Independent Strategy - luglio 2013

annuncio pubblicitario
IL “MOTIVETTO” DELLA RIDUZIONE GRADUALE
(DI ACQUISTO DI OBBLIGAZIONI GOVERNATIVE)
DI BERNANKE
Il presidente della Fed Bernanke ha sorpreso i mercati finanziari
annunciando la possibilità di una riduzione graduale del programma di
acquisto di obbligazioni governative a cominciare da settembre per
terminare il “Quantitative Easing” (incremento dell’offerta di danaro nel
sistema) entro il 2014. Tutto ciò impatterà sugli asset dei mercati
emergenti e sulle obbligazioni ad alto rating “bene rifugio”. Inoltre tale
decisione farà incrementare il valore del dollaro USA rispetto allo Yen e
all’Euro. La decisione non è così negativa per le azioni dei mercati delle
economie sviluppate, dal momento che la Fed inizierà la riduzione
graduale e completerà il cosiddetto “Quantitative Easing” solo se sarà
convinta che sia effettivamente ritornata una crescita economica
sostenibile.
La domanda dei mercati per una maggiore trasparenza da parte della Fed
non si è ancora materializzata così come avrebbero sperato gli investitori.
L’indicazione fornita dal presidente della Fed Ben Bernanke circa la
strategia d’uscita della FED stessa è chiaramente caduta dalla parte più
severa dello spettro possibile. La prospettiva che la “riduzione graduale”
possa essere annunciata in settembre, dovessero essere confermate le
previsioni finanziarie della Fed, ha importanti implicazioni per i mercati
finanziari.
Innanzitutto, tale annuncio risulta essere meno positivo per quei mercati
emergenti che sono fortemente dipendenti dall’afflusso di capitali stranieri
e che stanno già soffrendo di una contrazione della crescita dovuta alle
inefficienze strutturali. L’afflusso di capitale nei portafogli è stato
importante negli ultimi anni dato che gli investitori erano alla costante
ricerca di rendimento. Questi fondi oggi potrebbero diminuire come risulta
già evidente dai dati sui flussi d’investimento.
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1
Secondariamente, l’affermazione della Fed rafforza la nostra visione
negativa in relazione alle obbligazioni ad alto rating intese come “beni
rifugio”. Il mercato dei bond dovrebbe continuare a riprezzarsi.
L’osservazione di Bernanke, secondo cui la recente crescita nei
rendimenti non può essere attribuita unicamente al cambio di previsione
della politica della Fed, risulta essere particolarmente non favorevole per il
mercato delle obbligazioni. Ciò significa che la Fed riconosce il fatto che i
rendimenti sono cresciuti perché l’economia sta crescendo e si sta
normalizzando.
Terzo, lo scenario rimane positivo per i mercati azionari delle economie
sviluppate. Per la prima volta da dieci anni o forse più le prospettive di
crescita dei mercati sviluppati risultano più in salute rispetto a quelli dei
mercati emergenti. Inoltre Bernanke ha sottolineato che la stretta ci sarà
solo se l’economia sarà abbastanza forte e ciò risulta di nuovo essere
positivo per le azioni.
Quarto, la visione della Fed è positiva sul dollaro. Le prospettive di
crescita sono già un supporto implicito, ma non appena i rendimenti si
normalizzeranno, il vantaggio del dollaro diventerà più visibile.
E ciò ci porta all’analisi delle materie prime. I soli guadagni del dollaro
rappresentano un ostacolo per i prezzi delle materie prime. Ma la
riduzione della crescita nei mercati emergenti risulta essere ancora più
importante dato che essi sono importanti consumatori di materie di base, in
particolare delle materie estrattive. Ciò rende i valori delle materie prime
particolarmente vulnerabili, anche se ciò dovrebbe comportare una certa
riduzione al blocco delle importazioni da parte dei mercati emergenti.
L’effetto sulle materie prime non estrattive (“soft commodities”) dovrebbe
essere più limitato dato che questo settore è guidato dall’offerta.
Tuttavia, noi rimaniamo scettici sul fatto che la Fed possa battere le
proprie previsioni circa la disoccupazione nell’arco di tempo da loro
indicato, e specificatamente sull’obbiettivo di un tasso di disoccupazione al
7%, che è stato sottolineato come il punto per uscire dal programma di
acquisto di titoli governativi. Quindi è molto probabile che la “riduzione
graduale” si riverifichi più in là nel tempo piuttosto che nel breve termine.
