Arbitrato societario- Società a responsabilità limitata- Compromettibilità- Impugnazione delle delibere consiliari ed assembleari- Concorrenza sleale. In seguito a una serie di controversie sorte in sede di redazione ed approvazione del bilancio, il socio e al contempo ex amministratore di una società a responsabilità limitata, dopo l’infruttuoso esperimento del tentativo di conciliazione, conviene in sede arbitrale la società di cui è parte, come prevede la clausola compromissoria contenuta nello statuto sociale. Le vicende che hanno dato origine al contendere riguardano principalmente la validità di due delibere, una del consiglio di amministrazione e l’altra dell’assemblea. Innanzitutto il socio contesta la legittimità della delibera del consiglio di amministrazione, con la quale gli amministratori, con il suo dissenso, decidono di rinviare l’approvazione del bilancio oltre i termini di legge. Secondo il suo parere, infatti, i motivi addotti non sono sufficienti a integrare la proroga e ritiene che la delibera sia viziata in quanto non era stato possibile prendere visione dei dati contabili della società e soprattutto non era disponibile la bozza di bilancio sulla quale gli amministratori avrebbero dovuto discutere in sede di consiglio. La società, dal canto suo, ribadisce la idoneità dei motivi di proroga e adduce che la parte istante, in quanto amministratore, aveva la piena e libera disponibilità dei dati contabili, tanto che aveva approvato regolarmente il bilancio dell’esercizio passato e non aveva mai lamentato l’estromissione dalla gestione societaria fino a qualche giorno prima il consiglio. L’Arbitro Unico ritenendo legittima la delibera del consiglio di amministrazione, rigetta la domanda proposta dal ricorrente per una serie di motivi. Innanzitutto osserva che in linea generale, oggi, in seguito alla riforma del diritto societario, dubbi sulla legittimità delle impugnazione delle delibere del consiglio non vi sono più. Inoltre, la parte ricorrente avrebbe la legittimità di proporre l’impugnativa, in quanto in tale data aveva dimesso la carica di amministrazione. Nonostante queste premesse, l’Arbitro ritiene non accoglibile la domanda perché non vengono in essere degli elementi importanti. Innanzitutto il termine per proporre l’impugnativa è scaduto, inoltre non sussiste una reale lesione di un diritto oggettivo del socio. Infatti, per quanto riguarda l’illegittimità della proroga non è individuabile un diritto del socio che sarebbe stato leso dalla decisione consiliare, visto che l’eventuale ritardo nell’approvazione del bilancio da parte dell’assemblea non è in grado di provocare la nullità di quest’ultima deliberazione. Inoltre, la parte istante lamenta di essere stato estromesso dagli altri amministratori nella gestione della società e di essere stato privato del diritto alla formazione che gli spetta. A parere dell’Arbitro, la parte ricorrente non ha subito nessuna lesione in quanto con la delibera consigliare non si è discusso del bilancio ma ci si è limitati a disporre la proroga per l’approvazione assembleare. Mentre al successivo consiglio di amministrazione, dedicato appositamente all’approvazione del bilancio, la parte istante non partecipa senza addurre alcun motivo, né chiede chiarimenti, né impugna la relativa decisione degli amministratori (conferma tale posizione Cass. Civ., sez. I, 5 giugno 2003, n. 8989). In secondo luogo, la parte istante chiede che venga dichiarata l’invalidità della delibera assembleare per una serie di motivi: innanzitutto la società non avrebbe rispettato il diritto di informazione della parte ricorrente nella sua qualità di socio, con consentendo a questi di accedere ai dati contabili, non depositando la relativa documentazione nelle modalità previste dalla legge e dallo statuto, infine non redigendo la relazione sulla gestione imposta dall’art. 2482 ter c.c. e dalle previsione contenute nello statuto sociale. In secondo luogo, si sarebbe violato l’art. 2482 ter c.c., procedendo alla illegittima copertura delle perdite con le riserve, senza provvedere agli adempimenti necessari in quanto le perdite superano ampliamente il capitale