RICORDANDO SERGIO NOJA Non è agevole delineare una figura complessa come quella dell’amico e collega Sergio Noja, perito in un tragico incidente nel 2008 proprio quando con la sua Fondazione stava portando avanti un progetto di grande rilevanza scientifica e culturale: l’edizione dei più antichi codici coranici. Molti sono stati infatti i suoi interessi, molte le sue iniziative. Quello che si percepiva costantemente parlando con lui – e si percepisce ancor oggi rileggendo le sue opere – era l’entusiasmo e la curiosità con cui affrontava ogni cosa, il suo senso dello humour, un atteggiamento positivo improntato a pragmatismo che derivava anche dalla sua esperienza di dirigente d’azienda. A tutto ciò si accompagna il costante desiderio di associare a una ricerca strettamente scientifica un’opera di alta divulgazione rivolta al lettore non specialista, grazie a un linguaggio diretto e accattivante. Si definiva, confrontando il suo approccio all’arabo con quello dell’amico Paolo Minganti, come uno che vi si era accostato come a qualcosa “in più” rispetto al proprio impegno professionale 1. Ma l’affermazione sembra decisamente modesta, pensando alle sue molteplici iniziative editoriali, ai risultati scientifici ottenuti, al suo insegnamento di Diritto musulmano all’Università di Torino e quindi di Lingua e letteratura araba alla Cattolica di Milano. Qualche anno fa, in una nota presentata all’Istituto Lombardo, Sergio Noja raccontò che la sua passione per l’Oriente era nata dalla lettura giovanile de Il Jemen di Renzo Manzoni (1884), e aggiungeva: Proseguendo su questa strada nella biblioteca di famiglia arrivai a conoscere lo Yemen in molti dettagli dopo essere passato dalla grammatica del Guidi alle opere di Conti Rossini avendo poi la fortuna di accasarmi, in una fortunata paternità scientifica, con Giovanni Galbiati al cui posto, più o meno, seggo oggi in questa Accademia 2. Il fascino esercitato da quelle letture resterà sempre assai vivo nelle sue ricerche sullo Yemen e sull’antica Arabia. Al tempo stesso, come ha sottolineato Francesco Gabrieli, «dal suo maestro milanese Galbiati [egli] ha ereditato l’interesse per gli aspetti soprattutto religiosi, giuridici, istituzionali dell’Islàm e del Cristianesimo d’Oriente». E non è certamente un caso se nella copertina della parte araba dei Precetti e canoni giuridico-morali per arabi cristiani (Milano 1964) figura sotto il nome di Galbiati quello di Sergio Noja, accompagnato da un reverente tilmīḏuhu, “il suo allievo”, indicazione che manca nella copertina italiana del volume. I Samaritani e i loro precetti giuridico-religiosi sono stati oggetto di numerosi saggi negli «Annali» dell’Istituto Universitario Orientale di Napoli (ora Università “L’Orientale”), coronati dall’edizione del Kitāb al-Kafī nel 1970 con presentazione dello stesso Prefetto dell’Ambrosiana Monsignor Galbiati. Successivamente le sue ricerche si sono indirizzate soprattutto verso gli Arabi preislamici, il Corano e il primo Islām, ma non sono mancati importanti studi arabo-cristiani, come quello sul Vangelo apocrifo di Tommaso 3 e soprattutto la traduzione delle omelie arabe sulla Natività, in una splendida edizione pubblicata con Pier Francesco Fumagalli per il Giubileo del 2000. Si tratta di testi tradotti dal greco al siriaco un millennio fa e quindi resi in versione araba, contenuti nel codice Ambr. Ar. X 198 sup. proveniente dal Monastero di S. Caterina nel Sinai. È significativo, per capire il personaggio, quanto Sergio Noja scrive nella sua introduzione sull’interrogativo che si era posto affrontando questi testi: come tradurli? Dopo «qualche esitazione e vari tentativi» la scelta era caduta su una traduzione molto libera, «con l’uso di aggettivi talvolta non presenti nel testo». E questo per due ragioni: la prima, «perché il voltaggio e il wattaggio» [riferimento allo scorrere della corrente elettrica: deformazione professionale o provocazione