osservazioni effettuate da Palermo che su Il cerchio altazimutale costruito da precedenti lavori di HeveRamsden e in uso all’Osservatorio di lius (1611-1687), di FlamPalermo. steed (predecessore di Halley come Astronomo Reale in Inghilterra, 1646-1719) e di Lalande (1732-1807). Abituati come siamo a scaricare tonnellate di pagine di dati via Internet in pochi secondi, risulta dificile immaginare quanto fosse complesso lavorare utilizzando anche le osservazioni di altri. Non solo non c’era altro che carta e penna (rigorosamente d’oca!) per fare i calcoli, ma anche solo procurasi una copia di un libro pubblicato all’estero era una vera impresa. Ma Piazzi non si perdeva d’animo facilmente. Il Libro Sesto del Reale Osservatorio di Palermo, edito nel 1806, elenca 220 stelle di cui era stato apprezzato il moto proprio, una sessantina delle quali, secondo le parole dello stesso Piazzi “oltre ogni dubbio”. Questa lista ebbe una storia piuttosto travagliata, poiché uscì nello stesso anno in due versioni. La prima, pubblicata dall’Istituto Nazionale delle Scienze di Bologna, era basata sullo status quo del lavoro di Piazzi al 1803. La seconda, aggiornata al 1806, fu quella pubblicata a Palermo, ed è certamente la più importante, perché è l’unica che include la scoperta principale, riguardante la stella 61 Cygni, di cui diremo tra poco. 11 Il motivo di questa doppia pubblicazione è veramente curioso, e sarebbe un po’ lungo da spiegare. Basti sapere che c’entra una pensione negata a Piazzi dalla Repubblica Cisalpina, in quanto nel frattempo era diventato un cittadino straniero, risiedendo nel Regno delle due Sicilie. Solo una nota curiosa, ma che fa rilettere sul fatto che la burocrazia sia una costante della società che tormenta ogni epoca... La “Stella Volante” Pensione o non pensione, la lista “palermitana” includeva la stella doppia 61 Cygni, che aveva mostrato un moto proprio molto elevato, di gran lunga il maggiore scoperto sino ad allora. Questa stella di magnitudine 5, visibile a occhio nudo con relativa facilità, si trova tra la brillante stella Deneb, che segna la coda del Cigno, e l’estremità dell’ala orientale del Cigno stesso. Piazzi misurò per 61 Cygni un moto proprio di circa 5” (secondi d’arco) all’anno, un valore vicinissimo a quello accettato oggi. Altre due stelle mostrarono un moto proprio molto elevato, Delta Eri (in Eridano) e Mu Cas (in Cassiopea). Lo stesso Piazzi, per i motivi visti prima, le raccomandò in una nota a piè pagina per un tentativo di misura della distanza mediante parallasse. 61 Cygni fu battezzata da Piazzi “Stella Volante”, e come tale è nota ancora oggi. Piazzi aveva tentato, qualche anno dopo essere venuto in possesso del cerchio altazimutale (tra il 1802 e il 1804), di misurare la parallasse di una stella, ma - ironia della sorte - restò vittima dell’idea che le stelle più brillanti fossero in media anche più vicine (un’idea che lui stesso avrebbe di lì a pochi anni contribuito a dimostrare sbagliata) e tentò di eseguire queste misurazioni su Sirio, Arturo, Procione, Altair, Vega, Capella e Aldebaran. Di queste, solo Sirio è davvero vicina, ma è anche quella per la quale le osservazioni risultano più critiche, sia per l’abbagliante luminosità, sia per la scarsa altezza che raggiunge sull’orizzonte, anche da Palermo. Nei lavori successivi di Piazzi, non sono registrati tentativi di misurare la parallasse di 61 Cygni o delle altre stelle da lui stesso indicate in base all’elevato moto proprio. Forse, Piazzi si era reso conto che il suo strumento, pur buono, non era suficientemente preciso per una misura del genere. Oppure, semplicemente, preferì dedicarsi ad altro. In ogni caso, il suo nome era ormai consegnato alla storia, grazie alla scoperta del moto proprio di 61 Cygni e soprattutto alla scoperta del primo asteroide del 12 Sistema Solare, Cerere (oggi classiicato tra i pianeti nani). Cerere fu individuato da Palermo proprio all’alba del secolo, il 1° gennaio 1801. Ma questa è un’altra storia. Torniamo alla 61 Cygni. L’annuncio della scoperta di Piazzi non