INTRODUZIONE Presentazione Nel buddismo, secondo le sue varie scuole, viene riconosciuta la radicale insufficienza di questo mondo mutevole e si insegna una via per la quale gli uomini, con cuore devoto e confidente, siano capaci di acquistare lo stato di liberazione perfetta o di pervenire allo stato di illuminazione suprema sia per mezzo dei propri sforzi sia con l’aiuto venuto dall’alto. (Vaticano II, Nostra aetate, 2: EV 1, 856) Più ancora dell’induismo, con cui viene spesso confuso, il buddismo è conosciuto confusamente dagli occidentali, che lo considerano generalmente una religione triste se non disperata. L’atteggiamento dei cattolici è per lo più condizionato da una letteratura religiosa mediocre. Tra i migliori citiamo Louis de la Vallée Poussin, nel famoso manuale di storia delle religioni, "Christus", pubblicato all’inizio del secolo: "Dal punto di vista della nostra logica, e ragionando in base ai principi stessi del buddismo, il nirvana non è altro che il nulla. Questa interpretazione però, secondo il parere di indianisti competenti, è un controsenso". E nelle conclusioni del suo studio, pur deplorando "l’incoerenza e l’insufficienza della dogmatica, la degenerazione leggendaria, dialettica, mistica", Poussin dichiara la propria ammirazione per il buddismo, che contiene "qualcosa di grande". "I buddisti, scrive, hanno diritto alla nostra attenzione, alla nostra simpatia e spesso anche alla nostra ammirazione, (ma) da un punto di vista intellettuale manca loro qualcosa...". Siamo sempre all’interno della nostra logica... E se cercassimo di guardare ai buddisti tentando di metterci, per quanto ci è possibile, dal punto di vista della loro logica...? Ascoltiamo un teologo contemporaneo, profondo ammiratore del buddismo: "Comprendere il buddismo, aprirsi al buddismo, significa accettare la seduzione del buddismo. Bisognerebbe mettere in dubbio l’autenticità della fede del cristiano se, sufficientemente introdotto al buddismo, non ne sentisse il fascino". Lo stesso teologo aggiunge una osservazione importante da un punto di vista missionario: il fascino che il cristianesimo potrà esercitare sui buddisti dipende dalla profondità con cui i cristiani avranno prima sperimentato la seduzione dell’altra parte, come è avvenuto a san Paolo, che, prima di predicare, ha dovuto sperimentare dentro di sé la vittoria della fede cristiana sul giudaismo che l’aveva sedotto. Nome Il buddhismo è la religione universale a carattere salvifico-liberatorio fondata sulla predicazione del Buddha. Assume connotazioni varie secondo le zone di diffusione. E una delle più grandi religioni del mondo perché pone come elementi dell’esperienza religiosa le tematiche del destino dell’uomo e il problema dell’angoscia, del dolore, della precarietà dell’esistenza umana, proponendo una sua originale via di superamento e di liberazione, fonda mentalmente più filosofica che religiosa. Simbologia La simbologia buddhista è molto ricca e somiglia, per la quantità, a quella induista. Nei templi e nelle città orientali dove maggiormente è diffuso il si trovano rappresentazioni artistiche di Buddha Amida, di Bodhi sattva sotto forma di diademi e di monili, di Dhyani Buddha (i cinque Buddha cosmici) e di tutte le tecniche della meditazione buddhista. Il simbolo che rimanda subito al buddhismo è la ruota a otto raggi, la "Via" del Buddha. Diffusione Nata in India, è la religione dominante nell’Asia sud-orientale in paesi come Sri Lanka, Birmania, Laos, Thailandia, Cambogia. Ma costituisce pure una delle più grandi forze religiose in Cina, Giappone, Tibet. Negli ultimi tempi ha raggiunto qualche isola del Pacifico e alcune zone dell’America e dell’Europa. 2. STORIA DEL BUDDISMO Buddha Il buddhismo è il movimento religioso nato in India nella regione del Gange, di Maghada e di Kosala ad opera di Buddha. Egli nacque verso il 565 a.C. da una ricca famiglia dei Shakya, una stirpe che dominava il paese e che aveva come capostipite leggendario il re Okkava. Non è figlio di re, come le molte leggende lo presentano, ma di un raja, cioè di un capo eletto dai maggiorenti, cui era affidato il potere di governare. Gli viene imposto il nome di Siddharta ("Quegli che ha raggiunto lo scopo") o di Gautama (l’appartenente al ramo - gotra- dei Shakya), ma in seguito verrà indicato con altri appellativi sui quali emerge quello di Buddha che significa: l’Illuminato, il Risvegliato. Fu allevato in mezzo alle comodità e ad un lusso principesco, si sposò ed ebbe anche un figlio. Tuttavia, nonostante le precauzioni del padre, anche lui incontrò le miserie umane: un vecchio, un malato, un cadavere, un mendicante. Queste tristi realtà della vita lo impressionarono profondamente. Desideroso di conoscere le cause della miseria presente nel mondo, a circa 30 anni abbandonò tutto e tutti per condurre vita eremitica alla ricerca di ma soluzione dell’enigma della vita. Insoddisfatto delle risposte di altri maestri, dopo digiuni estenuanti, capì che la conoscenza della salvezza poteva trovarla solo nella meditazione personale. Abbandonò le mortificazioni eccessive e a 35 anni, dopo quarantanove giorni di riflessione, ai piedi di un albero di fico, in una notte della luna piena del mese di maggio, raggiunse l’illuminazione. Comprese le Quattro Nobili Verità: sul dolore, sull’origine del dolore, sulla estinzione del dolore, sulla via che porta alla soppressione del dolore. Animato da profonda pietà per gli uomini e dal desiderio di salvarli, si diresse verso Benares (Varanasi) seguito da cinque discepoli affascinati dalla bellezza della sua dottrina e percorse per oltre quarant’anni il Nord dell’India e predicando il suo messaggio di speranza e di felicità. Esse però si raggiungono non come dono della grazia di Dio ma come conquista del proprio intelletto e della propria volontà; anche perché su Dio, Buddha preferì tacere. Secondo la tradizione, Buddha morì all’età di 80 anni, circondato dai suoi seguaci, tra i quali il discepolo prediletto Ananda, al quale lasciò le sue ultime disposizioni. Prima di spirare, rivolgendosi ai discepoli disse: "Ricordate, o fratelli, queste mie parole: tutte le cose composte sono destinate a disintegrarsi! Attuate con diligenza la vostra propria salvezza!". Asoka Con la morte di Buddha, datata al 486 a.C., inizia il vero cammino del buddhismo come movimento religioso. Tralasciando la storia, peraltro marginale, del primo periodo che vide tra loro alcuni "santi", tanto da far nascere la necessità di indire dei Concili al fine di fissare la dottrina e le regole del maestro, la figura che emerge è quella del re Asoka, della dinastia dei Maurya, che, per l’efficacia della sua azione sul buddhismo, fu chiamato "Colui che, per secondo, mise in moto la Ruota della Legge". Fu Asoka a far diventare il buddhismo, da setta polemica e riformatrice del brahmanesimo, religione universalistica. Il suo insegnamento si basava sulla pratica della pietà verso tutte le creature e sulla tolleranza . Con editti diffuse la Legge e invitò il popolo a praticare le virtù naturali, il rispetto per la vita, la devozione verso i genitori, gli anziani e i maestri, l’amore per la verità, il rifiuto della violenza. Fu egli stesso modello semplice di un’alta religiosità innestata nella sua vita, nel suo agire, nel suo governare. Le sue parole di amore e di fiducia pervennero in tutta l’India grazie a iscrizioni su roccia divenute celebri. Famosi sono i 14 Editti su Roccia e le 7 iscrizioni su pilastri. Ma la diffusione della dottrina fu incrementata anche dall’efficace macchina organizzativa che egli aveva predisposto in tutto l’impero: i funzionari provinciali avevano l’obbligo di istruire la popolazione nella religione, i "Censori della Legge di Pietà" regolavano tutti i casi di manifesta violenza alla libertà delle persone, i "Censori di Donne" difendevano la morale femminile e i missionari portavano la dottrina nello Sri Lanka, in Egitto, a Cirene, nell’Epiro e in Macedonia. Si può dire che Asoka sia stato il primo al mondo a tentare di realizzare una forma di proselitismo universale, spinto dal suo profondo senso religioso della vita e della fratellanza che provava per tutti gli uomini. Kaniska Nei quattro secoli che intercorrono fra la morte di Asoka e il 100 d.C., il buddhismo si estende nel Nord dell’India e successivamente in Cina. Tra il 125 e il 144 d.C., re Kaniska, oltre a sollecitare la composizione dei