universita` degli studi di ferrara - Laboratorio di ricerca sulla terapia

UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI FERRARA
FACOLTA' DI FARMACIA
Dipartimento di Biochimica e Biologia Molecolare
Corso di Laurea in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche
EVEROLIMUS:
UN POTENTE INDUTTORE DEL DIFFERENZIAMENTO
ERITROIDE IN PRECURSORI ISOLATI
DA PAZIENTI BETA-TALASSEMICI
I Relatore:
Laureanda
Prof. Roberto Gambari
Chiara Danzo
II Relatore:
Dott.ssa Nicoletta Bianchi
Anno Accademico 2005-2006
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INTRODUZIONE
1. I geni globinici umani e regolazione della loro espressione durante lo
sviluppo.
1.a. I geni globinici.
La componente principale e di maggiore importanza dei globuli rossi è
rappresentata dall’emoglobina, una proteina tetramerica solubile presente negli eritrociti
del sangue dei vertebrati, la cui funzione biologica è quella di trasportare l’ossigeno,
attraverso il circolo sanguigno, dai polmoni ai tessuti. L’emoglobina è una
cromoproteina globulare la cui struttura consta di quattro catene polipeptidiche e quattro
gruppi prostetici eme. La sua sintesi richiede la produzione coordinata dell’eme, che
conferisce alle emazie la loro caratteristica colorazione rossa, e delle globine, che
costituiscono la porzione proteica che circonda e protegge l’eme.
Il gruppo eme, che lega reversibilmente il ferro all’emoglobina, è costituito da una
parte organica, la protoporfirina IX, un sistema planare composto da quattro anelli
pirrolici al centro dei quali si trova alloggiato un atomo di ferro inorganico.
Quest’ultimo giace leggermente al di fuori del piano della protoporfirina con la quale
interagisce mediante quattro legami di coordinazione, mentre con la quinta posizione,
perpendicolare al piano, lega un residuo di istidina o istidina prossimale [1].
Il gruppo eme è contenuto all’interno di una tasca proteica, costituita da 20
amminoacidi idrofobici, che ne garantiscono la stabilizzazione e fanno in modo di
mantenere il ferro nello stato di catione bivalente, necessario ai fini dell’interazione con
l’ossigeno, attraverso un secondo residuo di istidina o istidina distale [1, 2]. In seguito
all’interazione dell’atomo di ferro bivalente con una molecola di ossigeno, avviene
l’avvicinamento del ferro al piano dell’eme e il conseguente spostamento delle regioni
ad α-elica della catena globinica. Questo comporta la riduzione della tensione sterica
originatasi e una variazione conformazionale della struttura quaternaria del tetrametro
[1]. L’evento che si trova alla base della cooperatività positiva nell’interazione con
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l’ossigeno è dato dall’indebolimento parziale delle interazioni fra le subunità, che causa
una progressiva destabilizzazione della molecola. E’ infatti il legame dell’ossigeno al
gruppo eme di una subunità globinica a mediare la predisposizione delle altre catene
allo stesso processo aumentando l’affinità [1].
La porzione proteica è formata da quattro catene polipeptidiche uguali a due a due:
due di tipo α (zeta e alfa), di 141 residui amminoacidici, due di tipo β (epsilon, gamma,
beta e delta), di 146 amminoacidi [2]. Le quattro subunità si associano spontaneamente
tra loro formando, attraverso interazioni non covalenti, ma di tipo elettrostatico e
idrofobico, la caratteristica struttura tetramerica della molecola [3]. Le catene
polipeptidiche delle globine contengono numerosi amminoacidi altamente conservati
detti residui invarianti, che hanno la funzione di preservare la stabilità e la corretta
funzionalità della molecola garantendone la struttura terziaria, caratterizzata da otto alfa
eliche, la cui collocazione è responsabile del ripiegamento a β-foglietto della globina.
L’appaiamento di una catena α con una catena non-α porta alla formazione di un
dimero di emoglobina, il quale non è in grado di trasportare l’ossigeno in maniera
efficace fino a quando non si combina con un secondo dimero nella formazione del
tetramero, ovvero la molecola biologicamente attiva ed in grado di espletare funzione di
trasportatore.
Geni differenti sono responsabili dell’espressione delle diverse subunità globiniche
costituenti l’emoglobina. La famiglia delle globine (mioglobina, emoglobina,
neuroglobina) sembra essersi evoluta 1.800 milioni di anni fa con la comparsa
dell’ossigeno sulla terra e i geni globinici sembrano aver avuto origine da un gene
ancestrale, contenente 4 sequenze codificanti (esoni) e 3 non-codificanti (introni).
Mentre la regione 3’ del primo esone ed il terminale 5’ dell’ultimo esone sono rimasti
invariati nel corso dell’evoluzione, il secondo introne del gene primitivo è scomparso ed
il terzo è emerso solo quando i geni della famiglia globinica hanno iniziato a
differenziarsi.
La struttura uguale di tutti i geni globinici rivela la loro origine comune; ogni gene
presenta tre regioni codificanti, gli esoni, che vengono trascritti in RNA messaggero e
poi tradotti in globine e due regioni intercalari, gli introni (IVS: InterVening Sequence),
che non essendo trascritti in mRNA non vengono tradotti in proteina. Nel gene
β-globinico il I esone contiene i codoni da 1 a 30, il II da 31 a 104 e il III da 105 a 146,
mentre nei geni α-globinici il I esone comprende i codoni da 1 a 31, il II da 32 a 99 e,
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infine, il III da 100 a 141. Gli introni hanno lunghezza diversa per ogni gene globinico.
Ogni gene globinico ha alle estremità 3’ e 5’ delle sequenze fiancheggianti che vengono
trascritte, ma non tradotte (sequenze UTR). Tra queste, la sequenza UTR compresa tra il
codone di termine TAA e la sequenza AATAAA, si è dimostrata essenziale per la
traduzione dell’mRNA. Infatti, mutazioni in questa regione, sia nel gene α che in quello
β, danno luogo ad un effetto microcitemico probabilmente causato da una forte
destabilizzazione del messaggero prodotto. La sequenza AATAAA presente
all’estremità 3’ di tutti i geni globinici è sia il segnale di termine della trascrizione
dell’mRNA che di aggiunta di una coda poliA. All’estremità 5’ di tutti i geni è invece
presente una sequenza promotrice indispensabile per una trascrizione genica efficiente
[2].
I geni globinici sono organizzati in raggruppamenti chiamati clusters (Fig. 1),
costituiti da geni funzionali, generati probabilmente da processi di duplicazione
avvenuti nel corso dell’evoluzione, e da pseudogeni; questi ultimi rappresentano geni
ancestrali che hanno perso le regioni regolative della loro espressione, divenendo così
silenti ed incapaci di codificare per la proteina.
Il cluster α, di circa 40 Kb, è situato nella porzione distale del braccio corto del
cromosoma 16, a livello della banda 16(p13.3), come riportato in Fig. 1.
La posizione occupata dal cluster α è caratterizzata da instabilità e variabilità
genetica e cade in una regione rappresentata per il 54% da CG nella porzione telomerica
del cromosoma 16 e caratterizzata da una configurazione della cromatina
costitutivamente “aperta” e da un’alta densità di geni non-globinici adiacenti
costitutivamente non espressi. Lungo tutto il cluster α sono presenti sequenze ripetitive
della famiglia Alu I (dal nome dell’enzima di restrizione che le identifica) e sequenze
ricche in GC dette regioni HRV (High Variability Region) o minisatelliti: il 3’ HRV a
valle del gene α1, composto da una serie di ripetizioni in tandem (da 70 a 450 per allele)
di una sequenza di 17 bp, l’HRV entro ψζ1, l’HRV interzeta tra ζ2 e ψζ1, il 5’HRV a
circa 100 kb a monte del cluster α che è composto da una serie di ripetizioni in tandem
di una sequenza di 57 bp.
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Cluster alfa
Fig. 1. Organizzazione in clusters dei geni per le globine di tipo β ed α.
In figura sono schematizzati i cromosomi 11 e 16 sui quali sono raggruppati
rispettivamente geni per le globine β e per le globine α. Sono riportate anche le
varie associazioni di catene globiniche che formano le diverse molecole di
emoglobina nel corso dello sviluppo umano [Figura tratta dal sito
www.med.yale.edu].
Come riportato in Fig. 2, nel cluster α sono presenti tre geni funzionali,
rappresentati rispettivamente da un gene ζ, espresso transitoriamente in fase embrionale,
ma presto sostituito durante lo sviluppo dalle catene α, codificate dalla coppia di geni
α2 e α1, che producono globine identiche, nonostante differiscano tra loro per la quantità
di RNA messaggero prodotto, che risulta maggiore di circa 2,6 volte per α2 [4]. Nel
cluster α sono presenti anche diversi pseudogeni, denominati ψζ , ψα1, ψα2 ed una
regione 3’ terminale ө, che si suppone essere attiva negli stadi embrionali più precoci. Il
gene embrionale ζ è localizzato nella regione più in 5’, mentre i geni globinici adulti α2
e α1 sono posizionati più distalmente; questi due geni sono pienamente funzionali e
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sopperiscono alla mancanza nel cluster α di un gene ad espressione esclusivamente
fetale: essi, infatti, sono espressi anche durante la fase fetale dello sviluppo.
Nel cluster α-globinico è presente, nella sequenza fiancheggiante 5’ il cap del gene
α-globinico, il box ATA che fissa l’inizio della trascrizione, mentre a -80 bp dal cap il
box CAAT determina il livello di trascrizione e ancora più a monte è situata una
sequenza che lega il fattore di trascrizione Sp1 [2].
Fig. 2. Rappresentazione schematica dei clusters globinici umani. Il
cluster α è localizzato all’estremo distale del braccio corto del cromosoma 16
in un tratto di DNA di 30 kb; nei geni per le α-globine il I esone comprende i
codoni da 1 a 31, il II da 32 a 99 e, infine, il III da 100 a 141. Il cluster β è
posizionato in una regione di circa 70 kb a livello della banda 11(p15.5) nella
regione distale del braccio corto del cromosoma 11. Nei geni per le globine di
tipo β il I esone contiene i codoni da 1 a 30, il II da 31 a 104 e il III da 105 a
146. Gli introni hanno lunghezza diversa per ogni gene considerato. Sono
inoltre illustrate le sequenze fiancheggianti i geni alle estremità 3’ e 5’ [Bianco
Silvestroni, 1998].
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Elementi con funzione di promotori sono presenti in 5' a ciascun gene per le catene
di titpo α e, oltre a questi, è stata identificata una regione di 35 kb, localizzata 30 kb a
monte del cluster α, la cui delezione inattiva l’espressione dell’intero gruppo di geni,
risultando pertanto di fondamentale importanza dal punto di vista regolativo [5].
La presenza lontano dal cluster α di una zona di circa 50 kb, che riveste un ruolo di
regolatore positivo dell’espressione genica è stata confermata tramite esperimenti di
delezione che lasciavano intatti, ma non funzionanti, gli stessi geni per le globine α. Le
sequenze eritro-specifiche di regolazione-positiva più importanti sono raggruppate in
24 kb e sono associate a siti ipersensibili alla DNasi I, localizzati a -33, -36, -38, -40,
-46, -56 kb dal cap del gene per le catene ζ. Questi siti hanno notevole somiglianza per
posizione, struttura e funzione con quelli identificati nella Locus Control Region a
monte del cluster β, discusso in seguito. Tra questi il sito HS-40 è l’elemento
principale; esso dimostra infatti, in esperimenti condotti in vitro, un’attività enhancer
maggiore rispetto a quella delle sequenze “core” di ciascun sito HS dell’LCR. Inoltre,
ricerche effettuate sull’HS-26 murino, omologo all’HS-40 umano, hanno dimostrato la
presenza di sequenze interne all’HS-40 la cui presenza è essenziale per garantire la
completa espressione della sua attività enhancer.
Sequenze importanti per la regolazione dell’espressione dei singoli geni, sono
inoltre presenti a livello delle regioni promotrici, ad esempio nel gene per le globine ζ
sono state individuate in posizione prossimale al promotore. Le sequenze che rivestono
un ruolo critico nel processo di silenziamento definitivo di ζ al momento dello switch
embrio-fetale, invece, si trovano al di fuori dei confini del gene stesso e del suo
promotore.
Riguardo ai geni per le catene α, mediante studi condotti in vitro e su topi
transgenici, sono state individuate delle sequenze, situate nella regione fiancheggiante
in 5’ il gene globinico α2 e nella regione fiancheggiante in 3’ il gene α1, dotate di
funzione regolatrice positiva. Queste regioni si presentano inoltre ricche di siti di
legame per fattori trascrizionali come GATA1 e NF-E2 [2].
Il cluster di tipo β, riportato in Fig. 2, raggruppa in un dominio di circa 70 Kb i
geni per le globine β umani ed è posizionato a livello della banda 11(p15.5) nella
regione distale del braccio corto del cromosoma 11. Esso comprende lo pseudo-gene ψβ
e i geni funzionali per le catene polipeptidiche ε, Gγ e Aγ, δ e β, posti nell’ordine in cui
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vengono espresse durante lo sviluppo [6]. Le catene di tipo Gγ e Aγ si distinguono tra
loro per la sostituzione di una glicina con un’alanina in posizione 136 nella catena
peptidica.
L’espressione genica è regolata in modo tale che durante le varie fasi dello
sviluppo la produzione delle globine β eguagli quella delle α. Questo è reso possibile
solo grazie ad un’accurata attività di regolazione trascrizionale, che deve garantire una
bilanciata sintesi di globine, tale da consentire sempre la corretta funzionalità biologica
della proteina prodotta.
I promotori di tutti i geni globinici condividono una notevole omologia di
sequenza, ma essi presentano anche delle sequenze uniche, che potrebbero essere
responsabili del cambiamento nell’espressione globinica nei vari stadi di sviluppo.
Svariati esperimenti di mutagenesi in vitro e di trasfezione del DNA hanno permesso di
identificare i promotori di numerosi geni del cluster β di mammiferi, inclusi quelli
umani. Queste sequenze regolative minimali consistono appunto nei tre elementi
identificati come: TATA box, posizionato a -30 bp, CAAT box, a -75 bp e CACCC a
-90 bp dal sito d’inizio della trascrizione genica [7]. Questi elementi sono presenti in
tutti i promotori dei geni per le globine, ma i promotori dei geni per le catene γ e β
umane sono caratterizzati da una notevole diversità rappresentata, per quanto riguarda il
promotore per le γ-globine, dalla duplicazione del CAAT box e dalla presenza in
singolo del motivo CACCC, mentre il promotore per le β-globine presenta un
raddoppiamento del CACCC e un singolo CAAT box. Si pensa che queste differenze
possano avere un’implicazione nella regolazione di questi geni.
L’espressione dei geni per le globine di tipo β non è solo regolata dalle specifiche
regioni promotrici poste in 5’ ai geni, ma risente dell’influenza anche di una regione
regolativa, denominata LCR (Locus Control Region); regioni del tipo LCR sono state
identificate in almeno 36 loci di mammifero di differenti specie, inclusi l’uomo, il topo,
il ratto, il coniglio e la capra [8]. Differenze filogeniche, emerse dalla comparazione di
dati relativi al cluster β di mammifero indicano che anche i clusters di primati ancestrali
contenevano una LCR e cinque loci paragonabili ai geni beta-like con un’espressione di
tipo sviluppo-dipendente [9].
L’importanza dell’LCR ebbe la prima evidenza sperimentale in seguito a indagini
condotte su soggetti olandesi e spagnoli affetti da talassemia, nei quali la patologia si
presentava caratterizzata da un gene β-globinico intatto, ma, allo stesso tempo, una
8
delezione a monte del locus rimuoveva l’LCR impedendo l’attivazione del gene per le
β-globine. La delezione dell’LCR dimostra che essa, non solo è richiesta per la loro
l’espressione genica, ma che la sua presenza influenza la struttura della cromatina
stessa.
Quando la regolazione dei geni globinici in assenza dell’LCR venne studiata in topi
transgenici, fu evidente che i geni per le globine γ e β venivano espressi in maniera
sviluppo specifica, ma a bassi livelli e dipendentemente dalla posizione di integrazione
nel genoma dell’ospite. Al contrario, quando il gene per le catene β fu studiato in
associazione all’LCR, fu osservato uno schema completamente diverso; esso veniva
espresso a livelli comparabili con quelli endogeni del topo e in modo indipendente dalla
posizione di integrazione nel genoma murino [10]. Queste indagini hanno rivelato che,
innanzitutto, LCR contiene delle porzioni ad intensa attività enhancer responsabili
dell’elevata espressione genica; in secondo luogo, l’LCR influenza la struttura della
cromatina ed, infine, partecipa all’inizio della trascrizione genica regolandola [11].
L’LCR è fisicamente determinata dalla presenza di cinque siti HS, aree di
separazione dei nucleosomi, dove il DNA risulta essere suscettibile alla digestione da
parte di DNasi I, fatto che rende tale regione accessibile per la trascrizione e per i fattori
di rimodellamento della cromatina. Questi siti ipersensibili alla DNAasi I ricoprono una
regione di circa 25 kb, collocata tra 6 e 18 kb a monte rispetto al gene per le ε-globine e
precisamente a -6.1, -10.9, -14.7, -18 kb. Quattro dei siti ipersensibili (HS1-4) sono
riconosciuti da fattori eritro-specifici, mentre uno di essi (HS5) è riconosciuto da un
fattore ubiquitario (Fig. 3) ed è un elemento isolatore o di confine. La presenza in questi
quattro siti di uguali caratteri strutturali, funzionali e ontogenici indica che essi hanno
probabilmente in comune uno stesso elemento core. Questi siti, ciascuno della
lunghezza di 300 bp in cis al gene per le β-globine, conferiscono alta efficienza di
trascrizione, specificità eritroide ed ontogenica [2].
Per un corretto inizio della trascrizione sono necessarie tutte le sequenze regolative
prossimali ai geni globinici e per la massimalizzazione dell’espressione è richiesta la
loro interazione con elementi più distanti presenti nell’LCR.
La principale attività di LCR è associata ai siti HS2, HS3 e HS4; in ciascuno di questi
siti, infatti, sono presenti parecchie regioni di legame per specifici fattori trascrizionali,
come GATA1 (erythroid cell- and megakaryocyte-specific trancription factor 1), che si
è dimostrato essere essenziale nello sviluppo eritroide [10].
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5’HS
7
6 5 432 1 ε
G
γ Aγ ψβ
δ
β
3’HS
10 Kb
Fig. 3. Rappresentazione schematica dell’LCR. L’LCR è considerata
un potente enhancer nel fenomeno dello switching globinico ed è fisicamente
determinata dalla presenza di siti HS, aree di separazione dei nucleosomi, dove
il DNA risulta essere suscettibile alla digestione da parte dell’enzima DNasi I.
Inoltre, il sito 5’HS2, che svolge la sua funzione durante tutti gli stadi di sviluppo,
possiede al suo interno siti di legame per i fattori Sp1, NF-E2 e USF. Il fatto che
mutazioni effettuate nei singoli siti di legame nella regione 5’HS2 non comportino la
soppressione dell’espressione posizione-dipendente, suggerisce che i siti di legame
presenti nel mutante sono sufficienti a mantenere la conformazione della cromatina
“aperta”. Con altri esperimenti è stata verificata l’abilità di 5’HS2 di provocare l’inizio
della trascrizione di geni situati a valle, caratteristica tipica di una sequenza enhancer.
Inoltre, in modo simile a quanto fanno altre sequenze enhancer, 5’HS2 contiene
sequenze del tipo E-box, che rappresentano i siti di legame per la famiglia di fattori di
trascrizione con motivo a “elica-loop-elica”. Tuttavia, il sito HS2 non manifesta
quest’attività da solo, ma richiede la contemporanea presenza di un altro sito HS
dell’LCR. La delezione dei nuclei ipersensibili alla DNasi I dalle regioni 5’HS2, 5’HS3
o 5’HS4 (200-300 bp circa), interferisce con la normale funzionalità di LCR e fa venir
meno l’ipersensibilità alla DNasi I di tutti i siti. Inoltre, la funzionalità dell’LCR sembra
dipendente dall’orientazione della regione stessa; infatti, quando la posizione dell’LCR
viene invertita rispetto al resto del locus, l’espressione dei geni globinici nel corso dello
sviluppo viene ridotta [8].
Tutti questi modelli sperimentali hanno aiutato nella comprensione e nella
rivelazione di meccanismi chiave riguardanti la regolazione e la struttura del locus β
[11].
10
1.b. Regolazione dell’espressione dei geni globinici umani.
In un individuo adulto la forma prevalente di emoglobina è la HbA (α 2β2), mentre
la forma detta HbA2, costituita da due catene α e da due catene δ, rappresenta il 2-3%
dell’Hb totale contro una frazione variabile, ma spesso inferiore all’1%, rappresentata
dall’HbF (emoglobina fetale), costituita da due catene α e due catene γ.
La comprensione dell’ontogenesi dell’emoglobina umana durante lo sviluppo ha
una rilevante importanza dal punto di vista biologico; tecniche di biologia molecolare e
immunocitochimica sono state impiegate allo scopo di studiare l’espressione dei geni
per le ζ-, ε- e γ-globine nel sangue derivato da cordoni ombelicali, sangue periferico di
individui adulti, donne in gravidanza e non e in colture cellulari in vitro [12].
E’ possibile identificare e distinguere, durante le varie fasi di sviluppo e crescita di
un individuo, diverse forme di emoglobina, le cui caratteristiche strutturali dipendono
dall’attivazione o dello spegnimento dei differenti geni globinici. Durante il periodo
embrionale, sono attivi i geni responsabili della sintesi delle Hb Gower1 (ζ2ε2 ), Gower2
(α2ε2) e Hb Portland (ζ2γ2), la cui espressione diminuisce progressivamente dopo le
prime due settimane di gestazione, in quanto l’espressione delle catene ζ diminuisce
conseguentemente all’aumento dell’espressione di α, mentre le globine γ sostituiscono
le ε dopo circa sei settimane di gestazione. Il periodo fetale è caratterizzato dall’HbF
(α2Gγ2 e α2Aγ2), che costituisce il 90% dell’emoglobina in questo stadio, la cui
produzione continua anche dopo la nascita andando a costituire il 5% dell’emoglobina
totale per i primi mesi di vita dell’individuo. L’HbF è contraddistinta da una maggiore
affinità di legame per l’ossigeno rispetto all’emoglobina adulta, fatto che consente di
aumentare l’efficienza di trasferimento dell’ossigeno dalla madre al feto attraverso la
barriera placentare. La sintesi di globine γ diminuisce gradualmente dopo la nascita fino
ad essere quasi completamente soppiantata dalla produzione di globine β attorno al
quarto anno di età. I livelli di espressione dell’HbF nell’adulto subiscono anche un’altra
modificazione passando, infatti, da un rapporto Gγ/Aγ di 3/1 nel feto ad un rapporto di
2/3; inoltre i livelli di HbF possono variare notevolmente anche in dipendenza di fattori
quali l’età, il sesso o particolarità genomiche, come ad esempio mutazioni puntiformi
all’interno del cluster β o in geni ad esso correlati [13, 14, 15, 16]. L’andamento della
sintesi globinica sopra discussa è riportato in Fig. 4.
11
Come per tutte le famiglie di geni globinici eucariotici, anche la trascrizione del
gene umano per la β-globina è soggetta sia ad una regolazione tessuto-specifica, che ad
un controllo sviluppo-dipendente [6].
Fig. 4. Espressione nel tempo e nei diversi tessuti dei differenti tipi di
catene globiniche umane. Fino alla 10a settimana di gestazione sono presenti
nell’embrione soltanto le catene ζ ed ε; dalla 6a settimana inizia la produzione
di catene α e γ, queste ultime nei due tipi Gγ e Aγ nel rapporto di 3:1. Prima
della nascita inizia lo switching feto/adulto, cioè il passaggio dalla sintesi delle
γ-globine a quella delle β-globine. Alla 10a settimana l’HbA costituisce il 10%
dell’Hb totale del feto e dopo la nascita il 20%. Nelle prime settimane dopo la
nascita la sintesi di γ-globine si riduce bruscamente e aumenta la sintesi di
catene β. Verso il 6° mese di vita l’assetto emoglobinico adulto è completo e
l’HbF scompare definitivamente [Purves, Savada, Orians, Heller; BiologiaL’informazione e l’eredità-Zanichelli, 2005].
12
Nel corso dello sviluppo vengono espressi geni per le globine di tipo α e β
differenti, in modo da garantire la produzione di una molecola di emoglobina specifica
per quel dato periodo e in grado di soddisfare le esigenze di ossigeno dell’individuo in
quello stadio di sviluppo. Quindi, durante l’ontogenesi, in risposta alla variazione della
necessità di ossigeno del feto, si verificano due principali ed essenziali cambiamenti
nell’espressione dei geni appartenenti al cluster β (Fig. 5) [8]. Nei primi stadi dello
sviluppo umano, il tessuto emopoietico è rappresentato dal sacco vitellino che esprime
ε-globine; in seguito al primo switch, che si verifica alla sesta settimana di gestazione e
che consente al fegato del feto di divenire il principale organo deputato alla produzione
di globine γ, si ha la conversione delle globine embrionali ε con quelle fetali γ e con il
secondo switch globinico si ha la sintesi, da parte del midollo osseo, di globine δ e β,
tipiche dell’età adulta e che vanno a sostituirsi alle γ.
Stadio embrionale
Switch 1
Switch 2
Sacco vitellino
EMBRIONE
Placenta
FETO
Midollo osseo
ADULTO
Hb Gower 1 (ζ 2ε2)
Hb Portland (ζ 2γ 2)
Hb Gower 2 (α2 ε 2)
Hb F (α2γ2)
Hb A (α2 β 2)
Hb A2 (α2 δ 2)
Fig. 5. Lo switch globinico tessuto-dipendente. La figura descrive la
variazione dell’espressione globinica beta-like, che a seconda dello stadio di
sviluppo avviene in distretti differenti. E’ rappresentata, inoltre, la
composizione delle emoglobine prodotte nell’uomo dall’embrione, dal feto e
dall’adulto con i rispettivi siti eritropoietici [Figura tratta da: Grosveld, van
Assendelft, Greaves and Kollias. Cell, 51, 975-985, 1987].
13
L’importante differenza che contraddistingue i geni alfa-like da quelli beta-like
risiede nel fatto che i primi sono sottoposti ad un unico intervento di switch durante lo
sviluppo e non subiscono cambiamenti dopo la nascita [10].
Sulla base degli esperimenti condotti su cellule embrionali di pollo, è stato
osservato che cellule progenitrici isolate da embrioni di 23 ore, sintetizzavano
emoglobina per poi differenziarsi, dopo alcuni giorni, in eritroblasti. Isolando il DNA
sia dalle cellule progenitrici che dagli eritroblasti, è stata evidenziata una differenza
nell’attivazione dei geni globinici nei vari stadi di sviluppo. I geni espressi delle cellule
progenitrici differiscono da quelli espressi negli eritroblasti per diversi aspetti: diverso
grado di metilazione del DNA e diversa sensibilità agli enzimi e proteine non istoniche
associate. Per quanto riguarda la metilazione del DNA l’unica base che viene modificata
nei vertebrati è la 5-metil citosina, dove il dinucleotide CG (coppia citosina-guanina)
risulta metilato dal 20% all' 80% a seconda del tessuto e della specie. In particolare i
geni per le globine α e β risultano essere metilati nelle cellule progenitrici e ipometilati
negli eritroblasti, poichè uno scarso grado di metilazione è correlato con l’attivazione
della loro espressione. La diversa sensibilità agli enzimi di restrizione è stata accertata
con enzimi quali HPA II, che taglia in corrispondenza di siti non metilati, e MSPI, che
taglia sia siti metilati che non metilati. Questi enzimi riconoscono la sequenza CCGG e
presentano una specificità differente a seconda della metilazione o meno della citosina,
quindi la metilazione rende queste sequenze resistenti al taglio di HPAII, ma non a
quello di MSPI. E’ pertanto possibile, sulla base di questo principio, stabilire lo stato di
metilazione del DNA tramite indagini di Southern blotting.
Lo schema di espressione dei clusters globinici è sottoposto ad una regolazione,
durante la crescita, mediata dalla metilazione del DNA genomico. Tale modello di
metilazione viene costituito nelle prime fasi di sviluppo e mantenuto in maniera semiconservativa attraverso le varie divisioni cellulari [17]. La metilazione del motivo CpG
può agire come deterrente alla formazione del complesso di pre-iniziazione o impedire
l’accesso dei fattori di trascrizione e, indirettamente, contrastare il rimodellamento della
cromatina. E’ stato dimostrato che il DNA allo stato metilato richiama proteine di
legame sui siti metilati, che interagiscono così con le istone-deacetilasi, le quali hanno
un ruolo nello stato di alterazione della cromatina. Solitamente le aree di cromatina allo
stato attivo si presentano scarsamente metilate e la metilazione delle isole CpG nelle
regioni promotrici è associata ad una perdita di ipersensibilità al taglio della DNasi I.
14
Perciò, quando è metilata, la cromatina di un locus genico è allo stato inattivo e
trascrizionalmente silente. Bisogna però considerare che il gene umano per la β-globina
non possiede regioni CpG, quindi la metilazione non dovrebbe essere responsabile del
rimodellamento strutturale della regione contenente questo gene [8].
Diversamente da quanto avviene per il gene codificante le globine β, il
silenziamento del gene per le γ sopravviene dopo la nascita indipendentemente
dall’attivazione di altri geni del cluster ed è presumibilmente mediato dal legame di
fattori specifici a sequenze fiancheggianti i geni stessi. Il meccanismo con il quale il
silenziamento del gene per le γ-globine viene mantenuto nel tempo risulta essere meno
chiaro, ma, probabilmente, il cambio dello loro stato di mutilazione, che accompagna lo
switch, potrebbe essere coinvolto. Infatti, il gene per le γ-globine, si trova in uno stato di
ipometilazione durante lo stadio fetale in cui è espresso ad alti livelli, mentre è
completamente metilato dopo il suo silenziamento. E’ di spiccato interesse
l’osservazione, effettuata su sia nell’uomo che nei babbuini trattati con l’agente
demetilante 5-azacitidina, secondo la quale si ha una riattivazione dell’espressione di
gamma
globine;
questo
suggerirebbe
che
la
metilazione
sia
responsabile
dell’inattivazione dell’espressione genica a carico del gene per le catene γ [18].
Più in generale, la presenza di gruppi metilici funge da segnale molecolare, con la
funzione di dirigere la conformazione del DNA verso una forma inaccessibile della
cromatina e di determinare la locale deacetilazione degli istoni H3 e H4. In seguito a
queste osservazioni, è stato postulato che la metilazione sia un meccanismo che causa la
repressione basale della trascrizione. In accordo con queste premesse, molti geni tessuto
specifici sono metilati nella maggior parte degli istotipi cellulari, ma subiscono processi
di demetilazione in seguito allo sviluppo nelle cellule dove la loro espressione risulta
specifica.
Concentrare l’attenzione sullo studio del locus della β-globina sul cromosoma 11, è
considerato una strategia utile per indagare i meccanismi di metilazione-demetilazione
connessi alla regolazione dell’espressione dei geni. Nelle cellule non-eritroidi, l’intero
locus genico viene replicato nella tarda fase S del ciclo cellulare e incluso in una
regione di cromatina molto impaccata ed insensibile alla DNAasi, dove tutti i geni
risultano essere metilati. Per contro, durante il differenziamento specifico in senso
eritroide, l’intero locus è sottoposto ad un processo di “apertura”, divenendo replicabile
15
e DNAasi sensibile, ma solo alcuni dei geni subiscono demetilazione e diventano di
conseguenza trascrizionalmente attivi.
Gli effetti della metilazione sull’espressione genica sono stati indagati anche
usando un transgene globinico inserito in cromosoma di lievito YAC (Yeast Artificial
Cromosome), contenente l’intero locus umano per la β-globina, che è stato dimostrato
essere opportunamente regolato nel topo. E’ stato possibile osservare i risultati derivanti
dalla metilazione sulla trascrizione del gene per le catene γA, sia in cellule eritroidi che
non eritroidi, e si è concluso che il quando demetilato viene espresso a livelli fino a 20
volte superiori rispetto alla sua copia metilata. Questi risultati concordano con quanto
scoperto sull’inibizione della trascrizione del gene per le globine γA in seguito a
metilazione in fibroblasti transfettati.
La metilazione del DNA causa, inoltre, deacetilazione degli istoni e questo sembra
essere un ulteriore meccanismo di inibizione dell’espressione genica. Il promotore del
gene per le globine γA, nelle cellule non eritroidi, è incluso in nucleosomi contenenti
l’istone H4 deacetilato, similmente a quanto riscontrato per altri geni la cui espressione
è repressa. Straordinariamente, in assenza di metilazione, questa stessa regione viene
acetilata, raggiungendo gli stessi elevati livelli, probabilmente come risultato
dell’associazione di proteine di legame a geni trascrizionalmente attivi nelle cellule
eritroidi, come il gene per la β-actina o quello per la β-globina. Risultati analoghi sono
stati osservati per l’istone H3, già noto per essere correlato con l’attività genica. Quanto
riscontrato suggerisce che sia proprio la metilazione del DNA a giocare un ruolo
dominante nel causare o mantenere l’acetilazione degli istoni in quel determinato locus
[17].
1.c. Ruolo dell’LCR nella regolazione dell’espressione dei geni globinici.
Uno dei principali e più interessanti fenomeni a carico del cluster β è l’evento
caratterizzato dalla soppressione dell’espressione del gene per le γ-globine
contemporaneamente all’aumento dell’espressione del gene per le β-globine. La piena
comprensione di questo processo ha importanti implicazioni dal punto di vista
terapeutico per il trattamento della β-talassemia e dell’anemia falciforme; considerando
il fatto che, dal punto di vista funzionale, la γ-globina può sostituire il prodotto di un
16
difetto genetico del gene per le β-globine, ogni progresso nella comprensione dei
meccanismi caratterizzanti lo switching globinico è oggetto di studio per derivarne un
potenziale beneficio terapeutico nel trattamento delle patologie sopra considerate.
