Cultura e Società 10 giovedì 20 febbraio 2014 INTERVISTA Mauro De Iorio l'Adige Due sue opere compaiono nell’esposizione della Galleria che vuole pescare nelle raccolte private Il collezionista diagnostica: l’arte è Civica RENZO M. GROSSELLI È uno di quelli che hanno accettato la «Chiamata a raccolta. Collezioni private in mostra» della Galleria Civica (via Mart), esposizione che a Trento rimarrà aperta sino all’11 maggio. Perché lui, Mauro De Iorio (nella foto con «Orfeo», opera di Giulio Paolini), è un amante passionale dell’arte contemporanea. Tanto che l’entrata della nuova sede di Trento della sua azienda, la Tecnomed (diagnostica medica per immagini e strumentale), l’ha fatta disegnare dall’architetto roveretano Paolo Baldessari e sul giroscale pende un lampadario di Monica Bonvicini, artista italiana che vive a Berlino. De Iorio è persona che investe sull’arte contemporanea e lo fa soprattutto perché ne è affascinato: parlarne per lui è come prendere un tonificante dopo una lunga giornata di lavoro. La mostra della Civica le piace. «Certo, anche se a me piacciono le cose dure, il contemporaneo spinto, i giovani emergenti, l’internazionale. Il mio lavoro di diagnostica consiste nel vedere immagini, tutto il giorno, ma questa è pure la mia passione. Un aspetto voyeuristico, sia nel lavoro che nell’arte. La Civica mi ha chiesto due opere. Una scultura di Tony Gragg in gesso, tra le prime mie acquisizioni, e una di Ryan Gander, in bronzo, che ho acquistato recentemente ad Amsterdam». Lei vanta una collezione di opere di arte contemporanea corposa. «Sì, sono sparse qui e là perché mi piace viverci assieme. Come è tradizione per chi non è collezionista per professione. Faccio parte di coloro che si comperano un’opera per arredare casa, per metterla nello studio, nella casa delle vacanze. Una dimensione in cui c’è un rapporto continuo tra collezionista e opera d’arte». Sua moglie si arrabbia per questo? «Anzi, mi segue ed è diventata un’esperta di contemporaneo, si va insieme alle fiere e quando compero, chiedo il suo parere». Costa molto l’arte contemporanea? «Abbastanza, difficile comperare un’opera per meno di 1.000 euro, voglio dire un’opera di un artista di 30-50 anni. Da un giovane interessante invece si può comprare anche per meno. Certo, il valore di un’opera è stabilito dal mercato ma posso dire di aver acquistato recentemente una fotografia di un grande fotografo di Borgo, Dido Fontana, crudo e splendido, a prezzi contenuti». Torniamo alla mostra di questi giorni alla Civica. Mi piacciono le cose dure, il contemporaneo spinto, i giovani emergenti, l’internazionale. Il mio è amore, non certamente speculazione economica «Se la prendiamo nel suo complesso, è un po’ distante dal mio gusto, ma non per l’allestimento, solo perché ci sono più moderni che contemporanei. Ma comprende tre opere che per me valgono per il tutto, eccezionali. Una di Fausto Melotti, di un privato e alla sua prima esposizione, poi un piccolo, esile Morandi dalle collezioni del Mart e infine un TEATRO Fontana, di ferro, vera meraviglia. Opere di una bellezza che sta al di là del tempo, fatte allora ma assolutamente contemporanee. Un’altra delle cose belle della mostra è la volontà di aggregare i collezionisti trentini, di dare loro la possibilità di conoscersi, scambiare conoscenze ed emozioni. Finora io conoscevo solo un paio di quelli che espongono qui». Che differenza c’è tra un colleziosta d’amore e uno di investimento? «I professionisti si costruiscono un mausoleo e quelli che vogliono specularci, diversificano l’investimento in arte. Hanno quasi sempre il consulente e non amano più di tanto l’arte. Per noi amanti non c’è speculazione». Perché ha prestato le sue opere alla Civica? Ci sarebbe materiale per altre mostre «dal privato» in Trentino? «È entusiasmante avere un rapporto più stretto e uno scambio di idee con i curatori del Mart. Entusiasmante anche mettere a disposizione le tue opere: ognuno le ha in casa e ci è affezionato ma quando vengono valorizzate dai tecnici ci stai bene. Io Alessandro dopo il padre Vittorio si cimenta col testo di Shakespeare Riccardo Terzo, secondo Gassmann n titolo, «Riccardo Terzo», l’autore William Shakespeare e il regista-protagonista Alessandro Gassmann: tre buoni motivi per andare a teatro e confrontarsi con un’opera portata in scena nel 1594 che ribalta la concezione dell’eroe tragico, tutta giocata sull’ambiguità