M. Delsignore, La legittimazione delle associazioni ambientali nel

LA LEGITTIMAZIONE DELLE ASSOCIAZIONI AMBIENTALI NEL
GIUDIZIO AMMINISTRATIVO: SPUNTI DALLA COMPARAZIONE CON LO
STANDING A TUTELA DI ENVIRONMENTAL INTERESTS NELLA JUDICIAL
REVIEW STATUNITENSE.
Dir. proc. amm., 2013, 03, 0734
Monica Delsignore
SOMMARIO: 1. Premessa. — 2. L'emersione degli interessi diffusi alla tutela
dell'ambiente come giuridicamente rilevanti e l'insufficienza della legittimazione
individualistica. — 3. La legittimazione delle associazioni ambientali in Italia. —
4. I presupposti generali dello standing a tutela di environmental interests
nella judicial review statunitense. — 4.1. Le apparenti aperture della Corte
Suprema. — 4.2. Le possibili giustificazioni della legittimazione attenuata
nell'ordinamento statunitense. — 5. Verso quali orizzonti?
1. Con questo scritto ci si interroga sui limiti all'accesso alla tutela giudiziale
degli interessi ambientali in una prospettiva comparata con il sistema
statunitense, ove la questione della legittimazione dei portatori di tali interessi
ha avuto una tradizione, importanza pratica e frequenza assai maggiori che in
Europa e, in quanto tale, è stata oggetto dell'attenzione della giurisprudenza e
di importanti contributi in dottrina (1).
Il riferimento ai limiti alla legittimazione non va inteso con accezione negativa;
piuttosto si tratta di verificare e comprendere quali siano gli spazi riconosciuti
dal legislatore e dalla giurisprudenza a tali posizioni giuridiche. Come noto, il
dibattito è tutto sommato recente, nato negli anni '70 a seguito di interventi
giurisdizionali (2) a “supplenza” del legislatore o dell'amministrazione pubblica
e acuitosi nel proseguo nella ricerca del corretto equilibrio tra l'introduzione di
nuovi modelli normativi di tutela degli interessi ambientali e l'individuazione dei
rimedi processuali idonei a garantire il controllo del giudice (3).
Nel contesto storico e culturale degli anni '70 matura la constatazione che
l'interesse alla cura e protezione dell'ambiente naturale ha carattere diffuso,
poiché non appartiene a singoli individui in quanto tali, ma alla collettività. La
tutela contro la violazione di tale interesse assume caratteristiche del tutto
particolari ed un'importanza fino ad allora ignota nella storia delle civiltà e del
diritto. Si mette in luce la chiara insufficienza della tradizionale dicotomia
pubblico-privato nell'emergente società moderna di massa. Le violazioni contro
le quali la giustizia è intesa a dare protezione divengono non soltanto violazioni
di carattere individuale, ma anche di carattere collettivo e i vecchi strumenti di
rappresentanza — parte privata per l'interesse individuale e Pubblico Ministero
per l'interesse pubblico — si rivelano inadeguati, soddisfacenti una dicotomia
superata e non più corrispondente alla ben più complessa realtà (4).
La questione della legittimazione e, quindi, dell'accesso alla giustizia dei
portatori degli interessi ambientali, permette di verificare quali soluzioni il
legislatore e la giurisprudenza abbiano ritenuto di adottare per rendere il
processo accessibile ai nuovi bisogni diffusi, che rappresentano un aspetto
vitale e centrale per l'armonico sviluppo della società contemporanea, e per
ovviare alla constatazione di allora che un interesse che appartiene a molti non
appartiene a nessuno (5).
La questione è tanto più attuale nelle dimensione europea. Con il recepimento
della Convenzione di Aahrus l'Unione Europea avrebbe, infatti, individuato la
necessità di garantire elevati standards di tutela degli interessi ambientali,
anche in termini di accesso alla giustizia per le associazioni. Si ricordi, non da
ultimo, che la stessa Corte di giustizia (6) ha precisato che la conformazione
soggettivistica della giustizia amministrativa di uno Stato membro, nella specie
la Germania, non può andare a discapito della legittimazione al ricorso delle
associazioni ambientali.
Da qui l'utilità di una comparazione con sistemi diversi, per comprendere se
l'approccio sia il medesimo e confrontare i risultati raggiunti ovvero le soluzioni
mancanti.
Un grande studioso (7) evidenziava l'utilità da sempre riconosciuta al diritto
comparato allo scopo sia di illuminare il legislatore — con la presentazione di
largo materiale legislativo, ove poter attingere tendenze e realizzazioni — sia di
cementare più legislazioni difformi in una superiore uniforme — come fu ai
tempi del diritto comune, e come accade oggi con il diritto europeo — sia con
la finalità teorica di aggiungere, appunto attraverso la comparazione giuridica,
nuova testimonianza a una data soluzione giuridica.
Ciò è evidente nel diritto amministrativo, forse più che in altre aree del diritto,
tanto che la comparazione costituisce un processo di apprendimento comune:
utile non soltanto a scopi conoscitivi, ma anche ai fini della politica del diritto e
dello ius condendum (8).
Nel cimentarsi nella comparazione, anzitutto, l'auspicio è di riuscire
nell'intento, tanto più difficoltoso nella complessità degli ordinamenti moderni (9). Il diritto comparato, come at tentamente precisato (10), è altra cosa dalla
conoscenza di un ordinamento giuridico straniero, che è mero presupposto.
L'abilità del comparatista consiste, forse, nel porre in risalto le affinità e i
contrasti tra le istituzioni giuridiche considerate, per cogliere con maggior
vivezza le particolarità di un dato istituto, assodandone l'originalità o, nel caso
di affinità, contribuendo alla miglior formulazione di una categoria generale (11). Il diritto comparato è dunque una scienza utile a comporre un panorama
dell'istituto considerato, che può e vuol essere qualcosa di più di una semplice
e ordinata descrizione (12).
Affinché la comparazione sia utile occorre, anzitutto, che gli oggetti siano
efficacemente comparabili e tali appaiono gli istituti della legittimazione e dello
standing nella tutela di interessi ambientali, poiché si tratta di prerogative che
entrambe emergono alle soglie del giudizio, senza incidere sull'oggetto del
giudizio stesso; ambedue gli istituti, inoltre, in quanto condizioni dell'azione,
segnano il confine della conoscenza del giudice sul merito della controversia e,
dunque, forniscono indicazioni precise circa i margini di tutela giustiziale che
l'ordinamento riconosce agli interessi ambientali (13).
Lo studio vuol essere utile, inoltre, a qualche riflessione sul ruolo e sulla finalità
del giudizio quando appunto la controversia verta su interessi ambientali. La
disciplina della legittimazione, infatti, incide e connota i caratteri della giustizia
amministrativa nel nostro sistema: tanto più le maglie della legittimazione
tendono ad ampliarsi, tanto più il sindacato del giudice diventa un controllo
diffuso dell'esercizio del potere amministrativo. Similmente, come meglio si
avrà modo di evidenziare, la disciplina dello standing ai fini della judicial review
suscita dubbi e interrogativi sia quanto agli spazi da riconoscere al potere
giurisdizionale rispetto all'amministrazione, secondo i principi della separation
of powers sanciti nella Costituzione, sia quanto alle funzioni proprie del giudice,
che spesso manipola l'istituto al fine di poter decidere il caso concreto nel
merito (14).
Tali considerazioni, pur provenienti da un sistema in cui il controllo
giurisdizionale sull'amministrazione resta sullo sfondo, quasi come una seconda
istanza di un giudizio che si è già svolto nell'amministrazione (15), appaiono
utili anche per la comprensione e lo studio del nostro sistema in cui invece
troppo spesso il giudizio è utilizzato non per censurare scelte amministrative
illegittime, ma per fini politici ovvero con l'intento di rinviare più avanti nel
tempo la costruzione di opere o l'inizio di attività produttive.
2. La nozione di interesse diffuso è ormai matura e distinta da quella di
interesse collettivo, chiaritosi, che, pur essendo entrambi comuni a più
soggetti, l'interesse diffuso è tale in quanto pertinente “identicamente ad una
pluralità di soggetti più o meno determinata e determinabile, eventualmente
unificata” (16). La iniziale relatività della nozione si deve all'impegno “di
conquistare all'ordine giuridico « nuovi » strati di interessi (colti nel significato
socio economico del termine, quale rapporto fra bisogni e beni idonei ad
appagarli), finora privi di riconoscimento sostanziale e processuale o solo
marginalmente dotati di efficace strumentazione operativa”. L'interesse diffuso
occupa, come ben si è detto (17), una posizione intermedia tra l'interesse
individuale, che può essere anche di molti altri individui ma ha per oggetto
beni diversi anche se uguali, e l'interesse generale, proprio della generalità dei
soggetti.
Si tratta di situazioni soggettive che si caratterizzano per una dimensione
dinamica e di accentuata interindividualità, di ampia diffusione sociale, non
precisamente riconducibili a gruppi organizzati (18), ma esistenti allo stato
fluido, e in qualche modo collegati o utili alla miglior tutela dell'interesse
pubblico (19).
Ed è proprio la differenziazione o qualificazione di tali interessi diffusi rispetto
all'interesse pubblico generale a rappresentare, da un punto di vista storico e
sociale, la novità del fenomeno, legato all'evoluzione della società di massa, al
ruolo dell'Amministrazione e all'attenzione dei cittadini e degli utenti nelle
scelte che coinvolgono la società contemporanea e si riflettono sul vivere
quotidiano.
Al contempo, tale differenziazione e la distinzione dell'interesse diffuso rispetto
all'interesse pubblico sono il sintomo della disaffezione verso il potere e
tradiscono la scarsa credibilità dell'azione amministrativa in merito alle scelte
organizzative e programmatiche, ma anche provvedimentali, che si riflettono
sull'ambiente, come anche sulla salute o sul vivere comune della società di
massa.
L'emersione dell'interesse alla tutela dell'ambiente quale interesse diffuso
esprime, almeno in parte, la ritenuta incapacità dell'amministrazione,
soprattutto quando essa cura interessi generali, di offrire la giusta
considerazione e valorizzare tale pretesa, posto che, sino a quel momento, la
tutela di interessi non individualizzati era affidata al potere politico.
Certo esistono moltissime amministrazioni che curano, esclusivamente, ma non
solo, l'interesse dell'ambiente, che deve perciò dirsi anche interesse pubblico.
Nulla esclude, però, che associazioni o gruppi di privati si organizzino per
curare quel medesimo interesse; e ciò è accaduto ed accade quando tali
soggetti non ritengano adeguato e conveniente l'operare dell'amministrazione.
Se il Comune non dispone la chiusura dell'inceneritore obsoleto e altamente
inquinante in risposta alla petizione di parte dei cittadini residenti, è probabile
che si formi spontaneamente un'associazione a tutela dell'interesse ad un
ambiente salubre. Se la programmazione urbanistica prevede l'insedia mento
di una nuova zona industriale non lontano dall'area verde ove la cittadinanza si
riversa nelle vacanze estive, parte degli abitanti facilmente costituirà un
comitato ritenendo la scelta potenzialmente lesiva della fruibilità
dell'ecosistema e del territorio.
L'interesse ambientale in quanto interesse diffuso non è interesse pubblico;
anzi, solo in quanto tale, l'interesse diffuso è distinto e contrapposto
all'interesse pubblico, sì da chiedersene la tutela davanti al giudice
amministrativo.
In estrema sintesi, poiché si tratta di questioni note e ampiamente dibattute,
se fino agli anni '70 si dubitava della capacità degli interessi diffusi di
distinguersi, nel senso che l'interesse diffuso, in quanto proprio a molti, non
era tutelabile, gli interventi della dottrina e giurisprudenza hanno messo in luce
che l'interesse pure di molti pertiene in concreto alla vita di singoli individui. Si
è così tentato di ricondurre gli interessi diffusi alle situazioni tutelate, di diritto
o di interesse legittimo, davanti alla giurisdizione adita.
Il plauso per l'indirizzo liberale assunto in favore dell'ingresso alla giustizia
delle nuove posizioni ha suscitato, però, non poche perplessità quanto alla
correttezza dello sforzo esegetico di camuffare gli interessi collettivi in interessi
individuali (20). Di tale percorso e della sua successiva evoluzione si ragionerà
nel paragrafo successivo.
Qui, invece, si vuol porre l'accento sull'interpretazione che accomuna, anzi
assimila gli interessi diffusi organizzati e rappresentati dall'associazione agli
interessi individuali. Siffatta equiparazione nasce dalla necessità di garantire
una tutela sino ad allora negata, ma richiede, senz'altro, il successivo
intervento del legislatore.
In tal senso, con il pensiero rivolto all'ordinamento di comparazione,
l'emersione degli interessi diffusi come posizione giuridica qualificata presenta
taluni punti di contatto con la parabola della new property negli Stati Uniti e
del riconoscimento di posizioni giuridiche a fronte di elargizioni o dinieghi di
benefits da parte dell'Amministrazione (21).
Nell'ordinamento statunitense nella ricerca di offrire tutela a situazioni sino ad
allora escluse dall'accesso alla giustizia — quali erano, ancora negli anni '70, le
posizioni derivanti da relazioni vantaggiose in essere con il potere pubblico —
si scelse di ricondurle al modello tradizionale e così di assimilarle alla libertà e
alla proprietà, tutelate nel V e XIV emendamento contro eventuali interventi
riduttivi dello Stato. Allo stesso modo nella ricerca di offrire tutela a situazioni
quali gli interessi diffusi, nel nostro ordinamento si è tentato di assimilarli
all'interesse legittimo, secondo le categorie tradizionali di cui agli artt. 24 e 113
della Costituzione. La forzatura del modello tradizionale, e la diluizione del
concetto di proprietà che ne deriva, rivelano — allo stesso modo della forzatura
del modello processuale per dare ingresso agli interessi diffusi e della diluizione
del concetto di interesse legittimo che ne deriva — l'inidoneità o, comunque, i
limiti dei concetti classici a spiegare il fenomeno, che non si colloca nella
categoria tradizionale di una controversia bipolare.
Talora, infatti, l'esegesi non consente di pervenire a risultati soddisfacenti nel
lungo periodo; la forzatura nell'interpretazione diventa così la premessa ai fini
della successiva riforma. L'intervento della giurisprudenza non è sufficiente a
colmare la lacuna se non temporaneamente e prelude all'intervento del
legislatore al fine di superare le incongruenze.
Sganciare l'interesse legittimo dalla sua dimensione prettamente personalistica
così da farvi rientrare posizioni giuridiche la cui titolarità è riconosciuta in capo
a gruppi sociali stabilmente organizzati, che hanno come fine la tutela degli
interessi della collettività, pare, di fatto, privare l'interesse legittimo della sua
natura di posizione giuridica soggettiva. Certo l'asso ciazione è un soggetto
giuridico dell'ordinamento, ma l'interesse, di cui si fa portatrice, non è la
somma degli interessi individuali dei singoli iscritti. L'interesse deve, invece,
riferirsi alla categoria in modo collettivo. Esso resta di fatto ben distinto
rispetto alla posizione individualista cui tradizionalmente si riferisce l'interesse
legittimo.
Già Alberto Romano (22) avvertiva che la scelta di ampliare la legittimazione
agli interessi diffusi avrebbe comportato, di fatto, un ripensamento della
struttura e dell'utilità che deriva all'esercizio della funzione giurisdizionale nel
processo amministrativo, pur senza stravolgerlo. Le norme costituzionali sono
state formulate in una funzione garantistica: il costituente ha voluto che ai
titolari degli interessi legittimi, comunque questa nozione venga delineata,
fosse garantita la possibilità di adire il giudice amministrativo. Ma, come tutte
le norme di garanzia, esse impongono un minimo, non precludono un di più.
Proprio la concezione del processo amministrativo come processo a tutela di
situazioni giuridiche sostanziali (23), fatta propria dalla Costituzione e da
ultimo chiaramente affermata nel Codice del processo amministrativo (24),
implica che la giurisdizione amministrativa sussista quando vi sia, accanto
all'interesse a ricorrere, legittimazione, nonostante la affermata illegittimità del
provvedimento, ma in virtù dell'esistenza della situazione sostanziale di cui si
chiede tutela. Da qui il necessario distinguo, anche nel diritto processuale
amministrativo (25), tra legittimazione al ricorso e interesse a ricorrere, che si
riferiscono a concetti certamente diversi. Se la legittimazione, come meglio si
preciserà nel prossimo paragrafo, postula la titolarità di una situazione
giuridica differenziata e quindi il riconoscimento di una posizione protetta
dall'ordinamento, l'interesse si riferisce all'utilità ricavabile dall'accoglimento
della domanda di annullamento a prescindere dal suo carattere finale o
strumentale (26).
Legittimazione e interesse al ricorso tracciano allora le coordinate di fondo
dell'azione nel giudizio amministrativo: se il limite negativo della costruzione
dell'interesse legittimo è dato dall'azione popolare, il limite positivo è dato dal
principio costituzionale dell'impugnabilità di ogni atto amministrativo. Tale
principio esige anche che, salvo il limite negativo, si adoperi la maggior
larghezza possibile nell'individuazione dei legittimati al ricorso innanzi al
giudice amministrativo (27).