commentari alle scritture canoniche, curò la costruzione di mirabili edifici culturali, tra i quali la famosa stupa (= tomba cupoliforme dei sovrani e dei santi, reliquiario delle loro ceneri) di Pashawar e indisse il quarto Concilio buddista per discutere i punti dottrinali della corrente Hinayana o "Piccolo Veicolo", che si contrappone al Mahayana o "Grande Veicolo". Il fatto nuovo è il sorgere e lo svilupparsi del Mahayana, dottrina salvifica offerta a tutti gli uomini. Nel sec. IV-V d.C., la scissione tra le due correnti buddhistiche non aveva però raggiunto le forme di intolleranza che nei secoli successivi. Gli insegnamenti del "Grande Veicolo" sono contenuti nella "Scrittura del Loto" che offre la salvezza a tutti coloro che invocano con fede il Buddha, mentre il "Piccolo Veicolo" riservava tale salvezza solo ai monaci. Nel VI sec. d.C., il buddhismo si impose anche nel Tibet, dove in breve tempo divenne la religione ufficiale. I monasteri buddhisti divennero i centri del potere nella vita del paese. I superiori dei monasteri sono i "Lama" (=guru) ed hanno per capi il Dalai-Lama (=oceano) e il Panchen-Lama. Nel corso dei secoli, fino a noi, il buddhismo ha conservato la sua validità dottrinale e conta centinaia di milioni di adepti in molte parti del mondo. In Cina e nel Tibet, nonostante il regime comunista, non si può affermare che non esistono più buddhisti. Buddisti nel mondo: 300 milioni. 3. LA DOTTRINA BUDDISTA Le quattro nobili verità La dottrina buddhista si fonda sulle Quattro Nobili Verità, che Buddha comprese sotto l’albero della Bodhi (= illuminazione), e sugli strumenti pratici attraverso i quali ogni discepolo può realizzare la liberazione dal dolore-esistenza, cioè l’Ottuplice Sentiero che porta alla meta salvifica. Per realizzare le quattro Sante Verità (sul dolore, sull’origine del dolore, sulla soppressione del dolore, sulla via che porta alla soppressione del dolore) il discepolo deve passare dalla sua condizione di ignoranza a quella di conoscenza liberatrice attraverso una via lunga e difficile. La verità sul dolore fa emergere il carattere negativo dell’esistenza nella sua condizione fluttuante dalla nascita alla malattia, alla vecchiaia e alla morte. Distruggere il dolore, l’esistenza, il samsara (che è il circolo della vita: sam-sar = girare intorno; nascita-morte-rinascita) è pervenire alla consapevolezza delle quattro Verità. La prima Verità (durka) fa prendere coscienza che la nascita è dolore, la malattia è dolore, la vecchiaia è dolore, la morte è dolore, la separazione da ciò che si ama è dolore, l’impossibilità di soddisfare i propri desideri è dolore. La seconda Verità (samudaya) insegna che il dolore ha origine nella sete del piacere, nella sete dell’esistenza, nell’attaccamento agli esseri e alle cose. La terza Verità (nirvana) insegna che la sete dell’esistenza può essere soppressa di struggendo totalmente il desiderio, rinunciandovi: si raggiunge così il Nirvana. La quarta Verità (marga) spiega in che modo si può spegnere la sete dell’esistenza. Preferiamo illustrarla attraverso la spiegazione di uno studioso del buddhismo, G. Tucci. "L’individuo muore ed è soggetto a vecchiezza; morte e vecchiezza esistono solo in quanto esiste una vita, e la vita c’è in quanto c’ è una esistenza; l’esistenza c’è in quanto c’è un attaccamento, questo presuppone la sete, e la sete c’è siccome c’è la sensazione. La sensazione a sua volta esiste in quanto esiste il contatto, noi diremmo la percezione, e questa è possibile in quanto ci sono gli organi sensori; ma questi, a loro volta, presuppongono un individuo, e l’individuo presuppone il vijnana (coscienza) che ne costituisce l’individualità vera e propria. Il vijnana, però, è condizionato dalle predisposizioni o forze, le quali, a loro volta, sono in quanto c’è l’ignoranza". Conseguenze Conseguentemente, l’ignoranza, riferita in modo concreto alla non conoscenza della dottrina delle Quattro Verità, è la causa prima del ciclo dell’esistenza e del dolore. Ogni fenomeno sensibile ha una causa, che a sua volta è l’effetto di una causa anteriore: perciò è condizionato e dipendente. Allo stesso modo ogni condizione di vita è assoggettata a tutte le cause che la precedono nella catena e a tutte le cause che la seguono; di essa si può solo affermare l’impermanenza, il carattere di precarietà e di transitorietà. E solo una fase del divenire. La stessa legge di condizionamento si applica ai fenomeni della coscienza e alla personalità: ogni individuo ha delle predisposizioni, cioè è condizionato dalla catena delle cause, dal flusso dell’esistenza (la catena nascita-morte-rinascita = samsara). Egli è formato da anima e coscienza, non sono mai separabili e sono composti da cinque gruppi di aggregati fenomeni: rupa, la parte corporea o sensibile; vedana, la sensazione di piacere e di dolore; samjna, la percezione, la rappresentazione; sankhara, le predisposizioni, le forze attive ed elementari che si originano dal karma (la legge di causa ed effetto) e determinano la vita; vijnana, la coscienza. L'Ottuplice Sentiero Dopo il faticoso cammino della presa di coscienza delle tre Verità, la quarta Verità indica al discepolo la via per raggiungere la salvezza, il nirvana (= estinzione), inteso come totale liberazione dal dolore e dalla catena delle esistenze. Gli strumenti o Ottuplice Sentiero sui quali si fondano l’etica e le tecniche ascetiche buddhiste sono: la Retta Fede, cioè l’incondizionata adesione alle quattro Verità; la Retta Risoluzione, cioè l’impegno a tenere lontano da sé ogni desiderio, odio o malizia; la Retta Parola, cioè l’astensione dalle parole false; la Retta Azione, cioè l’astensione dall’uccidere esseri viventi, dal furto dall’adulterio; il Retto Comportamento di vita, cioè la pratica di tutte le norme del parlare e dell’agire ; il Retto Sforzo, cioè la volontà di incrementare le qualità buone; il Retto Ricordo, cioè la condizione della mente priva di confusione che aiuta a perseverare nella via di salvezza e a non cedere ai desideri; la Retta Concentrazione, cioè il raccoglimento della mente che disperde la falsa concentrazione e porta allo stato di abolizione della coscienza e alla noncoscienza. La liberazione quindi non dipende soltanto dalla conoscenza dell’ignoranza, ma anche dall’osservanza delle norme (sîla) di comportamento. 4.1 BUDDISMO THERAVADA O HINAYANA Si tratta del buddismo delle origini, che sussiste ancora allo stato puro in alcuni paesi come la Birmania, lo Sri Lanka (Ceylon), il Laos, la Cambogia (almeno prima degli ultimi avvenimenti) e la Tailandia. Questo buddismo primitivo viene chiamato talvolta "piccolo veicolo" o hinayana, riprendendo l’espressione peggiorativa con cui lo ha designato un’altra corrente, di cui parleremo più avanti, che si differenziava da esso, attribuendo a se stessa il nome di "grande veicolo". Ma è meglio conservare l’espressione usata all’interno di questo buddismo fedele alle origini per designare se stesso, e dire: theravada (letteralmente: "scuola degli antichi"). Come si presenta oggi il buddismo theravada? Precisiamo subito che l’ideale che abbiamo descritto non è vissuto, nella realtà, che da un piccolissimo numero di persone. I l buddismo concreto accetta, con una tolleranza favorita dalla mentalità orientale, delle incredibili osmosi con l’animismo diffuso un po’ dovunque. Nel recinto stesso delle pagode si vedono dei piccoli monumenti che sono collegati a delle forme di culto del tutto superstiziose e totalmente in contraddizione con l’essenza del buddismo, che vengono tollerate senza problemi. Questo fatto trae facilmente in inganno l’osservatore superficiale. Ma se si definisce il buddismo in base a queste degenerazioni popolari si commetterebbe lo stesso errore di chi volesse definire il cristianesimo a partire da certe manifestazioni superstiziose che ancora si possono osservare anche in certi ambienti cristiani. Entriamo dunque nel buddismo vissuto dai grandi paesi che hanno conservato la linea theravada. La prima cosa che colpisce è una straordinaria semplicità: non c’è nessun sistema di "dogmi", nessun "sacramento" di iniziazione. Chi ha compreso l’insegnamento fondamentale delle quattro nobili verità è buddista. L’unico "male" è l’ignoranza della via. Senza fare proselitismo, il buddismo insegna la via e invita a venire a vedere. Non bisogna concepire le verità fondamentali del buddismo come un insieme di dogmi di cui si vive, così come un cristiano vive del suo credo. I buddisti hanno un’immagine suggestiva: il buddismo è come una zattera con cui si attraversa un fiume: quando si è arrivati all’altra sponda, la si abbandona, non si prosegue il cammino con la zattera sulle spalle! Nel cuore del buddismo, c’è soltanto una "triplice gemma", un "triplice rifugio", che si ha l’abitudine di celebrare ritualmente con tre prostrazioni: il Budda, la sua dottrina, e l’ordine dei monaci che spesso noi chiamiamo bonzi, con una parola che viene dal Giappone. Ed è tutto. Abbiamo già parlato delle prime due gemme; ci rimane da dire che cosa rappresenta l’ordine dei monaci in seno alla comunità. Ciò che permette al buddismo di sussistere con una struttura così ridotta e con tanta elasticità, è l’esistenza di un solido ordine monastico che riunisce, in monasteri che gli europei hanno chiamato impropriamente pagode—dalla parola portoghese pagoda, che viene dalla lingua persiana e significa: casa di un idolo!