e la forza dell’espressione verbale. Riccardo è figura ambigua, fascinosa, in bilico fra humour e grottesco. È lui che allestisce lo spettacolo, assicurandosi la complicità del pubblico che tiene informato di quanto va tramando, utilizzando gli altri personaggi come elementi di sostegno. Ma è lui il vero motore di una messa in scena di cui diventa autore, attore, regista, narratore di una storia di potere, quel potere che per Shakespeare è l’immagine stessa della corona, oggetto-simbolo da strappare al sovrano di turno, innescando una serie inarrestabile di delitti all’interno di quel sanguinoso conflitto civile che sconvolse l’Inghilterra per trent’anni, la «Guerra delle due Rose». Un ruolo che non poteva non affascinare Alessandro Gassman, protagonista di un dramma che suo padre Vittorio interpretò nel 1968 diretto da Luca Ronconi. Dato che i grandi testi si prestano a letture diverse e ad interpretazioni nuove, Alessandro ha scelto un adattamento agile, incentrato su una struttura lessicale pulita, con Vitaliano Trevisan che ha ridotto a dieci i quaranta personaggi del testo shakespeariano. Domani alle 16.30 al teatro Sociale, un incontro con gli interpreti del testo. A. D. U Trento - Teatro Sociale: oggi e domani spettacoli alle 20.30, sabato alle 21, domenica alle 16. Alessandro Gassman in una immagine di scena del «Riccardo III» sono certo che anche solo limitandosi al contemporaneo da noi ci sarebbe materiale per nuove iniziative. L’importante è stato mettere in sinergia Civica, Mart e collezionismo privato. E anche gli artisti trentini». Lei conosce e apprezza i giovani artisti trentini? «Sono amico di Luca Coser, Anna Scalfi, Stefano Cagol. Ma anche di giovani come Jacopo Mazzonelli, Valentina Miorandi. Stanno crescendo bene. Poi i galleristi: De Anesi, Boccanera e Radice, c’è una storia, qui a Trento, di chi ama quest’arte». Un nome su tutti, tra coloro che hanno fatto la storia del contemporaneo in Trentino? «Da piccolo seguivo mio padre Achille e mio zio Gaetano che gravitavano attorno alla Galleria Argentario di Ines Fedrizzi. Grandissimo personaggio. Ma arrivai anche nello studio di Senesi e mio padre mi regalò il mio primo quadro, che ancora ho nello studio. Senesi e Schmid sono ancora considerabili come artisti di grande valore (abbordabili ai prezzi di mercato)». Di nuovo il mercato. Senza soldi la bellezza... «Uno non necessariamente deve avere soldi per godere dell’arte. Ci sono social network che ti permettono di farlo gratis. Uno è Art Stack dove entri e pubblichi in bacheca le immagini che ti piacciono e hai rapporti con il resto del mondo che pubblica le sue di immagini. Non costa niente, colloqui, fai la tua raccolta virtuale». MOSTRA. A Palazzo Trentini «Decifrare una vittoria, al servizio dell’Europa» I polacchi decrittarono i codici nazisti urono i matematici polacchi, non solo gli esperti di comunicazione militare anglo-americani come molti normali cittadini hanno pensato negli ultimi decenni, a decifrare i codici segreti dei nazisti. Di questo ci parla la mostra «Enigma. Decifrare una vittoria. I polacchi al servizio dell’Europa» che verrà inaugurata oggi alle 17.30 nella Sala Aurora di Palazzo Trentini, a Trento, alla presenza dell’ambasciatore della Repubblica di Polonia Wojciech Ponikiewski e del console generale a Milano Jerzy Adamczyk. F È una storia che emoziona quella che ci racconta la mostra e parla dell’impegno, durante la Seconda guerra mondiale, di un pugno di matematici esperti di crittografia, polacchi per l’appunto, che si impegnarono a rendere leggibili i messaggi «criptati» dei tedeschi e riuscirono in questo modo a salvare probabilmente centinaia di migliaia di vite umane, se non addirittura milioni. La mostra che ha già visitato altre città italiane, è già stata presentata, nel 2010, nel Parlamento europeo a Bruxelles. Con documenti ci illustra il ruolo dei matematici polacchi nel forzare il codice dell’Enigma, la macchina per «cifrare» usata dalle forze armate tedesche durante il conflitto. A nomi come quelli dei matematici Marian Rejewski, Jerzy Ròzycki e Henryk Zygalski dobbiamo il successo polacco nella «decriptazione» dei codici tedeschi, fatto che ha sicuramente accorciato la guerra, favorendo la più veloce sconfitta dei nazisti e dei loro alleati. L’invito alla mostra è allargato alla cittadinanza trentina dal console onorario di Polonia in Trentino-Alto Adige, Walter Cappelletto.