Paolo Maffei
della isica delle stelle e inine di dare le informazioni scientiiche più
messaggera del suo cammino scientiico.
generazioni di scienziati e giornalisti scientiici nella dificile arte di
Una stella alla volta
Raccolta di articoli del grande scienziato
e divulgatore dell’astronomia
a cura di Roberto Nesci
Prefazione di Piero Bianucci
è stato un astroisico italiano di fama
generazioni di astronomi e astroisici e che, anche
dell’Osservatorio di Catania ino al 1980 e poi professore all’Università di
Perugia ino al 1998. È mancato il 1° marzo 2009.
GRUPPO
EDITORE
Paolo Maffei
Una stella alla volta
Raccolta di articoli del grande scienziato
e divulgatore dell’astronomia
a cura di Roberto Nesci
Prefazione di Piero Bianucci
GRUPPO
EDITORE
Roberto Nesci, professore di astroisica all’Università La Sapienza di
Roma e associato all’Istituto Nazionale di Astroisica (INAF), svolge
ricerche sulla natura dei quasar e delle stelle giganti rosse.
In campo divulgativo ha realizzato per le scuole il progetto di misura
dell’inquinamento luminoso “Notte Stellata”.
Piero Bianucci, editorialista scientiico de La Stampa, è responsabile
editoriale del mensile Le Stelle. Ha scritto un trentina di libri divulgativi,
l’ultimo dei quali è la Storia sentimentale dell’astronomia.
In copertina
L’ammasso aperto NGC 3590 nella costellazione della Carena ripreso dal telescopio da
2,2 m all’Osservatorio La Silla dell’ESO in Cile. Le giovani stelle azzurre dell’ammasso
splendono davanti a un paesaggio di nubi oscure e di gas brillante. Lo studio degli ammassi
stellari fornisce agli astronomi i dati necessari per comprendere come si formano le stelle
e come evolvono, e per indagare la struttura della nostra Galassia (ESO/Richard Hook).
Sommario
Introduzione di Roberto Nesci
Pag.
4
Prologo
Pag.
13
Pag.
25
Prefazione di Piero Bianucci
1. Sirio
2. Mizar
Pag.
Pag.
9
14
3. La Stella Polare
Pag.
32
5. Altair
Pag.
48
4. Arturo
6. Vega
Pag.
Pag.
41
54
7. Castore, tre gemelli in uno
Pag.
63
9. Deneb
Pag.
79
8. Aldebaran
10. Albireo
11. Alfa Centauri
12. Omega Centauri
13. AE Aurigae
Pag.
Pag.
Pag.
Pag.
73
87
91
99
Pag. 103
14. Canopo
Pag. 109
16. Alnitak
Pag. 125
15. Rigel
17. FU Orionis
Tra scienza e falsiicazioni: Colori nel cielo
Pag. 120
Pag. 130
Pag. 137
Introduzione
C’era una volta... il cielo stellato. Alla portata di tutti, gratis, tutte
le notti senza Luna e senza nuvole, chiunque uscisse di casa e
guardasse in alto poteva vedere, dopo pochi minuti di adattamento al
buio, migliaia di stelle brillare su uno sfondo scuro e il vago chiarore
della Via Lattea come un grande arco luminoso da un capo all’altro
dell’orizzonte.
Poiché la natura di quei punti luminosi era sconosciuta, e sarebbe
rimasta non conoscibile ino alla metà del 1800 con la nascita
della spettroscopia, gli uomini cominciarono a tessere storie sulla
loro natura, immaginare collegamenti tra di esse e utilizzarle come
orologi e calendari per misurare lo scorrere del tempo.
Le stelle più brillanti acquisirono così un nome, e gruppi di stelle
apparentemente vicine in cielo divennero simboli di varia natura,
oggetti, animali o personaggi mitologici. Una buona conoscenza
delle stelle divenne importante per l’agricoltore e per il navigante
(o il viaggiatore del deserto) per riconoscere l’arrivo del cambio di
stagione, l’ora nella notte, la rotta da seguire nel viaggio.
Questa conoscenza di base, che genera consuetudine con il cielo stellato
e ci fa sentire in qualche modo a casa anche in terra straniera, è ancora
fonte di fascino per l’uomo d’oggi: ma il progresso tecnologico, mentre
ci permette di visualizzare facilmente su uno smartphone l’aspetto
del cielo a qualunque ora, data e luogo della Terra, ci ha tagliato fuori
dalla effettiva visione “con i nostri occhi” di uno spettacolo che ha
ispirato per millenni poeti e innamorati. L’inquinamento luminoso,
frutto soprattutto della atavica paura del buio, più che di una effettiva
necessità pratica, regna sovrano ovunque ci sia un essere umano che
abbia a disposizione l’energia elettrica. Oggi infatti è possibile vivere
senza praticamente mai fare l’esperienza dell’oscurità, mentre ciò
non era possibile appena un secolo fa.
Ed è dificile sapere se mai si potrà tornare indietro ad un modo di
vivere meno sprecone.
Scopo di questo libro è dunque di invogliare il lettore a cercare di
vedere “di persona” lo spettacolo del cielo stellato, che è in deinitiva
l’Universo di cui siamo parte, invece di limitarci a vedere la sua
4
rappresentazione informatica con colori sgargianti ma “falsi”, come
è la maggior parte delle immagini che si trova nei “media”.
La sensazione che si riceve dalla visione della volta celeste è ben
diversa, se la percepiamo come un caotico affollarsi di punti più o
meno luminosi o come un reticolo organizzato in cui ciascun punto
ha il suo nome e quindi una sua identità; e la percezione del mondo
e la ilosoia umana non sarebbero certo state le stesse se il nostro
pianeta fosse stato perennemente ricoperto da nubi e non avessimo
mai visto il Sole, la Luna e le stelle.
