LA LEGITTIMAZIONE DELLE ASSOCIAZIONI AMBIENTALI NEL GIUDIZIO AMMINISTRATIVO: SPUNTI DALLA COMPARAZIONE CON LO STANDING A TUTELA DI ENVIRONMENTAL INTERESTS NELLA JUDICIAL REVIEW STATUNITENSE. Dir. proc. amm., 2013, 03, 0734 Monica Delsignore SOMMARIO: 1. Premessa. — 2. L'emersione degli interessi diffusi alla tutela dell'ambiente come giuridicamente rilevanti e l'insufficienza della legittimazione individualistica. — 3. La legittimazione delle associazioni ambientali in Italia. — 4. I presupposti generali dello standing a tutela di environmental interests nella judicial review statunitense. — 4.1. Le apparenti aperture della Corte Suprema. — 4.2. Le possibili giustificazioni della legittimazione attenuata nell'ordinamento statunitense. — 5. Verso quali orizzonti? 1. Con questo scritto ci si interroga sui limiti all'accesso alla tutela giudiziale degli interessi ambientali in una prospettiva comparata con il sistema statunitense, ove la questione della legittimazione dei portatori di tali interessi ha avuto una tradizione, importanza pratica e frequenza assai maggiori che in Europa e, in quanto tale, è stata oggetto dell'attenzione della giurisprudenza e di importanti contributi in dottrina (1). Il riferimento ai limiti alla legittimazione non va inteso con accezione negativa; piuttosto si tratta di verificare e comprendere quali siano gli spazi riconosciuti dal legislatore e dalla giurisprudenza a tali posizioni giuridiche. Come noto, il dibattito è tutto sommato recente, nato negli anni '70 a seguito di interventi giurisdizionali (2) a “supplenza” del legislatore o dell'amministrazione pubblica e acuitosi nel proseguo nella ricerca del corretto equilibrio tra l'introduzione di nuovi modelli normativi di tutela degli interessi ambientali e l'individuazione dei rimedi processuali idonei a garantire il controllo del giudice (3). Nel contesto storico e culturale degli anni '70 matura la constatazione che l'interesse alla cura e protezione dell'ambiente naturale ha carattere diffuso, poiché non appartiene a singoli individui in quanto tali, ma alla collettività. La tutela contro la violazione di tale interesse assume caratteristiche del tutto particolari ed un'importanza fino ad allora ignota nella storia delle civiltà e del diritto. Si mette in luce la chiara insufficienza della tradizionale dicotomia pubblico-privato nell'emergente società moderna di massa. Le violazioni contro le quali la giustizia è intesa a dare protezione divengono non soltanto violazioni di carattere individuale, ma anche di carattere collettivo e i vecchi strumenti di rappresentanza — parte privata per l'interesse individuale e Pubblico Ministero per l'interesse pubblico — si rivelano inadeguati, soddisfacenti una dicotomia superata e non più corrispondente alla ben più complessa realtà (4). La questione della legittimazione e, quindi, dell'accesso alla giustizia dei portatori degli interessi ambientali, permette di verificare quali soluzioni il legislatore e la giurisprudenza abbiano ritenuto di adottare per rendere il processo accessibile ai nuovi bisogni diffusi, che rappresentano un aspetto vitale e centrale per l'armonico sviluppo della società contemporanea, e per ovviare alla constatazione di allora che un interesse che appartiene a molti non appartiene a nessuno (5). La questione è tanto più attuale nelle dimensione europea. Con il recepimento della Convenzione di Aahrus l'Unione Europea avrebbe, infatti, individuato la necessità di garantire elevati standards di tutela degli interessi ambientali, anche in termini di accesso alla giustizia per le associazioni. Si ricordi, non da ultimo, che la stessa Corte di giustizia (6) ha precisato che la conformazione soggettivistica della giustizia amministrativa di uno Stato membro, nella specie la Germania, non può andare a discapito della legittimazione al ricorso delle associazioni ambientali. Da qui l'utilità di una comparazione con sistemi diversi, per comprendere se l'approccio sia il medesimo e confrontare i risultati raggiunti ovvero le soluzioni mancanti. Un grande studioso (7) evidenziava l'utilità da sempre riconosciuta al diritto comparato allo scopo sia di illuminare il legislatore — con la presentazione di largo materiale legislativo, ove poter attingere tendenze e realizzazioni — sia di cementare più legislazioni difformi in una superiore uniforme — come fu ai tempi del diritto comune, e come accade oggi con il diritto europeo — sia con la finalità teorica di aggiungere, appunto attraverso la comparazione giuridica, nuova testimonianza a una data soluzione giuridica. Ciò è evidente nel diritto amministrativo, forse più che in altre aree del diritto, tanto che la comparazione costituisce un processo di apprendimento comune: utile non soltanto a scopi conoscitivi, ma anche ai fini della politica del diritto e dello ius condendum (8). Nel cimentarsi nella comparazione, anzitutto, l'auspicio è di riuscire nell'intento, tanto più difficoltoso nella complessità degli ordinamenti moderni (9). Il diritto comparato, come at tentamente precisato (10), è altra cosa dalla conoscenza di un ordinamento giuridico straniero, che è mero presupposto. L'abilità del comparatista consiste, forse, nel porre in risalto le affinità e i contrasti tra le istituzioni giuridiche considerate, per cogliere con maggior vivezza le particolarità di un dato istituto, assodandone l'originalità o, nel caso di affinità, contribuendo alla miglior formulazione di una categoria generale (11). Il diritto comparato è dunque una scienza utile a comporre un panorama dell'istituto considerato, che può e vuol essere qualcosa di più di una semplice e ordinata descrizione (12). Affinché la comparazione sia utile occorre, anzitutto, che gli oggetti siano efficacemente comparabili e tali appaiono gli istituti della legittimazione e dello standing nella tutela di interessi ambientali, poiché si tratta di prerogative che entrambe emergono alle soglie del giudizio, senza incidere sull'oggetto del giudizio stesso; ambedue gli istituti, inoltre, in quanto condizioni dell'azione, segnano il confine della conoscenza del giudice sul merito della controversia e, dunque, forniscono indicazioni precise circa i margini di tutela giustiziale che l'ordinamento riconosce agli interessi ambientali (13). Lo studio vuol essere utile, inoltre, a qualche riflessione sul ruolo e sulla finalità del giudizio quando appunto la controversia verta su interessi ambientali. La disciplina della legittimazione, infatti, incide e connota i caratteri della giustizia amministrativa nel nostro sistema: tanto più le maglie della legittimazione tendono ad ampliarsi, tanto più il sindacato del giudice diventa un controllo diffuso dell'esercizio del potere amministrativo. Similmente, come meglio si avrà modo di evidenziare, la disciplina dello standing ai fini della judicial review suscita dubbi e interrogativi sia quanto agli spazi da riconoscere al potere giurisdizionale rispetto all'amministrazione, secondo i principi della separation of powers sanciti nella Costituzione, sia quanto alle funzioni proprie del giudice, che spesso manipola l'istituto al fine di poter decidere il caso concreto nel merito (14). Tali considerazioni, pur provenienti da un sistema in cui il controllo giurisdizionale sull'amministrazione resta sullo sfondo, quasi come una seconda istanza di un giudizio che si è già svolto nell'amministrazione (15), appaiono utili anche per la comprensione e lo studio del nostro sistema in cui invece troppo spesso il giudizio è utilizzato non per censurare scelte amministrative illegittime, ma per fini politici ovvero con l'intento di rinviare più avanti nel tempo la costruzione di opere o l'inizio di attività produttive. 2. La nozione di interesse diffuso è ormai matura e distinta da quella di interesse collettivo, chiaritosi, che, pur essendo entrambi comuni a più soggetti, l'interesse diffuso è tale in quanto pertinente “identicamente ad una pluralità di soggetti più o meno determinata e determinabile, eventualmente unificata” (16). La iniziale relatività della nozione si deve all'impegno “di conquistare all'ordine giuridico « nuovi » strati di interessi (colti nel significato socio economico del termine, quale rapporto fra bisogni e beni idonei ad appagarli), finora privi di riconoscimento sostanziale e processuale o solo marginalmente dotati di efficace strumentazione operativa”. L'interesse diffuso occupa, come ben si è detto (17), una posizione intermedia tra l'interesse individuale, che può essere anche di molti altri individui ma ha per oggetto beni diversi anche se uguali, e l'interesse generale, proprio della generalità dei soggetti. Si tratta di situazioni soggettive che si caratterizzano per una dimensione dinamica e di accentuata interindividualità, di ampia diffusione sociale, non precisamente riconducibili a gruppi organizzati (18), ma esistenti allo stato fluido, e in qualche modo collegati o utili alla miglior tutela dell'interesse pubblico (19). Ed è proprio la differenziazione o qualificazione di tali interessi diffusi rispetto all'interesse pubblico generale a rappresentare, da un punto di vista storico e sociale, la novità del fenomeno, legato all'evoluzione della società di massa, al ruolo dell'Amministrazione e all'attenzione dei cittadini e degli utenti nelle scelte che coinvolgono la società contemporanea e si riflettono sul vivere quotidiano. Al contempo, tale differenziazione e la distinzione dell'interesse diffuso rispetto all'interesse pubblico sono il sintomo della disaffezione verso il potere e tradiscono la scarsa credibilità dell'azione amministrativa in merito alle scelte organizzative e programmatiche, ma anche provvedimentali, che si riflettono sull'ambiente, come anche sulla salute o sul vivere comune della società di massa. L'emersione dell'interesse alla tutela dell'ambiente quale interesse diffuso esprime, almeno in parte, la ritenuta incapacità dell'amministrazione, soprattutto quando essa cura interessi generali, di offrire la giusta considerazione e valorizzare tale pretesa, posto che, sino a quel momento, la tutela di interessi non individualizzati era affidata al potere politico. Certo esistono moltissime amministrazioni che curano, esclusivamente, ma non solo, l'interesse dell'ambiente, che deve perciò dirsi anche interesse pubblico. Nulla esclude, però, che associazioni o gruppi di privati si organizzino per curare quel medesimo interesse; e ciò è accaduto ed accade quando tali soggetti non ritengano adeguato e conveniente l'operare dell'amministrazione. Se il Comune non dispone la chiusura dell'inceneritore obsoleto e altamente inquinante in risposta alla petizione di parte dei cittadini residenti, è probabile che si formi spontaneamente un'associazione a tutela dell'interesse ad un ambiente salubre. Se la programmazione urbanistica prevede l'insedia mento di una nuova zona industriale non lontano dall'area verde ove la cittadinanza si riversa nelle vacanze estive, parte degli abitanti facilmente costituirà un comitato ritenendo la scelta potenzialmente lesiva della fruibilità dell'ecosistema e del territorio. L'interesse ambientale in quanto interesse diffuso non è interesse pubblico; anzi, solo in quanto tale, l'interesse diffuso è distinto e contrapposto all'interesse pubblico, sì da chiedersene la tutela davanti al giudice amministrativo. In estrema sintesi, poiché si tratta di questioni note e ampiamente dibattute, se fino agli anni '70 si dubitava della capacità degli interessi diffusi di distinguersi, nel senso che l'interesse diffuso, in quanto proprio a molti, non era tutelabile, gli interventi della dottrina e giurisprudenza hanno messo in luce che l'interesse pure di molti pertiene in concreto alla vita di singoli individui. Si è così tentato di ricondurre gli interessi diffusi alle situazioni tutelate, di diritto o di interesse legittimo, davanti alla giurisdizione adita. Il plauso per l'indirizzo liberale assunto in favore dell'ingresso alla giustizia delle nuove posizioni ha suscitato, però, non poche perplessità quanto alla correttezza dello sforzo esegetico di camuffare gli interessi collettivi in interessi individuali (20). Di tale percorso e della sua successiva evoluzione si ragionerà nel paragrafo successivo. Qui, invece, si vuol porre l'accento sull'interpretazione che accomuna, anzi assimila gli interessi diffusi organizzati e rappresentati dall'associazione agli interessi individuali. Siffatta equiparazione nasce dalla necessità di garantire una tutela sino ad allora negata, ma richiede, senz'altro, il successivo intervento del legislatore. In tal senso, con il pensiero rivolto all'ordinamento di comparazione, l'emersione degli interessi diffusi come posizione giuridica qualificata presenta taluni punti di contatto con la parabola della new property negli Stati Uniti e del riconoscimento di posizioni giuridiche a fronte di elargizioni o dinieghi di benefits da parte dell'Amministrazione (21). Nell'ordinamento statunitense nella ricerca di offrire tutela a situazioni sino ad allora escluse dall'accesso alla giustizia — quali erano, ancora negli anni '70, le posizioni derivanti da relazioni vantaggiose in essere con il potere pubblico — si scelse di ricondurle al modello tradizionale e così di assimilarle alla libertà e alla proprietà, tutelate nel V e XIV emendamento contro eventuali interventi riduttivi dello Stato. Allo stesso modo nella ricerca di offrire tutela a situazioni quali gli interessi diffusi, nel nostro ordinamento si è tentato di assimilarli all'interesse legittimo, secondo le categorie tradizionali di cui agli artt. 24 e 113 della Costituzione. La forzatura del modello tradizionale, e la diluizione del concetto di proprietà che ne deriva, rivelano — allo stesso modo della forzatura del modello processuale per dare ingresso agli interessi diffusi e della diluizione del concetto di interesse legittimo che ne deriva — l'inidoneità o, comunque, i limiti dei concetti classici a spiegare il fenomeno, che non si colloca nella categoria tradizionale di una controversia bipolare. Talora, infatti, l'esegesi non consente di pervenire a risultati soddisfacenti nel lungo periodo; la forzatura nell'interpretazione diventa così la premessa ai fini della successiva riforma. L'intervento della giurisprudenza non è sufficiente a colmare la lacuna se non temporaneamente e prelude all'intervento del legislatore al fine di superare le incongruenze. Sganciare l'interesse legittimo dalla sua dimensione prettamente personalistica così da farvi rientrare posizioni giuridiche la cui titolarità è riconosciuta in capo a gruppi sociali stabilmente organizzati, che hanno come fine la tutela degli interessi della collettività, pare, di fatto, privare l'interesse legittimo della sua natura di posizione giuridica soggettiva. Certo l'asso ciazione è un soggetto giuridico dell'ordinamento, ma l'interesse, di cui si fa portatrice, non è la somma degli interessi individuali dei singoli iscritti. L'interesse deve, invece, riferirsi alla categoria in modo collettivo. Esso resta di fatto ben distinto rispetto alla posizione individualista cui tradizionalmente si riferisce l'interesse legittimo. Già Alberto Romano (22) avvertiva che la scelta di ampliare la legittimazione agli interessi diffusi avrebbe comportato, di fatto, un ripensamento della struttura e dell'utilità che deriva all'esercizio della funzione giurisdizionale nel processo amministrativo, pur senza stravolgerlo. Le norme costituzionali sono state formulate in una funzione garantistica: il costituente ha voluto che ai titolari degli interessi legittimi, comunque questa nozione venga delineata, fosse garantita la possibilità di adire il giudice amministrativo. Ma, come tutte le norme di garanzia, esse impongono un minimo, non precludono un di più. Proprio la concezione del processo amministrativo come processo a tutela di situazioni giuridiche sostanziali (23), fatta propria dalla Costituzione e da ultimo chiaramente affermata nel Codice del processo amministrativo (24), implica che la giurisdizione amministrativa sussista quando vi sia, accanto all'interesse a ricorrere, legittimazione, nonostante la affermata illegittimità del provvedimento, ma in virtù dell'esistenza della situazione sostanziale di cui si chiede tutela. Da qui il necessario distinguo, anche nel diritto processuale amministrativo (25), tra legittimazione al ricorso e interesse a ricorrere, che si riferiscono a concetti certamente diversi. Se la legittimazione, come meglio si preciserà nel prossimo paragrafo, postula la titolarità di una situazione giuridica differenziata e quindi il riconoscimento di una posizione protetta dall'ordinamento, l'interesse si riferisce all'utilità ricavabile dall'accoglimento della domanda di annullamento a prescindere dal suo carattere finale o strumentale (26). Legittimazione e interesse al ricorso tracciano allora le coordinate di fondo dell'azione nel giudizio amministrativo: se il limite negativo della costruzione dell'interesse legittimo è dato dall'azione popolare, il limite positivo è dato dal principio costituzionale dell'impugnabilità di ogni atto amministrativo. Tale principio esige anche che, salvo il limite negativo, si adoperi la maggior larghezza possibile nell'individuazione dei legittimati al ricorso innanzi al giudice amministrativo (27). L'ampiezza delle situazioni protette in diritto amministrativo, cioè nell'ambito dei rapporti di diritto pubblico, non ha confronti in altri rami del diritto. Ciò per la struttura accentuatamente pluralistica di codesti rapporti, cui necessariamente fa riscontro la struttura delle relative potenziali controversie (28). La tutela e l'accesso alla tutela degli interessi diffusi pongono, allora, una questione teorica che non è quella di piegare tale posizione allo schema individualista tradizionalmente pro prio del processo (29), ma, al contrario, attraverso l'intervento della giurisprudenza e del legislatore, di eventualmente superare o diversamente modellare quella concezione troppo restrittiva che non permetteva di riconoscere spazio di tutela a nuovi bisogni meta individuali. Ciò vale anche da un punto di vista pratico ove si osservi che spesso gli interessi ambientali nella porzione e considerazione del singolo cittadino sono di consistenza tale da non giustificare l'impegno o il costo di un ricorso giurisdizionale (30), posto che le ricadute, anche in termini economici, non compensano i costi affrontati: il giudizio non mira al risarcimento del danno, ma alla verifica del rispetto della disciplina ambientale, che solo indirettamente, e spesso nel lungo periodo, comporta miglioramenti nelle abitudini di vita del singolo. Nel cimentarsi con la questione della legittimazione del gruppo ad agire, come organizzazione o come corpo, a tutela degli interessi comuni ai suoi membri e commentando la sentenza capostipite di Italia Nostra, si è precisato (31) che la legittimazione così ampia non si può spiegare attraverso la figura dell'interesse legittimo, inteso come interesse differenziato, ma è diversa pure dalla legittimazione diffusa o indifferenziata dell'azione popolare. Certo il processo non può, o non può di regola, essere aperto anche a chi non abbia alcun rapporto con l'oggetto dedotto in giudizio; un requisito di legittimazione ci deve essere, l'actio popularis non può che essere l'eccezione (32). Da qui l'intervento del legislatore che soddisfi l'esigenza di fissare alcuni requisiti di legittimazione per i portatori di interessi diffusi, affinché il ricorrente agisca non soltanto per sé e per il suo individuale tornaconto, ma come efficace rappresentante dell'interesse comune. 