—persone che consacrano una parte della loro vita, o tutta la loro vita, a vivere l’ideale buddista nella sua pienezza. L’elemento essenziale di una pagoda è una granda sala di riunione, al centro della quale si trova una statua del Budda. Non è propriamente un luogo di preghiera, perché il buddismo primitivo non rivolge nessuna preghiera a nessun Dio. E’ soltanto un luogo di riunione in cui ci si ritrova, in particolare al mattino e alla sera, per recitare i precetti dell’ideale buddista. Se si paragona una pagoda a un monastero, questa sala corrisponde più alla sala del capitolo che alla chiesa. gli stupa in un monastero buddista La pagoda comprende anche uno stupa, cioè un’edicola a cupola che contiene una reliquia del Budda o di uno dei "santi" del buddismo. Queste edicole variano da paese a paese, e possono essere più o meno importanti a seconda della ricchezza della pagoda, da un semplice tumulo di terra a un magnifico monumento dorato. Si racconta che il Budda stesso ne abbia fornito il modello, mettendo uno sull’altro i tre oggetti familiari della sua vita di viandante e di penitente: la coperta piegata, la ciotola per raccogliere le elemosine capovolta e, come copertura, l’ombrello. Nel recinto della pagoda si trova infine, normalmente, un albero o un boschetto, che ricorda l’albero sacro ai piedi del quale il Budda ha ricevuto l’illuminazione. In aggiunta a questi tre elementi si possono trovare, secondo i casi, molte altre costruzioni: una specie di chiostro interno che corre lungo il muro di cinta, dove sono allineati dei busti di Budda (che conterranno le ceneri dei donatori, dopo la loro morte), delle sale di riunione, a volte un forno crematorio per i funerali, e così via. A fianco del complesso che abbiamo descritto, un’altra cinta racchiude la casa dei monaci o bonzi, che vivono molto austeramente, dormendo per terra e mangiando il cibo che vanno ad elemosinare ogni mattina presso i vicini. Niente è più caratteristico del buddismo di questi bonzi che si riversano per le strade fin dalle cinque del mattino, per fermarsi ai crocicchi a tendere ai passanti la ciotola delle elemosine... La gente vi depone un pugno di riso, un frutto o altri cibi, una parte dei quali può essere riposta in una piccola sacca che il bonzo porta appesa al braccio. E il galateo vuole che non sia il bonzo a ringraziare il donatore, ma il fedele che ha deposto l’elemosina: con un inchino, lo ringrazia di averla accettata, perché è il bonzo, con la sua vita, che permette al buddismo di continuare ad esistere lungo i secoli. Verso le sette, con la ciotola piena, i bonzi tornano alla pagoda per il primo pasto della giornata. Ne faranno un altro prima di mezzogiorno, e poi non toccheranno più cibo fino alla mattina dopo. Alcuni rimangono bonzi per tutta la vita, altri vengono alla pagoda soltanto per un periodo, che può durare pochi giorni, ma anche parecchi mesi o anni. Il principio è che ogni buddista, fosse anche il re, deve vivere per un certo tempo in una pagoda, almeno una volta nella vita. In un’edizione tailandese recente dei 227 precetti che i monaci devono osservare, in prima pagina c’è una fotografia scattata il 3 novembre 2499 dell’era buddista (1956) durante una riunione di bonzi in una pagoda di Bangkok. Si segnala in mezzo agli altri, con la testa rasata e le mani giunte come tutti, il re Bhumibol, "ordinato temporaneamente monaco".... Oltre ai soggiorni nelle pagode, i semplici buddisti sono invitati unicamente a vivere l’ideale buddista e ad osservare cinque comanda menti: non uccidere, non rubare, non avere rapporti sessuali illegittimi, non mentire e non mancare di parola, non bere bevande alcooliche. Nei giorni di festa, e in particolare per il plenilunio e il novilunio, sono invitati ad astenersi dai rapporti sessuali e ad osservare altri tre precetti particolari: non mangiare dopo mezzogiorno, non servirsi di abiti belli, di sedili e di letti lussuosi, e infine rinunciare al ballo e non fare uso di profumi e di fiori... Abolendo le classi e le caste, con una morale di amore universale che include il principio della non-violenza, il buddismo ha prodotto nel corso dei secoli alcune figure molto belle: l’esempio più illustre è quello dell’imperatore Asoka, che è vissuto nel III secolo avanti Cristo, ai tempi in cui il buddismo era diffuso in tutta l’India. La storia riferisce che governò in maniera esemplare, praticando la clemenza e la non violenza, pentito delle conquiste fatte all’inizio del suo regno e convinto che bisognerebbe onorare tutte le altre religioni. In Tailandia, dove il buddismo è la religione di quasi tutto il popolo, ancora ai nostri giorni il re fa ogni anno un’offerta simbolica a tutte le religioni presenti nel paese. insintesi La dottrina del buddismo primitivo è estremamente semplice, fondata sulla triplice gemma: il Budda, il suo insegnamento, l ‘ ordine dei monaci e le Pagode in cui essi vivono. Al centro della pagoda, una sala di riunione, uno stupa e un albero. I bonzi vivono in modo austero, mendicando al mattino il loro cibo e osservando i 227 precetti. Ogni buddista, almeno una volta nella vita, deve dimorare in una pagoda e ispirarsi sempre all’ideale buddista. L’imperatore Asoka governò secondo questo ideale. 4.2 BUDDISMO MAHAYANA O GRANDE VEICOLO Accanto ai buddisti theravada, rimasti fedeli alle origini, correnti diverse conducono altri gruppi ad una evoluzione che determina la nascita di altri rami. La prima di queste correnti è il mahayana, il cui sviluppo ci offre l’occasione di verificare due fenomeni di cui si potrebbero trovare altri esempi: l’allargamento delle prospettive e la divinizzazione del fondatore, accompagnata da tutta una fioritura di leggende intorno alla sua vita. Il primo passo è costituito da una certa attenuazione del rigore della vita monastica, e da una protesta nei confronti della stretta separazione esistente tra l’ordine dei monaci e il resto della comunità. Facendo riferimento a rivelazioni particolari, ricevute da un certo numero di iniziati, in aggiunta alla rivelazione originaria, ci si sforza di rendere meno netti i confini tra i monaci e il resto della comunità. Nello stesso tempo, queste comunità trasformano a poco a poco il buddismo in una religione vera e propria, con delle preghiere e un culto rivolto al Budda stesso, considerato come un dio, e anche a tutta una proliferazione di Budda considerati come altrettante divinità. Questo cambiamento di prospettive si verifica nel corso degli ultimi due secoli prima di Cristo, e le nuove correnti religiose prendono il nome di mahayana (che di solito viene tradotto con l’espressione approssimativa di "grande veicolo"). Questo permette ai seguaci del mahayana di qualificare il buddismo primitivo con l’espressione peggiorativa di "piccolo veicolo", insinuando che, all’interno di questa corrente, soltanto i monaci si trovano davvero sulla via della salvezza, mentre il "grande veicolo" propone la salvezza a tutti. La collina dei mille Budda in Cina. Per il resto, come dicevamo prima, accanto al Budda considerato come un essere divino, il mondo spirituale si popola di molti altri intermediari di natura divina che diventano oggetto di devozione: i boddhisattva. La bontà di questi boddhisattva è meravigliosa. Sono già arrivati all’illuminazione del nirvana, ma il loro amore è così grande che hanno chiesto di non uscire dal ciclo delle trasmigrazioni per