sociale. Infine l’illegittimità della proroga del termine per l’approvazione del bilancio si sarebbe riflessa nella invalidità della delibera assembleare. L’arbitro non accoglie neppure questa domanda, osservando che non vi è stata lesione del suo diritto di informazione né rispetto alla sua qualità di amministratore né rispetto a quella di socio. Per quanto riguarda questa ultima posizione, la parte istante pur lamentandosi di poca chiarezza, non indica, in occasione dell’assemblea convocata per la discussione del bilancio da parte dei soci, le specifiche voci contabili del bilancio o documenti specifici incompleti o sui quali vi è stata reticenza da parte degli amministratori, ma si limita a denunciare la mancanza di relazione degli amministratori in allegato al bilancio. Inoltre la parte istante ha avuto modo di entrare nel possesso, come prevede la legge, di tutti i documenti ed infine deve ritenersi legittima, in quanto è lo stesso art. 2435 bis c.c. che lo prevede, la scelta degli amministratori di non redigere la relazione sulla gestione della società. Per quanto riguarda il secondo motivo di impugnazione, l’Arbitro ritiene legittima, conformandosi all’orientamento maggioritario, la compensazione. Infatti si è ritenuto che le riserve “non solo possono, ma debbono essere utilizzate a copertura delle perdite, in coerenza con la loro essenziale e primaria funzione di riserve, e cioè di strumenti di protezione del capitale” (Trib. Roma 17 marzo 2000; Trib. Roma 20 febbraio 2001; Cass. 6 novembre 1999 n. 12347). Secondo l’Arbitro, inoltre, non è ragionevole neppure il terzo motivo di impugnazione, in quanto l’illegittimo slittamento del termine per l’approvazione del bilancio non può valere a invalidare il bilancio medesimo approvato regolarmente dall’assemblea. Unica conseguenza che mai si potrebbe verificare è una responsabilità degli amministratori: qua, comunque, non è il caso, in quanto i motivi della proroga sono legittimi. Infine, il ricorrente chiede che gli amministratori della società vengano condannati al risarcimento dal danno provocato dalle illegittime decisioni riguardanti la formazione del bilancio del 2004, con contestuale esclusione di ogni propria responsabilità. La domanda non viene accolta, in quanto la società è priva della legittimazione passiva all’azione, la quale dovrebbe essere proposta direttamente agli amministratori. La società costituendosi propone domanda riconvenzionale, nella quale accusa la parte ricorrente di attività di concorrenza sleale. La parte ricorrente solleva tre eccezioni: 1)la domanda esula dall’ambito oggettivo della clausola compromissoria; 2) l’art. 2390 c.c. non è applicabile alle S.r.l.; 3) la presunta attività di concorrenza sleale riguarda un ente diverso dalla società che qui è convenuta. L’Arbitro Unico ritiene che la controversia, in linea di principio, rientra nell’ambito oggettivo della clausola compromissoria, in quanto ricomprende le controversie che riguardano il rapporto sociale fra soci, organi sociali e società. Ritiene, inoltre, applicabile l’art. 2390 c.c. alle S.r.l. per due motivi: l’applicazione dell’art. 2390 c.c. risponde a prevalenti esigenze di garanzia e di tutela della società e dei soci, anche nel modello della S.r.l, ed, inoltre, il modello previsto dal suddetto articolo meglio si adatti ad un sistema nel quale il consiglio di amministrazione, come nel caso di specie, conserva un ruolo potenzialmente autonomo rispetto ai membri e alla compagine sociale. Osserva l’Arbitro che in questo caso la società è priva della legittimazione per proporre l’azione, in quanto, manca la previa delibera dell’assemblea, come si ricava dall’interpretazione estensiva dell’art. 2393 c.c., il quale contempla espressamente la sola azione dei singoli soci, ma, la giurisprudenza e la dottrina hanno ritenuto che l’azione della società sia comunque ammissibile, purché promossa previa deliberazione dell’assemblea dei soci, per analogia con l’art. 2393 c.c. L’arbitro, in conclusione, non ritiene accoglibile la domanda riconvenzionale oltre che per i motivi sopra elencati anche per assenza di elementi che provino un reale pregiudizio.