In questa sezione vi sono argomenti che non fanno normalmente parte di un corso tradizionale di Fisica. Si tratta di una breve escursione nei vicini campi della biologia e della zoologia: applicazioni delle leggi della Meccanica ad alcuni problemi di interesse per queste scienze, con particolare riguardo alla descrizione di alcune caratteristiche del movimento dei fluidi e nei fluidi. Viene anche presentato il metodo delle dimensioni, uno strumento di studio molto utile per la formulazione di leggi empiriche per tutte le discipline. Prerequisiti per lo studio e la comprensione degli argomenti qua trattati sono il capitolo 15 del libro di testo (meccanica dei fluidi) e i paragrafi 1.3 e 1.5 (analisi dimensionale e ordini di grandezza) Movimento nei fluidi : prima parte Applicazioni della meccanica dei fluidi E’ noto che la vita sul pianeta Terra è basata sulla presenza di acqua, e quindi di un fluido, e che la stragrande maggioranza delle specie, sia animali che vegetali, vive in ecosistemi a base fluida (aria o acqua). È sempre grazie a sistemi fluidi che gli organismi riescono a trasportare, scambiare e assimilare ossigeno e sostanze nutritive. La conoscenza della meccanica dei fluidi è quindi essenziale per lo studio delle specie viventi e dell’ambiente in cui vivono. In questa prima parte degli appunti presentiamo alcune considerazioni sulle leggi di base del comportamento dei fluidi, o del comportamento degli animali in relazione ai fluidi, allegando alcuni esempi di applicazioni elementari. Faremo uso di appropriate tecniche a metà strada tra la matematica, la fisica e le scienze della Natura. Non si tratterà comunque di analisi profonde ed esaustive, ma solo di esempi sul modo di affrontare i problemi che si possono incontrare nella ricerca scientifica. 1) La circolazione del sangue e i capillari Nel nostro corpo un certo volume di sangue, pompato dal cuore, esce dal ventricolo sinistro e comincia il suo viaggio nell’arteria più grande che abbiamo, l’aorta. Se non consideriamo per semplicità i casi in cui il sangue si accumula momentaneamente in qualche organo, si ha che il medesimo volume di sangue deve contemporaneamente transitare anche nelle miriadi dei vasi più sottili e minuti: i capillari. Dagli studi sperimentali dei fisiologi sappiamo che l’aorta ha un diametro di circa 2.5 cm e che al suo interno transita 1/10 di litro di sangue al secondo, mentre il diametro tipico di un capillare è pressappoco uguale al diametro di un globulo rosso, che è di circa 7 µm (7·10-6 m); in esso la velocità del sangue è solo di mezzo millimetro al secondo, cioè v c = 0.5·10-3 m/s. Da questi dati, utilizzando l’equazione di continuità possiamo ricavare alcune informazioni fisiologiche. Ricordiamo innanzitutto che la portata di un fluido in un condotto è definita come il prodotto Q = A ⋅ v , dove A è la sezione del condotto e v la velocità del fluido che vi scorre; l’equazione di continuità per un fluido incompressibile si scrive: A1 ⋅ v1 = A2 ⋅ v 2 poiché la massa totale di fluido che passa in diversi punti nell’unità di tempo è sempre la stessa. Ricaviamo subito dai dati forniti che la portata del flusso sanguigno nell’aorta vale Q = 0.1 dm3/s = 1·10-4 m3/s, e quindi che la velocità del sangue nell’aorta è 1 ⋅ 10 −4 m 3 /s Q = = 0.204 m/s , v1 = A1 4.91 ⋅ 10 − 4 m 2 essendo la sezione dell’aorta A1 = π ⋅ (0.025 m /2) 2 = 4.91 ⋅ 10 −4 m 2 . La sezione di un capillare risulta invece Ac = π ⋅ (7 ⋅ 10 −6 m /2) 2 = 3.85 ⋅ 10 −11 m 2 = 38.5 µm2, mentre la portata di un capillare sarà Qc = Ac ⋅ v c = 3.85 ⋅ 10 −11 m 2 ⋅ 0.5 ⋅ 10 −3 m/s = 1.92 ⋅ 10 -14 m 3 /s ( = 19.2 pl/s) Osserviamo che si tratta di una portata estremamente piccola!! (1 pl = 10-12 litri = 10-15 m3) Vogliamo ora valutare il numero N dei capillari del nostro corpo; possiamo usare l’equazione