3. Dalle osservazioni precedenti si ricava che la legittimazione costituisce la questione centrale, il cuore nella tutela degli interessi diffusi legati all'ambiente; questione che, anche in questo ambito particolare, spesso appare indistinta o non chiaramente scindibile dal requisito dell'interesse processuale (33). Il tema della legittimazione, infatti, così come quello dell'azione, rappresenta un anello di congiunzione tra il diritto sostanziale e il diritto processuale e richiama all'esigenza di assicurare la continuità tra ciò che è affermato nel diritto sostanziale e ciò che è garantito nel processo. L'esito del contatto tra i due mondi non è del tutto scontato (34), soprattutto quando vi sia incertezza quanto alla qualificazione della situazione protetta. Proprio per questo motivo, il dibattito sulla legittimazione si è ravvivato all'emergere della posizione di interesse diffuso o superindividuale che, come si è osservato nel paragrafo precedente, stentava a trovare una qualificazione secondo le categorie tradizionali. Tradizionalmente la legittimazione è una condizione costitutiva del diritto di azione, in grado di creare in capo al giudice il dovere di decidere il merito. La legittimazione al giudizio si ha quando “chi agisce in giudizio sia effettivamente il soggetto o uno dei soggetti, che l'ordinamento considera abilitati a rivolgersi in proprio al giudice per ottenere il provvedimento giurisdizionale richiesto” (35). La legittimazione, nel processo civile, assume certo la funzione di “garantire il titolare di una situazione protetta dalle ingerenze altrui” (36), sì da escludere che il giudice conosca di controversie in cui le parti non siano gli effettivi detentori del diritto o interesse che si assume leso. Nel processo amministrativo, invece, il giudice tende ad esaminare la questione della sussistenza di una situazione giuridicamente rilevante insieme con l'utilità che deriverebbe dall'accoglimento del ricorso a chi di tale situazione si afferma titolare, sicché non sempre i presupposti della legittimazione e dell'interesse, pur chiaramente distinti in dottrina, risultano distinguibili nelle motivazioni del giudice in sentenza. In ogni caso anche la classica concezione della legittimazione, come titolarità di una situazione giuridicamente rilevante, da subito è apparsa inadatta a rappresentare gli interessi diffusi o di gruppo, “elemento di un diritto di azione non più inserito in una prospettiva meramente individualistica” (37). Come è stato rilevato (38), il concetto di legittimazione è strettamente legato ad una determinata concezione dell'azione, la quale a sua volta si modella sulla tutela dei diritti e interessi. La dottrina (39) evidenzia il limite di tale costruzione nell'essere il ricorrente il portatore non del suo proprio interesse giuridico individuale, ma di un interesse comune, diffuso o collettivo, di categoria o di classe. La funzione propria della legittimazione, come appena ricordata, viene meno, posto che gli interessi diffusi possono certo convogliarsi in più di un'associazione o gruppo. Ecco allora che la legittimazione assume un diverso valore, posto che anche il soggetto portatore degli interessi ambientali, o, in genere, diffusi, deve essere qualificato, per evitare che si tratti di un rappresentante inadeguato dell'interesse, non sufficientemente informato, trascurato, poco serio o perseverante, se non addirittura pronto a collusioni o aperto alla corruzione. La funzione tradizionale della legittimazione ne risulta stravolta: se infatti la legittimazione è tesa ad evitare interferenze altrui nella sfera del titolare della posizione qualificata, quanto agli interessi diffusi la funzione diventa invece quella di limitare possibili inadeguatezze, lacune nella rappresentatività o addirittura abusi del portatore degli stessi: norme e istituti, ancorché nati con un contenuto ideologico diverso, possono certo riempirsi di contenuti nuovi in grado di rappresentare la realtà in trasformazione. La scelta del legislatore di introdurre una legittimazione speciale, attribuita ad associazioni previamente identificate, sulla base di criteri oggettivi e senza alcuna verifica della titolarità di un interesse qualificato, pare quindi del tutto condivisibile. Con l'istituzione del Ministero dell'Ambiente, si è in parte risolto, infatti, il problema dell'accesso alla giustizia delle associazioni ambientali, laddove l'art. 18 della l. n. 349/1986 attribuisce alle associazioni, individuate secondo i criteri di cui all'art. 13 della stessa legge, la legittimazione a ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l'annullamento di atti amministrativi pregiudizievoli per l'ambiente. Il legislatore ha così inteso “assegnare alle associazioni una particolare legittimazione a ricorrere, per la tutela di interessi che altrimenti sarebbero stati privi di una garanzia giurisdizionale” (40). All'applicazione pratica la soluzione legislativa si è prestata a critiche, da un lato, in ragione della occasionalità e connotazione spesse volte politica dell'intervento dei soggetti legittimati a tutela degli interessi ambientali (41), dall'altro, posto che la giurisprudenza aveva nel mentre elaborato, con la nota Adunanza Plenaria n. 24 del 1979, un indirizzo non del tutto coincidente con quanto normato. Il Consiglio di Stato, infatti, fondava la giuridicizzazione degli interessi diffusi sulla pertinenza degli interessi a collettività insediate su un territorio geograficamente determinato, fungendo tale localizzazione da fattore di differenziazione. Come noto, il giudice amministrativo (42) aveva mutuato tale ultimo requisito da precedenti decisioni in tema di interventi di programmazione urbanistica o di autorizzazione all'apertura di un'attività economica concorrente (43). Al criterio di legittimazione legale si è così, nel tempo, aggiunto un criterio di legittimazione giurisprudenziale, atto ad ampliare l'ambito individuato dal legislatore e legato non tanto all'effettiva rappresentatività degli interessi cui è preposta l'associazione e alla verifica dei fini indicati nello statuto e della presenza di una struttura stabile, ma anche, e soprattutto, all'elemento della vicinitas (44) o dello stabile collegamento (45), che valorizza il rapporto tra organizzazione e territorio in cui si svolge l'attività su cui incide il provvedimento amministrativo censurato. In particolare il criterio è stato richiamato per ammettere la legittimazione di associazioni o gruppi ambientali non in grado di soddisfare i canoni individuati dal legislatore. Il Consiglio di Stato (46) ritiene che la legittimazione ad impugnare atti amministrativi incidenti sull'ambiente possa riconoscersi “caso per caso” anche ad associazioni locali (indipendentemente dalla loro natura giuridica), “purché perseguano statutariamente in modo non occasionale obiettivi di tutela ambientale ed abbiano un adeguato grado di rappresentatività e stabilità in un'area di afferenza ricollegabile alla zona in cui è situato il bene a fruizione collettiva che si assume leso”. Tale legittimazione è talora riconosciuta anche laddove l'associazione avanzi interessi di tutela ambientale per impugnare atti con finalità urbanisticaedilizia, poiché “la materia ambientale per le peculiari caratteristiche del bene protetto si atteggia in modo particolare: la tutela del'ambiente, infatti, lungi dal costituire un autonomo settore d'intervento dei pubblici poteri, assume il ruolo unificante e finalizzante di distinte tutele giuridiche predisposte a favore dei diversi beni della vita che nell'ambiente si collocano, assumendo un carattere per così dire trasversale...” (47). In altri casi, invece, il giudice nega la legittimazione proprio in ragione della valenza non strettamente ambientale degli atti impugnati (48). Talora la giurisprudenza affianca al criterio della vicinitas, quasi a corroborarlo, quello della precedente partecipazione al procedimento amministrativo, ma la dottrina (49) ha ormai chiarito che legittimazione processuale e procedimentale appaiono riconducibili a differenti presupposti, nient'affatto sovrapponibili, sicché la prima non può farsi derivare dalla seconda, se non per affermare la violazione proprio della disciplina della partecipazione. Sempre muovendosi dal criterio della vicinitas la giurisprudenza (50) invoca, in altri casi, il principio di sussidiarietà (51) per riconoscere, accanto a quella delle associazioni, la legittimazione dell'ente locale (52) o anche del singolo individuo, derivando la legittimazione da un auspicato sviluppo democratico della società civile anche a prescindere da ogni presupposto di entificazione (53). Tale opzione suscita non poche perplessità, posto che il principio assume pregnanza con riguardo all'attività amministrativa e dunque agli interessi ambientali in quanto interessi pubblici, tutelati dal legislatore con il meccanismo della garanzia della partecipazione degli enti locali ai procedimenti con impatto sul territorio cui sono preposti. Sul tema si avrà modo di ragionare ancora nel proseguo. L'accesso alla giustizia per le associazioni ambientali è certo oggetto di attenzione, da ultimo, nel codice dell'Ambien te. L'articolo 309 espressamente riconosce “le organizzazioni non governative che promuovono la protezione dell'ambiente, di cui all'articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349” titolari dell'interesse a presentare denunce e richiedere l'intervento statale a tutela dell'ambiente. L'articolo 310 — che disciplina la legittimazione ad agire per l'annullamento degli atti e dei provvedimenti adottati in violazione delle disposizioni in tema di precauzione, prevenzione o ripristino previste nello stesso Codice — pur non attribuendo una posizione peculiare e distinta alle associazioni ambientali, certo ne ammette pur sempre la legittimazione a ricorrere, essendo le associazioni persone giuridiche che sono o potrebbero essere colpite dal danno ambientale o che vantino un interesse alla partecipazione al procedimento. Trova invece limitazione l'accesso al giudizio delle propaggini locali delle associazioni ambientali nazionali, pure esse legittimate in base alla legge del 1986 (54). In particolare, se talora la giurisprudenza ammette la legittimazione, stante il riconoscimento legislativo operato in via generale senza distinzione di livello locale o nazionale, in altra occasione si sostiene che l'art. 18 della legge del 1986 investa l'associazione nazionale e, dunque, escluda le sue propaggini territoriali. La questione è facilmente risolvibile, dal punto di vista pratico, ove, seguendo le indicazioni della dottrina (55), le articolazioni locali si ricordino di far rilasciare la procura alle liti dal rappresentante legale nazionale, invece che dal responsabile locale, escludendo così ogni rischio di inammissibilità del ricorso. L'incoerenza della soluzione del giudice amministrativo resta tale, però: da un lato, si riconosce la legittimazione in capo alle associazioni locali insediate su di un territorio limita to, mentre le propaggini di associazioni nazionali, pur attive a livello locale, si vedono negare l'accesso alla giustizia (56). Ciò sottolinea l'utilità di una riflessione generale di sistema. Certo in base alle osservazioni precedenti emerge che nel nostro ordinamento la legittimazione delle associazioni ambientali parrebbe largamente ammessa, grazie alla combinazione del criterio indicato dal legislatore e di quello individuato dalla giurisprudenza. Si osserva, però, che se il criterio normato è chiaro, quello giurisprudenziale, proprio in quanto tale, lascia margini di ambiguità che proprio in quanto consentono e, allo stesso tempo, richiedono un intervento del giudice amministrativo, comportano incertezza, potendo l'indirizzo essere sempre smentito, pur anche in casi sporadici (57). Quanto più attuale è allora l'osservazione che sia “... da evitare che vengano definiti soltanto genericamente o in modo impreciso i fattori legittimanti, con la conseguenza inopportuna di dilatare la discrezionalità del giudice nella valutazione di tali fattori: si pensi alla valutazione del grado di rappresentatività dell'organismo o della serietà dei suoi scopi o ancora della sua capacità difensiva. Tutti questi elementi devono essere ancorati a criteri di valutazione per quanto possibile rigidi e indisponibili da parte del giudice; se ciò non fosse possibile sarebbe forse meglio individuare con provvedimento formale gli organismi aventi legittimazione.” (58) Tale questione, come già si anticipava, risulta quanto mai attuale alla luce del recepimento della Convenzione di Aarhus. La Convenzione del 25 giugno 1998 (ratificata dall'Italia con la legge 16 marzo 2001, n. 108 ed approvata con decisione del Consiglio del 17 febbraio 2005, 2005/370/CE) disciplina principalmente l'accesso alle informazioni detenute dalla pubblica amministrazione in materia ambientale e la garanzia della partecipazione, dei cittadini e delle associazioni che soddisfino determinati requisiti, ai processi decisionali, in modo da sortire un controllo sociale sui dati e sulle scelte amministrative (59); inoltre l'art. 9 (60) impegna gli Stati contraenti a consentire l'accesso alla giustizia (61). Le disposizioni in tema di accesso alla giustizia sono state in parte riprese dalla dir. 2003/35/CE, in tema di attività con impatto ambientale, al dichiarato scopo di contribuire all'attuazione degli obblighi derivanti da Aarhus. Con l'adozione del Regolamento (CE) n. 1367/2006 (c.d. Regolamento Aarhus) la Convenzione è divenuta vincolante non più per i soli Stati membri, ma anche nei confronti degli organi e delle istituzioni europee. L'attenzione della dottrina e giurisprudenza si è da ultimo concentrata proprio sugli obblighi in tema di accesso alla giustizia che si debbano o possano ricavare secondo la lettera dell'art. 9. In particolare la Corte di giustizia chiamata a valutare l'impatto dell'art. 9 della Convenzione sulla disciplina processuale europea, richiamando la nota sentenza Plaumann (62), invoca la sussistenza di una lesione diretta e individuale quale presupposto generale anche per la legittimazione dell'associazione ambientale (63) e, di conseguenza, giudica inammissibili i ricorsi in cui talune organizzazioni impugnino atti europei che, invece, non riconoscevano alle stesse una posizione differenziata. Ad esempio (64), Greenpeace è stata ritenuta priva della legittimazione ad impugnare la decisione della Commissione di versare contributi per la realizzazione di centrali elettriche nelle isole Canarie, in quanto meramente esecutiva di