Inoltre, che il tasso di disoccupazione al 6,5% sia la soglia indicata per il
rallentamento della politica monetaria è tutto da dimostrare. Non è un
grilletto tirato ma è un punto su cui lanciare un dibattito circa la riduzione
della politica monetaria. Qualunque riduzione dipende dal raggiungimento
delle attese in relazione alla crescita economica. Il profilo dell’inflazione è
favorevole, e con un mercato del lavoro lento, così com’è oggi, rimarrà
sostanzialmente invariata.
2
Inoltre, l’economia americana, dovrà evitare ogni ostacolo creato da un
troppo rapido rallentamento delle condizioni monetarie che l’attuale
correzione dei bond potrebbe creare. Inoltre c’è da considerare che un
eventuale aumento della pressione fiscale causata dalla politica di spesa
della Fed isolerebbe ciò che ha già iniziato ad impattare sull’attività.
I dati della produzione industriale sono stati rimarcabilmente più leggeri
rispetto agli ultimi dati sul lavoro e sui consumi, ciò è evidenza che tale
ostacolo potrebbe realmente esistere. Questa non è un’eventualità che il
mercato sta prezzando. Se i dati macro dovessero confermarsi sulla parte
più debole durante l’estate, come pensiamo sia possibile, c’è spazio per
una revisione degli attuali movimenti nei mercati, principalmente nei titoli
di stato americani, ma anche nei mercati emergenti.
USA: L’OCCUPAZIONE È CRUCIALE PER LA POLITICA
DELLA FED
Nonostante un’avversa reazione dei mercati finanziari al recente annuncio
della Fed e ai commenti di Bernanke, le preoccupazioni del mercato circa
la riduzione graduale del programma di acquisto dei titoli governativi da
parte della Fed appare sovrastimato. Questo perché il ritiro di
un’accomodante politica monetaria è tuttora soggetto al raggiungimento di
specifici obiettivi economici con un focus particolare sul mercato del
lavoro.
Tasso di partecipazione, rapporto occupazionepopolazione (età 24-54 anni) e tasso di disoccupazione,
%
72
16
70
14
68
12
66
(1)
64
(2)
62
10
8
6
60
Participation rate
Employment‐to‐population ratio
Unemployment
58
4
(3)
56
2
Jan‐80
May‐81
Sep‐82
Jan‐84
May‐85
Sep‐86
Jan‐88
May‐89
Sep‐90
Jan‐92
May‐93
Sep‐94
Jan‐96
May‐97
Sep‐98
Jan‐00
May‐01
Sep‐02
Jan‐04
May‐05
Sep‐06
Jan‐08
May‐09
Sep‐10
Jan‐12
0
1) Il tasso di disoccupazione si reduce ad un trend del 0,09 %
punti al mese
2) Il tasso di partecipazione si è ridotto ai minimi negli ultimi 30
anni al 63,3%
3) A differenza dei precedenti recuperi, il tasso di occupazione
in relazione alla popolazione è fuorviante nel rispecchiare il
tasso di disoccupazione, molte persone rimangono fuori dalla
forza lavoro.
Figura 1. Source: BLS
3
Il mercato del lavoro americano non sta creando
abbastanza posti di lavoro per superare la soglia di
accettabilità della Fed. Il tasso di disoccupazione al
7,5% è tuttora alto, mentre le imprese sono tuttora
recalcitranti nell’assumere nuovi lavoratori, nonostante
la diminuzione dei licenziamenti. In passato la ripresa
economica è stata rallentata da prematuri e bruschi
rialzi dei tassi d’interesse, nel 1984 e nel 1994, che
hanno mandato i tassi reali ad livelli più elevati. Ad oggi
i tassi d’interesse reali si stanno muovendo al rialzo, ma
solamente perché l’inflazione sta scendendo piuttosto
che a causa di un inasprimento della politica monetaria
(Figura 1).