Il recupero di questo contatto dell’uomo moderno con il cielo è alla
base delle motivazioni che spinsero Paolo Maffei a concepire la
serie di articoli “Una stella alla volta” nel 1980. L’idea guida era di
raccogliere, per le stelle più famose e brillanti, le principali notizie
storiche e mitologiche che le riguardavano, di raccontare lo sviluppo
del loro studio e l’importanza che ha avuto per la conoscenza
della isica delle stelle e inine di dare le informazioni scientiiche
più recenti sulla loro natura. In questo modo, da anonimo punto
luminoso della volta celeste, una stella diventa evocatrice della storia
dell’umanità e messaggera del suo cammino scientiico.
Nel panorama degli astronomi italiani dell’epoca, Maffei era
particolarmente a suo agio nello svolgere questo ruolo, data la sua
conoscenza molto approfondita sia della storia dell’astronomia sia
della letteratura antica greca e soprattutto romana.
L’idea prese forma, venne stabilito uno schema generale cui gli
articoli dovevano conformarsi e tra il 1981 e il 1989 comparve su
L’Astronomia (allora diretta da Corrado Lamberti con il supporto
della indimenticabile Margherita Hack) un buon numero di articoli,
in parte a irma dello stesso Paolo Maffei; fu sempre lui a indicare e
coordinare gli altri autori, tutti ottimi astronomi e abili divulgatori,
tra i quali i principali furono Piero Tempesti e Giuliano Romano.
In questo libro sono stati raccolti gli articoli della serie scritti da
Paolo Maffei, uno scienziato che è stato il primo grande divulgatore
di astronomia di lingua italiana e che ha fatto in certo modo da
apripista alle nuove generazioni di scienziati e giornalisti scientiici
nella dificile arte di trasmettere in maniera comprensibile ma esatta
le conoscenze e gli sviluppi dell’astronomia al grande pubblico,
aiutando l’uomo comune a inserire nella propria visione del mondo
una corretta idea del cielo.
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I lettori che per questo lo hanno amato, riescono oggi con dificoltà
a procurarsi i libri da lui scritti, e ancor più dificilmente i suoi
numerosissimi articoli apparsi sui giornali, con i quali comunicava lo
spirito che anima la ricerca scientiica e anche l’importanza ilosoica
della visione dell’Universo. Da qui l’idea della ristampa di questa
serie, caratterizzata da una struttura di fondo unitaria.
Ciascun articolo inizia con una rassegna dei miti greci e romani
relativi alla stella in esame, per poi passare alla storia astronomica
della stella, con un’accurata ed estesa, ma non pedante, ricerca
bibliograica delle principali scoperte sulla sua natura. Non c’è spazio
per notizie di seconda mano in questi scritti: tutti i dati riportati nel
testo sono stati veriicati sulle fonti originali e non desunti da libri
divulgativi. Questo è vero anche per il modo in cui sono riportati i
racconti mitologici: Maffei infatti era un amante ed esperto di storia
e di letteratura, e la sua biblioteca era ampiamente fornita anche
di testi antichi, da Tito Livio a Ovidio, da Lucrezio a Plinio, senza
dimenticare Omero o Dante.
Una rassicurazione per il lettore: pur trattandosi di articoli pubblicati
su una rivista per appassionati di astronomia, Maffei non scrive per
gli “addetti ai lavori”, ma usa un linguaggio semplice e chiaro, per
permettere la comprensione del testo anche a chi è digiuno della
materia. E i pochi concetti di Fisica necessari alla comprensione
vengono illustrati brevemente, senza ricorso a formule complesse.
Il Ventesimo secolo è stato forse il più proliico di scoperte
scientiiche e applicazioni tecnologiche in tutta la storia dell’umanità,
e probabilmente ancora di più lo sarà il Ventunesimo. L’astronomia
non ha fatto eccezione, anzi è stata in qualche modo tra le scienze
che più hanno contribuito a cambiare la nostra visione dell’Universo
e del posto in esso occupato dalla specie umana. È quindi inevitabile
che anche per qualcuna delle stelle di cui si parla in questo libro
ci sia stato qualche progresso di conoscenza da quando gli articoli
originali sono stati scritti.
Tuttavia, l’aggiornamento in tempo reale sull’ultimo ritrovamento
della scienza non è cosa che nell’era di Internet possa essere
compiuta tramite i libri: è invece compito di questi ultimi fare ciò
che la notizia giornalistica solitamente non può fare, ossia fornire
al lettore un quadro di conoscenze sistematiche e consolidate, che
gli serva da base di partenza per la comprensione della realtà e per
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l’inquadramento nella giusta prospettiva dei nuovi progressi.
Facciamo solo tre eccezioni, riportando schede di “aggiornamento”
per le stelle Vega, Alfa Centauri e FU Orionis. Inoltre, riportiamo
qui di seguito una lista di siti Internet utili per tenersi costantemente
aggiornati a tutto campo sulle ricerche astronomiche condotte da
terra e dallo spazio.
Riguardando a distanza di quasi trent’anni gli articoli pubblicati
nella serie “Una stella alla volta”, si rimane colpiti dalle fotograie
astronomiche usate per illustrare il testo: tutte erano state realizzate
con pellicole o lastre fotograiche, nessuna con un rivelatore
elettronico. Oggi non c’è più un solo Osservatorio astronomico
(professionale o amatoriale che sia) che utilizzi ancora emulsioni
fotograiche chimiche, e anche nella fotograia e cinematograia
comuni si utilizzano quasi esclusivamente sensori elettronici
(CMOS o CCD), ma negli Anni 80 la transizione tra le due tecniche
era appena iniziata.