L'ampiezza delle situazioni protette in diritto amministrativo, cioè nell'ambito
dei rapporti di diritto pubblico, non ha confronti in altri rami del diritto. Ciò per
la struttura accentuatamente pluralistica di codesti rapporti, cui
necessariamente fa riscontro la struttura delle relative potenziali controversie (28).
La tutela e l'accesso alla tutela degli interessi diffusi pongono, allora, una
questione teorica che non è quella di piegare tale posizione allo schema
individualista tradizionalmente pro prio del processo (29), ma, al contrario,
attraverso l'intervento della giurisprudenza e del legislatore, di eventualmente
superare o diversamente modellare quella concezione troppo restrittiva che
non permetteva di riconoscere spazio di tutela a nuovi bisogni meta individuali.
Ciò vale anche da un punto di vista pratico ove si osservi che spesso gli
interessi ambientali nella porzione e considerazione del singolo cittadino sono
di consistenza tale da non giustificare l'impegno o il costo di un ricorso
giurisdizionale (30), posto che le ricadute, anche in termini economici, non
compensano i costi affrontati: il giudizio non mira al risarcimento del danno,
ma alla verifica del rispetto della disciplina ambientale, che solo
indirettamente, e spesso nel lungo periodo, comporta miglioramenti nelle
abitudini di vita del singolo.
Nel cimentarsi con la questione della legittimazione del gruppo ad agire, come
organizzazione o come corpo, a tutela degli interessi comuni ai suoi membri e
commentando la sentenza capostipite di Italia Nostra, si è precisato (31) che
la legittimazione così ampia non si può spiegare attraverso la figura
dell'interesse legittimo, inteso come interesse differenziato, ma è diversa pure
dalla legittimazione diffusa o indifferenziata dell'azione popolare.
Certo il processo non può, o non può di regola, essere aperto anche a chi non
abbia alcun rapporto con l'oggetto dedotto in giudizio; un requisito di
legittimazione ci deve essere, l'actio popularis non può che essere l'eccezione (32).
Da qui l'intervento del legislatore che soddisfi l'esigenza di fissare alcuni
requisiti di legittimazione per i portatori di interessi diffusi, affinché il ricorrente
agisca non soltanto per sé e per il suo individuale tornaconto, ma come
efficace rappresentante dell'interesse comune.
3. Dalle osservazioni precedenti si ricava che la legittimazione costituisce la
questione centrale, il cuore nella tutela degli interessi diffusi legati
all'ambiente; questione che, anche in questo ambito particolare, spesso appare
indistinta o non chiaramente scindibile dal requisito dell'interesse processuale (33).
Il tema della legittimazione, infatti, così come quello dell'azione, rappresenta
un anello di congiunzione tra il diritto sostanziale e il diritto processuale e
richiama all'esigenza di assicurare la continuità tra ciò che è affermato nel
diritto sostanziale e ciò che è garantito nel processo. L'esito del contatto tra i
due mondi non è del tutto scontato (34), soprattutto quando vi sia incertezza
quanto alla qualificazione della situazione protetta. Proprio per questo motivo,
il dibattito sulla legittimazione si è ravvivato all'emergere della posizione di
interesse diffuso o superindividuale che, come si è osservato nel paragrafo
precedente, stentava a trovare una qualificazione secondo le categorie
tradizionali.
Tradizionalmente la legittimazione è una condizione costitutiva del diritto di
azione, in grado di creare in capo al giudice il dovere di decidere il merito. La
legittimazione al giudizio si ha quando “chi agisce in giudizio sia effettivamente
il soggetto o uno dei soggetti, che l'ordinamento considera abilitati a rivolgersi
in proprio al giudice per ottenere il provvedimento giurisdizionale richiesto” (35).
La legittimazione, nel processo civile, assume certo la funzione di “garantire il
titolare di una situazione protetta dalle ingerenze altrui” (36), sì da escludere
che il giudice conosca di controversie in cui le parti non siano gli effettivi
detentori del diritto o interesse che si assume leso. Nel processo
amministrativo, invece, il giudice tende ad esaminare la questione della
sussistenza di una situazione giuridicamente rilevante insieme con l'utilità che
deriverebbe dall'accoglimento del ricorso a chi di tale situazione si afferma
titolare, sicché non sempre i presupposti della legittimazione e dell'interesse,
pur chiaramente distinti in dottrina, risultano distinguibili nelle motivazioni del
giudice in sentenza.
In ogni caso anche la classica concezione della legittimazione, come titolarità di
una situazione giuridicamente rilevante, da subito è apparsa inadatta a
rappresentare gli interessi diffusi o di gruppo, “elemento di un diritto di azione
non più inserito in una prospettiva meramente individualistica” (37).
Come è stato rilevato (38), il concetto di legittimazione è strettamente legato
ad una determinata concezione dell'azione, la quale a sua volta si modella sulla
tutela dei diritti e interessi.
La dottrina (39) evidenzia il limite di tale costruzione nell'essere il ricorrente il
portatore non del suo proprio interesse giuridico individuale, ma di un interesse
comune, diffuso o collettivo, di categoria o di classe. La funzione propria della
legittimazione, come appena ricordata, viene meno, posto che gli interessi
diffusi possono certo convogliarsi in più di un'associazione o gruppo.
Ecco allora che la legittimazione assume un diverso valore, posto che anche il
soggetto portatore degli interessi ambientali, o, in genere, diffusi, deve essere
qualificato, per evitare che si tratti di un rappresentante inadeguato
dell'interesse, non sufficientemente informato, trascurato, poco serio o
perseverante, se non addirittura pronto a collusioni o aperto alla corruzione.
La funzione tradizionale della legittimazione ne risulta stravolta: se infatti la
legittimazione è tesa ad evitare interferenze altrui nella sfera del titolare della
posizione qualificata, quanto agli interessi diffusi la funzione diventa invece
quella di limitare possibili inadeguatezze, lacune nella rappresentatività o
addirittura abusi del portatore degli stessi: norme e istituti, ancorché nati con
un contenuto ideologico diverso, possono certo riempirsi di contenuti nuovi in
grado di rappresentare la realtà in trasformazione.
La scelta del legislatore di introdurre una legittimazione speciale, attribuita ad
associazioni previamente identificate, sulla base di criteri oggettivi e senza
alcuna verifica della titolarità di un interesse qualificato, pare quindi del tutto
condivisibile.
Con l'istituzione del Ministero dell'Ambiente, si è in parte risolto, infatti, il
problema dell'accesso alla giustizia delle associazioni ambientali, laddove l'art.
18 della l. n. 349/1986 attribuisce alle associazioni, individuate secondo i
criteri di cui all'art. 13 della stessa legge, la legittimazione a ricorrere in sede
di giurisdizione amministrativa per l'annullamento di atti amministrativi
pregiudizievoli per l'ambiente.
Il legislatore ha così inteso “assegnare alle associazioni una particolare
legittimazione a ricorrere, per la tutela di interessi che altrimenti sarebbero
stati privi di una garanzia giurisdizionale” (40).
All'applicazione pratica la soluzione legislativa si è prestata a critiche, da un
lato, in ragione della occasionalità e connotazione spesse volte politica
dell'intervento dei soggetti legittimati a tutela degli interessi ambientali (41),
dall'altro, posto che la giurisprudenza aveva nel mentre elaborato, con la nota
Adunanza Plenaria n. 24 del 1979, un indirizzo non del tutto coincidente con
quanto normato.
Il Consiglio di Stato, infatti, fondava la giuridicizzazione degli interessi diffusi
sulla pertinenza degli interessi a collettività insediate su un territorio
geograficamente determinato, fungendo tale localizzazione da fattore di
differenziazione.
Come noto, il giudice amministrativo (42) aveva mutuato tale ultimo requisito
da precedenti decisioni in tema di interventi di programmazione urbanistica o
di autorizzazione all'apertura di un'attività economica concorrente (43).
Al criterio di legittimazione legale si è così, nel tempo, aggiunto un criterio di
legittimazione giurisprudenziale, atto ad ampliare l'ambito individuato dal
legislatore e legato non tanto all'effettiva rappresentatività degli interessi cui è
preposta l'associazione e alla verifica dei fini indicati nello statuto e della
presenza di una struttura stabile, ma anche, e soprattutto, all'elemento della
vicinitas (44) o dello stabile collegamento (45), che valorizza il rapporto tra
organizzazione e territorio in cui si svolge l'attività su cui incide il
provvedimento amministrativo censurato.
In particolare il criterio è stato richiamato per ammettere la legittimazione di
associazioni o gruppi ambientali non in grado di soddisfare i canoni individuati
dal legislatore. Il Consiglio di Stato (46) ritiene che la legittimazione ad
impugnare atti amministrativi incidenti sull'ambiente possa riconoscersi “caso
per caso” anche ad associazioni locali (indipendentemente dalla loro natura
giuridica), “purché perseguano statutariamente in modo non occasionale
obiettivi di tutela ambientale ed abbiano un adeguato grado di
rappresentatività e stabilità in un'area di afferenza ricollegabile alla zona in cui
è situato il bene a fruizione collettiva che si assume leso”.
Tale legittimazione è talora riconosciuta anche laddove l'associazione avanzi
interessi di tutela ambientale per impugnare atti con finalità urbanisticaedilizia, poiché “la materia ambientale per le peculiari caratteristiche del bene
protetto si atteggia in modo particolare: la tutela del'ambiente, infatti, lungi dal
costituire un autonomo settore d'intervento dei pubblici poteri, assume il ruolo
unificante e finalizzante di distinte tutele giuridiche predisposte a favore dei
diversi beni della vita che nell'ambiente si collocano, assumendo un carattere
per così dire trasversale...” (47). In altri casi, invece, il giudice nega la
legittimazione proprio in ragione della valenza non strettamente ambientale
degli atti impugnati (48).
Talora la giurisprudenza affianca al criterio della vicinitas, quasi a corroborarlo,
quello della precedente partecipazione al procedimento amministrativo, ma la
dottrina (49) ha ormai chiarito che legittimazione processuale e
procedimentale appaiono riconducibili a differenti presupposti, nient'affatto
sovrapponibili, sicché la prima non può farsi derivare dalla seconda, se non per
affermare la violazione proprio della disciplina della partecipazione.
Sempre muovendosi dal criterio della vicinitas la giurisprudenza (50) invoca, in
altri casi, il principio di sussidiarietà (51) per riconoscere, accanto a quella
delle associazioni, la legittimazione dell'ente locale (52) o anche del singolo
individuo, derivando la legittimazione da un auspicato sviluppo democratico
della società civile anche a prescindere da ogni presupposto di entificazione (53). Tale opzione suscita non poche perplessità, posto che il principio assume
pregnanza con riguardo all'attività amministrativa e dunque agli interessi
ambientali in quanto interessi pubblici, tutelati dal legislatore con il
meccanismo della garanzia della partecipazione degli enti locali ai procedimenti
con impatto sul territorio cui sono preposti. Sul tema si avrà modo di ragionare
ancora nel proseguo.
L'accesso alla giustizia per le associazioni ambientali è certo oggetto di
attenzione, da ultimo, nel codice dell'Ambien te. L'articolo 309 espressamente
riconosce “le organizzazioni non governative che promuovono la protezione
dell'ambiente, di cui all'articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349” titolari
dell'interesse a presentare denunce e richiedere l'intervento statale a tutela
dell'ambiente. L'articolo 310 — che disciplina la legittimazione ad agire per
l'annullamento degli atti e dei provvedimenti adottati in violazione delle
disposizioni in tema di precauzione, prevenzione o ripristino previste nello
stesso Codice — pur non attribuendo una posizione peculiare e distinta alle
associazioni ambientali, certo ne ammette pur sempre la legittimazione a
ricorrere, essendo le associazioni persone giuridiche che sono o potrebbero
essere colpite dal danno ambientale o che vantino un interesse alla
partecipazione al procedimento.
Trova invece limitazione l'accesso al giudizio delle propaggini locali delle
associazioni ambientali nazionali, pure esse legittimate in base alla legge del
1986 (54). In particolare, se talora la giurisprudenza ammette la
legittimazione, stante il riconoscimento legislativo operato in via generale
senza distinzione di livello locale o nazionale, in altra occasione si sostiene che
l'art. 18 della legge del 1986 investa l'associazione nazionale e, dunque,
escluda le sue propaggini territoriali. La questione è facilmente risolvibile, dal
punto di vista pratico, ove, seguendo le indicazioni della dottrina (55), le
articolazioni locali si ricordino di far rilasciare la procura alle liti dal
rappresentante legale nazionale, invece che dal responsabile locale,
escludendo così ogni rischio di inammissibilità del ricorso.
L'incoerenza della soluzione del giudice amministrativo resta tale, però: da un
lato, si riconosce la legittimazione in capo alle associazioni locali insediate su di
un territorio limita to, mentre le propaggini di associazioni nazionali, pur attive
a livello locale, si vedono negare l'accesso alla giustizia (56).
Ciò sottolinea l'utilità di una riflessione generale di sistema. Certo in base alle
osservazioni precedenti emerge che nel nostro ordinamento la legittimazione
delle associazioni ambientali parrebbe largamente ammessa, grazie alla
combinazione del criterio indicato dal legislatore e di quello individuato dalla
giurisprudenza.
Si osserva, però, che se il criterio normato è chiaro, quello giurisprudenziale,
proprio in quanto tale, lascia margini di ambiguità che proprio in quanto
consentono e, allo stesso tempo, richiedono un intervento del giudice
amministrativo, comportano incertezza, potendo l'indirizzo essere sempre
smentito, pur anche in casi sporadici (57).
Quanto più attuale è allora l'osservazione che sia “... da evitare che vengano
definiti soltanto genericamente o in modo impreciso i fattori legittimanti, con la
conseguenza inopportuna di dilatare la discrezionalità del giudice nella
valutazione di tali fattori: si pensi alla valutazione del grado di
rappresentatività dell'organismo o della serietà dei suoi scopi o ancora della
sua capacità difensiva. Tutti questi elementi devono essere ancorati a criteri di
valutazione per quanto possibile rigidi e indisponibili da parte del giudice; se
ciò non fosse possibile sarebbe forse meglio individuare con provvedimento
formale gli organismi aventi legittimazione.” (58)
Tale questione, come già si anticipava, risulta quanto mai attuale alla luce del
recepimento della Convenzione di Aarhus.
La Convenzione del 25 giugno 1998 (ratificata dall'Italia con la legge 16 marzo
2001, n. 108 ed approvata con decisione del Consiglio del 17 febbraio 2005,
2005/370/CE) disciplina principalmente l'accesso alle informazioni detenute
dalla pubblica amministrazione in materia ambientale e la garanzia della
partecipazione, dei cittadini e delle associazioni che soddisfino determinati
requisiti, ai processi decisionali, in modo da sortire un controllo sociale sui dati
e sulle scelte amministrative (59); inoltre l'art. 9 (60) impegna gli Stati
contraenti a consentire l'accesso alla giustizia (61). Le disposizioni in tema di
accesso alla giustizia sono state in parte riprese dalla dir. 2003/35/CE, in tema
di attività con impatto ambientale, al dichiarato scopo di contribuire
all'attuazione degli obblighi derivanti da Aarhus.
Con l'adozione del Regolamento (CE) n. 1367/2006 (c.d. Regolamento Aarhus)
la Convenzione è divenuta vincolante non più per i soli Stati membri, ma anche
nei confronti degli organi e delle istituzioni europee.
L'attenzione della dottrina e giurisprudenza si è da ultimo concentrata proprio
sugli obblighi in tema di accesso alla giustizia che si debbano o possano
ricavare secondo la lettera dell'art. 9.
In particolare la Corte di giustizia chiamata a valutare l'impatto dell'art. 9 della
Convenzione sulla disciplina processuale europea, richiamando la nota
sentenza Plaumann (62), invoca la sussistenza di una lesione diretta e
individuale quale presupposto generale anche per la legittimazione
dell'associazione ambientale (63) e, di conseguenza, giudica inammissibili i
ricorsi in cui talune organizzazioni impugnino atti europei che, invece, non
riconoscevano alle stesse una posizione differenziata. Ad esempio (64),
Greenpeace è stata ritenuta priva della legittimazione ad impugnare la
decisione della Commissione di versare contributi per la realizzazione di
centrali elettriche nelle isole Canarie, in quanto meramente esecutiva di
precedenti atti generali e comunque non in grado di ledere gli interessi
dell'associazione.
Ben diversamente, nel valutare la conformità della disciplina processuale di
singoli Stati membri la stessa Corte ne ha censurato, in più di un'occasione (65), l'incapacità di assicurare l'ampio accesso alla giustizia garantito dall'art. 9
della Convenzione.
Tale atteggiamento, ampiamente criticato in dottrina (66), è sintomo delle
diverse letture ammissibili del dettato conven zionale, che, pur sancendo in via
di principio l'accessibilità alla giustizia, riconosce comunque l'autonomia
procedurale degli Stati quanto alla sua attuazione (67). E la Corte, come già
accaduto (68), interpreta con due pesi e due misure lo spazio di autonomia
riservato, da un lato, alle istituzione europee e, dall'altro, ai singoli Stati
Membri.