ebbe all’inizio una grande risonanza, ma fu rivalutato pochi anni dopo, quando la scoperta fu confermata e diffusa, nel 1812, dal vero “campione” dell’astrometria dell’epoca, Friedrich Wilhelm Bessel (1784-1846), un instancabile astronomo e matematico tedesco che giocherà un ruolo centrale nel prossimo Capitolo. Le osservazioni di Bessel confermarono quelle di Piazzi: 61 Cygni si sposta di 5” ogni anno. Non che 5” siano un angolo entusiasmante. È appena il tre per mille del diametro della Luna Piena, oppure 1/8 del diametro del disco di Giove all’opposizione. Ma le osservazioni di Piazzi, distribuite in una decina di anni, ed effettuate con il telescopio da 7,5 cm collegato al grande cerchio altazimutale, permettevano di effettuare la misura con una precisione suficiente, che Bessel si limitò a riinire. NOMI CURIOSI Come astronomo, Piazzi aveva una certa predisposizione per i nomi curiosi. Oltre alla “Stella Volante” segnò nei propri lavori anche una “Stella Granato”, così chiamata per il cupo colore rosso (Mu Cephei). Il nome deriva dal minerale granato, che esiste in molti colori ma la cui varietà rossa è particolarmente apprezzata e usata come gioiello sin dall’antichità. Il nome esatto del granato rosso è “piropo”, ma bisogna ammettere che “stella piropo” non suonerebbe troppo bene! Infine, Piazzi diede a due stelle del Delfino i curiosi nomi Sualocin e Rotanev. Il buffo enigma racchiuso in questi nomi, apparentemente privi di qualsiasi significato, fu svelato solo parecchi anni dopo dall’astronomo inglese Thomas Webb. Sualocin e Rotanev altro non sono che le parole latine Nicolaus e Venator scritte al contrario. E Niccolò Cacciatore (Nicolaus Venator, in latino) era l’assistente di Piazzi nella redazione delle due edizioni del Catalogo Palermo (la seconda è del 1814). Cacciatore succedette allo stesso Piazzi alla guida dell’osservatorio, quando l’anziano sacerdote venne a mancare, ormai ottantenne, nel 1826. Non è dato sapere se nel frattempo avesse ottenuto la sua pensione... 13 Con Piazzi e soprattutto con Bessel, si può dire che l’astrometria entri nell’età adulta. I metodi e gli strumenti erano ormai maturi, e la diffusione della conoscenza nella comunità astronomica migliorava di continuo, rendendo praticabili anche le collaborazioni tra i diversi osservatori. Le conseguenze non tardarono. Più veloce di 61 Cygni Nel 1842, dopo 36 anni dalla scoperta di Piazzi, 61 Cygni era diventata ancora più celebre, essendo stata la prima stella di cui era stata determinata la distanza. Ma perse il suo primato come stella di maggior moto proprio, scalzata dal primo posto in questa classiica da Groombridge 1830, una stellina gialla di magnitudine 6,4 che si trova nell’Orsa Maggiore. Questa stella lega tra loro due astronomi molto diversi, nati in Paesi che sono spesso stati in guerra tra loro, ma che sono uniti dalla proverbiale tenacia dei loro abitanti. Il primo, Stephen Groombridge (1755-1832), era inglese e in realtà non era un astronomo professionista, ma un ricco commerciante. Straordinariamente appassionato di astronomia, e potendosi permettere gli strumenti migliori, nel 1815 si ritirò dal commercio e passò il resto della vita a fare osservazioni (e - dettaglio essenziale - anche a elaborare i dati ricavati dalle osservazioni stesse). Groombridge catalogò la stella che ci interessa compilando il suo poderoso A Catalogue of Circumpolar Stars, uscito postumo nel 1838 e realizzato con uno strumento molto simile a quello di Piazzi, ovvero un circolo altazimutale da 1,2 m di diametro, dotato di un telescopio da 7,5 cm di apertura, con una focale di circa 1,5 m. Con questo strumento, Groombridge catalogò quasi tutte le stelle visibili come circumpolari dal suo Osservatorio, posto nel sud-est dell’Inghilterra, ino quasi alla magnitudine 9. La qualità del suo lavoro era talmente buona che il lavoro di riduzione dei dati, rallentato prima da una grave infermità e poi interrotto dalla sua scomparsa, fu preso in carico e terminato da un celebre astronomo e matematico professionista dell’epoca, George