Per illustrare questa riedizione degli articoli di Maffei, abbiamo
preferito non ripubblicare le immagini originali, tranne schemi
e disegni e le fotograie realizzate da Maffei stesso, ma abbiamo
procurato immagini più recenti, sia amatoriali che professionali.
Inoltre, forniamo al lettore per ogni stella una mappa celeste che ne
individua la posizione in cielo rispetto allo sfondo delle costellazioni.
In questo modo, sarà facile identiicare la stella in questione, seguirla
in cielo nel corso dell’anno, e sentirla una compagna di viaggio nelle
notti in cui si potrà innalzare lo sguardo verso l’Universo in cui siamo
immersi e di cui siamo parte integrante, anche se minuscola. Che è
poi lo spirito con cui Maffei concepì la serie di “Una stella alla volta”.
Le carte stellari mostrate sono state realizzate con il software libero
Cartes du Ciel e coprono 45° di cielo, ossia un ottavo dell’orizzonte.
Un buon modo per avere un’idea di quanto sono estesi 45° è di aprire
le mani davanti a sé, facendo toccare le punte dei pollici e stendere le
braccia completamente in avanti: la distanza tra le punte dei mignoli
è circa 45°.
Nelle carte sono riportate le stelle ino alla magnitudine 4,5, ossia
le stelle visibili a occhio nudo da un sito di periferia urbana con
moderato inquinamento luminoso. Solo due delle stelle illustrate
in questo libro sono più deboli della magnitudine 4,5: AE Aurigae
(6,0) e FU Orionis (9,6). La loro posizione è indicata nelle carte da
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un cerchio, ma per vederle occorre un binocolo (AE Aurigae) o un
piccolo telescopio (FU Orionis). Per queste stelle abbiamo quindi
riportato due mappe aggiuntive, che mostrano anche stelle più
deboli, con un campo di 10° per AE Aurigae, e di 5° per FU Orionis,
per poter identiicare la loro posizione in cielo.
Tre stelle non sono proprio visibili dalle latitudini italiane, in quanto
si trovano a declinazioni troppo profonde dell’emisfero celeste
australe: Canopo, Alfa Centauri e Omega Centauri. Per vedere
Canopo, bisogna recarsi almeno al Cairo, in Egitto; per Alfa e
Omega Centauri, bisogna andare ancora più a sud, in Eritrea. Meglio
comunque spostarsi decisamente nell’emisfero sud (Australia,
Sudafrica, Argentina), in modo da poter vedere questi astri ben alti
in cielo per molte ore della notte.
Buona lettura!
Roberto Nesci
Università La Sapienza
Roma
AGGIORNAMENTI
Per tenersi aggiornati sulle scoperte astronomiche, le fonti di più facile
accesso e più attendibili sono i siti web degli Istituti astronomici.
Innanzitutto quelli in italiano:
• www.media.inaf.it il sito web dell’Istituto Nazionale di Astrofisica;
• www.asi.it/it/news/archivio, sito web dell’Agenzia Spaziale Italiana;
• www.astronomianews.it (pagina News), sito web delle riviste Nuovo
Orione e le Stelle.
Ci sono poi una gran quantità di siti web delle agenzie astronomiche e
spaziali in inglese: eccone alcune.
• www.esa.int, sito web dell’Agenzia Spaziale Europea;
• www.nasa.gov, sito web dell’Agenzia Spaziale degli Stati Uniti
d’America
• www.jpl.nasa.gov, sito web del Jet Propulsion Laboratory, specializzato in missioni spaziali e planetarie;
• www.heavens-above.com, fornisce l’osservabilità a occhio nudo di
satelliti artificiali, in primo luogo la Stazione Spaziale internazionale (ISS);
• soho.esac.esa.int, sito web della missione SOHO, con le immagini e
i filmati del Sole in diretta dallo spazio;
• exoplanets.org, il sito web della banca dati ufficiale dei pianeti
extrasolari, aggiornata in tempo reale.
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Prefazione
L’universo in bianco e nero di Paolo Maffei
Ho incontrato per la prima volta Paolo Maffei nel 1974, quando andai
a intervistarlo nella sua casa di Frascati dopo il successo del suo primo
libro divulgativo, Al di là della Luna. Erano con me Fiora Vincenti
e Mario Miccinesi, lei scrittrice, lui critico letterario, compagni
nella vita e nel lavoro, curiosi di scienza, fondatori e curatori della
rivista Uomini e libri. L’appuntamento l’avevano preso loro, io ero
un imboscato dell’ultimo minuto. Furono due ore di conversazione
piacevole e varia, quasi subito liberate dalla formalità delle domande
e dai vincoli del taccuino per gli appunti.
Scrissi poi qualcosa per la Gazzetta del Popolo, il quotidiano di
Torino per il quale allora lavoravo, dove ero responsabile della Terza
Pagina e del Diorama Letterario (si chiamava così, con un rafinato
grecismo, la pagina dei libri). Ma quello non fu uno dei tanti incontri
occasionali che presto si confondono nella memoria dei giornalisti.
Fu l’inizio di un rapporto che, pur nella sua frequenza limitata,
sarebbe durato a lungo e avrebbe portato ad altri incontri. Uno, in
particolare, a Torino, negli studi della RAI, per registrare una puntata
di un programma che facevo per il Dipartimento Scuola Educazione
negli Anni 80, intitolato “Una vita da scienziato” (ne furono ospiti, tra
gli altri, Bepi Colombo, grande meccanico celeste dell’Università di
Padova, il futuro premio Nobel per la Medicina Rita Levi Montalcini,
l’oncologo Umberto Veronesi, l’etologo Dànilo Mainardi, il isico
teorico Sergio Fubini, il “padre” dei satelliti italiani Luigi Broglio).