Anticipando alcune riflessioni conclusive, merita evidenziarsi sin d'ora che la
corretta lettura della disposizione in tema di accesso alla giustizia debba
svilupparsi nel contesto della disciplina sistematica in cui si colloca e, dunque,
in questo caso, della Convenzione. Ivi la tutela degli interessi ambientali è
assicurata in un sistema integrato di accesso alle informazioni, partecipazione
al procedimento e, infine, strumenti processuali o giustiziali affinché le
disposizioni non risultino solo di principio. Non si condivide, dunque, l'enfasi
eccessiva talora attribuita da giurisprudenza e dottrina al par. 3 dell'art. 9, alla
stregua del quale sarebbe stata introdotta una sorta di azione popolare in tutti
gli ordinamenti degli Stati Membri e della stessa Unione. Se tale posizione è
comprensibile quando assunta dal Committee di Aarhus — in quanto istituito
dalla stessa Convenzione per verificarne l'attuazione e, dunque, in qualche
modo in una posizione parziale — il tentativo di trarre da una disposizione di
principio e generale implicazione così rilevanti sui sistemi nazionali pare, come
meglio si preciserà nelle conclusioni, una forzatura tanto più ove si consideri il
quadro, il sistema in cui tale principio è sancito.
Volgendo finalmente lo sguardo all'ordinamento statunitense, che ora ci si
accinge ad esaminare, da subito stupisce la coincidenza di taluni dei criteri
individuati dalla Corte Suprema e dai giudici statunitensi con quelli proposti dal
giudice amministrativo italiano, e, nella coincidenza, i risultati ben diversi cui si
è giunti dall'applicazione degli stessi e dunque la validità dell'istanza di
certezza nei criteri; inoltre, similmente a quanto osservato nel nostro
ordinamento, ed anche a livello europeo, i giudici statali e la Corte suprema
non sempre si trovano in piena sintonia nell'interpretazione delle regole della
legittimazione.
4. Come già si anticipava, il tema della legittimazione è uno dei più dibattuti
nel sistema statunitense sia perché richiama un fondamento dell'ordinamento
federale come il principio della separazione dei poteri (69), sia perché il
giudice spesso manipola l'istituto al fine di poter decidere il caso nel merito.
Anche nell'ordinamento statunitense, così come si ricordava accade nella
giurisprudenza in Italia, lo standing non tanto si esaurisce nella legittimazione,
ma finisce per racchiudere complessivamente tutte le questioni che sono
pregiudiziali alla decisione del merito (70). Nell'elaborazione della nozione la
giurisprudenza della Corte Suprema — che pure, come si vedrà, ancora non
esprime un indirizzo chiaro e univoco — ha assunto un ruolo centrale, posto
che non esistono disposizioni generali di legge federale precise ed esaurienti
sul punto.
Le convinzioni del giudice Scalia, la cui opinione già era nota alla dottrina (71),
sono state determinanti nel limitare entro esigui confini la legittimazione delle
associazioni ambientali, come anche la legittimazione dei singoli cittadini che
gli stessi interessi ambientali azionavano.
Nella prima sentenza (72) in cui la Corte Suprema delinea i tratti della dottrina
moderna dello standing, i giudici elaborano la nozione a partire dalla lettera
dell'art. III della Costituzione americana. In particolare, il par. 2 dell'art. III
estende la giurisdizione delle corti federali a “cases” e “controversies”, sicché la
legittimazione diventa elemento essenziale di un processo adversarial, in cui le
parti si confrontano al fine della risoluzione di una disputa concreta attraverso
l'applicazione della legge. Da ciò si ricavano, in via generale, tre presupposti ai
fini della legittimazione: il patimento di una lesione concreta e attuale (cd.
injury in fact), l'esistenza di un nesso causale tra la lesione e la condotta o
l'atto censurato (cd. causation) e la capacità verosimile (likely e non
speculative) di riparare la lesione con una decisione favorevole (cd.
redressability).
L'injury of fact, presupposto più discusso, storicamente attiene alla titolarità di
una posizione giuridicamente rilevante (legal right) in capo al ricorrente, in
base alle previsioni costituzionali, statutarie o di common law. Ne è conseguita
per lungo tempo la carenza di legittimazione in capo ai portatori di interessi
ambientali, che mancavano di una posizione riconosciuta, né erano in grado di
dimostrare l'esistenza di una verosimile lesione concreta derivante dall'attività
censurata. Nel 1972 con la decisione Sierra Club v. Morton (73) per la prima
volta si afferma che il requisito della injury possa essere soddisfatto anche da
una lesione ad un interesse aestethic, enviromental, or recreational,
allontanandosi così dalla necessità dell'offesa ad una posizione giuridicamente
rilevante, in favore della semplice lesione ad un interesse generale alla tutela
dell'ambiente (74). Nel caso di specie un'associazione ambientalista, il Sierra
Club, impugnava l'autorizzazione concessa alla Disney di costruire un
complesso sciistico nella Mineral King Valley. In particolare l'associazione
affermava la propria legittimazione esclusivamente sulla base dell'interesse a
tutelare la natura selvaggia e il suo conseguente diritto a proteggere il public
interest a preservare la Mineral King Valley. Nella sentenza la Corte ricava la
legittimazione in capo ad associazioni o a gruppi anche laddove la lesione
riguardi interessi ambientali, ma, al contempo, precisa che l'affermazione della
lesione non sia sufficiente ai fini della legittimazione. Affinché risulti soddisfatto
il requisito della injury in fact non basta, infatti, si lamenti la lesione ad un
interesse tutelabile. È, invece, necessario che il ricorrente, il gruppo, sia in
grado di provare di aver personalmente patito tale lesione e, quindi, l'esistenza
di una posizione differenziata, di uno special interest (75) nel caso concreto.
La protezione della natura cui pure sia finalizzata l'organizzazione non è,
dunque, sufficiente a fondarne lo standing, ma occorre che l'attività inquinante,
o comunque nociva per l'ambiente, procuri un danno, uno svantaggio
all'associazione ricorrente.
L'interesse per la protezione dell'ambiente sorge negli Stati Uniti negli anni '70
con l'adozione da parte del Congresso dei primi statutes federali a tutela delle
risorse naturali, statutes che prevedono un'attività amministrativa in capo alle
agenzie federali (in particolare in capo a EPA, Environmental protection agency (76)) e, a partire dal Clean Air Act, riconoscono in capo a privati cittadini la
legittimazione a chiamare in giudizio chiunque, sia esso un altro privato o
l'Agency preposta, violi le disposizioni dello statute.
Tale legittimazione permette dunque a soggetti, terzi rispetto ai rapporti
controversi, di rivolgersi al giudice chiedendo l'applicazione di disposizioni cui i
soggetti medesimi non sono affatto vincolati, dando vita a controversie
chiamate di public interest (77).
Il tema della legittimazione diviene centrale proprio nella soluzione di tali
controversie di public interest, in cui cittadini o associazioni, non assoggettati
dalle disposizioni degli statutes, chiedono al giudice la verifica della loro
violazione nell'esercizio dell'attività amministrativa, o lamentano la mancata
adozione da parte dell'agency dei regolamenti attuativi, pur senza che tali
regolamenti influiscano sulla propria sfera giuridica. I rimedi che il giudice può
concedere consistono in injuctions all'Agency, ovvero ordini di tenere o non
tenere una determinata condotta e civil penalties, ovvero sanzioni monetarie,
di cui beneficia il Ministero del tesoro.
L'apparente assenza di alcun collegamento del ricorrente con le questioni
giuridiche su cui la Corte Suprema deve pronunciarsi e con i rimedi richiesti al
giudice, comporta che il re sistente affermi, pressoché in ogni giudizio, la
carenza di legittimazione, sicché la Corte anzitutto sulla stessa debba
pronunciarsi. Si noti, in proposito, che la carenza di legittimazione è una
questione jurisdictional nel giudizio federale, il che significa che può essere
sollevata in ogni stato e grado del giudizio.
Negli anni '70, dunque nel medesimo periodo storico, sorgono, in Italia e negli
Stati Uniti, simili esigenze di tutela dell'ambiente e in entrambi gli ordinamenti
il giudice assume il compito fondamentale — vuoi, in Italia, per l'assenza di
precise indicazioni legislative, vuoi, negli Stati Uniti, per la necessità di
interpretare le disposizioni legislative nel quadro costituzionale — di individuare
i limiti e i presupposti per la salvaguardia dei nuovi interessi.
Nell'ordinamento statunitense, come si avrà modo di evidenziare, l'attenzione
a contenere i poteri del giudice e il timore di possibili sovrapposizioni con le
competenze non solo del Congresso, ma anche delle singole Autorità (che
attraverso un procedimento partecipato, stabiliscono l'equilibrio tra i diversi
interessi rilevanti) hanno senz'altro condizionato l'emersione e l'accesso alla
giustizia dei nuovi interessi. Si ricordi, in merito, che in base alle previsioni del
National Environmental Protection Act (NEPA) ogni agency è tenuta a condurre
una sorta di procedura di valutazione di impatto ambientale, che si conclude
con l'adozione di environmental impact statements, qualora la propria attività
principale abbia un significant effect sull'ambiente.
L'interpretazione restrittiva del presupposto dello standing ad opera della Corte
— sino di fatto a negare l'azionabilità di un generale public interest alla
protezione dell'ambiente — ha comportato che le associazioni ambientali,
piuttosto che agire in giudizio per tutelare l'interesse ambientale proprio
dell'associazione, si rivolgano al giudice a tutela degli interessi dei membri che
nell'associazione stessa si riuniscono (78).
Già si è ricordato che nella sentenza Sierra Club la Corte richiede che
l'associazione ambientale dimostri l'esistenza di una concreta lesione in capo
all'associazione derivante dall'attività controversa. Non è sufficiente affermare
che la costruzione dell'impianto sciistico contamini un paesaggio selvaggio, ma
occorre che il Sierra Club provi il danno che da tale attività patisce (79). Più
semplice risulta la prova che l'attività modifichi le abitudini di vita dei singoli
membri: la costruzione del presupposto dell'injury of fact riduce lo spazio per
la tutela dell'interesse ad un ambiente selvaggio o immutato in sé,
richiedendosi invece la prova del peggioramento che la modifica all'ambiente è
in grado di produrre.
Ancora in senso riduttivo, nel 1992, nel caso Lujan v. Defenders of Wildlife (80), si è circoscritto il significato dell'injury in fact, nel senso che il pregiudizio
in capo all'organizzazione o ai suoi membri deve essere concreto, attuale e
reale (concrete and particularized, actual or imminent, not conjectural or
hypothetical). La Corte perciò nega lo standing all'associazione di ambientalisti
che chiedeva l'annullamento del diniego di applicare una particolare disciplina a
tutela delle specie in via di estinzione così impedendo il finanziamento già
riconosciuto dall'Agency of International Development a due progetti in grado
di modificare l'habitat e minacciare animali in via di estinzione (81). In
particolare, il giudice Scalia, estensore della sentenza, ritiene, da un lato, che
gli interessi non siano individuali, ma al contrario siano riferibili indistintamente
alla popolazione, posto che chiunque avrebbe interesse alla preservazione delle
specie animali o ad osservare animali in via di estinzione, né la testimonianza
di due membri dell'associazione dell'intenzione di compiere in futuro viaggi nei
territori interessati è sufficiente a costituire la legittimazione.
La Corte ha così l'occasione di precisare che ove l'associazione ambientale
agisca a tutela degli interessi dei suoi associati, la legittimazione deve
rispondere a requisiti ulteriori. Anzitutto l'associazione deve dimostrare che
almeno uno dei suoi membri sia legittimato secondo i tre requisiti costituzionali
e, in proposito, la stessa qualifica di membro dell'associazione può risultare
controversa, soprattutto quando i membri dell'associazione non eleggano gli
organi di governo della stessa (82); inoltre l'associazione deve dimostrare
l'attinenza della questione giuridica agli interessi dalla stessa perseguiti in base
allo statute istitutivo, dando altresì prova che il giudizio non richiede
l'intervento dei suoi membri come singoli, posto che non si controverte su
danni o lesioni nella sfera individuale di alcuni, ma al contrario di lesioni agli
interessi generali di tutti i membri del gruppo, ovvero i rimedi che si chiedono
al giudice sono injuctions e civil penalties, non punitive damages (83). Associa
zione e suoi membri, infatti, sono legittimati in base al combinato disposto
dell'art. III Cost. e della previsione statutaria di citizen suits.
In merito si ricordi che, nel corso della presidenza Reagan, la legittimazione
delle associazioni venne pressoché annullata proprio sul presupposto della
personalità dell'interesse in capo a singoli membri dell'associazione e non
all'associazione nel suo complesso.
Lo stesso approccio si trova, in genere, condiviso anche dalle Corti statali. Ad
esempio, nel caso Michigan Citizens for Water Conservation v. Nestle Waters
North America, la Corte (84), pur fortemente divisa, ha negato la
legittimazione del comitato di cittadini ricorrente poiché l'attività di pompaggio
dalla falda freatica in discussione risultava incidere su corsi e bacini di acqua
che solo in parte, e non nella loro interezza, interessavano la cittadinanza. O
ancora nel 2010 la Corte di Appello di New York (85), nel ribadire che certo
non può ritenersi che “standing in environmental cases is automatic, or can be
met by perfunctory allegations of harm”, ha richiesto la prova del danno patito
da tutti i membri dell'associazione.
Ancora, nel negare anche ai singoli la legittimazione in tema di tutela
ambientale (86), la Corte precisa i confini, richiedendo una “geographic
proximity” e non la semplice “vicinity” alla zona interessata, ed insieme la
“temporal proximity”. Si tratta di criteri che ricordano quelli individuati dal
Consiglio di Stato, ma se il nostro giudice li applica per il caso in cui manchi la
legittimazione alla stregua della disciplina di legge, e dunque in favore delle
associazioni o gruppi non diffusi sul territorio nazionale, la Corte Suprema
utilizza quello stesso criterio per escludere la legittimazione delle associazioni
nazionali tali da non garantire un effettivo e concreto interesse nella
controversia in essere.
Ciò stupisce, da un lato, ma, insieme rivela la connotazione ideologica e
politica delle decisioni del supremo giudice federale ove si osservi che rispetto
alle associazioni di consumatori la stessa Corte assume un ben diverso
atteggiamento. Nel 1986 (87), infatti, ne ammette l'accesso alla giustizia
anche sulla base della considerazione che la legittimazione delle associazioni
costituisca uno dei pochi immaginabili correttivi ad un sistema come quello
delle azioni collettive, le c.d. class actions, che conferiscono ad un piccolo
gruppo di individui — ciascuno con grandi interessi in gioco — vantaggi
maggiori.
La legittimazione riconosciuta attraverso il citizen suit è stata, inoltre,
ulteriormente circoscritta dall'interpretazione che la Corte ha fornito del già
ricordato presupposto della redressability. Nel caso Steel Co. v. Citizens for a
Better Environment (88) la cessazione dell'attività inquinante (e dunque della
violazione delle disposizioni dello statute) al momento dell'instaurazione del
giudizio è stata addotta a ragione della carenza di legittimazione: le sanzioni in
termini di civil penalties non avrebbero riparato le lesioni del ricorrente posto
che le somme sarebbero state corrisposte al Governo.
Se il legislatore avverte l'utilità della collaborazione dei privati e delle
associazioni al fine della tutela degli interessi ambientali, la Corte, al contrario,
attraverso uno stretto sindacato sulla legittimazione, annulla in concreto gli
effetti delle disposizioni statutarie. Molti degli statutes, che disciplinano
l'attività di Agencies e Commissions, introducono, come si anticipava, le c.d.
citizen suit provisions, ovvero disposizioni che tendono ad ampliare di molto la
legittimazione, attraverso una sorta di azione popolare utile ad imporre il
rispetto dei limiti di inquinamento (89). Ogni cittadino, infatti, è legittimato a
chiamare in giudizio chiunque violi le disposizioni dello statute, sia esso un
altro privato o la stessa Autorità preposta. Il Congresso, secondo la dottrina,
constata l'insufficienza delle risorse a disposizione dell'Amministrazione, si
rivolge al cittadino e lo investe del ruolo di private attorney general. Così, ad
esempio, il Clean air act riconosce la legittimazione di ogni cittadino per far
valere le violazioni dello statuto medesimo e il mancato o scorretto esercizio
del potere dell'Environmental Protection Agency.
Per inciso si osservi che l'attribuzione della legittimazione processuale con
funzione riparatoria, rispetto alla constatata inefficienza o incapacità
dell'amministrazione di perseguimento degli interessi pubblici di tutela
ambientale, richiama alla mente il modello recentemente introdotto dal nostro
legislatore in tema di tutela della concorrenza all'art. 21-bis della l. n.
287/1990 (90). La previsione, che ha da subito suscitato grande interesse in
dottrina (91), evidenzia, si ritiene, la complessità, ma anche l'insoddisfazione
di un modello che finisce per confondere i ruoli attribuendo ad uno stesso
soggetto funzioni tra loro dissonanti. Ma l'inciso non permette lo sviluppo che il
tema pure, in altra sede, meriterebbe.