di continuità, considerando che la sezione totale di tutti i capillari sarà ovviamente N volte la sezione del singolo capillare Ac : A1 ⋅ v 1 = N ⋅ Ac ⋅ v c ⇒ 4 .91 ⋅ 10 −4 m 2 ⋅ 0 .204 m/s A1 ⋅ v 1 = 5 .2 ⋅ 10 9 = N = 2 −11 −3 Ac ⋅ v c 3.85 ⋅ 10 m ⋅ 0.5 ⋅ 10 m/s e cioè ben 5.2 miliardi di capillari! Questa dovrebbe essere in realtà una stima per difetto; il numero dei capillari del nostro corpo è sicuramente assai maggiore, perché soltanto una parte di essi è aperta e funzionante. Un esempio visibile di attivazione improvvisa dei capillari si ha, per esempio, quando appare un diffuso rossore sulle guance. In condizioni normali di riposo, quando solo una minoranza dei capillari risulta aperta, l’area totale delle loro sezioni è comunque maggiore di più di 400 volte rispetto alla sezione dell’aorta, come si verifica dai dati precedenti. Dal fatto che in tubi rigidi di diametri diversi la velocità media del flusso del liquido è inversamente proporzionale all’area della sezione (equazione di continuità), si deduce la relativa lentezza del flusso sanguigno entro i capillari. Tale lentezza è funzionale al completamento degli scambi che hanno luogo tra il sangue e i tessuti. 2) La corrente filtrante nelle spugne Sia data una spugna del volume dell’ordine di 100 cm3 (cioè con diametro compreso tra 5 e 6 cm). L’acqua, aspirata da pori disposti su tutta la superficie corporea, entra in numerose camere flagellate, di circa 40 µm di diametro, collegate tra loro per lo più in parallelo. Vi sono circa 3000 camere flagellate per mm3. Il moto dei flagelli (lunghi 25 µm) spinge l’acqua alla velocità di circa 50 µm/s. Alla fine l’acqua esce dalla spugna da un’apertura di 1 cm2 (osculo), posta in alto. A quale velocità esce l’acqua dall’osculo? Il numero totale delle camere flagellate: 3000 camere/mm3 ·100 cm3 = 300 x 106 La sezione di una camera flagellata: π r2 = π (20 µm)2 = 1257 µm2 La sezione totale di tutte le camere flagellate: A1 = 300 x 106 · 1257 µm2 = 3800 cm2 Utilizzando l'equazione di continuità ricaviamo la velocità in uscita v2 : A1 ⋅ v 1 3800 cm 2 ⋅ 50 µm/s v2 = = = 19 cm/s A2 1 cm 2 velocità decisamente elevata rispetto al moto dell’acqua circolante nella spugna. E’ infatti necessario che l’acqua espirata dall’osculo venga allontanata il più possibile dalla spugna per evitare che essa venga filtrata (e quindi respirata) un’altra volta. 3) Il numero di Reynolds e il movimento nell’acqua Come viene spiegato in dettaglio più avanti, il numero di Reynolds è un parametro adimensionale caratteristico (per il concetto di adimensionalità vedi la seconda parte), utilizzato per descrivere il movimento di fluidi in condotte, o il movimento di corpi che si trovano immersi in un fluido; esso è definito da: ρ ⋅v⋅d Re = η dove ρ è la densità del fluido, η il suo coefficiente di viscosità, v rappresenta la velocità del fluido o del corpo immerso, e infine d è una dimensione caratteristica della condotta, o del corpo immerso. L’utilità di questo parametro risiede nel fatto che ha un carattere universale: esso è in grado di descrivere fenomeni fisici simili, anche se questi si manifestano su scale di grandezza enormemente differenti (questo è il cosiddetto “principio di similarità”, che deriva dalla sua natura di parametro adimensionale, cioè di numero puro privo di dimensioni fisiche). Il numero di Reynolds deriva da ricerche sperimentali, ed è quindi stato formulato empiricamente. È anche possibile tentare di dedurlo teoricamente dalle leggi fondamentali della meccanica, ad esempio confrontando i diversi di tipi di forza che giocano un ruolo nel moto dei fluidi, ma i risultati trovati valgono solo per casi particolari e soprattutto non si spingono fino a descrivere il regime turbolento, che a tutt’oggi rappresenta ancora un terreno di ricerca avanzata. Concentrandoci