rimanere sulla terra finché ci sarà al mondo anche una sola creatura da amare e da salvare. Siamo davvero ad una vetta spirituale dell’umanità religiosa. E’ nel buddismo mahayana che si sviluppa la teoria dei tre corpi del Budda: —il "corpo di trasformazione" (nirmanakaya): corpo storico e visibile del Budda Sakyamuni. E l’ultimo comparso sulla terra durante il "ciclo" che stiamo vivendo- un ultimissimo verrà alla fine di questo ciclo —il "corpo di gioia" (sambhogakaya), una specie di "corpo glorioso" che soltanto i boddhisattva arrivati alle soglie del nirvana possono vedere, ma che le statue rappresentano, con i trentadue segni caratteristici: ruote sotto i piedi, carnagione color oro, protuberanza alla sommità del capo... —il "corpo di dharma" (dharmakaya), una specie di corpo cosmico, identico all’essenza delle cose e alla realtà assoluta, natura ultima di tutti gli esseri. Il buddismo mahayana si è diffuso rapidamente in tutto il continente asiatico, conquistando la Cina, la Corea, il Giappone, il Vietnam, ecc. Il buddismo, sebbene sia nato in India e sia stato diffuso per un certo periodo in tutto il paese, intorno all’anno mille scompare quasi completamente dal territorio indiano, al punto che oggi il buddismo propriamente detto è rappresentato soltanto da qualche milione di seguaci, la maggior parte dei quali sono dei rifugiati della Cina o del Tibet. Un’espressione particolare del mahayana è l’amidismo, nato in Giappone nel V secolo, ma diffuso anche in Cina. Esso fa riferimento a un Budda leggendario, Amida, che avrebbe fatto un voto in quarantotto punti, il diciottesimo dei quali sarebbe costituito da questa complessa formula: "se ottengo di diventare Budda, vi rinuncerò se coloro che credono in me e chiedono di entrare nel paese puro (cioè nel luogo dove si è usciti per sempre dalle trasmigrazioni) non saranno esauditi". Amida dunque si fa garante—sotto pena di perdere i propri privilegi di Budda — della certezza che coloro che chiederanno con ardente preghiera di sfuggire al ciclo delle nascite, verranno esauditi. E facile indovinare il successo di questa nuova prospettiva fondata sulla preghiera e sulla grazia. E nato di qui un culto straordinario, ricco di preghiere di adorazione al Budda Amida. Con un linguaggio cristiano, potremmo dire che si passa dalla concezione di una salvezza che si ottiene con le opere a quella di una salvezza attraverso la grazia, e il cristiano è spontaneamente portato a vedere in questo un simpatico fattore di avvicinamento. Una nuova frontiera più severa ci separa però nello stesso tempo da questo buddismo che cessa di essere semplicemente una dottrina per trasformarsi in una religione, una religione che diventerà anche abbastanza settaria, proibendo qualsiasi culto all’infuori di quello di Amida, in particolare con Shinran, appassionato predicatore dell’amidismo in Giappone, dove la sua comunità, la "vera setta del paese puro", è oggi la più numerosa tra le sette buddiste del paese. Di fronte al "buddismo della sapienza", che tende all’interiorizzazione totale (sia attraverso la via del vuoto, sia attraverso la via della coscienza considerata come unica realtà), l’amidismo si presenta come un "buddismo della fede", che si discosta totalmente dal primo per il suo cammino verso la trascendenza e non più verso l’interiorità. Queste due tendenze fondamentali della spiritualità, osserva Cuttat, si ritrovano in forma analoga e con nomi diversi in tutte le religioni dell’estremo oriente, senza incontrarsi mai. Notiamo di passaggio che, per il cristiano, il loro incontro è l’essenza stessa della spiritualità biblica. 4.3 BUDDISMO TANTRICO O VAJARAYANA Meno diffuso degli altri rami del buddismo — 4 milioni di seguaci — e vagamente caratterizzato, nei libri e nelle enciclopedie, da pratiche che mescolano erotismo, magia e stregoneria, questa forma di buddismo ci sembra la più lontana da noi. Eppure si è fatta molto vicina da quando i tibetani, a causa dei problemi determinati dal nuovo regime cinese, si sono disseminati non soltanto nel nord dell’India, ma un po’ in tutto il mondo. Alcuni sono arrivati anche in Europa, ed hanno fondato diversi monasteri, dove qualche lama tibetano propone agli occidentali e vie del buddismo tantrico. In uno dei monasteri che sono stati fondati in Francia mi hanno spiegato che si preparano a ricevere la visita di sua santità Karmapa (il responsabile dei bKa’rGiud-pa, una delle quattro scuole tibetane), sedicesima incarnazione del Budda della compassione, che è aperto all’ecumenismo delle religioni ed ha incontrato a Roma papa Paolo VI. In un altro monastero mi hanno fatto vedere, ai due lati della proprietà, il muro delle due zone chiuse, una per gli uomini e l’altra per le donne, dove alcuni occidentali sono stati ammessi, dopo un lungo periodo di prova, a compiere il grande ritiro di "tre anni, tre mesi e tre giorni" nella meditazione silenziosa, senza nessun contatto col mondo esterno. Il mio interlocutore cerca di inquadrare il tantrismo: non è una via tra le altre, ma al di là delle altre, che le comprende e le prolunga tutte. Secondo il suo schema, agli inizi del buddismo c’è stato il theravada, che cerca la realizzazione personale; poi è venuto il mahayana, che si occupa dei rapporti con gli altri e conduce all’amore universale; infine, con il tantrismo, si è arrivati all’essenza stessa del buddismo: il vuoto totale. Che cos’è questo vuoto? E’ una cosa che i cristiani fanno fatica a capire, mi dice, perché per loro, concretamente, c’è sempre l’uomo e Dio, e non Dio solo! Io vorrei aggiungere soltanto che i buddisti theravada capovolgerebbero l’analisi e presenterebbero le altre forme del buddismo come alterazioni dell’autentica fondazione primitiva, a cui essi sono rimasti integralmente fedeli. Il tantrismo (dalla parola sanscrita tantra, che indica la trama di un tessuto e, in senso lato, una dottrina, una regola) è chiamato anche la via del vajrayana o il "veicolo di diamante". E il punto di arrivo di una corrente filosofica e religiosa che sorge all’interno dell’induismo del nord dell’India verso il VI secolo, e si sviluppa nel buddismo mahayana per fiorire poi in Tibet a partire dall’VIII secolo. Si presenta come "la via della forza che conduce al dominio del bene e del male", come "la via della trasformazione in cui il potere dello spirito tramuta in armi le circostanze interiori ed esteriori". Il suo scopo, come quello di tutti i rami del buddismo, è l’illuminazione; la sua originalità sta nei mezzi. In confronto allo zen, di cui parleremo più avanti, che invita a un cammino austero, quasi verticale, il vajrayana proponi un’abbondanza di mezzi, di riti e di simboli: mantra (sillabe magiche) e mandala (diagrammi mistici), esercizi di hatha-yoga, o addirittura esercizi "allucinatori" o pratiche diverse, dirette a trasformare le energie del corpo e dello spirito. Il principio è che tutto può essere un mezzo, purché si sappia servirsene nel modo giusto. Abitualmente però queste pratiche sono tenute segrete nei confronti dei non iniziati, per timore che ne facciano cattivo uso. Questa regola è ora meno rigida in occidente, come osserva un lama. Si presenta allora la tradizione del tantrismo innanzitutto come propria di un periodo— che è quello che stiamo vivendo—in cui un ciclo sta per finire, "un’età oscura" in cui i Veda e il brahmanesimo non bastano più. Il tantrismo è una nuova rivelazione che permette di risalire alle sorgenti stesse della vita. Da questa visione dell’"età oscura" derivano alcune caratteristiche. L’uomo di questa età è strettamente legato al suo corpo: bisogna dunque rompere con la tradizione del distacco ed esercitarsi nella conoscenza e nel dominio delle energie segrete del corpo. In questa età ultima, le forze elementari vengono liberate e gli insegnamenti che le riguardano possono essere rivelati, di qui gli insegnamenti iniziatici del tantrismo "di sinistra", in particolare sull’uso delle energie sessuali. A questa era corrisponde il superamento delle antitesi e delle opposizioni, in particolare tra l’ascesi e il godimento dei beni terreni. Nello stesso tempo, in contrasto con la tradizione, il mondo non è più considerato come maya, ma come potenza. Infine il principio supremo dell’universo si presenta sotto le spoglie di una dea, Sakti, o piuttosto di diverse dee, come le forme femminili "oscure" di Siva per il tantrismo di sinistra, o come