Dalla pubblicazione di Al di là della Luna sono passati più di quarant’anni.
All’epoca Paolo Maffei – nato ad Arezzo nel 1926 e scomparso nel
2009 – era già famoso per la scoperta di due galassie vicine alla nostra
Via Lattea ma visibili soltanto nell’infrarosso: la fotograia nel vicino
infrarosso è un campo della ricerca astronomica di cui fu pioniere.
Dopo quel libro, pubblicato nella Biblioteca della Enciclopedia
Scientiica e Tecnica di Mondadori diretta da Edgardo Macorini,
Maffei diventò popolarissimo tra gli astroili italiani e ben presto
si affermò come divulgatore anche all’estero: rimane tuttora, Paolo
Maffei, uno dei pochissimi nostri autori di divulgazione scientiica
9
che siano stati tradotti negli Stati Uniti e nel Regno Unito.
Di Foligno Maffei era originario, e vicino a Foligno, presso la sua casa
in mezzo alla campagna, è sorta una biblioteca-archivio che raccoglie
tutti i suoi libri, i documenti del suo lavoro, le lettere e altro ancora. Più
di ventimila documenti amorosamente catalogati. In una stanza è stato
ricostruito il suo studio, l’ambiente di lavoro nel quale fu scritto Al di là
della Luna, seguito da altri libri sempre ben accolti dai lettori: I mostri
del cielo, La cometa di Halley, L’Universo nel tempo, il suo libro più
profondo, ispirato dalle grandi domande ilosoico-religiose sul senso
della vita e sul signiicato dell’intelligenza umana nell’Universo.
Nell’autunno del 1979, grazie al Consolato USA di Torino, feci
un viaggio negli Stati Uniti che mi portò nei santuari americani
dell’astronomia: gli Osservatori di Kitt Peak e di Monte Palomar,
il Multi-Mirror Telescope di Mount Hopkins, il VLA (Very Large
Array) nel deserto di Socorro (New Mexico), 27 grandi parabole
mobili su rotaie lungo tre bracci a “Y” di 21 chilometri ciascuno, che
rivoluzionarono lo studio delle radiosorgenti cosmiche.
Di ritorno, proposi qualche articolo alla rivista l’Astronomia, che
Margherita Hack e Corrado Lamberti avevano appena fondato. Fui
fortunato: già il secondo o il terzo numero accolsero un mio pezzo,
credo proprio sul VLA, inaugurato pochi mesi prima. Naturalmente,
Paolo Maffei era tra le grandi irme invitate a scrivere per quella
rivista che coraggiosamente portava in edicola la scienza del cielo
dopo che si era estinto (fu una lentissima eutanasia) un periodico
illustre ma quasi clandestino, Coelum (da non confondere con una
tardiva recente imitazione della testata), che risaliva a Guido Horn
d’Arturo, triestino di nascita e bolognese di adozione (1879-1967).
A Coelum Paolo Maffei aveva collaborato con regolarità in dal 1957,
quando era astronomo a Bologna. Ma la sua attività di divulgatore
dell’astronomia sulle terze pagine dei quotidiani risaliva alla ine degli
Anni 40, sul Messaggero, Il Quotidiano, Il Mattino di Firenze, e regolare
poi soprattutto con Il Giorno, l’Osservatore Romano e Paese Sera.
Per l’Astronomia, periodico di cui le Stelle è l’erede, Paolo Maffei
scrisse una serie di articoli sotto l’occhiello isso “Una stella alla
volta”. Quando nel 2013 visitai la Biblioteca Maffei nella campagna
di Foligno, dopo aver partecipato alla “Festa di Scienza e Filosoia”,
vidi in uno scaffale la raccolta della rivista, classiicata con cura e
afiancata dalle prime annate di le Stelle. Lì nacque l’idea di riunire
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quegli articoli in un piccolo libro. Questo.
Diventato celebre per Al di là della Luna e per gli altri suoi libri
di alta divulgazione, Paolo Maffei aveva iniziato a collaborare al
quotidiano La Stampa. Per i casi della vita, dopo la chiusura nel 1981
della cara Gazzetta del Popolo, mi ritrovai anch’io nella redazione
di questo giornale.
All’epoca, i temi culturali erano accolti in quella che si chiamava
“Terza Pagina”, che lapalissianamente era la numero tre, una pausa tra
la politica delle prime due pagine e le cronache delle pagine seguenti.
Ma per cultura si intendeva quasi esclusivamente quella letteraria e
artistica o il giornalismo dei grandi inviati. Tuttavia, un po’ di scienza
si affacciava anche lì. Alla Gazzetta del Popolo avevo incominciato
io a introdurre nella Terza Pagina articoli del isico Tullio Regge,
da poco rientrato in Italia dopo un lungo soggiorno all’Institute
for Advanced Study di Princeton. In più, Paolo Maffei, con la sua
scrittura chiara ed elegante, aveva certamente dignità letteraria, e la
Terza Pagina de La Stampa, curata da Lorenzo Mondo, aveva già
tra i suoi collaboratori Primo Levi, testimone sopravvissuto ai lager
nazisti (Se questo è un uomo, La tregua), ma prima ancora laureato
in chimica, e poi autore di racconti e romanzi nutriti di scienza e
tecnologia (Storie naturali, Vizio di forma, Il sistema periodico...).
Nel 1981 il direttore de La Stampa Giorgio Fattori ebbe l’idea di
creare un supplemento scientiico come inserto del quotidiano, quel
“Tuttoscienze” che poi curai per 25 anni. Maffei non scrisse mai, credo,
per “Tuttoscienze”, difendeva con passione il principio di una cultura
complessiva, non suddivisa in umanistica, artistica e scientiica.