verso il grigio linguaggio accademico?] della trasmissione di questi testi alla comunità e la loro ricezione è legata a sentimenti che 1 S. Noja, Quando muore un amico, «Oriente Moderno», LX, 1980 [Studi in memoria di Paolo Minganti], p. 5. Paolo Minganti, ha insegnato alle Università di Torino (Diritto musulmano) e di Cagliari (Storia e Istituzioni musulmane) prima di venire chiamato all’Università di Roma a ricoprire la cattedra di Lingua e letteratura Araba al pensionamento di Francesco Gabrieli (1974). Ogni volta che Sergio Noja veniva a Roma si recava all’Istituto per l’Oriente per incontrarlo (Minganti dirigeva allora «Oriente Moderno»), avendo con lui lunghe conversazioni su argomenti scientifici relativi al mondo arabo, ma anche sullo stato della cultura e della società nel nostro paese. Noja condivideva con Minganti il costante desiderio di «fare qualcosa per gli altri». 2 La mia visita a Sanaa e il Corano palinsesto, «Rendiconti [della] Classe di Lettere e Scienze Morali e Storiche», Istituto Lombardo, Accademia di Scienze e Lettere» [= «Istituto Lombardo (Rend. Lett.)»], CXXXVII, 2003, pp. 43-45. 3 L’Évangile apocryphe de Thomas de la Biblioteca Ambrosiana de Milan (G 11 sup.), in A. VIVIAN (ed.), Biblische und judaitische Studien, Festschrift für Paolo Sacchi, Frankfurt/M., 1990, pp. 681-690; À propos du texte arabe d’un Évangile apocriphe de Thomas de la Ambrosiana de Milan”, in B. SCARCIA AMORETTI – L. ROSTAGNO (eds.), Yād-Nāma in memoria di Alessandro Bausani, Roma, Bardi Editore, 1991, I, pp. 335-341. inevitabilmente mutano nel corso del tempo; la seconda perché questi documenti meritano in futuro una accurata rivisitazione in un’edizione accompagnata da pieno apparato critico. Sergio Noja non esita ad aggiungere osservazioni e confronti («in partibus infidelium») con il flusso del Corano al tempo della rivelazione, ricco di riferimenti a storie appena accennate perché già familiari agli ascoltatori.4 La passione per le lingue orientali spinge Sergio Noja a occuparsi del fondo di manoscritti della Biblioteca Nazionale di Torino, tanto che nel 1974 ne aveva pubblicato un prezioso catalogo 5. La lingua araba e forse anche un misterioso fascino esercitato dalla vita degli arabi nelle sue espressioni arcaiche (la suggestione ottocentesca che la Penisola Arabica sia stata la culla delle genti semitiche – pur superata dalla ricerca scientifica – non è forse del tutto spenta…), porta progressivamente Sergio Noja a rivolgere i suoi interessi verso questo campo di ricerca. Ne è conferma una ricca bibliografia, che qui è possibile ricordare solo per sommi capi. In pochi anni, dal 1976 al 1982, abbiamo opere significative quali Maometto profeta dell’Islàm; ll Corano più antico; l’edizione italiana della Vita di Maometto di Tabari; 6 Detti e fatti del profeta dell’Islam raccolti da al-Buḫārī, dedicato all’amico Paolo Minganti. La figura di Muḥammad viene inquadrata nel momento storico e culturale del tempo, dando rilievo non solo alla sua persona e alla sua missione, ma anche alla gente verso la quale il messaggio era rivolto e all’ambiente geografico e sociale in cui questi avvenimenti trovavano svolgimento. Mi sembra significativo citare quanto Sergio Noja scrive nell’Introduzione, illustrando gli obiettivi della sua ricerca: … Ho voluto condurre il lettore verso Maometto attraverso una sintesi di tutta l’Arabia preislamica, passo per passo, facendogli apparire le idee correnti allora (le strutture sociali, le cariche pubbliche, i nomi delle divinità, e così via) per mezzo di una scelta d’epigrafi e di brani poetici: tale scelta dovrebbe permettergli d’assorbire tutto questo patrimonio e d’averlo presente in seguito, quando vedrà le varie componenti di esso o combattute o recepite, in modi diversi, da Maometto. 