GIULIO CESARE BEDESCHINI
(sec. XVII)
pittore
Come spesso accade quando su un personaggio scarseggiano notizie certe, fioriscono
intorno allo stesso diverse opinioni tutte più o meno attendibili o probabili. Anche il
caso di Giulio Cesare Bedeschini, pittore vissuto tra il Cinquecento e il Seicento in
Abruzzo, non si sottrae a questo principio. Giulio Cesare è stato certamente il
capostipite di una famiglia di artisti che operò per tutto il Seicento soprattutto all’Aquila
e nel suo territorio. Altri esponenti della famiglia furono il fratello Giovan Battista, il
figlio Francesco e il figlio di quest’ultimo Carlantonio.
Giulio Cesare, più marcatamente rispetto agli altri familiari, ha coperto senza dubbio un
ruolo di rilievo nel panorama artistico abruzzese e aquilano in particolare, per tutto il
corso del XVII secolo, con una produzione assai estesa: un catalogo esatto delle sue
opere non è attualmente possibile per la mancanza di attendibili dati storici. Inoltre molti
dei quadri a lui attribuiti sono andati dispersi o hanno sofferto ampie manomissioni,
quando addirittura non siano di suoi allievi o imitatori.
Fu il contemporaneo Claudio Crispamonti, letterato aquilano, a fornire i primi dati
biografici sull’artista, ricordandolo tra gli aquilani illustri come celebre pittore giunto dal
Piemonte a seguito di Margherita d’Austria nell’ultima fase del Cinquecento.
La presenza in città, in quel periodo, della famiglia Bedeschini è confermata da alcuni
documenti rinvenuti dallo storico aquilano Raffaele Colapietra, uno del 1577 e l’altro del
maggio 1595, in cui compare il nome di un Alessandro Bedeschini albergatore di
Piacenza. La diversità dell’indicazione geografica del nucleo familiare dell’artista e la
mancanza di altre fonti documentali lascai aperta per ora la questione sulla provenienza
dei Bedeschini, anche se ormai quasi tutti gli studiosi concordano per la tesi piacentina.
La tesi di Piacenza è suffragata dal fatto che in quel periodo l’Abruzzo, nonostante la
grave crisi causata dal malgoverno spagnolo, non fosse in ritardo con gli eventi storici e
culturali dell’epoca e, anzi, la presenza di Margherita d’Austria per quasi un ventennio,
dal 1567 al 1586, oltre a quella di altri importanti personaggi come Claudio Acquaviva,
figlio del duca di Atri e generale dei Gesuiti, e poco prima Gian Pietro Carafa, prima
vescovo e poi arcivescovo di Chieti e infine Papa come Paolo IV, favorisse una grande
stagione artistica principalmente a L’Aquila, ma che ebbe i suoi riflessi in ogni angolo
della regione. E’ proprio nelle date del soggiorno di Margherita che la tradizione pittorica
locale trova un rinnovato vigore, annoverando autori di primo piano, come gli aquilani
Pompeo Cesura, chiamato anche a Roma, e Giuseppe Valeriano, che giovanissimo andrà
via dalla sua patria per operare moltissimo in Spagna, Germania, a Roma e Napoli,
probabilmente grazie alla protezione della stessa “Madama” Margherita.
Il ritorno di questa a L’Aquila nel 1582, dall’ultimo soggiorno nelle Fiandre, comportò
l’arrivo in Abruzzo di artisti forestieri provenienti dalla sua patria o da altri territori da lei
amministrati, come appunto Piacenza. Nell’area aquilana si stabilì ed operò un folto
gruppo di pittori fiamminghi e piacentini, mentre nella parte adriatica e pedemontana si
distinsero altri artisti di origini emiliana e romagnola, in primis i fratelli Giambattista e
Francesco Ragazzini.
E’ probabile, ma non accertato, che il giovane Bedeschini abbia incontrato la protezione
e i favori della “Madama” e l’abbia seguita nelle terre abruzzesi, dove avrebbe potuto
continuare i suoi studi artistici. Bedeschini doveva infatti essere molto giovane quando
giunse in Abruzzo, se è vero che la prima opera certa risale soltanto al 1607, e da qui
inizialmente si spostò tra Roma e Firenze per
continuare la sua formazione presso Ludovico
Cardi, detto il Cigoli, e Santi di Tito che sposerà
sua sorella Vittoria. Dopo un secolo che aveva
visto Roma come punto di riferimento per l’arte
abruzzese, con Bedeschini si tornò nuovamente ad
avere i propri modelli presso gli autori toscani, così
come accadeva nel Quattrocento. La prima attività
artistica di Giulio Cesare avvenne proprio
nell’affollata bottega del Cigoli, la cui presenza a
Roma è attestata nei primissimi anni del Seicento,
stando all’analisi stilistica delle opere individuate.