le forme femminili "luminose" di Visnù per il tantrismo di destra. Questo simbolismo della destra e della sinistra è significativo; nel tantrismo di sinistra si trovano in effetti le pratiche più sconcertanti. L’idea di base è questa: chi si identifica completamente con la sakti è al di là del bene e del male e non è soggetto a nessuna proibizione. Se qualcuno si sforza di tendere a questa identificazione, i libri segreti e i rituali iniziatici lo sciolgono dai divieti riguardanti l’alcool, il sesso, I ecc..., affermando che, quando le passioni diventano assolute, perdono I il loro carattere abituale di impurità, "purificano bruciando". Di qui le descrizioni di riti orgiastici a cui possono partecipare coloro che hanno il cuore puro. I tibetani tantrici di oggi, quando vengono interrogati su questo argomento, danno la seguente risposta: tutto ciò riguarda soltanto quelli che sono progrediti nella via, non certo i principianti, e se qualcuno venisse da noi in cerca di erotismo rimarrebbe molto deluso! Ma, concludono, bisogna che comprendiate che per coloro che hanno raggiunto l’illuminazione non ci sono più prescrizioni etiche! Anche qui dobbiamo comunque guardarci da un giudizio troppo affrettato. Il teologo cattolico che abbiamo citato all’inizio di questo capitolo, adotta un atteggiamento di estrema apertura, non approvando, certo, ma cercando di capire qualche cosa anche del cammino che gli sembra il più aberrante. "La verità che salva la "gnosi" del buddismo tibetano, scrive, non è una rivelazione che viene "dal di fuori"; è la verità stessa delle cose di questo mondo. Le stesse realtà terrene che caricano di catene quelli che non sanno, sono sacramenti di liberazione per coloro che sanno. Non ci si servirà, ad esempio, dei piaceri della carne, se non per neutralizzare l’azione della fantasia che conferisce loro tanto fascino". E osserva anche che c’è un punto comune tra il buddismo e il cristianesimo: l’intuizione che la liberazione deve scaturire dal cuore stesso della situazione "inferma" dell’uomo incatenato. Naturalmente, aggiunge, non si consiglierà mai al cristiano il peccato come propedeutica della salvezza, ma, come è dimostrato dall’esperienza di quei santi che hanno alle spalle una vita burrascosa, il senso di vuoto che lascia l’abuso delle cose di questo mondo, quando si combina con la fede, può avere un buon posto nella farmacopea della salvezza! Forse si insiste in maniera troppo esclusiva sui lati inaccettabili per un cristiano, presenti nella ricerca tantrica "di sinistra". Si può essere buddisti tantrici e fare a meno di tutto ciò. C’è un libro scritto da uno dei "maestri" del tantrismo che non dice nemmeno una parola su questi aspetti, presentando il buddismo tantrico come una ricerca spirituale fondata sui maestri della tradizione, che per lui sono Marpa e il suo famoso discepolo Milarepa, considerato uno dei santi del buddismo. Leggendo le avventure della vita ascetica e mistica di quest’ultimo, e le terribili prove che gli sono state imposte dal maestro nel periodo della sua formazione, sembra di leggere la vita degli asceti cristiani del deserto. E tutto questo è presentato come riparazione del materialismo spirituale di tanti occidentali che si creano numerose illusioni, servendo si in maniera inadeguata delle tecniche del buddismo per rinforzare il proprio io. insintesi Il buddismo vajrayana (=veicolo del diamante) o tantrismo è indubbiamente il ramo più strano. Si presenta come l’essenza perfetta del buddismo, propone un’abbondanza di mezzi. Si distingue un tantrismo di destra da uno di sinistra che toglie tutte le proibizioni per chi è progredito nella via. Le forme estreme trovano una spiegazione psicologica nell ‘intuizione che la liberazione può scaturire dal cuore stesso di una situazione di male. 5. CULTO e MORALE buddista Il culto buddhista Il culto buddhista non è organizzato da una struttura gerarchica. I buddhisti venerano alcune divinità, ma le ritengono inferiori al Buddha che ogni mattina invocano così: - mi rifugio nel Buddha - mi rifugio nella Dottrina (= Dharma) - mi rifugio nella Comunità (= Sangha) che sono i tre gioielli per raggiungere la liberazione e la beatitudine celeste. Di fronte alle statue di Buddha, che sono numerosissime sia all’aperto che nelle pagode, il fedele si inchina, si inginocchia e si prostra. Prega, ma, accoccolato e a gambe incrociate, preferisce meditare. Riflette sulla propria vita, confessa il male che può aver fatto e promette di evitare la menzogna, l’uccisione di esseri viventi, di non prendere ciò che non è stato donato, di non commettere azioni impure, di non bere bevande inebrianti. Sono questi i cinque precetti fondamentali di ogni buon buddhista. Standosene del tutto immobile, ripetendo brani di testi sacri, cerca di allontanare dalla mente ogni pensiero, trascendendo il mondo, fino a raggiungere uno stato perfetto di pace e di serenità. Non esistono cerimonie o rituali fissi, non c è nessuno che possa costituir si intermediario tra Dio e gli uomini, offrire sacrifici o assolvere dai peccati. Nessuna delle 227 regole del Patimokka, prezioso documento della disciplina monastica, impone una fede, un dogma. Esistono delle feste stagionali, come quelle del novilunio e del plenilunio, durante le quali si radunano folle enormi per commemorare gli avvenimenti della vita di Buddha e celebrare l inizio o la fine della stagione delle piogge. In Cina e in Giappone il buddhismo ha assimilato rituali e feste legate alle tradizioni storiche locali, ma la connotazione più importante rimane la meditazione. Legata ad essa si sviluppa quella corrente Zen che anche noi occidentali conosciamo e che dà grandissima importanza alla meditazione e all’ intuizione. Per questo l’arte diviene la via maestra dell’illuminazione (culto della poesia, della pittura, del tè, dei giardini, dei fiori). Buddha è venerato come Amida (luce infinita), ma non meno celebre è Kuanyn, la ("dea della misericordia", emanazione spirituale di Amida, "Colei che guarda con compassione". Sul loro esempio il fedele è invitato a mostrare la stessa compassione e a servire il prossimo e chi soffre, fino a ritardare la propria salvezza per permettere anche agli altri di salvarsi. Il monachesimo buddhista, che molti hanno tentato di accostare a quello occidentale, non risponde ad alcuna tipologia classica. I monaci buddhisti non hanno monasteri, ossia costruzioni accessibili al pubblico, non hanno un capo gerarchico che possa chiedere obbedienza agli inferiori; la guida delle assemblee è affidata, di volta in volta, al monaco più anziano nell’ammissione all’ordine e nella consacrazione. La salvezza cui uomini e donne, laici o monaci e monache, possono pervenire è riposta nell’adesione ai Tre Gioielli: Buddha, la Dottrina, la Comunità. La morale buddhista Le norme morali prescritte riguardano la Retta Parola, la Retta Azione e il Retto Comportamento. Sono rivolte principalmente ai monaci che intendono praticare l’ascesi per raggiungere la salvezza. Sono però estensibili ai laici che intendono porre a motivi fondamentali della loro vita la tolleranza e l’amore. La sostanza del sistema di norme morali destinate ai laici è contenuta in 10 precetti: 1. Eliminare i quattro cattivi elementi (la distruzione della vita, il prendere il non dato, il non retto comportamento per brama, il dire menzogna). 2. Non compiere le quattro operazioni dannose (il vivere nella passione, il vivere nell’ira, il vivere nel torpore, il vivere nella paura). 3. Eliminare le sei fonti del piacere (uso di bevande alcoliche, frequentare le strade in tempo inopportuno, partecipare a feste, dedicarsi supinamente e abitualmente ai giochi, coltivare cattive compagnie, vivere pigramente). 4. Eliminare, con le sei fonti del piacere, di cui sopra, i sei danni che ne derivano. 5. Onorare le regioni spaziali, delle quali la prima è il levante. Si onora il levante rispettando il padre e la madre, sostituendoli nelle loro incombenze, conservando le tradizioni di famiglia, accudendo all’eredità, offrendo espiazioni ai defunti. 6. Si onora il ponente rispettando la propria moglie, non sospettandola, non tradendola, non concedendole autorità, provvedendola di ornamenti. 7. Si onora il settentrione onorando gli amici con doni, con cortesi parole, con l’agire a loro vantaggio, con imparzialità e onestà. 8. Si onora il mezzogiorno mantenendosi devoto al proprio maestro (bonzo), il quale si mostrerà grato comunicando la propria dottrina. 