La scelta della citizen suit parrebbe risolvere in buona parte la questione della
separation of powers: la scelta politica del Congresso di introdurre disposizioni
che aprono il giudizio ai cittadini implica che la Corte si limiti ad applicare una
regola correttamente e democraticamente istituita dal potere legislativo. Ma la
dottrina della separation of power viene anche richiamata in altro senso. Il
giudice Scalia nella ricordata sentenza Lujan v. Defenders afferma, infatti, che
una legittimazione allargata a chiedere in giudizio l'applicazione e il rispetto
delle disposizioni ambientali federali violerebbe la Take Care Clause di cui
all'art. II della Costituzione che riconosce al Presidente il potere esclusivo di
verificare l'applicazione delle leggi federali di diritto pubblico.
La Corte Suprema ha così individuato ulteriori limiti c.d. prudential, alla
stregua dei quali interpretare le disposizioni statutarie. Tali limiti prudenziali
consistono, in sintesi, nella regola che esclude la legittimazione di soggetti
terzi, nella regola che esclude censure generiche o generalizzate al
provvedimento e nel presupposto della c.d. zone of interest, in base al quale la
controversia deve riguardare pretese e diritti che siano ragionevolmente
protetti nello statute di cui si dibatte (92).
I prudential limits hanno il fine di impedire al giudice di decidere “abstract
questions of wide public significance even thoug judicial intervention may be
unnecessary to protect indi vidual rights” (93). In altre parole, la disposizione
statutaria che introduce un'azione popolare deve essere contemperata dalla
sussistenza della injury of fact, poiché diversamente il giudice assumerebbe le
vesti di enforcer of the law, compito tradizionalmente e costituzionalmente
proprio del potere esecutivo.
Tale lettura sarebbe, secondo parte della dottrina nordamericana (94), legata
ad una concezione antiquata del potere esecutivo. Basti in merito ricordare il
ruolo delle Administrative agencies che assommano potere legislativo e
giustiziale e la cui collocazione nel quadro costituzionale, pur inizialmente
discussa, è ormai risolta attraverso la dottrina dei poteri impliciti e la
riconosciuta legittimità di deleghe in capo al potere esecutivo all'esercizio di
funzioni tradizionalmente allo stesso estranee (95). Certo, però, il ruolo dei
procedimenti partecipati davanti alle agencies, degli Administrative Law Judges
— che, nel caso di formal adjudication, conducono procedimenti non molto
diversi da un vero giudizio in termini di istruttoria e contradditorio tra le parti (96) — e le ricordate previsioni del NEPA in tema di environmental impact
statements assumono inevitabile centralità in una lettura sistematica della
disciplina di tutela ambientale: la legittimazione delle associazioni o di singoli
cittadini consentirebbe il sindacato giurisdizionale senza che esista una
controversia tra i destinatari della decisione o regolazione amministrativa,
rischiando di stravolgere gli equilibri individuati dall'agency, spesso attraverso
procedimenti lunghi e costosi anche in virtù dell'ampia partecipazione
meramente collaborativa, e della massima trasparenza garantita dall'APA,
nonché dell'applicazione del principio del due process. Quanto alla
partecipazione, occorre almeno per inciso ricordare che, così come
nell'ordinamento italiano, il tema della legittimazione assume, anche
nell'ordinamento statunitense, una declinazione del tutto peculiare, posto che
la violazione di diritti procedimentali è di per se stessa presupposto sufficiente
all'accesso alla giustizia, senza che si richieda la prova dell'attualità della
lesione o della redressability (97). Ciò vale ancor più quando la violazione ha
ad oggetto obblighi di trasparenza e informazione (98).
4.1. Se il quadro così sommariamente tratteggiato dipinge un giudizio assai
meno accessibile agli interessi ambientali rispetto a quanto accade in Italia,
alcune sentenze recenti — nel 2000 il caso Friends of Earth v. Laidlaw (99) e
poi nel 2007 il caso Massachussets v. EPA (100) — lasciavano presagire un
nuovo corso nella giurisprudenza della Corte Suprema e il corrispondente
ampliamento dell'accesso alla giustizia degli interessi ambientali, anche, come
si avrà modo di precisare, attraverso il diverso canale della rappresentazione
non in capo alle associazioni ambientali, ma in capo a singoli Stati nazionali.
In particolare con la decisione Laidlaw si è ritenuta aderente al requisito della
injury in fact la prova che l'attività dell'Amministrazione abbia modificato le
condotte usuali dei ricorrenti, senza la necessità di verificare l'esistenza di un
effettivo nesso eziologico tra l'attività che si assume lesiva e la modifica della
condotta. Nel caso di specie l'associazione ambientale lamentava che, a
seguito dell'autorizzazione allo scarico nelle acque di un fiume dei residui di
lavorazione industriale e della violazione dei limiti consentiti nell'autorizzazione
medesima, i suoi associati avessero cessato di fare il bagno in quello stesso
fiume, temendo l'intossicazione da mercurio. Tale modifica del comportamento
è stata valutata idonea a integrare il presupposto della injury of fact,
nonostante non si desse prova che i valori di sostanze presenti nelle acque
fossero mutati successivamente all'inizio dello scarico dei residui o fossero tali
da costituire un grave pericolo per la salute o l'ambiente.
La Corte afferma che nelle cause ambientali ciò che rileva ai fini dello standing,
in base all'art. III della Costituzione, non è la lesione all'ambiente, ma la
lesione al ricorrente attraverso la modifica della sua condotta in base ad una
reasonable fear. Tale affermazione, confrontata con la rigorosa ricostruzione
della injury of fact di cui alla ricordata Defenders of Wildlife, pare il frutto di un
nuovo orientamento deciso ad allargare le maglie di accesso alla giustizia,
anche valorizzando la valutazione del rischio probabile e presumibile di una
futura lesione ambientale. In aggiunta, distinguendosi dal precedente sopra
ricordato Steel Co., la Corte afferma che nonostante la cessazione dell'attività
inquinante le sanzioni attraverso la condanna al pagamento di civil penalties
svolgono l'utilità di deterrenti per il futuro, sicché anche l'interruzione
dell'attività inquinante prima che si arrivi alla decisione non priva di
legittimazione il ricorrente.
Nelle decisioni successive le Corti d'appello federali, invocando il precedente di
Laidlaw, hanno riconosciuto la legittimazione sulla base della mera sussistenza
del verosimile rischio della lesione ambientale. Così ad esempio, laddove il
ricorrente, membro del comitato locale di cittadini, affermi di non mangiare più
pesce pescato nel lago, temendo la sua contaminazione visto lo scarico da
parte dell'industria di rame oltre i limiti consentiti dall'autorizzazione, la Corte
riconosce l'injury of fact stante il solo timore o rischio accresciuto
dell'inquinamento delle acque del lago (101).
Tale analisi del rischio assume un valore particolare nella giurisprudenza della
Corte del D.C. Circuit che, in genere, non ritiene la teoria del rischio
accresciuto confacente al presupposto della injury of fact secondo la
elaborazione della Corte Suprema, posto che esso, da un lato, si pone in
termini di maggior probabilità del verificarsi della lesione ambientale, senza
che la lesione sia già attuale e concreta, e, d'altro lato, è difficile provare il
rischio incida sulla sfera individuale dei membri dell'associazione, piuttosto che
sulla generalità.
In un noto caso (102), però, la stessa Corte si contraddice, riconoscendo la
legittimazione all'associazione ambientale che lamentava rischi alla salute
derivanti dall'inerzia dell'Amministrazione. Nel caso di specie si lamentava
l'insufficienza della regolazione di EPA su di un gas inquinante e la
legittimazione fu confermata posto che la deficienza nella regolazione avrebbe
accresciuto, secondo le stesse indicazioni degli esperti di EPA, il rischio di
tumori alla pelle (in considerazione dell'ampliarsi del buco nell'ozono) per
l'intera popolazione e, dunque, anche per membri non identificati
dell'associazione ambientale.
Una fattispecie non dissimile si trova nella decisione Massachussets v. EPA, c.d.
global warming case, esaminato nel 2007 dalla Corte Suprema. Dodici Stati,
quattro amministrazioni locali e tredici associazioni ambientali lamentavano
l'inerzia di EPA che non aveva adottato la regolamentazione dei gas a effetto
serra derivanti dalla combustione dei motoveicoli, ritenendo invece la
regolazione dovuta ai sensi del par. 202 del Clean Air Act. I giudici, pur
escludendo la legittimazione dei privati per azioni a tutela ambientale,
enfatizzano il ruolo dello Stato (103), ritenendo lo Stato del Massachussets,
stante la sovranità che ogni Stato esercita sul proprio territorio, legittimato a
ricorrere per fermare il danno irreparabile alle sue coste a causa dei mutamenti
climatici legati all'effetto serra, che già l'innalzamento del livello del mare sta
provocando (104). Anche in questo caso, nonostante la Corte richiami il
paradigma del triplice test della injury of fact individuato in Defenders of
Wildlife, il presupposto della injury in fact si considera integrato dall'esistenza
di un pericolo, del rischio dell'erosione costiera allo stesso Stato derivante
dall'inerzia dell'Amministrazione.
Il riconoscimento della legittimazione e di una special solicitude in capo agli
Stati nelle controversie federali suscita non poche perplessità nella dottrina
nordamericana (105). In particolare la specialità, rispetto alla legittimazione
generale in capo ai soggetti privati, è affermata senza alcuna motivazione nella
decisione della Corte, tanto che nelle dissenting opionions la si descrive come
una pura invenzione. Ciò nonostante essa si trova richiamata nella
giurisprudenza delle Corti d'appello federali, sporadicamente a sostegno della
legittimazione accordata (106), mentre, nella maggior parte dei casi il
precedente è invocato, al fine, però, di sottolinearne l'unicità, tale da non
giustificarne il richiamo in nessun altro differente contesto (107). Si evidenzia,
così, l'incertezza che deriva da regole di interpretazione che lasciano tanto
ampi margini di decisione anche al giudice di common law.
La legittimazione riconosciuta allo Stato richiama il pensiero a quanto si
ricordava in merito alla legittimazione riconosciuta dal giudice italiano agli enti
locali; come il giudice statunitense sottolinea la sovranità dello Stato, quasi a
ricavarne un suo spazio autonomo di decisione rispetto allo Stato federale — e
alla preemption che, come noto, ne connota e regola i rapporti — così il giudice
italiano valorizza la sussidiarietà per ricavare dalla cura degli interessi pubblici
anche una legittimazione ad azionarne la lesione in giudizio. Le perplessità
espresse dalla giurisprudenza nordamericana non possono che illuminare un
percorso critico anche della dottrina italiana: gli interessi pubblici sono affidata
alla cura delle amministrazioni nell'esercizio del potere amministrativo e da ciò
sembra scorretto ricavare la titolarità di quegli stessi interessi, che sono e
restano interessi della collettività di riferimento dell'ente locale, né, in assenza
di alcuna disposizione al riguardo, pare opportuno riconoscere la legittimazione
senza la titolarità della posizione giuridica che si afferma lesa.
La parziale apertura, che sembrava leggersi nelle decisioni appena ricordate
del supremo giudice federale, ha tuttavia conosciuto un nuovo arresto nella
giurisprudenza più recente. Con la decisione Summers v. Earth Island del 2009 (108) infatti di nuovo si riducono gli spazi per la tutela degli interessi in capo
sia ad associazioni ambientali sia a singoli cittadini. Nel caso di specie il Corpo
Forestale Federale (U.S. Forest Service), nell'adottare un regolamento,
escludeva dall'autorizzazione generalmente richiesta, nonché dal relativo
procedimento di adjudication, taluni progetti consistenti, tra l'altro, nella
vendita di legname su territori incolti e nell'attività ripristinatoria e riparatoria
dopo l'incendio di un bosco.
Tale disposizione regolamentare, applicata per la vendita di legname nella
Sequoia National Forest, era impugnata da diverse associazioni ambientali, nel
timore di una lesione irreparabile derivante dal disboscamento. Nel ricorso si
chiedeva non solo di non applicare la disposizione nel caso concreto, ma, più in
generale, di privare di efficacia la clausola regolamentare. Il giudice, in primo
grado, ordinava di non applicare l'eccezione su tutto il territorio federale. La
Corte Suprema, pure con la dissenting opinion di 4 giudici, ha invece negato la
legittimazione delle associazioni, interpretando il presupposto della injury in
fact in senso restrittivo, posto che, da un lato, non vi era assoluta certezza che
dall'applicazione della clausola derivasse una modifica del paesaggio nel breve
periodo, né, d'altro lato, le associazioni ambientali avevano dimostrato
l'esistenza di eventuali future attività programmate nei siti interessati dalla
regolazione.
4.2. Non possono che condividersi le critiche mosse dalla dottrina
nordamericana al requisito della injury in fact, la cui genericità finisce per
attribuire alla Corte il potere arbitrario di “decidere se decidere” nei singoli casi (109).
Infatti il presupposto della lesione assume un rilievo determinante proprio nelle
controversie ambientali, che di regola coinvolgono interessi di soggetti terzi, e
la vaghezza che lo contraddistingue rende troppo labili i confini dell'accesso al
giudizio.
Le controversie ambientali si caratterizzano, infatti, per la peculiarità di
coinvolgere parti terze rispetto ai litiganti: l'associazione ambientale cita in
giudizio l'Agency che ha rilasciato l'autorizzazione ad esercitare un'attività ad
una società o ad un privato o lamenta la mancata regolazione di attività
produttive inquinanti svolte da industrie terze.
È la presenza di tali soggetti terzi, autorizzati o non regolamentati, che richiede
alla Corte un vaglio quanto mai attento circa la potenziale lesività, appunto
l'injury in fact, e soprattutto la concreta utilità che l'associazione ricorrente sia
in grado di trarre dall'accoglimento della sua istanza, posto che non esiste,
come invece in Italia, l'investitura dell'organizzazione ad opera del legislatore.
La connotazione adversarial del processo richiede la contrapposizione di due
soggetti, mentre il giudice non è mai chiamato a svolgere una mera funzione di
controllo o verifica dell'applicazione e del rispetto della legge fine a se stessa:
tale attività non è infatti riconducibile al quadro costituzionale.
In contrasto con l'orientamento federale si pone talora l'atteggiamento di
alcune corti statali. Così la Corte Suprema della California nel 2011 ha
sostenuto il principio del c.d. “public interest standing” qualora le questioni
siano di interesse pubblico (110). Se vi siano in gioco interessi pubblici, il
cittadino stante la violazione del diritto alla corretta applicazione ed esecuzione
della legge è senz'altro legittimato in via individuale o nei comitati in cui si
organizzi (111).
Il panorama della giurisprudenza federale sommariamente ricostruito lascia
emergere, invece, il tentativo di quanto mai restringere e limitare la
legittimazione, al fine di ridurre le possibili sovrapposizioni tra giudice e
autorità amministrativa. La dottrina della separation of powers in relazione agli
interessi ambientali sconta peraltro gli orientamenti ideologici e politici
individuali: se il giudice liberale è più disposto a tutelare la supremazia del
potere legislativo e la moderazione e la misura nel controllo giurisdizionale, ma
sempre considerando e soppesando le istanze delle associazioni e del singolo, il
giudice conservatore procede negando la legittimazione sia ai singoli sia alle
formazioni in cui si organizzano. Così la peculiare situazione concreta all'esame
della Corte è in grado di condurre a soluzioni nuove e originali e la
legittimazione diventa il grimaldello attraverso il quale plasmare la decisione in
base alle capacità argomentative del singolo giudice. Nel caso Massachussets,
ad esempio, l'accento posto sulla sovranità dello Stato permette il sindacato
del giudice in relazione agli interessi ambientali anche grazie all'approvazione
di giudici conservatori, favorevoli e entusiasti del riconoscimento del principio
della sovranità.
La carenza di legittimazione in capo ai portatori degli interessi ambientali è
ricavata, in genere, dalla considerazione dei medesimi quali public rights e
dalla convinzione che lo standing trovi il suo fondamento nel corretto ruolo da
riconoscere al giudice in un sistema democratico: entrambe sono frutto della
rielaborazione del principio della separation of powers posto che, da un lato, la
Take Care Clause (112), di cui all'art. II Cost., riconosce al solo Presidente
degli Stati Uniti la legittimazione ad azionare i public rights e, dall'altro, il
giudice non può interferire con le scelte adottate dalle Agencies attraverso
procedimenti partecipati.
La dottrina criticamente non ravvisa nella Costituzione limite alcuno ad una
interpretazione non solo diversa, ma opposta a quella conservatrice del giudice
Scalia (113).
Di fronte alla mancanza di una nozione normata e allo spazio che la sua
indefinitezza lascia al giudice nemmeno la scelta del legislatore di introdurre
negli statutes la c.d. citizen suit pare soddisfacente. Essa, infatti, certo non
tiene conto che la tutela giurisdizionale riconosciuta a individui che sono
membri di una classe di interessi diffusi larga e disorganizzata, come quella
degli ambientalisti, è in grado di assicurare al singolo individuo un vantaggio
finale concretamente modesto, che come tale non si presta al modello della
class action (114) idoneo quando il giudizio sia in grado di ampliare
significativamente la sfera giuridica del ricorrente e di soddisfarlo attraverso il
risarcimento del danno, cui, invece, come precisato, non si è legittimati in base
alle disposizioni statutarie.