in particolare sul caso che ci interessa, ovvero sui corpi in movimento nei fluidi, si ha che se Re < 2000 lo scorrimento del fluido intorno al corpo è laminare e molto regolare; all’opposto se Re > 2000 si manifestano fenomeni di turbolenza, dapprima deboli e poi via via più forti, con formazione di irregolarità nel flusso, vortici e mulinelli. Il valore del numero di Reynolds può variare di parecchi ordini di grandezza (fino a 108 in campo aeronautico) e la turbolenza diventa in realtà spiccata solo ben oltre valori dell’ordine di 105. Le questioni di base che un animale acquatico si trova ad affrontare, sono (a) in che modo muoversi nell’ambiente fluido senza consumare troppa energia, oppure (b) come sfruttare al meglio, dal punto di vista evolutivo, le caratteristiche dei diversi tipi di flusso. Un fattore che gioca un ruolo molto importante è la forza di attrito viscoso che si manifesta tra gli strati fluidi, ovvero tra lo strato di fluido vicino al corpo e la superficie del corpo stesso, e che dipende dal coefficiente di attrito viscoso η proprio del fluido. Gli studi effettuati su questo argomento portano ad affermare le seguenti regole generali: 1) nel regime laminare, in cui gli strati fluidi rimangono ben aderenti al corpo, la forza di attrito viscoso (quantificabile come la perdita di quantità di moto per unità di tempo di un oggetto in movimento nel fluido, F = dP / dt) risulta particolarmente efficace nella sua azione di frenamento; 2) nel regime turbolento, a causa della formazione di piccoli vortici, lo strato fluido aderente all’oggetto risulta di spessore ridotto rispetto al caso laminare, e copre una superficie inferiore, con notevole diminuzione della forza di attrito viscoso; 3) bisogna comunque evitare che il regime divenga troppo turbolento, perché in tal caso si avrebbe la completa separazione vorticosa dello strato fluido dal corpo, con aumento dell’attrito a causa delle forti variazioni locali di velocità (pensiamo a quando un aereo entra in una zona temporalesca!) Altri importanti fattori da considerare per uno studio quantitativo sono la rugosità della superficie del corpo e la sua forma geometrica: sferico, cilindrico, o con profilo aerodinamico (del tipo di quello mostrato in figura 1). Tutti questi elementi interagiscono in realtà in modo complesso ed è quindi difficile trovare qualche risultato applicabile in generale. Fig.1: Esempio di profilo aerodinamico, particolarmente efficace nel minimizzare l’attrito per il moto nei fluidi, e molto utilizzato in Natura. Fig.2: Coefficiente di attrito per il frenamento di un corpo in movimento. (a) forma cilindrica; (b) profilo aerodinamico (da Vogel, 1994). Nella figura 2 osserviamo un esempio della complessità del problema: in funzione di Re (in scala logaritmica, Log(Re), per comprendere diversi ordini grandezza sullo stesso grafico) per la zona in cui il regime è turbolento, favorevole quindi al movimento, viene mostrato il coefficiente di attrito (analogo al coefficiente di attrito noto dalla Meccanica) per un cilindro e per un corpo con profilo aerodinamico, nei due casi di superficie liscia o rugosa. Si osservi come il profilo aerodinamico ha un coefficiente d’attrito di circa due ordini di grandezza inferiore rispetto al cilindro, il che giustifica il fatto che i pesci tendono ad avere una forma aerodinamica (come del resto aerei, navi ed automobili). Inoltre, mentre per questo profilo la rugosità della superficie è sicuramente peggiorativa, quando si va verso Re più elevati (ovvero alte velocità), nel caso del cilindro si ha lo strano effetto di un minimo dell’attrito intorno a Re ≅ 105 per una superficie rugosa. E’ questo il caso delle palle da tennis e da golf, che per l’appunto hanno Re di questo valore; era infatti stato notato da tempo che le palle da