9. Si onora il nadir (il punto della sfera celeste opposto allo zenit) onorando i servi e gli operai col distribuire loro il lavoro secondo le loro forze, col dare loro cibo e stipendio, col curarli se ammalati, col concedere loro, a tempo debito, la libertà. 10. Si onora lo zenit onorando asceti e bramani, con amichevole comportamento nelle opere, nelle parole, nei pensieri, nel tener loro aperta la porta e provvedere alla loro vita. I precetti morali riguardanti i monaci sono molto più complessi e rigidi. lncludono, tra l’altro, l’assoluto rispetto dell’astinenza sessuale e l’evitare ogni rapporto sentimentale-affettivo per realizzare la condizione di purezza e solitudine, nella libertà da ogni legame. Il discepolo è al centro di un regime di vita che deve essere tollerante verso le creature e irradiare simpatia e amore. Il flusso di carità che ne di scende è il segno che in lui è maturata la chiara visione della verità, che è pace interiore. L’essenziale per il monaco è la salvazione predicata e raggiunta attraverso gli impegni interiori delle Quattro Verità, dell’Ottuplice Sentiero, delle tecniche di meditazione. Tutto il resto non deve essere preso in considerazione. 6.1 LETTERATURA BUDDISTA: storia L’insegnamento di Buddha all’inizio fu tramandato oralmente I frammenti scritti più antichi si trovano in monumenti di pietra innalzati dal pio e grande re Asoka verso il 250 a.C. In seguito, per le molte controversie ed eresie dottrinali sorte nel movimento, furono indetti vari Concili per fissare per iscritto la dottrina dell’Illuminato. Il Canone (cioè l’elenco ufficiale dei testi sacri) fu redatto in lingua pali (dialetto del sanscrito) nel I sec. a.C., sotto il re di Ceylon, Vattagamani. Il Tripitaka (letteralmente: i tre canestri, perché gli scritti di pergamena erano raccolti entro canestri) o triplice Canone delle Scritture buddhiste si compone di tre raccolte: (1) Vinaya-Pitaka o canestro della Disciplina della comunità che contiene le 227 regole o sutta/sutra riguardanti i rapporti economici e le modalità di vita dei monaci ‘vestiti, cibi, abitazione, ecc.). (2) Sutta-Pitaka comprende le regole e la dottrina esposta da Buddha. È il canestro più importante, redatto in forma di discorsi, dialoghi, poesie. È diviso, a sua volta, in cinque nikaya (= raccolte). (3) Abidhamma-Pitaka e il Paritta (che è il canestro meno antico): è una esposizione della dottrina metafisica secondo il metodo scolastico-mnemonico. E redatto in forma di catechismo, con domande e risposte, ordinate secondo classificazioni logico-numeriche. La raccolta è divisa in 7 trattati. Il Paritta, cioè la raccolta di 28 regole, tratta di poteri magici, divinatori e astrologici. E molto diffuso a livello popolare. 6.2 LETTERATURA BUDDISTA: passi letterari Guarda il cielo Guarda il cielo lasciati invadere fino all’espressione pura fino allo spirito simile allo spazio infinito. Contempla il cielo lasciati invadere fino alla calma immensa fino al silenzio profumato. Alla brezza del respiro all’ascolto del corpo lo sguardo d’amore si congiunge al presente ed ogni istante scorre adesso semplicemente. Illuminato profondo insondabile e vivo il grande Oceano. Nac Ong Xuyen 6.3 LETTERATURA BUDDISTA: passi letterari L’origine del dolore secondo Buddha e le vie per sopprimerlo "Da due estremi, o monaci, deve tenersi lontano un asceta. Quali sono questi due estremi? L’uno è una vita di piacere dedita alle passioni e alla lussuria: bassa, ignobile, volgare, indecorosa e inutile: l’altro è una vita di mortificazione: penosa, indecorosa e inutile. Evitando questi due estremi, o monaci, il Tathagata (il Perfetto) ha scoperto la conoscenza della via di mezzo che apre gli occhi e la mente, e conduce al sapere, alla illuminazione, al nirvana. E qual è mai, o monaci, questa via di mezzo, trovata dal Tathagata, che apre gli occhi e la mente, che conduce alla quiete, al sapere, alla illuminazione, al nirvana? E l’augusto ottuplice sentiero, e cioè: retta fede, retta decisione, retta parola, retta azione, retta vita, retto sforzo, retto ricordo, retta concentrazione. Questa, o monaci, è la via di mezzo scoperta dal Tathagata, che apre gli occhi e la mente, che conduce alla quiete, al sapere, all’illuminazione, al nirvana. E questa, o monaci, è la santa verità circa il dolore: la nascita è dolore, la vecchiaia è dolore, la malattia è dolore, la morte è dolore, l’unione con quel che dispiace è dolore, la separazione da ciò che piace è dolore, il non ottenere ciò che si desidera è dolore, dolore in una parola sono i cinque elementi dell’attaccamento all’esistenza. Questa, o monaci, è la santa verità circa l’origine del dolore: essa è quella sete che è causa di rinascita, che è congiunta con la gioia e col desiderio, che trova godimento or qua or là; sete di piacere, sete di esistenza, sete di prosperità. Questa, o monaci, è la santa verità circa la soppressione del dolore: [il dolore cessa con] la soppressione di questa sete, con il bandirla, il reprimerla, il liberarsi da essa annientando completamente il desiderio. I Questa, o monaci, è la santa verità circa il sentiero [che conduce] alla soppressione del dolore: è l’augusto ottuplice sentiero, e cioè: retta fede, retta decisione, retta parola, retta azione, retta vita, retto sforzo, retto ricordo, retta concentrazione". "Tutte le cose, o monaci, sono in fiamme. E come, o monaci, tutte le cose sono in fiamme? L’occhio, o monaci, è in fiamme; le cose visibili sono in fiamme; le impressioni derivate dall’occhio sono in fiamme; il contatto dell’occhio [con le cose visibili] è in fiamme; la sensazione prodotta dal contatto dell’occhio [con le cose visibili] piacevole o spiacevole o indifferente, pure questo è in fiamme. E con che fuoco sono questi in fiamme? Io vi dico che essi sono in fiamme col fuoco della passione, col fuoco dell’odio, col fuoco dell’infatuazione; essi sono in fiamme [con le ansie della] nascita, [della] vecchiaia, [della] morte, [del] dolore, [del] lamento, [della] sofferenza, [dell’] avvilimento e [della] disperazione. L’orecchio è in fiamme: i suoni sono in fiamme-... il naso è in fiamme; gli odori sono in fiamme;... la lingua è in fiamme; i gusti sono in fiamme;... il corpo è in fiamme; le cose tangibili sono in fiamme,... la mente e in fiamme, le idee sono in fiamme... Considerando ciò, o monaci, il discepolo colto che segue la nobile via concepisce avversione per l’occhio, concepisce un’avversione per le cose visibili, concepisce un’avversione per le impressioni derivate dall’occhio, concepisce un’avversione per il contatto dell’occhio [con le cose visibili] sia esso piacevole o spiacevole o indifferente. Concepisce un’avversione per l’orecchio, concepisce un’avversione per i suoni, ... concepisce un’avversione per il naso, ... concepisce un’avversione per gli odori, ... concepisce un’avversione per la lingua, ... concepisce un’avversione per i gusti, ... concepisce un’avversione per il corpo, ... concepisce un’avversione per le cose tangibili, ... concepisce un’avversione per la mente, ... concepisce un’avversione per le idee... E nel concepire avversione per tutto ciò, egli si spoglia di ogni passione, e con l’assenza di passione diventa libero e, quando è libero, diventa consapevole di essere libero; ed egli è cosciente che le sue rinascite sono esaurite e che la [sua] santità è completa, che il suo dovere è compiuto e che non tornerà più su questo mondo". 