Né il rimedio della citizen suit pare opportuno per contrastare il cattivo
esercizio del potere amministrativo, posto che l'attività di amministrare
consiste in grande misura di accomodamenti negoziati al di là delle previsioni
di legge, sicché “... la domanda a cui rispondere non è se l'amministrazione ha
violato il diritto, ma se è venuta meno a qualche suo obbligo nei confronti di
chi vuol agire” (115). Riconoscendo invece a chiunque abbia un interesse non
legalmente protetto l'accesso al giudice, quest'ultimo finirebbe per assumere il
compito dell'amministratore che considera e pondera i diversi interessi in gioco
rispetto al caso concreto.
5. L'analisi della legittimazione delle associazioni ambientali nei due
ordinamenti evidenzia differenti prospettive, solo in parte motivate dalle
diversità sistematiche di fondo, e permette ora di giungere ad alcune riflessioni
generali quanto alla tutela degli interessi diffusi ambientali e alla giustiziabilità
dei medesimi.
Anzitutto preme mettere in luce, in sintesi, le differenze.
Nel nostro ordinamento l'intervento della giurisprudenza segnalava una lacuna,
che negli anni successivi ha valorizzato il ruolo del legislatore al fine della
definizione dei criteri di legittimazione delle associazioni ambientali. La
giurisprudenza è, poi, intervenuta nuovamente, ampliando di molto, attraverso
l'interpretazione, la nozione costruita dal legislatore, tanto da individuarne di
fatto confini e limiti tutti nuovi.
L'intervento del legislatore è stato sollecitato dall'insufficienza della tradizionale
garanzia giurisdizionale di tipo soggettivo ad assicurare appieno l'effettività
delle norme ambientali, ma la legittimazione riconosciuta alle associazioni
ambientali non ha influito sul processo amministrativo come processo di parti,
né ha trasformato la giurisdizione sugli interessi diffusi alla protezione
ambientale in giurisdizione oggettiva (116).
Se, come è emerso nel secondo paragrafo di questo scritto, la legittimazione
alla tutela degli interessi ambientali è utile a verificare serietà e
rappresentatività dell'associazione (117), tale verifica mira a riconoscere in
presenza dei requisiti una posizione differenziata e qualificata.
Quando, invece, il giudice operi al di fuori dei criteri normati, di fatto è lo
stesso giudice che, nell'ammettere l'associazione al giudizio, costruisce in capo
alla stessa una posizione differenziata e qualificata. Tradizionalmente la
diffidenza italiana verso le “manifestazioni di spirito pretorio” del giudice
amministrativo affonda le radici nel modo di intendere la funzione del giudice
in genere, e di quello amministrativo in particolare (118). Ma tale diffidenza
sul ruolo del giudice nella tutela degli interessi ambientali trova senz'altro
conforto nella dottrina nordamericana.
Nel sistema statunitense, infatti, il ruolo che il giudice si riconosce resta
supremo, ma incontra forti critiche in dottrina e si scontra con i tentativi del
legislatore di limitarlo attraverso statutes che assicurino, nell'ambito della
materia disciplinata, l'accesso alla giustizia con una sorta di azione popolare,
quale di fatto è il citizen suit.
La norma contenuta negli statutes ha però prodotto l'effetto contrario, posto
che, come si è messo in luce in precedenza, nel valutare lo standing la Corte
ha spesso ravvisato la carenza del requisito della c.d. injury in fact. Nei singoli
casi di specie, dunque, si è ancor più ridotto l'accesso ai rimedi giurisdizionali,
che si tentava in astratto di generalizzare con le disposizioni degli statutes.
Se la dottrina nordamericana ha in un primo tempo valorizzato la condizione di
estraneità del giudice alla politica, la mancanza di preparazione scientifica e
specifica circa le questioni controverse, ritenute utili ad evitare contaminazioni
con gli interessi costituiti (119), il potere della Corte Suprema
nell'interpretazione dei requisiti di legittimazione è stato poi oggetto di strenua
critica, così evidenziando la necessità di contenere l'iniziativa personale e
arbitraria del giudice e, a tal fine, di costruire una nozione di standing utile alla
conservazione e tutela dell'ambiente, che è poi il fine ultimo e reale dell'intera
disciplina qui in discussione.
Il riconoscimento della legittimazione del citizen — o del chiunque, secondo le
categorie che utilizzerebbe il nostro legislatore — snatura, sia a dire della Corte
Suprema sia anche nel nostro ordinamento, la stessa nozione propria di
legittimazione, intesa quale verifica di un collegamento tra l'interesse
ambientale oggetto della controversia e il rimedio richiesto, posto che il singolo
è membro di una collettività generalizzata che afferma l'istanza di tutela
rispetto a beni anch'essi comuni.
Per concentrare l'attenzione sul singolo e valorizzare la legittimazione popolare
si è, in passato, sostenuto, nel dibattitto statunitense, che il degrado
ambientale fosse in grado di incidere sulla piena fruizione delle libertà
costituzionalmente garantite (120).
Ma tale prospettiva, come si evidenzia dalla ricostruzione di cui al paragrafo 4,
è stata ormai abbandonata poiché si è rivelata, da un lato, incapace di far
breccia sul giudice e, dall'altro, impropria a garantire situazioni che, perché
diffuse, non si prestano a strumenti individualistici, né dal punto di vista della
riconduzione alle tradizionali figure soggettive, né dal punto di vista pratico,
visto lo scarso valore della lesione individuale.
La legittimazione delle associazioni permette, invece, di conseguire rimedi utili
ad un gruppo numeroso di soggetti, ciascuno dei quali soffre una lesione
minore, ma dalla cui somma deriva benessere diffuso per la società.
Anche in base all'evoluzione di un sistema che in origine dà risalto alla funzione
del cittadino nella protezione degli interessi ambientali, si ricava che è la
legittimazione delle associazioni, piuttosto che dei singoli, che occorre
valorizzare (121).
La legittimazione allargata può funzionare in sistemi come quello indiano (122)
ove lo Stato è assente, ma anche in quel contesto si evidenzia la strumentalità
del coinvolgimento del cittadino al fine di esercitare, anche attraverso
l'intervento del potere giurisdizionale, un'attività di stimolo e di impulso, poiché
solo l'intervento del potere legislativo e amministrativo è in grado di tutelare
l'interesse ambientale come interesse pubblico e generale.
Allo stesso modo la legittimazione ricavata a partire dal riconoscimento
dell'ambiente salubre come una precondizione per la fruizione dei diritti umani
ha trovato accoglimento presso la Corte di Strasburgo in un caso che
coinvolgeva la Russia (123), ovvero in uno Stato in cui si può certo affermare
che i principi di legalità e di proporzionalità nella ponderazione degli interessi
economici non trovino lo stesso spazio e le stesse garanzie riconosciute in molti
altri paesi europei. Ne emerge il valore politico che assume la legittimazione
così riconosciuta: la sentenza non rappresenta lo strumento per il
soddisfacimento della posizione del singolo azionata in giudizio — nel caso della
Russia, ad esempio, la cittadina ricorrente ottenne un risarcimento del tutto
irrisorio, nell'ordine di qualche migliaio di euro — ma è il mezzo per denunciare
il malfunzionamento del sistema.
La scelta dell'ordinamento italiano di valorizzare il ruolo delle associazioni
ambientali pare, quindi, senz'altro da apprezzare.
L'intervento del legislatore risolve, in parte, il problema dell'emersione degli
interessi diffusi, di cui si riferiva nel secondo paragrafo, e tale soluzione è
soddisfacente anche alla luce del dettato europeo, laddove la Convenzione di
Aahrus richiede l'accesso alla giustizia per le associazioni ambientali, ma non
prospetta né costringe all'introduzione dell'azione popolare nella materia
ambientale.
I gruppi organizzati che, secondo le indicazioni del legislatore, si ritengono
esponenziali degli interessi diffusi e in grado di fornire adeguata
rappresentanza, sono dunque legittimati ad agire. Non si condivide la
necessaria eccezionalità della regola, sottolineata di recente dalla dottrina: non
par vero che alla luce dell'art. 2 della Costituzione il monopolio del diritto di
azione in capo a organismi associativi debba ritenersi costituzionalmente
illegittimo (124), ma anzi la disposizione costituzionale laddove recita “tutti”
intende riferirsi a qualsiasi soggetto dell'ordinamento, sia esso un singolo o un
gruppo organizzato, senza con ciò imporre una regola processuale.
L'ampliamento del ruolo del giudice amministrativo, a tutela di interessi
socialmente rilevanti, quali quelli ambientali, non incide di per sé sui caratteri
del processo celebrato davanti a lui (125).
In merito si è discusso se l'attribuzione della legittimazione alle associazione
ambientali imponga che la decisione della controversia sui medesimi trasformi
il giudizio amministrativo in un giudizio oggettivo (126), sul presupposto che il
giudizio miri ad assicurare il legittimo esercizio del potere amministrativo,
invece che la protezione della posizione soggettiva, inerente all'associazione
ambientale riconosciuta, dalle ingerenze dell'amministrazione, considerato che
è non sempre esatta l'equazione tra giudizio di tipo soggettivo e garanzia più
incisiva per il cittadino, potendo talvolta un giudizio di tipo oggettivo offrire una
gamma di tutela persino più ampia (127).
Se in genere è vero che quanto più si amplia la legittimazione tanto più il
giudizio tende a verificare la correttezza dell'azione amministrativa senza
relazione con la lesione che si vuole riparare, la funzione della legittimazione
con riguardo alle associazioni assume, come si è visto, una connotazione
ancora diversa che è quella di assicurare la rappresentatività delle stesse degli
interessi diffusi che esprimono.
La mancanza della personalità, così come l'assenza della injury of fact nelle
ricostruzioni operate dalla Corte Suprema, deriverebbero dall'utilizzo del
giudizio (e della verifica che si conduce circa la illegittimità attività o inerzia
dell'Amministrazione) per imporre, in realtà, regole di condotta a soggetti terzi.
Così, ad esempio, nel ricordato caso Massachussets l'istanza al giudice
dell'injuction, ovvero dell'ordine all'Environmental Protection Agency di
adottare una regolazione per le emissioni in atmosfera, mirava a inibire
l'attività svolta liberamente dai privati. Allo stesso modo l'associazione
ambientale in Italia impugna l'atto di localizzazione della discarica perché, di
fatto, sia in conseguenza inibito alla società di insediarsi su quel terreno.
Non per questo, però, il giudizio non rimane un giudizio di parti che mira a
risolvere una controversia. Anzi la giurisprudenza statunitense fa leva proprio
su tale carattere per restringere i casi conoscibili dal giudice e anche nel nostro
ordinamento la legittimazione sottende una positiva valutazione del legislatore,
o anche della giurisprudenza, circa la rappresentatività dell'organizzazione e,
dunque, la sua capacità a esprimere la posizione giuridicamente rilevante di
interesse diffuso.
L'attività delle associazioni ambientali e, prima ancora, l'emersione stessa degli
interessi ambientali come interessi diffusi evidenzia l'insufficienza della
qualificazione degli stessi alla stregua di un interesse pubblico, difficile da
tutelare in quanto troppo segmentato: l'incapacità dell'amministrazione di
tutelare e curare interessi pubblici conduce alla soluzione in qualche modo
obbligata dell'intervento sostitutivo delle associazioni.
Non è nella legittimazione allargata al cittadino, con l'azione popolare ed un
giudizio oggettivo (128), che si ravvisa la soluzione più corretta, poiché ne
risulterebbe snaturato il ruolo del giudice amministrativo.
L'associazione ambientale è istituita e utile proprio alla tutela di tali interessi e
il giudizio resta capace di soddisfare i medesimi e, indirettamente, i cittadini
che a livello diffuso ne fruiscono. La natura del giudizio non si trasforma stante
la legittimazione ex lege dell'associazione: il legislatore semplifica la questione
della riconducibilità degli interessi ambientali ad una posizione soggettiva
giuridicamente rilevante, ma il giudizio mira a rimuovere la lesione di interessi
ambientali, perseguiti dall'associazione in base allo statute che la
istituisce,derivanti dallo scorretto o mancato esercizio del potere
amministrativo. Ed in ciò non si differenzia dall'ordinario giudizio
amministrativo. Gli effetti indiretti che derivano dalla sentenza di accoglimento
nemmeno differiscono dagli effetti indiretti che derivano alla collettività, ad
esempio, dall'annullamento dell'aggiudicazione in termini di miglior costruzione
dell'opera, di rispetto della disciplina delle concorrenza ovvero di impedimento
al verificarsi di situazioni collusive o corruttive.
Occorre ripensare ai ruoli con chiarezza.
La legittimazione conferita dalla legge alle associazioni ambientali non intende
attribuire alle stesse un compito di rilievo pubblicistico, affinché attraverso
interventi a tutela di interessi ambientali esse concorrano alla concreta
affermazione del principio di legalità, assumendo quasi la veste di denunciante
di abusi o pregiudizi. Le associazioni non sono certo titolari di un generale
potere di vigilanza sulle vicende che riguardino o compromettano l'ambiente, la
natura o il paesaggio (129). Lo stesso giudice amministrativo precisa (130)
che restano “invalicabili” i limiti “segnati dalla natura del giudizio
amministrativo come processo di parti”, sicché le associazioni ambientali,
qualificandosi come parti private, “sono legittimate a ricorrere e resistere nei
limiti della diretta correlazione tra le illegittimità denunciate e gli interessi dalle
medesime tutelate” (131).
In proposito ci preme ancora una volta ribadire come solo quando gli interessi
ambientali siano pure interessi pubblici, la legge generale sul procedimento ne
assicuri la ponderazione, valorizzando la necessità dell'acquisizioni dei pareri e
valutazioni in merito. Quando, invece, l'interesse ambientale resta interesse
diffuso, allora esso certo trova ingresso nel procedimento, ma nulla garantisce
circa il grado di considerazione ricevuto dall'amministrazione. Esso resta
affidato alle regole del buon esercizio del potere e della discrezionalità
amministrativa e, dunque, al successivo vaglio giurisdizionale quanto al
rispetto di quelle stesse regole, altrimenti prive di valore alcuno.
Non può che accogliersi con favore il valore che alla ponderazione degli
interessi ambientali attribuisce l'art. 3-quater del Codice dell'ambiente, quasi a
generalizzare la promozione di tali interessi in capo a tutti i soggetti pubblici
che ne vengano a contatto (132).
La cura dell'ambiente è compito dell'amministrazione (133), spettando al
giudice solo l'aspetto patologico: né è opportuno e conveniente che il giudice si
trasformi in amministratore e gestore dell'ambiente, compositore di interessi in
ordine ad esso, sia perché non è strutturalmente attrezzato per farlo, sia
perché è indispensabile che sussistano entrambi, ma separati, i ruoli del
gestore e del controllore (134).
Se la Corte non risolve controversie, come evidenzia la giurisprudenza della
Corte Suprema, il ruolo del potere giurisdizionale ne risulta stravolto: il giudice
diventa una sorta di consulente che rilascia advisory opinions e verifica le
scelte compiute nel caso di specie.
Tale ruolo è quanto più pericoloso ove si considerino gli interessi dei soggetti
terzi, ovvero delle imprese che confidano che le scelte adottate
dall'amministrazione attraverso procedimenti partecipati, con tempi certo non
rapidi, non restino poi prive di efficacia.
Anche da un punto di vista non strettamente giuridico, infine, appare
certamente inefficiente la soluzione di individuare nel contenzioso
giurisdizionale il momento cui affidare il controllo sulle scelte che coinvolgono
interessi ambientali, posto che quelle stesse scelte riguardano al contempo
attività produttive — ciò tanto più se, seguendo alcune delle impostazioni in
precedenza ricordate, la legittimazione all'azione fosse generalizzata in capo al
cittadino o all'ente territoriale.
L'instabilità dei provvedimenti, spesso ottenuti a seguito di procedimenti lunghi
e complessi (135), sarebbe fonte di incertezza negli operatori, così riducendo i
possibili investimenti nel mercato, senz'altro indispensabili per superare
l'attuale fase di stallo economico.
Riprendendo alcune considerazioni espresse nel secondo paragrafo di questo
scritto, anche l'analisi comparata della legittimazione conforta, infine,
l'opinione che la sede più opportuna per la tutela degli interessi ambientali non
sia quella successiva del ricorso al giudice, quanto quella antecedente del
procedimento e che gli ulteriori sforzi del legislatore debbano concentrarsi al
fine di quanto più valorizzare il coinvolgimento delle associazioni e dei cittadini
in tale ambito (136).
ABSTRACT: Lo scritto si interroga sui limiti all’accesso alla tutela giudiziale
degli interessi ambientali in una prospettiva comparata con il sistema
statunitense, che nutre un’esperienza approfondita e secolare in merito.