E’ molto probabile che il Bedeschini abbia goduto
del sostegno o della protezione di importanti
uomini politici e intellettuali della capitale come il
Duca di Sessa, ambasciatore del re di Napoli a
Roma, e Giovan Battista De Legistis, canonico
della Cattedrale Aquilana, protonotario apostolico
e conte palatino di Urbano VIII, il quale in una
lettera del 1626 tesseva le lodi della pittura del
Bedeschini con queste parole: « nella pittura della V.S. che ha del divino, io vi ho riconosciuta una
sola imperfezione; ed è che rapisce in maniera gli occhi e l’intelletto dei riguardanti che non giunge lingua
umana a poterla abbastanza lodare».
La prima opera di Bedeschini di cui si ha notizia certa è una “Strage degli innocenti”,
firmata in basso a sinistra e datata 1607, appartenente al periodo romano nella quale gli
elementi stilistici mostrano chiaramente l’influenza della cultura figurativa dei maestri
toscani, attivi nei cantieri romani nell’ultimo quarto del Cinquecento. Nel corso degli
anni l’opera è stata rimaneggiata ed oggi mostra evidenti segni di appesantimento. Una
copia fedele del dipinto è collocata sulla parete sinistra della navata della chiesa di san
Francesco d’Assisi a Loreto Aprutino. La tela versa in condizioni di conservazione
alquanto disperate, con strappi e lacerazioni nella parte superiore del quadro. La polvere
accumulata negli anni ha provocato uno scadimento del colore al punto da rendere non
più visibile l’effetto del chiaroscuro voluto dall’autore. Nonostante questo, si è concordi
nel ritenere l’opera una replica autografa del Bedeschini realizzata in età matura. La tela
di Loreto Aprutino ha la sua importanza anche perché rappresenta una delle poche
opere di Giulio Cesare Bedeschini nel pescarese.
Terminato il periodo romano di formazione, il giovane artista dovette fare ritorno
all’Aquila dove la sua presenza e quella dei fratelli Giovan Battista e Ottavio è attestata
da atti notarili relativi all’acquisizione di una cappellania nella chiesa di santa Maria di
Paganica, datati 1624. Nello stesso anno sposa Cecilia e nel maggio del 1627 nasce il
primogenito Francesco, come si evince dal Registro dei Battesimi della stessa chiesa; il 28
dicembre 1627 la secondogenita Margherita. Tali atti confermano il definitivo
trasferimento dei Bedeschini a L’Aquila.
Anche in Abruzzo, non si interruppero i suoi rapporti con artisti toscani, nel 1617
Baccio Ciarpi, artista toscano che operava a Roma, dipinse il bellissimo Battesimo di
Costantino per la chiesa di san Silvestro dell’Aquila e dopo qualche anno, nel 1631, il
Martirio di san Giacomo e il Martirio di santa Giusta per la chiesa di Santa Giusta sempre
all’Aquila. Particolarmente significativo è stato il rapporto con l’artista fiorentino
Bernardino Monaldi, ritenuto da alcuni, tra cui Crispomonti, addirittura suo cognato, che
dipinse nel 1595 la Natività della Vergine, per la chiesa della Madonna della Consolazione
di Poggio Picenze e nel 1620 il Martirio di san Mattia per la chiesa di san Giovanni
Battista a Castelli (TE). Entrambe le opere oggi non più reperibili.
Del 1610 è la bellissima pala d’altare “Madonna del Rosario e santi”, opera
monumentale dove meglio si evidenzia la caratteristica della sua produzione, quella
edulcorata e suadente impostazione delle immagini sacre, dipinte con tonalità chiare e
secondo uno schema che interpreta sempre in maniera corretta le direttive della
Controriforma.
Una delle opere più pregevoli del Bedeschini si può considerare senza dubbio
“Allegoria del cordone francescano”, la tela firmata in basso a sinistra, fu dipinta nel
secondo decennio del Seicento, in considerazione delle notevoli affinità stilistiche che
l’opera presenta con un altro dipinto dell’artista,
la “Circoncisione” del 1618 conservato nella
sagrestia del Santuario della Madonna di Loreto
a Spoleto, dove si trova pure la sua “Orazione
nell’orto”.