precedenti atti generali e comunque non in grado di ledere gli interessi dell'associazione. Ben diversamente, nel valutare la conformità della disciplina processuale di singoli Stati membri la stessa Corte ne ha censurato, in più di un'occasione (65), l'incapacità di assicurare l'ampio accesso alla giustizia garantito dall'art. 9 della Convenzione. Tale atteggiamento, ampiamente criticato in dottrina (66), è sintomo delle diverse letture ammissibili del dettato conven zionale, che, pur sancendo in via di principio l'accessibilità alla giustizia, riconosce comunque l'autonomia procedurale degli Stati quanto alla sua attuazione (67). E la Corte, come già accaduto (68), interpreta con due pesi e due misure lo spazio di autonomia riservato, da un lato, alle istituzione europee e, dall'altro, ai singoli Stati Membri. Anticipando alcune riflessioni conclusive, merita evidenziarsi sin d'ora che la corretta lettura della disposizione in tema di accesso alla giustizia debba svilupparsi nel contesto della disciplina sistematica in cui si colloca e, dunque, in questo caso, della Convenzione. Ivi la tutela degli interessi ambientali è assicurata in un sistema integrato di accesso alle informazioni, partecipazione al procedimento e, infine, strumenti processuali o giustiziali affinché le disposizioni non risultino solo di principio. Non si condivide, dunque, l'enfasi eccessiva talora attribuita da giurisprudenza e dottrina al par. 3 dell'art. 9, alla stregua del quale sarebbe stata introdotta una sorta di azione popolare in tutti gli ordinamenti degli Stati Membri e della stessa Unione. Se tale posizione è comprensibile quando assunta dal Committee di Aarhus — in quanto istituito dalla stessa Convenzione per verificarne l'attuazione e, dunque, in qualche modo in una posizione parziale — il tentativo di trarre da una disposizione di principio e generale implicazione così rilevanti sui sistemi nazionali pare, come meglio si preciserà nelle conclusioni, una forzatura tanto più ove si consideri il quadro, il sistema in cui tale principio è sancito. Volgendo finalmente lo sguardo all'ordinamento statunitense, che ora ci si accinge ad esaminare, da subito stupisce la coincidenza di taluni dei criteri individuati dalla Corte Suprema e dai giudici statunitensi con quelli proposti dal giudice amministrativo italiano, e, nella coincidenza, i risultati ben diversi cui si è giunti dall'applicazione degli stessi e dunque la validità dell'istanza di certezza nei criteri; inoltre, similmente a quanto osservato nel nostro ordinamento, ed anche a livello europeo, i giudici statali e la Corte suprema non sempre si trovano in piena sintonia nell'interpretazione delle regole della legittimazione. 4. Come già si anticipava, il tema della legittimazione è uno dei più dibattuti nel sistema statunitense sia perché richiama un fondamento dell'ordinamento federale come il principio della separazione dei poteri (69), sia perché il giudice spesso manipola l'istituto al fine di poter decidere il caso nel merito. Anche nell'ordinamento statunitense, così come si ricordava accade nella giurisprudenza in Italia, lo standing non tanto si esaurisce nella legittimazione, ma finisce per racchiudere complessivamente tutte le questioni che sono pregiudiziali alla decisione del merito (70). Nell'elaborazione della nozione la giurisprudenza della Corte Suprema — che pure, come si vedrà, ancora non esprime un indirizzo chiaro e univoco — ha assunto un ruolo centrale, posto che non esistono disposizioni generali di legge federale precise ed esaurienti sul punto. Le convinzioni del giudice Scalia, la cui opinione già era nota alla dottrina (71), sono state determinanti nel limitare entro esigui confini la legittimazione delle associazioni ambientali, come anche la legittimazione dei singoli cittadini che gli stessi interessi ambientali azionavano. Nella prima sentenza (72) in cui la Corte Suprema delinea i tratti della dottrina moderna dello standing, i giudici elaborano la nozione a partire dalla lettera dell'art. III della Costituzione americana. In particolare, il par. 2 dell'art. III estende la giurisdizione delle corti federali a “cases” e “controversies”, sicché la legittimazione diventa elemento essenziale di un processo adversarial, in cui le parti si confrontano al fine della risoluzione di una disputa concreta attraverso l'applicazione della legge. Da ciò si ricavano, in via generale, tre presupposti ai fini della legittimazione: il patimento di una lesione concreta e attuale (cd. injury in fact), l'esistenza di un nesso causale tra la lesione e la condotta o l'atto censurato (cd. causation) e la capacità verosimile (likely e non speculative) di riparare la lesione con una decisione favorevole (cd. redressability). L'injury of fact, presupposto più discusso, storicamente attiene alla titolarità di una posizione giuridicamente rilevante (legal right) in capo al ricorrente, in base alle previsioni costituzionali, statutarie o di common law. Ne è conseguita per lungo tempo la carenza di legittimazione in capo ai portatori di interessi ambientali, che mancavano di una posizione riconosciuta, né erano in grado di dimostrare l'esistenza di una verosimile lesione concreta derivante dall'attività censurata. Nel 1972 con la decisione Sierra Club v. Morton (73) per la prima volta si afferma che il requisito della injury possa essere soddisfatto anche da una lesione ad un interesse aestethic, enviromental, or recreational, allontanandosi così dalla necessità dell'offesa ad una posizione giuridicamente rilevante, in favore della semplice lesione ad un interesse generale alla tutela dell'ambiente (74). Nel caso di specie un'associazione ambientalista, il Sierra Club, impugnava l'autorizzazione concessa alla Disney di costruire un complesso sciistico nella Mineral King Valley. In particolare l'associazione affermava la propria legittimazione esclusivamente sulla base dell'interesse a tutelare la natura selvaggia e il suo conseguente diritto a proteggere il public interest a preservare la Mineral King Valley. Nella sentenza la Corte ricava la legittimazione in capo ad associazioni o a gruppi anche laddove la lesione riguardi interessi ambientali, ma, al contempo, precisa che l'affermazione della lesione non sia sufficiente ai fini della legittimazione. Affinché risulti soddisfatto il requisito della injury in fact non basta, infatti, si lamenti la lesione ad un interesse tutelabile. È, invece, necessario che il ricorrente, il gruppo, sia in grado di provare di aver personalmente patito tale lesione e, quindi, l'esistenza di una posizione differenziata, di uno special interest (75) nel caso concreto. La protezione della natura cui pure sia finalizzata l'organizzazione non è, dunque, sufficiente a fondarne lo standing, ma occorre che l'attività inquinante, o comunque nociva per l'ambiente, procuri un danno, uno svantaggio all'associazione ricorrente. L'interesse per la protezione dell'ambiente sorge negli Stati Uniti negli anni '70 con l'adozione da parte del Congresso dei primi statutes federali a tutela delle risorse naturali, statutes che prevedono un'attività amministrativa in capo alle agenzie federali (in particolare in capo a EPA, Environmental protection agency (76)) e, a partire dal Clean Air Act, riconoscono in capo a privati cittadini la legittimazione a chiamare in giudizio chiunque, sia esso un altro privato o l'Agency preposta, violi le disposizioni dello statute. Tale legittimazione permette dunque a soggetti, terzi rispetto ai rapporti controversi, di rivolgersi al giudice chiedendo l'applicazione di disposizioni cui i soggetti medesimi non sono affatto vincolati, dando vita a controversie chiamate di public interest (77). Il tema della legittimazione diviene centrale proprio nella soluzione di tali controversie di public interest, in cui cittadini o associazioni, non assoggettati dalle disposizioni degli statutes, chiedono al giudice la verifica della loro violazione nell'esercizio dell'attività amministrativa, o lamentano la mancata adozione da parte dell'agency dei regolamenti attuativi, pur senza che tali regolamenti influiscano sulla propria sfera giuridica. I rimedi che il giudice può concedere consistono in injuctions all'Agency, ovvero ordini di tenere o non tenere una determinata condotta e civil penalties, ovvero sanzioni monetarie, di cui beneficia il Ministero del tesoro. L'apparente assenza di alcun collegamento del ricorrente con le questioni giuridiche su cui la Corte Suprema deve pronunciarsi e con i rimedi richiesti al giudice, comporta che il re sistente affermi, pressoché in ogni giudizio, la carenza di legittimazione, sicché la Corte anzitutto sulla stessa debba pronunciarsi. Si noti, in proposito, che la carenza di legittimazione è una questione jurisdictional nel giudizio federale, il che significa che può essere sollevata in ogni stato e grado del giudizio. Negli anni '70, dunque nel medesimo periodo storico, sorgono, in Italia e negli Stati Uniti, simili esigenze di tutela dell'ambiente e in entrambi gli ordinamenti il giudice assume il compito fondamentale — vuoi, in Italia, per l'assenza di precise indicazioni legislative, vuoi, negli Stati Uniti, per la necessità di interpretare le disposizioni legislative nel quadro costituzionale — di individuare i limiti e i presupposti per la salvaguardia dei nuovi interessi. Nell'ordinamento statunitense, come si avrà modo di evidenziare, l'attenzione a contenere i poteri del giudice e il timore di possibili sovrapposizioni con le competenze non solo del Congresso, ma anche delle singole Autorità (che attraverso un procedimento partecipato, stabiliscono l'equilibrio tra i diversi interessi rilevanti) hanno senz'altro condizionato l'emersione e l'accesso alla giustizia dei nuovi interessi. Si ricordi, in merito, che in base alle previsioni del National Environmental Protection Act (NEPA) ogni agency è tenuta a condurre una sorta di procedura di valutazione di impatto ambientale, che si conclude con l'adozione di environmental impact statements, qualora la propria attività principale abbia un significant effect sull'ambiente. L'interpretazione restrittiva del presupposto dello standing ad opera della Corte — sino di fatto a negare l'azionabilità di un generale public interest alla protezione dell'ambiente — ha comportato che le associazioni ambientali, piuttosto che agire in giudizio per tutelare l'interesse ambientale proprio dell'associazione, si rivolgano al giudice a tutela degli interessi dei membri che nell'associazione stessa si riuniscono (78). Già si è ricordato che nella sentenza Sierra Club la Corte richiede che l'associazione ambientale dimostri l'esistenza di una concreta lesione in capo all'associazione derivante dall'attività controversa. Non è sufficiente affermare che la costruzione dell'impianto sciistico contamini un paesaggio selvaggio, ma occorre che il Sierra Club provi il danno che da tale attività patisce (79). Più semplice risulta la prova che l'attività modifichi le abitudini di vita dei singoli membri: la costruzione del presupposto dell'injury of fact riduce lo spazio per la tutela dell'interesse ad un ambiente selvaggio o immutato in sé, richiedendosi invece la prova del peggioramento che la modifica all'ambiente è in grado di produrre. Ancora in senso riduttivo, nel 1992, nel caso Lujan v. Defenders of Wildlife (80), si è circoscritto il significato dell'injury in fact, nel senso che il pregiudizio in capo all'organizzazione o ai suoi membri deve essere concreto, attuale e reale (concrete and particularized, actual or imminent, not conjectural or hypothetical). La Corte perciò nega lo standing all'associazione di ambientalisti che chiedeva l'annullamento del diniego di applicare una particolare disciplina a tutela delle specie in via di estinzione così impedendo il finanziamento già riconosciuto dall'Agency of International Development a due progetti in grado di modificare l'habitat e minacciare animali in via di estinzione (81). In particolare, il giudice Scalia, estensore della sentenza, ritiene, da un lato, che gli interessi non siano individuali, ma al contrario siano riferibili indistintamente alla popolazione, posto che chiunque avrebbe interesse alla preservazione delle specie animali o ad osservare animali in via di estinzione, né la testimonianza di due membri dell'associazione dell'intenzione di compiere in futuro viaggi nei territori interessati è sufficiente a costituire la legittimazione. La Corte ha così l'occasione di precisare che ove l'associazione ambientale agisca a tutela degli interessi dei suoi associati, la legittimazione deve rispondere a requisiti ulteriori. Anzitutto l'associazione deve dimostrare che almeno uno dei suoi membri sia legittimato secondo i tre requisiti costituzionali e, in proposito, la stessa qualifica di membro dell'associazione può risultare controversa, soprattutto quando i membri dell'associazione non eleggano gli organi di governo della stessa (82); inoltre l'associazione deve dimostrare l'attinenza della questione giuridica agli interessi dalla stessa perseguiti in base allo statute istitutivo, dando altresì prova che il giudizio non richiede l'intervento dei suoi membri come singoli, posto che non si controverte su danni o lesioni nella sfera individuale di alcuni, ma al contrario di lesioni agli interessi generali di tutti i membri del gruppo, ovvero i rimedi che si chiedono al giudice sono injuctions e civil penalties, non punitive damages (83). Associa zione e suoi membri, infatti, sono legittimati in base al combinato disposto dell'art. III Cost. e della previsione statutaria di citizen suits. In merito si ricordi che, nel corso della presidenza Reagan, la legittimazione delle associazioni venne pressoché annullata proprio sul presupposto della personalità dell'interesse in capo a singoli membri dell'associazione e non all'associazione nel suo complesso. Lo stesso approccio si trova, in genere, condiviso anche dalle Corti statali. Ad esempio, nel caso Michigan Citizens for Water Conservation v. Nestle Waters North America, la Corte (84), pur fortemente divisa, ha negato la legittimazione del comitato di cittadini ricorrente poiché l'attività di pompaggio dalla falda freatica in discussione risultava incidere su corsi e bacini di acqua che solo in parte, e non nella loro interezza, interessavano la cittadinanza. O ancora nel 2010 la Corte di Appello di New York (85), nel ribadire che certo non può ritenersi che “standing in environmental cases is automatic, or can be met by perfunctory allegations of harm”, ha richiesto la prova del danno patito da tutti i membri dell'associazione. Ancora, nel negare anche ai singoli la legittimazione in tema di tutela ambientale (86), la Corte precisa i confini, richiedendo una “geographic proximity” e non la semplice “vicinity” alla zona interessata, ed insieme la “temporal proximity”. Si tratta di criteri che ricordano quelli individuati dal Consiglio di Stato, ma se il nostro giudice li applica per il caso in cui manchi la legittimazione alla stregua della disciplina di legge, e dunque in favore delle associazioni o gruppi non diffusi sul territorio nazionale, la Corte Suprema utilizza quello stesso criterio per escludere la legittimazione delle associazioni nazionali tali da non garantire un effettivo e concreto interesse nella controversia in essere. Ciò stupisce, da un lato, ma, insieme rivela la connotazione ideologica e politica delle decisioni del supremo giudice federale ove si osservi che rispetto alle associazioni di consumatori la stessa Corte assume un ben diverso atteggiamento. Nel 1986 (87), infatti, ne ammette l'accesso alla giustizia anche sulla base della considerazione che la legittimazione delle associazioni costituisca uno dei pochi immaginabili correttivi ad un sistema come quello delle azioni collettive, le c.d. class actions, che conferiscono ad un piccolo gruppo di individui — ciascuno con grandi interessi in gioco — vantaggi maggiori. La legittimazione riconosciuta attraverso il citizen suit è stata, inoltre, ulteriormente circoscritta dall'interpretazione che la Corte ha fornito del già ricordato presupposto della redressability. Nel caso Steel Co. v. Citizens for a Better Environment (88) la cessazione dell'attività inquinante (e dunque della violazione delle disposizioni dello statute) al momento dell'instaurazione del giudizio è stata addotta a ragione della carenza di legittimazione: le sanzioni in termini di civil penalties non avrebbero riparato le lesioni del ricorrente posto che le somme sarebbero state corrisposte al Governo. Se il legislatore avverte l'utilità della collaborazione dei privati e delle associazioni al fine della tutela degli interessi ambientali, la Corte, al contrario, attraverso uno stretto sindacato sulla legittimazione, annulla in concreto gli effetti delle disposizioni statutarie. Molti degli statutes, che disciplinano l'attività di Agencies e Commissions, introducono, come si anticipava, le c.d. citizen suit provisions, ovvero disposizioni che tendono ad ampliare di molto la legittimazione, attraverso una sorta di azione