7 Maometto profeta dell’Islàm rivela una tendenza costante in tutta la sua opera, quella di illustrare i fenomeni storico-culturali all’interno di un processo dinamico fatto di continuità e di innovazione, di accettazione (più o meno consapevole) o di rottura. In tale senso possono venir letti alcuni suoi saggi successivi, contributi che portano nuova luce su aspetti specifici degli studi arabistici e islamistici. Penso in particolare ai “cavalli alati” della giovane moglie del profeta ‘Ā’iša, al vestito del pellegrino, all’interpretazione di un verso di Imru’ al-Qays, al problema del velo8. Il Corano più antico 9 presenta una trentina di sure coraniche e rientra nel tentativo di collocare in una dimensione cronologia il libro sacro, sulla base di quanto gli stessi esegeti musulmani hanno riportato nei loro studi. Come è noto, le rivelazioni figurano non su base cronologica, ma in ordine di lunghezza decrescente dei vari capitoli (eccetto il primo, la Fātiḥa), talvolta essi stessi espressione al loro interno di momenti diversi. Il che non turba affatto il musulmano, nonostante quello che Sergio Noja giudica «lo sconvolgente ordine di presentazione del testo»10. Anche in questo caso una rivelatrice Nota bibliografica sulla composizione e la struttura del Corano, con cui si chiude il volume, mostra come l’atteggiamento del curatore resti sensibile ai risultati della critica storico-filologica occidentale, ma dando un giusto risalto alla Arabic Homilies on the Nativity / Mawā‘iẓ fī mīlād al-Sayyid al-Masīḥ, trad. S. NOJA NOSEDA, P.F. FUMAGALLI (ed.), Arbizzano, Stamperia Valdonega, 2000, p. 20. Il volume riporta la riproduzione fotografica di Ar. X 198 sup. e altri documenti dell’Ambrosiana. 5 Catalogo dei manoscritti orientali della Biblioteca Nazionale di Torino, 1. Manoscritti arabi, persiani e turchi, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1974. 6 Milano 1982. La pubblicazione della grande opera storica di al-Ṭabarī, basata sulla versione persiana di Bel’ami e tradotta in francese nel 1867-1874 da H. Zotemberg, continua con I profeti e i re. Una storia del mondo dalla creazione a Gesù, curata da Noja, Parma, Guanda, 1993. 7 S. NOJA, Maometto profeta dell’Islam, Fossano, Editrice Esperienze, 1976, pp. 13-14. 8 S. NOJA, Les chevaux ailés de ‘Ā’išah – Diex soit satisfait avec elle – et les banāt, «Annali [dell’] Istituto Universitario Orientale di Napoli» [= «AIUON»], XLIII, 1983, pp. 33-44;Une hypothèse sur l’origine du vetement du Muḥrim, «AIUON», XLV, 1985, pp405-408; Une petite retouche à une traduction courante d’Imru’ al-Qays, «Rivista degli Studi Orientali», LXII, 1988, pp. 1-5, in base ai bastoncini di palma con iscrizioni sudarabiche recentemente rinvenuti; Alcune testimonianze epigrafiche e l’inesistenza di una disposizione coranica in materia di velo sul volto, «Istituto Lombardo (Rend. Lett.)», CXXXVII, 2003, pp. 427-437. 9 Pubblicato dalla Stamperia di A. Tallone (Alpignano 1977), in una pregiata edizione per bibliofili. L’opera è stata successivamente riproposta presso l’ed. Marsilio (Venezia 1991) nella collana Le Sabbie diretta dallo stesso Noja. 10 Sono illuminanti le osservazioni sul “Corano arabo” di Francesco Gabrieli: «… Resterà sempre uno iato non logicamente colmabile fra la più scaltrita comprensione storica e l’effettiva fortuna del Corano nel mondo da esso dominato; un intervallo d’ombra, dinanzi cui chi scrive queste righe e parla di proprie esperienze s’inchina come a un mistero» (Storia della letteratura araba, Milano, Nuova Accademia Editrice, 1962, pp. 81-82). 