Perciò continuò a scrivere per la Terza Pagina, che probabilmente
sentiva più congeniale, perché lo metteva in contatto con un pubblico
non settoriale, anzi, fatto in prevalenza di umanisti, ai quali gli
interessava parlare. Ma con Maffei mi sentivo in lunghe telefonate,
ora per consigli, ora per l’uscita di libri (in particolare quello sulla
cometa di Halley), o per interviste alla radio e in TV (collaboravo a
una trasmissione radiofonica del Terzo Programma che si intitolava
“Incontri con la scienza”). Talvolta, erano semplici chiacchierate di
aggiornamento: mi teneva informato sul suo passaggio all’Università
di Perugia in cui si stava istituendo il Corso di Laurea in Fisica, sul
suo impegno per creare in quella città un Osservatorio, sul suo lavoro
nell’astronomia infrarossa, che lo portò a concepire un telescopio da
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collocare in Antartide, come poi è stato. Attualmente, il telescopio
antartico è collocato a Dome C e porta il suo nome.
Un giorno si potrà andare alla ricerca degli articoli di Paolo Maffei
per La Stampa come ora Roberto Nesci ha fatto con quelli per
l’Astronomia. Ma qui i lettori ne troveranno un assaggio, un articolo
che ha lasciato nella mia memoria una traccia duratura, e che ho
voluto ritrovare e inserire in questa raccolta. È intitolato “Colori nel
cielo” e fu pubblicato sulla Terza Pagina de La Stampa il 18 maggio
1982. L’occhiello diceva: “Tra scienza e falsiicazione”.
Maffei criticava l’abitudine dei giornali e dei rotocalchi di offrire
ai lettori immagini vistosamente colorate di nebulose e galassie,
mentre chi ha messo l’occhio al telescopio sa che le sfumature sono
delicatissime e dificili da cogliere, ma proprio per questo risultano
cariche di fascino scientiico, di bellezza e di poesia.
Maffei veniva da un mondo di lastre fotograiche in bianco e nero
pazientemente riprese con ore di posa al telescopio, aveva aperto la
strada all’astronomia infrarossa ed era entusiasta della rivoluzione
delle “nuove astronomie” che indagavano l’Universo nei raggi
ultravioletti, X e gamma. Ma proprio perché sapeva benissimo che il
colore è “informazione”, chiedeva rispetto per i colori. Non voleva
un cielo che sembrasse un Luna Park.
Sarà istruttivo rileggere quell’articolo oggi, immersi in una
astronomia che ha lasciato le lastre fotograiche per l’elettronica dei
CCD e con una comunità scientiica che ha necessità di “falsi colori”
per darsi un codice interpretativo delle immagini ottenute fuori della
banda visibile dello spettro elettromagnetico. Nuovi colori. Preziosi.
E tuttavia meno suggestivi dell’antico bianco e nero.
Piero Bianucci
La copertina del famoso testo di divulgazione
astronomica Al di là della Luna di Paolo Maffei,
edito da Mondadori nella Biblioteca della EST.
L’opera è liberamente disponibile in formato PDF
all’indirizzo www.archiviomaffei.org/pubbl.html
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Prologo
Guardando il cielo a occhio nudo, le stelle sembrano tutte uguali,
a parte le differenze di splendore e di colore. In realtà, in prima
approssimazione, le stelle sono simili al Sole, ma possono differire
molto dal Sole e tra loro per dimensioni, massa e temperatura.
Molte stelle, inoltre, variano alcune delle loro caratteristiche in
breve tempo, altre sono circondate da nebulose, altre, che all’occhio
appaiono singole, sono invece composte da più corpi che si muovono
vertiginosamente intorno a un baricentro comune. E non è tutto.
Alcune stelle sono state, o sono ancora, veri enigmi la cui soluzione
ha spesso condotto alla scoperta di nuovi e strani corpi celesti o di
fenomeni inattesi.
Oltre a questo, la maggior parte delle stelle visibili a occhio nudo ha
avuto diversi rapporti con l’uomo nel corso della sua storia, aiutandolo
nella navigazione, nell’agricoltura, nel calendario, rappresentando
i suoi miti, ispirandogli presunte inluenze. Per queste ragioni, a
partire da questo numero [della rivista L’Astronomia, NdR], verranno
presentate le stelle più interessanti (e non saranno poche!) ognuna
delle quali verrà ricordata nei suoi tratti essenziali storici e scientiici.
In questi articoli, insomma, i lettori potranno approfondire la
conoscenza individuale delle stelle più famose e straordinarie e, con
il tempo, farsi un’idea più precisa della grande varietà di oggetti che
si nasconde in quei punti brillanti, che solo l’enorme distanza sembra
rendere così insigniicanti e simili tra loro.
Paolo Maffei
Gennaio 1981
13
1. Sirio
Nelle rigide notti invernali, il cielo meridionale è dominato da una
stella fulgidissima, più alta nel cielo della Sicilia, più bassa in quello
dell’Italia Settentrionale, ma sempre splendida e inconfondibile, se
non altro perché non ha rivali in tutta la volta celeste.
Questa stella è Sirio, la più
luminosa del cielo, bianca
azzurrina e scintillante
come un brillante. Solo i
pianeti Venere, Giove e,
in certi periodi, Marte la
superano in splendore, ma
si distinguono nettamente
da essa per la loro luce
calma, pressoché priva di La stella Sirio (Sirius) nella costellazione del Cane
scintillazione, come avviene Maggiore (CMa).
per tutti i pianeti, cosicché,
anche nell’aspetto, Sirio rimane unica.