Gli studi iniziali sulla regolazione dell’espressione dei geni globinici erano
focalizzati principalmente sulla relazione tra la l’LCR ed i singoli geni β-like, tramite
l’analisi della funzione di ampi frammenti del locus in topi transgenici, ma anche i
singoli siti ipersensibili all’interno della stessa LCR sembrano rivestire ruoli differenti
nel rimodellamento della cromatina e nel controllo dello switching globinico.
Esperimenti condotti su topi transgenici, trasdotti con costrutti contenenti sia
porzioni che l’intero locus umano per la β-globina, hanno portato a intuire la presenza
di un cis-controllo dello switching globinico: l’osservazione di elementi di regolazione
associati in “cis”, che controllano l’espressione dei geni beta-like ha rivelato una
molteplicità di motivi attivatori o repressori dell’espressione dei geni globinici ad ogni
appropriato stadio dell’accrescimento. Diversamente dall’LCR, gli elementi agenti in
cis svolgono funzione locale su regioni vicine di cromatina; in contrasto, LCR agisce su
lunghe distanze per attivare l’espressione dei geni globinici. Questi elementi cisregolatori sono rappresentati da:
1. Silencer: legano complessi proteici che interferiscono con l’attività del
promotore causando la riduzione dell’espressione genica. Un elemento silenziatore
posizionato distalmente nel promotore del gene per le ε-globine controlla la repressione
autonoma della loro espressione durante lo stadio fetale ed adulto. Le proteine GATA1
e YY1 costituiscono almeno due delle componenti comprese nel complesso di
repressione [19]. Inoltre, due elementi DR (direct repeat), localizzati prossimalmente,
nel promotore del gene per le ε-globine, legano una proteina di recente identificazione,
chiamata DRED (direct repeat erythroid-definitive binding protein), il cui legame
sembra interferire con il legame del fattore EKLF (erythroid Kruppel-like factor) al
promotore, provocando il silenziamento definitivo del gene per le globine ε in età
adulta.
2. Insulator: creano domini funzionali indipendenti che bloccano gli effetti negativi
esercitati dall’eterocromatina circostante, senza tuttavia intensificare o attivare la
trascrizione genica, e disturbano l’interazione tra un promotore ed un altro elemento di
regolazione solamente interponendosi tra questi. Gli elementi insulators possono,
inoltre, bloccare l’attività delle istone-deacetilasi. Infine, gli insulators facilitano
17
l’attività di elementi enhancers collocati internamente ad una regione di cromatina
aperta. Un’ipotesi è che l’LCR abbia funzione di insulator, perchè è stato dimostrato in
cellule eritroidi che essa fa esprimere transgeni correlati, in modo indipendente dalla
posizione occupata; in particolare, il sito ipersensibile 5’HS5 dell’LCR potrebbe
svolgere attività di insulator.
3. MARs (matrix attachment region) e SARs (scaffold attachment region): sono
elementi di DNA che promuovono il legame alla matrice nucleare con il risultato di
ottenere la formazione di loops in sequenze contigue del DNA. Questi elementi possono
costituire una barriera proteggendo il locus dagli effetti della cromatina circostante e
imporre una restrizione strutturale al rimodellamento della cromatina; per questi motivi
il loop di DNA potrebbe essere un bersaglio dell’attivazione trascrizionale. I MARs
hanno la funzione di proteggere il DNA dagli effetti mediati dagli elementi che
agiscono in cis nei loops attigui quando la cromatina si decondensa, oppure hanno la
funzione di tenere uniti assieme i cis-elementi regolativi dei loops vicini. Inoltre,
possono promuovere la giustapposizione di elementi cis-regolatori e di promotori genici
all’interno dello stesso loop.
Dal momento che la regione 5’HS5 presenta delle omologie con le regioni MARs si
può attribuirle tale attività; questa ipotesi è ulteriormente supportata dal fatto che,
quando LCR è posizionalmente invertita, 5’HS5 potrebbe isolare i geni globinici
dall’interazione con l’LCR, causando il silenziamento della loro espressione. Sebbene il
ruolo di 5’HS5 rimanga controverso, si può assimilare la sua funzione a quella di un
elemento silencer piuttosto che insulator.
4. Boundary elements: possono essere posizionati a vari livelli internamente al
locus e assumere un ruolo limitante l’espressione genica quando associati a proteine.
Questi elementi sono caratterizzati da tre principali proprietà: la loro associazione con
elementi insulators, il mantenimento di un equilibrio tra la conformazione aperta e
quella chiusa della cromatina e la presenza sia di elementi di sequenze del dominio
terminale che di proteine di legame [8].
Molteplici meccanismi d’azione sono stati proposti per chiarire la funzione
dell’LCR; i primi modelli, basati su esperimenti condotti su topi transgenici,
suggerivano che lo switching globinico avvenisse seguendo meccanismi di
competizione e che i geni prossimali avessero un’interazione preferenziale con la
sequenza LCR. Questi modelli non hanno mostrato tuttavia la modalità e la via d’azione
18
attraverso cui l’LCR prenderebbe contatto con i differenti geni globinici nel corso dello
sviluppo e della crescita [11].
Al centro di indagini più recenti sono state considerate sia l’azione esplicata
dall’LCR sul rimodellamento della cromatina, che il meccanismo attraverso il quale la
struttura della cromatina influisce sull’espressione genica. La cromatina è un
impaccamento ordinato di DNA in complessi chiamati nucleosomi che coadiuvano il
corretto porzionamento del materiale genetico tra le cellule figlie. La cromatina svolge
la sua azione di controllo sull’espressione genica alternando la sua struttura tra le
conformazioni dette “aperta” e “chiusa”. La forma “aperta” è generalmente DNAasi I
sensibile e iperacetilata, mentre la cromatina “chiusa” è insensibile all’azione delle
DNAasi I e ipoacetilata. La sua struttura è influenzata, inoltre, da parametri come la
natura delle sequenze di DNA e dallo stadio del ciclo in cui la cellula si trova. I
meccanismi che realmente correlano la struttura della cromatina alla regolazione
trascrizionale rimangono tuttavia di difficile comprensione. Le proteine che attivano il
processo di trascrizione possono raggiungere il DNA senza sconvolgere la struttura
impaccata dei nucleosomi, oppure possono richiedere l’assistenza di co-fattori che
modificano i nucleosomi per rendere il DNA più facilmente accessibile.
Oltre al rimodellamento della cromatina, nel controllo della trascrizione, svolgono
un ruolo importante: l’acetilazione, la fosforilazione e la metilazione del DNA. E’ stato
dimostrato che molti fattori di rimodellamento dei nucleosomi, che modificano la
struttura del DNA istonico, come ad esempio il complesso SWI/SNF (switch/sucrose
non–fermenting) ed il complesso CBP/p300 (CREB binding protein) sono in grado
d’interagire con fattori eritro-specifici, influenzandone sia la conformazione che
l’attività. Ad esempio, il complesso SWI/SNF di lievito ed il complesso NURF
(nucleosome remodeling factor) della Drosofila sono implicati nel rendere accessibile il
DNA ad altri fattori di trascrizione e nel renderlo disponibile per l’attivazione
trascrizionale (Fig. 6) [8].
Per quanto concerne il coinvolgimento dell’LCR nell’apertura della cromatina, il
ruolo dell’LCR nella modulazione della struttura cromatinica del locus β è stato chiarito
da alcune mutazioni responsabili della talassemia nell’uomo. Ad esempio, la talassemia
ispanica è dovuta alla delezione di 35 kb che circondano l’LCR e di 22 kb a monte di
esso. In questi pazienti la conformazione del locus β è “chiusa”, esso è DNAasi I
resistente e trascrizionalmente inattivo, a dimostrazione del fatto che l’LCR è
19
effettivamente coinvolta sia nei processi di apertura della cromatina, che
nell’attivazione della trascrizione [8].
Fig. 6. Locus Control Region e regolazione dell’espressione globinica.
Sembra che il meccanismo molecolare attraverso il quale l’LCR dirige
l’espressione globinica sia la formazione di loops di DNA dovuti
all’interazione di complessi multipli DNA-proteina coi singoli promotori per le
diverse globine del cluster β secondo il modello schematizzato in figura.
Inoltre, è stato ipotizzato che i promotori per i geni globinici competano tra loro per
l’interazione con l’LCR durante il corso dello sviluppo. Applicando tale ipotesi allo
switching delle globine umane, si è supposto che durante il periodo fetale la
disponibilità di fattori specifici di quello stadio favoriscano l’interazione del gene per le
γ-globine con la sequenza LCR; mentre nel periodo adulto dell’eritropoiesi, fattori
specifici per l’età adulta avvantaggino l’interazione dell’LCR con il gene per le globine
β. Tuttavia, il meccanismo attraverso il quale LCR interagisce con i diversi geni
20
globinici non è ancora pienamente definito; a tal riguardo sono stati proposti quattro
differenti modelli.
Secondo il “looping model” l’LCR si ripiega in un olocomplesso, in cui i nuclei
degli HS formano un sito attivo legante fattori di trascrizione e le sequenze
fiancheggianti tali nuclei costringono l’unità integrata dell’olocomplesso ad assumere la
giusta conformazione. Questa struttura forma un occhiello (loop), cosicché l’LCR si
associa strettamente al promotore del gene prossimale e agli elementi enhancers per
portare proteine di trascrizione che interagiscono con l’apparato di trascrizione basale,
già legato al promotore, attivando l’espressione globinica (Fig. 7).
Fig. 7. Regolazione dell’espressione globinica. Sembra che il
meccanismo molecolare attraverso cui viene diretta l’espressione globinica sia
la formazione di loop di DNA dovuti all’interazione di complessi multipli
DNA-proteina coi singoli promotori dei geni per le diverse globine del cluster
β [Figura tratta dal sito internet:www.utpb.edu/.../regulation/8_28.gif].
Una variante di questo modello propone l’LCR come un recettore multiplo di
elementi che funge da fulcro e punto di snodo per coordinare l’azione di fattori implicati
21
nel rimodellamento della cromatina. Una volta iniziata l’attività di rimodellamento della
cromatina, LCR agisce direttamente sui geni situati a valle e ne facilita l’espressione.
Basandosi sull’evidenza che la delezione del nucleo 5’HS2 abolisce l’espressione
dei geni per le globine ε, γ e β, è stato proposto un modello secondo il quale le regioni
fiancheggianti rimanenti dell’HS2 sono in grado di interagire con le sequenze
fiancheggianti gli altri siti HS e assumere comunque la conformazione tipica
dell’olocomplesso. Se la delezione comprende sia il centro che le sequenze
fiancheggianti di HS2, l’espressione temporale dei geni rimane immutata, ma essa
avviene a livelli notevolmente ridotti. Ciò significa che i rimanenti siti HS sono
comunque capaci di adottare la conformazione dell’olocomplesso attraverso la
formazione di un sito attivo, ma che questo sarà leggermente meno efficente. Risultati
simili sono stati ottenuti in seguito alle osservazioni fatte dopo la delezione del nucleo
HS3 e di tal nucleo più le sequenze fiancheggianti; si è visto che il nucleo HS3 può
rimpiazzare dal punto di vista funzionale il centro di HS4, ma che non è possibile
realizzare il contrario.
Seguendo il “tracking model”, invece, fattori di trascrizione ausiliari e co-fattori
legano le sequenze dell’LCR formando un complesso di attivazione che migra in modo
lineare lungo il DNA. Quando il complesso di attivazione si imbatte nell’apparato di
trascrizione basale, situato sul promotore appropriato in base allo stadio di sviluppo, si
ottiene l’assemblaggio dell’apparato trascrizionale completo, evento dal quale consegue
l’inizio della trascrizione. Deacetilasi e metilasi interne al complesso riorganizzano la
cromatina dopo che il complesso ha attivato il processo di trascrizione, forse allo scopo
di limitare tale attivazione ad un particolare stadio di sviluppo.
E’ stato proposto, inoltre, un “facilitated-tracking model”, che combina insieme
aspetti appartenenti ai due modelli precedentemente descritti. Seguendo tale modello,
alcuni fattori trascrizionali sequenza-specifici legano le sequenze 5’HS dell’LCR ed il
complesso che ne deriva forma un loop in grado di prendere contatto con il DNA a
valle, in posizione prossimale rispetto al promotore del gene, dove il complesso di
fattori trascrizionali viene rilasciato. Successivamente, il complesso di attivazione slitta
fino a raggiungere gli elementi promotori appropriati e la trascrizione genica avrebbe
inizio.
Infine, il “linking model”, suggerisce l’esistenza di un legame stadio-specifico di
fattori di trascrizione e di proteine che facilitano la modificazione della cromatina. Il
22
legame sequenziale di fattori di trascrizione lungo il DNA dirige cambiamenti
conformazionali della cromatina e delimita il dominio trascrizionale. Questi fattori di
trascrizione sono associati l’uno all’altro e costituiscono un “ponte”che collega l’LCR al
promotore del gene tramite proteine non leganti il DNA e “modificatori” della
cromatina. Nel locus β-globinico questo complesso proteico continuo può agganciare in
modo specifico l’LCR al gene globinico β-like, che viene quindi trascritto [8].
I differenti modelli di funzionamento dell’LCR proposti sono stati riassunti e
schematizzati in Fig. 8.
Fig. 8. Modelli proposti per spiegare il meccanismo d’azione
dell’LCR nella regolazione dei geni globinici. Il gene viene indicato in figura
dal rettangolo verde, mentre il corrispondente promotore è in azzurro. I piccoli
box colorati rappresentano i quattro siti HS eritro-specifici. Le sequenze
fiancheggianti i siti HS sono descritte come loop tra i core degli HS stessi. Le
frecce viola simboleggiano la trascrizione e gli ovali e cerchi sono i fattori di
rimodellamento della cromatina [Figura tratta da: Susanna Harju, Kellie
J.McQueen, Kenneth R.Peterson- “Cromatin structure and control of β-like
globin gene switching”-Exp Biol Med Vol. 227 (9): 683, 700, 2002].
23
Il fatto che l’LCR esplichi la sua influenza mediante meccanismi di competizione,
suggerisce che essa sia incapace di interagire e stimolare l’attività di più geni
contemporaneamente. Questo può essere spiegato dal fatto che i singoli elementi HS
dell’LCR si uniscono tra loro per formare un complesso, che a turno li pone in contatto
con i differenti geni. Pertanto si è portati a pensare che i siti HS abbiano una diversa
specificità di sviluppo e che i geni competano per il legame ad un determinato elemento
specifico in base allo stadio di sviluppo del momento.
Recentemente sono stati condotti studi su topi transgenici per chiarire se i siti
ipersensibili dell’LCR interagiscono con i geni in modo differente gli uni dagli altri e se
effettivamente essi hanno un ruolo sviluppo-specifico. I risultati hanno dimostrato che il
comportamento individuale dei siti HS è differente nei confronti dei geni per le γ- e βglobine , supportando l’ipotesi che l’attività di LCR non sia neutrale, ma dipendente
appunto dallo stadio di accrescimento. Di notevole interesse è stata la scoperta che
identifica nell’HS3 l’unica porzione di LCR capace di dirigere l’espressione delle
globine γ nel fegato in età fetale; questo ha portato alla conclusione che HS3 possa
essere il sito per il quale i geni per le globine γ e β competono durante lo sviluppo nel
periodo fetale. Nello stadio adulto, quando è maggiormente attiva l’espressione del gene
per quelle di tipo β, è HS4 il sito formante interazioni più stabili col gene e che quindi
ne dirige l’espressione. La combinazione di queste osservazioni sperimentali porta alla
conclusione che in concomitanza con lo switch tra le globine γ e β, durante il passaggio
feto-adulto, avviene anche uno switch funzionale tra i siti HS3 e HS4 [10].
1.d.
Fattori
trascrizionali
e
proteine
coinvolte
nella
regolazione
dell’espressione dei geni globinici.
Sebbene i meccanismi molecolari caratterizzanti l’espressione differenziale dei
geni globinici non siano ancora pienamente e completamente chiari, sono coinvolti in
maniera decisiva e importante sia elementi promotori situati a monte dei geni, che
enhancers con attività eritro-specifica. Questo ruolo essenziale potrebbe essere mediato
dall’azione di diverse interazioni proteina-DNA o proteina-proteina, come è stato già
dimostrato per altri sistemi di regolazione genica eucariota. Di conseguenza,
24
l’identificazione di sequenze leganti fattori di trascrizione, rappresenta un passo
essenziale per la comprensione del meccanismo di switching globinico [7].
Anche i vari stadi del ciclo cellulare sono responsabili del diverso grado di
accessibilità di un gene agli stessi fattori di trascrizione; durante il rimodellamento della
cromatina, infatti, avviene l’acetilazione degli istoni, che cambia nei diversi momenti
del ciclo cellulare ed è legata alla sua progressione. L’acetilazione avviene a livello dei
residui di lisina interni agli istoni e neutralizzandone il carattere basico si causa
l’alterazione dell’intera struttura del DNA; la distruzione del contatto tra DNA e
nucleosoma, permette l’accesso ai fattori di trascrizione e apre l’opportunità che
conduce all’attivazione trascrizionale.
Similmente all’acetilazione, il processo di fosforilazione dell’istone H3 interrompe
l’interazione DNA-nucleosoma e aumenta la possibilità di accesso dei fattori di
trascrizione al DNA. La fosforilazione di H3 è mediata dalla MAP chinasi e coincide
con il momento dell’espressione genica precocissima; l’attività della MAP chinasi viene
indotta in seguito a fattori di stress come ad esempio temperature elevate, cambio di
osmolarità, mancanza di nutrienti o diminuzione di ossigeno.
Con esperimenti di footprinting è stato possibile indagare un eventuale
coinvolgimento ed il ruolo della metilazione del DNA in queste interazioni proteinaDNA. In effetti, è stato osservato e concluso che queste interazioni specifiche sono
ostacolate e impedite a livello dei nucleosomi a causa della locale deacetilazione degli
istoni mediata dalla metilazione del DNA [17]. Tuttavia, anche la fosforilazione
rappresenta un modo per regolare l’attività dei fattori di trascrizione. Un esempio è
rappresentato dai fattori GATA-1 e NF-E2 (nuclear factor erytroid 2), che risultano
fosforilati, ma per quanto riguarda GATA-1 questo non sembra influenzarne il legame
al DNA, mentre la fosforilazione di NF-E2, mediata dal complesso Ras-Raf-MAPK,
aumenta l’efficienza di legame ATP-dipendente di questo fattore al promotore genico
per le β-globine e al sito 5’HS2 dell’LCR [8].
Uno dei principali meccanismi effettori dell’espressione globinica nelle cellule
eritroidi è mediato dalla presenza e dall’azione di fattori di trascrizione altamente
specifici come GATA1,CP1/NF-Y (leganti il CAAT box) e NF-E3 (nuclear factor
erytroid 3), che riconoscono definite sequenze presenti in diversi siti del locus
globinico, incluso il promotore del gene per le γA.
25
Sia l’LCR che i cis-elementi hanno la funzione di fornire siti di legame per i fattori
proteici e favorire l’accesso a queste sequenze di DNA direttamente in corrispondenza
dei siti HS, ma nella cascata della regolazione genica degli eucarioti, anche gli elementi
che agiscono in trans giocano un ruolo importante [8]. Il maggior passo in avanti in
questo campo d’indagine è relativo alla scoperta di nuovi fattori di trascrizione regolanti
l’espressione genica delle globine γ e β durante le diverse fasi di sviluppo [6]. Il
silenziamento competitivo, durante lo stadio fetale, del gene per le catene β da parte di
un gene per le γ ad esso correlato, sembra essere mediato in parte da SSE (stage selector
element), un elemento localizzato in una regione a -50 dal promotore del gene per le γglobine. SSE giace in posizione immediatamente adiacente al γ-TATA box e viene
riconosciuta e legata da un complesso di fattori di trascrizione fetali/eritroidi noto come
SSP (stage selector protein). La sequenza SSE contribuisce, sia in linee cellulari umane
che in modelli murini, all’espressione preferenziale del gene per le γ-globine; questa
sequenza permette infatti l’interazione preferenziale di questo promotore genico con il
sito ipersensibile HS2 dell’LCR causando il silenziamento del promotore genico per le
β-globine. L’attività della sequenza SSE è stata correlata con il suo legame da parte
della proteina SSP (SSE binding protein), fatto enfatizzato anche da studi di footprinting
filogenetici ed evoluzionistici che hanno dimostrato la perdita dei siti di legame per SSP
nelle specie non esprimenti γ-globina allo stadio fetale [18, 20]. SSP costituisce un
complesso che include la proteina ubiquitaria CP2 (CAAT binding protein 2), riconosce
la sequenza SSE del promotore del gene per le globine γ e lega il motivo CAAT
formando un eterodimero con una proteina partner del peso di 45 kD. Con tecniche di
co-immunoprecipitazione è stata recentemente identificata questa proteina denominata
NF-E4 (nuclear factor erytroid 4) [11]. CP2, appartenente alla famiglia di geni
“grainhead” della Drosophila, lega come dimero il motivo CNRG(N5-6)CNRG sul
DNA, presente in vari promotori cellulari e virali, e consiste in omo/eterodimeri di
molteplici isoforme proteiche, prodotte in seguito a fenomeni di splicing alternativo dai
differenti loci genici LBP-1c e LBP-1a. CP2 sembra essere coinvolto nell’espressione
eritroide fetale del gene γ-globinico attraverso la formazione di un dimero con la sua
controparte NF-E4 [21]. Quest’ultimo, la cui attività è eritro-specifica, sembra conferire
la specificità di legame all’SSE e la preferenziale attivazione del promotore del gene per
le γ rispetto al quello per le β-globine [18]. Infatti, nei precursori eritroidi isolati da
26
sangue derivato da cordoni ombelicali, il gene per le globine β risulta soppresso, mentre
l’espressione genica per le γ aumenta; mentre è stato dimostrato che in presenza di
NF-E4 l’interazione del promotore del gene per le β-globine con l’LCR viene
avvantaggiata e altri fattori necessari all’espressione del gene pee le γ-globine
diminuiscono progressivamente durante lo stadio adulto [11, 20].
Il sito di legame per il fattore di trascrizione ubiquitario CP2 si trova in una zona
adiacente a quella riconosciuta e legata dal fattore GATA-1, che riveste una notevole
importanza dal punto di vista funzionale, soprattutto per quanto riguarda l’attività di
altri promotori di geni relati al differenziamento eritroide, come EKLF ed NF-E2. Il
CP2 lega la regione enhancer di GATA-1 HS2, generando così un complesso ternario
con GATA-1 e il DNA. Anche in altri geni appartenenti alle cellule della linea
emopoietica i siti legati da GATA-1 e da CP2 sono situati in posizione adiacente.
Tuttavia l’interazione fisica tra i due fattori è risultata indipendente dalla presenza del
DNA, come dimostrato con esperimenti di immunoprecipitazione. Il ruolo comune
svolto dai due fattori di trascrizione suggerisce la possibilità che la loro attività venga
esplicata mediante un meccanismo di cooperazione reciproca [21].
Tra i vari fattori proteici coinvolti nell’espressione sviluppo-specifica delle cellule
eritroidi, uno è rappresentato da EKLF (erytroid Kruppel-like factor), un fattore di
trascrizione contenente motivi a “zinc finger”, il quale lega con alta affinità il motivo
CACCC appartenente al gene per le catene β e, per contro, dimostra invece una scarsa
forza di legame per la stessa sequenza CACCC presente in quello per le catene γ,
provocando di conseguenza un’attivazione preferenziale delle β-globine; pertanto EKLF
è considerato un regolatore specifico dell’espressione specifica di questo gene in età
adulta [6].
L’mRNA di EKLF è stato isolato per la prima volta da cellule eritroidi e questo ha
dimostrato che esso è un fattore eritro-specifico [22]. Essendo il fattore EKLF
maggiormente espresso negli stadi avanzati dello sviluppo, esso si comporta come un
fattore di switching verso lo stadio adulto [6]. Sembra infatti che esso sia coinvolto
quantitativamente nello switch e nella competizione tra i geni globinici γ e β. Il CACCC
box sembra però non essere l’unico sito di legame per EKLF, infatti anche il sito 5’HS3
dell’LCR può costituire un bersaglio di legame per questo fattore [8]. Inoltre, sono stati
condotti degli esperimenti in vivo e in vitro per dimostrare che EKLF è una
fosfoproteina la cui proprietà di legame al DNA nell’attivazione trascrizionale è
27
dipendente dal suo stato di fosforilazione (tra le chinasi coinvolte in questa funzione di
particolare interesse è la caseina chinasi II) [22].
Ricerche compiute nel corso degli ultimi anni hanno attestato che vi sono anche
altri fattori, oltre ad EKLF, influenzanti la corretta trascrizione di β-globine; tra questi è
stata identificata una nuova proteina "zinc-finger", chiamata UKLF (ubiquitans-kruppellike-factor). La porzione carbossi-terminale di UKLF contiene tre regioni a "zincfinger" di tipo Cys2-Hys2 e si lega in vitro alla sequenza CACCC del promotore della
β-globina e alla sequenza riconosciuta da Sp1, mentre la porzione ammino-terminale di
UKLF è caratterizzata da una regione idrofobica ricca in serine e da un segmento carico
negativamente con molti residui di acido glutammico. I primi 47 aminoacidi della
regione acida sono molto simili alla porzione ammino-terminale di un altro fattore
"kruppel-like", CPBP o ZF9 (core-promoter-binding-protein). Come ZF9, anche UKLF
può funzionare da attivatore trascrizionale, attività che viene persa quando la parte
ammino-terminale altamente conservata viene deleta [22].
Direzionando la ricerca verso l’individuazione di fattori fetali con azione simile a
EKLF sono stati isolati altri due fattori: FKLF (fetal Kruppel-like factor), attivo
principalmente sul gene per le ε-globine, e FKLF-2, la cui attività è diretta verso il gene
per quelle di tipo γ. Tuttavia il ruolo rivestito da questi due fattori nel processo dello
switching necessita di ulteriori chiarimenti, poiché la loro espressione non sembra
esseere eritro-specifica [6]. FKLF ha la capacità di incrementare, in modo
predominante, l’espressione genica di ε e, in minor misura, di γ, ma non riesce però ad
attivare altri geni eritroidi contenenti CACCC o GC box. Ultimamente è stato
identificato e clonato un nuovo fattore, FLKF-2, un forte trans-attivante, che aumenta
l’espressione del gene per le γ-globine di oltre 40 volte, sei volte la trans-attivazione
operata da FKLF. FLKF-2, però, non è un attivatore specifico dell’espressione del gene
per le globine γ, in quanto ha dimostrato di essere in grado di attivare anche i geni per le
ε e β attraverso il TATA box o una sequenza vicina, sebbene in misura minore [11].
Come già precedentemente descritto, la regolazione dell’espressione dei geni
globinici costituisce un interessante quanto elaborato modello di studio; tale regolazione
subisce l’influenza esercitata dall’LCR che possiede sequenze per il legame sia di fattori
eritro-specifici, che fattori regolativi più generali, come Sp1. La formazione di un sito
trascrizionalmente attivo a livello della cromatina riguarda sia modificazioni istoniche,
che un cambio dinamico dei fattori di trascrizione coinvolti. Tramite l’analisi condotta
28
su fegati di feto umano si è indagato il grado di reclutamento di FKLF-2, Sp1 e fattori
correlati al locus globinico β umano, allo scopo di investigare e comprendere a pieno la
funzione svolta dal fattore di trascrizione Sp1. La proteina ubiquitaria Sp1, contenente
dei motivi a “zinc-finger”, è uno dei fattori di trascrizione appartenenti alla famiglia
Sp1/XKLF che legano sequenze ricche in GC e GT box; tali motivi possono essere
riscontrati in varie sequenze regolative tessuto-specifiche, come quelle appartenenti al
promotore β-globinico. Sono stati descritti più di venti membri appartenenti a questa
famiglia e tutti quanti presentano un dominio di legame con il DNA avente un motivo a
“zinc-finger” Cys2Hys2 conservato, che si trova all’estremità carbossi-terminale.
Inoltre, tutti i fattori della famiglia riconoscono gli stessi GC e GT box, sequenze molto
importanti in quanto coinvolte nell’espressione di geni tessuto-specifici, geni
housekeeping e geni virali.
Al fianco di fattori espressi ubiquitariamente come Sp1, Sp3 e UKLF, questa
famiglia comprende una serie di proteine come LKLF e BKLF che sono espresse in
maniera tessuto-specifica. Perciò, è probabile che il controllo esercitato da tali fattori
sulla trascrizione genica derivi da una competizione o da una loro cooperazione per
l’interazione con gli stessi siti di legame. Un caso molto esemplificativo a tal proposito
è quello di BKLF e EKLF, entrambi fattori eritro-specifici: EKLF attiva la trascrizione
del gene per le β-globine, mentre BKLF, un repressore della trascrizione di ε-, γ- e
β-globine, mantiene l’opportuno livello di espressione dei geni globinici beta-like.
I risultati analizzati hanno portato a pensare che nelle cellule eritroidi progenitrici
che non esprimono geni globinici, i GC e GT box dell’LCR siano occupati dal legame
con Sp1, che richiama l’azione dell’istone-deacetilasi-1 (HDAC1) e mantiene la
cromatina in uno stato strutturale “chiuso” e, allo stesso tempo, impedisce a FKLF-2 di
svolgere la sua funzione e di reclutare l’istone acetiltransferasi (PCAF) [23].
Nel corso dell’ematopoiesi, il fattore Sp1 viene fosforilato al terminale amminico e
questo evento porta come risultato un aumento nella trascrizione genica, mentre la
fosforilazione della treonina in posizione 579 è correlata direttamente all’inattivazione
di Sp1. Infatti, il fattore nella forma fosforilata viene spiazzato dal suo legame a favore
di FKLF-2 con conseguente attivazione di PCAF che, acetilando gli istoni, attiva la
trascrizione del gene per le globine γ [23].
Un simile meccanismo potrebbe essere coinvolto nell’espressione genica di catene
β durante l’età adulta; la perdita del legame Sp1 alla sequenza LCR permetterebbe a
29
EKLF di richiamare l’olocomplesso composto da altri fattori di trascrizione ed elementi
di inizio trascrizione β-globinica. E’ stato notato che l’acetilazione degli istoni differisce
a seconda della regione coinvolta; infatti, dopo l’induzione dell’acetilazione, nel sito
HS2 si è osservato l’incremento dell’acetilazione del solo istone H3, mentre per quanto
riguarda il sito ipersensibile HS3, sia l’istone H3 che l’H4 subiscono acetilazione.
Questa evidenza sperimentale suggerisce che istoni di regioni differenti, vengono
acetilati in tempi diversi e reclutano fattori di trascrizione differenti, per assemblare
insieme in modo sequenziale il complesso di pre-iniziazione [24, 25, 26].
Il legame di Sp1 è coinvolto, inoltre, nel mantenimento dello stato silente del gene
per le β-globine; sia Sp1 che EKLF, infatti, se legati all’LCR possono causare la
repressione del processo di apertura e dispiegamento dell’eterocromatina nelle cellule
eritroidi. Il sito HS5 dell’LCR sembrerebbe essere un elemento insulator nel locus β,
fatto supportato anche dall’evidenza di un suo legame con Sp1, che porta ad impedire
l’allargamento della struttura dell’eterocromatina al di fuori del locus, mentre ne
mantiene la conformazione aperta in corrispondenza dei siti HS2, HS3 e HS4, cosicchè
ad essi sia permessa l’interazione con il promotore per le β-globine mediante fattori di
trascrizione [23].
Gli effetti esplicati dall’associazione dei fattori Sp1 e Sp3 sono apparentemente
variabili nei diversi geni; Sp1 può agire, ad esempio, come attivatore dell’espressione di
geni housekeeping sui quali, al contrario, Sp3 agisce da repressore. D’altronde, nelle
cellule somatiche umane, Sp1 e Sp2 cooperano per l’interazione con il promotore al fine
di reprimere la trascrizione del gene umano della telomerasi-trascrittasi-inversa,
similmente a quanto si è osservato per il locus β umano. In tessuti differenziati come
cervello, polmoni e fegato, Sp1 ha dimostrato di essere in forma altamente fosforilata
per rilasciare l’inibizione della trascrizione dei geni tessuto-specifici. Al contrario, nelle
cellule tumorali o nelle cellule di fegato in rigenerazione, Sp1 si presenta defosforilato,
in modo tale che il suo legame sia possibile e che inibisca così l’espressione genica
tessuto-specifica e il differenziamento finale di queste cellule [27].
Esperimenti condotti su topi knockout, hanno evidenziato che la maggior parte dei
geni
contenenti
siti
di
legame
per
Sp1
si
esprimono
normalmente,
ma
contemporaneamente è stata osservata morte prematura degli embrioni. Senza la
repressione esercitata da Sp1, fattori tessuto-specifici che agiscono in trans come
FKLF-2 e EKLF, possono attivare prima del tempo la trascrizione genica tessuto-
30
specifica; negli embrioni, questa espressione genica inappropriata, conduce alla morte
nei primi stadi di sviluppo [23].
Un ruolo di influenza sullo switching emoglobinico potrebbe essere giocato anche
da COUP-TFII o NF-E3 (chicken ovalbumin upstream promoter-transcription factor
II), un recettore “orfano” per l’acido retinoico, che corrisponde all’attività eritrospecifica di legame di NF-E3 [6]. Esso ha sia funzione di repressore che di attivatore ed
è coinvolto nello switching globinici, dove reprime l’espressione del gene ε nelle cellule
eritroidi fetali. E’ stato osservato nei topi che COUP-TFII lega, sui promotori dei geni
per le catene ε e γ, gli stessi siti di DRED (direct repeat erytroid definitive protein), un
repressore del gene per le ε, che sembra impedire il legame di EKLF al suo promotore
causando
il
silenziamento
definitivo
di
tale
gene
durante
l’eritropoiesi.