4 tradizione musulmana; quasi rovesciando – confrontandosi con le tradizioni e le leggende orientali – «il consiglio di Cartesio a tener quasi per falso tutto ciò che non sia soltanto verosimile» 11. Dopo lo studio della vita del profeta e della parte più antica del Corano non poteva mancare una particolare attenzione per i Detti e fatti del profeta dell’Islām. Sergio Noja esamina nella sua copiosa introduzione con fine competenza di storico e di giurista gli aspetti legali e tecnici del ḥadīṯ, esempio di comportamento e fonte del diritto secondo solo al Corano, in base alla più autorevole raccolta, al-Ǧāmi‘ alṣaḥīḥ di al-Buḫārī. Davanti alla critica pungente di un Goldziher o uno Schacht, egli affronta il problema dell’autenticità di queste tradizioni con un atteggiamento aperto e consapevole della natura umana. Tanto da così concludere la sua Introduzione: L’Islām è quello che è. Generazioni di esegeti e giuristi hanno fondato la loro dottrina su queste parole, dopo averle profondamente e onestamente esaminate e, a torto o a ragione, averle considerate autentiche. L’Islām si regge sul consenso della comunità e, se la comunità è d’accordo, questa è la verità. 12 Certo Islām non significa solo arabi, anche se nella loro lingua sono stati scritti i testi fondanti. Siamo in tempi di guerre e di “scontri di civilità”, e così Sergio Noja decide di rivolgersi al grande pubblico per una corretta informazione con una ambiziosa Storia dei popoli dell’Islam, edita da Mondadori nella collana Oscar storia. 13 Contemporaneamente, egli cura il “Corpus arabo islamico” una collana di classici dell’islamismo aperta alla letteratura, con testo arabo a fronte, edita dalla Marietti, su iniziativa della Finmeccanica. Ma la sua grande passione rimane pur sempre l’Arabia antica. Sergio Noja porta avanti un grande progetto multidisciplinare, che si avvale di vari specialisti quali Bruno Chiesa e Giovanni Garbini, e nel 1994 pubblica I primi arabi, con prefazione di Francesco Gabrieli. Si tratta di un’opera di grande prestigio, con ricca iconografia, che spazia dalla preistoria e protostoria della Penisola Arabica all’economia preislamica. Egli si riserva due sezioni fondamentali (e a lui congeniali): L’Arabia sedentaria e nomade e Le scritture dell’Arabia. Il profilo che traccia mette in evidenza le caratteristiche fisiche del territorio, la civiltà sedentaria di Mecca e Medina confrontata con la vita beduina, l’importanza della poesia preislamica per la conoscenza dell’Arabia antica (molti sono i poeti citati, da Imru’ al-Qays a Šanfarā), la struttura sociale e il ruolo del sayyid quale capo della tribù, la tenda-abitazione dei nomadi, gli esseri superiori e i luoghi sacri e «la vaga idea di un Dio supremo», le grandi scoperte archeologiche e in particolare al-Fau. Questi e molti altri sono gli argomenti esaminati, tanto che questa parte centrale del volume costituisce nel suo insieme quasi una organica monografia. Il taglio storico sembra prevalere nelle sue ricerche, ma molteplici sono le fonti su cui si basa: quanto scrive a proposito della poesia e del poeta rivela come fosse sensibile alle antiche odi arabe, conosciute e apprezzate soprattutto grazie alle traduzioni di Francesco Gabrieli e Paolo Minganti: La fonte più ricca di notizie relative a questo mondo, sino all’esplorazione archeologica tuttora agli inizi, è sempre stata la poesia araba, sia quella preislamica sia quella dei poeti musulmani dei secoli seguenti, i quali spesso e volentieri rimpiangevano – con la sola eccezione del paganesimo soppiantato dall’Islàm – gli usi e le virtù dell’Arabia antica. È questa la forma d’arte nella quale gli arabi esprimevano da sempre il meglio del loro genio linguistico e nei secoli rimase vivo il detto “la poesia è l’archivio degli arabi”. […] Il termine arabo che designa il poeta sta ad indicare “colui che sa più degli altri” e soprattutto colui che la lancia la maledizione contro i nemici. Questa era la funzione essenziali degli antichi poeti: l’esito della guerra e la vittoria dipendevano da essa almeno quanto la bravura dei combattenti. 14 11 Noja rinuncia deliberatamente a discorsi sullo stile del Corano o a discussioni di carattere estetico, limitandosi a segnalare, per quanto riguarda le prime sure, «la forza di quelle realtà così vive, di quei gridi “per le puledre selvagge”, “per il sole e per la luna”, “per il pomeriggio”» che colpiscono per la loro bellezza. Egli sembra molto lontano dalle speculazioni revisioniste di un J. Wansbrough, che pongono la compilazione del Corano alcuni secoli più tardi, occupato com’è allo studio delle prime rivelazioni e delle più antiche attestazioni scritte che ci sono giunte. 