Tanto splendore è dovuto, prima di tutto, al fatto che Sirio è
intrinsecamente molto brillante: se fosse al centro del Sistema Solare,
la vedremmo 23 volte più luminosa del Sole. Tuttavia, si conoscono
stelle che sono centinaia, migliaia di volte più luminose del Sole; le
più luminose conosciute giungono a essere quasi mezzo milione di
volte più splendenti. Ma sono molto lontane, tanto distanti da essere
addirittura invisibili a occhio nudo. Sirio invece è anche vicina, anzi
è una delle stelle più vicine a noi.
La sua distanza è di 8,6 anni luce. Ciò signiica che la luce che ci
giunge in queste sere era partita da Sirio appena 8,6 anni fa o, se
vogliamo ragionare in termini astronautici, che viaggiando alla metà
della velocità della luce potremmo fare un viaggio di andata e ritorno
ino a Sirio, o ad uno dei suoi pianeti - se ne ha - in poco più di una
trentina di anni. L’esplorazione del sistema di Sirio sarebbe dunque
possibile nell’arco della vita di un uomo.
14
Il levare eliaco di Sirio
Come si è detto, Sirio domina il cielo notturno per tutto l’inverno.
Ma, com’è noto, il Sole appare spostarsi tra le costellazioni nel corso
dell’anno, percorrendo tutto lo Zodiaco, con un moto apparente che
non è altro che il moto rilesso di quello della Terra intorno al Sole.
Ora, una parte delle costellazioni, cioè quelle della zona nella quale si
proietta il Sole in un certo giorno dell’anno, sorgendo e tramontando
con esso, non si vede perché è al di sopra dell’orizzonte di giorno,
quando il Sole l’offusca con il suo splendore. Scorrendo il Sole
lungo lo Zodiaco, le costellazioni che lo accompagnano si rinnovano
continuamente e quindi si rinnova anche l’aspetto del cielo notturno
che, osservato sempre alla stessa ora nei vari mesi (per esempio alle
21), inisce per mostrare, a poco a poco, tutte le costellazioni. Così,
avviene che anche Sirio, con il sopraggiungere della primavera,
appare avvicinarsi sempre più al Sole, tramontando ogni giorno più
presto e diventando inine invisibile, perché percorre il suo cammino
celeste di giorno. Ma, continuando il Sole il suo percorso apparente
sulla volta celeste, a un certo punto la sorpassa e poi se ne allontana,
e un bel giorno Sirio appare nella luce dell’alba, precedendo il Sole
nel suo sorgere; al contrario di alcuni mesi prima, in cui lo seguiva
nel suo tramonto.
Il fenomeno della prima apparizione annuale di Sirio nel cielo del
mattino viene chiamato “levare eliaco” di Sirio. La stessa deinizione
si applica a tutte le altre stelle. Così vi è un levare eliaco di Antares,
un levare eliaco di Aldebaran ecc. Naturalmente, il giorno del levare
eliaco dipende dallo splendore della stella, perché più la stella è
debole più il Sole deve allontanarsi da essa, cosa che richiede più
giorni. Inoltre, dipende anche dalla profondità che ha il Sole al di
sotto dell’orizzonte in quell’epoca, perché più il Sole è al di sotto
dell’orizzonte nel momento in cui sorge la stella e più facilmente, e
quindi più presto, si vedrà riapparire la stella.
La profondità del Sole sotto all’orizzonte per un certo luogo, in uno
stesso giorno, dipende d’altra parte dall’inclinazione della sfera
celeste sull’orizzonte, cioè dalla latitudine del luogo. Per esempio,
rimanendo nel caso di Sirio, il suo levare eliaco alle latitudini vicine
all’equatore si veriica diversi giorni prima che a quelle dell’Italia.
Il levare eliaco di Sirio ebbe un’importanza enorme nell’antico
Egitto. Tutti sanno che l’economia, anzi la vita, di quella nazione
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era regolata dalle inondazioni del Nilo che si veriicavano una volta
l’anno e, apportando nuovo e fecondo humus, quando le acque si
ritiravano dalle zone allagate lasciavano un terreno fertilissimo
per tutte le colture e specialmente per il grano. L’anno egizio era
composto da 365 giorni, 360 dei quali erano distribuiti in tre stagioni
(tetramenie) di quattro mesi ciascuna e 5 (detti giorni epagomeni)
venivano aggiunti alla ine, senza appartenere ad alcun mese.
In seno a ogni stagione, poi, i mesi si distinguevano attraverso
le lunazioni come quello della I, II, III e IV Luna. Questo tipo di
anno, chiamato “anno vago”, durava sempre 365 giorni esatti. Ma
l’anno tropico, ossia l’intervallo di tempo tra due ritorni consecutivi
del Sole nel punto corrispondente all’equinozio di primavera, dura
leggermente di più: a quei tempi durava 365,242447 giorni. Noi
oggi teniamo conto anche della frazione di giorno, attraverso l’anno
bisestile, ma gli antichi Egizi non lo facevano, con il risultato che
il loro anno civile scorreva indietro lentamente rispetto all’anno
solare, cioè anche rispetto alle stagioni. Le stagioni, però, essendo
determinate dal Sole, seguivano il suo corso, rimanevano isse
rispetto a questo e issa rimaneva anche l’inondazione del Nilo,
legata a fenomeni stagionali.
Il Nilo cominciava a crescere al di sotto dell’ultima cateratta intorno
al solstizio d’estate, il 21 o 22 giugno del nostro calendario isso.
S’iniziava così l’anno e la tetramenia delle acque, durante la quale in
100 giorni raggiungeva il colmo della piena, si goniava e straripava.