Conseguentemente a tale legame COUP-TFII favorisce la repressione dell’espressione
di tali geni e il suo ruolo nel silenziamento del gene ε è dimostrato anche dagli alti
picchi di questo fattore registrati nei topi al momento dello switch evolutivo tra feto e
adulto [8].
TFII-I e USF sono proteine ubiquitarie con motivo a “elica-loop-elica”, coinvolte
nella regolazione della trascrizione di geni contenenti E-box o sequenze iniziatrici.
USF1 e USF2 sono proteine strettamente correlate che interagiscono con il DNA
sia come omo- che come eterodimeri. Essi legano motivi E-box, situati nelle vicinanze
o talvolta a valle di siti di inizio della trascrizione, e aiutano la formazione dei
complessi di trascrizione. Una recente indagine genomica condotta su geni di
Drosophila ha rivelato che essa contiene nel genoma elementi E-box localizzati a circa
60 bp a valle rispetto al sito di inizio della trascrizione [28].
USF e TFII-I possono agire tanto da attivatori, quanto da repressori della
trascrizione, in dipendenza dalle proteine con cui interagiscono e dalle sequenze
promotrici con le quali prendono contatto. TFII-I, in particolare, agisce complessandosi
con l’istone deacetilasi 3 (HDAC3) e, insieme a questa, lega il promotore del gene per
le globine β. Questo è coerente con l’osservazione che l’acetilazione della regione
promotrice del gene β risulta fortemente ridotta nelle cellule eritroidi con fenotipo
embrionale [29].
Dopo aver verificato l’interazione di entrambi i fattori con il nucleo del promotore
genico per le β-globine, sia in vivo che in vitro, si è osservato che il contatto preso da
31
TFII-I è maggiore nelle cellule eritroidi in cui il gene per le β risulta represso [30].
Inoltre, è stato possibile dimostrare, con esperimenti successivi, che la riduzione
dell’attività di TFII-I porta a una de-repressione del gene per le catene β nelle cellule
eritroidi [29].
Essendo l’interazione di TFII-I più pronunciata nelle cellule in cui il gene per le
globine β non viene espresso, si è concluso che tale fattore agisca come repressore
dell’espressione di questo gene. In contrasto con questo fatto, USF1 e USF2
interagiscono efficacemente con il gene β-globinico nelle cellule in cui tale gene viene
espresso. Altri studi hanno dimostrato che USF interagisce con un E-box
funzionalmente importante localizzato presso l’HS2 dell’LCR [29].
NF-E2, appartenente alla famiglia delle proteine “basic-region-leucina zipper”,
venne identificato inizialmente in estratti di cellule eritroidi umane e di altri animali;
essa è una proteina di legame eritro-specifica che riconosce motivi AP1-simili
dell’5’HS2 dell’LCR [2].
Questo fattore di trascrizione è un eterodimero composto da proteine che
presentano motivi a “leucina-zipper”: la subunità “p45 di NF-E2” di 45 kD, mentre
la”p18 small Maf protein” pesa18 kD; oltre a questa sono coinvolte nel processo
dell’eritropoiesi almeno altre tre small Maf protein: Maf G, F e K. Entrambe le subunità
appartenenti a NF-E2 sono specifiche per linee cellulari ematopoietiche. Il legame di
NF-E2 al DNA sembra essere stimolato in modo specifico dall’azione della Ras-Raf
MAP chinasi. Le proteine Maf, allo scopo di legare la subunità p45 di NF-E2, possono
legare altre proteine denominate MAREs (Maf recognition elements), formando
omodimeri, oppure eterodimeri in associazione a fattori di trascrizione non eritroidi
come Fos, coinvolto nell’espressione di geni precocissimi in svariate linee cellulari [31].
L’interazione delle differenti componenti proteiche Maf con la subunità p45 è alla base
della modulazione del potere di trans-attivazione esercitato dal complesso NF-E2;
inoltre, la competizione tra Fos, NF-E2 e altri fattori di trascrizione per l’interazione con
le subunità Maf può essere considerato uno dei meccanismi alla base del
differenziamento nelle cellule eritroidi [8].
Mediante studi funzionali è stato stabilito che la presenza di siti di legame per
NF-E2 e MAREs all’interno della β-LCR, è importante per l’attivazione trascrizionale
e per la formazione dei siti ipersensibili nella stessa LCR [8].
32
Topi omozigoti per la delezione del gene codificante la subunità p45 muoiono
immediatamente dopo la nascita per trombocitopenia, sebbene la loro espressione
globinica risulti essere normale; questo fatto suggerisce, evidentemente, l’esistenza di
un’altra proteina che può sostituire funzionalmente p45 nel ruolo che essa riveste
nell’attivazione della sintesi globinica [32]. Come possibili sostituti funzionali della
porzione p45 de NF-E2 nei topi, sono state proposte le due proteine “cap’n’collar”
Nrf-1 e Nrf-2 [8].
L’attivazione della subunità p45 è stimolata, sia nelle cellule eritroidi che non,
dalla serin-treonin-chinasi PKA (protein-chinasi AMPc-dipendente). Lo schema di
trasduzione del segnale mediato dall’AMPciclico, ha dimostrato essere in grado di
promuovere la produzione di emoglobina nelle linee cellulari sensibili all’eritropoietina,
mentre la PKA si è rivelata necessaria per l’espressione genica eritroide. L’attivazione
di p45 da parte della PKA richiede solo la trans-attivazione del terminale amminico del
dominio p45 [33].
In aggiunta, NF-E2, è in parte regolata dalla protein chinasi C (PKC), che influenza
anche l’attività enhancer della sequenza 5’HS2 dell’LCR; la presenza di sequenze di
legame in tandem per NF-E2 all’interno dell’LCR è importante per mediare questo
segnale a cascata. NF-E2 può modulare la trascrizione attraverso l’interazione diretta
con l’apparato di trascrizione basale TATA-binding protein-associated factor
(TAFII130). Questo suggerisce che ci possa essere una diretta interazione fisica tra
fattori di trascrizione legati al β-LCR e l’apparato di trascrizione basale legato al
singolo promotore mediante NF-E2 [33].
E’ stato provato che l’interazione tra la
proteina CBP/p300 (CREB binding
protein) e NF-E2 ha come effetto l’aumento dell’attività di CBP/p300 nucleosomal HAT
(istone acetil transferasi) e, di conseguenza, l’acetilazione di NF-E2; perciò il fattore di
trascrizione eritroide NF-E2 influenza l’attività del complesso di rimodellamento della
cromatina CBP/p300; NF-E2 può essere considerato quindi un iniziatore generico
dell’espressione globinici [34].
L’ultimo fattore coinvolto nello switching è il fattore PYR, un complesso di
parecchie proteine chiamato SWI/SNF (switching and/or sucrose non fermentator), che
promuove il rimodellamento e la modificazione della cromatina. Il complesso
SWF/SNF è implicato nella regolazione della struttura della cromatina per
assemblaggio e mobilitazione dei nucleosomi tramite rottura e ristabilimento dei
33
contatti esistenti tra istoni e DNA. Le subunità che compongono questo complesso sono
variabili, indicando un’elevata specificità nel controllo dei differenti loci genici [8].
PYR è un fattore coinvolto tipicamente nello stadio adulto dell’eritropoiesi e lega una
regione di DNA ricca in pirimidine che giace tra i geni per le globine γ e β, zona dalla
quale può reprimere l’espressione del gene per le globine γ ed attivare quella del gene
per le globine β; il suo legame è dipendente tanto dalla sequenza nucleotidica, quanto
dalla lunghezza della regione. Il complesso PYR può legare i boundary elements ε/γδ/β, influenzando il cambio della struttura cromatinica del locus durante lo switch tra γe β-globine [6,8]. La delezione della sequenza riconosciuta da PYR causa uno switching
prolungato e ritardato; la componente di PYR adibita a legare il DNA è rappresentata
dal fattore di trascrizione a “zinc finger” Ikaros, precedentemente noto come fattore
tipicamente linfoide e normalmente coinvolto nello sviluppo delle cellule B e T [6]. In
aggiunta, questo complesso comprende un elemento repressore, detto NURD
(nucleosome-remodeling deacetylase) che riveste sia la funzione di deacetilazione che
quella di rimodellamento dei nucleosomi [6,8].
Malgrado i numerosi studi rivolti ai promotori dei geni umani per le β- e γ-globine
e le conoscenze riguardanti i geni alfa-like, non sono disponibili altrettante informazioni
invece sul gene umano per le globine embrionali ε. Precedenti esperimenti di
trasfezione hanno dimostrato l’esistenza di una regione di DNA situata 180 bp a monte
del gene umano per le ε-globine in grado di dirigerne l’inizio di trascrizione sia in
cellule eritroidi che non. La definizione dei siti di legame per fattori nucleari che
ricadono all’interno della regione promotrice del gene per le catene ε è essenziale per la
comprensione dei meccanismi molecolari coinvolti nella regolazione dell’espressione di
tale gene. Nella sua regolazione sono coinvolti come minimo quattro differenti proteine
leganti il DNA: NF-E1, un fattore eritro-specifico, la proteina ubiquitaria εF1, un’altra
proteina ubiquitaria specifica per il legame al CACC box ed infine la proteina CBF [7].
E’ stato dimostrato che, similmente a quanto accade per la β-globina adulta, il
motivo CACCC del gene ε è essenziale come elemento promotore. Sono stati effettuati
esperimenti di footprinting con DNAasi I, sia in presenza di estratti nucleari che della
proteina purificata, che hanno confermato che Sp1 è la principale proteina legante il
motivo CACC. I risultati ottenuti hanno evidenziato inoltre il legame specifico di Sp1 al
CACC box del promotore per il gene per le globine fetali γ [7]. Il gene per le ε-globine
34
mantiene quindi, rispetto agli altri, una regolazione autonoma, attribuibile sia ai siti di
legame per Sp1 compresi in una regione di 200 bp a monte del gene, che a sequenze di
legame per GATA-1, avendo dimostrato un incremento dell’espressione di catene ε
dovuta a mutazioni nei siti per GATA-1, che fa pensare ad un suo ruolo come
repressore del gene stesso [6].
GATA-1 è un fattore di trascrizione eritro-specifico richiesto per lo switching
globinico e per la maturazione delle cellule eritroidi; esso appartiene alla famiglia di
fattori “GATA zinc-finger”, che è caratterizzata dall’abilità di legare la sequenza
consenso WGATAR. Siti di legame per GATA-1 sono stati trovati sui promotori dei
geni globinici e nei siti ipersensibili nel core dell’LCR 5’HS1-5. In dipendenza dal
contesto in cui si trova la sua sequenza di legame e dalla sua interazione con altre
proteine, le funzioni esplicate da GATA-1 possono essere sia di attivazione che di
repressione dell’espressione genica [8]. La regolazione trascrizionale operata da
GATA-1 è coordinata da molteplici elementi regolatori localizzati in 5’ rispetto al sito
d’inizio della trascrizione e all’interno del primo introne; questa regione regolativa,
riporta al suo interno un sito ipersensibile HS2 e un doppio motivo GATA, essenziale
per l’attività promotrice eritroide [21]. GATA-1 lega molti geni eritro-specifici, tra cui i
geni globinici, tanto che sono stati riscontrati nelle regioni 3’ e 5’ immediatamente
fiancheggianti il gene umano per la β-globina (Fig. 9), almeno sei diversi siti di legame
per GATA-1, ma la loro sola presenza non è di per sé sufficiente a garantire
un’espressione indipendente dalla posizione. I siti di legame per GATA-1 si trovano
molto vicini tra loro e la loro delezione dall’elemento promotore impedisce l’induzione
dell’espressione del gene per le β-globine dimostrando il coinvolgimento di GATA-1
nell’attivazione del meccanismo di trascrizione di questo gene [10].
Esperimenti recenti hanno dimostrato e messo in luce che la combinazione minima
richiesta per garantire un’espressione genica posizione-indipendente non dipende tanto
dalla vicinanza dei due siti di legame per GATA-1, quanto piuttosto dal fatto che
accanto a tali siti ci siano da entrambe la parti regioni particolarmente ricche in G,
spesso legate efficacemente dal fattore Sp1, fatto che implica il coinvolgimento anche di
questa proteina nella trascrizione eritro-specifica [10]. GATA-1 agisce da attivatore
quando lega il promotore genico per le γ-globine o i siti ipersensibili HS; sebbene esso
normalmente attivi l’espressione di ε-globine, funge anche da repressore per questo
35
stesso gene quando, in presenza del fattore ubiquitario YY1, lega il repressore genico
[19].
400 bp
Fig. 9. Modello di trascrizione genica globinica. La figura mostra
l’organizzazione dei siti di legame e dei fattori di trascrizione principali
coinvolti nella regolazione genica e descritti in dettaglio nel testo [Figura tratta
dal sito www.utpb.edu].
Il fattore GATA-1 omodimerizza e interagisce con altri fattori di trascrizione quali
SP1 e EKLF; inoltre, tra le proteine che interagiscono direttamente con GATA-1, è stato
identificato FOG (friend of GATA-1), il quale presenta nove domini “zinc fingers”, con
il sesto dei quali lega GATA-1, mentre non lega per niente il DNA. Il fattore FOG viene
co-espresso con GATA-1 durante lo sviluppo embrionale sia nelle cellule eritroidi, che
nei megacariociti. Analisi condotte su linee cellulari e topi transgenici privati di FOG,
hanno dimostrato che la mancanza di questa proteina conduce ad una eritropoiesi
primitiva difettiva [35, 36].
GATA-1 interagisce in vitro anche con CBP/p300 e questo legame causa un’estesa
rottura tra istoni e DNA, suggerendo che la formazione del complesso GATA-1/DNA è
una delle fasi fondamentali per l’interazione con i siti HS [8].
Il fattore denominato GATA-2, invece, è essenziale per l’ematopoiesi embrionale
ed è espresso in svariati tessuti, tra cui le cellule endoteliali. Nonostante GATA-1 e
GATA-2 riconoscano motivi simili, sembrano avere ruoli diversi nella regolazione del
gene per le β-globine. Nei precursori ematopoietici precoci, infatti, il fattore
36
maggiormente espresso è GATA-2, mentre nelle fasi tardive di sviluppo predomina
l’espressione di GATA-1. La perdita totale della funzione di GATA-2 causa un’anemia
embrionale mortale, dovuta ad un’ingente deficienza di cellule ematopoietiche primitive
e pluripotenti [37].
1.e. Il gene umano per le γ-globine.
Allo scopo di identificare gli elementi richiesti per l’interazione a distanza tra
promotori ed enhancers, si è posta sotto analisi l’interazione dei promotori per le
globine γ legati alla sequenza enhancer 5’HS2 in forma wild- type, mutata e troncata.
All’interno dell’LCR, il sito 5’HS2 si comporta come un potente elemento enhancer, sia
nel caso dell’espressione transiente, che in esperimenti condotti su topi transgenici ed è
sufficiente a garantire in quest’ultimi l’appropriata espressione di un cluster globinico.
Analizzando 5’HS2 sono stati identificati siti tandem AP1/NF-E2 ed è stato dimostrato
che la presenza di un frammento di 46 bp contenente questi siti, costituisce una
condizione necessaria e sufficiente affinché ci sia la stimolazione dell’espressione di un
gene reporter γ-globinico correlato [38].
Studi recenti hanno diviso la sequenza HS2 in un core enhancer e in cinque domini
modulatori, al fine di identificare le regioni effettivamente necessarie all’interazione
produttiva con il promotore del gene per le γ-globine. E’ stato rivelato che diversi
subdomini modulano l’incremento dell’attività promotrice, sia positivamente che
negativamente in dipendenza dai vari stadi di sviluppo [39]. Tale interazione sembra
essere richiesta per ottenere la formazione di un complesso di trascrizione attivo che
contenga sia l’LCR, che i promotori dei singoli geni. Nel modello proposto gli elementi
promotori rivestono un duplice ruolo: promuovono l’inizio della trascrizione e
coadiuvano l’instaurarsi dell’interazione promotore-enhancer [40].
Oltre all’LCR, nella regolazione dei geni per le globine Gγ e Aγ sono coinvolti ciselementi all’interno dei rispettivi promotori. Basandosi su esperimenti di legame DNAproteina, di analisi dell’attività del promotore e di identificazione delle mutazioni
presenti sul promotore del gene per le γ-globine, in pazienti che hanno un fenotipo
HPFH (hereditary persistence fetal hemoglobin) non dovuto a delezioni, sono stati
37
identificati almeno nove siti di interazione DNA-proteina (a -30 ATAAA, a -50
GGGGCCGG, a -85 e a -112 CCAAT, a -145 CACCC, a -170 e a -190 GATA, a -180
ATGCAAAT, a -200 CCCGGG) all’interno della regione tra -260 e + 25. L’importanza
funzionale di questi siti di legame è oggetto di numerose indagini [41, 42, 43, 44, 45,
46, 47].
Inoltre, è stata individuata in posizione -280 della regione promotrice del gene
A
γ-globinico la sequenza ATGCAAAT, riconosciuta dal fattore di trascrizione Oct-1
(Octamer Binding Factor 1); l’importanza regolativa rivestita da questa sequenza è
dimostrata dal fatto che una mutazione in questa posizione può attivare la trascrizione
genica di HbF e produrre il fenotipo HPFH [48].
Il promotore del gene codificante per le γ-globine è stato ampliamente studiato e i
siti per i fattori identificati sono riportati in Fig. 10. Sono state identificate, internamente
alla regione 5’ a monte del gene per le γ-globine, regioni altamente conservate, come
l’elemento ATAAA e la sequenza tandem CCAAT, che costituiscono il promotore
minimo in grado di attivare la trascrizione corretta, anche se minima, del gene [49].
Ultimamente si è diretto l’interesse verso i meccanismi con cui enhancers come
LCR o HS2 interagiscono a distanza con il promotore del gene per le catene globiniche
γ per aumentarne l’espressione. Con i modelli di studio più recenti si è arrivati a pensare
che le interazioni multiple promoter-enhancers siano decisamente coinvolte
nell’espressione sviluppo-specifica. Un approccio per identificare i fattori di
regolazione implicati in questa interazione, è quello di eseguire saggi di espressione su
promotori normali e mutati, sia in assenza che in presenza di elementi enhancers. In
questi saggi, l’introduzione di mutazioni in cis nel promotore per le γ-globine, permette
di identificare i siti di legame per quei fattori necessari ed indispensabili, affinché
avvenga l’interazione fisica del promotore con l’enhancer. Per verificare se il solo core
del sito 5’HS2 è sufficiente per garantire l’interazione con il promotore del gene per le
γ-globine, sono stati messi a confronto gli effetti mediati dalla sequenza enhancer
completa e dal solo nucleo 5’HS2. Queste indagini hanno evidenziato che il 5’HS2 è in
grado da solo di attivare il promotore, suggerendo che per instaurare il contatto tra
promotore e 5’HS2, è richiesta la presenza dei motivi CCAAT boxes, ma non quella di
GATA e CACCC box.
38
Fig. 10. Rappresentazione del gene per le β-globine e del promotore
del gene per le γ-globine. Nella figura è rappresentato il cluster β-globinico
compresa la regione LCR ed i cinque geni globinici. Nell’espansione è
rappresentato il promotore del gene per le γ-globine con le principali sequenze
riconosciute da fattori di regolazione di questo gene.
Inoltre, per garantire l’azione a distanza dell’enhancer, sono richiesti elementi
regolatori compresi nella sequenza completa di 5’HS2, ma non il core di 46 bp.
Rimuovendo il motivo CCAAT interno al promotore si provoca l’eliminazione
dell’effetto enhancer di 5’HS2, mentre mutazioni distali o prossimali a CCAAT
causano solo una riduzione del 50% dell’attività di 5’HS2. E’ necessario quindi, ai fini
dell’interazione promotore-enhancer, che almeno un CCAAT box sia presente e che
l’altro CCAAT box sia funzionale [50].
Grazie a studi condotti su precursori eritroidi i fattori CP1/NFY(nuclear factor Y),
CDP, NF-E3 e GATA-1, hanno dimostrato di interagire con la regione CCAAT box del
promotore del gene per le γ-globine. Tra questi fattori, solo GATA-1 si era dimostrato
39
importante per avere un’interazione promotore-enhancer. La funzione di GATA-1
sembra essere tuttavia di tipo repressivo, in quanto l’interazione GATA-1/promotore
non ha luogo in precursori eritroidi umani embrionali e fetali, mentre si instaura nelle
cellule adulte in cui la γ-globina non è normalmente espressa [50]. Il fatto che i siti
GATA-1 vengano conservati nel corso dell’evoluzione in tutti i geni globinici e il
verificarsi della mutazione HPFH -175 TÆC, suggeriscono il coinvolgimento di
GATA-1 nella regolazione γ-globinica. Il legame di GATA-1 al CCAAT box del gene
per la γ-globina non viene osservata né in cellule embrionali, né in quelle fetali, ma
appare invece forte nelle cellule eritroidi adulte, in cui, normalmente, le γ-globine non
vengono espresse. Negli estratti di cellule adulte, GATA-1 lega la regione wild-type, ma
non la mutazione HPFH a -117 GÆA nella sequenza CCAAT; di conseguenza, il
legame di GATA-1 al CCAAT box γ-globinico, risulta coerente con l’azione repressiva,
e non con quella di modulazione positiva [51,52].
Al contrario di GATA-1, gli altri fattori CP1/NFY e NF-E3 hanno dimostrato di
essere attivatori positivi; esperimenti effettuati utilizzando il fattore NF-E3 purificato,
hanno messo in evidenza che esso non lega il sito -85 CCAAT e che il motivo -112
CCAAT è occupato in maniera predominante da CP1/NFY piuttosto che da NF-E3 nelle
cellule esprimenti le γ-globine [38].
Oltre al sito per GATA-1 sono stati identificati all’interno dell’elemento enhancer
5’HS2 siti di legame per fattori Sp1, USF e YY1, che si sono dimostrati necessari per il
corretto funzionamento di HS2 [38]. Il sito -125 CACCC lega Sp1 ed è richiesta la sua
presenza per avere alti livelli di espressione; delezioni o mutazioni coinvolgenti
l’elemento CACCC causano la riduzione dell’attività del promotore del gene per le γglobine in misura variabile dal 10% al 20% rispetto al modello wild-type [53].
La CACCC box, scoperta in seguito ad analisi condotte sulle omologie di sequenza
e con esperimenti di mutagenesi, si trova in un ampio numero di geni e in una vasta
gamma di specie, incluse le piante. Essa di solito è situata a 100-200 bp dal TATA box.
L’alterazione della sequenza CACCC diminuisce l’attività del promotore suggerendo
così che essa apporti un contributo positivo sull’efficienza trascrizionale. La funzione
esercitata in vivo dal motivo CACCC è stata valutata e accertata solo nel locus dei geni
globinici. Questa sequenza risulta essere presente in tutti i promotori dei geni globinici e
nei siti ipersensibili alla DNasi I HS2, HS3 e HS4 della β-LCR. Il significato funzionale
40
della presenza della regione CACCC nel locus β è stato stabilito mediante svariate
analisi e dall’evidenza che una mutazione in questo elemento regolatore porta ad
ottenere il fenotipo β-talassemico [54]. La sequenza CACCC viene legata in modo
specifico dal fattore EKLF, che si è dimostrato agire come attivatore. Topi omozigoti
per la delezione del gene EKLF muoiono, nei primi 14-15 giorni dello sviluppo fetale, a
causa dell’assenza di espressione della β-globina e di altri effetti a carico dei geni
coinvolti nell’eritropoiesi definitiva. Questo risultato rende inequivocabilmente valida
l’ipotesi secondo cui CACCC in vivo agisce da elemento promotore positivo [55, 56].
La funzione del CACCC box del gene per le γ-globine è stata studiata all’interno
del contesto dello switching dell’Hb, modello secondo cui l’espressione genica di
β-globine è preclusa da quella delle γ mediante la competizione che si instaura tra i due
per l’enhancer LCR. Per testare il ruolo di CACCC box nel potenziale di trascrizione
del promotore genico per le γ-globine in vivo, sono state prodotte mutazioni e delezioni
nel promotore γ stesso e gli effetti derivanti sono stati osservati su topi transgenici. Si è
trovato che il CACCC box non è richiesto per l’attivazione del gene per le γ-globine
nell’eritropoiesi primitiva, ma è invece necessario per l’espressione genica delle catene
γ nelle cellule durante l’eritropoiesi definitiva [53]. Una mutazione nel motivo CACCC
causa la diminuizione dell’ipersensibilità alla DNasi I e del reclutamento della Pol II e
di TBP (TATA binding protein) al promotore del gene per le γ-globine nell’eritropoiesi
adulta. Tuttavia, non si osservano effetti a carico dello stato di acetilazione degli istoni
H3 e H4, a supporto del fatto che l’espressione del gene per le catene γ nelle cellule
eritroidi embrionali non risente in alcun modo di mutazioni della regione TATA o
CCAAT box e che l’attivazione non è direttamente correlata con il livello di
acetilazione degli istoni. Tuttavia, nel contesto dell’intero locus è stata trovata una
relazione tra l’acetilazione degli istoni e l’attivazione genica; tale discrepanza può
essere spiegata dal fatto che l’acetilazione degli istoni non contribuisce di per sé
all’attivazione genica, ma modula la formazione di loops nella cromatina, processo che
è coinvolto nella regolazione dell’espressione genica.
Sulla base di quanto detto finora è legittimo ipotizzare che i trans elementi reclutati
dalle sequenze CACCC, CCAAT e TATA, interagiscano gli uni con gli altri per
formare un ampio complesso designato come “promoter complex”. E’ quindi probabile
che, durante lo stadio embrionale la funzione esplicata dai trans fattori, che non
41
vengono richiamati a formare questo complesso a causa della mutazione del promotore,
sia compensata dai fattori reclutati dai rimanenti cis elementi. Come risultato, l’LCR
interagisce comunque con il “promoter complex” incompleto durante lo stadio
embrionale, ma nelle cellule adulte la stessa interazione richiede la presenza di un
“promoter complex” intatto [53].
Attualmente, il silenziamento del gene delle γ-globine in età adulta è considerato
essere un fenomeno autonomo, che avviene indipendentemente dalla presenza di altri
geni globinici in cis. Il meccanismo molecolare che si trova alla base del silenziamento
autonomo è tanto complesso, quanto poco noto. Studi su modelli murini transgenici,
hanno mostrato che frammenti di DNA contenenti l’intero gene per le γ, ma non la
sequenza LCR, esprimono il gene solamente nelle cellule eritroidi embrionali. Sebbene
il gene per le catene γ non venga espresso nelle cellule fetali, dove normalmente ne
avviene l’espressione, questi dati sono stati utili per concludere che il gene γ stesso
contiene al suo interno le informazioni necessarie al suo silenziamento durante
l’emopoiesi definitiva [57].
In questi modelli transgenici, il livello di trascrizione genica di γ-globine si
presenta estremamente basso, ma se stimolato dall’azione di una LCR troncata,
denominata microLCR, il gene viene espresso sia nelle cellule embrionali, che in quelle
fetali e adulte.
Assieme ai promotori, un ruolo d’impatto nella regolazione dei geni globinici, è
rivestito dall’LCR e dai siti ipersensibili alla DNasi I, i quali sembrano avere specificità
genica. Il sito ipersensibile HS3 dell’LCR, in particolare, aumenta l’espressione genica
di catene γ e la delezione della sua sequenza core causa l’abolizione dell’espressione di
questo gene nello stadio fetale dell’emopoiesi [58].
Per chiarire come avviene il controllo del gene per le γ-globine durante lo sviluppo,
il promotore di questo gene è stato rimpiazzato con la controparte equivalente del
promotore del gene per le β, in costrutti YAC (yeast artificial chromosome) contenenti
il locus β e ne sono stati analizzati gli effetti durante lo sviluppo su topi transgenici. Si è
ottenuta quindi la prova che gli elementi responsabili del silenziamento del gene per le
γ-globine in età adulta risiedono nel suo promotore; infatti, sembra che un direct repeat
element collocato vicino al CCAAT box del gene per le catene γ, venga legato da un
complesso trascrizionale inibitorio [57].
42
Mediante l’utilizzo di ibridi formati dal promotore del gene per le γ-globine e da
porzioni del gene β e di gene γ wild type inseriti sempre in cromosomi artificiali di
lievito, si è riscontrato anche il coinvolgimento di meccanismi di competizione nel
controllo dell’espressione genica di γ nella vita fetale. In conclusione, il silenziamento
autonomo è il principale meccanismo che regola l’espressione genica γ-globinica in età
adulta, mentre il controllo sullo switch tra γ-globine e β-globine è esercitato sia dal
processo di silenziamento autonomo, che da meccanismi di competizione [57].
Tramite l’uso di modelli murini, è stato dimostrato che la metilazione del DNA
gioca un ruolo locale nell’ostacolare l’attivazione del gene per la γ-globina nelle cellule
eritroidi adulte e che il suo effetto è mediato dalla deacetilazione degli istoni e
dall’inibizione del legame di alcuni fattori di trascrizione al DNA. Questi risultati, non
solo forniscono solide basi per mirare all’induzione dell’espressione γ-globinica nel
trattamento della β-talassemia, ma suggeriscono anche che la demetilazione sia un passo
obbligatorio nei meccanismi molecolari che sostengono la condizione fenotipica HPFH,
trattata in seguito [17].
2. Le talassemie.
2.a. Definizione.
Le principali patologie a carico del sistema ematopoietico dell’uomo sono dovute
ad alterazioni genetiche ereditarie. Esse possono essere suddivise in due categorie
distinte: la prima comprende le patologie caratterizzate da variazioni della sequenza
aminoacidica delle catene globiniche, come ad esempio l’anemia falciforme, mentre il
secondo gruppo, cui appartengono le sindromi talassemiche, è caratterizzato da una
minore od assente produzione di catene globiniche, fenomeno che diminuisce
notevolmente il tempo di sopravvivenza dei globuli rossi.
Le sindromi talassemiche sono un gruppo di anomalie ereditarie, autosomiche
recessive, dovute quindi ad alterazioni nelle sintesi dei componenti dell’emoglobina.
Queste anemie ipocromiche microcitiche derivano da alterazioni a carico dei geni
globinici dovute a mutazioni puntiformi o a delezioni, che determinano anomalie
43
relative alla trascrizione, allo splicing dell’RNA, alla sua stabilità e alla sua traduzione.
Gli effetti di queste alterazioni si possono manifestare nei processi di trascrizione e
traduzione, portando di conseguenza alla totale assenza della sintesi proteica, ad uno
squilibrio nella velocità di sintesi, oppure alla produzione di catene altamente instabili.
Le talassemie vengono classificate principalmente, sulla base delle catene globiniche
coinvolte, in α-, β-, δ-talassemia; ognuna di queste forme talassemiche è estremamente
eterogenea.
La presenza in un gene globinico di particolari difetti molecolari o la sua assenza,
causano, rispettivamente, una forte riduzione nella sintesi o la totale mancanza della
corrispondente catena globinica. In tutti questi casi il gene globinico strutturale, poco o
affatto funzionante, viene detto appunto microcitemico o talassemico. Il carattere
essenziale che contraddistingue tutte le talassemie è quindi uno squilibrio nel normale
rapporto di sintesi fra catene globiniche α e non-α, facilmente determinabile in vitro: il
rapporto di sintesi α/non-α è 1 nel soggetto normale, cioè sano non microcitemico, ma
diviene 1,5-2,0 nel portatore di β-microcitemia e 0,80-0,60 nel portatore di
α-microcitemia. La produzione sbilanciata di una delle catene globiniche provoca un
danno a livello eritrocitario principalmente in due modi: innanzitutto riducendo
l’emoglobinizzazione degli eritroblasti vengono messe in circolo cellule ipocromiche,
piccole e spesso deformate. In secondo luogo lo sbilanciamento quantitativo tra le
catene globiniche causa l’accumulo intracellulare di catene libere, che si aggregano tra
loro e precipitano rapidamente negli eritroblasti e nei reticolociti, danneggiandoli.
Ricerche genetico-familiari condotte tra il 1943 e 1946 hanno dimostrato
definitivamente che le microcitemie si trasmettono ereditariamente dai genitori ai figli
con caratteri mendeliani autosomici, semidominanti o recessivi incompleti. Si
comportano, infatti, come alleli recessivi a livello clinico, essendo malato solo il
soggetto omozigote, mentre l’eterozigote è sano; a livello ematologico, tuttavia, si
comportano come caratteri dominanti essendo ben riconoscibili anche nell’individuo
eterozigote attraverso il quadro ematologico tipico della microcitemia, condizione che
tuttavia non è considerata patologica. Il comportamento mendeliano di queste patologie
è stato dimostrato a livello statistico raccogliendo i dati da casistiche familiari
vastissime; nelle famiglie con un genitore microcitemico e uno normale i figli sono 50%
sani e 50% microcitemici, mentre nelle famiglie con entrambi i genitori microcitemici,
44
solo il 25 % dei figli è completamente esente dalla patologia, il 50% è portatore
eterozigote sano e il rimanente 25 % è affetto da anemia mediterranea [2].