popolare utile ad imporre il rispetto dei limiti di inquinamento (89). Ogni cittadino, infatti, è legittimato a chiamare in giudizio chiunque violi le disposizioni dello statute, sia esso un altro privato o la stessa Autorità preposta. Il Congresso, secondo la dottrina, constata l'insufficienza delle risorse a disposizione dell'Amministrazione, si rivolge al cittadino e lo investe del ruolo di private attorney general. Così, ad esempio, il Clean air act riconosce la legittimazione di ogni cittadino per far valere le violazioni dello statuto medesimo e il mancato o scorretto esercizio del potere dell'Environmental Protection Agency. Per inciso si osservi che l'attribuzione della legittimazione processuale con funzione riparatoria, rispetto alla constatata inefficienza o incapacità dell'amministrazione di perseguimento degli interessi pubblici di tutela ambientale, richiama alla mente il modello recentemente introdotto dal nostro legislatore in tema di tutela della concorrenza all'art. 21-bis della l. n. 287/1990 (90). La previsione, che ha da subito suscitato grande interesse in dottrina (91), evidenzia, si ritiene, la complessità, ma anche l'insoddisfazione di un modello che finisce per confondere i ruoli attribuendo ad uno stesso soggetto funzioni tra loro dissonanti. Ma l'inciso non permette lo sviluppo che il tema pure, in altra sede, meriterebbe. La scelta della citizen suit parrebbe risolvere in buona parte la questione della separation of powers: la scelta politica del Congresso di introdurre disposizioni che aprono il giudizio ai cittadini implica che la Corte si limiti ad applicare una regola correttamente e democraticamente istituita dal potere legislativo. Ma la dottrina della separation of power viene anche richiamata in altro senso. Il giudice Scalia nella ricordata sentenza Lujan v. Defenders afferma, infatti, che una legittimazione allargata a chiedere in giudizio l'applicazione e il rispetto delle disposizioni ambientali federali violerebbe la Take Care Clause di cui all'art. II della Costituzione che riconosce al Presidente il potere esclusivo di verificare l'applicazione delle leggi federali di diritto pubblico. La Corte Suprema ha così individuato ulteriori limiti c.d. prudential, alla stregua dei quali interpretare le disposizioni statutarie. Tali limiti prudenziali consistono, in sintesi, nella regola che esclude la legittimazione di soggetti terzi, nella regola che esclude censure generiche o generalizzate al provvedimento e nel presupposto della c.d. zone of interest, in base al quale la controversia deve riguardare pretese e diritti che siano ragionevolmente protetti nello statute di cui si dibatte (92). I prudential limits hanno il fine di impedire al giudice di decidere “abstract questions of wide public significance even thoug judicial intervention may be unnecessary to protect indi vidual rights” (93). In altre parole, la disposizione statutaria che introduce un'azione popolare deve essere contemperata dalla sussistenza della injury of fact, poiché diversamente il giudice assumerebbe le vesti di enforcer of the law, compito tradizionalmente e costituzionalmente proprio del potere esecutivo. Tale lettura sarebbe, secondo parte della dottrina nordamericana (94), legata ad una concezione antiquata del potere esecutivo. Basti in merito ricordare il ruolo delle Administrative agencies che assommano potere legislativo e giustiziale e la cui collocazione nel quadro costituzionale, pur inizialmente discussa, è ormai risolta attraverso la dottrina dei poteri impliciti e la riconosciuta legittimità di deleghe in capo al potere esecutivo all'esercizio di funzioni tradizionalmente allo stesso estranee (95). Certo, però, il ruolo dei procedimenti partecipati davanti alle agencies, degli Administrative Law Judges — che, nel caso di formal adjudication, conducono procedimenti non molto diversi da un vero giudizio in termini di istruttoria e contradditorio tra le parti (96) — e le ricordate previsioni del NEPA in tema di environmental impact statements assumono inevitabile centralità in una lettura sistematica della disciplina di tutela ambientale: la legittimazione delle associazioni o di singoli cittadini consentirebbe il sindacato giurisdizionale senza che esista una controversia tra i destinatari della decisione o regolazione amministrativa, rischiando di stravolgere gli equilibri individuati dall'agency, spesso attraverso procedimenti lunghi e costosi anche in virtù dell'ampia partecipazione meramente collaborativa, e della massima trasparenza garantita dall'APA, nonché dell'applicazione del principio del due process. Quanto alla partecipazione, occorre almeno per inciso ricordare che, così come nell'ordinamento italiano, il tema della legittimazione assume, anche nell'ordinamento statunitense, una declinazione del tutto peculiare, posto che la violazione di diritti procedimentali è di per se stessa presupposto sufficiente all'accesso alla giustizia, senza che si richieda la prova dell'attualità della lesione o della redressability (97). Ciò vale ancor più quando la violazione ha ad oggetto obblighi di trasparenza e informazione (98). 4.1. Se il quadro così sommariamente tratteggiato dipinge un giudizio assai meno accessibile agli interessi ambientali rispetto a quanto accade in Italia, alcune sentenze recenti — nel 2000 il caso Friends of Earth v. Laidlaw (99) e poi nel 2007 il caso Massachussets v. EPA (100) — lasciavano presagire un nuovo corso nella giurisprudenza della Corte Suprema e il corrispondente ampliamento dell'accesso alla giustizia degli interessi ambientali, anche, come si avrà modo di precisare, attraverso il diverso canale della rappresentazione non in capo alle associazioni ambientali, ma in capo a singoli Stati nazionali. In particolare con la decisione Laidlaw si è ritenuta aderente al requisito della injury in fact la prova che l'attività dell'Amministrazione abbia modificato le condotte usuali dei ricorrenti, senza la necessità di verificare l'esistenza di un effettivo nesso eziologico tra l'attività che si assume lesiva e la modifica della condotta. Nel caso di specie l'associazione ambientale lamentava che, a seguito dell'autorizzazione allo scarico nelle acque di un fiume dei residui di lavorazione industriale e della violazione dei limiti consentiti nell'autorizzazione medesima, i suoi associati avessero cessato di fare il bagno in quello stesso fiume, temendo l'intossicazione da mercurio. Tale modifica del comportamento è stata valutata idonea a integrare il presupposto della injury of fact, nonostante non si desse prova che i valori di sostanze presenti nelle acque fossero mutati successivamente all'inizio dello scarico dei residui o fossero tali da costituire un grave pericolo per la salute o l'ambiente. La Corte afferma che nelle cause ambientali ciò che rileva ai fini dello standing, in base all'art. III della Costituzione, non è la lesione all'ambiente, ma la lesione al ricorrente attraverso la modifica della sua condotta in base ad una reasonable fear. Tale affermazione, confrontata con la rigorosa ricostruzione della injury of fact di cui alla ricordata Defenders of Wildlife, pare il frutto di un nuovo orientamento deciso ad allargare le maglie di accesso alla giustizia, anche valorizzando la valutazione del rischio probabile e presumibile di una futura lesione ambientale. In aggiunta, distinguendosi dal precedente sopra ricordato Steel Co., la Corte afferma che nonostante la cessazione dell'attività inquinante le sanzioni attraverso la condanna al pagamento di civil penalties svolgono l'utilità di deterrenti per il futuro, sicché anche l'interruzione dell'attività inquinante prima che si arrivi alla decisione non priva di legittimazione il ricorrente. Nelle decisioni successive le Corti d'appello federali, invocando il precedente di Laidlaw, hanno riconosciuto la legittimazione sulla base della mera sussistenza del verosimile rischio della lesione ambientale. Così ad esempio, laddove il ricorrente, membro del comitato locale di cittadini, affermi di non mangiare più pesce pescato nel lago, temendo la sua contaminazione visto lo scarico da parte dell'industria di rame oltre i limiti consentiti dall'autorizzazione, la Corte riconosce l'injury of fact stante il solo timore o rischio accresciuto dell'inquinamento delle acque del lago (101). Tale analisi del rischio assume un valore particolare nella giurisprudenza della Corte del D.C. Circuit che, in genere, non ritiene la teoria del rischio accresciuto confacente al presupposto della injury of fact secondo la elaborazione della Corte Suprema, posto che esso, da un lato, si pone in termini di maggior probabilità del verificarsi della lesione ambientale, senza che la lesione sia già attuale e concreta, e, d'altro lato, è difficile provare il rischio incida sulla sfera individuale dei membri dell'associazione, piuttosto che sulla generalità. In un noto caso (102), però, la stessa Corte si contraddice, riconoscendo la legittimazione all'associazione ambientale che lamentava rischi alla salute derivanti dall'inerzia dell'Amministrazione. Nel caso di specie si lamentava l'insufficienza della regolazione di EPA su di un gas inquinante e la legittimazione fu confermata posto che la deficienza nella regolazione avrebbe accresciuto, secondo le stesse indicazioni degli esperti di EPA, il rischio di tumori alla pelle (in considerazione dell'ampliarsi del buco nell'ozono) per l'intera popolazione e, dunque, anche per membri non identificati dell'associazione ambientale. Una fattispecie non dissimile si trova nella decisione Massachussets v. EPA, c.d. global warming case, esaminato nel 2007 dalla Corte Suprema. Dodici Stati, quattro amministrazioni locali e tredici associazioni ambientali lamentavano l'inerzia di EPA che non aveva adottato la regolamentazione dei gas a effetto serra derivanti dalla combustione dei motoveicoli, ritenendo invece la regolazione dovuta ai sensi del par. 202 del Clean Air Act. I giudici, pur escludendo la legittimazione dei privati per azioni a tutela ambientale, enfatizzano il ruolo dello Stato (103), ritenendo lo Stato del Massachussets, stante la sovranità che ogni Stato esercita sul proprio territorio, legittimato a ricorrere per fermare il danno irreparabile alle sue coste a causa dei mutamenti climatici legati all'effetto serra, che già l'innalzamento del livello del mare sta provocando (104). Anche in questo caso, nonostante la Corte richiami il paradigma del triplice test della injury of fact individuato in Defenders of Wildlife, il presupposto della injury in fact si considera integrato dall'esistenza di un pericolo, del rischio dell'erosione costiera allo stesso Stato derivante dall'inerzia dell'Amministrazione. Il riconoscimento della legittimazione e di una special solicitude in capo agli Stati nelle controversie federali suscita non poche perplessità nella dottrina nordamericana (105). In particolare la specialità, rispetto alla legittimazione generale in capo ai soggetti privati, è affermata senza alcuna motivazione nella decisione della Corte, tanto che nelle dissenting opionions la si descrive come una pura invenzione. Ciò nonostante essa si trova richiamata nella giurisprudenza delle Corti d'appello federali, sporadicamente a sostegno della legittimazione accordata (106), mentre, nella maggior parte dei casi il precedente è invocato, al fine, però, di sottolinearne l'unicità, tale da non giustificarne il richiamo in nessun altro differente contesto (107). Si evidenzia, così, l'incertezza che deriva da regole di interpretazione che lasciano tanto ampi margini di decisione anche al giudice di common law. La legittimazione riconosciuta allo Stato richiama il pensiero a quanto si ricordava in merito alla legittimazione riconosciuta dal giudice italiano agli enti locali; come il giudice statunitense sottolinea la sovranità dello Stato, quasi a ricavarne un suo spazio autonomo di decisione rispetto allo Stato federale — e alla preemption che, come noto, ne connota e regola i rapporti — così il giudice italiano valorizza la sussidiarietà per ricavare dalla cura degli interessi pubblici anche una legittimazione ad azionarne la lesione in giudizio. Le perplessità espresse dalla giurisprudenza nordamericana non possono che illuminare un percorso critico anche della dottrina italiana: gli interessi pubblici sono affidata alla cura delle amministrazioni nell'esercizio del potere amministrativo e da ciò sembra scorretto ricavare la titolarità di quegli stessi interessi, che sono e restano interessi della collettività di riferimento dell'ente locale, né, in assenza di alcuna disposizione al riguardo, pare opportuno riconoscere la legittimazione senza la titolarità della posizione giuridica che si afferma lesa. La parziale apertura, che sembrava leggersi nelle decisioni appena ricordate del supremo giudice federale, ha tuttavia conosciuto un nuovo arresto nella giurisprudenza più recente. Con la decisione Summers v. Earth Island del 2009 (108) infatti di nuovo si riducono gli spazi per la tutela degli interessi in capo sia ad associazioni ambientali sia a singoli cittadini. Nel caso di specie il Corpo Forestale Federale (U.S. Forest Service), nell'adottare un regolamento, escludeva dall'autorizzazione generalmente richiesta, nonché dal relativo procedimento di adjudication, taluni progetti consistenti, tra l'altro, nella vendita di legname su territori incolti e nell'attività ripristinatoria e riparatoria dopo l'incendio di un bosco. Tale disposizione regolamentare, applicata per la vendita di legname nella Sequoia National Forest, era impugnata da diverse associazioni ambientali, nel timore di una lesione irreparabile derivante dal disboscamento. Nel ricorso si chiedeva non solo di non applicare la disposizione nel caso concreto, ma, più in generale, di privare di efficacia la clausola regolamentare. Il giudice, in primo grado, ordinava di non applicare l'eccezione su tutto il territorio federale. La Corte Suprema, pure con la dissenting opinion di 4 giudici, ha invece negato la legittimazione delle associazioni, interpretando il presupposto della injury in fact in senso restrittivo, posto che, da un lato, non vi era assoluta certezza che dall'applicazione della clausola derivasse una modifica del paesaggio nel breve periodo, né, d'altro lato, le associazioni ambientali avevano dimostrato l'esistenza di eventuali future attività programmate nei siti interessati dalla regolazione. 4.2. Non possono che condividersi le critiche mosse dalla dottrina nordamericana al requisito della injury in fact, la cui genericità finisce per attribuire alla Corte il potere arbitrario di “decidere se decidere” nei singoli casi (109). Infatti il presupposto della lesione assume un rilievo determinante proprio nelle controversie ambientali, che di regola coinvolgono interessi di soggetti terzi, e la vaghezza che lo contraddistingue rende troppo labili i confini dell'accesso al giudizio. Le controversie ambientali si caratterizzano, infatti, per la peculiarità di coinvolgere parti terze rispetto ai litiganti: l'associazione ambientale cita in giudizio l'Agency che ha rilasciato l'autorizzazione ad esercitare un'attività ad una società o ad un privato o lamenta la mancata regolazione di attività produttive inquinanti svolte da industrie terze. È la presenza di tali soggetti terzi, autorizzati o non regolamentati, che richiede alla Corte un vaglio quanto mai attento circa la potenziale lesività, appunto l'injury in fact, e soprattutto la concreta utilità che l'associazione ricorrente sia in grado di trarre dall'accoglimento della sua istanza, posto che non esiste, come invece in Italia, l'investitura dell'organizzazione ad opera del legislatore. La connotazione adversarial del processo richiede la contrapposizione di due soggetti, mentre il giudice non è mai chiamato a svolgere una mera funzione di controllo o verifica dell'applicazione e del rispetto della legge fine a se stessa: tale attività non è infatti riconducibile al quadro costituzionale. In contrasto con l'orientamento federale si pone talora l'atteggiamento di alcune corti statali. Così la Corte Suprema della California nel 2011 ha sostenuto il principio del c.d. “public interest standing” qualora le questioni siano di interesse pubblico (110). Se vi siano in gioco interessi pubblici, il cittadino stante la violazione del diritto alla corretta applicazione ed esecuzione della legge è senz'altro legittimato in via individuale o nei comitati in cui si organizzi (111). Il panorama della giurisprudenza federale sommariamente ricostruito lascia emergere, invece, il tentativo di quanto mai restringere e limitare la legittimazione, al fine di ridurre le possibili sovrapposizioni tra giudice e autorità amministrativa. La dottrina della separation of powers in relazione agli interessi ambientali sconta peraltro gli orientamenti ideologici e politici individuali: se il giudice liberale è più disposto a tutelare la supremazia del potere legislativo e la moderazione e la misura nel controllo giurisdizionale, ma sempre considerando e soppesando le istanze delle