L’analisi è condotta con particolare attenzione al ruolo delle associazioni. La
questione è quanto mai attuale anche nella dimensione europea, posto che,
con il recepimento della Convenzione di Aahrus, l’Unione Europea avrebbe
individuato la necessità di garantire elevati standards di tutela degli interessi
ambientali, anche in termini di accesso alla giustizia per le associazioni. Lo
studio vuol essere utile, inoltre, a qualche riflessione sul ruolo e sulla finalità
del giudizio quando appunto la controversia verta su interessi ambientali. Così
come la disciplina della legittimazione incide e connota i caratteri della giustizia
amministrativa nel nostro sistema — posto che tanto più le maglie della
legittimazione tendono ad ampliarsi, tanto più il sindacato del giudice diventa
un controllo diffuso dell’esercizio del potere amministrativo- similmente la
disciplina dello standing ai fini della judicial review suscita dubbi e interrogativi
sia quanto agli spazi da riconoscere al potere giurisdizionale rispetto
all’amministrazione, nel rispetto della separation of powers sancita nella
Costituzione, sia quanto alle funzioni proprie del giudice, che spesso manipola
l’istituto al fine di poter decidere il caso concreto nel merito.
(1) Tanto che già nel 1976 M. CAPPELLETTI riconosceva (in Appunti sulla tutela giurisdizionale di interessi collettivi o
diffusi, in Le azioni a tutela di interessi collettivi, Atti del convegno di studio (Pavia, 11-12 giugno 1974), Padova 1976,
191, qui 215) che “in quel Paese si è creata un'esperienza assai più lunga e approfondita della nostra, esperienza che,
se vogliamo operare da studiosi seri, va utilizzata”.
(2) Si rimanda in merito alle note sentenze Cons. Stato 9 giugno 1970, in Foro it., 1970, III, 201, Cons. Stato, Sez.V,
9 marzo 1973, n. 253, in Foro amm., 1973, I, 264 e Ad. plen. 19 ottobre 1979, n. 24, in Foro amm. 1979, I, 1442 e
Cons. Stato, Sez. VI, 14 luglio 1972, n. 475, in Giur. it., 1973, III, 261, con nota di MONTESANO e Foro it., 1972, III,
269, con nota di A. ROMANO. Per una ricostruzione della giurisprudenza anche successiva L. R. PERFETTI, art. 26 t.u.
Cons. St., Sez. III, in particolare par. V e XII, in Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, a cura di
A. ROMANO e R. VILLATA, Padova, 2009, 1353, Gli interessi diffusi e la legittimazione ad agire delle associazioni
ambientalistiche, in Diritto dell'ambiente: commentario sistematico al D. lgs. 152/006, integrato dal D.lgs. 4/2008,
128/2010, 121/2011, a cura di P. DELL'ANNO, Padova 2011, 438 e D. SICLARI, Profili di diritto processuale
amministrativo: class actions e tutela degli interessi collettivi e diffusi, in Trattato di diritto dell'ambiente, I, diretto da
P. DELL'ANNO e E. PICOZZA, Padova 2012, 403, in particolare 414 ss.
(3) Di questo percorso di ricerca è il segno il già citato volume Le azioni a tutela di interessi collettivi, che raccoglie
gli atti del convegno di studio (Pavia, 11-12 giugno 1974) cui parteciparono illustri studiosi di allora e di oggi,
convegno che vedeva tra i suoi promotori Italia Nostra, protagonista in sede giudiziaria degli episodi più significativi.
(4) Così M. CAPPELLETTI, Appunti sulla tutela giurisdizionale di interessi collettivi o diffusi, cit., 191-194. Nello stesso
S. RODOTÀ, Le azioni civilistiche, in Le azioni a tutela di interessi collettivi, cit., 81.
(5) Come acutamente osservava A. ROMANO, commentando la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 14 luglio
1972, n. 475, relativa all'insediamento di impianti inquinanti nel golfo di Gaeta, Interessi “individuali” e tutela
giurisdizionale amministrativa, in Foro it., 1972, III, col. 269.
(6) Corte giust. eur., 12 maggio 2011, causa C-115/09, con un commento critico di E. J. LOHSE, Surprise?Surprise! Case C-115/09 (Kohlekraftwerk Lunen) A Victory of the Environment and a Loss for Procedural Autonomy of the
Member States?, in Public Law Rev. 2013, e con toni più favorevoli di F. GOISIS, Legittimazione al ricorso delle
associazioni ambientali ed obblighi discendenti dalla Convenzione di Aarhus e dall'ordinamento dell'Unione Europea, in
questa Rivista 2012, 91. Ritengono, sotto taluni aspetti, la disciplina italiana non conforme alla Convenzione di Aarhus
R. LEONARDI, La legittimazione processuale delle associazioni ambientaliste: alcune questioni ancora giurisprudenziali,
in Riv. giur. ed., 2011, 3 e G. TULUMELLO, Access to Justice from the point of view of a judge, in www.giustiziaamministrativa.it. La questione, qui solo accennata, sarà ripresa nel par. 3 ed è oggetto di un dibattito acceso nel
diritto europeo.
(7) A. AMORTH, Introduzione al diritto comparato e al diritto pubblico, in Scritti giuridici, 1940-1948, II, 817. Sul
valore del diritto amministrativo comparato e sul suo “destino amaro” si esprime anche M. D'ALBERTI, Diritto
amministrativo comparato, Bologna, 1992, spec. 9.
(8) Come scrive G. NAPOLITANO nell'Introduzione al volume da lui stesso curato, Diritto amministrativo comparato,
Corso di diritto amministrativo, diretto da S. CASSESE, IV, Milano 2007, IX.
(9) Il dibattito in merito alla necessità di un ripensamento delle categorie tradizionali della comparazione nel diritto
amministrativo è limpidamente tracciato nello scritto di F. BIGNAMI, From Expert Administration to Accountability
Network: A New Paradigm for Comparative Administrative Law, 59 American Journ. Comparative Law 859 (2011).
Anche BRUCE ACKERMAN, in Good-bye Montesquieu, in Comparative Administrative Law, a cura di SUSAN ROSEACKERMAN e PETER L. LINDSETH, 2010, 128, sottolinea la necessità di “a new framework for analysis” e J.L.
MASHOW, in Explaining administrative law: refelections on federal administrative law in nineteenth century America, in
Comparative Administrative Law, op. ult. cit., 37 propone uno schema concettuale attraverso cui condurre lo studio in
comparazione dei sistemi di diritto amministrativo, formulando una serie di quesiti (a p. 44) cui rispondere “as we go
about the fascinating business of learning what we can learn from each other”.
(10) Nei diversi contributi contenuti nel volume Methods of comparative law a cura di P.G. MONATERI, EDWARD
ELGAR 2012, ove P. G. MONATERI, (Methods of comparative law: an intellectual overview, 1) propone una prospettiva
di studio più ampia, non limitata al diritto positivo e al ruolo dei giudici nella sua interpretazione, con l'intento di
valorizzare il diritto comparato (24) “as the best intellectual device we can use to depict the figurality of Law and to
construct a theory of representational understanding of a normative world”.
(11) Sul ruolo dei giudici e della giurisprudenza nell'elaborazione di categorie condivise si rinvia senz'altro a S.
CASSESE, I tribunali di Babele. I giudici alla ricerca di un nuovo ordine globale, Roma 2009.
(12) “Non solo, infatti, in tale conoscenza si imprime un ordine che si origina dalla stesse affinità e differenze
riscontrate, ma lo stesso istituto, considerato nelle sue diverse manifestazioni, si può forse ricondurre ad un « tipo »
che si distacca da queste singole manifestazioni, rivelandone il fondo comune, e più ancora si possono avvertire le
tendenze di un certo istituto o di certi ordinamenti in un particolare periodo storico”. Così concludeva A. AMORTH, op.
cit., 840.
(13) Già V. MOLASCHI ha condotto una simile analisi comparatistica nello scritto Standing to Sue of Environmental
Groups in Italy and in the United States of America, in JEELP, 2006, 52. Tuttavia, nonostante la completezza dello
scritto, il tempo trascorso legittima un ripensamento del tema, tanto più, che, come si avrà modo di leggere, le
conclusioni cui si giunge non sono le medesime. Sempre ragionando in comparazione con il sistema statunitense,
sebbene in una prospettiva più ampia, che tiene conto sia della legittimazione, sia più in generale dei poteri e
provvedimenti attribuiti alle autorità amministrative, F. FRACCHIA, nello scritto Amministrazione, ambiente e dovere:
Stati Uniti e Italia a confronto, in Ambiente, attività amministrativa e codificazione, a cura di DE CAROLIS-FERRARIPOLICE, Milano, 2005, 120, ritiene la specificità del diritto ambientale debba ricavarsi proprio a partire dalla “qualità e
indole della situazione giuridica prevalente nel settore”.
(14) Qui si ricordino solo i contributi di RICHARD PIERCE JR., Is standing law or politics?, 77 N.C.L. Rev. 1741(1999)
e J. H. ADLER, God, gaia, the taxpayer, and the Lorax: standing, justiciability, and separation of powers after
Massuchessetts and Hein, 20 Regents U.L. Rev. 175 (2007-2008), posto che la questione tornerà in rilievo nel
proseguo dello scritto, rinviandosi in particolare al par. 4.
(15) In merito si rinvia a D. DE PRETIS, La giustizia amministrativa, in Corso di diritto amministrativo, diretto da S.
CASSESE, IV, Diritto amministrativo comparato, cit. e B. MARCHETTI, Pubblica amministrazione e corti negli Stati
Uniti. Il judicial review sulle administrative agencies, Padova 2005.
(16) N. TROCKER, voce Interessi collettivi e diffusi, in Enc. giur., XVII, Roma, 1989.
(17) F. G. SCOCA, Tutela dell'ambiente: la difforme utilizzazione della categoria dell'interesse diffuso da parte dei
giudici amministrativo, civile e contabile, in Dir. soc. 1988, 655.
(18) G. BERTI, Interessi senza struttura (i c.d. interessi diffusi), in Studi in onore di A. Amorth, Milano, 1982, I, 67.
(19) Tra i principali contributi in dottrina si ricordino R. FERRARA, voce Interessi collettivi e diffusi (ricorso
giurisdizionale amministrativo), in Dig. disc. pubbl., vol. VIII, Torino 1993, 482 e Gli interessi superindividuali fra
procedimento amministrativo e processo: problemi e orientamenti, in questa Rivista, 1984, 49; M. NIGRO, Le due
facce dell'interesse diffuso: ambiguità di una formula e mediazioni della giurisprudenza, in Foro it., 1987, 10; R.
FEDERICI, Gli interessi diffusi: il problema della loro tutela nel diritto amministrativo, Padova, 1984, R. LOMBARDI, La
tutela delle posizioni giuridiche meta-individuali nel processo amministrativo, Torino, 2008 e C. CUDIA, Gli interessi
plurisoggettivi tra diritto e processo amministrativo, Santarcangelo di Romagna, 2012.
(20) Secondo l'espressione usata da F. G. SCOCA, La tutela degli interessi collettivi nel processo amministrativo, in
Le azioni a tutela degli interessi collettivi, cit., 57.
(21) Per la quale si rinvia, senz'altro, allo scritto di D. SORACE, Il problema degli interessi non-diritti da tutelare
nell'admistrative law americano (linee di un dibattito in corso), in Scritti per Mario Nigro, III, Milano, 1991, 581.
(22) Gli interessi “individuali”, cit., 271.
(23) Sul processo amministrativo come processo di parti si rinvia a W. TROISE MANGONI, L'opposizione ordinaria del
terzo nel processo amministrativo, Milano, 2004, 47 ss. e agli ampi riferimenti di dottrina ivi ricordati.
(24) R. VILLATA, Dodici anni dopo: il codice del processo amministrativo, in Il codice del processo amministrativo.
Dalla giustizia amministrativa al diritto processuale amministrativo, a cura di B. SASSANI e R. VILLATA, Torino, 2012,
41, in particolare 63 ss. Nello stesso senso G. DE GIORGI CEZZI, Poteri d'ufficio del giudice e caratteri della
giurisdizione amministrativa, Relazione al convegno AIPDA Trento, 5-6 ottobre 2012, spec. par. 14.
(25) Il distinguo si trova da ultimo ribadito anche nell'Adunanza plenaria n. 4 del 7 aprile 2011, che ragiona quanto
all'ordine di decisione del ricorso principale e incidentale e alla legittimazione del ricorrente principale che il secondo
mira a contestare.
(26) R. VILLATA, voce Interesse ad agire II) Diritto processuale amministrativo, in Enc. giur., XVII, Roma, 1989.
(27) E. CANNADA BARTOLI, Principio soggettivo nel processo amministrativo e legittimazione a ricorrere, in Foro
amm., 1963, I, 334.
(28) Si rinvia in merito a M. RAMAJOLI, Legittimazione ad agire e rilevabilità d'ufficio della nullità, in questa Rivista
2007, 999, in particolare par. 2, “... nel processo amministrativo di legittimità ampi spazi di tutela hanno ottenuto non
solo i destinatari diretti del provvedimento amministrativo, ma anche i terzi,...si può proprio dire che la caratteristica
saliente dell'interesse legittimo sia quella far capo normalmente anche a soggetti terzi rispetto ai destinatari immediati
degli effetti dell'atto amministrativo...Siccome però oltre la sfera della legittimazione consentita nel processo
amministrativo di legittimità c'è soltanto quella tipica dell'azione popolare...”
(29) Tentativo da ultimo compiuto nel volume di C. CUDIA, Gli interessi plurisoggettivi tra diritto e processo
amministrativo, cit.
(30) A. ROMANO, Interessi “individuali”, cit., 271.
(31) F. G. SCOCA, La tutela degli interessi collettivi nel processo amministrativo, cit., 80.
(32) M. CAPPELLETTI, Appunti sulla tutela giurisdizionale, cit., 199.
(33) Come ricorda R. VILLATA, voce Legittimazione processuale, cit., “... legittimato a ricorrere è (chi afferma di
essere) il titolare dell'interesse protetto? O piuttosto è l'interesse ad agire la chiave per individuare a chi spetti la
legittimazione? Legittimazione ed interesse ad agire sono requisiti autonomi ovvero l'una si risolve nell'altro?
L'incertezza non è attenuata dalla giurisprudenza che, ricchissima di indicazioni in punto di interesse processuale, lo è
meno in punto di legittimazione: anzi un medesimo problema ... viene a volte prospettato in termini di interesse
processuale, a volte di legittimazione, senza però chiaramente prender partito a favore dell'eventuale non autonomia
dei suddetti requisiti.” Di recente ragiona sul rapporto tra legittimazione e interesse a ricorrere G. TROPEA, L'interesse
strumentale a ricorrere: una categoria al bivio?, in questa Rivista, 2010, 664.
(34) A. TRAVI, La tipologia delle azioni nel nuovo processo amministrativo, in La gestione del nuovo processo
amministrativo: adeguamenti organizzativi e riforme strutturali, Atti del LXVI convegno di studi amministrativi, 23-25
maggio 2010, Varenna, Milano 2011, 75.
(35) A. M. SANDULLI, Il giudizio innanzi al Consiglio di Stato e ai giudici sottordinati, Napoli, 1963, 210.
(36) F. P. LUISO, Diritto processuale civile, I, Milano 2011, 216.
(37) M. CAPPELLETTI, Appunti sulla tutela giurisdizionale, cit., 220.
(38) V. DENTI, Relazione introduttiva, in Le azioni a tutela di interessi collettivi, cit., 15.
(39) Louis Jaffe 1968 (ricordato da Cappelletti, cit., 200) che introduce il concetto di ideological plaintiff ovvero della
parte ideologica che rappresenta gli interessi dei più.
(40) A. TRAVI, Lezioni di giustizia amministrativa, Milano, 2012.
(41) A. POLICE, Il giudice amministrativo e l'ambiente: giurisdizione oggettiva e soggettiva?, in Ambiente, attività
amministrativa e codificazione, a cura di D. DE CAROLIS, E. FERRARI, A. POLICE, Milano, 2006, 320.
(42) Cons. Stato, Ad. plen., 19 ottobre 1979, n. 24. Per un'applicazione recente del criterio si veda Cons. Stato, Sez.
VI, 23 maggio 2011, n. 3107.
(43) Cons. Stato, Sez. V, 9 giugno 1970, n. 523, si tratta dell'interpretazione dell'art. 10 legge 6 agosto 1967, n.
765, c.d. legge ponte in materia urbanistica.
(44) Cons. Stato, Sez. IV, 13 luglio 1998, n. 1088.
(45) F. DEGNI, Riflessioni sul concetto di “stabile collegamento” quale presupposto per la legittimazione dei soggetti
portatori di interessi a carattere commercial nelle controversie relative a provvedimenti di natura urbanistica ed
edilizia, in www.giustamm.it. Chiaramente in tal senso T.A.R. Veneto, 30 ottobre 2006, n. 3591.
(46) Cons. Stato, Sez. VI, 23 maggio 2011, n. 3107, nel caso di specie si trattava di ammettere Consorzi di agenzie
d'affari in mediazioni turistiche, Comitati di cittadini e Associazioni di operatori balneari in un giudizio avente ad
oggetto il procedimento conclusosi con un giudizio positivo di compatibilità ambientale sul progetto per la
trasformazione a carbone della centrale termoelettrica di Porto Tolle. In senso conforme Cons. Stato, Sez. VI, 13
settembre 2010, n. 6554, Sez. IV, 14 aprile 2006, n. 2151 e Sez. V, 2 ottobre 2006, n. 5760.
(47) Cons. Stato, Sez. IV, 11 novembre 2011, n. 5986, in relazione all'impugnazione di un piano cave.