Il mercato del lavoro sta migliorando ad un tasso dello
0,09% al mese dall’inizio del 2010. La lenta ripresa
nella creazione di lavoro risulta evidente anche nel
tasso di partecipazione della forza lavoro che oggi si attesta al suo minimo
da più di 30 anni pari al 63,3% e non appena la ripresa farà progressi più
gente si metterà alla ricerca di un lavoro facendo si che la forza lavoro
cresca. Questo significa che c’è un ingente gruppo nell’età lavorativa
non rappresentato pronto a rientrare nel mercato del lavoro non appena
l’economia si riprenderà. Quindi un più alto numero di posti di lavoro
necessita di essere creato al fine mantenere lo stesso tasso di
disoccupazione. L’obiettivo della FED di un tasso di disoccupazione al
7% per iniziare la riduzione progressiva di liquidità potrebbe non essere
raggiunto per settembre così come la soglia di disoccupazione al 6,5%
prevista per il prossimo anno.
Inoltre c’è da considerare l’impatto del rallentamento fiscale del governo
americano. Il disavanzo del bilancio federale americano si sta riducendo
velocemente e si dovrebbe dimezzare al 4,7% da un picco pari al 10% nel
2009. Ciò sta facendo crescere le speranze che il debito del settore
pubblico continuerà a scendere costantemente per tutto il resto del
decennio così da evitare qualsiasi crisi del debito sovrano o ancora peggio
una riduzione nel giudizio di credito da parte delle agenzie di rating. Ma ciò
è improbabile.
Il debito pubblico americano si ridurrà solo se la crescita nominale
dell’economia sarà significativamente più rapida del trend precedente, i
programmi di spesa sanitaria e sociale obbligatori verranno ridotti e il
mercato dei bond rimarrà con dei rendimenti bassi. È altamente
improbabile che tutti questi eventi si realizzino insieme.
Nel nostro scenario base, entro la fine del decennio, il debito pubblico
lordo americano è probabile che rimanga alto così come lo è oggi (vicino
al 107% del prodotto interno lordo) e, in uno scenario avverso, potrebbe
crescere ad un livello significativamente più alto simile a quello dei paesi
europei in sofferenza che hanno patito durante la crisi. In aggiunta
l’America appare più vulnerabile in caso di una crisi del debito nella
prossima decade rispetto all’Europa, che si sarà sostanzialmente
ristrutturata.
GIAPPONE: LE FORTUNE DIPENDONO
DALLA TERZA FRECCIA
Le prime due frecce di “Abenomics” (la cosiddetta politica economica del
nuovo premier giapponese Abe) hanno colpito l’obiettivo. La terza freccia
(riforme macroeconomiche strutturali che riguardano il mercato del
4
lavoro, l’agricoltura, le elezioni, la burocrazia e l’educazione, tra gli altri)
rimarrà sospesa fino a dopo le elezioni della Upper house in luglio.
Le tre frecce sono: primo immettere moneta con l’obiettivo di far
crescere l’inflazione, così da rilanciare i consumi (poiché i prodotti
risultano essere più convenienti oggi rispetto a domani). Il secondo
obiettivo è la riduzione del debito pubblico mantenendo il rendimento dei
titoli di stato giapponesi sotto la crescita dell’inflazione utilizzando la
repressione finanziaria (ossia l’acquisto di titoli di stato) per raggiungere
questo scopo. Dall’indebolimento dello yen gli esportatori giapponesi
risulteranno più competitivi e profittevoli. Tutto ciò, che ci si augura venga
realizzato, ravviverebbe gli investimenti delle aziende.
PIL per ore lavorate, EURO27 = 100
La seconda freccia è un calcio iniziale all’economia
attraverso obiettivi di spesa fiscali preventivati.
140
130
120
110
100
90
80
70
60
50
Figure 2. Source: AMECO
Poland
Greece
Japan
Italy
UK
Spain
Sweden
Germany
France
Ireland
US
40
Ma la più importante è la terza freccia: le riforme
macro e micro di qualunque cosa dalla politica al
sistema burocratico del lavoro e dell’agricoltura.
Queste riforme hanno l’obiettivo di far si che
l’economia sia più produttiva. È la parte della politica
d’offerta ad incontrare le politiche di rilancio della
domanda delle prime due frecce (Figura 2).
