LE MUSE, LE GRAZIE, LE MOIRE LE MUSE (aiè Mou^sai) Le Muse (in greco Mou^sai, -w^n; in latino Mūsae, -arum) sono 9 divinità minori che appartenevano al corteggio del dio Apollo. Erano figlie di Zeus e di Mnemosine o di Armonia, o, secondo un'altra versione, di Urano (Cielo) e Gea (Terra) [1]. Si diceva fossero originarie della Pieria, una zona della Tracia vicina al monte Olimpo (per questo sono anche chiamate Pieridi; cfr. Esiodo, Opere, 1). Frequentavano anche altri luoghi, come il monte Pindo e il monte Elicona (perciò sono dette Eliconie; cfr. Esiodo Teogonia, 1). Spesso preferivano vivere sull’Olimpo o sul Parnaso, dove amavano suonare, cantare e danzare per il dio Apollo (che era chiamato “musageta”, guida delle muse). Ben presto i Romani assimilarono alle Muse le Camene (le ninfe delle sorgenti). Omero le invoca all’inizio dei poemi omerici al singolare; il primo a citarne i nove nomi è Esiodo, nel proemio della Teogonia (vv. 75-79): essi sono Clìo (Kleiw@), Eutèrpe (Euète@rph), Talìa (Qa@leia), Melpòmene (Melpome@nh), Tersìcore (Teryico@rh), Eràto ( èEratw@), Polìmnia (Polu@mnia), Urània (Ouèrani@h) e Callìope (Kallio@ph). Pausania(IX, 29,2) sostiene, invece, che in origine fossero tre: Melete, la Pratica, Mneme, il Ricordo, e Aoide, il Canto Le Muse erano invocate specialmente dai poeti come ispiratrici delle loro opere. Ma non solo. Esiodo vanta i loro benefici (Teogonia, 1-115): le Muse accompagnano i re e dettano loro parole persuasive, quelle necessarie a placare le dispute e a ristabilire la pace fra gli uomini. Conferiscono loro il dono della dolcezza che li rende cari ai loro sudditi. Allo stesso modo basta che un cantore, cioè un servitore delle Muse, celebri le imprese degli omini del passato o degli dei perché chi ha preoccupazioni le dimentichi in quell’istante. il più antico canto delle Muse è quello con il quale esse celebrarono la vittoria degli Olimpi sui Titani, dando inizio ad un ordine nuovo. Chiunque osasse offenderle veniva severamente punito, come le nove figlie di Pierio di Elle, re della Tessaglia, che avevano voluto rivaleggiare con loro nel canto e furono mutate in uno stormo di rauche gazze (dunque il nome di Pieridi o Pierie era usato ad indicare le Muse stesse o le loro rivali). I sacrifici dedicati a loro prevedevano l'uso di acqua, latte e miele. Gli alberi a loro consacrati erano l'alloro e le palme e avevano a loro servizio Pègaso, il cavallo alato. Solo a partire dall’età ellenistica si attribuì a ciascuna una determinata funzione, che rimase variabile a seconda degli autori. 1) Clìo (Kleiw@), colei che rende celebri, era l'ispiratrice della storia (simbolo: un rotolo di pergamena). 2) Eutèrpe (Euète@rph), colei che rallegra, era la musa della poesia lirica (simbolo: un flauto). 3) Talìa (Qa@leia), festiva, presiedeva la commedia, la poesia giocosa e l'idillio (simboli: una maschera comica, un bastone da pastore, corona di edere in testa). 4) Melpòmene (Melpome@nh), colei che canta, musa della tragedia, (simboli: una maschera tragica, la clava di Ercole e una spada; la testa coronata da pampini; calzava i coturni). 5) Tersìcore (Teryico@rh), che si diletta nella danza, musa della danza e del suono della lira (simboli: una lira e il plettro; sul capo una ghirlanda di fiori). 