tennis “pelose” viaggiano meglio di quelle lisce, come del resto le palle da golf vanno più lontano se hanno quei piccoli affossamenti sulla superficie. Come ultima osservazione sulla complessità di questi studi, non bisogna dimenticare che il coefficiente di viscosità è fortemente dipendente dalla temperatura, per cui oggetti e animali possono trovarsi in ambienti e assumere comportamenti ben diversi anche solo per variazioni di temperatura di una decina di gradi. Ad esempio, la circolazione del sangue è molto influenzata dalla temperatura (pensiamo agli animali in letargo!). Passiamo ora a calcolare il numero di Reynolds in qualche esempio di animale acquatico, per trarne utili osservazioni. Ricordiamo che per l’acqua la densità è ρ = 10 3 Kg/m3, e il coefficiente di viscosità alla temperatura di 200 C è η = 10-3 N·s/m2. Consideriamo i seguenti tre animali che nuotano alla velocità di una lunghezza corporea al secondo, e il caso di una balena che nuoti a 2 m/s. Protozoo di 10 µm che va a 10 µm/s Copepode di 1 mm che va a 1 mm/s Pesce di 10 cm che va a 10 cm/s Balena di 30 m che va a 2 m/s Il calcolo del numero di Reynolds ci fornisce: 10 3 ⋅ 10 −5 ⋅ 10 −5 Protozoo: Re = = 10 −4 = 0.0001 −3 10 Copepode: Pesce: Balena: Re = 1 Re = 104 = 10000 Re = 6 · 107 Come si vede, il numero di Reynolds può spaziare su ben 12 ordini di grandezza, andando da un animale unicellulare alla balena. Gli effetti della viscosità dell’acqua, per un protozoo, sono 10000/0.0001 e cioè 108 = 100 milioni di volte maggiori che per un pesce lungo 10 cm. L’acqua appare come se fosse un fluido poco viscoso per un natante di grandi dimensioni, come la balena, che praticamente si muove in un regime molto turbolento. Ma per un batterio o un protozoo l’acqua appare come un fluido relativamente molto viscoso, e infatti tali microrganismi non sono in grado di provocare turbolenze. Un protozoo che si muove nell’acqua ha la stessa sensazione che avremmo noi qualora ci trovassimo a nuotare in un ipotetico lago di sciroppo o di miele. Intorno a un protozoo che nuota non si formano vortici né una scia a poppa, ma il flusso del fluido intorno al suo corpo risulta perfettamente laminare. L’arresto di un ciliato o di un flagellato è sempre improvviso e immediato, dati i bassi valori del numero di Reynolds del suo ambiente. E’ stato calcolato che un batterio, quando cessa di muovere il flagello, si ferma dopo aver percorso, per inerzia, non più dello spazio equivalente al diametro di un atomo di idrogeno! I pesci invece tendono ad avere numeri di Reynolds piuttosto alti, nella regione in cui riescono a minimizzare le forze di attrito viscose e a sfruttare al meglio la forma aerodinamica per il movimento veloce. Un natante di grandi dimensioni (balena, nave), e quindi con grandi numeri di Reynolds, ha addirittura un problema opposto: il frenamento dell’attrito viscoso è così poco efficace nel moto turbolento che esso deve cessare la propria attività propulsiva alcune centinaia di metri prima di arrivare al punto di arresto. È possibile esplorare una gran quantità di altre caratteristiche zoologiche legate al movimento nei fluidi e al numero di Reynolds, ma per esse rimandiamo ai testi specializzati. Presentiamo soltanto un’ultima osservazione: un tempo i fitti ventagli di setole dei piccoli animali, per es. dei copepodi, venivano interpretati quali strumenti di filtrazione per la cattura, a scopo alimentare, dei microrganismi planctonici. Ma il numero di Reynolds risulta troppo basso perché tali “filtri” microscopici possano funzionare, poiché non vi è la necessaria microturbolenza per un efficace passaggio e ricambio dell’acqua attraverso le setole; così, oggi si è fatta strada l’ipotesi che i ciuffi di setole dei copepodi funzionino come semplici palette per la presa diretta dell’alimento.