12 Detti e fatti del profeta dell’Islām raccolti da al-Buḫārī, a cura di V. VACCA, S. NOJA e M. VALLARO, Torino, UTET, 1982, p. 38 dell’Introduzione. 13 Tra il 1990 e 1994 sono stati pubblicati: I. Maometto Profeta dell’Islàm; II L’Islàm dell’espansione. Dalla morte del Profeta all’invasione mongola; III. L’Islàm dell’immobilismo. Dalla caduta di Baghdad allo sbarco di Napoleone in Egitto, 1258-1798; L’Islàm moderno. Dalla conquista napoleonica dell’Egitto al ritiro dell’Armata Rossa dall’Afghanistan (aggiornato in 2. ed. alla tragedia dell’11 settembre e alla caduta di Baghdad). 14 L’Arabia sedentaria e nomade, in I primi arabi, a cura di S. NOJA, Milano, Jaca Book, 1994, p. 28. Le tradizioni arabe antiche appassionavano molto Sergio Noja. Ricordo che nei nostri incontri si parlava spesso di leggende yemenite: era curioso di sapere se La conclusione di questo esteso capitolo sulla Ǧāhiliyya araba è lapidaria: «Mentre tutto ciò accadeva, Maometto nasceva alla Mecca». Sergio Noja era anche un appassionato indagatore delle antiche scritture semitiche 15, dell’alfabeto e del significato dell’ordine delle lettere, e sembra aver fatto propria la suggestiva ipotesi di Alessandro Bausani su una associazione tra i movimenti della volta stellata e il calendario arcaico 16. «Al di là di ogni altra coincidenza – scrive Noja –, rimane viva e vitale una sua prima osservazione, legata all’alfa e omega dell’Apocalisse, il senso dell’eternità, del ciclo della vita all’interno della creazione che la serie alfabetica suscitava nel Vicino Oriente». E così conclude, citando Dante (Par. XXXIII, 144-145): «Più probabilmente si trattava di simboli del fluire della vita, dell’amore degli dei per l’uomo, del ruotare delle stagioni, sì come rota ch’igualmente è mossa, l’amor che move il sole e l’altre stelle». 17 Verso la fine degli anni Novanta Sergio Noja intraprende un ambizioso progetto editoriale che prende il nome di Sources de la transmission manuscrite du texte coranique, in collaborazione con l’accademico di Francia François Déroche, uno dei più qualificati studiosi di codicologia e paleografia araba. L’attenzione viene rivolta ai codici e ai frammenti in scrittura definita ḥiǧāzī, dall’area – Mecca e Medina – nella quale essa si è sviluppata; l’ambizione è quella di mettere a disposizione di tutti gli studiosi la documentazione utile per un’auspicabile edizione critica del libro sacro musulmano. Come osserva Noja nel primo volume di questo nuovo Progetto Amari, «La storia dei testo coranico costituisce una delle preoccupazioni maggiori dell’Islamologia»18. La sua iniziativa si ispira al “Piano di un apparato critico del Corano” concepito negli anni Trenta da G. Bergsträsser e continuato da O. Pretzl, i quali avevano raccolto una importante documentazione fotografica. Questa sembrava definitivamente andata dispersa durante la II Guerra Mondiale, ma fortunatamente era stata salvata da A. Spitaler e, in anni a noi vicini, presa in consegna da A. Neuwirth nell’ambito del nuovo progetto Corpus Coranicum diretto da M. Marx (Berlin-Brandenburgische Akademie der Wissenschaften). La Fondazione Ferni Noja Noseda per gli Studi Islamici, con sede a Villa Noseda, a Lesa, diretta dal 2003 da Alba Fedeli, promuove alcuni studi prettamente islamici 19, ma l’interesse per gli antichi codici è decisamente prioritario. All’edizione del ms. ar. 328 (a) della Bibliothèque nationale di Francia segue quella della prima metà del ms. or. 2165 della British Library. I volumi sono di grande formato per rispettare le dimensioni dei codici originali, e presentano la trascrizione in caratteri arabi a fronte 20. Nella parte introduttiva sono riproposti i primi studi sulla storia del testo coranico, rispettivamente Mémoire sur l’origine avevo trovato nelle mie ricerche sul terreno sopravvivenze di racconti orali che echeggiavano antichi poemi come la “Ballata delle tre streghe” (I primi arabi, p. 31). Ho dovuto deluderlo, a malincuore, perché la narrazione delle gesta dei vecchi eroi himyariti sembrano ormai sostituite da quelle dei cavalieri dei Banū Hilāl. 