Le più comuni e importanti varietà di microcitemia risultano identificabili e
classificabili attraverso il complesso dei loro caratteri ematologici, emoglobinici e
globinosintetici [2]. Il primo carattere, dal quale poi originano tutti gli altri, riguardante
il quadro ematologico è rappresentato dalla riduzione del livello medio di Hb di circa il
20%. Il valore medio di Hb cala da 14-15 g/dl nell’uomo a 12-14 g/dl e nella donna da
13-14 g/dl a 11-12g/dl. Gli altri caratteri ematologici del portatore eterozigote di
microcitemia sono: un aumento del numero di globuli rossi circolanti, fenomeno che
costituisce il principale meccanismo di compensazione della ridotta sintesi di Hb, una
riduzione del volume eritrocitario medio (MCV), come conseguenza della scarsa
emoglobinizzazione degli eritrociti che causa un appiattimento delle emazie, una
riduzione del contenuto globulare medio di Hb (MHC), un aumento della resistenza
globulare osmotica alle soluzioni saline ipotoniche, che si manifesta con un emolisi solo
parziale anziché totale nel paziente microcitemico e, infine, un’alterata morfologia
eritrocitaria, caratterizzata dalla presenza di microciti di vario aspetto e schistociti (cioè
emazia piccolissime o frammenti di emazie).
A livello diagnostico, uno dei più importanti caratteri emoglobinici è rappresentato
dall’aumento della quota di HbA2, tipicamente osservato nelle microcitemie causate da
alterazioni del gene per le β-globine. La quota di HbA2 si presenta, in questi casi, più
del doppio della quota di un soggetto normale (compresa tra il 4,5% e il 5,5%);
l’aumento di HbA2 è probabilmente determinato dalla maggiore disponibilità di catene
α-globiniche libere che tendono quindi a formare, in assenza della controparte
β-globinica, tetrametri α2δ2. Anche altri meccanismi intervengono in questo incremento
di HbA2: recenti osservazioni confermano che la ridotta attività del promotore del gene
per le β-globine, causa una ridotta produzione di β-mRNA, ma un incremento della
trascrizione del gene per le catene δ in cis. Infine, è stata ipotizzata anche un’interazione
di tipo competitivo, mediata da fattori quali GATA-1 e NF-E2, tra i siti HS dell’LCR e i
geni per le catene γ e δ in tutte le condizioni che hanno in comune una ridotta attività
del promotore per le β.
Per quanto concerne la valutazione del quadro globino-sintetico, può accadere che
la sintesi di catene globiniche non solo sia ridotta o assente, ma anche che una catena
alterata, sintetizzata in quantità normale, vada subito incontro a processi di
45
degradazione e denaturazione proprio a causa della sua struttura alterata o perché dotata
di scarsa affinità per la sua catena complementare [2].
La condizione di talassemia non è associabile ad un unico difetto genetico, ma è
piuttosto un gruppo di alterazioni che producono effetti clinici simili. E’ quindi più
opportuno distinguere tra classificazione genetica e classificazione clinica della
patologia stessa.
Per quanto riguarda la classificazione clinica, le talassemie vengono distinte in base
al quadro ematologico e alla gravità delle manifestazioni sintomatologiche in:
talassemia minor, microcitemia e trait talassemico, che identificano rispettivamente la
condizione di portatore sano, quella asintomatica e la condizione in cui si è in presenza
di un genotipo eterozigote [59]. Infatti, l'individuo che possiede un solo gene difettoso
(forma eterozigote) è un
portatore sano e la sua disfunzione viene denominata
talassemia minor. La maggior parte dei soggetti con talassemia minor non presenta
alcun sintomo di rilievo, tanto che molte persone ignorano di essere affetti da tale
disfunzione. In questi individui, i globuli rossi sono in numero maggiore rispetto
soggetti normali, ma sono un po' più piccoli (di qui il termine di microcitemia) e più
poveri di emoglobina (intorno al 15% in meno rispetto alla norma). Circa il 20% dei
soggetti presenta un leggero ingrossamento della milza, tuttavia, nella maggioranza dei
casi, il gene ereditato dal genitore sano consente una produzione di globuli rossi e di
emoglobina più che sufficiente per condurre una vita normale [54, 60, 61].
Al contrario, un quadro clinico estremamente grave, tipico dell’omozigote
β-talassemico, è dato dalla talassemia major, anemia mediterranea o morbo di Cooley,
che si verifica quando un individuo possiede entrambe le copie (materna e paterna) del
gene della catena β dell’emoglobina difettose (forma omozigote) [59]. Questa forma si
manifesta nei bambini subito dopo la nascita con un notevole pallore della pelle,
sintomo che rivela la presenza di una gravissima anemia: i globuli rossi sono in numero
ridotto, con una scarsa quantità di emoglobina. Se non viene curata, la talassemia major
può portare alla morte fra i 3 e i 6 anni di vita [54, 60, 61].
Vi è, inoltre, una condizione clinica intermedia, detta talassemia intermedia, ossia
si ha un genotipo omozigote o eterozigote per alterazioni β lievi, oppure omozigote per
alterazioni β gravi, associate a difetti dei geni globinici α o γ. La condizione clinica per
alterazioni α è dovuta alla funzionalità di uno solo dei quattro geni strutturali e si
possono avere forme lievi, che potrebbero essere anche difficilmente diagnosticabili, e
46
forme gravi caratterizzate dalla totale assenza delle catene α, in cui si ha la morte del
feto prima della nascita o alla nascita [59]. La talassemia intermedia è una forma
attenuata di talassemia, che si manifesta in modo estremamente variabile in individui
omozigoti. I sintomi più tipici sono anemia, ingrossamento della milza (splenomegalia),
calcolosi biliare e ulcere malleolari. Le ragioni per cui alcuni individui omozigoti
manifestano la talassemia major ed alcuni la talassemia intermedia sono diverse; una
ragione può essere il tipo di alterazione genetica (ne esistono più di 200), un'altra è la
presenza di altre condizioni genetiche che limitano invece i danni stessi della mutazione
responsabile della talassemia [54, 60, 61].
2.b. Distribuzione geografica.
L’Italia è il primo paese al mondo ad essere stato ampiamente indagato ed, in
seguito, dettagliatamente mappato per quanto riguarda la distribuzione della patologia
talassemica. Da questo studio mirato sulla distribuzione globale, sia di α- che di
β-talassemie, sono emerse frequenze del 15% in alcuni territori come il Delta Padano, la
Calabria e la Sardegna, del 5-10% in Sicilia e nel Salento, fino a raggiungere un’alta
percentuale (25%) nella Sardegna meridionale. In tutti i focolai individuati, si nota una
tipica distribuzione a chiazze con una maggiore incidenza lungo le coste, rispetto ai
territori più interni (Fig. 11).
Dall’inizio degli anni ’60, quando si comincia ad effettuare una netta distinzione tra
α e β talassemie, le ricerche si sviluppano in tutto il mondo e si focalizzano soprattutto
sulle talassemie di tipo β, in quanto la β microcitemia è sempre la varietà predominante
in tutti i focolai considerati.
Emerge, a riguardo della distribuzione della talassemia, un’ ipotesi evidente quanto
suggestiva, supportata dalla coincidenza degli attuali focolai talassemici in Sicilia e
Calabria con i territori che fra l’VIII e il VI secolo a.C. furono meta dell’immigrazione
greca e origine della Magna Grecia. Questo dato storico pone il quesito se le
microcitemie non possano essere state introdotte in territorio italiano proprio
dall’afflusso di popolazioni fortemente microcitemiche come i greci e se la successiva
forte selezione operata dalla malaria nelle zone d’arrivo non possa aver creato e favorito
l’attecchimento degli odierni focolai [2].
47
Tramite studi genetici è stato dimostrato come le mutazioni responsabili delle
sindromi talassemiche sono originate casualmente in varie popolazioni e che il criterio
di selezione naturale, basato verosimilmente sulla maggior resistenza all’infezione
malarica da parte degli individui eterozigoti, abbia avuto un ruolo fondamentale per
l’affermazione di questa patologia in determinate aree geografiche.
Fig. 11. Distribuzione geografica della talassemia. Nella figura sono
rappresentate le zone in cui questa patologia è uno dei disordini genetici più
diffusi. Risultano particolarmente colpite le popolazioni del bacino del
Mediterraneo, dell’Africa, dell’India e dell’Oriente. In Italia prevalgono
nettamente le forme di β-talassemia, che risulta endemica nella zona del Delta
Padano, in Puglia, Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna.
48
Si è avuta dimostrazione che i globuli rossi di soggetti microcitemici o portatori
sani, conferivano a questi individui una maggiore resistenza all’attacco da parte
dell’agente eziologico della malaria: il Plasmodium falciparum [62].
Infatti, mediante il fenomeno del polimorfismo bilanciato, comune anche ad altre
due malattie genetiche quali l’anemia falciforme e il favismo, è possibile spiegare come
i geni microcitemici hanno potuto mantenere una così alta frequenza. Il polimorfismo
bilanciato è una condizione che si verifica quando in una popolazione sono presenti due
o più alleli di un determinato gene, come per esempio il gene per le β-globine normale e
il corrispondente gene microcitemico, la cui frequenza reciproca è bilanciata da fattori
selettivi, i quali accrescono gradualmente la frequenza del gene avvantaggiato fino a che
questa non viene bilanciata dalla perdita di geni attraverso il genotipo omozigote che
non si riproduce. Si ha quindi una selezione graduale dell’allele talassemico rispetto alla
sua controparte normale e la frequenza che il gene avvantaggiato può raggiungere nella
popolazione sarà quindi tanto più alta quanto meno grave è la condizione clinica che
presenta il soggetto omozigote. Inoltre, se lo stesso individuo talassemico dovesse
essere sottoposto alla selezione evolutiva, trasmetterebbe alla prole il genotipo
talassemico, che in questo modo viene conservato nelle generazioni [2, 62].
La corrispondenza di distribuzione geografica tra talassemie e malaria, fece
ipotizzare che il fattore che favoriva la selezione del soggetto eterozigote del gene
mutato a svantaggio dell’omozigote normale, potesse essere la forma di malaria
perniciosa, caratterizzata da un tasso di mortalità del 10%. Un’esposizione prolungata
all’infezione malarica, poteva aver sviluppato nelle popolazioni una sorta di
adattamento genetico al fattore malarico che, mediante la selezione degli alleli
microcitemici a scapito di quelli normali, ha finito col creare negli anni gli attuali
focolai microcitemici. Tuttavia, rimane ancora da chiarire pienamente il meccanismo
attraverso cui si instaura nel soggetto microcitemico la resistenza al fattore malarico. E’
stato ipotizzato che l’abbondanza di emina nelle emazie possa alterare la crescita del
parassita, oppure che l’eccesso di membrana rispetto al contenuto eritrocitario, tipico
delle talassemie, possa costituire un ostacolo per la riproduzione del parassita. Infine, si
pensa che un’alterazione delle glicoforine della membrana eritrocitaria conseguente alla
perdita di acido sialico, ostacoli la fusione tra membrana eritrocitaria e la membrana del
parassita malarico impedendo al plasmodio di invadere l’emazia.
49
Le microcitemie e il morbo di Cooley risultano avere un’alta incidenza anche in
altri paesi dell’Europa meridionale, del Medio Oriente e dell’Africa, nelle zone
prospicienti il Mediterraneo. La scoperta della presenza del morbo di Cooley e della
microcitemia nei paesi asiatici, ed in particolare nel sud-est asiatico, ha demolito la
convinzione, fino a quel momento radicata, che tale patologia fosse caratteristica solo
delle popolazioni mediterranee; il Mar Mediterraneo veniva, infatti, indicato con il
termine greco ταλασσα (talassa) da cui prende il nome questo tipo di patologie.
Queste patologie rappresentano uno dei disordini genetici più diffusi nel mondo e
risultano particolarmente colpite, oltre alle popolazioni del bacino del Mediterraneo,
dove l’incidenza maggiore è presente in Grecia (5-10%), Cipro (10-15%), Libano e
Israele, anche l’Africa, l’India e l’Oriente (Fig. 11). In India, Pakistan e Afghanistan si
riscontrano frequenze di β-talassemia comprese tra il 4% e il 14% [2]. Attualmente, si
può affermare che non esiste alcun luogo al mondo in cui le sindromi talassemiche non
interessino almeno parte della popolazione; ciò è dovuto alle continue migrazioni di
individui da una regione all’altra [63].
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato la presenza in Europa, Africa e
Asia di circa 180 milioni di soggetti microcitemici, di cui il 40% è portatore sano di
β-talassemia [2].
La talassemia è presente anche negli USA ed in Australia, dove, però, non è
identificabile una distribuzione precisa e stabile nel tempo a causa del rilevante flusso
migratorio di popolazioni eterogenee.
2.c. Fisiopatologia della talassemia: caratteristiche fisiologiche e complicanze
cliniche.
Le microcitemie non-α costituiscono il gruppo più importante e numeroso di tutte
le microcitemie; la β-talassemia viene classificata, a seconda del grado di mancanza di
globine β, in due categorie:
1.
β0-talassemia, quando vi è la totale assenza di sintesi di β-globine;
rappresenta la variante della patologia caratterizzata dalla completa mancanza
dell’attività funzionale del gene per le β-globine e quindi di catene β-globiniche. Tale
50
condizione presenta uno squilibrio di sintesi tra catene α e non-α molto accentuato e un
rapporto α/β medio di 1,80 anziché 1, con oscillazioni da 1,50 a 2,00.
2.
β+-talassemia, caratterizzata da una ridotta sintesi di β-globine negli
omozigoti. La catena β-globinica nella β+-talassemia si presenta strutturalmente identica
alla proteina normale, inoltre, anche il tempo richiesto per la traduzione della catena è
invariato. Questi dati suggeriscono che l’mRNA per la β-globina sia qualitativamente
normale per quanto riguarda la sequenza nucleotidica codificante [64]. Il quadro
ematologico si presenta più lieve nei soggetti portatori di talassemia β+, nei quali lo
squilibrio α/β è meno accentuato e pari a 1,50; il gene per le globine β conserva dunque
una certa attività sintetica, che si manifesta nell’omozigote per β+-talassemie con la
presenza di una piccola quota di HbA. Un terzo gruppo di β+-talassemie è costituito dal
gruppo delle β-talassemie silenti o sub-silenti. In questi pazienti il quadro ematologico
ricade entro il range normale, anche se gli eritrociti presentano lievi alterazioni
morfologiche. Sia la quota di HbA2 che il rapporto α/β sono leggermente al di sopra dei
valori normali.
Inoltre, vi sono varianti delle patologie emopoietiche definite atipiche, poiché in
esse mancano uno o più caratteri tipici di questa patologia o perché presentano insolite
caratteristiche. Infatti, oltre 700 varianti strutturali dell’emoglobina sono state
identificate, ma solamente tre (HbS, HbC, e HbE), ricorrono con alta frequenza in
differenti popolazioni. In particolare il gene per l’HbS è distribuito ampiamente
nell’Africa sub-sahariana, nelle regioni mediterranee, in India e in certe regioni del
Medio Oriente. L’HbC è invece ristretta all’Africa e alle regioni mediterranee e, infine,
L’HbE, la variante più comune, è riscontrata con alta frequenza in India e nel sud-est
asiatico [65]. Inoltre, le relazioni tra le diverse varianti strutturali dell’emoglobina
descritte possono produrre una serie complessa di fenotipi clinici: ad esempio, le
relazioni tra la β-talassemia e due di queste varianti, l’emoglobina S e l’emoglobina E,
sono di particolare importanza [66].
L’emoglobina S deriva da una mutazione puntiforme, che causa la sostituzione di
un acido glutammico con una valina in posizione 6 nella catena β dell’HbA. Gli
omozigoti per questa alterazione genetica (HbSS) sono affetti da anemia a cellule
falciformi. In condizioni di bassa tensione di ossigeno, l’emoglobina S polimerizza,
determinando un cambiamento delle emazia che conferisce loro la tipica forma a falce.
51
Le persone eterozigoti per l’emoglobina S e per la β-talassemia (HbS/β-thal) possono
presentare anemia a cellule falciformi, sebbene i loro sintomi tendano ad essere meno
gravi rispetto a quelli degli omozigoti per emoglobina S [67]; in questo caso le
conseguenze cliniche dipendono dall’allele responsabile della β-talassemia. Se l’allele
per l’HbS viene ereditato in associazione con l’allele responsabile di una β0-talassemia,
l’anomalia risultante potrebbe essere indistinguibile dall’anemia falciforme, mentre
quando l’allele per l’HbS viene ereditato in associazione ad un allele responsabile di
una β+ talassemia, il quadro clinico risulta più benevolo.
L'emoglobina C (HbC) è una variante dell'emoglobina, dovuta ad una mutazione
nel gene della β-globina, che causa la sostituzione di un acido glutammico con una
lisina in posizione 6 nella catena globinica(α2β26Glu-Lys). La prevalenza della HbC è del
40-50% nell'Africa Occidentale (Burkina Faso, Costa d'Avorio, Ghana). La malattia si
riscontra anche nel Togo e nel Benin (20%), nelle persone di discendenza africana nei
Caraibi (3,5%) e negli USA (3%), nel Nord Africa (dall’1% al 10% in Marocco e
Algeria) e nel Sud Europa (Italia, Turchia). Nel Burkina Faso, in particolare, un abitante
su dieci possiede il gene contenente il codice della forma mutante di emoglobina, che
garantisce alle persone che lo possiedono in eterozigosi di ridurre del 26% la probabilità
di prendere la malaria, mentre ai soggetti omozigoti un’eccezionale riduzione del
rischio, addirittura del 93% [68].
Da circa 50 anni gli studiosi sospettano che l’HbC abbia effetti protettivi contro la
malaria, ma essendo il gene molto meno comune dell’HbS, studiarlo è molto più
difficile, inoltre i soggetti omozigoti sono molto rari. Vi sono due differenti teorie alla
base della diffusione dell’HbS e dell’HbC in Africa, in associazione con la loro azione
protettiva nei confronti della contrazione della malaria. Da un lato c’è chi è
convinto che, a differenza dell’HbS, alla mutazione responsabile dell’HbC occorra
molto tempo per diffondersi e per insediarsi in tutta l’Africa, dal momento che è assai
rara al di fuori del gruppo etnico dei Mossi e che per avere una protezione totale dalla
malaria sia necessario possedere due copie del gene mutato, dall’altro si pensa che il
livello di protezione garantito da HbC o HbS dipenda piuttosto dagli altri geni della
persona che esprime quel tipo di emoglobina. In taluni gruppi etnici, per esempio tra i
nigeriani, l’HbS protegge in modo più efficace dalla malaria e quindi è più comune. Le
mutazioni che causano l’ HbS e l’HbC si verificano esattamente nello stesso punto della
52
molecola di emoglobina, il che fa supporre che il meccanismo attraverso il quale hanno
luogo potrebbe essere universale.
I soggetti eterozigoti per l'HbC (HbAC) sono asintomatici e possono presentare
lieve microcitosi e aumento della resistenza degli eritrociti all'emolisi. Gli omozigoti per
HbC (HbCC), di solito, compensano l'emolisi con la splenomegalia, presentano un
aumento del rischio di ipersplenismo, litiasi biliare, deficit di folati e anemia grave.
L'associazione tra HbC e β-talassemia, in particolare β+-talassemia (più frequente della
β0-talassemia nei gruppi etnici interessati dalla HbC) determina un quadro clinico simile
a quello dell'HbCC [69].
Anche l’HbE (α2β226Glu-Lys) è una variante dell’emoglobina, ed è causata da una
mutazione nel gene β-globinico in cui si verifica la sostituzione dell’acido glutammico
con una lisina in posizione 26; tale mutazione produce una catena β aberrante (βE),
poiché viene a crearsi un sito di splicing alternativo. L’HbE è la seconda anomalia
dell’emoglobina più comune nel Sud-Est asiatico, dopo l’anemia falciforme; quindi, è,
anch’essa, classificata tra le emoglobinopatie. Per quanto riguarda l’associazione con
alleli causanti talassemia, è stata riportata una condizione clinica nella quale questo
allele viene ereditato in associazione con un allele causante β+-talassemia, che rende
attivo un sito di splicing alternativo nell’esone 1 del gene per le β-globine. Alcune
situazioni cliniche sono indistinguibili dalla talassemia major, altre, invece, che non
sono trasfusioni-dipendenti, possono avere un’entità più lieve.
Gli eterozigoti HbA/HbE, HbS/HbE e gli omozigoti HbE/HbE mostrano alcune
caratteristiche simili ai soggetti β-talassemici; infatti, i soggetti eterozigoti hanno una
condizione asintomatica, senza una rilevanza clinica, tranne per il rischio di trasmettere
alla prole il gene difettivo. Mentre per quanto riguarda la combinazione in eterozigosi
degli alleli β-thalassemia/HbE, questa condizione può portare ad un fenotipo clinico
talassemico grave [70].
La talassemia con Hb Lepore, ad esempio, è una varietà di talassemia non-α che,
oltre al tipico quadro ematologico microcitemico, presenta una quota del 10-20% di una
emoglobina che ha mobilità intermedia tra l’HbA e l’HbS, quando analizzata con
elettroforesi a pH alcalino. Una ricerca biochimica ha dimostrato che la catena
polipeptidica abnorme dell’Hb Lepore ha una sequenza aminoacidica che per il tratto
N-terminale è quella della catena δ-globinica, mentre per il tratto complementare
C-terminale è simile alla β-globina; questa evidenza fa ipotizzare che l’Hb Lepore
53
origini dal punto di vista genetico da un crossing-over meiotico, fenomeno in seguito al
quale nel cluster non-α rimarrebbe funzionante il gene ibrido δ-β. Inoltre, l’influenza
del promotore del gene δ, determinante uno basso livello di espressione delle catene δ,
produrrebbe di conseguenza una bassa sintesi di Hb Lepore. Sull’altro cromosoma 11,
invece, resterebbero presenti dopo il crossing-over, oltre al gene ibrido, i singoli geni
per le globine δ e β. Sono noti tre differenti tipi di Hb Lepore (Olanda, Baltimora e
Boston), che si distinguono per il punto in cui avviene il crossing-over e per la struttura
delle catene abnormi, le quali, però, mantengono la stessa mobilità elettroforetica,
dando origine quindi a quadri ematologici tra loro molto simili. Nell’individuo
eterozigote l’Hb Lepore non supera il 7-8%, mentre nell’omozigote o nell’eterozigote
composto non supera il 12%, la quantità di HbA2 è circa il 2% e l’HbF è leggermente
aumentata (2-3%), il rapporto nella sintesi delle globine α/non-α è compreso tra 1,5 e
1,7. In conclusione la quota di Hb abnorme è in grado di ridurre lo squilibrio α/non-α e,
di conseguenza, la gravità delle manifestazioni fenotipiche.
Un’altra variante di talassemia non-α che presenta un quadro ematologico tipico
delle talassemie, ma con intensità simili alle forme più lievi, una quota di HbA2 normale
o bassa e una quota di HbF del 10-15% è la F microcitemia: con la separazione delle
catene globiniche in HPLC si evidenziano due piccoli picchi di catene Aγ e Gγ, non
presenti nel soggetto normale. La parziale attività dei geni γ-globinici rende meno grave
lo squilibrio globino-sintetico ed il quadro clinico dell’individuo omozigote o
eterozigote composto con altre emoglobinopatie è simile a quello della talassemia
intermedia [2].
Sebbene il difetto fondamentale delle talassemie sia rappresentato dalla riduzione o
dalla completa assenza della biosintesi di una catena globinica, anche il conseguente
eccesso della catena complementare contribuisce ad aumentare le complicazioni
fisiopatologiche.
Nella β-talassemia, in particolare, la diminuzione o l’assenza di sintesi di
β-globine, conduce ad un largo eccesso di catene α, le quali, se non incorporate a
formare HbA o HbA2, rimangono in soluzione, dove sono altamente instabili e tendono
ad aggregarsi tra loro per formare tetrametri e poi precipitare ad alte concentrazioni. Gli
aggregati di catene α sono visibili al microscopio elettronico sia nel citoplasma che nei
54
nuclei di reticolociti e precursori eritroidi nucleati [64]. L’emazia diviene rigida e si
accresce la sua fragilità meccanica.
La denaturazione e la precipitazione di catene globiniche α o β libere, all’interno
dell’eritrocita del soggetto affetto da anemia mediterranea, sono causa della formazione
di radicali di ossigeno attivato e di conseguenti danni ai tessuti, ulteriormente
accresciuti dall’abbondante presenza di ferro nelle emazie del malato, che funge da
catalizzatore per la formazione di radicali liberi dell’ossigeno. Questi danni ossidativi si
vanno ad aggiungere alle alterazioni strutturali e funzionali che colpiscono le proteine
della membrana eritrocitaria e che sono causate direttamente dalle inclusioni cellulari.
Le catene γ- e β-globiniche, invece, avendo maggiore stabilità, formano tetrametri
ma precipitano più lentamente; le inclusioni che essi formano hanno localizzazione
sottomembranosa diffusa in tutta la cellula.
I danni ossidativi a carico della membrana eritrocitaria sono maggiormente noti
nelle β talassemie, nelle quali sono forse più gravi dei danni strutturali di membrana.
Nelle emazie dell’omozigote β-talassemico l’ossidazione delle catene globiniche
provoca un notevole aumento nella concentrazione di svariate forme strutturali
dell’ossigeno attivato come ad esempio il superossido. Questi ossidanti, insieme allo
ione Fe2+ che ossidandosi diviene Fe3+, avviano la perossidazione dei grassi insaturi e
delle proteine della membrana cellulare. I danni alla membrana delle emazie vengono
ulteriormente aumentati dal fatto che la formazione continua di ossidanti, associata alla
scarsa emoglobinizzazione e l’abbondante membrana che caratterizzano l’emazia
microcitemica, non permettono la normale azione protettiva esercitata dalle
superossidodismutasi, dalle catalasi o dalle glutatione-perossidasi [2].
Dalla mancata sintesi di catene β-globiniche e dalla conseguente eritropoiesi
inefficace scaturiscono una serie di eventi che conducono alle tipiche manifestazioni
cliniche della malattia, tra le quali, la prima e la più grave è l’anemia; il grave quadro
anemico presentato dagli omozigoti sia β+ che β0 suggerisce, comunque, che la sintesi
di catene β-globiniche è scarsa e inadeguata, quindi non sufficiente a diminuire i severi
sintomi clinici di questo disordine genetico [2, 64]. Inoltre, nonostante il tempestivo
intervento di processi proteolitici, le catene α-globiniche in eccesso restano libere
dentro la cellula, dove formano corpi inclusi che si vanno ad aggiungere ad aggregati di
ferritina, mitocondri carichi di ferro e accumuli di glicogeno soprattutto negli
55
eritroblasti policromatofili in fase G1, fase in cui la maturazione in questi soggetti viene
bloccata. La precipitazione delle catene α-globiniche libere e la formazione di corpi
inclusi sono le cause principali dell’arresto della maturazione, della precoce distruzione
degli eritroblasti e di conseguenza dell’eritropoiesi inefficace [2].
Sebbene gli eritroblasti con scarso o assente contenuto di HbF vengano bloccati e
rapidamente distrutti nel midollo, prima di giungere a maturazione, una piccola quota di
essi e di emazie contenenti HbF riescono a raggiungere il circolo. Essi si presentano
però come cellule gravemente danneggiate e poco elastiche che, giunte alla milza,
vengono fagocitate e distrutte. In questi pazienti, quindi, la percentuale di HbF, che
comunque rappresenta la forma più presente di emoglobina, non è sufficiente per
compensare l’ingente diminuzione di HbA [64]. Questi ed altri aspetti fisiologici
determinati da patologie talassemiche sono riportati in Fig. 12.
La durata media di vita delle emazie del soggetto affetto da anemia mediterranea è
assai breve; la distruzione precoce e l’iperemolisi si manifestano con ittero, aumento
della bilirubinemia indiretta e dell’urobilinuria, che non è però mai troppo accentuata,
essendo poche le cellule effettivamente emoglobinizzate che vengono distrutte. Quanto
descritto finora conduce all’eritropoiesi inefficace, uno dei danni maggiori
caratterizzanti la patologia; le poche emazie contenenti HbF prodotte dal malato
derivano da un’enorme iperattività ed espansione midollare, che non sono in grado di
garantirne la sopravvivenza e, anzi, sono causa di gravi danni; nel midollo osseo le
cellule reticolari presentano segni evidenti di fagocitosi che colpisce gli eritroblasti in
varie fasi di maturazione e, allo stesso tempo, l’eccessiva espansione midollare dà
origine a gravi alterazioni di forma e di struttura delle ossa che conducono a
deformazioni cranio-facciali, rarefazione porosa delle ossa lunghe, causa di frequenti
fratture, aumento della volemia, che si accresce sempre più man mano che si incorre
nella splenomegalia. La splenomegalia, tipica della talassemia major e della talassemia
intermedia, è la fisiologica conseguenza della funzione cui è sottoposta la milza di
sottrarre dal circolo gli eritroblasti non vitali e carichi di catene α-globiniche precipitate.
Svolgendo questa funzione, la milza raggiunge dimensioni notevoli, diventando un
deposito voluminoso di sangue ristagnante, che oltre a distruggere le emazie non vitali
prodotte dal soggetto arriva a distruggere anche quelle sane fornite tramite terapia
trasfusionale. Infine, l’assorbimento continuo di ferro alimentare e l’ulteriore apporto di
questo elemento attraverso le emotrasfusioni, causano una diffusa siderosi che, nel
56
corso della malattia, dà luogo a numerose complicanze in alcuni organi (cuore, fegato e
ghiandole endocrine) [2].
Fig. 12.
Fisiopatologia della β-talassemia. L’eccesso di catene
α-globiniche produce dei precipitati nei precursori dei globuli rossi, causando
l’eritropoiesi inefficace e favorendo l’anemia. Anche l’emolisi favorisce
l’anemia, la quale stimola la sintesi dell’eritropoietina, con la sua successiva
proliferazione nel midollo. Ne risultano deformità ossee e sovraccarico di ferro,
incrementato ulteriormente dalle necessarie trasfusioni.
In condizioni di eterozigosi per la β+-talassemia o eterozigosi composta del tipo
β0/β+-talassemia, che si manifestano con il quadro clinico della talassemia intermedia, la
produzione di una piccola quota di catene β-globiniche garantisce una certa percentuale
di HbA, accanto ad una quantità equivalente o anche maggiore di catene γ-globiniche
che forniscono HbF. Quindi il numero di emazie che raggiunge il circolo, rendono
57
l’eritropoiesi inefficace meno marcata e le sue conseguenza meno gravi, rispetto a
quanto accade per la forma di talassemia major [2].
Un altro disordine emopoietico è rappresentato dalla δβ-talassemia. Negli studi
condotti su δβ talassemici omozigoti, si è immediatamente notato che tale condizione è
caratterizzata da una lieve anemia, sebbene l’individuo non possieda né HbA, né HbA2;
questo fatto sembra dovuto al marcato aumento di HbF. Un aspetto molto interessante,
inoltre, è stato notato in soggetti talassemici omozigoti, ma aventi una condizione
denominata HPFH: essi non presentano un quadro anemico, pur essendo privi di HbA e
HbA2. Questo disordine garantisce all’individuo una totale compensazione della
completa assenza di forme adulte di emoglobina con forme di emoglobina fetali;
quest’aspetto verrà discusso nel dettaglio in seguito [64].
Mediante la tecnica di Kleihauer-Betke è possibile effettuare una chiara distinzione
tra talassemia e HPFH. Tale procedura permette infatti di eluire tutta l’HbA dalle cellule
eritroidi prelevate dai pazienti e di poter successivamente valutare il contenuto cellulare
individuale di HbF. Si è osservato che, mentre nelle cellule eritroidi derivate da
campioni di sangue isolati da soggetti affetti da
β0-, β+- e δβ-talassemia, la
distribuzione dell’HbF era alquanto “eterogenea”, lo stesso saggio eseguito su sangue di
soggetti HPFH metteva in evidenza una distribuzione omogenea dell’emoglobina fetale;
questi dati supportano il fatto che nelle cellule eritroidi di individui HPFH la biosintesi
di HbF continua anche in età postnatale, mentre nei soggetti talassemici, la sintesi di
HbF è ristretta a un numero inferiore di precursori eritroidi e il suo livello varia in modo
marcato da cellula a cellula [64].
Le α-talassemie, frequenti soprattutto in Asia, in alcune regioni del bacino del
Mediterraneo e in Africa, sono causate dalla delezione di geni α-globinici, che possono
essere di diversa entità, dando, pertanto origine ad una vasta gamma di quadri clinici. Le
α-talassemie sono invece molto rare tra le razze bianche e sono diffuse soprattutto nel
continente asiatico, nel bacino del Mediterraneo e in Africa.
Avendo ciascun individuo quattro geni codificanti per l’α-globina, due per ciascun
cromosoma 16, si distingueranno differenti varianti della patologia α-talassemica sulla
base del numero di geni interessati dall’alterazione. La mancanza totale di tutti e quattro
i geni per le catene α-globiniche comporta l’insorgenze della cosiddetta idrope fetale,
una condizione patologica che conduce alla morte intrauterina del feto o alla
58
sopravvivenza di poche ore del neonato, il quale presenta forme anomale di emoglobina
rappresentate per l’80% da Hb Bart’s, tetrametro di catene γ-globiniche, e per il restante
20% da Hb Portland, costituita dall’unione di due catene ζ con due catene γ.
L’emoglobina che si forma prevalentemente nel caso in cui si erediti solamente un gene
α funzionante su quattro è l’HbH, costituita dall’associazione di quattro catene βglobiniche; i tetrametri β4 sono relativamente solubili, quindi la morte intramidollare
degli eritroblasti è ridotta, mentre nel torrente circolatorio si assiste alla formazione di
precipitati emoglobinici detti corpi di Heinz. I pazienti con HbH hanno un’aspettativa di
vita normale, tuttavia, in caso di infezioni, corrono il rischio che si aggravi il loro
quadro anemico.