Quando il Nilo si ritirava, all’inizio di ottobre nell’Alto Egitto e 15
giorni più tardi nel Delta, si seminava il grano e iniziava la tetramenia
della ioritura. Alla ine del nostro febbraio, inine, cominciava la III
tetramenia, quella delle messi, si compiva la raccolta dei prodotti e
si attendeva l’inondazione successiva.
Questo era il corso delle stagioni, ma purtroppo il loro computo non
si poteva fare attraverso l’anno vago che, come si è visto, si spostava
continuamente. Così, benché la conoscenza della data in cui si
veriicava la piena del Nilo fosse di enorme importanza, gli Egizi non
potevano collocarla nel loro calendario mobile. Essi scoprirono allora
direttamente un segno nel cielo: il levare eliaco di Sirio che 3000 anni
prima di Cristo, alla latitudine di Meni, seguiva di soli tre giorni il
solstizio estivo e l’inizio dell’inondazione del Nilo nell’Alto Egitto.
Questa stella, che riapparendo nella luce dell’alba annunciava a un
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intero popolo l’evento più importante dell’anno e l’inizio dell’anno
stesso, era chiamata Sothis e considerata una manifestazione della
dea Iside. Le iscrizioni del tempio di Dendera ricordano i titoli e gli
attributi che gli Egizi davano a Iside-Sothis. I principali sono: l’occhio
destro di Ra; il diadema sulla fronte di Ra; la stella che annuncia il
primo giorno dell’anno; la signora del principio dell’anno; quella
che occupa nell’etere il posto più degno; quella che produce il levar
del Sole; la sublime nel cielo; quella che riluce nel cielo appresso Ra:
l’aurea Sothis.
L’attuale denominazione di Sirio è di origine più tarda perché derivò
dal greco seirios (“scintillante e infuocata”) usata dagli antichi poeti
greci per le stelle in genere, ma applicata da Esiodo, in particolare,
alla nostra stella.
Il periodo sotiaco
Con il passare del tempo, la posizione di Sirio sulla volta celeste
cambia lentamente per effetto di diversi fenomeni, come il moto
proprio (che, come vedremo tra poco, fu scoperto da Halley nel
1718), la precessione degli equinozi e la variazione dell’obliquità
dell’eclittica. Ma fu trovato attraverso il calcolo che questi effetti
si combinarono in modo tale che per oltre 3000 anni prima dell’era
volgare Sirio mantenne pressoché inalterata la sua posizione sulla
sfera celeste, e l’intervallo fra due ritorni successivi del suo levare
eliaco fu quasi costantemente ed esattamente uguale a 365 giorni e 6 ore.
La rivoluzione eliaca di Sirio era dunque di 6 ore più lunga dell’anno
vago, in modo che quest’ultimo anticipava su quello determinato da
due levate eliache successive di Sirio di 1 giorno ogni 4 anni. In capo
a 365 x 4 =1460 anni vaghi, il levare eliaco di Sirio aveva ritardato
di 365 giorni rispetto all’inizio dell’anno vago. Così, alla ine del
1461° anno vago, il levare eliaco di Sirio si veriicava nuovamente
il primo giorno dell’anno vago. Questo lungo ciclo, scoperto molto
probabilmente solo verso l’inizio dell’era volgare, è noto con il nome
di “periodo sotiaco”.
Da ciò appare chiaro che l’affermazione che il levare eliaco di Sirio
coincideva con l’inizio dell’anno che abbiamo fatto poco fa e che
risulta dalle iscrizioni di Dendera, fu valida solo nell’epoca in cui
fu sistemato il calendario e, successivamente, ogni 1460 anni, al
compiersi di ogni periodo sotiaco.
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La canicola
La sollecitudine con cui Sirio, con il suo apparire, avvisava gli
agricoltori fu paragonata a quella con cui un cane avvisa il padrone,
e la stella, nell’antico Egitto, ebbe anche il nome di Cane, con il cui
gerogliico veniva rappresentata. Il nome fu esteso in seguito a tutta
la costellazione della quale Sirio fa parte, che ancora oggi si chiama
Cane Maggiore, distinguendola così da un’altra costellazione, poco
lontana, introdotta successivamente e chiamata Cane Minore.
Ricordando gli Egizi, anche i Romani chiamavano Sirio con il nome
di stella canicula e chiamavano “canicolari” i giorni più torridi
dell’estate che associavano anche alla presenza del Sole nel segno
zodiacale del Leone (il “solleone”, appunto). In realtà, la levata
eliaca di Sirio corrispondeva all’ingresso del Sole nel segno del
Leone solo nel 400 a.C. e per la latitudine del Basso Egitto. I Romani
presero questa osservazione senza tener conto della differenza di
epoca e di latitudine, ma riferendola semplicemente ai giorni più
caldi dell’estate.
D’altronde, anche noi continuiamo a chiamare canicolari i giorni dal
3 luglio all’11 agosto, senza più alcun riferimento al levare eliaco di
Sirio che si veriica ormai alla ine di agosto.
Le ricerche su Sirio
Si è visto che tra i vari attributi che gli Egizi davano a Sirio c’era
quello di Aurea Sothis. Prendendo questo attributo come un’allusione
al colore, la cosa sorprende perché, come ognuno può facilmente
constatare, l’attuale Sirio è bianchissima e, semmai, sembra tendere
all’azzurro. Ma prestando fede ad alcuni autori antichi, duemila anni
or sono Sirio sarebbe stata addirittura rossa. Orazio, nella V satira
del II libro, la chiama rubra canicula; rossa è anche secondo Seneca
che ne parla nel I Libro delle sue Questioni Naturali e rossa sembra
essere anche secondo i traduttori latini di Arato e secondo certe
interpretazioni di alcuni passi dell’Iliade.