15 Si veda Dal cuneiforme all’ebraico quadrato, dal siriaco e il pahlavico all’arabo: gli inizi della scrittura araba, «Istituto Lombardo (Rend. Lett.)», CXXXIX, 2005, pp. 25-55. E inoltre il suo saggio, di cui era molto fiero: From Syriac to Pahlavi: the Contribution of the Sassanian Iraq to the Beginning of the Arabic Writing, in K.H. OHLIG – G.R. PUIN (eds.), Die dunklen Anfänge. Neue Forschungen zur Entstehung und frühen Geschichte des Islam, Berlin, H. Schiler, 2005, pp. 266-292. Noja sviluppa la tesi che la scrittura araba in una fase antica avesse un andamento verticale e il suo impiego fosse limitato: «It therefore seems there was a reluctance to ‘write down’ any literary work, or rather, and this is the point, anything that was living, and especially poetry». E più avanti: «… I cannot visualize the highest Shanfarā sitting down to write, correcting and re-correcting his verses». La tradizione dei bei poemi preislamici scritti in lettere d’oro e appesi alla Ka‘ba non avrebbe fondamento (pp. 267-270). 16 A. BAUSANI, L’alfabeto come calendario arcaico, «Oriens Antiquus», XVII, 1978, pp. 131-146. L’ipotesi è stata ripresa e sviluppata da G. GARBINI, Le serie alfabetiche semitiche e il loro significato, «AIUON», XLII, 1982, pp. 402-411. 17 «Le scritture dell’Arabia», in I primi arabi, p. 266. 18 Les manuscrits de style ḥiǧāzī 1. Le ms. Arabe 328 (a) de la Bibliothèque nationale de France, Lesa, Fondazione Ferni Noja Noseda per gli Studi Islamici, 1998, p. XI. Per una presentazione del volume si veda anche, dello stesso Noja, Note esterne in margine al 1° volume dei ‘materiali per un’edizione critica del Corano’, «Istituto Lombardo (Rend. Lett.)», CXXXIV, 2000, pp. 317. 19 La Fondazione ha pubblicato i «Quinterni», a commento dei volumi delle Sources, e un paio di importanti opere islamistiche: IBN ‘ABD AL-WAHHAB, L’unicità divina, a cura di S. NOJA, Lesa, 2000; IBN TAYMIYYA, Il buon governo dell’Islām, a cura di G.M. PICCINELLI, Lesa 2001. 20 Il progetto è stato presentato al First World Congress of Middle Eastern Studies (WOCMES) presso l’Università di Mainz nel 2002. S. NOJA, Parerga to the Volumes of Sources de la Transmission Manuscrite du Texte Coranique thus far Published and in Course of Publication, in M.S. KROPP (ed.), Results of Contemporary Research on the Qur’ān. The Question of a Historico-critical Text of the Qur’ān, Beirut, Orient-Institut Beirut, 2007, pp. 157-174. et les anciens monuments de la littérature parmi les Arabes di Silvestre de Sacy, 1808, e la memoria inedita di Michele Amari del 1857, pubblicata parzialmente da H. Derenbourg in Bibliographie primitive du Coran del 1930-1934. Il secondo volume è dedicato al pioniere degli studi coranici, il siciliano Michele Amari. Le alterne vicende della vita hanno portato a una brusca interruzione alla pubblicazione delle Sources, ma Noja non si è arreso e ha subito concepito una nuova serie, denominata The oldest Koranic scripts (the Prophet, the rightly-guided Caliphs and Umayyad Era), rimasta purtroppo solo allo stadio di opera non finita. Nonostante i significativi risultati ottenuti 21, gli rimaneva un desiderio coltivato da tempo ma rimasto irrealizzato: lo studio di quegli antichi frammenti coranici venuti alla luce durante i lavori di restauro della Grande Moschea di Sanaa, la cui presenza era stata rivelata da Paolo Costa nel 1972. 