La delezione di due dei quattro geni α-globinici, comporta la condizione definita
α-talassemia minor, in genere clinicamente silente; mentre mutazioni puntiformi e
delezioni causanti la ridotta espressione dei geni per le globine di tipo α sono
responsabili delle α+-talassemie. Per distinguere le α+-talassemia dalle α0-talassemie, si
esegue lo studio dell’Hb Bart’s alla nascita; in questo periodo, infatti, è presente nel
bambino una piccola quota di Hb Bart’s, che poi scompare rapidamente. La delezione di
un gene α-globinico su quattro è indicata da una quota di Hb Bart’s inferiore al 3% alla
nascita; in questo caso il soggetto è portatore di α+ talassemia. Se la quota di Hb Bart’s
è compresa tra 5,5 e 8,5% significa che è avvenuta la delezione di due geni α globinici
su quattro e il soggetto è portatore di α0-talassemia.
Il meccanismo patogenetico delle talassemie α intermedie si dimostra diverso. In
questa condizione la piccola quota di catene α-globiniche che viene sintetizzata
permette di avere piccole quantità di HbA, HbA2 e HbF. Inoltre, la precipitazione delle
catene β- e γ-globiniche presenta caratteristiche differenti da quella delle catene α,
essendo relativamente più solubili e formando dei tetrametri β4 (HbH) e γ4 (Hb Bart’s),
molecole emoglobiniche dotate tuttavia di una breve sopravvivenza e funzionalmente
inefficienti. A causa della loro grande affinità per l’ossigeno, queste molecole vengono
rapidamente ossidate e precipitano in questa forma, formando all’interno dell’emazia
dei granuli caratteristici a livello della membrana. Anche in questo caso le emazie che
entrano in circolo hanno, a causa di questi precipitati, una vita breve che causa nel
soggetto un iperemolisi cronica evidente.
59
Infine, l’eterozigosi β- o α-talassemica, condizione denominata microcitemia, si
distingue per una lieve eritropoiesi inefficace e una leggera iperplasia midollare che
garantisce però al soggetto di compensare lo stato anemico. Con questo meccanismo,
associato
probabilmente
ad
un’iperattività
del
gene
β normale,
l’individuo
microcitemico riesce a raggiungere una quota di emoglobina pari al 70-80% del
normale, rispetto al 50% previsto teoricamente nel caso di un solo gene per le catene βglobiniche funzionante [2].
2.d. Alterazioni genetiche e basi molecolari della talassemia.
Le alterazioni che possono interessare il gene per le β-globine umane responsabile
della talassemia, sono rappresentate da: delezioni, difetti di trascrizione del gene, difetti
nella maturazione del pre-mRNA (alterazioni dello splicing, mutazioni nel sito di taglio
e della poliadenilazione del pre-mRNA), difetti nella traduzione dell’mRNA in proteina
(mutazioni del codone d’inizio, mutazioni non senso, frameshift, mutazioni nella
regione 3’ UTR), difetti che compromettono la stabilità della catena β-globinica.
•
Delezioni del gene per le β-globine.
Tra i fattori genetici che determinano le talassemie, le delezioni sono piuttosto rare.
Alcune forme di talassemia, sia di tipo α che di tipo β, sono causate da delezioni di
segmenti, anche rilevanti, nei cromosomi 16 o 11. Esiste un certo grado di variabilità
nelle delezioni identificate e, naturalmente, la patologia che queste delezioni
comportano è in genere tanto più grave quanto più esse sono estese. Le delezioni
comportano una patologia grave (β0-talassemia, o δβ-talassemia) a meno che non
causino anche l'attivazione della trascrizione dei geni per le globine γ, con conseguente
manifestazione del fenotipo denominato HPFH. Gli individui affetti da tale patologia
esprimono, anche allo stadio adulto, i geni per le globine fetali e producono HbF. Un
caso particolare di delezione genica, inoltre, è quello della Hb Lepore, che risulta dalla
fusione di un gene per le catene δ e di un gene per le β per formare un gene ibrido.
60
•
Difetti di trascrizione del gene.
Nella maggior parte dei casi sono dovuti a mutazioni puntiformi nel promotore, in
regioni quali: il TATA box, nel quale sono state trovate mutazioni ai nucleotidi -28, -29,
-30 e -31; il CACCC box prossimale con le mutazioni ai nucleotidi -86, -87, -88, -90,
-92; il CACCC box distale con la mutazione a livello del nucleotide -101 [2].
•
Alterazioni nel meccanismo di splicing.
Costituiscono un numeroso ed importante gruppo di mutazioni responsabili di circa
la metà delle β-talassemie; normalmente si tratta di mutazioni puntiformi che alterano
con vari meccanismi il normale processo di splicing. Infatti, può accadere che una
mutazione localizzata in un introne distrugga uno dei due dinucleotidi invarianti GT o
AG, la cui presenza è indispensabile per garantire uno splicing normale, che risulta di
conseguenza annullato. Oppure si può avere l’alterazione della sequenza consenso che
affianca i dinucleotidi AG e GT con conseguente riduzione dell’efficienza dello
splicing; infine, la mutazione può creare un pre-sito (sito criptico), cioè un nuovo sito di
splicing che andrà a competere con quello fisiologico preesistente. Questo tipo di
mutazione è causa di β0-talassemie ed è forse più frequente nei paesi mediterranei. In
Italia sono presenti con discreta frequenza le mutazioni IVSI-1 GÆA e IVSII-1 GÆA
(Fig. 13). La mutazione IVSI-1 GÆA, scoperta nel 1982, provoca un’alterazione di
splicing del pre-mRNA [71] dovuta alla sostituizione di una guanina del dinucleotide
invariante GT in posizione 5’ del primo introne, con un’adenina. Il risultato finale è la
distruzione del normale sito di splicing, con l’immediata abolizione del processamento e
annullamento della normale produzione di mRNA, che risulta nella manifestazione del
fenotipo clinico β0-talassemico [2]. La mutazione IVSII-1 GÆA [72, 73, 74] genera,
invece, una mutazione puntiforme in posizione 1 del secondo introne nel gene per le
globine β, provocando β0-talassemia.
La mutazione (β+) IVSI-110 GÆA, provoca la sostituzione di una guanina con una
adenina nella sequenza consenso nel 1° introne del gene β con conseguente attivazione
di un sito di splicing criptico; oppure la mutazione all’interno di un introne può ridurre
l’efficienza di un sito di splicing alterando la sua sequenza consenso e causando
β+-talassemie, tra queste, la mutazione IVSI-5 GÆA.
Per quanto riguarda la mutazione (β+) IVSI-6 TÆC, descritta nel 1982, coinvolge
la sequenza consenso del sito donatore di splicing del primo introne del gene per le
globine β [71] ed è caratterizzata dalla sostituzione di una timina, localizzata in
61
prossimità del dinucleotide GT in 5’ all’introne, con una citosina. Il risultato finale è
l’alterazione della sequenza conservata e la riduzione dell’efficienza del processamento
del pre-mRNA [75].
Fig. 13. Distribuzione in Italia delle mutazioni responsabili della
β-talassemia. La figura chiarisce la distribuzione delle zone talassemiche in
Italia e il tipo di mutazione più rappresentata per ogni zona [Figura tratta dal
sito www.abanet.it].
62
•
Mutazioni nel sito di taglio e della poliadenilazione del pre-mRNA.
Anche questo gruppo di alterazioni della maturazione dell’RNA, danno origine a
β+-talassemie. Se la sequenza AATAAA, sito di taglio enzimatico e segnale di aggiunta
della coda di residui di adenina (poliA), viene mutata i processi di termine della
trascrizione e di poliadenilazione si verificano più a valle rispetto al sito fisiologico,
producendo mRNA molto più lunghi e molto più instabili. Ne deriva un fenotipo
β+-talassemico con caratteri non marcati.
•
Difetti di traduzione dell’mRNA.
Mutazioni non-senso, oppure nel frameshift che ricadono nel codone d’inizio, negli
esoni e nel codone di termine o nella regione 3’ UTR, possono causare l’arresto più o
meno precoce della traduzione del messaggero in proteina. La traduzione incompleta
provoca la formazione di una proteina non funzionale. Le mutazioni nel codone d’inizio
causano β0-talassemie molto gravi, mentre le mutazioni che coinvolgono il codone di
stop o la regione 3’ UTR generano β+-talassemie. Le mutazioni non-senso consistono
nella sostituzione di una base purinica in un codone del DNA codificante, che dà luogo
alla formazione di un codone di termine (TAA, TAG oppure TGA) e quindi all’arresto
della traduzione dell’mRNA. A questo particolare gruppo di mutazioni appartiene la
talassemia β0-39, assai importante per la sua incidenza nei paesi mediterranei e
soprattutto in Italia, dove rappresenta l’unica mutazione non-senso presente (Fig. 13). A
livello nazionale la mutazione β0-39 CÆT riguarda i due terzi degli individui
talassemici, con frequenza pari al 66,8% [75], la cui incidenza è maggiore nell’Emilia
Romagna, e in particolar modo nella regione del Delta del Po, nel Lazio, nella
Campania e Basilicata [77]; la frequenza di questa mutazione è ancora maggiore in
Sardegna, con un’incidenza del 95,7% dove è stata identificata per la prima volta nel
1981 [76, 77, 78]. Questa mutazione converte il codone 39 CAG del gene per le
β-globine, che codifica per la glutammina, in un codone TAG, che impartisce il segnale
di termine alla sintesi globinica. Quindi non si ha affatto la formazione di catene
β-globiniche e il fenotipo che si manifesta è quello di una marcata β0-talassemia [2].
Le mutazioni puntiformi più frequentemente riscontrate responsabili di
β-talassemia sono descritte nella Fig. 14.
Delezioni o inserzioni di uno o più nucleotidi nel DNA, possono causare
l’alterazione del quadro di lettura dell’mRNA (frameshift) e di conseguenza l’arresto
63
precoce della traduzione. Sia che lo slittamento abbia inizio in un codone molto lontano
da quello di termine fisiologico, sia che questo si verifichi in una regione più vicina alla
fine della traduzione, le catene β-globiniche sintetizzate si presentano totalmente
alterate, causando l’espressione di un fenotipo β0-talassemico. In Italia sono presenti
varie mutazioni di questo tipo: 1(-G), 5(-CT), 8(-AA), 59(-A), 76(-C) e, la più diffusa,
6(-A). Questo tipo di mutazioni possono causare anche un’instabilità della catena
β-globinica; si tratta principalmente di frameshift o mutazioni non-senso o delezioni di
pochissimi nucleotidi che avvengono per lo più a livello del 3° esone. Danno tutte
origine ad un catena allungata o troncata che, in ogni caso, risulta fortemente instabile e
precipita rapidamente anziché formare tetrametri. Ne deriva un rapporto catene α/β
fortemente sbilanciato, mentre quello tra α-mRNA e β-mRNA è paritario [2].
Mutazioni puntiformi che causano β-talassemia
Fig. 14. Rappresentazione schematica delle mutazioni puntiformi a
carico del gene per la β-globina. Nella figura sono indicati i principali siti nei
quali si riscontrano con più frequenza le mutazioni, il tipo di mutazione ed il
fenotipo talassemico che ne deriva.
64
3. Il fenotipo HPFH (High Persistence of Fetal Hemoglobin) e la
talassemia.
In alcuni pazienti affetti da β-talassemia è stata osservata un'anormale espressione
dei geni γ, che in alcuni casi porta il livello di HbF dal 2.5% al 20%. Quest'aumento di
HbF comporta una condizione clinica nota come HPFH (High Persistence of Fetal
Hemoglobin), nella quale l'espressione genica per le γ-globine è mantenuta elevata
anche nei soggetti adulti, dove normalmente la loro sintesi risulta repressa o
limitatamente espressa. I pazienti che presentano il fenotipo HPFH mostrano un
miglioramento del quadro clinico, in quanto la relativa riattivazione dei geni per le
globine γ causa un aumento di HbF tale da poter in parte supplire alla carenza di HbA
nelle sindromi talassemiche.
Le alterazioni geniche che causano l’incremento dei livelli di HbF sono oggetto di
continue indagini, ma attualmente sono suddivise in due tipologie differenti: il fenotipo
HPFH di tipo deletion e il fenotipo HPFH di tipo non-deletion, in cui è presente l’intero
cluster β. Sono state proposte tre possibili cause per spiegare il fenotipo HPFH deletion:
1.
esso potrebbe derivare dalla delezione di alcune sequenze regolative del
cluster β-globinico, coinvolte nella regolazione sia positiva che negativa. Le sequenze
regolative restanti determinerebbero il fenotipo;
2.
oppure una delezione può causare la giustapposizione in prossimità dei geni
per le γ-globine di elementi enhancers in 3’, che normalmente si trovano localizzati a
valle del gene β. L’azione enhancer della sequenza nella nuova localizzazione porta un
incremento dell’espressione γ-globinica.
3.
Infine, una delezione può determinare l’insorgere di una zona di continuità
tra la LCR e i geni per le catene γ, normalmente silenti.
Rilevanti informazioni riguardo la localizzazione di importanti sequenze regolatrici
dei geni globinici possono essere raccolte dallo studio delle mutazioni che si verificano
naturalmente e che conducono ad un’espressione anormale di questi stessi geni. Un
modello di indagine utile è fornito dalla condizione denominata non-deletion hereditary
persistance of fetal hemoglobin. Mediante sequenziamento del DNA di questi soggetti,
sono state individuate svariate mutazioni puntiformi a carico della regione promotrice
dei geni per le globine γ sovraespressi [79]. Numerosi studi hanno confermato, infatti,
65
che la condizione HPFH può originare, non solo da delezioni, ma anche da mutazioni
puntiformi nella regione del promotore dei geni per le globine Gγ e Aγ. E’ già stato
precedentemente trattato l’argomento relativo all’esistenza e alla funzione di sequenze
interne a questa regione del DNA che sono responsabili della regolazione della
trascrizione mediante legame con proteine ubiquitarie o eritro-specifiche. Le mutazioni
che ricadono in queste regioni esplicano la loro azione, probabilmente, mediante
l’alterazione delle sequenze di binding delle proteine di regolazione della trascrizione
genica. Tale alterazione può sia causare la diminuzione dell’affinità per i repressori
trascrizionali, sia aumentare l’affinità per il legame di fattori transattivanti. E’ altresì
probabile che in realtà l’effetto sia dovuto ad una combinazione dei due meccanismi
appena descritti. Si è dimostrato che mutazioni localizzate in una di queste sequenze
causano un’alterazione trascrizionale del gene per le globine γ e quindi una sintesi postfetale persistente, seppur parziale, che dà origine a livelli di HbF variabili dal 2% al
20%. L’aumentata attività dei geni per le γ-globine controbilancia la diminuita attività di
quelli per le β, in modo che la sintesi globinica sia sempre equilibrata e non compaia il
fenotipo talassemico [2].
Mediante studi strutturali è stato possibile evidenziare che le mutazioni puntiformi
non-deletion HPFH si raggruppano in tre regioni del promotore del gene per le γglobine e si accentrano attorno alle posizioni -200, -175 e -115 dal sito di inizio della
trascrizione. La regione -200 è particolarmente ricca in motivi GC ed è nota per essere il
target di cinque differenti, ma ravvicinate, mutazioni puntiformi, che colpiscono il
promotore del gene Gγ in posizione -202(CÆG) e il promotore di Aγ rispettivamente in
posizione -202(CÆT), -198(CÆG) e -195(CÆG). Con studi condotti in vitro si è
focalizzata l’attenzione sugli effetti che queste mutazioni hanno sul legame di differenti
proteine che legano il DNA. In particolare le mutazioni alle posizioni -202, -198, -196,
-195 sembrano coinvolgere il sito di legame della proteina ubiquitaria Sp1.
Considerando la similitudine di sequenza tra la mutazione -198 nell’HPFH e la proteina
Sp1 si è osservato che questa mutazione aumenta l’affinità di legame per il fattore
trascrizionale Sp1. Esperimenti condotti su topi transgenici per le mutazioni -117, -175
e -198 che dimostrano fenotipo HPFH, forniscono prova diretta della relazione che
intercorre tra mutazione e fenotipo. Si è dimostrato che la mutazione HPFH -198 è in
grado di conservare, nei topi transgenici, l’espressione genica di γ in età adulta quando
il motivo CACCC box risulta alterato. Essendo la funzione del CACCC box
66
indispensabile per l’espressione γ-globinica nell’adulto, questo risultato suggerisce che
la delezione HPFH -198 permetta la creazione di un nuovo elemento in grado di
sostituirsi funzionalmente alla CACCC box nella vita adulta [80]. Attraverso l’impiego
sperimentale di anticorpi commerciali, è stato possibile confermare l’identità e la
specificità di legame per -198 HPFH di un sottoinsieme di proteine che include DNMT1
(DNA metiltransferasi 1), RAP74 (la subunità maggiore del fattore di trascrizione
generico TF-II) e il coattivatore p52. La proteina Sp1, invece, non è stata individuata
come componente di questo complesso proteico, confermando quindi che l’attività di
legame della mutazione -198 HPFH riguarda il CACCC box, ma differisce da quella di
Sp1. Le proteine di legame identificate con questi studi hanno dimostrato di essere in
grado di legare la mutazione -198(TÆC) presente nel promotore del gene per le
A
γ-globine e di essere quindi coinvolte nella regolazione dell’espressione di tale gene
portante la mutazione -198 HPFH nell’eritropoiesi adulta [80]. La sequenza CACCC del
promotore γ globinico si è rivelata essere in stretta associazione con una sequenza
ottamerica situata a monte e con un elemento CCAAT localizzato a valle. Come nel
caso del CACCC box descritto sopra, anche per l’ottamero ATGCAAAT si è dimostrata
l’esistenza di un pool di proteine di legame OBP (octamer binding proteins). In
particolare, è stata identificata una proteina che migra assieme alla forma ubiquitaria di
OBP, NF-A1, e lega in modo specifico l’ottamero del promotore del gene per le globine
γ. La mutazione puntiforme HPFH -175(TÆC), che coinvolge appunto la sequenza
ottamerica, riduce severamente il legame di questa proteina alla sequenza stessa e causa
come conseguenza l’attivazione dell’espressione γ-globinica, indicando, infine, che
OBP agisce normalmente come un repressore [79].
Sono state identificate mutazioni puntiformi di questo tipo in soggetti con fenotipo
HPFH di differenti etnie; in particolare, la mutazione -196(CÆT) nel gene per le Aγglobine è stata riscontrata in Sardegna e si è notato che la sua associazione in cis con la
mutazione β0-39, dà origina alla F-talassemia sarda. Questa condizione presenta una
quota di HbF elevata fino al 10-20% e una quota di HbA2 normale, spiegabile
assumendo che la mutazione coinvolgente il gene per le catene γ possa essere la causa di
una ridotta produzione di catene δ-globiniche; la quantità di HbA2 risulta quindi
normale, anziché aumentare come nel caso di un soggetto affetto da β-talassemia.
67
La mutazione -117(GÆA) del gene per le globine Aγ, anch’essa molto diffusa in
Sardegna e in Grecia, accresce di 2-3 volte il legame del fattore CP1 (poly(C)-binding
protein-1) con il CCAAT box distale e triplica l’affinità di legame di CDP (CCAAT
displacement protein). Risulta invece fortemente diminuito il legame dei fattori NF-E1
e NF-E3 (Nuclear Factor Erythroid 3) e proprio la mancanza di un normale legame di
questi, potrebbe essere la causa dell’assenza totale di repressione della trascrizione
genica di Aγ [81].
Un altro difetto localizzato nel CCAAT box distale è rappresentato dalla delezione
di 13 nucleotidi a partire dalla posizione -114 nel gene per le Aγ-globine, che abolisce il
legame con i fattori CP1, CPD e NF-E3, ma lascia intatto il legame con NF-E1.
Infine, la mutazione -158(CÆT) a monte del gene per le globine
G
γ, ha la
caratteristica di essere riconosciuta dell'enzima di restrizione XmnI, poiché essa crea un
sito di taglio per questo enzima. Questa mutazione, molto importante per la sua alta
frequenza in Arabia Saudita, è un esempio di alterazione genetica che si esprime solo in
condizioni di stress emopoietico: infatti, una quota elevata di HbF è assente nei genitori
sani dell’individuo malato, mentre è presente nel soggetto malato, che si trova in una
condizione di stress emolitico cronico [2].
4. L’induzione di HbF come approccio terapeutico per la cura delle
talassemie.
4.a. L’eritropoiesi e il differenziamento eritroide.
La vita delle cellule, nel torrente circolatorio, ha una durata piuttosto limitata,
perciò esse vengono continuamente rinnovate attraverso il processo dell’ emopoiesi, che
ha luogo nel midollo osseo.
Tutte le cellule ematiche derivano da un limitato numero di cellule staminali
pluripotenti di origine mesodermica, le quali costituiscono meno dello 0,01% delle
cellule nucleate presenti nel midollo osseo. Esse rappresentano l’unica tipologia
cellulare caratterizzata dalla capacità di autoreplicarsi e di crescere e differenziarsi in
senso mieloide e linfoide, dando origine a tutte le popolazioni cellulari del sangue.
68
Alcune cellule staminali, dividendosi, danno origine ad una progenie che perde la
capacità di differenziamento lungo le differenti vie e indirizza il proprio sviluppo verso
una specifica linea dell’emopoiesi. Le cellule staminali che invece mantengono la
capacità di divisione, ma sono prive di un qualsiasi tipo di orientamento del loro
sviluppo verso una specifica linea emopoietica, sono denominate committed; esse sono
destinate a seguire, quindi, un’unica linea differenziativa e a continuare a proliferare e
differenziarsi in precursori morfologicamente identificabili, che vanno incontro ad
un’ulteriore maturazione attraverso cui acquisiscono funzioni altamente specializzate,
ma perdono la capacità di proliferare [82]. Quest’ultime, dopo diverse divisioni
cellulari, danno origine a cellule che possono differenziare ulteriormente, producendo: i
mieloblasti, da cui originano i granulociti, gli eritroblasti, da cui si formano i reticolociti
e in seguito quindi gli eritrociti e, infine, i megacariociti, da cui derivano le piastrine
(Fig. 15) [82, 83].
Fig. 15. Rappresentazione schematica
del processo dell’eritropoiesi nell’uomo.
L’eritropoiesi ha inizio dalla cellula staminale
totipotente che differenzia dando origine ai
progenitori multipotenti (BFU-E). Da questi
derivano poi le cellule committed sempre più
differenziate dalle quali origineranno le cellule
mature del sangue [Figura tratta dal sito
http://people.hofstra.edu].
In seguito alla risposta a stimoli poco noti e mediante un processo attivo, le cellule
mature derivanti dalle tre filiere emopoietiche appena descritte, passano al torrente
ematico causando la temporanea comparsa di pori sulla membrana delle cellule
69
endoteliali [84]. Il differenziamento delle cellule ematiche si esplica attraverso una
particolare programmazione dell’attività genica, che ha la funzione di reprimere la
sintesi dei geni non specifici per quel determinato istotipo cellulare e di attivare, invece,
l’espressione di geni specifici. La diversa regolazione dell’attività genica dipende da
segnali chimici che giungono al nucleo dal citoplasma, dalle cellule circostanti o
dall’ambiente esterno alla cellula stessa. Questo stato differenziato è mediato da
sostanze chimiche che svolgono un’azione regolatrice anche a distanza; questo fatto è
supportato dalla dimostrazione che è possibile ripristinare lo stato di totipotenza di un
nucleo di una cellula differenziata, inserendolo in un citoplasma di una cellula
embrionale, privandolo, pertanto, dell’ambiente che lo sollecita verso un ruolo definito
[83]. I primi fattori di crescita coinvolti negli stadi iniziali dell’emopoiesi sono le
citochine, sintetizzate e secrete sia dalle cellule del midollo, che da cellule stromali o
del sistema immunitario; esse regolano, attraverso un complesso sistema di
cooperazione, il differenziamento e la proliferazione delle cellule progenitrici. Tra le
principali citochine che prendono parte a questo processo troviamo il fattore di crescita
per le cellule staminali (SCF, stem cell factor), l’inteleuchina-3 (IL-3) e il fattore
stimolante le colonie granulocito-macrofagiche (GM-CSF). In uno stadio di crescita più
avanzato, quando i progenitori cellulari maturi si orientano verso un’unica linea di
differenziazione, intervengono altri fattori di crescita, tra cui l’eritropoietina (EPO), la
trombopoietina (TPO), il fattore stimolante colonie macrofagiche (M-CSF) e il fattore
stimolante colonie granulocitarie (G-CSF). Questi fattori di crescita presentano, inoltre,
la comune caratteristica di poter legare recettori proteici ad attività tirosin-chinasica e di
promuovere, di conseguenza, risposte complesse mediate dalla fosforillazione di
proteine bersaglio [84].
Con il termine specifico “eritropoiesi” si intende indicare il processo attraverso cui,
dalle cellule staminali totipotenti, prendono origine gli eritrociti, in seguito alla
differenziazione di cellule staminali, che porta alla comparsa dei primi progenitori
eritroidi. Nonostante gli stimoli che governano le fasi iniziali di questo processo non
siano pienamente noti, è chiaro che la formazione dei progenitori eritroidi è aumentata
dall’IL-3 e da GM-CSF e che rivestono una certa importanza in questo primo momento
di sviluppo anche le interazioni con le cellule endoteliali, fibroblastiche e macrofagiche
del microambiente emopoietico [84]. Per completare l’intero processo è richiesta la
presenza di fattori ematopoietici di crescita (HGFs) ad azione sia stimolatoria, come
70
quella esercitata dalle interleuchine, che inibitoria esplicata da molecole prodotte da una
vasta gamma di cellule. Per garantire una corretta differenziazione e maturazione delle
cellule staminali è richiesta la presenza di fattori quali la vitamina B12 e l’acido folico,
indispensabili per la sintesi del DNA, la disponibilità di ferro e la presenza di oligoelementi come il rame, il cobalto e il nichel.
I precursori degli eritrociti divengono, nel corso della divisione, sempre più
sensibili all’azione dell’eritropoietina, l’ormone polipeptidico che viene prodotto da reni
e fegato in risposta allo stimolo ipossico inviato dai globoli rossi, che ne stimolano la
produzione provocando la divisione cellulare fino alla completa maturazione dei
precursori. La cellula eritroide più immatura, derivante dalla cellula staminale
pluripotente, è la cosiddetta BFU-E (erythroid burst forming unit=unità eritroide
formante grappoli); essa può essere isolata dal midollo osseo e/o dal sangue periferico
ed essere altrettanto facilmente coltivata in vitro, ad esempio con la metodica trattata e
descritta nel dettaglio nel capitolo “Materiali e Metodi”.
Dopo 10-15 giorni di coltura, la cellula BFU-E, la cui crescita risponde ad alte dosi
di eritropoietina, dà origine ad una grossa colonia di precursori eritroidi già
riconoscibili. La cellula più matura CFU-E (erythroid colony forming unit=unità
eritroide che forma colonie), anch’essa molto sensibile all’eritropoietina, produce un
clone cellulare più piccolo dopo 4-7 giorni di coltura.
La funzione dell’eritropoietina probabilmente si esplica mediante l’interazione
della stessa con recettori specifici posti sulla membrana di cellule progenitrici
(committed), destinate a differenziarsi in senso eritroide; l’eritropoietina induce le
cellule committed a differenziarsi in precursori eritroidi più precoci, i pronormoblasti,
riconoscibili all’esame del midollo osseo. In condizioni fisiologiche, sono richieste tre o
quattro divisioni cellulari per realizzare il passaggio da proeritroblasto a eritroblasto più
maturo, e ciò si verifica in un tempo superiore ai quattro giorni, periodo durante il quale
il nucleo diviene più piccolo ed una quantità sempre maggiore di emoglobina viene
sintetizzata nel citoplasma. Dopo l’ultima divisione cellulare il nucleo picnotico viene
estromesso dall’eritroblasto e si forma così il reticolocita, che rimane nel midollo per
due o tre giorni, e viene poi rilasciato in circolo. Dopo 24 ore esso assume il tipico
aspetto morfologico dell’eritrocita maturo, perdendo mitocondri e ribosomi; l’eritrocita,
quindi, non può esser definito come una cellula in senso stretto, in quanto è privo di
organelli cellulari. Tuttavia la cellula eritrocitaria possiede caratteristiche che le
71
garantiscono la capacità di trasportare ossigeno e CO2, mediante la sintesi
dell’emoglobina e una morfologia tale per cui il suo rapporto superficie/volume risulta
favorevole e rende lo scambio gassoso più semplice [85]. Inoltre, i precursori eritroidi
(dal proeritroblasto al reticolocita) sono caratterizzati dalla presenza di un recettore di
superficie per il complesso ferro-transferrina, attraverso il quale possono inglobare il
ferro necessario alla sintesi dell’emoglobina [82].
4.b. Strategie terapeutiche per la cura della talassemia.
Attualmente gli approcci principali adottati nella terapia clinica dei disordini
emopoietici sono costituiti dalla terapia trasfusionale, che rappresenta il trattamento più
comune per tutte le forme più gravi di talassemia, e il trapianto di midollo osseo. In
particolare, l’emotrasfusione associata alla terapia ferrochelante e alla splenectomia, ha
costituito negli ultimi anni il mezzo più importante in grado di garantire il
prolungamento e il miglioramento della qualità di vita del paziente talassemico.
TERAPIA TRASFUSIONALE. Nel malato di anemia mediterranea questo
approccio terapeutico non rappresenta soltanto una terapia sostitutiva applicata per
ridurre o alleviare lo stato anemico, ma un vero e proprio intervento sulle principali
manifestazioni della malattia, delle quali può modificare la patogenesi [2].
Il trattamento tradizionale si basa sulle trasfusioni di globuli rossi, in modo che al
paziente vengano fornite le quantità di emoglobina normale necessaria a trasportare
l’ossigeno a tutti i tessuti dell’organismo, consentendo la crescita e lo svolgimento di
tutte le funzioni d’organo, in particolar modo del cuore. La terapia trasfusionale elimina
le pericolose oscillazioni a livello emoglobinico e assicura al paziente crescita e
sviluppo regolari; attraverso la riduzione dell’attività midollare, causata dalla riduzione
della produzione di eritropoietina, si provoca l’arresto dell’espansione midollare e delle
manifestazioni cliniche che questa comporta, quali le alterazioni scheletriche craniofacciali e l’ipervolemia. Un altro effetto che si affianca al blocco dell’attività midollare
è l’arresto o la riduzione marcata dell’eritropoiesi inefficace, con un forte calo della
produzione di eritroblasti alterati e di precipitati di catene α-globiniche. L’immissione
in circolo di un numero minore di cellule alterate, il cui destino è quello di essere
sequestrate e distrutte dalla milza, provoca di conseguenza una comparsa più lenta del
fenomeno di ipersplenismo [2].
72
L’inizio della terapia trasfusionale nei malati gravi di anemia mediterranea avviene
di solito nella seconda metà o verso la fine del primo anno di vita [2]; mentre i pazienti
affetti da talassemia erano in passato sottoposti a trasfusioni di sangue di tanto in tanto,
la ricerca clinica ha dimostrato che un programma terapeutico che prevede trasfusioni di
sangue più frequenti porta ad un netto miglioramento del tenore di vita dei pazienti.
Nei casi di maggiore gravità compare entro il primo decennio di vita
l’ipersplenismo, condizione determinata dall’aumentata attività emocateretica, che la
milza rivolge sia verso le emazia danneggiate del malato, che a quelle sane ricevute
mediante terapia trasfusionale; questa eccessiva distruzione eritrocitaria ha come
conseguenza un forte ristagno di sangue nella milza ed una difficile circolazione
intrasplenica del sangue, entrambi fenomeni che determinano l’aumento del volume
della milza. Pertanto spesso si rende necessario ricorrere ad un intervento di
splenectomia, ovvero all’asportazione della ghiandola; in passato era frequente
l’insorgenza di malattie infettive in seguito all’operazione, causate dalla riduzione delle
difese immunitarie del paziente, ma nell’ultimo ventennio questo inconveniente è stato
in parte risolto, grazie al miglioramento delle condizioni generali dei pazienti,
all’applicazione più tardiva di questo intervento e alla profilassi tramite vaccinazione
cui sono sottoposti i pazienti dopo la splenectomia [2].
Poiché non esiste un modo naturale attraverso il quale il corpo umano elimina il
ferro contenuto nell’eme, un trattamento trasfusionale prolungato comporta sempre
l’insorgere di un fenomeno rilevante conosciuto come "iron overload" o "sovraccarico
di ferro", condizione che danneggia le membrane cellulari degli organi in cui si
deposita. I principali danni d’organo coinvolgono cuore, fegato e ghiandole endocrine,
perché in questi organi vi è una grossa concentrazione di recettori per la transferrina. Il
sovraccarico di ferro è la causa principale di morte dei pazienti trattati con ripetute
trasfusioni di sangue. In associazione alla terapia trasfusionale, perciò, i soggetti
talassemici necessitano della terapia chelante, la cui funzione è quella di allontanare il
ferro in eccesso.
La causa principale dei danni cellulari causati dall’accumulo di ferro libero nei
tessuti è probabilmente la formazione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) che fanno
in modo che le cellule perdano la capacità di ridurle, accelerando la formazione di
radicali liberi idrossilici responsabili della perossidazione dei lipidi e delle proteine di
membrana e, infine, del danno cellulare. A tal proposito, si è dimostrato che il livello di
73
NTBI (non-trasferrin-bound iron) nel sangue rappresenta la causa maggiore del danno
ossidativo, tuttavia tale ipotesi richiede ulteriori conferme [86].
Il primo segno di sovraccarico di ferro nel malato trasfuso è l’aumento della
ferritina sierica, parametro utilizzato nella valutazione clinica degli stati di sierosi. La
ferritina sierica, che nel soggetto normale si presenta per l’80% nella forma glicosilata,
nel malato politrasfuso è in quantità molto più elevata e nella massima parte si trova in
forma non glicosilata; la correlazione tra la quota di ferritina sierica e il grado di sierosi
non è però assolutamente lineare e può essere alterata da fattori quali la presenza di
ascorbato, febbre o processi infiammatori, epatiti acute o croniche ed iperemolisi
cronica [2].