6.4 LETTERATURA BUDDISTA: passi letterari Consigli morali buddhisti ‹‹Chi reca offesa a un uomo innocente, puro e senza peccato, il male di ciò ricade su di lui stolto, come sottile polvere gettata contro vento. "Dal proprio sè è compiuto il male, ... esso sbriciola lo stolto, come un diamante stritola anche una pietra preziosa. ... Quello sciocco che deride i precetti degli Arhat [Santi], degli Eletti, dei Virtuosi seguendo false dottrine, porta frutti per la propria distruzione. "Facile è scorgere l’errore altrui, difficile è, invece, il proprio. Gli errori altrui si vagliano come [si avventano] le spighe di grano: il proprio errore lo si nasconde come il baro nasconde il cattivo punto ai dadi all’altro giocatore. Chi scorge le mancanze altrui ed è sempre pronto ad irritarsi, di costui crescono le passioni ed è ben lungi dalla loro distruzione". "Viviamo, dunque, felici, senza inimicizia fra coloro che sono malevoli: fra gli uomini ostili, stiamocene senza inimicizia! ... Viviamo, dunque, ben felici, liberi da brama fra i bramosi: fra gli uomini cupidi stiamocene senza cupidigia! Viviamo, dunque, ben felici noi, che non possediamo nulla: nutrendoci della gioia come gli dei risplendenti!". "Tutti tremano al castigo, tutti temono la morte: mettendoti al posto degli altri non uccidere, né fai uccidere. ... Chi, volendo la propria felicità colpisce (col castigo) esseri che bramano la felicità, una volta morto non consegue la felicità.... Non parlare aspramente ad alcuno: coloro ai quali tu parli potrebbero risponde re: le contumelie sono sgradevoli: potrebbero coglierti, in cambio, bastonate su bastonate! Se rendi te stesso silenzioso come un gong spezzato, allora hai raggiunto l’Estinzione, in te non si trova violenza". Nessuno voglia ingannare qualcun altro, nessuno voglia qualcun altro in alcun luogo disprezzare, nessuno, per collera o risentimento, desideri il male a qualcun altro. Come una madre [guarda] il proprio figlio, e a rischio della vita l’unico figlio sorveglia, egualmente così, verso tutte le creature, coltivi una mente di sconfinata [amorevolezza], amorevolezza verso tutti [gli esseri] del mondo, pensiero di sconfinata [amorevolezza] si coltivi, in alto e in basso e per traverso, senza ostacolo, privo di odio e di inimicizia››. 6.5 LETTERATURA BUDDISTA: passi letterari L’approdo nel nirvana NB. Il termine nibbana è la scrittura pali di nirvana. Quando nel testo si parla di "base" si indica l’individuo concreto, per cui: "provvisto di base" vuol dire "la persona vivente ancora nel mondo materiale". "Coloro che, avendo abbandonato in questo mondo ciò che è vista, udito o pensato, [ed avendo pure abbandonato] virtù ed azioni meritorie, abbandonate tutte le cose nelle varie loro specie, avendo ben riconosciuto la "sete" sono liberi da passione, costoro invero io chiamo "uomini che hanno attraversato la Corrente„". "Per coloro che stanno in mezzo all’acqua. o Kappa. - così disse il Beato - nella spaventevole corrente che è venuta ad essere [come esistenza], per costoro, sopraffatti da vecchiaia e da morte, io ti rivelerò un’isola, o Kappa. Quest’isola incomparabile, che nulla possiede, che a nulla si afferra, io chiamo Estinzione (Nibbana), la distruzione di vecchiaia e di morte". "Due sono le specie di nibbana dimostrate da Colui che vede [Buddha], che è Distaccato ed è Siffatto. Uno è lo stato che in questa stessa vita ancora si possiede, provvisto di base, ancorché sia spezzato il flusso del divenire. Quello privo di base, invece, appartiene al futuro, ove ogni divenire giunge alla fine". "Vi è, o monaci, quella condizione ove non è né terra né acqua, né fuoco, né aria, ove non è né la sete dello spazio infinito né quella dell’infinita conoscenza, né quella della nullità, né quella propria a "né-coscienza-né-non-coscienza", ove non è né questo mondo né un mondo di là da questo, né entrambi assieme, né luna, né sole. Da là o monaci, io dichiaro, non si viene a nascere: ivi non si va. [In quella condizione] non v’è permanenza, non v’è decadenza, non v’è nascita. Non è fissa, non si muove, non è fondata su cosa alcuna. Quella è, invero, la fine del Dolore". 6.6 LETTERATURA BUDDISTA: passi letterari Il canto del poeta Milarepa Vissuto nel Tibet verso la fine dell’XI secolo, il poeta ha espresso nei suoi versi il senso della tradizione spirituale indiana, particolarmente buddhista. Ecco alcuni versi nei quali invita ad abbandonare qualsiasi forma di vanità per raggiungere il nirvana. "Nella Città dell’Inganno dei Sei Piani del Mondo Il fattore principale È il peccato e la tenebra Prodotti dalle cattive azioni Qui l’ essere segue i dettami della simpatia e dell’antipatia E non trova mai tempo per conoscere l’Eguaglianza: Evita, figliolo, le simpatie e le antipatie. Se comprendi la Vanità di Tutte le Cose, La Compassione nascerà nel tuo cuore; Se non farai alcuna distinzione Fra te stesso e gli altri, Sarai adatto a servire gli altri; E quando nel servire gli altri avrai successo, Allora Mi incontrerai; Ed incontrando me, Raggiungerai la condizione del Buddha". 7 . BUDDISMO e CRISTIANESIMO Il cristianesimo ha veramente incontrato il buddismo? C’è da dubitarne. Con molta onestà, Romano Guardini scriveva, più di trent’anni or sono, nel suo famoso libro sul Cristo, queste osservazioni, che si potrebbero ripetere oggi senza aggiungere neanche una riga: "Se c’è un personaggio che si potrebbe accostare a Gesù, questo è il Budda. Quest’uomo costituisce un grande mistero. Vive in una libertà che ci spaventa, quasi sovrumana, e la sua bontà è potente come una forza cosmica. Forse il Budda è l’ultimo genio religioso con cui il cristianesimo dovrà incontrarsi ( . . . ) . La sua idea di nirvana, del risveglio supremo, dell’annientamento dell’illusione e dell’essere non è ancora stata compresa ed apprezzata cristianamente da nessuno. Chi volesse tentare questa impresa dovrebbe essere perfettamente liberato dall’amore di Cristo e nello stesso tempo legato da molto rispetto a questo uomo misterioso del sesto secolo prima di Cristo". Buddha e Cristo Andiamo subito all’essenziale: come immaginare l’incontro tra il Budda e il Cristo? Lo stesso Guardini sviluppa il confronto in un altro libro dedicato allo studio dell’essenza del cristianesimo. "Il Budda, dice, si presenta come il sublime, il perfetto, l’uomo perfettamente illuminato... Predica la vita assolutamente perfetta, pura e santa. Ma in realtà non si presenta che come il primo degli illuminati: colui che chiama gli altri e mostra loro la via. Ciò che egli ha fatto, un altro avrebbe potuto farlo. Mai il Budda ha avanzato la pretesa straordinaria di essere l’unico a poter annunciare il proprio messaggio. L’essenziale non è la sua persona, ma il messaggio. La sua persona, propriamente parlando, fa parte di esso. Il Cristo, al contrario, si presenta non soltanto come colui che apre la via, ma come colui che è la via. Lui solo poteva aprirci il cammino che ci propone, che non è altro che lui stesso. Non solo annuncia il messaggio, ma è lui stesso il messaggio. Da qui deriva come conseguenza diretta che il Cristo non è al livello del Budda, ma non può essere che infinitamente al di sopra o infinitamente al di sotto: se non ha detto il vero, non è che un miserabile impostore, e l’ultimo degli uomini, ma se ha detto il vero si trova in una posizione unica e straordinaria". In questa prospettiva il cristiano può attribuire al personaggio del Budda tutta la dignità che si merita. Trovandosi nell’impossibilità di dare un volto alla salvezza, il Budda ha evitato di avanzare delle ipotesi che andassero al di là della sua esperienza empirica, ma ha portato fino in fondo l’esperienza della vanità dell’essere, senza scendere a compromessi con le creazioni fantastiche a cui gli uomini hanno fatto ricorso, nell’ambito delle diverse religioni, per esorcizzare le proprie paure. Non ha preso posizione né in un senso né nell’altro nei confronti di una realtà ultima che superava la sua esperienza. In linguaggio teologico, potremmo dire che è andato fino in fondo all’abbassamento della kenosi, quella che il Cristo ha conosciuto nell’orto degli ulivi e sulla croce, senza prendere posizione nei confronti di un pleroma, che pure non intende negare. Anche se in seguito, obbedendo ad una tendenza comune a tutte le culture, una gran parte del buddismo ha istintivamente divinizzato il Budda, rimane il fatto sorprendente che sia il buddismo theravada, fedele alle origini, sia le scuole dello zen, continuano a presentarsi come delle vie di sapienza lungo le quali anche un cristiano potrebbe fare senza problemi un pezzo di strada. Questo è il pensiero di un cultore dello zen cristiano, che analizza i legami che possono stabilirsi tra la preghiera cristiana e lo za-zen. Secondo alcuni, egli scrive, lo za-zen non è altro che una tecnica di raccoglimento che può servire come preparazione psicologica alla preghiera. I monaci zen però non sarebbero d’accordo: secondo loro lo za-zen, senza essere una vera preghiera, è molto più che una tecnica, perché costituisce, in qualche modo, una ricerca di comunione con l’essere. Ma, aggiunge, c’è anche una terza maniera di considerare la questione, quella di un monaco cristiano che ha cominciato a praticare lo zen ed ha trovato in esso un grande aiuto per la propria vita di preghiera, fino al giorno in