Ma la testimonianza più autorevole a favore del colore rosso di Sirio è data
dallo stesso Tolomeo, colui che ci tramandò tanta parte dell’astronomia
antica nel ben noto Almagesto. Nel catalogo di 1022 stelle contenuto
in quest’opera, che non è altro che un’edizione revisionata di quello
di Ipparco, vi sono 6 stelle che egli indica come rosse e tra queste è
Sirio, che oggi è bianca. Le altre appaiono ancor oggi rosse (Aldebaran,
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Antares, Betelgeuse), o arancione (Arturo, Polluce).
Queste testimonianze turbarono molto gli astronomi dello scorso
secolo [l’Ottocento, NdR], non solo per la relativa rapidità con cui
sarebbe avvenuto il cambiamento di colore, ma anche perché le idee
allora correnti sull’evoluzione inducevano a ritenere che le stelle
si evolvessero solo nel senso di un raffreddamento progressivo e
quindi sarebbero dovute passare, semmai, dal bianco al rosso (come
un metallo che si raffreddi) e non viceversa. G.V. Schiaparelli, in
un’approfondita discussione, mostrò che c’erano anche autori secondo
i quali la stella appariva bianca e mise in dubbio la colorazione rossa.
T.J.J. See, sempre alla ine dello scorso secolo, sulla base dello stesso
materiale storico, concluse che nel passato Sirio era rossa.
L’argomento fu ripreso nel 1916 da F. Boli e nel 1927 dallo stesso
See, e soprattutto è stato rimesso in discussione ultimamente, non
più studiando antichi testi, ma interpretando isicamente risultati
moderni. Riprenderemo questo discorso tra poco, dopo aver visto
ciò che è stato scoperto su Sirio più recentemente. Il primo risultato
interessante fu certamente quello di E. Halley che nel 1718 scoprì
che Sirio appare spostarsi sulla volta celeste per effetto di un suo
moto reale nello spazio.
Lo spostamento è piccolissimo, appena 1”,324 all’anno, ma già
suficiente per provocare una variazione di 44’ in 2000 anni.
Dall’inizio dell’era volgare a oggi, dunque, Sirio si è spostato sulla
volta celeste di una quantità pari a circa una volta e mezza il diametro
apparente della Luna. Lo spostamento angolare osservato è solo la
componente perpendicolare alla visuale del moto reale nello spazio.
In effetti, Sirio si muove nello spazio in modo obliquo, avvicinandosi
a noi con una velocità di 7,24 km/s.
La compagna di Sirio
Osservando la traiettoria percorsa in cielo a distanza di decenni, si
scoprì che non era rettilinea, ma seguiva, stranamente, una specie di
serpentina. Il grande astronomo e matematico tedesco F.W. Bessell,
tra il 1834 e il 1844, interpretò queste irregolarità come perturbazioni
dovute a un secondo corpo, invisibile. La notte del 31 gennaio 1862
A.G. Clark, celebre costruttore di telescopi statunitense, provando il più
grande rifrattore di allora, con obiettivo del diametro di 47 centimetri,
appena costruito da suo padre, scoprì una stellina di magnitudine 8,6
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vicinissima a Sirio, che appena si distingueva, soffocata com’era dal
prepotente splendore della compagna più luminosa.
Da allora, nonostante la dificoltà dell’osservazione, la posizione delle
due stelle fu ripetutamente misurata e oggi sappiamo con certezza
che Sirio B si muove intorno a Sirio A compiendo una rivoluzione
completa ogni mezzo secolo (49,98 anni, per l’esattezza). Nel corso
di ogni rivoluzione, Sirio B appare avvicinarsi ino ad appena 3”
e allontanarsi ino a 11”,5 da Sirio A. Questa seconda circostanza,
particolarmente favorevole alle osservazioni, si è veriicata l’ultima
volta nel 1975.
Dal momento che Sirio era una stella doppia e che si erano ricavate
le orbite di entrambe le componenti intorno al baricentro comune, si
potevano ottenere le masse delle due stelle. Risultò così che Sirio A
“pesava” 2,35 volte e Sirio B 0,98 volte il Sole.
Fin dal momento della scoperta Sirio B aveva colpito per una
particolare stranezza: il suo debole splendore rispetto a Sirio A. La
differenza tra le magnitudini delle due stelle aveva mostrato subito
che Sirio B appare 10 mila volte più debole di Sirio A, e questa
differenza di splendore deve essere reale, perché entrambe le stelle
sono alla stessa distanza da noi.
Una differenza tanto forte può essere spiegata, schematicamente, in
due modi. Lo splendore di Sirio B potrebbe essere minore perché la
quantità di radiazione (e quindi di luce) emessa da ogni centimetro
quadrato della supericie è minore. Ciò può avvenire solo se la
temperatura supericiale di Sirio B è molto più bassa di quella di
Sirio A. Altrimenti, ammettendo che la temperatura supericiale sia
la stessa, l’energia irradiata dall’unità di supericie deve essere la
stessa e la stella può apparire più debole solo se l’area della supericie
emittente totale è minore. In altre parole, in questo secondo caso
Sirio B deve essere molto più piccola di Sirio A. Se la temperatura
di Sirio B fosse stata molto più bassa di quella di Sirio A il colore
avrebbe dovuto essere rossastro.
La determinazione del colore o, meglio ancora, la registrazione di uno
spettro di Sirio B era dunque di importanza decisiva. Quest’impresa
si rivelò in dall’inizio tutt’altro che facile, a causa del preponderante
splendore di Sirio A. Finalmente, nel 1915, W. Adams riuscì a ottenere
uno spettro di Sirio B con il telescopio da 1,50 m dell’Osservatorio
di Monte Wilson.
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