La chiesa della Madonna del Suffragio,
conservava fino al terremoto del 2009 due tele
inedite dell’artista piacentino il “San Massimo”
e il “Santo Vescovo”, dove l’autore raggiunge
risultati di grandi interesse che la critica ha
ingiustamente trascurato. Il restauro effettuato
poco prima del sisma ne aveva messo in risalto
tutta la “toscanità” evidenziata nella
monumentalità dei personaggi e la capacità
espressiva dei volti con la modulazione dei
colori.
Nel 1625, Bedeschini è ormai protagonista
assoluto del panorama artistico aquilano, firma
gli affreschi che decorano la cappella della
famiglia Branconio nella chiesa di san Silvestro:
la
“Presentazione
di
Maria”
e
“Presentazione di Gesù al tempio” che culminano nella “Incoronazione della
Vergine” della volta. Con questi lavori, l’artista raggiunge i suoi migliori risultati
dimostrando notevoli doti di frescante ed una raggiunta maturità del linguaggio formale.
A L’Aquila Bedeschini realizzò con la tecnica dell’affresco, altre decorazioni: l’
“Assunzione della Vergine” per la cappella Bonanni in santa Giusta e le due lunette
con la “Natività” e l’ ”Annunciazione”. Per la chiesa di san Sisto la “Madonna con
Bambino”, “San Sisto e san Gregorio Magno”. All’incirca allo stesso periodo risale la
tela di piccolo formato, della “Madonna con Bambino che appare a san Gerolamo,
san Giovanni Battista e sant’Antonio”, per la carpenteria lignea dell’altare maggiore
della chiesa di san Giuliano a pochi chilometri dall’Aquila.
Al terzo decennio del Seicento può datarsi la “Madonna Immacolata con san
Francesco, santa Chiara, san Carlo Borromeo e san’Antonio Abate” nella chiesa
parrocchiale di Gessopalena (CH) e quantunque non presenti lo stesso livello qualitativo
delle tele di Spoleto e Calascio pur tuttavia vi si può ritrovare una certa resa naturalistica
di alcuni dettagli quali i volti del san Francesco e san Carlo e il paesaggio che si apre nella
parte inferiore, elementi di maggior interessi del dipinto.
Nel Museo Nazionale d’Abruzzo a L’Aquila, prima del sisma dell’aprile 2009, erano
esposte le famose quattro tele raffiguranti i santi protettori dell’Aquila: “San Massimo”,
“Sant’Equizio”, “San Bernardino” e “San Pietro Celestino” dipinte tra il 1610 e il
1613 per la chiesa di Santa Maria di Paganica.
L’abitudine di raffigurare insieme, in dipinti o statue singoli, i santi patroni della città era
assai antica, ma i modelli proposti dal Bedeschini avranno una tale fortuna che saranno
costantemente replicati dall’autore stesso e poi da numerosi altri pittori locali.
La tela “Intercessione della Madonna”, nella chiesa di santa Maria delle Grazie a
Tocco da Casauria (PE), datata 1630, propone una rielaborazione originale di un tema
iconografico vicino alla tradizione popolare, nato per scongiurare la peste.
Gli ultimi lavori dell’artista, databili intorno alla metà degli anni Trenta del Seicento,
riguardano la chiesa aquilana di san Bernardino, il “Miracolo di san Bernardino” e la
“Coronazione di spine” , conservate fino al sisma del 2009 presso il Convento di san
Giuliano, attribuibili però in gran parte agli allievi del Bedeschini.
Non si hanno notizie degli ultimi anni di vita del pittore, dove e quando sia morto, anche
se tutto lascia ritenere che la sua morte sia avvenuta a L’Aquila dove visse e operò per
gran parte della sua vita.
Carlo Maria d’Este
(Centro reg.le Beni Culturali)
BIBLIOGRAFIA E FONTI:
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dell’Enciclopedia Italiana, 1970, vol.7
Laura Monini, Bedeschini Giulio Cesare, in Gente d’Abruzzo. Dizionario Biografico,
Castelli, Andromeda, 2006, vol.1
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Claudio Crispomonti, Historia dell’origine et fondazione della città dell’Aquila, 1629,
manoscritto presso la Biblioteca provinciale “Salvatore Tommasi” L’Aquila, vol.II,
cc.128,130
Antonio Ludovico Antinori, Corografia storica degli Abruzzi e dei luoghi circonvicini
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Angelo Leosini, Monumenti storici artistici ella città dell’Aquila e i suoi contorni colle
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L’Aquila, Japadre, 1968