(48) In tal senso, ad esempio, Cons. Stato, Sez. V, 10 marzo 1998, n. 278 o, di recente, Cons. Stato, Sez. IV, 13
novembre 2012, n. 5715.
(49) R. VILLATA, Riflessioni in tema di partecipazione al procedimento e legittimazione processuale, in questa Rivista,
1992, 184. Da ultimo, M. C. ROMANO, Interessi diffusi e intervento nel procedimento amministrativo, in Foro amm.C.d.S. 2012, 1691 e, più in generale, F. GAFFURI, Contributo allo studio del rapporto procedimentale, Milano 2012.
(50) Da ultimo in tal senso Cons. Stato, Sez. VI, 13 settembre 2010, n. 6554 pubblicata con il commento di A.
MAESTRONI, Sussidiarietà orizzontale e vicinitas, criteri complementari o alternativi in materia di legittimazione ad
agire? in Riv. giur. amb., 2011, 528. Nello stesso senso T.A.R. Liguria, Sez. I, 27 ottobre 2006, n. 3587.
(51) Sul valore del principio di sussidiarietà nella tutela degli interessi ambientali P. DURET, Riflessioni sulla
legitimatio ad causam in materia ambientale tra partecipazione e sussidiarietà, in questa Rivista, 2008, 688.
(52) Si tratta di una questione quanto mai attuale viste alcune recenti pronunce del Consiglio di Stato (Sez. IV, 31
agosto 2010, n. 5898) in tema di pedaggi autostradali, con nota di L. R. PERFETTI e C. CLINI, Class action, interessi
diffusi e legittimazione a ricorrere degli enti territoriali nella prospettiva dello statuto costituzionale del cittadino e delle
autonomie locali, in questa Rivista, 2011, 1443, I. E. NINO, La legittimazione ad agire degli enti territoriali a difesa
degli interessi meta-individuali dei cittadini residenti, pubblicato su www.giustamm.it. Il tema già in passato è stato
oggetto di lavori monografici tra cui A. ANGIULI, Interessi collettivi e tutela giurisdizionale: le azioni comunali e
surrogatorie, Napoli, 1986.
(53) Si esprimono in favore di una simile apertura della legittimazione L. R. PERFETTI e C. CLINI, op. ult. cit.
(54) B. DELFINO, Sulla legittimazione processuale delle articolazioni locali di associazioni ambientaliste riconosciute
ex art. 13 L. n. 349/1986, in www.giustamm: ricorda i diversi orientamenti del giudice di primo grado e del Consiglio
di Stato.
(55) F. GOISIS, cit., 117.
(56) Si ricordi, ad esempio, la sentenza del T.A.R. Lombardia, Sez. IV, 15 dicembre 2008, n. 5786 (pubblicata con
nota critica di A. MAESTRONI, La legittimazione ad agire delle articolazioni territoriali di associazioni individuate ex art.
13 L. 349/1986. Un falso problema: il caso Legambiente Lombardia Onlus, in Riv. giur. amb., 2010, 601) in cui è stata
esclusa la legittimazione di Legambiente Lombardia ad impugnare gli atti relativi all'individuazione del tracciato per
l'autostrada Brescia-Milano sul presupposto che l'ente in questione non fosse un'associazione di protezione ambientale
ai cui all'art. 13 l. n. 346/1989, costituendo, piuttosto, un'articolazione territoriale a base regionale, dunque inadatta a
rappresentare interessi ambientali a livello nazionale.
(57) In merito Cons. Stato, Sez. V, 22 marzo 2012, n. 1640 nega la legittimazione in capo a due associazioni non
riconosciute quanto all'impugnazione di atti costitutivi della VIA per la costruzione di un impianto di
termovalorizzazione. Per una nota critica A. MAESTRONI, Accesso alla giustizia, un'occasione mancata, in Riv. giur.
amb., 2012, 591.
(58) F. G. SCOCA, Tutela dell'ambiente, cit., 507-508.
(59) Sul valore che la Convenzione attribuisce alla partecipazione del cittadino e alla condivisione delle scelte
amministrative in tema ambientale G. MANFREDI, S. NESPOR, Ambiente e democrazia: un dibattito, in Riv. giur. amb.,
2010, 293, con alcune riflessioni quanto al rischio che la democrazia partecipativa si traduca nel governo di una elite e
alla incapacità degli strumenti previsti nel Codice dell'ambiente di realizzare un vero dialogo tra amministrazione e
cittadino. Sul sistema organizzativo preposto alla tutela dell'ambiente e sulla distribuzione delle competenze F. DE
LEONARDIS, Le organizzazioni ambientali come paradigma delle strutture a rete, in Foro amm.-C.d.S. 2006, 273.
Infine approfondisce il ruolo della partecipazione E. FASOLI, Associazioni ambientaliste e procedimento amministrativo
in Italia alla luce degli obblighi della Convenzione UNECE di Aarhus del 1998, in Riv. giur. amb., 2012, 331.
(60) L'art. 9 della Convenzione dispone che « 2. ... ciascuna Parte provvede affinché i membri del pubblico
interessato: a) che vantino un interesse sufficiente o in alternativa b) che facciano valere la violazione di un diritto, nei
casi in cui il diritto processuale amministrativo di detta Parte esiga tale presupposto abbiano accesso a una procedura
di ricorso dinanzi a un organo giurisdizionale e/o ad un altro organo indipendente ed imparziale istituito dalla legge,
per contestare la legittimità sostanziale o procedurale di decisioni, atti od omissioni soggetti alle disposizioni
dell'articolo 6 e, nei casi previsti dal diritto nazionale e fatto salvo il paragrafo 3, ad altre pertinenti disposizioni della
presente convenzione. 3. Ciascuna parte provvede affinché i membri del pubblico che soddisfino i criteri
eventualmente previsti dal diritto nazionale possano promuovere procedimenti di natura amministrativa o
giurisdizionale per impugnare gli atti o contestare le omissioni dei privati o delle pubbliche autorità compiuti in
violazione del diritto ambientale nazionale ». M. MAGRI, Esiste un « terzo pilastro » della Convenzione di Ahrus?, in
Quad. cost., 2012, 444, ritiene che persino l'assunto che il diritto ambientale dell'Unione non prenda posizione verso
l'actio popularis o sia tendenzialmente contrario a tale istituto dovrebbe farsi più sospettoso e prudente in materia
ambientale ... in materia ambientale non esistono interessi dei singoli che non possano accedere alla giustizia, tranne
quelli che non introducano genuinamente una controversia.
(61) Tale Convenzione prevede, inoltre, un sistema di controllo del rispetto delle disposizione con l'istituzione di un
Compliance Committee (in merito M. MACCHIA, La compliance al diritto amministrativo globale: il sistema di controllo
della Convenzione di Aarhus, in Riv. trim. dir. pubbl. 2006, 639). Da ultimo tale comitato nel documento “Draft
findings and reccomendations of the Compliance Committee with regard to communication ACCC/C/2008/32
concerning compliance by the European Union”, del 14 marzo 2011, ha ritenuto non soddisfacente rispetto alle
previsioni della Convenzione l'accesso garantito presso le Corti europee, che, così come esistente, richiede un
intervento di compensazione, ad esempio con la previsione di mezzi di riesame amministrativo.
(62) C- 25/62 Plaumann & Co v. Commission. Per le critiche alla restrizione all'accesso alla Corte derivante dalla
sentenza e l'impatto della nuova disposizione di cui all'art. 263 TFUE si rinvia a B. MARCHETTI, L'impugnazione degli
atti normativi da parte dei privati nell'art. 263 TFUE, in Riv. it. dir. pubbl. com. 2010, 1471.
(63) Come ricordato da M. ELIANTONIO, Towards an ever dirtier Europe? The restrictive standing of environmental
NGOs before the European Courts ad the Aarhus convention, e nella relazione Legittimazione attiva per la tutela
ambientale di fronte ai giudici europei e nazionali si vedano, ad esempio, Corte di Giustizia C-407/92 (An Taisce e
WWF-UK c. Commissione); Id., 2 aprile 1998, C-321/95 (Stichting Greenpeace Council - Greenpeace International c.
Commissione). Ugualmente critico lo scritto di N. DE SADELEER e C. PONCELET, Protection Against Acts Harmful to
Human Health and the Environment Adopted by the EU Institutions, in Cambridge Yearbook of European Legal Studies,
2012, 177.
(64) C-321/95 P.-Greenpeace and Others v. Commission.
(65) Nella sentenza C-263/08 (ove la disciplina dell'accesso alla giustizia, di cui all'art. 10-bis della dir. 85/337,
interpretato anche alla luce dell'art. 9, par. 3, della Convenzione, è stata considerata violata dal diritto svedese,
laddove associazioni non a carattere nazionale vedessero, per ciò solo, negata la propria legittimazione) e nelle già
ricordate sentenze C-240/09 (che stabilisce le disposizioni slovacche in tema di legittimazione vadano interpretate in
conformità con l'art. 9 della Convenzione UNECE, sì da permettere ad un'organizzazione ambientale di contestare in
giudizio una decisione adottata a seguito di un procedimento amministrativo eventualmente contrario al diritto
ambientale dell'Unione) e C-115/09 (in cui la Corte, al punto 41, afferma che l'art. 10-bis della dir. 85/337,
interpretato tenendo conto degli obiettivi della convenzione di Aarhus, riconosce alle associazioni per la tutela
dell'ambiente il diritto a proporre ricorso in sede giurisdizionale o dinanzi ad un altro organo indipendente e imparziale
istituito dalla legge, allo scopo di contestare la legittimità, quanto al merito o alla procedura, delle decisioni o degli atti
previsti dallo stesso art. 10-bis, ovvero di progetti ad impatto ambientale; a tale diritto deve conformarsi anche la
disciplina processuale tedesca che invece richiede la lesione individuale ai fini della legittimazione), commentate da M.
ELIANTONIO in Common Market Law Review 49, 2012, 767 e da F. GOISIS, cit.
(66) Cfr. M. ELIANTONIO, op. ult. cit. e N. DE SADELEER e C. PONCELET, op. ult. cit.
(67) A. TRAVI, Verso una convergenza di modelli di processo amministrativo?, in Forme e strumenti di tutela nei
confronti dei provvedimenti amministrativi nel diritto italiano, comunitario e comparato, a cura di G. FALCON, Padova,
2010, 7.
(68) Si veda ad esempio quanto riferisce in merito alla disciplina nelle procedure di evidenza pubblica N. BASSI,
Procedure di aggiudicazione degli appalti delle amministrazioni europee e tutela giurisdizionale, in Il sistema della
giustizia amministrativa negli appalti pubblici in Europa, Milano 2012, 498. Per una critica sistematica a tale
atteggiamento causa di “discriminazione rovesciata” e un richiamo al rispetto dei criteri dell'equivalenza e
dell'effettività da parte della Corte si rinvia G. GRECO, Illegittimità comunitaria e pari dignità degli ordinamenti, in Riv.
it. dir. pubbl. com., 2008, 505.
(69) Il tema della separazione dei poteri è fondamentale in tutto il diritto amministrativo americano, a partire dalla
non delegation doctrine e dalla collocazione nel quadro costituzionale delle Administrative agencies. In merito si rinvia
a B. MARCHETTI, Pubblica amministrazione e corti negli Stati Uniti, cit.
(70) Cfr. D. SORACE, cit., 619 e la dottrina ivi ricordata, cui si aggiunga MAXWELL L. STEARNS, Standing back from
the forest: justiciability and social choice, 83 Cal. L. Rev. 1309 (1995), RICHARD PIERCE JR., Is standing law or
politics?, cit., J. H. ADLER, God, gaia, the taxpayer, and the Lorax: standing, justiciability, and separation of powers
after Massuchessetts and Hein, cit., e H. ELLIOTT, The functions of standing, 61 Stan. L. Rev. 459 (2008).
(71) ANTONIN SCALIA, Standing as an Essential Element of Separation of Power, 17 Suffolk L. Rev. 881 (1983).
(72) ADP Association of Data Processors v. Camp, 397 U.S. 150 (1970).
(73) 405 U.S. 727 (1972). Nel caso di specie la Corte nega la legittimazione all'associazione Sierra Club stante
l'incapacità di mostrare che alcuno dei suoi membri patisse una lesione aestethic environmental or recreational. La
mancanza della prova quanto alla lesione porta a concludere che l'associazione vanti un mero ideological interest in
evironmental protection come tale privo di tutela giurisdizionale. La sentenza Sierra Club è molto nota per la originale
dissenting opinion del giudice Douglas ove scriveva che “Contemporary public concern for protecting nature's
ecological equilibrium should lead to the conferral of standing upon environmental objects to sue for their own
preservation”. Si uniformano alla decisione della Corte Suprema anche le Corti statali. Ancora da ultimo la Corte
Suprema delle Hawaii (Sierra Club v. Department of Transp., 115 Haw. 299, 320, 167 P. 3d 292, 313 (2007)) ha
chiaramente statuito “The court will recognize harms to plaintiffs sic environmental interests as injuries that may
provide the basis for standing. ... In environmental cases, injuries to recreational and aesthetic interests have been
acknowledged as forming the basis for a plaintiff's standing”.
(74) SHI-LING HSU, The Identifiability Bias in Environmental Law, 35 Fla. St. U. L. Rev. 433, 466 (2008), E.
LONGFELLOW, A New Look at Environmental Standing, 24 Environs Envtl. L. & pol'y 3, Fall 2000, 17.
(75) Come si legge al par. 22 della sentenza: The fact that particular environmental interests are shared by the many
rather than the few does not make them less deserving of legal protection through the judicial process. But the “injury
in fact test” requires more than an injury to a cognizable interest. It requires that the party seeking review be himself
among injured.
(76) Le funzioni ed il ruolo dell'Agenzia sono oggi oggetto di ripensamento e ridefinizione come si legge nei diversi
contributi dedicati al tema nella Harvard Law review vol. 34, 2010.
(77) R. KUNDIS CRAIG, Standing in Principles of Constitutional Environmental law, in James R. May, 195-216,
American Bar Association 2011.
(78) Ricostruisce il fenomeno con ricchi riferimenti alla giurisprudenza in merito K.S. COPLAN, Direct Environmental
Standing for Chartered Conservation Corporation, in 12 Duke Env.mental Law & Policy Forum 183 (2001).
(79) Tale soluzione si trova confermata nel caso Lujan v. National Wildlife Federation, 497 U.S. 871, del 1990 in cui il
giudice Scalia nega la legittimazione dell'associazione posto che due soli suoi membri hanno indicato di aver in passato
fruito dei luoghi oggetto dell'autorizzazione all'attività lesiva, né da tale precedente fruizione possono trarsi presunzioni
circa l'esistenza di una lesione concreta.
(80) 504 U.S. 555 (1992) ove si legge che i tre presupposti (injury in fact, redressability and causation) sono tutti
utili all'intento della Corte di assicurare in ogni controversia “that concrete adverseness which sharpens the
presentation of issues upon which the Court so largely depends for illumination”. Inoltre ivi si specifica che la lesione,
ancorchè non di un legal right ma di un più generale interesse ambientale, deve essere distinct and palpable, concrete
and particularized. Commentata da R. JR. PIERCE Standing as a Judicially imposed Limit on Legislative Power, 42 Duke
L.J. 1170 (1993).
(81) Per mera curiosità, si trattava di progetti per l'avvistamento del leopardo asiatico in Sri Lanka e del coccodrillo
del Nilo in Egitto.
(82) In merito ad esempio Basel Action Network v. Maritime Admin., 370 F. Supp. 2d 57 (D.D.C. 2005).
(83) L'inaccessibilità del rimedio risarcitorio per il cittadino legittimato dallo statuto non può non richiamare alla
mente la disciplina della c.d. Class action pubblica, introdotta in Italia con il d.lgs. n. 198/2009 (in merito F. CINTIOLI,
Note sulla c.d. class action amministrativa sul sito www.giustamm.it, A. BARTOLINI, La class action nei confronti della
p.a. tra favole e realtà, in Il lavoro nelle PA, 2009, 953, F. MARTINES, L'azione di classe del D.Lgs. 198/2009:
un'opportunità per la pubblica amministrazione? in www.giustamm.it, C.E. GALLO, La class action nei confronti della
pubblica amministrazione, in Urb. app., 2010, 501, C. TUBERTINI, La prima applicazione della class action
amministrativa, in Giorn. dir. amm., 2011, 862 e F. PATRONI GRIFFI, Class action e ricorso per l'efficienza
dell'amministrazione e dei concessionari pubblici, in www.federalismi.it), che ha avuto un innesto indolore proprio
stante l'assenza di conseguenze risarcitorie in capo all'Amministrazione. L'ambito di applicazione assai più limitato —
posto che si prevede la serialità della controversia e la finalità del giudizio a “... ripristinare il corretto svolgimento
della funzione o la corretta erogazione di un servizio” ovvero l'inerzia dell'amministrazione rispetto all'adozione di atti
generali — implica l'impraticabilità del rimedio per le associazioni ambientali, posto che si parla di “utenti e
consumatori”, e spiega la scarsa appetibilità dello strumento, che, infatti, ad oggi ha trovato rara applicazione in
giurisprudenza. Si ricordi il caso pressoché unico delle c.d. classi pollaio di cui alla decisione Cons. Stato, Sez. VI, 9
giugno 2011, n. 3512.