cui ha scoperto che Dio non si trovava in quella calma... ed ha abbandonato lo za-zen. La preghiera cristiana Il dialogo e la ricerca in questo campo sono appena agli inizi. L’opuscolo che ho citato raccoglie testimonianze molto diverse. C’è chi è convinto che l’esercizio dello zen può costituire per un cristiano una vera preghiera (in quanto conduce lo spirito al silenzio in un processo che coinvolge tutta la persona e la lega a Dio, presente nel più profondo del nostro essere), e c’è chi ritiene che la preghiera cristiana, che è essenzialmente un dialogo, non abbia niente a che vedere con l’ambito cosmico in cui si cerca di riscoprire l’unità primordiale dell’essere. Ichiro Okumura, un buddista zen convertito al cristianesimo, racconta che, al momento della sua partenza dal Giappone per un monastero carmelitano della Francia, il suo maestro zen gli ha citato una frase del grande maestro cinese Linci: "Non cercare, e troverai", che sembra pienamente in contraddizione con quella che si legge nel vangelo: "Cercate e troverete" (Mt 7,7). Ma, riflettendo meglio, ci si accorge che entrambe le affermazioni si giustificano all’interno dell’uni verso spirituale in cui sono nate. La preghiera cristiana che cerca, e bussa alla porta, esprime un atteggiamento di dialogo fra l’uomo e Dio. Il seguace dello zen, la cui intuizione ha superato ogni dualismo, non deve più cercare la montagna su cui sta salendo. E lo zen vuole precisamente eliminare la ricerca ansiosa dell’uomo che si sente smarrito! Se c’è una preghiera zen, conclude, "è la lode del canto cosmico che riscopre l’unità primordiale dell’esistenza". Possiamo anche andare più lontano: la via dello zen non potrebbe essere considerata come una delle vie spirituali possibili, una delle diverse scuole spirituali che un cristiano può seguire? Non è forse quella che hanno seguito alcuni mistici occidentali autenticamente cristiani? Giovanni della croce non potrebbe essere uno degli esempi migliori? E quanti altri contemplativi di tutti gli ordini religiosi si potrebbero citare, dall’anonimo autore della "Nube della non conoscenza", ai mistici renani della fine del medioevo, e soprattutto ad Eckhart, che è stato guardato per molto tempo con sospetto, proprio perché l’universo mentale in cui si muoveva sembrava fare di lui un orientale smarritosi in occidente! Ci troviamo di fronte, pensa padre Johnston riferendosi a questi autori, ad una specie di samadhi cristiano, che ha sempre occupato un posto d’onore nella spiritualità occidentale, e che si potrebbe chiamare senza problemi lo zen cristiano. Altre testimonianze Si potrebbero citare molte altre testimonianze di ricerca di una convergenza. Il responsabile di un monastero tailandese parlava un giorno con un religioso cattolico dell’essenza del buddismo. Il cuore del buddismo, diceva, è il distacco da se stessi, la negazione totale dell’io come assoluto. E continuava: rileggete la prima Lettera ai Corinzi (7,29-31): "Il tempo ormai si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie vivano come se non l’avessero; coloro che piangono, come se non piangessero e quelli che godono come se non godessero (...) perché passa la scena di questo mondo!". Il buddismo, concludeva, è esattamente questo. Un altro, che ha sperimentato la vita quotidiana di una pagoda, ci richiama all’emulazione spirituale. Il monachesimo buddista non potrebbe essere considerato, per certi aspetti, come una sfida secolare alle nostre tradizioni spirituali? Ed è davvero commovente e significativo leggere nel testamento spirituale di padre Besnard, il compianto direttore di "La vie spirituelle", l’allusione umile e decisa alla sua vita di fede aperta all’esperienza dello zen "nell’obbedienza più intima al Verbo fatto carne". "Ho l’impressione di aver ricevuto tutto questo dalle sue mani, come un’indicazione piena di prospettive su cui riflettere e di strade da scoprire. Poiché tutto appartiene a lui, viene da lui ed è per lui: ma senza nessuna imposizione, nell’umiltà del cuore". Nessuno ha ancora le idee molto chiare, e l’incontro sarà un’impresa di lungo respiro. Il buddismo, dal canto suo, nell’inevitabile confronto col mondo moderno, dovrà rispondere ad alcuni interrogativi laceranti sulla sua concezione dell’uomo. Chi può dire che ne uscirà indenne? Allora, buddismo e cristianesimo? Una risposta Mi permetterete, a questo punto, una risposta molto personale costituita da due formule e da tre immagini. Cominciamo con le formule. Mi sembra che la verità fondamentale del buddismo "tutto è dukkha", esprima sostanzialmente una verità cristiana fondamentale, che noi cristiani siamo ben lontani dall’aver assimilato e che, in un certo senso, dobbiamo imparare dal buddismo. Ma questa verità ne richiama paradossalmente un’altra, che può ben essere considerata una delle più grandi verità cristiane, quella che Teresa di Lisieux esprimeva così bene dicendo che per il cristiano che vive in Cristo "tutto è grazia". E veniamo alle immagini. Sono tre volti, con tutta la distanza che li separa l’uno dall’altro. Il paragone mi è stato suggerito da due autori diversi. Padre Cornélis raffronta la Gioconda e il Budda. L’insolente modestia e l’impercettibile, ma sovrana ironia della Gioconda, egli dice, non sono che un indovinello da bambini di fronte all’enigmatica profondità del sorriso dei volti del buddismo, con la loro perfetta serenità e con l’impressione che danno di scaturire da un livello insospettato dell’essere. Olivier Clément, in un libro autobiografico, racconta di aver molto amato l’India, e di aver preso la strada di Katmandù molto prima che questo diventasse di moda. Il sorriso del Budda l’ha commosso per molto tempo. Ma, al momento della sua conversione, è stato impressionato da un altro volto, quello di Carlo de Foucauld, che non sembra più fatto di carne, ma di brace, un volto che va verso l’icona e che è una risposta all’India e all’estremo oriente. "Giunto al "risveglio", il saggio di laggiù chiude gli occhi, assapora un’estasi totalizzante, e il suo volto diventa liscio, pieno, acquatico. Giunto al "risveglio", il santo cristiano chiama abba, Padre, come se pregasse per la prima volta, entra in una novità che continuamente si rinnova, diviene come una fiamma". insintesi Il Budda mostra la via. Cristo dice: io sono la via. Dobbiamo apprezzare la profonda onestà del Budda, che non esce dai limiti della sua esperienza. Il cristiano può fare un pezzo di strada con la dottrina buddista, specialmente nel campo della preghiera. Si potrebbe parlare di spiritualità simile a quella di molti mistici occidentali, di convergenza col vangelo, di un nuovo giudizio cristiano sull’illuminazione, di una sfida al nostro monachesimo. Ma la verità fondamentale del cristianesimo è che "tutto è grazia„. Un segno importante dei progressi offerto stamane dalla presenza all’udienza generale di una delegazione della "Unione Buddista Europea". I rappresentanti delle comunità presenti in Inghilterra, Francia, Germania e Italia hanno preso parte all’incontro con il Santo Padre nello spirito di apertura e di collaborazione che sta caratterizzando in questi anni i rapporti tra Chiesa cattolica e religione buddista, sempre più diffusa in molti Paesi del continente. *** Oltre un milione di europei aderiscono oggi al credo buddista. Francia, Inghilterra e Austria sono le Nazioni maggiormente interessate dal fenomeno. In Italia i buddisti sono circa ventimila. "Si tratta di realtà significative —ci spiega il Rev. John Masayuki Shirieda, Sotto-Segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-religioso, che accompagna il gruppo — che indicano, tra l’altro, la forte do manda religiosa e spirituale esistente in Europa, soprattutto trai giovani. Per questo, stiamo dedicando uno studio approfondito al fenomeno e consideriamo con attenzione le iniziative che favoriscono e rafforzano il dialogo tra cattolici e buddisti .. La presenza della delegazione europea, guidata dal nuovo presidente, I’inglese Stephen Hodge, si inserisce in questo cammino di più intensi rapporti tra le due comunità religiose europee. Lungo tale direzione, particolarmente interessanti sono state in questi anni le esperienze di "scambi di spiritualità", attraverso cui monaci cattolici e buddisti hanno vissuto insieme momenti di fraternità e di preghiera, e quelle di collaborazione sul piano sociale intraprese in Francia a favore degli immigrati .