6) Eràto ( èEratw@), che provoca desiderio, musa della poesia d'amore e del mimo (simboli: il capo coronato di mirti e rose). 7) Polìmnia (Polu@mnia), dai molti inni, musa degli inni (civili e religiosi) e dell'oratoria (senza simboli). 8) Urània (Ouèrani@h), la celeste, musa dell'astronomia (simboli: il mappamondo e un compasso). 9) Callìope (Kallio@ph), dalla bella voce, musa della poesia epica (simboli: lo stilo e una tavoletta spalmata di cera). LE CARITI (aiè Ca@ritev) Le Càriti (in greco Ca@ritev, -wn), che i Romani chiamavano Grazie (in latino Gratiae, -arum), non si sa bene se figlie di Zeus ed Hera, o di Zeus e dell'Oceanina Eurinome* ("colei che regna sugli spazi") erano le dee della venustà e della vita gioconda e serena. Vivevano sull’Olimpo insieme alle Muse (con le quali alle volte sono confuse) e facevano parte del corteo di Apollo. Vengono solitamente raffigurate mentre ballano, nude o coperte da veli; come simboli avevano gli strumenti musicali e i rami di mirto e di rose. Secondo Esiodo erano tre: 1) Eufrosine (Euèfrosu@nh), la letizia; 2) Aglaia ( èAglai@a), lo splendore; 3) Talìa (Qali@a), la prosperità Ma Sparta se ne veneravano due sole: Cleta (Klh@ta), l’invocata, e Faenna (Fae@nna), la splendente; ed ad Atene pure due: Auxo ( èAuxw@), colei che favorisce la crescita, ed Egemone ( éHgemonh@), colei che guida. *Nella mitologia greca molte divinità portano il nome di Eurinome: - Eurinome, ninfa delle Oceanine (figlia del due titani Oceano e Teti), fu la terza moglie di Zeus da cui nacquero le Càriti; - Eurinome, figlia di Apollo; - Eurinome, divinità degli inferi divoratrice delle carni dei morti LE MOIRE (aiè Moi^rai) Le Mòire (in greco Moi^rai, -w^n), che i romani chiamavano Parche (in lat. Parcae, -arum), come le loro sorelle Ore erano figlie di Zeus e di Temi. Aiutavano la madre a mantenere il rispetto per l'ordine della natura e della vita umana. Abitavano nell'Olimpo, in un palazzo di bronzo, sulle cui pareti incidevano i destini degli uomini e il cammino degli astri. Nessuno poteva cancellare ciò che le Mòire avevano stabilito, nemmeno Zeus. In origine ogni essere umano ha la sua “moi^ra”, ossia la sua parte (di vita, di felicità, di sfortuna; mei@romai, “divido in parti” ). In Omero infatti la Moira è una sola, e tende a confondersi con la Chera (Kh@r, Khro@v), anche se non è mai, come questa, un demone sanguinario e violento (nei poemi omerici inoltre le Chere, Kh^rev, sono sempre almeno due, spesso contrapposte). In Esiodo sono già tre. Da alcuni erano rappresentate come vecchie; ma in genere sono rappresentate come giovani dall'aspetto severo, vestite con dei lunghi pepli bianchi trapunti di stelle. Le tre dee filavano la vita degli uomini: 1) Cloto (Klwqw^), filava (klw@qein, “filare”) il filo (stame) della vita (era incaricata del presente); 2) Lachesi (La@cesiv), girava il fuso per torcere il filo e decideva le sorti di ogni vita (lagca@nein, “ottenere in sorte”) usando stame bianco misto a fili d'oro per i giorni felici e stame nero misto a fili d'oro per quelli di sventura (era incaricata del passato); 3) Atropo ( òAtropov), la più vecchia, con in mano le forbici tagliava il filo della vita, determinando il momento irrevocabile (aè privativo + trepein, qunidi “non mutare, essere inflessibile”) della morte (era incaricata del futuro).