Se la freccia finale non sarà portata a termine la
politica economica di Abe fallirà poiché la parte
dell’offerta dell’economia non reagirà e le altre frecce di politica
economica alzeranno semplicemente la domanda nominale. Il risultato
sarà un più alto prezzo inflazionato dei prodotti e delle attività finanziarie e
una crescita molto bassa. Ciò dovrebbe portare ad un rialzo dei rendimenti
dei titoli di stato giapponesi e ad un disavanzo del budget ancora più
elevato. E non durerà così a lungo prima che la sostenibilità del debito
pubblico diventi l’obiettivo primario. Lo yen si schianterebbe e i rendimenti
dei titoli di stato giapponesi crescerebbero drammaticamente quantomeno
all’inizio.
Tuttavia se la terza freccia dovesse colpire il target il Giappone potrebbe
diventare un economia molto più dinamica. Questo dovrebbe trasformare
il Giappone in un peso massimo più capace di fronteggiare gli obiettivi
economici della Cina nell’area di riferimento. Lo yen dovrebbe toccare il
fondo a 110yen/dollaro e successivamente ritornare a 90 yen/dollaro. Il
Nikkei potrebbe facilmente raddoppiare. E i rendimenti dei titoli di stato
giapponesi crescerebbero in modo virtuoso e non distruttivo.
5
Il risultato è duplice diviso tra successo e fallimento e le probabilità
sostanzialmente equilibrate — noi stimiamo un 60:40 a favore dello scenario ottimistico.
Attualmente le riforme della terza freccia sono impantanate nel processo
politico. C’è stata una retromarcia in merito alla riforma del mercato del
lavoro e dell’agricoltura e poco o nessun progresso è stato realizzato sulla
riforma elettorale. Per sbloccare questo processo, Abe necessita di
vincere un forte mandato alle elezioni della Upper house in luglio. Se ciò
dovesse verificarsi sarebbe in grado di rafforzare il sistema attraverso le
riforme. Se non si realizzasse il fallimento della politica economica di Abe
sarebbe inevitabile poiché la terza freccia non si è realizzata.
I Giapponesi hanno una lista di ciò che dovrebbe essere fatto. È una lista
completa, ma allo stesso tempo anche complicata. Non sapremo sino a
dopo le elezioni dell’Upper house se si realizzerà. Correnti del partito LDP
e del suo elettorato si oppongono a questi cambiamenti. Gli ostacoli politici
sono grandi, ma non insuperabili. Se due terzi delle misure saranno
completate il risultato positivo si materializzerà. Altrimenti il soufflé di
speranze giapponesi collasserà dentro il nero ripieno della disperazione.
CINA: I FRENI NASCOSTI ALLA CRESCITA
La Cina è bloccata nella trappola del reddito medio che molti paesi
emergenti stanno affrontando. Il vecchio modello economico cinese
(risparmi in avanzo, investimenti, manifattura ed esportazioni) è morto.
Quello di cui la Cina ha bisogno sono maggiori consumi, non investimenti.
L’economia sempre più di mercato è molto meno sensibile ai diktat
dall’alto. L’espansione degli investimenti sociali non sta alimentando
l’accelerazione economica o i prezzi dei beni ad eccezione dei terreni e
degli immobili, che hanno pericolose caratteristiche ad effetto bolla.
Abbiamo pertanto sia uno sfasamento della politica economica che una
mancanza di efficacia della politica stessa. Una pesante scorta di
investimenti sbagliati grava sulla crescita e intasa il sistema finanziario,
che è basato su risparmi malcalcolati. Lo spostamento verso una nuova
economia guidata dalla domanda interna è davvero troppo lento.
La Cina sta crescendo al “tasso ombra” di circa il 7% (tra 6-8%) in linea
con quanto abbiamo anticipato per un paese che rimarrà bloccato nella
trappola del reddito medio. L’aspetto interessante è che il tasso di crescita
6
della Cina sta decelerando verso il 7% da un picco
ciclico sopra il 10%, nonostante il fatto che la più vasta
misura del credito (il credito sociale) stia crescendo a
più del 30% su base annua.
Il settore bancario ombra come % del PIL
45
40
35
30
Questo investimento sociale è una forma di “sistema
bancario ombra” cioè senza i bilanci delle banche, che
ha raggiunto il 40% del PIL, notevolmente superiore ad
altre economie emergenti e alle dimensioni del settore
bancario ombra americano all’epoca della contrazione
del credito (Figura 3).