associazioni e del singolo, il giudice conservatore procede negando la legittimazione sia ai singoli sia alle formazioni in cui si organizzano. Così la peculiare situazione concreta all'esame della Corte è in grado di condurre a soluzioni nuove e originali e la legittimazione diventa il grimaldello attraverso il quale plasmare la decisione in base alle capacità argomentative del singolo giudice. Nel caso Massachussets, ad esempio, l'accento posto sulla sovranità dello Stato permette il sindacato del giudice in relazione agli interessi ambientali anche grazie all'approvazione di giudici conservatori, favorevoli e entusiasti del riconoscimento del principio della sovranità. La carenza di legittimazione in capo ai portatori degli interessi ambientali è ricavata, in genere, dalla considerazione dei medesimi quali public rights e dalla convinzione che lo standing trovi il suo fondamento nel corretto ruolo da riconoscere al giudice in un sistema democratico: entrambe sono frutto della rielaborazione del principio della separation of powers posto che, da un lato, la Take Care Clause (112), di cui all'art. II Cost., riconosce al solo Presidente degli Stati Uniti la legittimazione ad azionare i public rights e, dall'altro, il giudice non può interferire con le scelte adottate dalle Agencies attraverso procedimenti partecipati. La dottrina criticamente non ravvisa nella Costituzione limite alcuno ad una interpretazione non solo diversa, ma opposta a quella conservatrice del giudice Scalia (113). Di fronte alla mancanza di una nozione normata e allo spazio che la sua indefinitezza lascia al giudice nemmeno la scelta del legislatore di introdurre negli statutes la c.d. citizen suit pare soddisfacente. Essa, infatti, certo non tiene conto che la tutela giurisdizionale riconosciuta a individui che sono membri di una classe di interessi diffusi larga e disorganizzata, come quella degli ambientalisti, è in grado di assicurare al singolo individuo un vantaggio finale concretamente modesto, che come tale non si presta al modello della class action (114) idoneo quando il giudizio sia in grado di ampliare significativamente la sfera giuridica del ricorrente e di soddisfarlo attraverso il risarcimento del danno, cui, invece, come precisato, non si è legittimati in base alle disposizioni statutarie. Né il rimedio della citizen suit pare opportuno per contrastare il cattivo esercizio del potere amministrativo, posto che l'attività di amministrare consiste in grande misura di accomodamenti negoziati al di là delle previsioni di legge, sicché “... la domanda a cui rispondere non è se l'amministrazione ha violato il diritto, ma se è venuta meno a qualche suo obbligo nei confronti di chi vuol agire” (115). Riconoscendo invece a chiunque abbia un interesse non legalmente protetto l'accesso al giudice, quest'ultimo finirebbe per assumere il compito dell'amministratore che considera e pondera i diversi interessi in gioco rispetto al caso concreto. 5. L'analisi della legittimazione delle associazioni ambientali nei due ordinamenti evidenzia differenti prospettive, solo in parte motivate dalle diversità sistematiche di fondo, e permette ora di giungere ad alcune riflessioni generali quanto alla tutela degli interessi diffusi ambientali e alla giustiziabilità dei medesimi. Anzitutto preme mettere in luce, in sintesi, le differenze. Nel nostro ordinamento l'intervento della giurisprudenza segnalava una lacuna, che negli anni successivi ha valorizzato il ruolo del legislatore al fine della definizione dei criteri di legittimazione delle associazioni ambientali. La giurisprudenza è, poi, intervenuta nuovamente, ampliando di molto, attraverso l'interpretazione, la nozione costruita dal legislatore, tanto da individuarne di fatto confini e limiti tutti nuovi. L'intervento del legislatore è stato sollecitato dall'insufficienza della tradizionale garanzia giurisdizionale di tipo soggettivo ad assicurare appieno l'effettività delle norme ambientali, ma la legittimazione riconosciuta alle associazioni ambientali non ha influito sul processo amministrativo come processo di parti, né ha trasformato la giurisdizione sugli interessi diffusi alla protezione ambientale in giurisdizione oggettiva (116). Se, come è emerso nel secondo paragrafo di questo scritto, la legittimazione alla tutela degli interessi ambientali è utile a verificare serietà e rappresentatività dell'associazione (117), tale verifica mira a riconoscere in presenza dei requisiti una posizione differenziata e qualificata. Quando, invece, il giudice operi al di fuori dei criteri normati, di fatto è lo stesso giudice che, nell'ammettere l'associazione al giudizio, costruisce in capo alla stessa una posizione differenziata e qualificata. Tradizionalmente la diffidenza italiana verso le “manifestazioni di spirito pretorio” del giudice amministrativo affonda le radici nel modo di intendere la funzione del giudice in genere, e di quello amministrativo in particolare (118). Ma tale diffidenza sul ruolo del giudice nella tutela degli interessi ambientali trova senz'altro conforto nella dottrina nordamericana. Nel sistema statunitense, infatti, il ruolo che il giudice si riconosce resta supremo, ma incontra forti critiche in dottrina e si scontra con i tentativi del legislatore di limitarlo attraverso statutes che assicurino, nell'ambito della materia disciplinata, l'accesso alla giustizia con una sorta di azione popolare, quale di fatto è il citizen suit. La norma contenuta negli statutes ha però prodotto l'effetto contrario, posto che, come si è messo in luce in precedenza, nel valutare lo standing la Corte ha spesso ravvisato la carenza del requisito della c.d. injury in fact. Nei singoli casi di specie, dunque, si è ancor più ridotto l'accesso ai rimedi giurisdizionali, che si tentava in astratto di generalizzare con le disposizioni degli statutes. Se la dottrina nordamericana ha in un primo tempo valorizzato la condizione di estraneità del giudice alla politica, la mancanza di preparazione scientifica e specifica circa le questioni controverse, ritenute utili ad evitare contaminazioni con gli interessi costituiti (119), il potere della Corte Suprema nell'interpretazione dei requisiti di legittimazione è stato poi oggetto di strenua critica, così evidenziando la necessità di contenere l'iniziativa personale e arbitraria del giudice e, a tal fine, di costruire una nozione di standing utile alla conservazione e tutela dell'ambiente, che è poi il fine ultimo e reale dell'intera disciplina qui in discussione. Il riconoscimento della legittimazione del citizen — o del chiunque, secondo le categorie che utilizzerebbe il nostro legislatore — snatura, sia a dire della Corte Suprema sia anche nel nostro ordinamento, la stessa nozione propria di legittimazione, intesa quale verifica di un collegamento tra l'interesse ambientale oggetto della controversia e il rimedio richiesto, posto che il singolo è membro di una collettività generalizzata che afferma l'istanza di tutela rispetto a beni anch'essi comuni. Per concentrare l'attenzione sul singolo e valorizzare la legittimazione popolare si è, in passato, sostenuto, nel dibattitto statunitense, che il degrado ambientale fosse in grado di incidere sulla piena fruizione delle libertà costituzionalmente garantite (120). Ma tale prospettiva, come si evidenzia dalla ricostruzione di cui al paragrafo 4, è stata ormai abbandonata poiché si è rivelata, da un lato, incapace di far breccia sul giudice e, dall'altro, impropria a garantire situazioni che, perché diffuse, non si prestano a strumenti individualistici, né dal punto di vista della riconduzione alle tradizionali figure soggettive, né dal punto di vista pratico, visto lo scarso valore della lesione individuale. La legittimazione delle associazioni permette, invece, di conseguire rimedi utili ad un gruppo numeroso di soggetti, ciascuno dei quali soffre una lesione minore, ma dalla cui somma deriva benessere diffuso per la società. Anche in base all'evoluzione di un sistema che in origine dà risalto alla funzione del cittadino nella protezione degli interessi ambientali, si ricava che è la legittimazione delle associazioni, piuttosto che dei singoli, che occorre valorizzare (121). La legittimazione allargata può funzionare in sistemi come quello indiano (122) ove lo Stato è assente, ma anche in quel contesto si evidenzia la strumentalità del coinvolgimento del cittadino al fine di esercitare, anche attraverso l'intervento del potere giurisdizionale, un'attività di stimolo e di impulso, poiché solo l'intervento del potere legislativo e amministrativo è in grado di tutelare l'interesse ambientale come interesse pubblico e generale. Allo stesso modo la legittimazione ricavata a partire dal riconoscimento dell'ambiente salubre come una precondizione per la fruizione dei diritti umani ha trovato accoglimento presso la Corte di Strasburgo in un caso che coinvolgeva la Russia (123), ovvero in uno Stato in cui si può certo affermare che i principi di legalità e di proporzionalità nella ponderazione degli interessi economici non trovino lo stesso spazio e le stesse garanzie riconosciute in molti altri paesi europei. Ne emerge il valore politico che assume la legittimazione così riconosciuta: la sentenza non rappresenta lo strumento per il soddisfacimento della posizione del singolo azionata in giudizio — nel caso della Russia, ad esempio, la cittadina ricorrente ottenne un risarcimento del tutto irrisorio, nell'ordine di qualche migliaio di euro — ma è il mezzo per denunciare il malfunzionamento del sistema. La scelta dell'ordinamento italiano di valorizzare il ruolo delle associazioni ambientali pare, quindi, senz'altro da apprezzare. L'intervento del legislatore risolve, in parte, il problema dell'emersione degli interessi diffusi, di cui si riferiva nel secondo paragrafo, e tale soluzione è soddisfacente anche alla luce del dettato europeo, laddove la Convenzione di Aahrus richiede l'accesso alla giustizia per le associazioni ambientali, ma non prospetta né costringe all'introduzione dell'azione popolare nella materia ambientale. I gruppi organizzati che, secondo le indicazioni del legislatore, si ritengono esponenziali degli interessi diffusi e in grado di fornire adeguata rappresentanza, sono dunque legittimati ad agire. Non si condivide la necessaria eccezionalità della regola, sottolineata di recente dalla dottrina: non par vero che alla luce dell'art. 2 della Costituzione il monopolio del diritto di azione in capo a organismi associativi debba ritenersi costituzionalmente illegittimo (124), ma anzi la disposizione costituzionale laddove recita “tutti” intende riferirsi a qualsiasi soggetto dell'ordinamento, sia esso un singolo o un gruppo organizzato, senza con ciò imporre una regola processuale. L'ampliamento del ruolo del giudice amministrativo, a tutela di interessi socialmente rilevanti, quali quelli ambientali, non incide di per sé sui caratteri del processo celebrato davanti a lui (125). In merito si è discusso se l'attribuzione della legittimazione alle associazione ambientali imponga che la decisione della controversia sui medesimi trasformi il giudizio amministrativo in un giudizio oggettivo (126), sul presupposto che il giudizio miri ad assicurare il legittimo esercizio del potere amministrativo, invece che la protezione della posizione soggettiva, inerente all'associazione ambientale riconosciuta, dalle ingerenze dell'amministrazione, considerato che è non sempre esatta l'equazione tra giudizio di tipo soggettivo e garanzia più incisiva per il cittadino, potendo talvolta un giudizio di tipo oggettivo offrire una gamma di tutela persino più ampia (127). Se in genere è vero che quanto più si amplia la legittimazione tanto più il giudizio tende a verificare la correttezza dell'azione amministrativa senza relazione con la lesione che si vuole riparare, la funzione della legittimazione con riguardo alle associazioni assume, come si è visto, una connotazione ancora diversa che è quella di assicurare la rappresentatività delle stesse degli interessi diffusi che esprimono. La mancanza della personalità, così come l'assenza della injury of fact nelle ricostruzioni operate dalla Corte Suprema, deriverebbero dall'utilizzo del giudizio (e della verifica che si conduce circa la illegittimità attività o inerzia dell'Amministrazione) per imporre, in realtà, regole di condotta a soggetti terzi. Così, ad esempio, nel ricordato caso Massachussets l'istanza al giudice dell'injuction, ovvero dell'ordine all'Environmental Protection Agency di adottare una regolazione per le emissioni in atmosfera, mirava a inibire l'attività svolta liberamente dai privati. Allo stesso modo l'associazione ambientale in Italia impugna l'atto di localizzazione della discarica perché, di fatto, sia in conseguenza inibito alla società di insediarsi su quel terreno. Non per questo, però, il giudizio non rimane un giudizio di parti che mira a risolvere una controversia. Anzi la giurisprudenza statunitense fa leva proprio su tale carattere per restringere i casi conoscibili dal giudice e anche nel nostro ordinamento la legittimazione sottende una positiva valutazione del legislatore, o anche della giurisprudenza, circa la rappresentatività dell'organizzazione e, dunque, la sua capacità a esprimere la posizione giuridicamente rilevante di interesse diffuso. L'attività delle associazioni ambientali e, prima ancora, l'emersione stessa degli interessi ambientali come interessi diffusi evidenzia l'insufficienza della qualificazione degli stessi alla stregua di un interesse pubblico, difficile da tutelare in quanto troppo segmentato: l'incapacità dell'amministrazione di tutelare e curare interessi pubblici conduce alla soluzione in qualche modo obbligata dell'intervento sostitutivo delle associazioni. Non è nella legittimazione allargata al cittadino, con l'azione popolare ed un giudizio oggettivo (128), che si ravvisa la soluzione più corretta, poiché ne risulterebbe snaturato il ruolo del giudice amministrativo. L'associazione ambientale è istituita e utile proprio alla tutela di tali interessi e il giudizio resta capace di soddisfare i medesimi e, indirettamente, i cittadini che a livello diffuso ne fruiscono. La natura del giudizio non si trasforma stante la legittimazione ex lege dell'associazione: il legislatore semplifica la questione della riconducibilità degli interessi ambientali ad una posizione soggettiva giuridicamente rilevante, ma il giudizio mira a rimuovere la lesione di interessi ambientali, perseguiti dall'associazione in base allo statute che la istituisce,derivanti dallo scorretto o mancato esercizio del potere amministrativo. Ed in ciò non si differenzia dall'ordinario giudizio amministrativo. Gli effetti indiretti che derivano dalla sentenza di accoglimento nemmeno differiscono dagli effetti indiretti che derivano alla collettività, ad esempio, dall'annullamento dell'aggiudicazione in termini di miglior costruzione dell'opera, di rispetto della disciplina delle concorrenza ovvero di impedimento al verificarsi di situazioni collusive o corruttive. Occorre ripensare ai ruoli con chiarezza. La legittimazione conferita dalla legge alle associazioni ambientali non intende attribuire alle stesse un compito di rilievo pubblicistico, affinché attraverso interventi a tutela di interessi ambientali esse concorrano alla concreta affermazione del principio di legalità, assumendo quasi la veste di denunciante di abusi o pregiudizi. Le associazioni non sono certo titolari di un generale potere di vigilanza sulle vicende che riguardino o compromettano l'ambiente, la natura o il paesaggio (129). Lo stesso giudice amministrativo precisa (130) che restano “invalicabili” i limiti “segnati dalla natura del giudizio amministrativo come processo di parti”, sicché le associazioni ambientali, qualificandosi come parti private, “sono legittimate a ricorrere e resistere nei limiti della diretta correlazione tra le illegittimità denunciate e gli interessi dalle medesime tutelate” (131). In proposito ci preme ancora una volta ribadire come solo quando gli interessi ambientali siano pure interessi pubblici, la legge generale sul procedimento ne assicuri la ponderazione, valorizzando la necessità dell'acquisizioni dei pareri e valutazioni in merito. Quando, invece, l'interesse ambientale resta interesse diffuso, allora esso certo trova ingresso nel procedimento, ma nulla garantisce circa il grado di considerazione ricevuto dall'amministrazione. Esso resta affidato alle regole del buon esercizio del potere e della discrezionalità amministrativa e, dunque, al successivo vaglio giurisdizionale quanto al rispetto di quelle stesse regole, altrimenti prive di valore alcuno. Non può che accogliersi con favore il valore che alla ponderazione degli interessi ambientali attribuisce l'art. 3-quater del Codice dell'ambiente, quasi a generalizzare la promozione di tali interessi in capo a tutti i soggetti pubblici che ne vengano a contatto (132). La cura dell'ambiente è compito dell'amministrazione (133), spettando al giudice solo l'aspetto patologico: né è opportuno e conveniente