Airy (quello del “disco di Airy”, generato dalla diffrazione della luce nei telescopi). Il Catalogo Groombridge, anche se oggi è superato, era ancora usato all’inizio del XX secolo. Chi si accorse del rapido moto della stella n. 1830 del Catalogo Groombridge, fu un tedesco, che curiosamente portava gli stessi nomi di battesimo di Bessel, e che di Bessel fu anche allievo: Friedrich Wilhelm 14 Argelander (1799-1785). Groombridge 1830 fu l’ultima stella “veloce” scoperta senza l’ausilio della fotograia. Le stelle più “veloci” oggi note, che occupano il podio di questa particolare classiica, sono state scoperte tutte in tempi relativamente recenti, grazie al confronto di immagini prese a distanza di tempo. Un lavoro non semplice, certamente; tuttavia, bisogna riconoscere che confrontare due immagini tranquillamente, durante il giorno e seduti alla propria scrivania, potendo dedicarvi tutto il tempo necessario Una stampa dell’epoca che (e contando che ogni immagine registra in maniera afidabiriproduce lo strumento usato da Groombridge per il suo catalogo. le e inalterabile la posizione di un gran numero di stelle) è ben altro che leggere un nonio collegato a un grande sestante, oppure fermare il cronometro di notte mentre si osserva all’oculare un transito, una stella per volta, con un reticolo di ilo di ragno illuminato da una candela, come facevano Piazzi, Bessel e Argelander. Negli ultimi tempi, inine, le immagini vengono registrate con sistemi digitali (o sono scansioni ad altissima risoluzione di lastre fotograiche), e i confronti vengono eseguiti al computer da soisticati programmi progettati appositamente, mentre l’astronomo - almeno metaforicamente - può anche starsene fuori a pranzo. La Stella di Kapteyn Comunque, ben prima dell’avvento dei computer, la stella che scalzò dal trono Groombridge 1830 fu notata nel 1897 da un astronomo olandese, Jacobus Cornelius Kapteyn (1851-1922), mentre collaborava a un enorme lavoro di riduzione di dati presi da lastre fotograiche, impresa che portò alla pubblicazione del Cape Photographic Durchmusterung, un poderoso catalogo di oltre 400 mila stelle dell’emisfero sud. 15 ARGELANDER, NON SOLO STELLE VELOCI Friedrich Wilhelm Argelander non fu solo un cacciatore di stelle veloci. La sua scoperta avvenne mentre si occupava di astrometria, un campo di studi in cui sviluppò nuovi metodi per ridurre i dati astrometrici e misurò diverse distanze stellari. Inoltre, iniziò uno studio sistematico delle stelle variabili e in questo ambito stabilì il metodo, ancora oggi usato dagli amatori, per stimare visualmente la magnitudine di una stella. Argelander fu anche il primo a determinare, confrontando i moti propri noti fino a quel momento, la direzione approssimativa verso cui si muove il Sistema Solare, il cosiddetto “apice solare” (che si trova nella costellazione di Ercole, ma abbastanza vicino alla stella Vega). Una stima più precisa dell’apice solare fu fatta pochi anni dopo da William Herschel, lo scopritore di Urano. Kapteyn si era gettato in questo lavoro non avendo accesso a un osservatorio “suo”, e forse fu anche la sua fortuna. Oltre a scoprire la “Stella di Kapteyn”, individuò anche i primi indizi della rotazione della nostra Galassia, di cui stimò per primo anche le dimensioni. La Stella di Kapteyn è una nana rossa di magnitudine apparente 9, distante circa 13 anni luce. Il più modesto dei binocoli la mostra nella costellazione meridionale del Pittore, ma la sua declinazione di -45° fa sì che sia visibile, e bassissima sull’orizzonte, solo dall’estremo meridione europeo. Si sposta in cielo di “ben” 8,6” all’anno. Al top della classiica: la Stella di Barnard Il primato della Stella di Kapteyn non durò a lungo. Nel 1916, l’astronomo statunitense Edward Emerson Barnard (1857-1923), sempre studiando coppie di lastre della stessa regione celeste prese a distanza di tempo, notò una stella di magnitudine 9,5 in Oiuco, che si muove quasi esattamente in direzione nord alla “strepitosa” velocità di 10,4” all’anno. Il nome di Barnard restò legato non solo