Le caratteristiche di maggiore importanza che sono richieste ad un agente chelante
il ferro sono, soprattutto, la selettività e l’affinità per lo ione ferrico Fe3+, una spiccata
capacità di penetrazione dei tessuti e delle cellule, la non tossicità, basso costo, la
possibilità di somministrazione orale e un tempo di emivita elevato. Caratteristiche del
composto quali il peso molecolare, il bilancio tra grado di lipofilia e idrofilia, la
farmacocinetica, la distribuzione e il metabolismo giocano quindi un ruolo determinante
per definire la sicurezza o la tossicità del composto chelante. Ottenere un agente
chelante ideale è un impresa molto difficile, poichè, se da un lato l’accumulo di ferro è
causa di tossicità e danni d’organo, dall’altro questo elemento è essenziale in molte
funzioni metaboliche tra cui il trasporto dell’ossigeno, la sintesi del DNA, il trasporto di
elettroni. Peranto, l’agente chelante deve essere in grado di rimuovere dall’organismo
solo il ferro in eccesso. Di conseguenza, tra i vari effetti collaterali, l’impiego di agenti
chelanti, può comportare l’alterazioni della normale omeostasi del ferro (assorbimento,
distribuzione e utilizzo), interferire con enzimi ferro-dipendenti o rimuovere altri metalli
come lo zinco e il calcio dai loro ambienti metabolici [87].
Al fine di rimuovere in modo efficace il ferro in eccesso che si accumula in seguito
alla terapia trasfusionale, i pazienti vengono sottoposti alla difficile e dolorosa infusione
di un farmaco chelante, la desferrioxamina (Desferal®). La desferrioxamina (DFO) è un
sideroforo naturale, che viene prodotto dallo Streptomices pilosus per captare ferro
dall’ambiente, che chela il ferro mascherandone i sei siti di coordinazione e in questo
modo il complesso non è in grado di generare ROS. L’eliminazione del ferro chelato
avviene per via fecale o urinaria; si pensa che il ferro eliminato con le feci derivi dalle
cellule epatiche, dove viene legato in situ ed escreto con la bile, mentre il ferro
74
eliminato per via urinaria provenga sia dal ferro catabolico chelato entro il pool di ferro
labile, sia dal ferro libero non transferrinico rilasciato dalle cellule del reticolo
endoteliale [2]. Il farmaco può essere somministrato per via parenterale, ma anche
attraverso infusioni endovenose o sottocutanee. Per ottenere dei buoni risultati le
infusioni necessitano di essere prolungate per 8-12 ore, usando un ago attaccato ad una
piccola pompa per infusione funzionante attraverso batterie e infilato sotto la pelle di
varie parti del corpo. Gli alti costi del farmaco, della pompa e dei materiali di infusione
ne limitano, tuttavia, l’utilità e l’applicazione, spesso non ben sopportata dai pazienti
che con il tempo perdono gradualmente la disponibilità nei confronti di questa
complessa terapia; ma essere in grado di tollerare questo farmaco ferrochelante è
essenziale per la sopravvivenza a lungo termine del paziente talassemico, infatti, se la
terapia chelante non viene correttamente effettuata, si ha un aumento delle possibilità di
morte precoce per il soggetto talassemico. Al fine di porre rimedio a questo problema,
sono in studio nuovi composti chelanti il ferro che possano essere tollerati con più
facilità dai pazienti. Questo fatto e la necessità assoluta di fornire un’adeguata terapia ai
pazienti talassemici hanno sollecitato la ricerca a direzionarsi verso nuovi ferrochelanti
somministrabili per os [2].
Nel 1990 al VI Simposio Internazionale sul morbo di Cooley, che si è tenuto a New
York, le ricerche in questo settore hanno identificato quattro gruppi di molecole ad
attività ferrochelante, le cui strutture chimiche sono descritte in Fig. 16:
1. al primo gruppo appartiene l’idrazone di isonicotinoil-piridossale (PIH), la cui
capacità di chelare il ferro si è però rivelata modesta; tuttavia, assieme ad alcuni suoi
analoghi ha dimostrato di essere un potente inibitore della produzione di radicali liberi
dell’ossigeno [87];
2. il secondo gruppo annovera l’acido diacetico di idrossibenzil-etilendiammina
(HBED), che somministrato per via parenterale a ratti ipertrasfusi, ha dimostrato di
indurre sperimentalmente un’escrezione urinaria di ferro doppia rispetto a quanto
ottenuto in seguito a trattamento con Desferal;
3. nel terzo gruppo c’è la desferritiocina (DFT), un sideroforo isolato nel 1980
dallo Streptomyces antibioticus e attualmente prodotto per sintesi chimica. E’ un agente
chelante il ferro assumibile per via orale, con alta affinità di legame per lo ione Fe3+.
Immediatamente dopo la sua scoperta, la desferrioticina è stato testata su ratti in cui il
sovraccarico di ferro veniva effettivamente diminuito, in particolar modo a livello del
75
fegato; tuttavia, sebbene i dati iniziali non abbiano dimostrato particolari effetti
negativi, una lunga esposizione dei ratti al farmaco ha dimostrato vari stadi di
alterazione, da lievi a più severi, dei tubuli prossimali renali [87];
4. infine, il quarto gruppo, è rappresentato dal deferiprone o CP20 o L1. Il suo uso
è stato autorizzato inizialmente in India nel 1995 e poi in Europa, nel 1999, dove è
attualmente impiegato per il trattamento di pazienti per cui la cura con desferrioxamina
risulta inadeguata [87]. Questa molecola sottrae il ferro dalla ferritina, dall’emosiderina
e dalla transferrina ferrica. Sono richieste tre molecole di deferiprone per chelare
efficacemente una molecola di ferro e prevenire la formazione di ROS. Il farmaco può
entrare nelle cellule [88], legare tre atomi di ferro e viene espulso dall’organismo in
questa forma, attraverso le urine. In ratti ipertrasfusi è stato rilevato che il ferro
eliminato per via urinaria proviene dal reticolo endoteliale, mentre quello espulso per
via fecale viene sequestrato dal fegato e dal miocardio. Le prove di tossicità a breve
termine condotte su animali non hanno segnalato effetti collaterali negativi, salvo lievi
alterazioni dell’elettroretinogramma simili a quelle causate dal Desferal [2]. L’effetto
collaterale più serio è rappresentato dall’agranulocitosi, mentre effetti avversi più
comuni, ma meno gravi sono dati da sintomi gastrointestinali (nausea, vomito), artralgia
e deficienza di zinco [87]; tuttavia, sono stati osservati casi in cui l’uso di deferiprone
ha causato fibrosi epatica, dimostrando così che questo farmaco, assunto abitualmente, è
meno efficace della desferrioxamina nella prevenzione dell’accumulo di ferro nel fegato
e causando l’astensione di paesi come gli Stati Uniti e il Canada dall’uso del
deferiprone. Al contrario, il farmaco è stato adottato in uso da ben 50 Paesi europei,
dopo che con studi recenti si è chiarito che la fibrosi epatica non è l’effetto collaterale
più comune e grave [89].
Dal deferiprone deriva un nuovo composto: il GT56-252, anch’esso a
somministrazione orale, che forma un complesso con il Fe3+ in rapporto 2:1.
Per sintesi chimica si è ottenuto il composto 40SD02 (CHF 1540), derivante
dall’attacco di un polimero di amido modificato alla desferrioxamina. La molecola
risultante, caratterizzata da un elevato peso molecolare che ne prolunga il tempo di
emivita, mantiene l’affinità di legame per Fe3+ tipica della desferrioxamina, senza però
produrre gli stessi effetti tossici acuti, come ad esempio l’ipotensione.
Infine, un ulteriore composto attivo per somministrazione orale è l’ICL670; esso è
un bis-idrossifenil-triazolo-N-sostituito, che ha dimostrato buona farmacocinetica e
76
scarsissima tossicità. La sua azione è limitata alla rimozione di ferro dal fegato, mentre
non esercita il medesimo effetto sul cuore [87].
Alcuni studi hanno dimostrato che l’azione combinata del deferiprone con la
desferrioxamina è in grado di diminuire i livelli del ferro sia nel fegato che nel cuore
mediante un’azione sinergica. Infatti, il deferiprone somministrato per via orale entra
nelle cellule cardiache, dove lega il ferro, che viene trasferito nel sangue in questa
forma; dopo un determinato intervallo di tempo, si somministra per via parenterale la
desferrioxamina che lega il ferro entrato nel torrente circolatorio, e ne provoca
l’eliminazione con le urine e le feci.
Fig. 16. Struttura chimica di agenti chelanti il ferro di ultima
generazione. HBED (acido acetico di idrossibenzil-etilendiammina); PIH
(idrazone di isonicotinoil-piridossale); DFT (desferriotiocina); GT56-252
(derivato del desferiprone); ICL-670 (bis-idrossifenil-triazolo-N-sostituito)
[Cohen et 2004].
TRAPIANTO DI MIDOLLO OSSEO. Il midollo osseo di un individuo
talassemico non è in grado di produrre una normale quantità di globuli rossi funzionali;
perciò, attraverso il trapianto di cellule normali e funzionanti si può garantire la
guarigione definitiva al paziente talassemico.
77
Innanzitutto è necessario distruggere in parte le cellule del midollo del paziente con
farmaci chemioterapici (condizionamento pre-impianto), fase molto delicata poiché il
paziente viene privato delle difese immunitarie, in seguito il midollo distrutto viene
reitegrato con le cellule sane derivate dal donatore (trapianto). Per poter effettuare tale
sostituzione è necessaria un’assoluta compatibilità tra donatore e paziente; il midollo del
donatore deve possedere caratteristiche il più possibile uguali a quelle del ricevente
talassemico al fine di evitare qualsiasi fenomeno di rigetto, caso in cui il paziente
necessiterà di continuare a ricevere emotrasfusioni regolari per vivere. Le cellule
midollari, prelevate dal donatore, sono somministrate endovena al paziente, in maniera
simile ad una normale trasfusione di sangue. Il prelievo del midollo (sangue midollare)
viene eseguito in anestesia mediante ripetute punture delle creste iliache (ossa del
bacino) e la quantità di sangue midollare che viene prelevata varia in rapporto al volume
corporeo del ricevente, ma è di solito compresa fra i 700 e i 1000 ml.
Le probabilità di successo di un trapianto di midollo sono superiori al 70%,
percentuale variabile a seconda dell’età del paziente e, se il trapianto ha un buon esito, il
nuovo midollo comincia a produrre globuli rossi normali. La responsabilità degli
insuccessi, invece, viene attribuita principalmente agli interventi di condizionamento
pre-impianto, al trattamento con ciclofosfamide per l’immunosoppressione e alla
prolungata somministrazione dopo il trapianto di metotrexato per prevenire la GVHD
(graft versus host disease=malattia da reazione contro l’ospite) [2].
Quindi, il trapianto di midollo è una pratica terapeutica che presenta notevoli
vantaggi, ma contemporaneamente grandi rischi e richiede un’attenta valutazione della
possibilità di successo prima di essere eseguita.
4.c. Terapie sperimentali per la cura della β-talassemia basate sull’induzione
di emoglobina fetale.
Nuove strategie per il trattamento di emoglobinopatie e in particolare della
β-talassemia si basano sulla consapevolezza che questi disordini genetici sono causati
da difetti strutturali o funzionali di un gene in età adulta, per il quale, tuttavia, esiste
ancora la controparte fetale intatta. Durante l’ultimo decennio, molti composti
farmacologici sono stati testati e indagati per la loro potenziale attività come induttori
78
della sintesi di emoglobina fetale nel trattamento dell’anemia falciforme e dell’anemia
mediterranea.
Sebbene queste due malattie abbiano un’origine comune in un’alterazione che
coinvolge il gene per le β-globine, la loro differente fisiopatologia e causa genetica
specifica, obbliga la ricerca ad adottare diversi approcci. Nella β-talassemia, la
mancanza parziale o totale di sintesi β-globinica, rende di rilevante importanza
l’incremento della produzione di qualsiasi altra catena globinica non-alfa. Questo può
essere ottenuto sia potenziando l’espressione di geni per le globine di tipo β introdotti
nelle cellule mediante vettori virali (terapia genica), sia riattivando la produzione di
emoglobina fetale nell’individuo adulto, nel quale normalmente questa si trova in
percentuale molto ridotta.
E’ stato ampiamente dimostrato da studi biochimici, molecolari e clinici che i
pazienti affetti da disordini genetici del gene per le globine β, traggono giovamento
dalla persistenza o dall’induzione farmacologia di emoglobina fetale (HbF), quando
essa raggiunge percentuali comprese tra il 9% e il 20%, particolarmente se l’HbF si
trova distribuita in modo sostanziale nella popolazione eritrocitaria. L’induzione di HbF
è perciò diventato oggetto di studi per il trattamento e la cura delle emoglobinopatie
[164]. Infatti, studi condotti su individui che manifestano persistenza dell’HbF in età
adulta, hanno portato a definire che un’alta percentuale di HbF è associata ad un
decorso lieve e benigno della patologia [90]. Considerando gli effetti positivi sul quadro
clinico esercitati dalla presenza di un’alta quota di HbF, è stata rivolta particolare
attenzione alla ricerca di sostanze capaci di riattivare la sintesi di HbF nella vita postfetale [2]. Quindi, uno degli obiettivi nella terapia sperimentale della β-talassemia è
quello di aumentare la sintesi delle catene γ-globiniche, per compensare il deficit di
quelle β, attraverso manipolazioni farmacologiche dello switch feto-adulto delle
globine. L’espressione di γ-globine nell’uomo può essere controllata sia a livello posttrascizionale, traslazionale, o post-traslazionale ed i composti che esplicano la loro
azione su uno di questi steps, possono potenzialmente indurre l’espressione di
emoglobina fetale [91].
L’accellerazione dei processi apoptotici dei precursori eritroidi nella β-talassemia,
costituisce un ostacolo per trovare una terapia definitiva a questa patologia, poiché gli
effetti benefici degli agenti che inducono la produzione di HbF non possono essere
indotti in cellule in cui la morte programmata è stabilita ad uno stadio così precoce dello
79
sviluppo. E’ quindi importante identificare, oltre a sostanze in grado di indurre
l’emoglobina fetale, anche metodi per ridurre l’apoptosi cellulare. E’ già stato condotto
un trial clinico pilota per determinare se l’uso combinato di un induttore di HbF come il
butirrato e di eritropoietina, il fattore di crescita ematopoietico che prolunga la
sopravvivenza delle cellule eritroidi e ne stimola la proliferazione, può produrre una
risposta positiva additiva su alcuni soggetti talassemici [92].
Sono numerosi i composti che hanno dimostrato la capacità di incrementare la
sintesi di HbF sia nell’uomo che in modelli animali; questi composti comprendono
farmaci citotossici, analoghi nucleotidici, fattori di crescita e derivati dell’acido
butirrico. Inizialmente erano quattro i composti di maggior interesse per questo scopo:
1. la 5-azacitidina, analogo della citosina e farmaco citotossico. Nel 1982 fu
osservato per la prima volta che questo farmaco somministrato ai topi per via
intravenosa provocava un aumento della quota di emoglobina fetale in questi animali.
Normalmente, nella cromatina, il DNA è metilato secondo un disegno tutt’altro che
casuale, bensì correlato strettamente all’attività genica. Questa relazione è stata
osservata inizialmente nel cluster β, in cui i geni per le γ-globine risultano essere
demetilati nel periodo fetale in cui sono espressi, ma fortemente metilati nel periodo
adulto in cui sono invece silenziati. Potenzialmente, quindi, la riattivazione dei geni per
le globine γ nell’adulto può essere indotta alterando questo quadro di metilazione,
andando ad agire, ad esempio, sugli enzimi coinvolti in tale processo [90]. Si è
ipotizzato che il meccanismo d’azione della 5-azacitidina consistesse proprio
nell’ipometilazione del DNA in corrispondenza della regione dei geni per le γ-globine
contenente siti di legame per fattori di trascrizione, similmente a quanto avviene negli
eritroblasti durante il periodo fetale. Con questo meccanismo il farmaco è dunque in
grado di annullare la down-regolazione della sintesi delle catene di tipo γ. Tuttavia si è
osservato immediatamente che la 5-azacitidina è soprattutto un agente citotossicocitostatico specifico della fase S, quindi inibisce la replicazione di cellule in attiva
proliferazione, è potenzialmente cancerogeno, ha un’efficacia limitata nel tempo e causa
una marcata inibizione dell’eritropoiesi, tutti fattori che hanno portatao all’abbandono di
questo farmaco nella terapia della talassemia; un analogo della 5-azacitidina è la 5-aza2’-desossicitidina (decitabina).
2. L’idrossiurea (HU), un agente citostatico che blocca la replicazione del DNA
inibendo il complesso enzimatico della ribonucleotide difosfato reduttasi. Questo
80
farmaco veniva preferito rispetto al precedente nella pratica clinica per il suo miglior
profilo farmacocinetico e per la possibilità di somministrazione orale. Tuttavia, il suo
effetto è transiente, variabile e, quindi, poco prevedibile, oltre a presentare anche una
certa citotossicità. L’idrossiurea ha dimostrato di avere numerosi effetti sulle colture
eritrocitarie; essa incrementa la porzione di HbF prodotta, diminuisce il numero delle
cellule a causa della sua azione di inibizione della proliferazione cellulare, aumenta il
contenuto cellulare di emoglobina (MHC) e infine fa aumentare il volume delle cellule
eritrocitarie. L’entità di questi effetti è tuttavia correlata e dipendente dalla dose di
farmaco e dal momento in cui è avvenuta la somministrazione. I risultati ottenuti
suggeriscono che l’idrossiurea influenza il fenotipo emoglobinico interagendo
direttamente con i precursori eritroidi tardivi, che sono già coinvolti nella produzione di
emoglobina; questa interazione non richiede né la mediazione di altri gruppi cellulari
(come ad esempio macrofagi, linfociti o cellule stromali), né fattori di crescita specifici
come GM-CSF. I meccanismi attraverso cui l’idrossiurea agisce potrebbero coinvolgere
la selezione di una popolazione cellulare, preesistente, rappresentata dalle F cellule, che
hanno dei vantaggi sia nella crescita che nella sopravvivenza. Si pensa che questa
tipologia cellulare possa essere coinvolta soprattutto nel caso di pazienti affetti da
β-emoglobinopatie, dove le cellule F sono resistenti all’eritropoiesi inefficace. Un
meccanismo alternativo potrebbe essere rappresentato dalla induzione diretta della
maggior parte delle popolazioni eritrocitarie a produrre HbF, per esempio mediante la
rimozione di proteine in trans che regolano negativamente la regione del promotore del
gene per le γ-globine, oppure indirettamente modificando la cinetica del ciclo cellulare
[93].
3. L’eritropoietina, il principale fattore di crescita della linea eritroide. La
somministrazione di quantità farmacologiche di eritropoietina, in soggetti affetti da
β-talassemia intermedia, causa, durante la maturazione dei precursori eritroidi, la sintesi
di γ-globine e, quindi, un incremento di HbF [94].
4. Dalla metà degli anni ’80 l’attenzione è stata rivolta verso gli analoghi
dell’acido butirrico, un acido grasso naturale con una catena di quattro carboni. E’
stato osservato che neonati di mamme diabetiche avevano alti livelli di HbF, fenomeno
attribuito ad alte concentrazioni ematiche di acido butirrico e di altri acidi grassi a
catena corta; sembra che il meccanismo con cui agiscono questi composti coinvolga
l’enzima istone deacitilasi, responsabile del mantenimento di una configurazione della
81
cromatina che permette la trascrizione genica. Queste osservazioni sono state in seguito
avvalorate dalla dimostrazione che individui con gravi disturbi nel metabolismo
dell’acido propionico presentavano quantità elevate di HbF. Anche per quanto riguarda
l’acido butirrico la risposta clinica si presenta estremamente variabile, ma tale
fenomeno potrebbe dipendere dal background genetico del paziente. In vitro, il butirrato
ha dimostrato di essere un inibitore dell’istone deacetilasi (HD) [95] e di indurre
l’espressione dei geni per le globine γ. Il recente clonaggio dell’istone acetiltransferasi
(HATs) e dell’istone deacetilasi (HD) ha chiarito che l’acetilazione permette
l’attivazione trascrizionale dei geni bersaglio e che l’istone deacetilasi è responsabile
dell’impacchettamento e del silenziamento genico. Un incremento della sintesi di HbF è
stato notata in seguito alla combinazione di HD, agenti ipometilanti e gli inibitori
dell’istone deacitilasi. Gli elementi sensibili al butirrato (BREs) sono stati identificati
non solo nel promotore genico per le γ-globine, ma anche nei promotori di altri geni, la
cui espressione indotta dal butirrato risultava essere nociva [96, 97].
Per lo studio dell’efficacia di nuovi agenti terapeutici in grado di indurre il
differenziamento eritroide e l'espressione dei geni per le γ globine, sono state adottate
nei modelli sperimentali le cellule eritroleucemiche umane K562. Questa linea cellulare
rappresenta un modello d’indagine molto utile, in quanto le K562 presentano una sintesi
basale di emoglobina molto bassa, che però può essere significativamente incrementata
quando le cellule vengono trattate con molecole in grado di indurre il differenziamento
eritroide.
Un sistema innovativo per saggiare l'attività eritro-differenziante di nuove molecole
potenzialmente utilizzabili nella terapia delle emoglobinopatie, consiste nell’utilizzo di
colture di cellule staminali umane. Queste cellule staminali totipotenti, oltre ad essere
presenti fisiologicamente nell'individuo, hanno la capacità di riprodursi e di
differenziarsi, sotto l’influsso di determinati stimoli, divenendo così un potenziale
modello per la valutazione di eventuali alterazioni dell'espressione di geni globinici
embrio-fetali.
Le tradizionali tecniche per identificare composti induttori di emoglobina fetale
sono complesse e richiedono molto tempo; recentemente è stato sviluppata una
metodica più rapida ed efficiente che si basa sull’utilizzo di un costrutto di DNA
ricombinante nel quale le sequenze codificanti per i geni di due differenti luciferasi,
denominate firefly e renilla, sostituiscono rispettivamente i geni per le globine γ e β
82
umane. L’attività di questi geni può essere distinta mediante un saggio enzimatico
semplice e altamente sensibile condotto sul lisato cellulare. Le cellule trasfettate
stabilmente con questo costrutto vengono messe in coltura con composti potenzialmente
induttori di HbF e i loro effetti vengono determinati misurando e valutando i
cambiamenti nell’attività delle due luciferasi. Gli induttori specifici per il gene per le γglobine vengono riconosciuti grazie alla loro abilità nell’aumentare l’attività del gene γfirefly luciferasi significativamente di più rispetto al gene β-renilla luciferasi. Tale
metodo permette quindi di effettuare un rapido screening di agenti chimici sospettati di
poter indurre l’espressione del gene γ globinico [98].
4.d. La Rapamicina come agente induttore dell’attività eritro-differenziante.
La Rapamicina, un macrolide lipofilico detto anche Sirolimus, è un prodotto di
fermentazione isolato da un ceppo di Streptomyces hygroscopicus, degli attinomiceti
trovati nel suolo dell’isola di Pasqua (Rapa Nui). Essa fu originariamente valutata per le
sue proprietà antifungine, ma in seguito furono evidenziate anche attività
immunosoppressiva e antitumorale in vivo [99]. L’uso della rapamicina è stato
approvato come agente di prevenzione del rigetto in seguito a trapianti d’organo, in
particolare di reni, nel settembre del 1999 dalla FDA e nel dicembre del 2000 dalla
CPMP (Committee for Proprietary Medicinal Products), il corpo consultivo dell’EMEA
(European Medicines Evaluation Agency) [100, 101].
Recentemente è stato dimostrato che la Rapamicina è in grado di indurre il
differenziamento eritroide della linea cellulare leucemica umana K562. Le indagini in
questa direzione hanno inoltre messo in evidenza che l’induzione prodotta dalla
Rapamicina è superiore e più potente rispetto a quella ottenibile in seguito a trattamento
con Ara C, Mitramicina e Cisplatino, noti induttori del differenziamento eritroide [102].
In aggiunta, mettendo in coltura precursori eritroidi umani, in presenza di
Rapamicina, si è osservato un incremento della quantità di γ-mRNA e di emoglobina
fetale in queste cellule, a livelli maggiori di quanto ottenibile usando l’Idrossiurea.
Questi effetti mediati dalla Rapamicina, inoltre, non sono associati ad inibizione della
crescita cellulare. E’ stato possibile testare e valutare tale composto su precursori
eritroidi derivati da pazienti affetti da β-talassemia; i risultati osservati inseriscono la
83
Rapamicina nel gruppo dei composti in grado di incrementare i livelli di HbF e di
essere, quindi, un potenziale approccio terapeutico per svariati disordini ematologici
[100, 102].
In modo interessante, è stata presa in considerazione, in seguito, l’analisi di molte
molecole strutturalmente correlate alla Rapamicina, che hanno dimostrato di possedere
caratteristiche migliori rispetto alla stessa Rapamicina, in primis l’Everolimus [103].
5. L’Everolimus.
5.a. Struttura della molecola.
L’Everolimus (40-O-(2-OH-etil)-rapamicina; Certican®,Novartis Pharmaceuticals)
è un analogo strutturale della Rapamicina, sviluppato in seguito alla scoperta del primo
composto come promettente agente terapeutico in vari ambiti [99]. La sua formula bruta
è C53H83NO14 e il suo peso molecolare è 958,224 g/mol e la struttura chimica è riportata
in Fig. 17.
In seguito all’addizione covalente di un gruppo idrossietilico alla posizione 40 della
Rapamicina, si è ottenuto questo macrolide semisintetico con polarità maggiore rispetto
alla molecola da cui deriva; infatti, l’Everolimus è stato sviluppato nel tentativo di
migliorare le caratteristiche farmacocinetiche, in particolare la sua biodisponibilità orale
e la velocità di raggiungimento dello steady state. La sintesi dell’Everolimus è tuttavia
coperta da patent.
In seguito a somministrazione orale, l’Everolimus è assorbito rapidamente e
raggiunge il picco di concentrazione ematica in circa 2 ore, mentre lo steady state viene
ottenuto in 7 giorni; negli individui adulti, la farmacocinetica dell’Everolimus non
subisce variazioni dipendenti dal sesso, dal peso o dall’età, mentre nei bambini sono
necessari adattamenti nel dosaggio in base al peso. La variabilità individuale delle
caratteristiche farmacocinetiche dell’Everolimus possono essere spiegate dal sistema di
metabolizzazione del farmaco stesso; l’Everolimus viene metabolizzato dagli enzimi
della famiglia del citocromo P-450 3A (CYP3A) e costituisce un substrato anche per la
glicoproteina P, una proteina di membrana coinvolta nel trasporto energia-dipendente di
composti al di fuori della cellula. Di conseguenza l’Everolimus è in grado di interagire
84
sia con inibitori, che con induttori del sistema CYP3A e della glicoproteina P [101] e si
è notata anche la presenza di interazioni farmaco-farmaco tra l’Everolimus e altri
substrati metabolizzati dallo stesso sistema enzimatico.
Fig. 17. Struttura chimica dell’ Everolimus. La molecola è formata
da un anello a 31 atomi, un gruppo pipecolinico, un gruppo piranoso, un triene
coniugato ed una regione tricarbonilica. Nella struttura sono presenti anche 15
centri chirali.
Sia l’Everolimus che la Rapamicina condividono con il Tacrolimus (TAC)
similitudini strutturali e tutti e tre i composti legano la stessa immunofillina FKBP12
(FK506-binding protein), un polipeptide del peso di 12 kDa, che si è dimostrato essere
una peptidilpropil rotamasi citoplasmatica [104, 105]. Nonostante questa comune
affinità di legame per la stessa immunofillina, il meccanismo d’azione dell’Everolimus
(e della Rapamicina) è completamente differente da quello di TAC, che è un inibitore
della fosfatasi calcineurina e blocca il ciclo cellulare tra le fasi G0 e G1.
85
5.b. Meccanismi d’azione.
Essendo l’Everolimus un derivato strutturale della Rapamicina, condivide con
questa molte caratteristiche e aspetti funzionali, tra cui il meccanismo d’azione, qui di
seguito descritto. L’azione immunosoppressiva dovuta al blocco della crescita e della
proliferazione delle cellule T della Rapamicina e dell’Everolimus, dipendono
sostanzialmente dall’affinità di legame di queste molecole per la proteina FKBP12,
molecola precedentemente nota per la sua capacità di legare il farmaco ad azione
immunosoppressiva FK506.
Il legame alla proteina FKBP12, non è tuttavia il reale meccanismo definitivo
attraverso cui avviene il blocco della crescita cellulare. L’attività antiproliferativa
esplicata dall’Everolimus (e dalla Rapamicina), richiede l’interazione con almeno due
proteine intracellulari; infatti, dopo aver legato la proteina citoplasmatica FKBP12, il
farmaco così complesso lega e inibisce l’attivazione di mTOR (mammalian Target Of
Rapamycin), altrimenti detta FRAP protein (FKBP12-rapamycin-associated-protein),
una proteina che si è rivelata avere un ruolo fondamentale nei meccanismi regolatori
che controllano il metabolismo, la crescita e la proliferazione cellulari (Fig. 18) [106].
La proteina mTOR è una molecola altamente conservata nel corso dell’evoluzione
ed omologa alle proteine TOR1 e TOR 2 del lievito Saccaromyces Cerevisiae, dal quale
la molecola è stata isolata [99]. Nei lieviti, le proteine TOR1 e TOR2 sono grandi circa
280 kDa e presentano tra loro un’omologia molto elevata, che le rende uguali per il
67%. TOR1 e TOR2 controllano una serie di processi che contribuiscono alla crescita
cellulare, in risposta alla disponibilità di azoto, inclusi: la progressione della fase G1, la
regolazione della trascrizione, l’uptake di amminoacidi, l’organizzazione del
citoscheletro e la degradazione delle proteine. E’ stato osservato che i lieviti mutanti per
la proteina TOR1, erano completamente resistenti all’inibizione della crescita cellulare;
questa osservazione, avvalorata dal fatto che mutazioni apportate a TOR1 (TOR1-1, Ser
1972 Arg) e a TOR2 (TOR2-1, Ser 1975 Ile) ne impedivano il legame da parte del
complesso FKBP12-Rapamicina, ha dimostrato che effettivamente TOR è il vero e
proprio target della Rapamicina e anche dell’Everolimus [107, 108, 109, 110, 111].
86
Fig. 18. Rappresentazione dell’azione di mTOR sull’attività cellulare.
La proteina TOR è un sensore di integrazione di segnali extracellulari ed
intracellulari, grazie ai quali coordina la crescita e la proliferazione della
cellula: è un chinasi che fosforila la proteina p70S6K, attivandola e
incrementando la traduzione proteica; TOR ha come bersaglio di fosforilazione
anche 4E-BP1, inibitore della traduzione quando è in forma defosforilata. Se
viene fosforilato, invece, si dissocia dalla subunità eIF-4E e dà inizio alla
traduzione proteica.
Anche negli eucarioti la proteina TOR (Fig. 19) è stata ampiamente studiata ed è
stato verificato il suo importante ruolo nel controllo della crescita cellulare; gli
organismi eucarioti sembrano possedere però un unico gene codificante per TOR,
scoperto per la prima volta nei mammiferi e per questo motivo denominato mTOR. La
molecola mTOR è una serin-treonin chinasi importante per regolare l’attivazione e la
proliferazione cellulare ed è stata identificata grazie alla sua capacità di legare in vitro il
complesso FKBP12-Rapamicina [112, 113].
Successivamente è stato dimostrato che una mutazione di mTOR (Ser 2035 Ile),
analoga a quella effettuata sui lieviti, conferiva alle cellule di mammifero resistenza
all’azione della Rapamicina; si è ottenuta quindi conferma che, anche nei mammiferi, il
bersaglio del complesso FKBP12-rapamicina è ancora mTOR e che il meccanismo
d’azione di questo composto, per cui anche dell’Everolimus, viene conservato
nell’evoluzione dai funghi all’uomo [107].
87
Per mantenere la funzione di TOR è necessaria l’integrità del suo dominio
chinasico, che presenta, all’estremità N-terminale, una regione costituita da 100
amminoacidi detta FRB (FKBP-Rapamycin Binding), a cui si lega il complesso
FKBP12-Rapamicina. Nella struttura molecolare della Rapamicina sono distinguibili
due domini funzionali, definiti dalla loro interazione con FKBP12 (binding domain) e
con mTOR (effector domain) [115].
Fig. 19. Struttura della proteina mTOR. La figura descrive i differenti
domini strutturali che compongono la molecola. Dall’estremità amminoterminale si riconoscono le sequenze ripetute in tandem HEAT, la sequenza
FAT, il dominio FRB (importante per il legame con le Rapamicina), il dominio
chinasico ed , infine, all’estremità carbossi-terminale le sequenza regolatoria
NRD e la sequenza FACT.
Valutando la struttura cristallina del complesso ternario FKBP12-RapamicinamTOR, si è evidenziato che l’unione delle due proteine è mediata quasi esclusivamente
dalla presenza tra loro della molecola di Rapamicina, che ha la capacità di occupare
simultaneamente due differenti tasche idrofobiche di legame; la struttura cristallina ha
rivelato ampie interazioni tra la Rapamicina ed entrambe le proteine, ma scarsi contatti
tra le due proteine [114].
All’estremità N-terminale della proteina TOR sono presenti, inoltre, 20 sequenze
ripetute in tandem, dette HEAT repeats, (Huntington, Elongation factor3, subunità A
della protein-fosfatasi di tipo 2A, proteina TOR), il cui nome deriva dalle iniziali delle
quattro proteine nelle quali fu riscontrata per la prima volta la presenza di questi domini.