che il giudice si trasformi in amministratore e gestore dell'ambiente, compositore di interessi in ordine ad esso, sia perché non è strutturalmente attrezzato per farlo, sia perché è indispensabile che sussistano entrambi, ma separati, i ruoli del gestore e del controllore (134). Se la Corte non risolve controversie, come evidenzia la giurisprudenza della Corte Suprema, il ruolo del potere giurisdizionale ne risulta stravolto: il giudice diventa una sorta di consulente che rilascia advisory opinions e verifica le scelte compiute nel caso di specie. Tale ruolo è quanto più pericoloso ove si considerino gli interessi dei soggetti terzi, ovvero delle imprese che confidano che le scelte adottate dall'amministrazione attraverso procedimenti partecipati, con tempi certo non rapidi, non restino poi prive di efficacia. Anche da un punto di vista non strettamente giuridico, infine, appare certamente inefficiente la soluzione di individuare nel contenzioso giurisdizionale il momento cui affidare il controllo sulle scelte che coinvolgono interessi ambientali, posto che quelle stesse scelte riguardano al contempo attività produttive — ciò tanto più se, seguendo alcune delle impostazioni in precedenza ricordate, la legittimazione all'azione fosse generalizzata in capo al cittadino o all'ente territoriale. L'instabilità dei provvedimenti, spesso ottenuti a seguito di procedimenti lunghi e complessi (135), sarebbe fonte di incertezza negli operatori, così riducendo i possibili investimenti nel mercato, senz'altro indispensabili per superare l'attuale fase di stallo economico. Riprendendo alcune considerazioni espresse nel secondo paragrafo di questo scritto, anche l'analisi comparata della legittimazione conforta, infine, l'opinione che la sede più opportuna per la tutela degli interessi ambientali non sia quella successiva del ricorso al giudice, quanto quella antecedente del procedimento e che gli ulteriori sforzi del legislatore debbano concentrarsi al fine di quanto più valorizzare il coinvolgimento delle associazioni e dei cittadini in tale ambito (136). ABSTRACT: Lo scritto si interroga sui limiti all’accesso alla tutela giudiziale degli interessi ambientali in una prospettiva comparata con il sistema statunitense, che nutre un’esperienza approfondita e secolare in merito. L’analisi è condotta con particolare attenzione al ruolo delle associazioni. La questione è quanto mai attuale anche nella dimensione europea, posto che, con il recepimento della Convenzione di Aahrus, l’Unione Europea avrebbe individuato la necessità di garantire elevati standards di tutela degli interessi ambientali, anche in termini di accesso alla giustizia per le associazioni. Lo studio vuol essere utile, inoltre, a qualche riflessione sul ruolo e sulla finalità del giudizio quando appunto la controversia verta su interessi ambientali. Così come la disciplina della legittimazione incide e connota i caratteri della giustizia amministrativa nel nostro sistema — posto che tanto più le maglie della legittimazione tendono ad ampliarsi, tanto più il sindacato del giudice diventa un controllo diffuso dell’esercizio del potere amministrativo- similmente la disciplina dello standing ai fini della judicial review suscita dubbi e interrogativi sia quanto agli spazi da riconoscere al potere giurisdizionale rispetto all’amministrazione, nel rispetto della separation of powers sancita nella Costituzione, sia quanto alle funzioni proprie del giudice, che spesso manipola l’istituto al fine di poter decidere il caso concreto nel merito. (1) Tanto che già nel 1976 M. CAPPELLETTI riconosceva (in Appunti sulla tutela giurisdizionale di interessi collettivi o diffusi, in Le azioni a tutela di interessi collettivi, Atti del convegno di studio (Pavia, 11-12 giugno 1974), Padova 1976, 191, qui 215) che “in quel Paese si è creata un'esperienza assai più lunga e approfondita della nostra, esperienza che, se vogliamo operare da studiosi seri, va utilizzata”. (2) Si rimanda in merito alle note sentenze Cons. Stato 9 giugno 1970, in Foro it., 1970, III, 201, Cons. Stato, Sez.V, 9 marzo 1973, n. 253, in Foro amm., 1973, I, 264 e Ad. plen. 19 ottobre 1979, n. 24, in Foro amm. 1979, I, 1442 e Cons. Stato, Sez. VI, 14 luglio 1972, n. 475, in Giur. it., 1973, III, 261, con nota di MONTESANO e Foro it., 1972, III, 269, con nota di A. ROMANO. Per una ricostruzione della giurisprudenza anche successiva L. R. PERFETTI, art. 26 t.u. Cons. St., Sez. III, in particolare par. V e XII, in Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, a cura di A. ROMANO e R. VILLATA, Padova, 2009, 1353, Gli interessi diffusi e la legittimazione ad agire delle associazioni ambientalistiche, in Diritto dell'ambiente: commentario sistematico al D. lgs. 152/006, integrato dal D.lgs. 4/2008, 128/2010, 121/2011, a cura di P. DELL'ANNO, Padova 2011, 438 e D. SICLARI, Profili di diritto processuale amministrativo: class actions e tutela degli interessi collettivi e diffusi, in Trattato di diritto dell'ambiente, I, diretto da P. DELL'ANNO e E. PICOZZA, Padova 2012, 403, in particolare 414 ss. (3) Di questo percorso di ricerca è il segno il già citato volume Le azioni a tutela di interessi collettivi, che raccoglie gli atti del convegno di studio (Pavia, 11-12 giugno 1974) cui parteciparono illustri studiosi di allora e di oggi, convegno che vedeva tra i suoi promotori Italia Nostra, protagonista in sede giudiziaria degli episodi più significativi. (4) Così M. CAPPELLETTI, Appunti sulla tutela giurisdizionale di interessi collettivi o diffusi, cit., 191-194. Nello stesso S. RODOTÀ, Le azioni civilistiche, in Le azioni a tutela di interessi collettivi, cit., 81. (5) Come acutamente osservava A. ROMANO, commentando la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 14 luglio 1972, n. 475, relativa all'insediamento di impianti inquinanti nel golfo di Gaeta, Interessi “individuali” e tutela giurisdizionale amministrativa, in Foro it., 1972, III, col. 269. (6) Corte giust. eur., 12 maggio 2011, causa C-115/09, con un commento critico di E. J. LOHSE, Surprise?Surprise! Case C-115/09 (Kohlekraftwerk Lunen) A Victory of the Environment and a Loss for Procedural Autonomy of the Member States?, in Public Law Rev. 2013, e con toni più favorevoli di F. GOISIS, Legittimazione al ricorso delle associazioni ambientali ed obblighi discendenti dalla Convenzione di Aarhus e dall'ordinamento dell'Unione Europea, in questa Rivista 2012, 91. Ritengono, sotto taluni aspetti, la disciplina italiana non conforme alla Convenzione di Aarhus R. LEONARDI, La legittimazione processuale delle associazioni ambientaliste: alcune questioni ancora giurisprudenziali, in Riv. giur. ed., 2011, 3 e G. TULUMELLO, Access to Justice from the point of view of a judge, in www.giustiziaamministrativa.it. La questione, qui solo accennata, sarà ripresa nel par. 3 ed è oggetto di un dibattito acceso nel diritto europeo. (7) A. AMORTH, Introduzione al diritto comparato e al diritto pubblico, in Scritti giuridici, 1940-1948, II, 817. Sul valore del diritto amministrativo comparato e sul suo “destino amaro” si esprime anche M. D'ALBERTI, Diritto amministrativo comparato, Bologna, 1992, spec. 9. (8) Come scrive G. NAPOLITANO nell'Introduzione al volume da lui stesso curato, Diritto amministrativo comparato, Corso di diritto amministrativo, diretto da S. CASSESE, IV, Milano 2007, IX. (9) Il dibattito in merito alla necessità di un ripensamento delle categorie tradizionali della comparazione nel diritto amministrativo è limpidamente tracciato nello scritto di F. BIGNAMI, From Expert Administration to Accountability Network: A New Paradigm for Comparative Administrative Law, 59 American Journ. Comparative Law 859 (2011). Anche BRUCE ACKERMAN, in Good-bye Montesquieu, in Comparative Administrative Law, a cura di SUSAN ROSEACKERMAN e PETER L. LINDSETH, 2010, 128, sottolinea la necessità di “a new framework for analysis” e J.L. MASHOW, in Explaining administrative law: refelections on federal administrative law in nineteenth century America, in Comparative Administrative Law, op. ult. cit., 37 propone uno schema concettuale attraverso cui condurre lo studio in comparazione dei sistemi di diritto amministrativo, formulando una serie di quesiti (a p. 44) cui rispondere “as we go about the fascinating business of learning what we can learn from each other”. (10) Nei diversi contributi contenuti nel volume Methods of comparative law a cura di P.G. MONATERI, EDWARD ELGAR 2012, ove P. G. MONATERI, (Methods of comparative law: an intellectual overview, 1) propone una prospettiva di studio più ampia, non limitata al diritto positivo e al ruolo dei giudici nella sua interpretazione, con l'intento di valorizzare il diritto comparato (24) “as the best intellectual device we can use to depict the figurality of Law and to construct a theory of representational understanding of a normative world”. (11) Sul ruolo dei giudici e della giurisprudenza nell'elaborazione di categorie condivise si rinvia senz'altro a S. CASSESE, I tribunali di Babele. I giudici alla ricerca di un nuovo ordine globale, Roma 2009. (12) “Non solo, infatti, in tale conoscenza si imprime un ordine che si origina dalla stesse affinità e differenze riscontrate, ma lo stesso istituto, considerato nelle sue diverse manifestazioni, si può forse ricondurre ad un « tipo » che si distacca da queste singole manifestazioni, rivelandone il fondo comune, e più ancora si possono avvertire le tendenze di un certo istituto o di certi ordinamenti in un particolare periodo storico”. Così concludeva A. AMORTH, op. cit., 840. (13) Già V. MOLASCHI ha condotto una simile analisi comparatistica nello scritto Standing to Sue of Environmental Groups in Italy and in the United States of America, in JEELP, 2006, 52. Tuttavia, nonostante la completezza dello scritto, il tempo trascorso legittima un ripensamento del tema, tanto più, che, come si avrà modo di leggere, le conclusioni cui si giunge non sono le medesime. Sempre ragionando in comparazione con il sistema statunitense, sebbene in una prospettiva più ampia, che tiene conto sia della legittimazione, sia più in generale dei poteri e provvedimenti attribuiti alle autorità amministrative, F. FRACCHIA, nello scritto Amministrazione, ambiente e dovere: Stati Uniti e Italia a confronto, in Ambiente, attività amministrativa e codificazione, a cura di DE CAROLIS-FERRARIPOLICE, Milano, 2005, 120, ritiene la specificità del diritto ambientale debba ricavarsi proprio a partire dalla “qualità e indole della situazione giuridica prevalente nel settore”. (14) Qui si ricordino solo i contributi di RICHARD PIERCE JR., Is standing law or politics?, 77 N.C.L. Rev. 1741(1999) e J. H. ADLER, God, gaia, the taxpayer, and the Lorax: standing, justiciability, and separation of powers after Massuchessetts and Hein, 20 Regents U.L. Rev. 175 (2007-2008), posto che la questione tornerà in rilievo nel proseguo dello scritto, rinviandosi in particolare al par. 4. (15) In merito si rinvia a D. DE PRETIS, La giustizia amministrativa, in Corso di diritto amministrativo, diretto da S. CASSESE, IV, Diritto amministrativo comparato, cit. e B. MARCHETTI, Pubblica amministrazione e corti negli Stati Uniti. Il judicial review sulle administrative agencies, Padova 2005. (16) N. TROCKER, voce Interessi collettivi e diffusi, in Enc. giur., XVII, Roma, 1989. (17) F. G. SCOCA, Tutela dell'ambiente: la difforme utilizzazione della categoria dell'interesse diffuso da parte dei giudici amministrativo, civile e contabile, in Dir. soc. 1988, 655. (18) G. BERTI, Interessi senza struttura (i c.d. interessi diffusi), in Studi in onore di A. Amorth, Milano, 1982, I, 67. (19) Tra i principali contributi in dottrina si ricordino R. FERRARA, voce Interessi collettivi e diffusi (ricorso giurisdizionale amministrativo), in Dig. disc. pubbl., vol. VIII, Torino 1993, 482 e Gli interessi superindividuali fra procedimento amministrativo e processo: problemi e orientamenti, in questa Rivista, 1984, 49; M. NIGRO, Le due facce dell'interesse diffuso: ambiguità di una formula e mediazioni della giurisprudenza, in Foro it., 1987, 10; R. FEDERICI, Gli interessi diffusi: il problema della loro tutela nel diritto amministrativo, Padova, 1984, R. LOMBARDI, La tutela delle posizioni giuridiche meta-individuali nel processo amministrativo, Torino, 2008 e C. CUDIA, Gli interessi plurisoggettivi tra diritto e processo amministrativo, Santarcangelo di Romagna, 2012. (20) Secondo l'espressione usata da F. G. SCOCA, La tutela degli interessi collettivi nel processo amministrativo, in Le azioni a tutela degli interessi collettivi, cit., 57. (21) Per la quale si rinvia, senz'altro, allo scritto di D. SORACE, Il problema degli interessi non-diritti da tutelare nell'admistrative law americano (linee di un dibattito in corso), in Scritti per Mario Nigro, III, Milano, 1991, 581. (22) Gli interessi “individuali”, cit., 271. (23) Sul processo amministrativo come processo di parti si rinvia a W. TROISE MANGONI, L'opposizione ordinaria del terzo nel processo amministrativo, Milano, 2004, 47 ss. e agli ampi riferimenti di dottrina ivi ricordati. (24) R. VILLATA, Dodici anni dopo: il codice del processo amministrativo, in Il codice del processo amministrativo. Dalla giustizia amministrativa al diritto processuale amministrativo, a cura di B. SASSANI e R. VILLATA, Torino, 2012, 41, in particolare 63 ss. Nello stesso senso G. DE GIORGI CEZZI, Poteri d'ufficio del giudice e caratteri della giurisdizione amministrativa, Relazione al convegno AIPDA Trento, 5-6 ottobre 2012, spec. par. 14. (25) Il distinguo si trova da ultimo ribadito anche nell'Adunanza plenaria n. 4 del 7 aprile 2011, che ragiona quanto all'ordine di decisione del ricorso principale e incidentale e alla legittimazione del ricorrente principale che il secondo mira a contestare. (26) R. VILLATA, voce Interesse ad agire II) Diritto processuale amministrativo, in Enc. giur., XVII, Roma, 1989. (27) E. CANNADA BARTOLI, Principio soggettivo nel processo amministrativo e legittimazione a ricorrere, in Foro amm., 1963, I, 334. (28) Si rinvia in merito a M. RAMAJOLI, Legittimazione ad agire e rilevabilità d'ufficio della nullità, in questa Rivista 2007, 999, in particolare par. 2, “... nel processo amministrativo di legittimità ampi spazi di tutela hanno ottenuto non solo i destinatari diretti del provvedimento amministrativo, ma anche i terzi,...si può proprio dire che la caratteristica saliente dell'interesse legittimo sia quella far capo normalmente anche a soggetti terzi rispetto ai destinatari immediati degli effetti dell'atto amministrativo...Siccome però oltre la sfera della legittimazione consentita nel processo amministrativo di legittimità c'è soltanto quella tipica dell'azione popolare...” (29) Tentativo da ultimo compiuto nel volume di C. CUDIA, Gli interessi plurisoggettivi tra diritto e processo amministrativo, cit. (30) A. ROMANO, Interessi “individuali”, cit., 271. (31) F. G. SCOCA, La tutela degli interessi collettivi nel processo amministrativo, cit., 80. (32) M. CAPPELLETTI, Appunti sulla tutela giurisdizionale, cit., 199. (33) Come ricorda R. VILLATA, voce Legittimazione processuale, cit., “... legittimato a ricorrere è (chi afferma di essere) il titolare dell'interesse protetto? O piuttosto è l'interesse ad agire la chiave per individuare a chi spetti la legittimazione? Legittimazione ed interesse ad agire sono requisiti autonomi ovvero l'una si risolve nell'altro? L'incertezza non è attenuata dalla giurisprudenza che, ricchissima di indicazioni in punto di interesse processuale, lo è meno in punto di legittimazione: anzi un medesimo problema ... viene a volte prospettato in termini di interesse processuale, a volte di legittimazione, senza però chiaramente prender partito a favore dell'eventuale non autonomia dei suddetti requisiti.” Di recente ragiona sul rapporto tra legittimazione e interesse a ricorrere G. TROPEA, L'interesse strumentale a ricorrere: una categoria al bivio?, in questa Rivista, 2010, 664. (34) A. TRAVI, La tipologia delle azioni nel nuovo processo amministrativo, in La gestione del nuovo processo amministrativo: adeguamenti organizzativi e riforme strutturali, Atti del LXVI convegno di studi amministrativi, 23-25 maggio 2010, Varenna, Milano 2011, 75. (35) A. M. SANDULLI, Il giudizio innanzi al Consiglio di Stato e ai giudici sottordinati, Napoli, 1963, 210. (36) F. P. LUISO, Diritto processuale civile, I, Milano 2011, 216. (37) M. CAPPELLETTI, Appunti sulla tutela giurisdizionale, cit., 220. (38) V. DENTI, Relazione introduttiva, in Le azioni a tutela di interessi collettivi, cit., 15. (39) Louis Jaffe 1968 (ricordato da Cappelletti, cit., 200) che introduce il concetto di ideological plaintiff ovvero della parte ideologica che rappresenta gli interessi dei più. (40) A. TRAVI, Lezioni di giustizia amministrativa, Milano, 2012. (41) A. POLICE, Il giudice amministrativo e l'ambiente: giurisdizione oggettiva e soggettiva?, in Ambiente, attività amministrativa e codificazione, a cura di D. DE CAROLIS, E. FERRARI, A. POLICE, Milano, 2006, 320. (42) Cons. Stato, Ad. plen., 