25
20
15
10
5
0
Russ
India
Figure 3. Source: FSB
HK
Bra
Kor
China
US (2007)
Se mai, data la sovrafatturazione delle esportazioni
(parte del ricorso all’indebitamento estero convertito in un reinvestimento
in un’attività creditizia interna a più alto rendimento da parte
principalmente di società della Cina del Sud), la crescita potrebbe essere
sopravvalutata di 1,0-1,5 punti percentuali del PIL e l’eccedenza
commerciale potrebbe realmente essere in deficit.
La piramide creditizia della Cina è enorme in relazione al PIL se
confrontata con altre economie a medio reddito, pari a circa 250%
rispetto al 190% del Brasile, o al 140% dell’India e al 55% appena della
Russia. In secondo luogo, il credito cinese sta crescendo più rapidamente
rispetto al PIL. Vi sono segnali di avvertimento che l’economia cinese è in
una bolla creditizia.
Ma c’è una differenza, ovvero che non è chiaro dove stia realmente
andando il denaro in Cina. La stampa di denaro generalmente gonfia
l’economia reale, i prezzi dei beni o entrambi, ma in Cina questo non sta
accadendo. In realtà i prezzi delle case stanno iniziando a mostrare
nuovamente una bolla immobiliare, e questo è significativo, ma nient’altro.
Vi è la possibilità che l’eccessivo credito sia usato per sostenere i porosi
bilanci dei veicoli di finanziamento dei governi locali (LGFVs), i loro
creditori, le aziende zombie e imprese statali (SOEs). Tutto ciò non è
salutare.
E’ poco probabile che questo causerà il collasso economico, poiché il
governo, in qualche forma, è coinvolto su tutti i fronti della bolla del
credito, come finanziatore nelle LGFV e nelle SOE e come creditore
nelle banche. Nessuno di questi finanziamenti coinvolge denaro straniero.
Non ci sono pertanto spie come nel mercato finanziario asiatico. Inoltre,
si stanno facendo seri tentativi per regolare sia i prestiti del sistema
finanziario ombra che dei LGFV.
7
Parte di questa creazione del credito si è conclusa con investimenti
veramente improduttivi, e gli investimenti sbagliati pesano sull’economia
poiché le attività in sofferenza rimangono attività in sofferenza, anche se il
la montagna di credito ad essi unita non porta alla crisi finanziaria. Il tasso
in ribasso dei guadagni di produzione per unità di investimento è chiara
evidenza di tutto ciò.
Si parla spesso a lungo dell’esaurimento del modello di crescita cinese,
che dipende da eccessivi, risparmi malcalcolati e investimenti che danno
benzina all’ espansione delle esportazioni . Quello di cui la Cina ha bisogno
non sono ulteriori investimenti, ma maggiori consumi. C’è una divergenza
tra la politica economica e le necessità. Servirà tempo per correggere,
specialmente perché i consumi e le entrate sui salari sono ancora una
piccola porzione dell’economia.
Dietro a tutto questo, vi sono cambiamenti fondamentali nel modo in cui
l’economia cinese si comporta, che rendono i cambiamenti nella struttura
economica indotti dalla politica ancor più difficili. Il cambiamento più
significativo è che l’economia sempre più di mercato è meno sensibile ai
diktat dall’alto.
Lo sforzo per sostenere la spesa dell’infrastruttura sarebbe stato
tradizionalmente finanziato dalle banche, monetizzando pertanto la politica
fiscale. Oggi, le banche reagiscono molto meno a tali segnali perché i
finanziamenti in sofferenza sono più una minaccia alla carriera dei
banchieri cinesi rispetto al mancato rispetto di ordini politici dall’alto.
Analogamente, il catastrofico stato di salute dei bilanci di molti veicoli di
finanziamento dei governi locali (LGFV) e le maggiori norme prevengono
il ripetersi dei finanziamenti in cui le banche si lanciarono nell’abbuffata
del 2008. E la cosa più importante, c’è la consapevolezza tra la leadership
sul fatto che aprire i rubinetti della spesa e del credito creerà problemi non
soluzioni. Ciò significa che l’economia si sta allenando a purgare questi
squilibri.
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