22 Nel frattempo erano giunti in Yemen altri studiosi: la restauratrice austriaca U. Dreibholz, G. Puin e la missione tedesca. La scoperta di un palinsesto coranico deve aver costituito uno stimolo irresistibile per Sergio Noja. Stabilito un accordo italo-francese con Ch. Robin (CNRS), esperto di epigrafia sudarabica che da decenni lavora nel paese, viene organizzata una spedizione in Yemen con la partecipazione di Alba Fedeli e un fotografo specializzato per la ripresa dei manoscritti con apparecchiature speciali per luce naturale e UV in vista della loro digitalizzazione 23. La missione ha luogo nel 2007, l’abilità “diplomatica” di Noja anche in questa circostanza risulta determinante nel superare gli ostacoli amministrativi e ottenere i permessi necessari. Gli obiettivi che si proponeva e i primi passi compiuti nello studio di questi documenti rappresentano una nuova e promettente pagina degli studi coranici. Certo i versetti ritrovati non sono ‘i versetti satanici’, che tanti teologi nemici dell’Islam amerebbero veder comparire, ma è importantissimo sul piano storico perché è la prima volta, dopo un millennio e mezzo, che viene ritrovata una parte del testo pre-othmanico 24. Ma il nostro appassionato di antichità yemenite, delle vicende dei primi arabi e degli antichi codici coranici non potrà vedere i frutti di questa sua ultima fatica: pochi mesi dopo il suo ritorno egli rimane vittima di un tragico incidente. I materiali relativi al palinsesto di Sanaa e altri due manoscritti dalla Dār al-Maḫṭūṭāṭ sono stati consegnati qualche tempo dopo da Robin al Corpus Coranicum. Può sembrare un segno del destino, ma l’ultima pubblicazione di Sergio Noja rappresenta un felice ritorno a quegli studi sui Samaritani iniziati tanti anni prima sotto l’illuminata guida del Prefetto Giovanni Galbiati, che egli ricorda con commozione in una nota. Complice questa volta Monsignor Pier Francesco Fumagalli, che gli fa giungere notizia «di un foglio finito, si fa per dire, tra i tesori dell’Ambrosiana» in arabo e in ebraico. Prende così forma Un foglio del Pentateuco samaritano con traduzione in arabo nei manoscritti dell’Ambrosiana,1 25 un corposo saggio dedicato alla collega Mayer Modena basato sul ms Archivio Falcò, V.N. 1, busta 2a. Quest’ultimo lavoro sembra quasi suggellare una decennale vicinanza di Sergio Noja Noseda alla Biblioteca Ambrosiana, per i preziosi documenti che custodisce e per le persone che con dedizione si sono avvicendate nel perpetuare una prestigiosa tradizione culturale. Ho cercato di presentare lo studioso Sergio Noja attraverso un percorso basato sulle sue stesse opere, spesso attraverso le sue stesse parole, che lasciano trasparire le sue qualità umane. Egli era anche un grande bibliofilo, tanto da aver formato una ricchissima biblioteca di semitistica, confluita nella Fondazione Ferni Noja Noseda per gli Studi Islamici . Si tratta di una delle biblioteche del settore più consistenti dell’Italia settentrionale: dobbiamo augurarci che possa trovare una adeguata valorizzazione in ricordo di chi l’ha con tenacia e amore costituita e messa con grande liberalità a disposizione degli studiosi. Giovanni Canova 21 Si veda tra l’altro l’ultima nota presentata all’Istituto Lombardo, A Third Koranic Fragment on Papyrus: An Opportunity for a Revision, «Istituto Lombardo (Rend. Lett.)», CXXXVII, 2003, pp. 313-326. 22 P. COSTA, La Moschea Grande di Ṣan‘ā’, «AIUON», XXXIV, 1974, pp. 488-506. 23 Sono stati rinvenuti circa cinquemila frammenti di pergamena che assemblati portano all’individuazione di 950 copie del Corano. Si veda A. FEDELI, I manoscritti di Sanaa: fogli sparsi che diventano Corani, in F. ASPESI et al. (eds.), Il mio cuore è a Oriente. Studi di linguistica storica, filologia e cultura ebraica dedicati a Maria Luisa Mayer Modena, Milano, Cisalpino, 2008, pp. 25-48 e bibliografia citata. 24 La mia visita a Sanaa, «Istituto Lombardo (Rend. Lett.)», CXXXVII, 2003, pp. 43-45. La partecipazione di Sergio Noja ai lavori dell’Istituto Lombardo è stata costante nei suoi ultimi anni. 25 In F. ASPESI et al. (eds.), Il mio cuore è a Oriente, pp. 49-65.