a questa stella, ma anche all’importante catalogo di nebulose oscure, tutt’oggi importante riferimento per questa classe di oggetti, e a innovative applicazioni della fotograia all’astronomia. Campi molto diversi, quindi. Forse, l’ecletticità professionale di Barnard era un rilesso della sua 16 vita avventurosa. Nato orfano di padre, Barnard a nove anni lavorava già come assistente di un fotografo. Appassionatosi all’astronomia scoprì diverse comete, e raggiunse una certa notorietà nel natio Tennessee, il che spinse a una raccolta di fondi per farlo studiare. Non si laureò mai, ma anni dopo ricevette l’unica (!) laurea ad honorem mai rilasciata dalla celebre Vanderbilt University. Il suo nome è rimasto comunque legato alle nebulose oscure e alla veloce “Stella di Barnard”, con la quale siamo arrivati in cima alla classiica delle stelle più veloci, almeno per quel che riguarda gli astri di luminosità relativamente elevata. In effetti, tutte le stelle citate sin qui sono visibili con un binocolo, se non addirittura a occhio nudo. Ancora più veloce In tempi recentissimi, da quando l’elaborazione automatica di dati ricavati dalle lastre accumulatesi negli osservatori nel corso dei decenni ha permesso di spingere le analisi sino a magnitudini prima impensabili, il numero di stelle di cui sia noto il moto proprio è aumentato a dismisura. E le sorprese non sono mancate. Un gruppo di ricerca inglese ha pubblicato nel 2003 un catalogo di stelle ad alto moto proprio, il LEHPM (Liverpool-Edimburgh High Proper Motion). E in questo catalogo, al numero 2802, troviamo l’attuale stella primatista di moto proprio. LEHPM 2802 supera sia pure di pochissimo la Stella di Barnard, poiché si sposta ogni anno di 10,73” (con un’incertezza di 0,03”). Purtroppo, LEHPM 2802 è di magnitudine 19, e quindi al limite estremo di immagini amatoriali riprese con camere elettroniche; quindi di ben scarso interesse per l’amatore. Come se non bastasse, il catalogo LEHPM copre appena il 6% del cielo, per cui è probabile che da qualche parte in cielo ci sia un’altra debolissima nana rossa ancora più veloce. Non resta che attendere i risultati delle prossime osservazioni, a partire dalla missione astrometrica GAIA, lanciata alla ine del 2013. Comunque, con ragionevole certezza, si può affermare che tra le stelle osservabili con un piccolo telescopio, il record della Stella di Barnard sia destinato a durare per sempre. Essa costituisce un buon soggetto per osservazioni amatoriali, in quanto è possibile evidenziare il moto perino con dei disegni, purché accurati, eseguiti al telescopio a distanza di qualche anno. In fotograia, con riprese di focale suficiente, bastano uno o due anni per mettere in risalto lo spostamento di questa stella. 17 L’ASTROMETRIA E I SUOI STRUMENTI L’astrometria è quella branca dell’astronomia che si occupa della posizione degli astri, e di come questa posizione, eventualmente, vari nel tempo. Per percorrerne la storia, occorre avere un’idea degli angoli in gioco, in quanto le misure astrometriche, in buona parte sono misure di angoli. Ricordiamo che in un angolo giro ci sono 360 gradi (°), che un angolo retto è 90° e che ogni grado è diviso in 60 primi d’arco (‘) e ogni primo in 60 secondi d’arco (”). Quindi: 1° = 60’ = 3600”. Attenzione a non confondere i primi e i secondi d’arco con i minuti primi (m) e i secondi (s) di tempo! La Luna Piena sottende un angolo di 0,5° (= 30’ = 1800”). La larghezza di un mignolo, alzato contro il cielo col braccio teso, sottende circa 1°, ovvero due lune piene affiancate (provare per credere). L’occhio umano riesce a distinguere, in condizioni ideali, dettagli fino a 1’ circa. Le stelle con più alto moto proprio si muovono di qualche secondo d’arco l’anno, mentre per misurare mediante parallasse la distanza di una stella ci vuole una risoluzione migliore di 0,1”. Per avere un’idea, una moneta da 2 € sottende 1” quando la si pone a 5 km di distanza, e un angolo di 0,1” è quello che la stessa moneta sottende da 50 km di distanza! Il fondatore dell’astrometria può essere