Ogni sequenza HEAT ripetuta consiste in una struttura formata da due α-eliche
88
antiparallele di circa 40 amminoacidi [116, 117]. La funzione di queste sequenze HEAT
ripetute nei lieviti potrebbe essere quella di ancorare la proteina TOR alla membrana
plasmatica, probabilmente mediante l’interazione con una proteina transmembrana
[118].
Ad una distanza di circa 500 amminoacidi dal dominio FRB, si trova il dominio
FAT, che sembra avere una funzione simile a quella delle HEAT repeats
nell’interazione proteina-proteina [119, 120].
All’estermità C-terminale della proteina si trova invece una sequenza di 35
amminoacidi, detta FATC, che sembra essere essenziale,assieme a FAT, alla funzione
chinasica di TOR, poiché consente l’esposizione corretta del sito di catalisi al bersaglio
[121, 122].Vicino a FACT è posizionato un elemento, con funzione di regolazione
negativa, detto dominio NRD; esso agisce mediando una variazione configurazionale
che impedisce l’esposizione fisiologica del sito catalitico [123]. La proteina mTOR è
una componente centrale della sequenza di eventi, sensibile alla presenza di nutrienti ed
ormoni, che controlla la crescita cellulare (Fig. 20).
Fig. 20. Legame di mTOR con Raptor. Raptor è una proteina coinvolta
nel meccanismo di fosforilazione mediato da mTOR; la figura mette in
evidenza i fattori influenzanti il processo di legame e gli eventi risultanti
dall’interazione tra mTOR e Raptor. Tale interazione è stabilizzata da una
proteina simile alla subunità β delle proteine G, anch’essa descritta in figura.
89
La proteina mTOR, contiene all’estermità C-terminale un dominio chinasico,
correlato molto strettamente alla famiglia delle fosfatidil-inositolo-3-chinasi (PIK), che
include ATM, ATR e DNA-PK chinasi, le quali giocano un ruolo importante nel
controllo del ciclo cellulare; l’inattivazione di mTOR provoca l’inibizione della
fosforilazione della p70S6 chinasi (p70S6K, conosciuta anche come S6K1) e del fattore
di iniziazione eucariotico 4EBP1 (4E binding protein1) (Fig. 21), fatto che impedisce,
di conseguenza, la sintesi delle proteine necessarie alla crescita e alla proliferazione
della cellula e arresta il passaggio del ciclo cellulare tra la fase G1 e la fase S (Fig. 22)
[106].
Fig. 21. Rappresentazione schematica del meccanismo d’azione
degli inibitori di mTOR (Everolimus e Rapamicina, in figura denominata
SRL). Il ciclo cellulare è sottoposto al controllo mediato dai processi di
assemblaggio, attivazione e rottura di complessi proteici composti da cicline e
chinasi cicline-dipendenti. In particolare, un ruolo regolativo importante è
rivestito dalle subunità catalitiche Cdk4 e Cdk6 delle cicline D.
90
IL CICLO CELLULARE:
Fig. 22. Rappresentazione schematica delle fasi del ciclo cellulare. La
mitosi e la citodieresi del ciclo cellulare hanno luogo dopo il completamento
delle tre fasi preparatorie (G1, S, G2) che costituiscono l’interfase. Durante la
fase S (sintesi) si duplica il materiale cromosomico. Due fasi G separano la
divisione cellulare dalla fase S. Durante la fase G1, avviene l’accrescimento e la
replicazione degli organuli citoplasmatici. Durante la fase G2 si assemblano le
strutture direttamente associate ai mitocondri e alla citodieresi. Dopo la fase G2
vi è la mitosi (la divisione del nucleo) che è generalmente seguita dalla
citodieresi (la divisione del citoplasma). L’Everolimus agisce bloccando le
cellule nella fase G1 del ciclo cellulare [Figura tratta dal sito www.fhcrc.org].
Sebbene mTOR sia in grado di fosforilare entrambi questi target direttamente in
vitro, il meccanismo di regolazione parzialmente riportato in Fig. 23 rimane tuttora da
chiarire [124]. La p70S6K è un chinasi che viene attivata in seguito a fosforilazione
sequenziale multi-sito, in risposta a insulina o a mitogeni in vivo. La sua attività in vivo
è strettamente correlata alla fosforilazione del residuo di Thr-412, situato in un motivo
idrofobico al C-terminale del dominio catalitico canonico. La sua funzione consiste nel
fosforilare la porzione S6 della subunità 40S ribosomiale, consentendo l’attacco
dell’mRNA e incrementando la traduzione [125].
Il fattore 4E-BP1, invece, quando si trova allo stato defosforilato, agisce inibendo
la traduzione; esso possiede 7 siti di fosforilazione, di cui solo quattro (Thr37, Thr46,
91
Ser65, Thr70) si sono rivelati importanti per ottenere il rilascio della subunità eIF-4E.
Infatti, in seguito alla fosforilazione di 4E-BP1, da esso si dissocia il fattore eIF-4E che,
una volta libero, può prendere contatto con eIF-4G, eIF-4A ed eIF-4B e formare un
complesso con il Cap 5’ di un mRNA per dare inizio alla sua traduzione in proteina
[126].
Fig. 23. Rappresentazione schematica dei principali effetti degli
inibitori di mTOR. Inibendo l’attività di mTOR, si ottiene la defosforilazione
di 4E-BP1 (in figura PHAS-1) e di p70S6K. L’up-regolazione di p27, inibitore
delle cicline, provoca l’arresto del ciclo cellulare alla fase G1.
Lavori recenti hanno rivelato l’interazione di mTOR con una proteina di 150-kDa,
altamente conservata evolutivamente e denominata Raptor (Regulatory Associated
Protein of mTOR); questa proteina riveste un ruolo critico nel pathway di mTOR che
regola la crescita cellulare in risposta ai livelli di nutrienti (Fig. 24). La sua presenza è
necessaria per l’attivazione dell’effettore p70S6K e di 4E-BP1; in aggiunta, in
condizioni di repressione di mTOR, l’associazione di Raptor con quest’ultimo diviene
92
più salda, conducendo ad una diminuzione dell’attività chinasica di mTOR [127]. La
fosforilazione di 4E-BP1 catalizzata da mTOR in vitro è interamente dipendente dalla
presenza di Raptor, mentre la fosforilazione di p70S6K, che normalmente avviene in
vitro anche in assenza di questa proteina ausiliaria, viene aumentata di almeno cinque
volte in presenza di Raptor. Recentemente, mediante mutagenesi sito-specifica, è stato
possibile definire una sequenza di cinque amminoacidi chiamata TOS (TOR signaling
motif), come regione minima funzionalmente importante, all’interno del segmento
N-terminale non catalitico di p70S6K; similmente un motivo TOS è stato identificato
anche in 4E-BP1. L’ipotesi che il motivo TOS fosse essenziale per il legame di
p70S6K e 4E-BP1 a Raptor, è stata confermata operando mutazioni del motivo TOS
che abolivano la fosforilazione di 4E-BP1 catalizzata da mTOR in vitro ed eliminavano
la stimolazione Raptor-dipendente della fosforilazione di p70S6k sempre da parte di
mTOR (Fig. 24). Raptor, dunque, non modifica in alcun modo la funzione catalitica di
mTOR, ma funziona da ponte tra quest’ultimo e i suoi bersagli favorendo l’ancoraggio
ad essi e la loro fosforilazione.
Fig. 24. Legame di Raptor a 4E-BP1 e a p70S6K. Il motivo TOS (TOR
signalling motif) è una corta sequenza conservata presente nei due polipeptidi e
utile al legame con Raptor. Nella figura è dimostrato, mediante un esperimento
di mutazione di sequenza, che il motivo TOS è essenziale affinché avvenga
l’interazione di Raptor con le proteine 4E-BP1 e a p70S6K.
93
Il legame di Raptor a mTOR, è mediato dalle sequenze HEAT repeats; questa
associazione, dipendente dalla quantità di nutrienti a disposizione della cellula, viene è
stabilizzata dalla proteina mLST8, un polipeptide simile alla subunità β delle proteine
G. In assenza di aminoacidi Raptor si associa a mLST8 impedendo l’interazione di
mTOR coi suoi substrati (4E-BP1 e p70S6K); invece, la presenza di nutrienti induce
una modificazione conformazionale che rompe il complesso Raptor-mLST8, e rende
mTOR in grado di fosforilare i suoi substrati [128, 129].
Uno dei possibili meccanismi d’azione della Rapamicina e dell’Everolimus, per
inibire l’attività chinasica di mTOR, potrebbe consistere proprio nell’impedire
l’interazione tra Raptor e mTOR.
Un secondo bersaglio di TOR, implicato nella cascata di trasmissione del segnale, è
rappresentato dalla proteina Tap42 di lievito, il cui omologo mammifero è la proteina
α4. Tap42 normalmente si lega alla subunità catalitica della proteina fosfatasi 2A
(PP2A), formata dalle subunità Sit4, Pph21 e Pph22; il trattamento con Rapamicina o
l’assenza di nutrienti, causano la dissociazione di Tap42 dalla subunità Sit4 di PP2A
[130]. A conferma dell’ipotesi secondo cui l’attività chinasica di TOR è mediata anche
da Tap42, sono state eseguite mutazioni di Tap42 che hanno dimostrato di provocare
parziale resistenza alla Rapamicina. Essendo l’associazione di Tap42 a PP2A
dipendente dalla fosforilazione operata da TOR, l’azione della Rapamicina su TOR
impedisce la fosforilazione di Tap42, libera PP2A e attiva il sito Sit4, che può quindi
esplicare la sua azione di defosforilazione su NPR1 e GLN3 [130]. NPR1 si trova allo
stato attivo quando è defosforilata, condizione in cui fosforila GAP1 e TAT2; GAP1 è
una permeasi che allo stato fosforilato è protetta dalla degradazione e consente agli
amminoacidi di fuoriuscire dalla cellula, mentre TAT2 fosforilata diventa suscettibile
alla degradazione e impedisce l’ingresso di azoto nella cellula. GLN3, invece, è un
fattore trascrizionale che regola l’espressione di Gln1 (Glutamina sintetasi); quando
GLN3 è defosforilato, si dissocia dal suo repressore URE2 ed è libero di traslocare nel
nucleo, dove attiva l’espressione di geni codificanti per proteine coinvolte nell’utilizzo
dell’azoto (Fig. 25).
In seguito alla repressione di TOR da parte della Rapamicina, si può assistere,
inoltre, all’attivazione dei fattori di trascrizione chiamati Mns2 e Mns4 e coinvolti in
situazioni di stress ossidativo, come ad esempio la carenza di carbonio per la cellula.
94
Dissociandosi da BMH2, questi due fattori possono attivare l’espressione di geni
bersaglio specifici [131].
GAP1
Fig. 25. Rappresentazione del possibile ruolo della proteina Tap42
nella trasmissione del segnale mediato da TOR. Tap42 lega la subunità
catalitica della proteina fosfatasi 2A (PP2A). Il trattamento con Rapamicina o
la mancanza di nutrienti, dissocia Tap42 dalla subunità Sit4, una delle subunità
della PP2A attivandola. Sit4 agisce defosforilando i suoi substrati, ovvero le
proteine NPR1 e GLN3. Quando NPR1 è defosforilata, vengono attivate e
fosforilate GAP1 e TAT2, proteine coinvolte nella permeabilità della
membrana. GLN3 è un fattore trascrizionale regolante l’espressione di Gln1
(Glutamina sintetasi), che quando defosforilato si dissocia dal repressore
URE2, viene traslocato nel nucleo, dove attiva l’espressione del geni
codificanti per proteine relate all’utilizzo dell’azoto.
La proteina TOR può subire, oltre alle interazioni finora descritte, una regolazione
sia diretta che indiretta; indirettamente, la fosfatidilinositolo-3-chinasi (PIK3), attivata
da fattori di crescita esterni alla cellula, come l’insulina, produce fosfatidil-inositolo-3fosfato (PIP3), responsabile dell’attivazione di PDK-1 e dell’Akt-pathway, dove TOR
potrebbe rappresentare un substrato diretto di PKB [132, 133, 134]. Questo meccanismo
95
può coinvolgere anche un complesso proteico, costituito dalle proteine TSC1 e TSC2,
con funzione di soppressione tumorale; TSC2 è un attivatore di GTPasi, stimola cioè
l’idrolisi di GTP operata da Rheb, una GTPasi simile a Rho appartenente alla
superfamiglia di Ras [135]. La Rapamicina blocca l’effetto stimolatorio che Rheb
esercita su TOR.
5.c. Impieghi terapeutici dell’Everolimus.
Come la Rapamicina, anche l’Everolimus è una molecola ad attività
immunosoppressiva, proprio grazie alla sua capacità di arrestare il ciclo cellulare nella
fase G1; esso è infatti in uso nel trattamento profilattico del rigetto d’organo, in pazienti
che hanno subito trapianto di reni o di cuore, in quanto l’Everolimus ha dimostrato di
essere in grado di alterare il meccanismo associato al rigetto vascolare e alla
proliferazione delle cellule muscolari lisce indotta da fattori di crescita [136].
La somministrazione orale di 0,75 o 1,5 mg di Everolimus, due volte al giorno,
riduce significativamente, nei soggetti adulti che hanno subito trapianto di cuore,
l’incidenza dei fallimenti già a 6 mesi dall’operazione, rispetto al trattamento con
1-3 mg/kg/giorno di Azatioprina (un profarmaco, rapidamente idrolizzato a
6-mercaptopurina, il principio attivo vero e proprio). La stessa dose di Everolimus ha
dimostrato di ridurre anche l’insorgenza di vasculopatia cronica, a due anni di distanza
dall’operazione. Dopo 1 o 2 anni dal trapianto cardiaco, i pazienti trattati con
Everolimus
dimostrano
livelli
di
fallimento
dell’efficacia
dell’operazione
significativamente inferiori a quelli dei pazienti trattati con Azatioprina. Rispetto
all’Azatioprina e del MMF (Mofetil Micofenolato), un profarmaco che in pochi minuti
viene idrolizzato nel principio attivo acido Micofenolico (MFA), l’Everolimus è
associato ad una minor incidenza di infezioni da CMV (citomegalovirus) in pazienti
sottoposti a trapianti di reni o cuore.
Composti come la Rapamicina e l’Everolimus formano perciò una nuova classe di
agenti immunosoppressori, il cui uso è in aumento nei casi di trapianto di reni, poiché,
quando non associati a inibitori della Calcineurina (CNIs), una serin/treonin fosfatasi
Ca2+/calmodulina dipendente, evitano l’insorgenza di nefrotossicità. I maggiori effetti
96
collaterali
dell’Everolimus,
comuni
alla
Rapamicina,
sono
rappresentati
da
ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia, leucopenia e trombocitopenia
L’efficacia di un agente immunosoppressore nel trapianto renale generalmente si
traduce in un’altrettanto comparabile efficacia nel trapianto di fegato, ma bisogna
considerare tuttavia la potenziale tossicità di questi agenti, che spesso porta ad
abbandonare l’idea di applicarli in questo secondo impiego. Questo potenziale problema
è messo in luce dagli inibitori di mTOR (Rapamicina ed Everolimus), per i quali la
bassa nefrotossicità, notata negli studi sui trapianti di reni, potrebbe renderli idonei
anche alla terapia antirigetto del trapianto di fegato. Comunque, come con molti agenti
immunosoppressori, fatta eccezione per il tacrolimus (TAC), la valutazione del loro
ruolo in altri tipi di trapianti d’organo è stata erroneamente trascurata [99].
Inoltre, l’Everolimus dimostra proprietà antiproliferative bloccando il segnale di
trasduzione coinvolto nella progressione cellulare della proliferazione delle cellule T
IL2-indotte, così come l’induzione generale della crescita mediata da fattori, sia di
cellule ematopoietiche che non ematopoietiche, incluse le cellule della muscolatura
liscia vasale [137]. Prima di entrare nella fase G1 del ciclo cellulare, i linfociti T devono
essere stimolati dalla presenza di antigeni associati alle cellule APC (cellule presentanti
l’antigene) e questo complesso interagisce col recettore TCR (T-cell Receptor),
interazione che sfocia in una serie di reazioni di fosforilazione a cascata e attiva
l’espressione genica dei linfociti T. I linfociti T attivati esprimono due differenti pattern
di citochine: le citochine Th1 che producono IL-2 e IFN-γ e le citochine Th2 che
producono IL-4, IL-5 e IL-10 [106]. In particolare, l’IL-2 stimola la divisione cellulare
e la progressione del ciclo cellulare verso la fase G1, processo regolato, inoltre, da
numerosi fattori tra cui oncogeni, fattori di trascrizione e geni correlati al ciclo cellulare.
Il controllo del ciclo cellulare è dipendente, infine, dai processi di assemblaggio,
attivazione e rottura di complessi proteici composti da cicline e chinasi ciclinedipendenti. In particolare, un ruolo regolativo importante è rivestito dalle subunità
catalitiche Cdk4 e Cdk6 delle cicline D, regolate da piccole proteine con funzione
inibitoria. Nei mammiferi, due famiglie di inibitori agiscono secondo meccanismi e
bersagli specifici; tra questi inibitori p21, p27KIP1, p57KIP2, inibiscono i complessi
proteici che contengono le cicline Cdk2, Cdk3, Cdk4 e Cdk6. L’attività di questi
inibitori può essere regolata da un’ampia varietà di segnali esterni alla cellula,
regolazione che porta ad impedire la sintesi di DNA e la progressione del ciclo
97
cellulare, portando le cellule al differenziamento terminale [138]. L’azione degli
inibitori p21 e p27KIP1 media l’associazione del complesso ciclina D1/Cdk4 e Cdk6,
mentre la formazione del complesso p27/ciclina D1/Cdk4 è favorita da fattori di
crescita, attraverso il pathway di attivazione PI3K/Akt. L’arresto del ciclo cellulare in
G1 è dipendente dalla scissione di p27KIP1 dal complesso e dal suo assemblaggio alla
ciclina E/Cdk2 [139].
Nei linfociti T, mTOR rappresenta uno step intermedio nell’attivazione che segue
il legame dei recettori di superficie, come CD28, o di recettori per le citochine, come il
recettore per l’interleuchina-2. Gli inibitori di mTOR (TORIs, Rapamicina ed
Everolimus) perciò bloccano l’attivazione dei linfociti ad uno stadio più tardivo rispetto
ai CNIs (Tacrolimus e Ciclosporina) e impediscono la proliferazione delle cellule T,
bloccando il ciclo cellulare tra la fase G1 e S. Esperimenti condotti in vitro hanno
dimostrato che gli inibitori di mTOR riducono, inoltre, la proliferazione di cellule della
muscolatura liscia, di fibroblasti e di linee cellulari tumorali [99]. Con questo
meccanismo, l’Everolimus riesce a bloccare la proliferazione dei linfociti indotta dai
fattori di crescita IL-2 e IL-5, ma è in grado di inibire allo stesso modo anche la
proliferazione mediata da fattori di crescita sia di cellule ematopoietiche (linfociti T,
linfociti B e monoliti), che non ematopoietiche (cellule della muscolatura liscia
vascolare, macrofagi e fibroblasti).
Un’applicazione nuova e interessante di questo meccanismo di inibizione
proliferativa delle cellule T, sembra rappresentato dalla possibilità di utilizzare
l’Everolimus nel trattamento della psoriasi, una malattia autoimmune mediata, appunto,
dai linfociti T [106].
L’Everolimus e tutti gli altri inibitori di mTOR, possono essere utilizzati in
associazione agli inibitori della calcineurina, con i quali hanno dimostrato di sortire un
effetto sinergico [99]. L’azione associata dell’Everolimus e della Ciclosporina, ha
dimostrato di essere complementare e sinergica in studi preclinici condotti in vitro e in
vivo.
98
5.d. Effetto eritro-differenziante dell’Everolimus.
Gli effetti dell’Everolimus sul differenziamento eritroide e sulla crescita cellulare
sono stati determinati inizialmente, mediante uno studio condotto su colture di cellule
eritroleucemiche umane K562 e, solo in seguito all’evidenza di un’attività della
molecola su questo modello cellulare, l’analisi è stata spostata su colture di precursori
eritroidi isolati dal sangue periferico di pazienti affetti da β-talassemia, impiegando
mezzi liquidi di coltura differenti in due fasi successive, secondo la metodica descritta
da E. Fibach [140, 141]. Per determinare gli effetti sul differenziamento eritroide, le
K562 sono state trattate con concentrazioni crescenti di Everolimus e il
differenziamento è stato valutato dopo alcuni giorni di coltura, attraverso il saggio della
benzidina. L’Everolimus ha così dimostrato di indurre il differenziamento eritroide nelle
cellule K562 (Fig. 26), manifestando un’inibizione superiore al 50% della
% cellule positive alla benzidina
proliferazione cellulare solo a concentrazioni superiori a 25 µM (Fig. 27).
Tempo (giorni)
Fig. 26. Incremento di cellule contenenti emoglobina in seguito al
trattamento delle colture di K562 con Everolimus. Il grafico evidenzia
l’andamento della quantità percentuale di cellule differenziate in seguito a
trattamento con: Everolimus 500 nM (cerchi bianchi), Everolimus 1 µM (cerchi
neri), controllo non trattato (quadrati neri) [Figura tratta da: Cristina Zuccato et
al., Acta Haematologica, 2006].
99
Crescita cellulare percentuale (%)
Everolimus (µM)
% cellule positive alla benzidina
Fig. 27. Effetti dell’Everolimus sulla proliferazione delle K562. Le
cellule K562 sono state trattate con concentrazioni crescenti di Everolimus; la
determinazione della proliferazione cellulare (cell/ml) è stata effettuata dopo 4
giorni e confrontata con un controllo non trattato [Figura tratta da Cristina
Zuccato et al., Acta Haematologica, 2006].
Everolimus (µM)
Fig. 28. Induzione del differenziamento eritroide in cellule K562 da
parte dell’Everolimus. Il grafico mostra i risultati ottenuti osservando le
cellule al microscopio e sottoponendole al saggio della benzidina per
evidenziarne l’avvenuto differenziamento in senso eritroide; la quota di cellule
positive alla benzidina è stata valutata a partire dal 6° giorno di coltura [Figura
tratta da Cristina Zuccato et al., Acta Haematologica, 2006].
100
L’induzione del differenziamento si è rivelata essere dose-dipendente (Fig. 28) e
alla concentrazione di Everolimus 500 nM corrisponde un’induzione pari al 50% delle
cellule K562 (Fig. 29d) [103]. E’ da sottolineare che non sono rilevabili evidenti effetti
inibitori della proliferazione cellulare delle K562 a questa concentrazione (Fig. 27).
Fig. 29. Effetti sul differenziamento eritroide delle K562 mediato da
Everolimus. La figura mostra microfotografie fatte al 4° giorno alle colture di
K562, rispettivamente a: assenza di trattamento o controllo negativo (a); in
presenza di 50 nM di Everolimus (b), 250 nM di Everolimus (c), 500 nM di
Everolimus (d) [Figura tratta da: Cristina Zuccato et al., Acta Haematologica,
2006].
Perciò l’induzione del differenziamento avviene in condizioni non tossiche per la
cellula in questo modello sperimentale; questo fatto riveste una notevole importanza,
soprattutto a confronto con gli induttori finora noti e utilizzati, come ara-C , Cisplatino e
Mitramicina, che dimostrano invece una spiccata inibizione della proliferazione
cellulare. L’efficienza dell’Everolimus nell’indurre il differenziamento eritroide è stato
confrontata con quella di svariati agenti eritrodifferenzianti [103], quali Ara-C [142],
Mitramicina [143], Tallimustina [144] e Cisplatino [145]; inoltre, esso si è dimostrato
più attivo nell’indurre il differenziamento delle K562 rispetto a due composti in uso
nella terapia sperimentale della β-talassemia, come l’Acido Butirrico [146] e
101
l’Idrossiurea [147, 148]. Per determinare se l’induzione del differenziamento eritroide
osservato nella linea cellulare K562 è associato anche ad un incremento selettivo
dell’accumulo specifico di mRNA per le γ-globine, è stata eseguita l’estrazione
dell’RNA totale, sia dalle cellule trattate che da quelle non trattate con Everolimus
(controllo negativo), e mediante Real-time quantitative PCR si è valutato l’incremento
di γ mRNA. Si è osservato che l’incremento di messaggero γ-globinico mediato
dall’Everolimus è comparabile a quello che si ottiene con un’induzione di Ara-C. I dati
descritti hanno condotto a pensare che l’Everolimus deve essere ulteriormente
analizzato e preso in considerazione per il suo possibile effetto attivante l’espressione
γ-globinica in precursori eritroidi derivati da pazienti sani o affetti da β-talassemia.
Infatti, la seconda parte dello studio, è stata condotta su cellule progenitrici eritroidi
umane derivate dal sangue periferico e coltivate in vitro. Il trattamento con Everolimus
500 nM è stato effettuato al sesto giorno di fase II e protratto per 4 giorni. Inizialmente,
lo studio è stato condotto su precursori derivati da 4 soggetti sani ed ha dimostrato un
incremento di 2,4 volte dell’aliquota di HbF rispetto al contenuto cellulare di
emoglobina totale, corrispondente in media ad un aumento di HbF da 0,052 a
0,12 pg/cell. Un esperimento parallelo con Mitramicina 25 nM, ha evidenziato una
concentrazione di HbF di 0,190 pg/cell [103].
Sulla base di tutte queste osservazioni, l’Everolimus ha attirato particolarmente
l’attenzione sulla sua potenziale azione come agente induttore di emoglobina fetale nel
trattamento di soggetti affetti da β-talassemia. Lo studio su questi soggetti è stato
tuttavia eseguito solamente su 4 pazienti di origine israeliana nei quali il γ-mRNA è
stato indotto dalle 2.8 alle 7.2 volte rispetto al controllo di cellule non trattate [103].
Inoltre, essendo l’Everolimus un composto già in uso clinico per la cura di altre
patologie [99, 106, 136, 137] e dal momento che deriva da una molecola, la
Rapamicina, già nota per la sua attività eritro-differenziante [103], si è ritenuto
opportuno approfondire le indagini sulle proprietà di questo composto riguardo una sua
possibile applicazione nella cura di disordini ematopoietici.
102
5.e. Trials clinici già effettuati con l’Everolimus.
Un trial clinico è un esperimento progettato secondo schemi metodologici
riconosciuti validi dalla comunità scientifica, che viene eseguito per testare l’efficacia e
la sicurezza di impiego di un trattamento farmacologico, chirurgico o di una procedura
diagnostica, nella cura o nella diagnosi di una malattia. Le fasi dello sviluppo clinico di
un nuovo agente terapeutico sono:
1. lo screening di un gruppo di molecole di interesse e l’individuazione tra queste
di un possibile candidato adeguato;
2. sviluppo pre-clinico;
3. sviluppo clinico, cioè gli studi di pre-registrazione dei composti in tre fasi
successive (fase I, fase II e fase III), effettuate al fine di ottenere la registrazione della
molecola da parte del Ministero della Sanità (A.I.C.);
4. registrazione;
5. lancio e fase IV (post A.I.C.), serve ad approfondire la conoscenza sull’efficacia
e la tollerabilità su casistiche più ampie e in particolari sottogruppi di pazienti;
La fase I degli studi clinici viene condotta su un numero limitato di soggetti,
generalmente volontari sani; questa fase rappresenta la prima somministrazione
sperimentale del farmaco all’uomo, allo scopo di valutarne la sicurezza, la
farmacocinetica preliminare ed eventualmente la tossicità.
Gli studi della fase II, condotti su un campione più folto di volontari (100-200),
mirano a dimostrare l’efficacia del farmaco, precedentemente ipotizzata in base alle
caratteristiche biochimiche della molecola e ai risultati ottenuti dagli studi sugli animali;
inoltre, sono studi effettuati per identificare la dose più efficace tra quelle non tossiche e
per definire in modo esauriente la cinetica del farmaco nei pazienti destinati ad usarlo.
La fase clinica III viene condotta su una casistica più ampia di pazienti (>1000) e
ha lo scopo di confermare l’efficacia del farmaco in soggetti non selezionati per gravità
e varianti qualitative della malattia per la quale quel farmaco è indicato. Con gli studi di
fase III si possono definire meglio la sicurezza d’impiego e la tollerabilità del farmaco
in condizioni quanto più simili e vicine a quelle del futuro impiego.
Gli studi post-registrazione, rappresentati dalla fase IV, consentono, infine, di
diffondere la conoscenza sull’uso del farmaco tra i medici interessati, mediante un suo
uso sperimentale controllato.
103
Per progettare un trial clinico occorre innanzitutto definire un’ipotesi da testare
sulla base di un razionale scientifico, scegliere un valido trattamento di confronto e
definire un disegno sperimentale appropriato. Inoltre, occorre identificare una variabile
possibilmente sensibile al trattamento sottoposto allo studio, definire l’entità della
variazione ritenuta clinicamente significativa, calcolare il numero di pazienti necessari
affinché si evidenzi la variazione, definire criteri di inclusione ed esclusione e
predefinire quali test si utilizzeranno per l’analisi statistica.
Mediante il calcolo del campione viene determinato il numero di pazienti necessari
affinché i risultati della sperimentazione siano statisticamente attendibili; studi effettuati
con un numero di pazienti inferiore a quanto richiesto non mettono in evidenza
differenze significative, mentre l’utilizzo di un sovrannumero di soggetti comporta
solamente uno spreco di risorse. I pazienti vengono suddivisi in bracci di trattamento
(gruppi di soggetti che assumono lo stesso trattamento), in gruppi placebo (soggetti che
assumono solo gli eccipienti) oppure vengono randomizzati, cioè attribuiti a ciascun
braccio di trattamento in maniera casuale e predefinita. I soggetti, inoltre, possono
appartenere per tutto il tempo dello studio ad un solo braccio di trattamento (studio a
gruppi paralleli) oppure appartenere in fasi successive ai diversi gruppi (studio a
disegno “cross-over”).
Se tutti i partecipanti conoscono quale trattamento è stato loro attribuito lo studio si
dice “aperto”, se invece lo sperimentatore, ma non il soggetto, conosce il trattamento lo
studio è “in singolo cieco” e, infine, se né lo sperimentatore, né il soggetto sono a
conoscenza del trattamento lo studio viene definito “ in doppio cieco”.
In un trial clinico, gli aspetti etici e legislativi sono regolati dalle GCP (Good
Clinical Practice), normative sugli obblighi degli sperimentatori e degli sponsor, che
nacquero nel 1977 su proposta della FDA, con gli scopi principali di proteggere i diritti
degli individui che prendono parte alla ricerca e garantire l’affidabilità e l’accuratezza
delle informazioni ottenute. Le aziende che non aderiscono alle GCP non ottengono
l’approvazione dei loro farmaci, mentre lo sperimentatore che le infrange incorre in
sanzioni quali l’esclusione da ulteriori studi. Gli elementi fondamentali che governano
le GCP sono:
a)
la protezione dell’individuo (Consenso informato e controllo da parte del
comitato etico);
b)
Procedure operative standard (SOP);
104
c)
Documentazione e conservazione dell’archivio;
d)
Monitoraggio delle procedure e dei dati;
e)
Segnalazione degli eventi avversi;
Tre studi clinici pilota de novo che hanno previsto l’impiego dell’Everolimus sono
stati condotti su pazienti trapiantati, dopo aver considerato i risultati di studi pre-clinici
condotti su primati non-umani, sottoposti a trapianto renale; questi dimostravano che
l’Everolimus, non solo impedisce il rigetto e favorisce la sopravvivenza del soggetto,
ma impedisce la proliferazione delle cellule della muscolatura liscia e riduce anche la
nefrotossicità della Ciclosporina.
Questi studi clinici pilota sono stati chiamati:
1. B201 (condotto in Europa);
2. B251 (condotto in USA e Brasile);
3. B156 (condotto in Europa);
I primi due studi confrontano l’efficacia e la sicurezza dell’Everolimus rispetto al
MMF (Mofetil Micofenolato), mentre il terzo lavoro (B156) esamina gli effetti sortiti
dall’Everolimus in un regime di riduzione della Ciclosporina.
Nello studio B201, i tre gruppi di trattamento assumevano rispettivamente
Everolimus 1,5 mg/g, Everolimus 3 mg/g e MMF. Il rigetto acuto dimostrato con
biopsia è stato osservato essere il 23,2% e il 19,7% rispettivamente per i trattamenti con
Everolimus, contro il 24% riscontrato con il trattamento con MMF. Tuttavia, i soggetti
trattati con 3 mg/g di Everolimus, dimostravano un incremento pronunciato della
concentrazione lipidica ematica, mentre i livelli di creatinina serica erano superiori nei
pazienti sottoposti alla somministrazione di MMF.
Similmente allo studio precedente, anche il trial B251 è stato effettuato per
dimostrare la buona efficacia dell’Everolimus nel prevenire il possibile fallimento del
trapianto o la morte del paziente. Il tasso di rigetto d’organo, provato mediante esame
bioptico, non differiva sostanzialmente da quello riscontrato nello studio B201. Episodi
di rigetto acuto, richiedenti terapia con anticorpi, sono statisticamente meno frequenti
nei pazienti trattati con Everolimus 3 mg/g rispetto ai soggetti che assumono MMF. In
questo studio clinico i pazienti che assumevano Everolimus hanno dimostrato
incremento sia del colesterolemia che della trigliceridemia, ma anche della creatinina
serica.