19 ottobre 1979, n. 24. Per un'applicazione recente del criterio si veda Cons. Stato, Sez. VI, 23 maggio 2011, n. 3107. (43) Cons. Stato, Sez. V, 9 giugno 1970, n. 523, si tratta dell'interpretazione dell'art. 10 legge 6 agosto 1967, n. 765, c.d. legge ponte in materia urbanistica. (44) Cons. Stato, Sez. IV, 13 luglio 1998, n. 1088. (45) F. DEGNI, Riflessioni sul concetto di “stabile collegamento” quale presupposto per la legittimazione dei soggetti portatori di interessi a carattere commercial nelle controversie relative a provvedimenti di natura urbanistica ed edilizia, in www.giustamm.it. Chiaramente in tal senso T.A.R. Veneto, 30 ottobre 2006, n. 3591. (46) Cons. Stato, Sez. VI, 23 maggio 2011, n. 3107, nel caso di specie si trattava di ammettere Consorzi di agenzie d'affari in mediazioni turistiche, Comitati di cittadini e Associazioni di operatori balneari in un giudizio avente ad oggetto il procedimento conclusosi con un giudizio positivo di compatibilità ambientale sul progetto per la trasformazione a carbone della centrale termoelettrica di Porto Tolle. In senso conforme Cons. Stato, Sez. VI, 13 settembre 2010, n. 6554, Sez. IV, 14 aprile 2006, n. 2151 e Sez. V, 2 ottobre 2006, n. 5760. (47) Cons. Stato, Sez. IV, 11 novembre 2011, n. 5986, in relazione all'impugnazione di un piano cave. (48) In tal senso, ad esempio, Cons. Stato, Sez. V, 10 marzo 1998, n. 278 o, di recente, Cons. Stato, Sez. IV, 13 novembre 2012, n. 5715. (49) R. VILLATA, Riflessioni in tema di partecipazione al procedimento e legittimazione processuale, in questa Rivista, 1992, 184. Da ultimo, M. C. ROMANO, Interessi diffusi e intervento nel procedimento amministrativo, in Foro amm.C.d.S. 2012, 1691 e, più in generale, F. GAFFURI, Contributo allo studio del rapporto procedimentale, Milano 2012. (50) Da ultimo in tal senso Cons. Stato, Sez. VI, 13 settembre 2010, n. 6554 pubblicata con il commento di A. MAESTRONI, Sussidiarietà orizzontale e vicinitas, criteri complementari o alternativi in materia di legittimazione ad agire? in Riv. giur. amb., 2011, 528. Nello stesso senso T.A.R. Liguria, Sez. I, 27 ottobre 2006, n. 3587. (51) Sul valore del principio di sussidiarietà nella tutela degli interessi ambientali P. DURET, Riflessioni sulla legitimatio ad causam in materia ambientale tra partecipazione e sussidiarietà, in questa Rivista, 2008, 688. (52) Si tratta di una questione quanto mai attuale viste alcune recenti pronunce del Consiglio di Stato (Sez. IV, 31 agosto 2010, n. 5898) in tema di pedaggi autostradali, con nota di L. R. PERFETTI e C. CLINI, Class action, interessi diffusi e legittimazione a ricorrere degli enti territoriali nella prospettiva dello statuto costituzionale del cittadino e delle autonomie locali, in questa Rivista, 2011, 1443, I. E. NINO, La legittimazione ad agire degli enti territoriali a difesa degli interessi meta-individuali dei cittadini residenti, pubblicato su www.giustamm.it. Il tema già in passato è stato oggetto di lavori monografici tra cui A. ANGIULI, Interessi collettivi e tutela giurisdizionale: le azioni comunali e surrogatorie, Napoli, 1986. (53) Si esprimono in favore di una simile apertura della legittimazione L. R. PERFETTI e C. CLINI, op. ult. cit. (54) B. DELFINO, Sulla legittimazione processuale delle articolazioni locali di associazioni ambientaliste riconosciute ex art. 13 L. n. 349/1986, in www.giustamm: ricorda i diversi orientamenti del giudice di primo grado e del Consiglio di Stato. (55) F. GOISIS, cit., 117. (56) Si ricordi, ad esempio, la sentenza del T.A.R. Lombardia, Sez. IV, 15 dicembre 2008, n. 5786 (pubblicata con nota critica di A. MAESTRONI, La legittimazione ad agire delle articolazioni territoriali di associazioni individuate ex art. 13 L. 349/1986. Un falso problema: il caso Legambiente Lombardia Onlus, in Riv. giur. amb., 2010, 601) in cui è stata esclusa la legittimazione di Legambiente Lombardia ad impugnare gli atti relativi all'individuazione del tracciato per l'autostrada Brescia-Milano sul presupposto che l'ente in questione non fosse un'associazione di protezione ambientale ai cui all'art. 13 l. n. 346/1989, costituendo, piuttosto, un'articolazione territoriale a base regionale, dunque inadatta a rappresentare interessi ambientali a livello nazionale. (57) In merito Cons. Stato, Sez. V, 22 marzo 2012, n. 1640 nega la legittimazione in capo a due associazioni non riconosciute quanto all'impugnazione di atti costitutivi della VIA per la costruzione di un impianto di termovalorizzazione. Per una nota critica A. MAESTRONI, Accesso alla giustizia, un'occasione mancata, in Riv. giur. amb., 2012, 591. (58) F. G. SCOCA, Tutela dell'ambiente, cit., 507-508. (59) Sul valore che la Convenzione attribuisce alla partecipazione del cittadino e alla condivisione delle scelte amministrative in tema ambientale G. MANFREDI, S. NESPOR, Ambiente e democrazia: un dibattito, in Riv. giur. amb., 2010, 293, con alcune riflessioni quanto al rischio che la democrazia partecipativa si traduca nel governo di una elite e alla incapacità degli strumenti previsti nel Codice dell'ambiente di realizzare un vero dialogo tra amministrazione e cittadino. Sul sistema organizzativo preposto alla tutela dell'ambiente e sulla distribuzione delle competenze F. DE LEONARDIS, Le organizzazioni ambientali come paradigma delle strutture a rete, in Foro amm.-C.d.S. 2006, 273. Infine approfondisce il ruolo della partecipazione E. FASOLI, Associazioni ambientaliste e procedimento amministrativo in Italia alla luce degli obblighi della Convenzione UNECE di Aarhus del 1998, in Riv. giur. amb., 2012, 331. (60) L'art. 9 della Convenzione dispone che « 2. ... ciascuna Parte provvede affinché i membri del pubblico interessato: a) che vantino un interesse sufficiente o in alternativa b) che facciano valere la violazione di un diritto, nei casi in cui il diritto processuale amministrativo di detta Parte esiga tale presupposto abbiano accesso a una procedura di ricorso dinanzi a un organo giurisdizionale e/o ad un altro organo indipendente ed imparziale istituito dalla legge, per contestare la legittimità sostanziale o procedurale di decisioni, atti od omissioni soggetti alle disposizioni dell'articolo 6 e, nei casi previsti dal diritto nazionale e fatto salvo il paragrafo 3, ad altre pertinenti disposizioni della presente convenzione. 3. Ciascuna parte provvede affinché i membri del pubblico che soddisfino i criteri eventualmente previsti dal diritto nazionale possano promuovere procedimenti di natura amministrativa o giurisdizionale per impugnare gli atti o contestare le omissioni dei privati o delle pubbliche autorità compiuti in violazione del diritto ambientale nazionale ». M. MAGRI, Esiste un « terzo pilastro » della Convenzione di Ahrus?, in Quad. cost., 2012, 444, ritiene che persino l'assunto che il diritto ambientale dell'Unione non prenda posizione verso l'actio popularis o sia tendenzialmente contrario a tale istituto dovrebbe farsi più sospettoso e prudente in materia ambientale ... in materia ambientale non esistono interessi dei singoli che non possano accedere alla giustizia, tranne quelli che non introducano genuinamente una controversia. (61) Tale Convenzione prevede, inoltre, un sistema di controllo del rispetto delle disposizione con l'istituzione di un Compliance Committee (in merito M. MACCHIA, La compliance al diritto amministrativo globale: il sistema di controllo della Convenzione di Aarhus, in Riv. trim. dir. pubbl. 2006, 639). Da ultimo tale comitato nel documento “Draft findings and reccomendations of the Compliance Committee with regard to communication ACCC/C/2008/32 concerning compliance by the European Union”, del 14 marzo 2011, ha ritenuto non soddisfacente rispetto alle previsioni della Convenzione l'accesso garantito presso le Corti europee, che, così come esistente, richiede un intervento di compensazione, ad esempio con la previsione di mezzi di riesame amministrativo. (62) C- 25/62 Plaumann & Co v. Commission. Per le critiche alla restrizione all'accesso alla Corte derivante dalla sentenza e l'impatto della nuova disposizione di cui all'art. 263 TFUE si rinvia a B. MARCHETTI, L'impugnazione degli atti normativi da parte dei privati nell'art. 263 TFUE, in Riv. it. dir. pubbl. com. 2010, 1471. (63) Come ricordato da M. ELIANTONIO, Towards an ever dirtier Europe? The restrictive standing of environmental NGOs before the European Courts ad the Aarhus convention, e nella relazione Legittimazione attiva per la tutela ambientale di fronte ai giudici europei e nazionali si vedano, ad esempio, Corte di Giustizia C-407/92 (An Taisce e WWF-UK c. Commissione); Id., 2 aprile 1998, C-321/95 (Stichting Greenpeace Council - Greenpeace International c. Commissione). Ugualmente critico lo scritto di N. DE SADELEER e C. PONCELET, Protection Against Acts Harmful to Human Health and the Environment Adopted by the EU Institutions, in Cambridge Yearbook of European Legal Studies, 2012, 177. (64) C-321/95 P.-Greenpeace and Others v. Commission. (65) Nella sentenza C-263/08 (ove la disciplina dell'accesso alla giustizia, di cui all'art. 10-bis della dir. 85/337, interpretato anche alla luce dell'art. 9, par. 3, della Convenzione, è stata considerata violata dal diritto svedese, laddove associazioni non a carattere nazionale vedessero, per ciò solo, negata la propria legittimazione) e nelle già ricordate sentenze C-240/09 (che stabilisce le disposizioni slovacche in tema di legittimazione vadano interpretate in conformità con l'art. 9 della Convenzione UNECE, sì da permettere ad un'organizzazione ambientale di contestare in giudizio una decisione adottata a seguito di un procedimento amministrativo eventualmente contrario al diritto ambientale dell'Unione) e C-115/09 (in cui la Corte, al punto 41, afferma che l'art. 10-bis della dir. 85/337, interpretato tenendo conto degli obiettivi della convenzione di Aarhus, riconosce alle associazioni per la tutela dell'ambiente il diritto a proporre ricorso in sede giurisdizionale o dinanzi ad un altro organo indipendente e imparziale istituito dalla legge, allo scopo di contestare la legittimità, quanto al merito o alla procedura, delle decisioni o degli atti previsti dallo stesso art. 10-bis, ovvero di progetti ad impatto ambientale; a tale diritto deve conformarsi anche la disciplina processuale tedesca che invece richiede la lesione individuale ai fini della legittimazione), commentate da M. ELIANTONIO in Common Market Law Review 49, 2012, 767 e da F. GOISIS, cit. (66) Cfr. M. ELIANTONIO, op. ult. cit. e N. DE SADELEER e C. PONCELET, op. ult. cit. (67) A. TRAVI, Verso una convergenza di modelli di processo amministrativo?, in Forme e strumenti di tutela nei confronti dei provvedimenti amministrativi nel diritto italiano, comunitario e comparato, a cura di G. FALCON, Padova, 2010, 7. (68) Si veda ad esempio quanto riferisce in merito alla disciplina nelle procedure di evidenza pubblica N. BASSI, Procedure di aggiudicazione degli appalti delle amministrazioni europee e tutela giurisdizionale, in Il sistema della giustizia amministrativa negli appalti pubblici in Europa, Milano 2012, 498. Per una critica sistematica a tale atteggiamento causa di “discriminazione rovesciata” e un richiamo al rispetto dei criteri dell'equivalenza e dell'effettività da parte della Corte si rinvia G. GRECO, Illegittimità comunitaria e pari dignità degli ordinamenti, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2008, 505. (69) Il tema della separazione dei poteri è fondamentale in tutto il diritto amministrativo americano, a partire dalla non delegation doctrine e dalla collocazione nel quadro costituzionale delle Administrative agencies. In merito si rinvia a B. MARCHETTI, Pubblica amministrazione e corti negli Stati Uniti, cit. (70) Cfr. D. SORACE, cit., 619 e la dottrina ivi ricordata, cui si aggiunga MAXWELL L. STEARNS, Standing back from the forest: justiciability and social choice, 83 Cal. L. Rev. 1309 (1995), RICHARD PIERCE JR., Is standing law or politics?, cit., J. H. ADLER, God, gaia, the taxpayer, and the Lorax: standing, justiciability, and separation of powers after Massuchessetts and Hein, cit., e H. ELLIOTT, The functions of standing, 61 Stan. L. Rev. 459 (2008). (71) ANTONIN SCALIA, Standing as an Essential Element of Separation of Power, 17 Suffolk L. Rev. 881 (1983). (72) ADP Association of Data Processors v. Camp, 397 U.S. 150 (1970). (73) 405 U.S. 727 (1972). Nel caso di specie la Corte nega la legittimazione all'associazione Sierra Club stante l'incapacità di mostrare che alcuno dei suoi membri patisse una lesione aestethic environmental or recreational. La mancanza della prova quanto alla lesione porta a concludere che l'associazione vanti un mero ideological interest in evironmental protection come tale privo di tutela giurisdizionale. La sentenza Sierra Club è molto nota per la originale dissenting opinion del giudice Douglas ove scriveva che “Contemporary public concern for protecting nature's ecological equilibrium should lead to the conferral of standing upon environmental objects to sue for their own preservation”. Si uniformano alla decisione della Corte Suprema anche le Corti statali. Ancora da ultimo la Corte Suprema delle Hawaii (Sierra Club v. Department of Transp., 115 Haw. 299, 320, 167 P. 3d 292, 313 (2007)) ha chiaramente statuito “The court will recognize harms to plaintiffs sic environmental interests as injuries that may provide the basis for standing. ... In environmental cases, injuries to recreational and aesthetic interests have been acknowledged as forming the basis for a plaintiff's standing”. (74) SHI-LING HSU, The Identifiability Bias in Environmental Law, 35 Fla. St. U. L. Rev. 433, 466 (2008), E. LONGFELLOW, A New Look at Environmental Standing, 24 Environs Envtl. L. & pol'y 3, Fall 2000, 17. (75) Come si legge al par. 22 della sentenza: The fact that particular environmental interests are shared by the many rather than the few does not make them less deserving of legal protection through the judicial process. But the “injury in fact test” requires more than an injury to a cognizable interest. It requires that the party seeking review be himself among injured. (76) Le funzioni ed il ruolo dell'Agenzia sono oggi oggetto di ripensamento e ridefinizione come si legge nei diversi contributi dedicati al tema nella Harvard Law review vol. 34, 2010. (77) R. KUNDIS CRAIG, Standing in Principles of Constitutional Environmental law, in James R. May, 195-216, American Bar Association 2011. (78) Ricostruisce il fenomeno con ricchi riferimenti alla giurisprudenza in merito K.S. COPLAN, Direct Environmental Standing for Chartered Conservation Corporation, in 12 Duke Env.mental Law & Policy Forum 183 (2001). (79) Tale soluzione si trova confermata nel caso Lujan v. National Wildlife Federation, 497 U.S. 871, del 1990 in cui il giudice Scalia nega la legittimazione dell'associazione posto che due soli suoi membri hanno indicato di aver in passato fruito dei luoghi oggetto dell'autorizzazione all'attività lesiva, né da tale precedente fruizione possono trarsi presunzioni circa l'esistenza di una lesione concreta. (80) 504 U.S. 555 (1992) ove si legge che i tre presupposti (injury in fact, redressability and causation) sono tutti utili all'intento della Corte di assicurare in ogni controversia “that concrete adverseness which sharpens the presentation of issues upon which the Court so largely depends for illumination”. Inoltre ivi si specifica che la lesione, ancorchè non di un legal right ma di un più generale interesse ambientale, deve essere distinct and palpable, concrete and particularized. Commentata da R. JR. PIERCE Standing as a Judicially imposed Limit on Legislative Power, 42 Duke L.J. 1170 (1993). (81) Per mera curiosità, si trattava di progetti per l'avvistamento del leopardo asiatico in Sri Lanka e del coccodrillo del Nilo in Egitto. (82) In merito ad esempio Basel Action Network v. Maritime Admin., 370 F. Supp. 2d 57 (D.D.C. 2005). (83) L'inaccessibilità del rimedio risarcitorio per il cittadino legittimato dallo statuto non può non richiamare alla mente la disciplina della c.d. Class action pubblica, introdotta in Italia con il d.lgs. n. 198/2009 (in merito F. CINTIOLI, Note sulla c.d. class action amministrativa sul sito www.giustamm.it, A. BARTOLINI, La class action nei confronti della p.a. tra favole e realtà, in Il lavoro nelle PA, 2009, 953, F. MARTINES, L'azione di classe del D.Lgs. 198/2009: un'opportunità per la pubblica amministrazione? in www.giustamm.it, C.E. GALLO, La class action nei confronti della pubblica amministrazione, in Urb. app., 2010, 501, C. TUBERTINI, La prima applicazione della class action amministrativa, in Giorn. dir. amm., 2011, 862 e F. PATRONI GRIFFI, Class action e ricorso per l'efficienza dell'amministrazione e dei concessionari pubblici, in www.federalismi.it), che ha avuto un innesto indolore proprio stante l'assenza di conseguenze risarcitorie in capo all'Amministrazione. L'ambito di applicazione assai più limitato — posto che si prevede la serialità della controversia e la finalità