considerato Ipparco di Nicea (Nicea, 190 a.C. - Rodi, 120 a.C.). Ipparco scoprì la precessione degli equinozi, elaborò tavole trigonometriche e, per quel che ci interessa qui, creò il primo catalogo stellare. Per redigere questo catalogo, che comprendeva poco più di mille stelle, raggruppate in 48 costellazioni, elaborò il sistema delle magnitudini per descriverne la luminosità, mentre misurò le posizioni delle stelle usando quadranti murali (per la distanza zenitale) e strumenti assimilabili agli odierni teodoliti per quanto riguarda la posizione reciproca, riportata con un’incertezza di circa 10’. Si ritiene che l’Atlante Farnese, celebre copia romana di una precedente opera greca andata perduta, sia basata sulle posizioni delle stelle riportate nel catalogo di Ipparco. Il suo lavoro è andato perduto, ma Claudio Tolomeo (circa 18 90-168 d.C.) un astronomo romano che viveva in Egitto e scriveva in greco, ce ne riporta ampi stralci nel suo celeberrimo Almagesto (scritto nel 147 o 148 d. C.). Gli strumenti degli astronomi non variarono in maniera significativa fino all’avvento del telescopio. Anche il grande Tycho Brahe, l’ultimo grande astronomo “pre-telescopico” utilizzava grandi quadranti murali, sestanti e semplici alidade per ricavare la posizione delle stelle e dei pianeti tra L’atlante Farnese, conservato a le stelle. Napoli. Grande scultura (alta quasi Quadranti e sestanti altro due metri) e databile al secondo non sono che archi di cersecolo d.C. Secondo recenti studi, chio realizzati in ferro, ottola posizione delle stelle utilizzata ne o addirittura legno, in per realizzare la scultura deriva cui una “mira” (l’alidada) dall’opera di Ipparco. permette di leggere un angolo, di norma rispetto alla verticale segnalata da un filo a piombo (nel quadrante murale, usualmente fisso e posto lungo il meridiano) oppure tra due stelle, usando eventualmente due alidade. Come suggeriscono i nomi, il quadrante permette di misurare angoli fino a 90°, mentre il sestante è ampio 60°. Al contrario dei quadranti, molti sestanti erano mobili e orientabili liberamente, in modo da poter misurare angoli arbitrari in cielo. Spesso le loro dimensioni imponevano un sistema di pulegge e contrappesi per muoverli, e magari qualcuno che aiutasse l’astronomo nel lavoro... muscolare. Il sestante nautico si è evoluto dal sestante per astrometria, ma si basa anche su una immagine riflessa, per cui ha un aspetto (e un modo d’uso) alquanto diverso. 19 La precisione di sestanti e quadranti aumenta con le dimensioni fisiche dello strumento e con la maggior finezza delle divisioni di lettura. La prima strada fu battuta soprattutto fino al XV secolo, e più notevole risultato in questo senso è probabilmente il sestante murale fatto costruire da Ulugh Beg, astronomo persiano (1394-1449) per l’osservatorio di Samarcanda. Scavato nella roccia, l’enorme arco ha lo stupefacente raggio di... 36 m! Con questo strumento, ancora esistente, e con uno Uno dei quadranti usati da Tycho gnomone alto 50 m, Ulugh Brahe, tipico strumento astronomico Beg determinò con grandi epoca pre telescopica. de precisione la durata Le imponenti dimensioni richiedevano dell’anno (con un errore l’aiuto di uno o due aiutanti per inferiore ai 30 s) e l’inclina“puntarlo” nella zona celeste zione dell’asse terrestre. Si di interesse per l’astronomo. stima che la posizione delle stelle fosse misurabile con un’incertezza inferiore ai 3’. Tycho Brahe, nel suo Osservatorio di Uraniborg usava strumenti fino a circa 4 m di diametro, ma si avvantaggiava nella lettura degli indici con un nonio primitivo. Ciò nulla toglie alle sue straordinarie doti di osservatore, che gli permisero di dimezzare le incertezze di Ulugh Beg. Un notevole salto in questo campo venne fatto col perfezionamento, da parte di Ramsden, di una macchina per realizzare scale incise estremamente regolari, oltre che con la sostituzione dell’alidada con un piccolo telescopio (e si arriva così agli strumenti usati da Piazzi o da Groombridge). Chiunque abbia un po’ di esperienza di astronomia pratica 20