(84) Michigan Citizens for Water Conservation v. Nestle Waters North America, 479 Mich. 280, 737 N.W.2d 447
(2007).
(85) Save the Pine Bush, Inc. v. Common Council of City of Albany, 13 N.Y.3d 297, 890 N.Y.S.2d 405, 918 N.E.2d
917, 922 (2009).
(86) Lujan v. National Wildlife Generation, 487 U.S. 871 (1990).
(87) International Union, UAW v. Brock, 477 U.S. 274 (1986).
(88) 523 U.S. 83 (1998).
(89) In merito J. G. MILLER Environmental Law Institute: Citizen suits: private enforcement of federal pollution
control Laws 1987 e C. STUBBS, Is the Environmental Citizen Suit Dead? An Examination of the Erosion of Standards
of Justiciability for Environmental Citizen Suits, 26 N.Y.U. Rev. L. & Soc. Change 77, 104 (2000).
(90) In base all'art. 35 del d.l. n. 201/2011, convertito con la l. n. 214/2011.
(91) Il dibattito verte intorno alla qualificazione della posizione fatta valere dell'Autorità posto che vi è chi (come M.
A. SANDULLI, Introduzione ad un dibattito sul nuovo potere di legittimazione al ricorso dell'AGCM nell'art. 21-bis L. n.
287 del 1990, in www.federalismi.it o R. GIOVAGNOLI, Atti amministrativi e tutela della concorrenza. Il potere di
legittimazione a ricorrere dell'AGCM nell'art. 21-bis legge n. 287/1990 in www.giustamm.it) sostiene che l'interesse al
rispetto della concorrenza sia qualificato come un interesse legittimo nella sfera giuridica dell'Autorità medesima, che
diverrebbe così una specie di ente esponenziale di un interesse collettivo. Diversamente F. CINTIOLI (Osservazioni sul
ricorso giurisdizionale dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato (art. 21-bis della legge n. 287 del 1990) in
www.giustamm.it) sostiene che la norma configuri un'ipotesi di giurisdizione oggettiva, in base alla quale l'AGCM
agisce nell'interesse generale al rispetto della regole della concorrenza e solleva in merito dubbi di legittimità
costituzionale posto che l'art. 103 Cost. ammette la giurisdizione del giudice amministrativo solo a tutela di situazioni
giuridiche soggettive.
(92) Come si precisa nella già ricordata Defenders of Wildlife.
(93) Elk Grove Unified School Dist. V. Newdow, 542 U.S. 1 (2004).
(94) In tale senso, criticamente, C. BARNUM, Injury in Fact, Then and Now (adn Never Again): Summers v. Earth
Island Institute and the Need for Change in Environmental Standing Law, 17 Mo. Envtl. L. & Pol'y Rev. 1.
(95) Per alcune riflessioni comparate in merito non si può che rinviare a G. MORBIDELLI, Il principio di legalità e i c.d.
poteri impliciti, in Dir. amm., 2007, 703.
(96) Si rinvia in merito alla precisa ricostruzione di B. MARCHETTI, cit.
(97) Nella decisione Defenders of wildlife si legge infatti che there is much truth to the assertion that “procedural
rights” are special: The person who has been accorded a procedural right to protect his concrete interest can assert
that right without meeting all the normal standards for redressability and immediacy”.
(98) In via generale Federal Election Comm'n v. Akins, 524 U.S. 11, 23-25 (1998), con speciale riferimento ai
procedimenti ambientali Bensman v. U.S. Forest Serv., 408 F. 3d 945, 955-956 (7thCirc 2005).
(99) Friends of Earth vs. Laidlaw Envtl. Servs, 528 U.S. 167 (2000). Per un commento critico D. N. CASSUTO, The
Law of Words: Standing, Environment and other Contested Terms, in 28 Harvard Env.mental Law Rev. 79 (2004) ove
si afferma l'insensatezza di richiedere una lesione personale in capo al ricorrente, anziché una lesione ambientale, e si
tenta di costruire una ragionevole teoria della legittimazione sul presupposto che laddove si verifichi una violazione di
uno statuto, che riconosca la legittimazione al cittadino, tale legittimazione non vada misurata sul singolo, ma invece
sul danno che la violazione provoca alla società e all'ordinamento giuridico.
(100) 549 U.S. 497 (2007).
(101) In particolare nella decisione Friends of the Earth, Inc. v. Gaston Copper Recycling Corp., 204 F. 3d 149, 159
(4 th Circ. 2000) si legge che “Threats or increased risk...constitutes cognizable harm. Threatened environmental
injury is by nature probabilistic....by producing evidence that Gaston Copper is polluting Shealy's nearby water source,
CLEAN (Citizens Local Environmental Action Network) has shown an increased risk to its member's downstream uses.
This threatened injury is sufficient to provide injury in fact.”.
(102) Natural Resources Defense Council v. Envtl. Prot. Agency, 464 F. 3d 1, 6 (D.C. Circ. 2006).
(103) At bottom, the gist of the question of standing is whether petitioners have such a personal stake in the
outcome of the controversy as to assure that concrete adverseness which sharpens the presentation of issues upon
which a court so largely depends for illumination. While it does not matter how many persons have been injured by the
challenged action, the party bringing suit must show that the action injures him in a concrete and personal way. This
requirement is not just an empty formality. It preserves the vitality of the adversarial process by assuring both that
the parties before the court have an actual, as opposed to professed, stake in the outcome, and that the legal
questions presented will be resolved, not in the rarified atmosphere of a debating society, but in a concrete factual
context conducive to a realistic appreciation of the consequences of judicial action. [HN8] Where a harm is concrete,
though widely shared, the U.S. Supreme Court finds injury in fact for standing purposes. [HN9] A plaintiff satisfies the
redressability requirement of standing when he shows that a favorable decision will relieve a discrete injury to himself.
He need not show that a favorable decision will relieve his every injury. [HN10] The more drastic the injury that
government action makes more likely, the lesser the increment in probability to establish standing. Even a small
probability of injury is sufficient to create a case or controversy — to take a suit out of the category of the
hypothetical--provided of course that the relief sought would, if granted, reduce the probability.
(104) La Corte sottolinea che “the harms associated with global climate change are serious and well-recognized”.
Nelle dissenting opinions si legge, però, che manca la prova dell'attualità ed imminenza della lesione posto che i
dibattiti e le previsioni scientifiche non provano il livello dei mari continuerà con certezza ad alzarsi, né quale sia
l'innalzamento legato all'emissione dei gas in atmosfera. Nel merito, si ricordi, però, la Corte non ravvisa in base alle
previsioni del Clean air act l'esistenza di un obbligo in capo a EPA all'adozione della regolazione.
(105) BARDFORD MANK, Should States Have Greater Standing Rights Than ordinary Citizens”: Massachussets v.
EPA'S New Standing Test for States, 49 WM.& Mary L. Rev. 1701 (2008).
(106) Connetictut v. Amer. Elec. Power Co., 582 F. 3d at 349.
(107) Ctr. For Biological Diversity v. U.S. Dept. of the interior, 563, F 3d 466 (D:C: Circ. 2009) e Coal. For a
Sustinaible Delat v. Carson, 2008 WL 2899725 (2008).
(108) Summers v. Heart Island Institute, 129 S. Ct. 1142 (2009), commentata da M. BANDA, 34 Harv. Envtl. L. Rev.
321 (2010).
(109) C. BARNUM, Injury in Fact, Then and Now (and Never Again), cit.
(110) Save the Plastic Bag Coalition v. City of Manhattan Beach, 52 Cal. 4th 155, 127 Cal. Rptr. 3d 710, 254 P.3d
1005, 1011-12 (2011).
(111) “Where the question is one of public right and the object of the mandamus is to procure the enforcement of a
public duty, the [petitioner] need not show that he has any legal or special interest in the result, sine it is sufficient
that he is interested as a citizen in having the laws executed and the duty in question enforced.” This “public
right/public duty' exception to the requirement of beneficial interest for a writ of mandate” “promotes the policy of
guaranteeing citizens the opportunity to ensure that no governmental body impairs or defeats the purpose of
legislation establishing a public right.” (Green v. Obledo, supra, 29 Cal. 3d at pp. 145, 144, 172 Cal. Rptr. 206, 624
P.2d 256; see also Environmental Protection Information Center v. California Dept. of Forestry & Fire Protection (2008)
44 Cal. 4th 459, 479, 80 Cal.Rptr.3d 28, 187 P.3d 888.) In tutti questi casi si parla di “public interest standing.” (Cfr.
Dix v. Superior Court (1991) 53 Cal.3d 442, 453, 279 Cal. Rptr. 834, 807 P.2d 1063.)
(112) In base alla quale il Presidente ha il compito di take care that the Laws be faithfully executed.
(113) J. GIBBS PLEUNE, Is Scalian Standing the Latest Sighting of the Lochner-ess monster?: using Global Warming
to Explore the Myth of the Corporate Person, 38 Envtl. L. 273 (2008).
(114) A. FRIGNANI e P. VIRANO, Le class-actions nel diritto statunitense: tentativi (non sempre riusciti) di trapianti
in altri ordinamenti, in Dir. eco. ass. 2009, 5.
(115) D. SORACE, cit., 628-629.
(116) In proposito A. POLICE, Il giudice amministrativo e l'ambiente: giurisdizione oggettiva e soggettiva?, cit., qui
308, esclude con assoluta sicurezza la giurisdizione oggettiva del giudice amministrativo nel vigente quadro
costituzionale e ritiene perciò che in linea generale il giudice amministrativo abbia giurisdizione su questioni ambientali
soltanto nel caso in cui davanti a lui si invochi la tutela di situazioni giuridiche di interesse legittimo, cui si aggiungono i
diritti, di cui, in tutti i casi in cui i beni e gli interessi ambientali sono in qualche modo riconducibili all'uso e al governo
del territorio, conoscerà in sede di giurisdizione esclusiva.
(117) Ciò almeno nell'intento del legislatore, che non sempre ha trovato poi applicazione concreta, come emerge dai
rilievi contenuti in Gli interessi diffusi e la legittimazione ad agire delle associazioni ambientalistiche, cit., 444 ss., ove,
analizzando l'elenco ministeriale si rileva la presenza di soggetti che tutelano l'ambiente solo con scopi limitati (es.
protezione della montagna, come la Società Speleologica Italiana, diffusione di una certa cultura come l'Associazione
Italiana Insegnanti di Geografia, o incentivazione di particolari forme di turismo, come Agriturist) o nemmeno si
conciliano con la protezione dell'ambiente (come la protezione di certe forme di attività venatoria e piscatoria in capo
alla Federazione italiana pesca sportiva ed attività subacquee o come la protezione dei consumatori in capo al
Codacons).
(118) Come già precisava E. CANNADA BARTOLI, Principio soggettivo nel processo amministrativo e legittimazione a
ricorrere, in Foro amm., 1963, I, 332 e 335.
(119) JOSEPH L. SAX, Defending the Environment. A Strategy for Citizen Action, New York 1971.
(120) Dottrina di recente ripresa da J. GIBBS PLEUNE, Is Scalian Standing the Latest Sighting or the Lochner-ess
monster?, cit.
(121) Contrariamente a quanto prospettato dalla dottrina: di recente C. CUDIA, Gli interessi plurisoggettivi tra diritto
e processo amministrativo, cit.
(122) GITANJALI NAIN GILL, Human rights and the environment in India: access through public interest litigation, in
Env. L. Rev. 2012, 14(3), 200-218.
(123) Corte Europea dei diritti umani, 9 giugno 2005, caso Fadeyeva c. Russia, in cui è stata riconosciuta la
violazione dell'art. 8 della Carta, ovvero del diritto della ricorrente a godere di una casa e di una vita privata in un
ambiente non irrimediabilmente inquinato, non avendo la Russia attuato alcuna misura idonea permettere il
trasferimento della ricorrente in una zona non avvelenata dalle residui industriali dell'attività produttiva autorizzata.
(124) C. CUDIA, Gli interessi plurisoggettivi, cit., 198.
(125) Come già riferiva A. ROMANO, Il giudice amministrativo di fronte al problema della tutela degli interessi c.d.
diffusi, in Foro it. 1978, V, 8, col. 15.
(126) La dimensione oggettiva della norma nel processo amministrativo è valorizzata, come noto, attraverso il
concetto di norma di azione elaborato da E. GUICCIARDI, La giustizia amministrativa, Padova 1957. Favorevole anche
alla ricostruzione oggettiva del giudizio amministrativo, come immaginato nel lavoro del legislatore, è A. ROMANO
nella monografia Giurisdizione amministrativa e limiti della giurisdizione ordinaria, Milano 1975.
(127) M. NIGRO, Problemi veri o falsi della giustizia amministrativa dopo la legge sui tribunali regionali, in Riv. trim.
dir. pubbl., 1972, 1827.
(128) Diversamente C. CUDIA, Gli interessi plurisoggettivi, cit., 277-278, che precisa che “L'azione popolare è una
normale azione a tutela di un diritto, con la particolarità che tale azione spetta al cittadino in quanto tale. Essa quindi
non ha per fine l'attuazione del diritto obiettivo e la miglior salvaguardia della sfera giuridica dell'amministrazione, ma
vale ad arricchire di nuove posizioni sostanziali il patrimonio giuridico del cittadino. La specificità consiste nella
condizione in cui si trova il soggetto, che è comunque titolare di un interesse”. E più avanti (288) precisa che anche le
azioni di classe si armonizzano con il modello soggettivo di tutela e insieme allargano lo spettro delle situazioni
giuridicamente rilevanti a livello individuale, facendo sì che una serie di comportamenti dell'amministrazione diventi
oggetto di pretese giuridiche.
(129) Ugualmente non si condivide l'atteggiamento del giudice amministrativo che in tema di associazioni a tutela dei
consumatori e degli utenti (nella sentenza Cons. Stato, Ad. plen., 11 gennaio 2007, n. 1 nonché in Cons. Stato, Sez.
VI, 3 febbraio 2005, n. 280, ivi richiamata), pur escludendo che le associazioni siano litisconsorti necessari nel caso di
azioni aventi ad oggetto atti o provvedimenti amministrativi recanti disposizioni in ipotesi favorevoli ai consumatori e
agli utenti e negando l'ammissibilità dell'appello promosso da un'associazione che non ha partecipato al giudizio di
primo grado, sembra riconoscer loro una funzione di tutela al fine di contribuire a correggere o eliminare effetti
dannosi e di vigilanza su condotte o attività potenzialmente lesive di consumatori o utenti. Criticamente in commento
alla Adunanza Plenaria (che riguardava una delibera dell'AEEG sul meccanismo di indicizzazione delle tariffe per la
fornitura del gas naturale ai clienti finali del mercato vincolato) G. BACOSI, Ad. plen. n. 1 del 2007. Gli interessi diffusi
trasfigurano in interessi collettivi ... o in interessi pubblici... in www.giustizia-amministrativa.it.
(130) Nella sentenza del Cons. Stato, Sez. IV, 13 novembre 2012, n. 5715, ove, in base a tale motivazione, si nega
la legittimazione di Italia Nostra all'impugnazione di alcune NTA del PRG del Comune di Pavia e delle deliberazioni del
Piano Attuativo.
(131) Viene citato C.g.a.r.s., 16 ottobre 2012, n. 933.
(132) Sul valore dell'art. 3-quater del Codice dell'ambiente si rinvia a F. FRACCHIA, Il principio dello sviluppo
sostenibile, in Studi sui principi del diritto amministrativo, Milano, 2012, 433, spec. 448 ss.
(133) In merito F. FRACCHIA (“Codification” and the Environment, in Italian Journal of Public Law, 2009, 1)
sottolinea il valore che alla tutela dell'ambiente si attribuisce nel d.lgs. n. 152 del 2006 e ne ricava una nuova
prospettiva in cui si ragioni nel senso di doveri di rispetto degli interessi ambientali, piuttosto che di diritti in capo ai
singoli. In senso analogo The Legal Definition of Environment: From Right to Duties, in ICFAI Journal of Environmental
Law (IJEL), 2006, 17.
(134) Così già indicava F. G. SCOCA, Tutela dell'ambiente: la difforme utilizzazione della categoria dell'interesse
diffuso da parte dei giudici amministrativo, civile e contabile, cit.
(135) Si pensi solo ai procedimenti per il rilascio delle autorizzazioni energetiche.
(136) Non si vuole certo alludere ad una partecipazione collaborativa, i cui difetti e limiti sono stati messi in luce da
tempo proprio nel sistema e dalla dottrina statunitense, ma ad una partecipazione utile ad evidenziare gli eventuali
conflitti, così da risolverli attraverso l'efficiente azione amministrativa e politica in un procedimento che davvero operi
una composizione di interessi, evitando il successivo giudizio. Secondo l'insegnamento di M. NIGRO, Il nodo della
partecipazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1980, 225, spec. 233 ss., infatti, la partecipazione incondizionata degli
interessi diffusi equivale “alla prevalenza definitiva della società sullo stato e quindi alla morte di questo”, sicché
occorre censire le legittimazioni procedimentali materia per materia, settore per settore, “saggiandosi ad ogni
momento la compatibilità della penetrazione con la solidità delle strutture”.