Agostino e il peccato
La polemica contro il pelagianesimo
La terza grande polemica agostiniana è quella
contro il pelagianesimo. È la polemica che ha avuto la
maggiore portata nella formulazione della dottrina
agostiniana, conducendo Agostino a fissare con
straordinaria energia e chiarezza il suo pensiero sul
problema del libero arbitrio e della Grazia.
Il monaco irlandese Pelagio viveva a Roma nei
primi anni del V secolo. Lì ebbe la prima volta sentore della dottrina
agostiniana della Grazia espressa nella famosa invocazione a Dio: «
Concedi quel che comandi e comanda pure ciò che vuoi » (Da quod iubes et
iube quod vis). Venuto poi Pelagio a Cartagine con l’amico Celestio, quando
all’avvicinarsi dei Goti molte famiglie romane si rifugiavano in Africa, le
sue critiche all’agostinismo si diffusero per opera soprattutto di Celestio nel
gregge stesso del vescovo Agostino. Il punto di vista di Pelagio consisteva
essenzialmente nel negare che la colpa di Adamo avesse indebolita
radicalmente la libertà originaria dell’uomo e quindi la sua capacità di fare
il bene. Il peccato di Adamo è solo un esempio cattivo che pesa bensì sulle
nostre capacità e rende ad esse più difficile il compito di operare il bene,
ma non lo rende impossibile e soprattutto non toglie ad esse la possibilità
di reagire e decidersi per il meglio. Per Pelagio l’uomo, sia prima del
peccato di Adamo, sia dopo, è naturalmente capace di operare
virtuosamente senza bisogno del soccorso straordinario della Grazia. Ma
questa dottrina conduceva a ritenere inutile l’opera redentrice del
Cristo. Se il peccato di Adamo non ha messo l’uomo nella impossibilità di
salvarsi con le sole sue forze, l’uomo non ha evidentemente bisogno
dell’aiuto soprannaturale portatogli dall’incarnazione del Verbo né quindi
ha bisogno di essere reso partecipe di questo aiuto dall’opera mediatrice
della Chiesa e dai sacramenti che essa amministra.
Di fronte a una dottrina che si prospettava così rovinosa per la
dogmatica cristiana e il compito della Chiesa, Agostino reagisce
energicamente, affermando che con Adamo e in Adamo ha peccato tutta
l’umanità e che quindi il genere umano è una sola «massa dannata», nessun
membro della quale può essere sottratto alla dovuta punizione, se non
dalla misericordia e dalla non dovuta Grazia di Dio.
Egli inclinò quindi a un pessimismo radicale sulla natura e la
possibilità dell’uomo, ritenuto incapace di compiere il più piccolo passo
sulla via dell’elevazione spirituale e della salvezza; e fu portato ad
insistere sul carattere imperscrutabile della scelta divina che sembra
predestinare alcuni uomini alla salvezza (escludendo implicitamente gli
altri). Ma per quanto queste conclusioni appaiano paradossali (e la stessa
Chiesa cattolica dovette mitigarne il rigore) non c’è dubbio che il principio
sul quale S. Agostino le fonda ha nella sua dottrina un alto valore, del tutto
L’identità
della libertà indipendente dalla polemica anti-pelagiana. Questo principio è l’identità
umana con della libertà umana con la Grazia divina. La volontà, secondo Agostino,
la Grazia è libera soltanto quando non è asservita al vizio e al peccato; ed è questa
divina
libertà che può essere restituita all’uomo solo dalla Grazia divina
(Confessioni, XIV, 11). In altri termini, il primo libero arbitrio, quello che fu
dato ad Adamo, consisteva nel «poter non peccare» (posse non peccare).
Perduta questa libertà per la colpa originaria, che costringe l’uomo a «non
poter non peccare» (non posse non peccare), ed essendosi infiacchita la sua
volontà, l’individuo può vincere il peccato solo mediante l’aiuto della
Grazia divina (concessa in virtù dei meriti di Cristo). La libertà
dell’uomo non è in grado, da sola, di compiere il bene. Infine, l’ultima
libertà, che Dio darà come premio ai beati, è quella di «non poter
peccare» (non posse peccare). Quest’ultima libertà sarà data all’uomo
come un dono divino (la Grazia è gratis, dono), giacché non
appartiene alla natura umana, e renderà quest’ultima partecipe
dell’impeccabilità propria di Dio. Ma poiché la prima libertà, detta
anche libertà minore, è stata data all’uomo affinché egli si procuri l’ultima e
compiuta libertà, detta anche libertà maggiore, è evidente che solo
quest’ultima esprime ciò che l’uomo veramente deve essere e può essere.
Il non poter peccare, la liberazione totale dal male, è una possibilità
dell’uomo fondata sul dono divino: «Dio stesso è la nostra possibilità»
La tesi
dice Agostino (Soliloqui, II, 1).
pelagiana
Ricapitolando, Agostino distingue il libero arbitrio, di cui l’uomo
dispone ed in base al quale sceglie e orienta la volontà, dalla libertà vera e
propria, che consiste nello scegliere bene, cioè nel
far buon uso del libero arbitrio, solo la Grazia rende
davvero efficace la libertà umana.
Il genere
umano
come
“massa
dannata”
Da N. Abbagnano, G. Fornero, Protagonisti e testi della filosofia, vol. 1,
Paravia, Torino, 2003, pagg. 539-540; D. Massaro, La comunicazione
filosofica, vol. 1, Paravia, Torino, 2002, p. 439.
In alto, un’immagine antica che raffigura Agostino. Esiste
anche un film sul filosofo, realizzato da Roberto
Rossellini nel 1972