del giudizio a “... ripristinare il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio” ovvero l'inerzia dell'amministrazione rispetto all'adozione di atti generali — implica l'impraticabilità del rimedio per le associazioni ambientali, posto che si parla di “utenti e consumatori”, e spiega la scarsa appetibilità dello strumento, che, infatti, ad oggi ha trovato rara applicazione in giurisprudenza. Si ricordi il caso pressoché unico delle c.d. classi pollaio di cui alla decisione Cons. Stato, Sez. VI, 9 giugno 2011, n. 3512. (84) Michigan Citizens for Water Conservation v. Nestle Waters North America, 479 Mich. 280, 737 N.W.2d 447 (2007). (85) Save the Pine Bush, Inc. v. Common Council of City of Albany, 13 N.Y.3d 297, 890 N.Y.S.2d 405, 918 N.E.2d 917, 922 (2009). (86) Lujan v. National Wildlife Generation, 487 U.S. 871 (1990). (87) International Union, UAW v. Brock, 477 U.S. 274 (1986). (88) 523 U.S. 83 (1998). (89) In merito J. G. MILLER Environmental Law Institute: Citizen suits: private enforcement of federal pollution control Laws 1987 e C. STUBBS, Is the Environmental Citizen Suit Dead? An Examination of the Erosion of Standards of Justiciability for Environmental Citizen Suits, 26 N.Y.U. Rev. L. & Soc. Change 77, 104 (2000). (90) In base all'art. 35 del d.l. n. 201/2011, convertito con la l. n. 214/2011. (91) Il dibattito verte intorno alla qualificazione della posizione fatta valere dell'Autorità posto che vi è chi (come M. A. SANDULLI, Introduzione ad un dibattito sul nuovo potere di legittimazione al ricorso dell'AGCM nell'art. 21-bis L. n. 287 del 1990, in www.federalismi.it o R. GIOVAGNOLI, Atti amministrativi e tutela della concorrenza. Il potere di legittimazione a ricorrere dell'AGCM nell'art. 21-bis legge n. 287/1990 in www.giustamm.it) sostiene che l'interesse al rispetto della concorrenza sia qualificato come un interesse legittimo nella sfera giuridica dell'Autorità medesima, che diverrebbe così una specie di ente esponenziale di un interesse collettivo. Diversamente F. CINTIOLI (Osservazioni sul ricorso giurisdizionale dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato (art. 21-bis della legge n. 287 del 1990) in www.giustamm.it) sostiene che la norma configuri un'ipotesi di giurisdizione oggettiva, in base alla quale l'AGCM agisce nell'interesse generale al rispetto della regole della concorrenza e solleva in merito dubbi di legittimità costituzionale posto che l'art. 103 Cost. ammette la giurisdizione del giudice amministrativo solo a tutela di situazioni giuridiche soggettive. (92) Come si precisa nella già ricordata Defenders of Wildlife. (93) Elk Grove Unified School Dist. V. Newdow, 542 U.S. 1 (2004). (94) In tale senso, criticamente, C. BARNUM, Injury in Fact, Then and Now (adn Never Again): Summers v. Earth Island Institute and the Need for Change in Environmental Standing Law, 17 Mo. Envtl. L. & Pol'y Rev. 1. (95) Per alcune riflessioni comparate in merito non si può che rinviare a G. MORBIDELLI, Il principio di legalità e i c.d. poteri impliciti, in Dir. amm., 2007, 703. (96) Si rinvia in merito alla precisa ricostruzione di B. MARCHETTI, cit. (97) Nella decisione Defenders of wildlife si legge infatti che there is much truth to the assertion that “procedural rights” are special: The person who has been accorded a procedural right to protect his concrete interest can assert that right without meeting all the normal standards for redressability and immediacy”. (98) In via generale Federal Election Comm'n v. Akins, 524 U.S. 11, 23-25 (1998), con speciale riferimento ai procedimenti ambientali Bensman v. U.S. Forest Serv., 408 F. 3d 945, 955-956 (7thCirc 2005). (99) Friends of Earth vs. Laidlaw Envtl. Servs, 528 U.S. 167 (2000). Per un commento critico D. N. CASSUTO, The Law of Words: Standing, Environment and other Contested Terms, in 28 Harvard Env.mental Law Rev. 79 (2004) ove si afferma l'insensatezza di richiedere una lesione personale in capo al ricorrente, anziché una lesione ambientale, e si tenta di costruire una ragionevole teoria della legittimazione sul presupposto che laddove si verifichi una violazione di uno statuto, che riconosca la legittimazione al cittadino, tale legittimazione non vada misurata sul singolo, ma invece sul danno che la violazione provoca alla società e all'ordinamento giuridico. (100) 549 U.S. 497 (2007). (101) In particolare nella decisione Friends of the Earth, Inc. v. Gaston Copper Recycling Corp., 204 F. 3d 149, 159 (4 th Circ. 2000) si legge che “Threats or increased risk...constitutes cognizable harm. Threatened environmental injury is by nature probabilistic....by producing evidence that Gaston Copper is polluting Shealy's nearby water source, CLEAN (Citizens Local Environmental Action Network) has shown an increased risk to its member's downstream uses. This threatened injury is sufficient to provide injury in fact.”. (102) Natural Resources Defense Council v. Envtl. Prot. Agency, 464 F. 3d 1, 6 (D.C. Circ. 2006). (103) At bottom, the gist of the question of standing is whether petitioners have such a personal stake in the outcome of the controversy as to assure that concrete adverseness which sharpens the presentation of issues upon which a court so largely depends for illumination. While it does not matter how many persons have been injured by the challenged action, the party bringing suit must show that the action injures him in a concrete and personal way. This requirement is not just an empty formality. It preserves the vitality of the adversarial process by assuring both that the parties before the court have an actual, as opposed to professed, stake in the outcome, and that the legal questions presented will be resolved, not in the rarified atmosphere of a debating society, but in a concrete factual context conducive to a realistic appreciation of the consequences of judicial action. [HN8] Where a harm is concrete, though widely shared, the U.S. Supreme Court finds injury in fact for standing purposes. [HN9] A plaintiff satisfies the redressability requirement of standing when he shows that a favorable decision will relieve a discrete injury to himself. He need not show that a favorable decision will relieve his every injury. [HN10] The more drastic the injury that government action makes more likely, the lesser the increment in probability to establish standing. Even a small probability of injury is sufficient to create a case or controversy — to take a suit out of the category of the hypothetical--provided of course that the relief sought would, if granted, reduce the probability. (104) La Corte sottolinea che “the harms associated with global climate change are serious and well-recognized”. Nelle dissenting opinions si legge, però, che manca la prova dell'attualità ed imminenza della lesione posto che i dibattiti e le previsioni scientifiche non provano il livello dei mari continuerà con certezza ad alzarsi, né quale sia l'innalzamento legato all'emissione dei gas in atmosfera. Nel merito, si ricordi, però, la Corte non ravvisa in base alle previsioni del Clean air act l'esistenza di un obbligo in capo a EPA all'adozione della regolazione. (105) BARDFORD MANK, Should States Have Greater Standing Rights Than ordinary Citizens”: Massachussets v. EPA'S New Standing Test for States, 49 WM.& Mary L. Rev. 1701 (2008). (106) Connetictut v. Amer. Elec. Power Co., 582 F. 3d at 349. (107) Ctr. For Biological Diversity v. U.S. Dept. of the interior, 563, F 3d 466 (D:C: Circ. 2009) e Coal. For a Sustinaible Delat v. Carson, 2008 WL 2899725 (2008). (108) Summers v. Heart Island Institute, 129 S. Ct. 1142 (2009), commentata da M. BANDA, 34 Harv. Envtl. L. Rev. 321 (2010). (109) C. BARNUM, Injury in Fact, Then and Now (and Never Again), cit. (110) Save the Plastic Bag Coalition v. City of Manhattan Beach, 52 Cal. 4th 155, 127 Cal. Rptr. 3d 710, 254 P.3d 1005, 1011-12 (2011). (111) “Where the question is one of public right and the object of the mandamus is to procure the enforcement of a public duty, the [petitioner] need not show that he has any legal or special interest in the result, sine it is sufficient that he is interested as a citizen in having the laws executed and the duty in question enforced.” This “public right/public duty' exception to the requirement of beneficial interest for a writ of mandate” “promotes the policy of guaranteeing citizens the opportunity to ensure that no governmental body impairs or defeats the purpose of legislation establishing a public right.” (Green v. Obledo, supra, 29 Cal. 3d at pp. 145, 144, 172 Cal. Rptr. 206, 624 P.2d 256; see also Environmental Protection Information Center v. California Dept. of Forestry & Fire Protection (2008) 44 Cal. 4th 459, 479, 80 Cal.Rptr.3d 28, 187 P.3d 888.) In tutti questi casi si parla di “public interest standing.” (Cfr. Dix v. Superior Court (1991) 53 Cal.3d 442, 453, 279 Cal. Rptr. 834, 807 P.2d 1063.) (112) In base alla quale il Presidente ha il compito di take care that the Laws be faithfully executed. (113) J. GIBBS PLEUNE, Is Scalian Standing the Latest Sighting of the Lochner-ess monster?: using Global Warming to Explore the Myth of the Corporate Person, 38 Envtl. L. 273 (2008). (114) A. FRIGNANI e P. VIRANO, Le class-actions nel diritto statunitense: tentativi (non sempre riusciti) di trapianti in altri ordinamenti, in Dir. eco. ass. 2009, 5. (115) D. SORACE, cit., 628-629. (116) In proposito A. POLICE, Il giudice amministrativo e l'ambiente: giurisdizione oggettiva e soggettiva?, cit., qui 308, esclude con assoluta sicurezza la giurisdizione oggettiva del giudice amministrativo nel vigente quadro costituzionale e ritiene perciò che in linea generale il giudice amministrativo abbia giurisdizione su questioni ambientali soltanto nel caso in cui davanti a lui si invochi la tutela di situazioni giuridiche di interesse legittimo, cui si aggiungono i diritti, di cui, in tutti i casi in cui i beni e gli interessi ambientali sono in qualche modo riconducibili all'uso e al governo del territorio, conoscerà in sede di giurisdizione esclusiva. (117) Ciò almeno nell'intento del legislatore, che non sempre ha trovato poi applicazione concreta, come emerge dai rilievi contenuti in Gli interessi diffusi e la legittimazione ad agire delle associazioni ambientalistiche, cit., 444 ss., ove, analizzando l'elenco ministeriale si rileva la presenza di soggetti che tutelano l'ambiente solo con scopi limitati (es. protezione della montagna, come la Società Speleologica Italiana, diffusione di una certa cultura come l'Associazione Italiana Insegnanti di Geografia, o incentivazione di particolari forme di turismo, come Agriturist) o nemmeno si conciliano con la protezione dell'ambiente (come la protezione di certe forme di attività venatoria e piscatoria in capo alla Federazione italiana pesca sportiva ed attività subacquee o come la protezione dei consumatori in capo al Codacons). (118) Come già precisava E. CANNADA BARTOLI, Principio soggettivo nel processo amministrativo e legittimazione a ricorrere, in Foro amm., 1963, I, 332 e 335. (119) JOSEPH L. SAX, Defending the Environment. A Strategy for Citizen Action, New York 1971. (120) Dottrina di recente ripresa da J. GIBBS PLEUNE, Is Scalian Standing the Latest Sighting or the Lochner-ess monster?, cit. (121) Contrariamente a quanto prospettato dalla dottrina: di recente C. CUDIA, Gli interessi plurisoggettivi tra diritto e processo amministrativo, cit. (122) GITANJALI NAIN GILL, Human rights and the environment in India: access through public interest litigation, in Env. L. Rev. 2012, 14(3), 200-218. (123) Corte Europea dei diritti umani, 9 giugno 2005, caso Fadeyeva c. Russia, in cui è stata riconosciuta la violazione dell'art. 8 della Carta, ovvero del diritto della ricorrente a godere di una casa e di una vita privata in un ambiente non irrimediabilmente inquinato, non avendo la Russia attuato alcuna misura idonea permettere il trasferimento della ricorrente in una zona non avvelenata dalle residui industriali dell'attività produttiva autorizzata. (124) C. CUDIA, Gli interessi plurisoggettivi, cit., 198. (125) Come già riferiva A. ROMANO, Il giudice amministrativo di fronte al problema della tutela degli interessi c.d. diffusi, in Foro it. 1978, V, 8, col. 15. (126) La dimensione oggettiva della norma nel processo amministrativo è valorizzata, come noto, attraverso il concetto di norma di azione elaborato da E. GUICCIARDI, La giustizia amministrativa, Padova 1957. Favorevole anche alla ricostruzione oggettiva del giudizio amministrativo, come immaginato nel lavoro del legislatore, è A. ROMANO nella monografia Giurisdizione amministrativa e limiti della giurisdizione ordinaria, Milano 1975. (127) M. NIGRO, Problemi veri o falsi della giustizia amministrativa dopo la legge sui tribunali regionali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1972, 1827. (128) Diversamente C. CUDIA, Gli interessi plurisoggettivi, cit., 277-278, che precisa che “L'azione popolare è una normale azione a tutela di un diritto, con la particolarità che tale azione spetta al cittadino in quanto tale. Essa quindi non ha per fine l'attuazione del diritto obiettivo e la miglior salvaguardia della sfera giuridica dell'amministrazione, ma vale ad arricchire di nuove posizioni sostanziali il patrimonio giuridico del cittadino. La specificità consiste nella condizione in cui si trova il soggetto, che è comunque titolare di un interesse”. E più avanti (288) precisa che anche le azioni di classe si armonizzano con il modello soggettivo di tutela e insieme allargano lo spettro delle situazioni giuridicamente rilevanti a livello individuale, facendo sì che una serie di comportamenti dell'amministrazione diventi oggetto di pretese giuridiche. (129) Ugualmente non si condivide l'atteggiamento del giudice amministrativo che in tema di associazioni a tutela dei consumatori e degli utenti (nella sentenza Cons. Stato, Ad. plen., 11 gennaio 2007, n. 1 nonché in Cons. Stato, Sez. VI, 3 febbraio 2005, n. 280, ivi richiamata), pur escludendo che le associazioni siano litisconsorti necessari nel caso di azioni aventi ad oggetto atti o provvedimenti amministrativi recanti disposizioni in ipotesi favorevoli ai consumatori e agli utenti e negando l'ammissibilità dell'appello promosso da un'associazione che non ha partecipato al giudizio di primo grado, sembra riconoscer loro una funzione di tutela al fine di contribuire a correggere o eliminare effetti dannosi e di vigilanza su condotte o attività potenzialmente lesive di consumatori o utenti. Criticamente in commento alla Adunanza Plenaria (che riguardava una delibera dell'AEEG sul meccanismo di indicizzazione delle tariffe per la fornitura del gas naturale ai clienti finali del mercato vincolato) G. BACOSI, Ad. plen. n. 1 del 2007. Gli interessi diffusi trasfigurano in interessi collettivi ... o in interessi pubblici... in www.giustizia-amministrativa.it. (130) Nella sentenza del Cons. Stato, Sez. IV, 13 novembre 2012, n. 5715, ove, in base a tale motivazione, si nega la legittimazione di Italia Nostra all'impugnazione di alcune NTA del PRG del Comune di Pavia e delle deliberazioni del Piano Attuativo. (131) Viene citato C.g.a.r.s., 16 ottobre 2012, n. 933. (132) Sul valore dell'art. 3-quater del Codice dell'ambiente si rinvia a F. FRACCHIA, Il principio dello sviluppo sostenibile, in Studi sui principi del diritto amministrativo, Milano, 2012, 433, spec. 448 ss. (133) In merito F. FRACCHIA (“Codification” and the Environment, in Italian Journal of Public Law, 2009, 1) sottolinea il valore che alla tutela dell'ambiente si attribuisce nel d.lgs. n. 152 del 2006 e ne ricava una nuova prospettiva in cui si ragioni nel senso di doveri di rispetto degli interessi ambientali, piuttosto che di diritti in capo ai singoli. In senso analogo The Legal Definition of Environment: From Right to Duties, in ICFAI Journal of Environmental Law (IJEL), 2006, 17. (134) Così già indicava F. G. SCOCA, Tutela dell'ambiente: la difforme utilizzazione della categoria dell'interesse diffuso da parte dei giudici amministrativo, civile e contabile, cit. (135) Si pensi solo ai procedimenti per il rilascio delle autorizzazioni energetiche. (136) Non si vuole certo alludere ad una partecipazione collaborativa, i cui difetti e limiti sono stati messi in luce da tempo proprio nel sistema e dalla dottrina statunitense, ma ad una partecipazione utile ad evidenziare gli eventuali conflitti, così da risolverli attraverso l'efficiente azione amministrativa e politica in un procedimento che davvero operi una composizione di interessi, evitando il successivo giudizio. Secondo l'insegnamento di M. NIGRO, Il nodo della partecipazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1980, 225, spec. 233 ss., infatti, la partecipazione incondizionata degli interessi diffusi equivale “alla prevalenza definitiva della società sullo stato e quindi alla morte di questo”, sicché occorre censire le legittimazioni procedimentali materia per materia, settore per settore, “saggiandosi ad ogni momento la compatibilità della penetrazione con la solidità delle strutture”.