105
Infine, lo studio B156 ha raccolto, a 12 mesi dall’operazione, i dati relativi al
rigetto acuto dell’organo, alla sua perdita di efficacia o alla morte del paziente e ha
dimostrato, che tali valori erano significativamente inferiori nel gruppo di trattamento
che aveva assunto una dose di farmaco più bassa in associazione con Neoral®
(ciclosporina microemulsione), rispetto al gruppo trattato con la dose convenzionale. In
seguito è stata osservata che il gruppo con dose ridotta dimostrava anche un incremento
della filtrazione glomerulare (GFR) dal 25% al 30%, livello ancora più pronunciato
dopo 12 mesi.
La comparazione dell’efficacia d’azione dell’Everolimus rispetto a MMF nel
trattamento antirigetto in seguito a trapianto renale, è effettuata anche con uno studio
randomizzato, in gruppi paralleli e in doppio cieco; nonostante i risultati iniziali abbiano
evidenziato un’efficacia comparabile tra i due farmaci, il monitoraggio della
concentrazione ematica dell’Everolimus, ha permesso di definire che il rischio di rigetto
acuto aumenta se tale concentrazione scende al di sotto di 3 µg/L.
Il monitoraggio della concentrazione ematica è dunque uno strumento efficace per
ottimizzare la terapia, quando questo composto è inserito in un protocollo come farmaco
immunosoppressore [101].
L’unico
studio
randomizzato,
riportato
recentemente,
per
testare
l’uso
dell’Everolimus nel trapianto di fegato, prevedeva la somministrazione di Everolimus in
combinazione con Ciclosporina (CsA). Un totale di 119 pazienti sono stati suddivisi in
gruppi per ricevere da 1 a 3 combinazioni di Everolimus-CsA oppure solo CsA e
placebo. Nessuna particolare differenza è stata osservata nella prevenzione del rigetto
acuto del fegato tra i vari gruppi. Non sono state riportate nemmeno differenze
riguardanti la dislipidemia o la soppressione midollare, mentre si sono verificati in tutto
tre episodi di HAT (Hepatic Artery Thrombosis); uno nel gruppo placebo (3,3%; 1/30),
due nei gruppi dell’Everolimus (2,2%; 2/89) [99].
Un altro studio clinico è stato effettuato indirizzando l’interesse sulla capacità
dell’Everolimus di ridurre l’insorgenza di vasculopatie post-trapianto; studi pre-clinici
condotti su ratti hanno evidenziato, infatti, che l’Everolimus impediva alterazioni
vascolari successive al trapianto di aorta in questi animali. Il primo scopo di questo
studio clinico è stato quello di valutare la sicurezza e la tollerabilità di quattro differenti
dosi di Everolimus in pazienti sottoposti a trapianto renale e riceventi terapia steadystate con Ciclosporina; secondariamente si è voluto definire il profilo farmacocinetico
106
dell’Everolimus. Questo rappresenta il primo studio su un’ampia gamma di
concentrazioni del farmaco in compressa, diversamente da un precedente studio a dose
singola o a un recente studio a dose multipla, che riportava però il farmaco in capsula,
formulazione non reperibile in commercio [137].
Uno studio ha confrontato l’efficacia dell’Everolimus a quella dell’Azatioprina nel
ridurre
la
gravità
e
l'incidenza
di
vasculopatia
da
trapianto
cardiaco.
Un totale di 634 pazienti è stato assegnato in modo random a ricevere Everolimus 1,5
mg/die (n =209), Everolimus 3 mg/die (n=211) o Azatioprina 1-3 mg/kg/die (n=214 ) in
associazione a Ciclosporina(CsA), corticosteroidi e statine. L'endpoint primario di
efficacia dello studio era rappresentato da: morte, perdita del graft o ri-trapianto, rigetto
acuto
di
grado
3°
o
rigetto
con
compromissione
emodinamica.
A 6 mesi, l'endpoint primario di efficacia è stato raggiunto nel 27% dei pazienti trattati
con Everolimus 3 mg, nel 36,4% dei pazienti trattati con Everolimus 1,5 mg e nel
46,7% dei pazienti del gruppo Azatioprina. A 12 mesi dal trapianto, l'ultrasonografia
intravascolare ha riscontrato un minor aumento dello spessore dell'intima tra i pazienti
trattati con Everolimus, inoltre, l'incidenza di vasculopatia era significativamente più
bassa nel gruppo Everolimus 3 mg (30,4%) e 1,5 mg (35,7%) che nel gruppo
Azatioprina (52,8%). Infine, l'incidenza di infezioni da Cytomegalovirus era
significativamente più bassa nel gruppo 3 mg (7,6%) ed 1,5 mg (7,7%) che nel gruppo
Azatioprina (21,5%). I livelli plasmatici di creatinina sono risultati più alti tra i pazienti
trattati con Everolimus [136].
Sulla base dell’ipotesi che farmaci come l’Everolimus e il Gefitinib possano
fermare la crescita di cellule tumorali, il primo bloccando il flusso sanguigno alla massa
tumorale e il secondo bloccando l’azione degli enzimi necessari alla crescita delle
cellule neoplastiche, nel giugno del 2004 è partito un trial clinico di fase I e II, con lo
scopo di studiare gli effetti collaterali e la dose migliore di Everolimus quando
somministrato insieme a Gefitinib e di valutare se questi due farmaci cooperano tra loro
nel trattamento di pazienti con glioblastoma multiforme progressivo. Tale studio clinico
non randomizzato, coinvolge in tutto 58 pazienti e viene condotto in open-label. La fase
I si propone di definire la massima dose di Everolimus tollerata dai pazienti affetti da
glioblastoma multiforme progressivo, quando somministrato in combinazione con
Gefitinib, mentre con la fase II ci si propone di stabilire la sicurezza e l’efficacia del
regime terapeutico definito con la fase I. Si intende, inoltre, determinare le eventuali
107
interazioni farmacocinetiche tra i due farmaci e gli effetti farmacodinamici di tale
regime terapeutico.
Nella fase I i pazienti ricevono Everolimus per via orale al primo giorno di
trattamento e Gefitinib una volta al giorno, dall’ottavo al dodicesimo giorno di
trattamento; dal ventiduesimo giorno, ai pazienti viene somministrato Everolimus una
volta alla settimana e Gefitinib giornalmente. Il trattamento viene proseguito
somministrando l’associazione dei due farmaci solo se non si manifesta progressione
della malattia o tossicità inaccettabile [149].
Sempre agendo attraverso il blocco del flusso sanguigno che irrora il tumore, si è
pensato che l’Everolimus potesse essere un valido trattamento del melanoma maligno
metastatico o melanoma di stadio IV; pertanto nell’aprile 2005 è partito uno studio
multicentrico in open-label che coinvolge in tutto 73 pazienti e che ora è alla fase II. In
questo caso, l’Everolimus viene somministrato ai pazienti, in cui la forma maligna di
melanoma è stata confermata dall’esame istologico, una volta al giorno per 8 settimane;
il trattamento prosegue oltre le otto settimane solo se si evidenzia il blocco della
progressione della malattia e tossicità accettabile [150].
E’ in corso, inoltre, la fase I di uno studio che ha lo scopo di stimare sia la
sicurezza che l’efficacia dell’Everolimus, quando somministrato con il Cisplatino a
differenti dosaggi, in pazienti con tumori solidi allo stadio avanzato che non possono
essere trattati con radioterapia, chirurgia o chemioterapia convenzionale. Questo studio
nasce dall’osservazione secondo la quale l’Everolimus sembra migliorare l’attività del
Cisplatino contro le cellule tumorali in vitro [151].
Nel 2005, invece, l’attenzione di un trial clinico si è focalizzata sulla possibilità
che l’Everolimus impedisca la moltiplicazione cellulare di cellule tumorali. La fase I si
svolge su pazienti in età pediatrica, con tumori solidi o tumori al cervello ricorrenti o
refrattari, che non rispondono alle comuni pratiche terapeutiche, mentre la fase II si
propone di trattare pazienti con rabdomiosarcoma o sarcoma dei tessuti molli nonrabdomiosarcomatoso. Nella prima fase, il maggior traguardo è raggiunto dalla
determinazione della massima dose tollerata dai bambini sottoposti allo studio, cioè la
dose più elevata di farmaco che può essere data ai pazienti in sicurezza; la seconda parte
dello studio deve invece chiarire l’efficacia del farmaco, tutti gli effetti (benefici e non)
che esso media ed eventuali variazioni nelle cellule del sangue e nelle cellule
neoplastiche dei piccoli pazienti [152].
108
Uno studio di fase I/II è stato fatto per determinare sicurezza ed efficacia
dell’Everolimus nei pazienti con tumori ematologici maligni refrattari o recidivanti. Il
disegno sperimentale prevedeva due livelli differenti di dosaggio, 5 e 10 mg/die
somministarti per os in continuo, per definire la massima dose tollerabile da utilizzare
nella fase II. Su 27 pazienti che hanno ricevuto Everolimus, non è stata osservata
tossicità dose-limitante; gli effetti collaterali principali sono stati: iperglicemia (22%),
ipofosfatemia (7%), stanchezza (7%), anoressia (4%), diarrea (4%). Un solo paziente ha
sviluppato una vasculite leucocitoclastica cutanea, che ha richiesto il trapianto di pelle.
La fosforilazione dei target situati a valle di mTOR, p70S6K e 4E-BP1, è risulta inibita
in sei campioni su nove, inclusi quelli con elevata risposta piastrinica. In conclusione,
l’Everolimus è ben tollerato ad una dose giornaliera di 10 mg e può avere attività in
pazienti con patologie mielodisplastiche [153].
Tra gli studi più recenti, nel gennaio 2006 è iniziata la fase II di un trial clinico che
indaga l’associazione dell’Everolimus con l’Imatinib mesylate nel trattamento di tumori
renali metastatici o non resecabili [154] e nel gennaio 2007, infine, uno studio non
randomizzato, in open-label e ad assegnazione parallela dei trattamenti, è partito con il
proposito di investigare la combinazione di Everolimus, Trastuzumab e Paclitaxel nel
trattare 60 pazienti affetti da cancro metastatico della mammella “HER2overexpressing” [155].
Approfittando delle numerose informazioni relative alla tossicità e alla
farmacocinetica dell’Everolimus, ottenute da questa serie di trias clinici, si è pensato di
definire un sistema o modello di saggi sperimentali al fine di poter selezionare un
gruppo di pazienti talassemici da proporre per l’allestimento di un eventuale trial
clinico, volto a testare anche il potenziale dell’ Everolimus come induttore del
differenziamento eritroide, nel tentativo di proporre terapie alternative nella cura di
patologie emopoietiche.
109
SCOPO
Nel trattamento di patologie ematologiche ereditarie come la β-talassemia, malattia
che può essere causata da molteplici mutazioni del gene per le β-globine e ampiamente
diffusa nei paesi mediterranei, l’individuazione di composti in grado di indurre HbF,
mediante la riproduzione della condizione fenotipica nota come HPFH, solleva uno
spiccato interesse, in quanto è noto che un incremento di emoglobina fetale negli
individui affetti da β-talassemia, permette un miglioramento delle loro condizioni
cliniche [79].
L’obiettivo comune a molti gruppi di ricerca è quello di sviluppare tecniche
innovative per l’individuazione della mutazione responsabile della patologia e
metodiche diagnostiche sempre più efficienti che, unite ad una adeguata informazione
ed educazione sanitaria, possano garantire ai soggetti affetti dalla patologia di poter
effettuare delle scelte riproduttive informate e supportate da opportune analisi
diagnostiche prenatali.
Dal punto di vista terapeutico, invece, una notevole importanza è rivestita dalla
terapia farmacologica per il trattamento della β-talassemia, soprattutto nei paesi in cui la
terapia chelante e i regimi trasfusionali non sempre sono disponibili a causa degli alti
costi e molto spesso gli investimenti delle compagnie farmaceutiche nel disegno e nella
sperimentazione di nuovi farmaci per la cura della β-talassemia sono scoraggiati,
proprio a causa del fatto che nei paesi sviluppati si può arginare la diffusione della
patologia con le campagne di prevenzione e la diagnosi prenatale. Tuttavia, la ricerca si
propone di individuare nei farmaci già in uso clinico per altre patologie, anche non
correlate alla β-talassemia, molecole in grado di esprimere attività di induzione
dell’espressione dei geni per le γ-globine.
In particolare, l’oggetto di questa tesi è stata la prosecuzione di studi
precedentemente avviati dal gruppo di ricerca coordinato dal Prof. Roberto Gambari e
presso il quale ho svolto la mia attività; questi studi puntavano l’attenzione sugli effetti
eritro-differenzianti dell’Everolimus, analogo strutturale della Rapamicina e molecola
interessante dal punto di vista terapeutico per la minore tossicità e le migliori
caratteristiche farmacocinetiche evidenziate da trials clinici riportati in letteratura [99,
101, 149, 150, 151, 152, 153, 154, 155]. L’interesse rivolto all’Everolimus deriva
110
soprattutto dal fatto che è un composto relativamente poco tossico e presenta
caratteristiche farmacocinetiche favorevoli e già descritte per l’utilizzo dell’Everolimus
in altre patologie, come la terapia antirigetto post-trapianto renale [137]. L’Everolimus
ha poi dimostrato di essere in grado di incrementare l’espressione dei geni per le
globine embrio-fetali in cellule K562 ed di
causare l’accumulo di mRNA per le
γ-globine anche nelle colture dei precursori eritroidi provenienti da soggetti nonpatologici, mentre sono stati riportati dati limitati ad uno studio condotto su 4 soggetti
israeliani affetti da β-talassemia [103].
Questi risultati hanno quindi aperto uno spiraglio sul potenziale effetto eritrodifferenziante che l’Everolimus potrebbe esercitare anche su precursori eritroidi isolati
da pazienti affetti da β-talassemia, fornendo quindi un nuovo punto di vista per la
valutazione di questo composto come potenziale agente terapeutico per la cura della
β-talassemia.
La mia analisi ha avuto come scopo soprattutto la quantificazione degli mRNA per
le α- β- e γ-globine su cellule derivate da pazienti che presentavano β-talassemia con la
tecnica della Real Time quantitative PCR, che unita alla quantificazione di HbF con la
tecnica dell’HPLC ha permesso di approfondire le conoscenze sugli effetti
dell’Everolimus in questo modello cellulare, più simile al target fisiologico. E’ stato
possibile realizzare questo studio grazie alla collaborazione attivata con il Servizio di
Immunoematologia e Trasfusione dell’Ospedale di Rovigo e con la Clinica Pediatrica I,
Centro Sindrome di Down, Ospedale "Santa Chiara" di Pisa, che ci hanno fornito il
sangue periferico di un numero significativo di pazienti talassemici di nazionalità
italiana.
I risultati incoraggianti ottenuti da alcune colture cellulari trattate in vitro con
diverse concentrazioni di Everolimus, sia relativamente all’accumulo di mRNA
specifico per le γ-globine, sia all’aumento dei livelli di HbF, ci hanno condotti a pensare
che l’analisi del genotipo dei soggetti coinvolti in questo studio ed i loro livelli iniziali
di HbF, potessero costituire un metodo di screening volto ad identificare un gruppo di
pazienti da sottoporre ad un eventuale trial clinico, impiegando saggi di colture in vitro
di precursori eritroidi derivati dal loro sangue periferico, oppure rappresentare un
metodo per la selezione di pazienti da sottoporre a mirati trattamenti terapeutici con
induttori di globine embrio-fetali.
111
Lo scopo di questa tesi è stato quello di verificare se tale metodo di screening
potesse essere utile per selezionare, all’interno di un ampio gruppo di individui
talassemici, i soggetti con le caratteristiche genetiche più idonee e che manifestassero la
miglior risposta cellulare al trattamento farmacologico, nel caso specifico eseguito con
l’Everolimus.
In questo modo si è cercato di mettere a punto una metodologia d’indagine basata
su saggi condotti su colture cellulari, che potrebbero essere estesi anche
all’identificazione del miglior induttore all’interno di una serie di molecole attivanti
l’HbF e mimanti la condizione HPFH, allo scopo di identificare e tener conto, inoltre,
della sensibilità individuale ad un dato trattamento, ponendosi come obiettivo futuro
l’allestimento di terapie individualizzate e mirate a migliorare le condizioni associate ad
una particolare alterazione genetica responsabile della patologia, dando vita a nuove
strategie curative in grado di sostituire o limitare la terapia convenzionale con
trasfusioni di sangue.
112
MATERIALI E METODI
1. Coltura di precursori eritroidi isolati da pazienti affetti da
β-talassemia.
Un sistema cellulare molto utile per identificare molecole in grado di stimolare la
produzione di HbF è rappresentato da precursori umani delle cellule eritroidi. Queste
cellule staminali totipotenti, oltre ad essere presenti fisiologicamente nell'individuo,
hanno la capacità di riprodursi e di differenziare, sotto determinati stimoli, divenendo
così un potenziale modello per la valutazione di eventuali alterazioni dell'espressione di
geni globinici embrio-fetali. Precedentemente questi precursori eritroidi non sono stati
considerati un buon modello sperimentale in quanto erano studiati utilizzando un
sistema di coltura semisolida, che impediva non solo un'analisi quantitativa, ma anche la
caratterizzazione biochimica ed immunologica dello sviluppo cellulare. Negli ultimi
anni è stata messa a punto una nuova tecnica che prevede il trattamento dei progenitori
emopoietici in un sistema di coltura liquido schematizzato nella Fig. 30 [93, 140, 141].
Le cellule staminali vengono isolate da campioni di sangue periferico di pazienti
affetti da β-talassemia che hanno sottoscritto un consenso informato. Per motivi etici
legati al fatto che la disfunzione oggetto dello studio è una patologia ematologica, il
volume di sangue che viene prelevato a questi pazienti è molto inferiore rispetto a
quello che si può prelevare da un individuo sano. Presentando, infatti, questi individui
bassi livelli di emoglobina a causa della loro patologia, un prelievo di sangue produce
un ulteriore peggioramento del loro già grave stato anemico. In genere, prima che il
paziente effettui la trasfusione, viene quindi prelevato il volume minimo di sangue
(21 ml) necessario per preparare 20 ml di coltura; tale quantità può essere sufficiente
per l’alta frequenza di precursori eritroidi, che vi sono comunque contenuti, situazione
che è sostenuta dalla carenza stessa di emoglobina che spinge le cellule a riprodursi e
differenziarsi. La coltura cellulare così ottenuta potrà produrre un massimo di
108 cellule.
113
Fig. 30. Rappresentazione del sistema di coltura dei precursori
eritroidi in due fasi liquide successive. Le cellule rimangono in coltura per 14
giorni, in cui proliferano e differenziano in normoblasti ortocromatici, che
producono emoglobina [Figura tratta da: Pope SH et al. Two-phase liquid
culture system models normal human adult erythropoiesis at the molecular
level The European Journal of Haematology, 64, 292-303, 2000].
L’isolamento dei precursori eritroidi avviene a partire dal sangue (circa 20 ml di
sangue periferico); in seguito le cellule vengono coltivate in vitro secondo la metodica
che prevede due fasi in terreno liquido. Il sangue viene diluito 1:2 per il processamento
con PBS 1x (Buffer salino-fosfato) a temperatura ambiente. Il PBS 1x viene preparato
per diluizione con H2O distillata da una soluzione PBS 10x, che consiste in una
soluzione di NaCl 2 M, KCl 27 mM, Na2PO4 0,1 M, KH2PO4 18 mM, in H2O distillata;
effettuata la diluizione, la soluzione di PBS1x viene sterilizzata per filtrazione con filtri
di acetato di cellulosa aventi pori del diametro di 0,22 µm e conservata a 4°C.
Il campione di sangue diluito è ripartito in aliquote di 40 ml, sottoposte a
centrifugazione per gradiente di densità su Lympholyte-H (NycogradeTM polysucrose
400 e sodium diatrizoate, Celbio, Milano, Italy). In questo modo si crea un gradiente di
destrano ed altre sostanze che permette la separazione delle diverse parti corpuscolate
del sangue. La centrifugazione genera quattro strati distinti, che dall’alto verso il basso,
114
sono rispettivamente rappresentati da: siero; un anello biancastro contenente linfociti,
fibroblasti, macrofagi e precursori eritroidi; una parte torbida contenente Lympholyte
con cellule non separate; un fondo rosso costituito dagli eritrociti. Si preleva l’anello
biancastro e lo si sottopone a lavaggi successivi con PBS 1x; le cellule ottenute vengono
messe in coltura di fase I in un terreno così composto: terreno α-MEM (α-minimal
essential medium, Sigma-Aldrich, St.Louis, Missouri, USA), preparato a partire da una
polvere e diluito con acqua distillata, sali per bilanciare il pH ed una soluzione di PENSTREP (penicillina 50 U/litro e streptomicina 50 mg/litro di terreno, Sigma-Aldrich,
St.Louis, Missouri, USA); FCS al 10% (Foetal Calf Serum, GIBCO, BRL, Life
Technologies, Milano, Italy), scongelato e sterilizzato per filtrazione; medium
condizionato (CM) al 10%, derivante dalla linea cellulare di carcinoma di vescica 5637;
tali cellule tumorali esprimono numerosi fattori di crescita ematopoietici, (come ad
esempio le interleuchine, ma non l’EPO), necessari per la crescita delle cellule staminali
emopoietiche totipotenti. Il medium condizionato viene separato dalle cellule che lo
producono per filtrazione del terreno di coltura; ciclosporina A (Sigma-Aldrich,
St.Louis, Missouri, USA) 1 µg/ml di terreno, preparata da ciclosporina diluita in etanolo
assoluto e PBS 1x nel rapporto di 1:1. La ciclosporina A favorisce in questo stadio la
selezione delle cellule staminali dai linfociti presenti nella coltura.
La coltura cellulare viene poi incubata a 37°C, in atmosfera di CO2 al 5% ed
umidificata. Ogni giorno le cellule vengono osservate al microscopio per verificare la
vitalità cellulare e l’assenza di contaminazioni della coltura.
Dopo 5-7 giorni di coltura in questo terreno di fase I, le cellule non aderenti alla
fiasca vengono recuperate, lavate con PBS, centrifugate e risospese in un terreno fresco
di fase II. La seconda fase, detta anche eritropoietina-dipendente, consiste nel coltivare
le cellule in un terreno di coltura composto da: terreno α-MEM, FCS al 30%, albumina
di siero bovino deionizzata (BSA, Sigma-Aldrich, St.Louis, Missouri, USA) al 10%,
disciolta in α-MEM, β-mercaptoetanolo (β-ME, Sigma-Aldrich, St.Louis, Missouri,
USA) 0,01 mM, preparato da una soluzione di partenza 100 mM diluita con H2O sterile,
desametasone (Sigma-Aldrich, St.Louis, Missouri, USA) 0,001 mM, preparato da una
soluzione di partenza 6,4 mM diluita in metanolo sterile (questo composto è in grado di
stimolare la linea eritroide, permettendo la proliferazione e la maturazione delle cellule
staminali, dapprima in normoblasti cromatici e poi in eritrociti enucleati). Vengono
aggiunte anche glutammina (Glu) 2 mM (Sigma-Aldrich, St.Louis, Missouri, USA),
115
eritropoietina umana (EPO) (Tebu-bio, Magenta, MI, Italy) 1 U/ml, Stem Cell Factor
(SCF, PeproTech EC Ltd, London, England) 10 ng/ml, solubilizzato in acido acetico
10 mM. Alcuni di questi componenti (BSA, β-ME, desametasone, Glu) sono stati
sterilizzati per filtrazione con filtrini aventi pori del diametro di 0,22 µm, e conservati al
buio a -20°C. L’EPO e l’SCF, essendo fattori proteici, devono essere conservati a -80°C
per evitarne la degradazione.
Questa procedura frutta una popolazione eritrocitaria ampia e pura, che permette di
studiare nel dettaglio la maturazione eritrocitaria, normale o patologica, e di analizzare
gli effetti di vari farmaci sulla coltura primaria [93, 140, 141].
L’incubazione delle cellule in fase II dura da 4 a 6 giorni, periodo durante il quale è
importante osservare quotidianamente le cellule al microscopio per verificarne la
vitalità, l’assenza di contaminazioni, ma soprattutto per rilevare la formazione di gruppi
o “cloni” di cellule nel supernatante. Solo se ci sono tali agglomerati cellulari di
proeritrociti si può proseguire col trattamento addizionando le molecole in analisi. Se
dopo i 4-6 giorni canonici della fase II, si evidenziano agglomerati cellulari scarsi e/o
piccoli a causa di una crescita molto lenta, si può prolungare la fase II per altri 4-5
giorni al fine di avere una sufficiente proliferazione delle colonie e poter proseguire col
trattamento. In ogni fase le cellule vengono contate utilizzando il Coulter Counter Z1
(Coulter Electronics Limited, Luton, Beds, England). Al quarto giorno della fase II
viene aggiunto l’Everolimus a concentrazioni scalari, da 100 nM a 1500 nM, in modo
da ricoprire un certo range di concentrazioni entro le quali individuare quella più
efficace ed il valore di IC50, ovvero la concentrazione alla quale il farmaco inibisce la
proliferazione cellulare del 50%. Quindi le cellule sono riposte nell’incubatore per altri
4 giorni di trattamento durante i quali il terreno di coltura non viene sostituito; al
termine di questo periodo si procede con l’estrazione dell’RNA. Per avere un controllo
negativo al quale fare riferimento per la valutazione dei risultati, un’aliquota di cellule
non trattate sono state mantenute in coltura nelle stesse condizioni di quelle trattate.
116
2. Preparazione dell’Everolimus.
L’Everolimus utilizzato per il trattamento delle colture cellulari è stato acquistato
dalla Sigma Aldrich (Sigma-Aldrich, St.Louis, Missouri, USA). La soluzione madre è
stata diluita con EtOH
per ottenere la concentrazione di 10 mM utilizzata per il
trattamento e conservata al buio a -20°C. Nei trattamenti delle colture di precursori
eritroidi da soggetti talassemici sono state impiegate le seguenti concentrazioni di
Everolimus: 100 nM, 250 nM, 500 nM, 1000 nM e 1500 nM.
Oltre all’Everolimus, le cellule sono state sottoposte a trattamento o con
Rapamicina, o con Mitramicina, che rappresentano i controlli positivi di induzione al
differenziamento eritroide, essendo questi noti essere agenti differenzianti [100, 156,
157]. La Rapamicina utilizzata per il trattamento delle cellule è stata acquistata dalla
Sigma Aldrich (Sigma-Aldrich, St.Louis, Missouri, USA). La soluzione madre è stata
diluita con EtOH e DMSO nel rapporto di 1:2 per ottenere la concentrazione utilizzata
nel trattamento e disciolta ad una concentrazione di 10 mM, quindi conservata a -20°C
al buio. Negli esperimenti condotti è stata impiegata alle concentrazioni di 100 nM, 250
nM e 500 nM finale. Mentre la Mitramicina utilizzata per il trattamento è stata diluita
con acqua e impiegata alle concentrazioni di 25 nM e 50 nM finale.
3. Estrazione dell’mRNA totale derivante da precursori eritroidi
umani.
Al termine della fase II è stato estratto l’mRNA citoplasmatico totale sia dai
precursori eritroidi trattati con Everolimus che da quelli di controllo negativo non
trattati, sia di controllo positivo trattati con Rapamicina o Mitramicina, utilizzando la
metodica del “TRIzol”. Le cellule vengono centrifugate per 10 min a 1200 rpm,
separate dal supernatante e quindi risospese in 1 ml di TRIzol per 5-10x106 cellule
(Total RNA Isolation Reagent, Celbio, Milano, Italy). I campioni vengono incubati per
5 min a temperatura ambiente, si aggiungono 200 µl di cloroformio per ogni ml di
TRIzol impiegato e si agita energicamente per 15 sec. Segue una centrifugata a
12000 rpm per 15 min a 4°C per estrarre la fase acquosa, alla quale vengono aggiunti
117
500 µl di isopropanolo per ml iniziale di TRIzol usato. I campioni vengono incubati per
10 min a temperatura ambiente e in seguito centrifugati a 12000 rpm per 15 min a 4°C.
Il supernatante viene eliminato e al pellet, formato dall’mRNA precipitato sul fondo
della provetta, viene aggiunto 1 ml di etanolo al 75% per ml di TRIzol.
I campioni di mRNA ottenuti applicando questa metodica di estrazione, vengono
conservati a -20°C fino all’esecuzione del saggio per valutare la loro quantità e
integrità, effettuato impiegando l’elettroforesi su gel di agarosio e la lettura allo
spettrofotometro.
4. Saggi per testare la quantità e la qualità dei campioni di RNA.
4.a. Quantificazione dell’RNA allo spettrofotometro.
I campioni di RNA vengono centrifugati per 20 min a 12000 rpm a 4°C, essiccati
all’aria e rispospesi in H2O DEPC. Per la quantificazione vengono usate cuvette di
quarzo che consentono la lettura dei campioni allo spettrofotometro, ad una lunghezza
d’onda di 260 nm. L’unità di lettura dello strumento è l’OD (optical density). La
concentrazione si ricava dall’equazione:
µg/ml=ODx40xDIL
dove OD è il valore letto dallo strumento, 40 è il coefficiente di correzione per la lettura
dell’RNA allo spettrofotometro (secondo la legge di Lambert–Beer) e DIL è il
coefficiente di diluizione dell’RNA nella cuvetta, dove il volume del campione deve
raggiungere l ml. Per verificare il grado di contaminazione proteica bisogna valutare il
rapporto tra l’ assorbenza misurata a 260 nm e quella misurata a 280 nm, tale rapporto
deve risultare intorno ad un valore di 1,8: se il valore del rapporto risulta inferiore,
significa che c’è stata una contaminazione proteica, se invece è superiore, c’è stata una
contaminazione organica, dovuta a residui fenolici derivati dalla metodica di estrazione.
118
4.b. Elettroforesi su gel di agarosio.
Il gel di agarosio all’1% si prepara sciogliendo 1 g di agarosio in polvere in 150 ml
di TAE 1x (ottenuto per diluizione dal TAE 50x = 2 M Tris-HCl, 0,05 M EDTA pH=8,0
e 5,71% acido acetico al 99,8%) e facendo bollire i reagenti per sciogliere la soluzione.
Una volta ottenuta una soluzione limpida vi si aggiunge, sotto cappa, l’etidio
bromuro10 µg/ml. Si fa quindi colare lentamente l’agarosio nell’apposito apparato
elettroforetico, descritto in Fig. 31, in cui è stato precedentemente inserito il pettine per
la formazione dei pozzetti per il caricamento dei campioni, evitando la formazione di
bolle che potrebbero ostacolare la corsa dell’RNA lungo il gel.
Fig. 31. Apparato elettroforetico per la corsa dei campioni di RNA o
DNA su gel d’agarosio.
Mentre il gel solidifica si preparano i campioni da caricare per l’analisi. L’RNA
totale (in etanolo) viene fatto precipitare mediante centrifugazione a 12000 rpm, a 4°C
per 20 min. Il supernatante viene prelevato con una siringa e buttato, mentre il pellet
viene risospeso in 10 µl di acqua trattata con dietilpirocarbonato (DEPC) 0,1%, una
119
molecola in grado di disattivare eventuali RNasi presenti. I campioni vengono essiccati
o all’aria, oppure in centrifuga sottovuoto (Speedvac) per 5 min. Le aliquote dei
campioni da caricare sul gel vengono preparate in un volume totale di 10 µl, composto
da: RNA (in genere 1-0,5 µg), un colorante contenente glicerolo per appesantire il
campione, ed acqua DEPC per portare a volume.
Una volta che il gel d’agarosio si è solidificato, si rimuove il pettine e si ottengono
così i pozzetti in cui caricare i campioni; il gel viene sommerso con tampone di corsa
formato da TAE 1x ed etidio bromuro (5 µl ogni 100 ml di tampone). Si caricano i
campioni nei pozzetti e si fanno migrare a 80-100 Volt; le molecole migrano lungo il
gel separandosi in base al loro peso molecolare e alla loro carica. La posizione
dell’RNA sul gel è indicata dal colorante caricato col campione.
Quando termina la migrazione elettroforetica dei campioni, il gel viene posto sotto
illuminazione con raggi UV e fotografato. Le emissioni dell’etidio bromuro intercalato
tra le basi azotate dell’acido nucleico lo rendono infatti visibile all’UV.
L’analisi della foto ottenuta permette di ottenere informazioni relative allo stato del
materiale (degradato o meno), osservando ad esempio, l’intensità relativa alla banda del
28S che deve essere circa il doppio rispetto a quella relativa al 18S, e di valutare
indicativamente la quantità di RNA e/o la presenza di DNA genomico, che potrebbe
essere presente accidentalmente nel campione.
5. Reazione di retro-trascrizione per la produzione del templato di
cDNA dall’RNA di precursori eritroidi indotti e non dalla
somministrazione di Everolimus.
Le analisi mediante RT-PCR quantitativa dei geni bersaglio, la cui espressione può
essere modulata dal trattamento con l’Everolimus, vengono condotte sul cDNA
(sequenza di DNA codificante) complementare all’RNA citoplasmatico totale estratto
dalle cellule trattate e non trattate. Questa conversione è effettuata mediante una
reazione di retro-trascrizione; si esegue innanzitutto una PCR di controllo direttamente
sull’RNA per verificare che non vi sia la presenza di contaminazioni di DNA genomico,
120
in questo caso sarebbe necessario trattare prima della reversione i campioni con
DNasi I, prima di eseguire la reazione di retro-trascrizione.
Come substrato per la produzione di cDNA a singolo filamento viene impiegato
1 µg di RNA totale citoplasmatico, che rappresenta la quantità massima utilizzabile per
avere una retro-trascrizione efficace e quantitativa, nella quale tutte le molecole di RNA
possano essere efficientemente retro-trascritte in modo stechiometrico in nuove
molecole di cDNA.
L’RNA viene inizialmente incubato per 10 min a temperatura ambiente con 10 U di
inibitore dell’RNasi e con oligonucleotidi d’innesco della reazione di polimerizzazione
alla concentrazione 2,5 µM, rappresentati da esameri random (l’utilizzo di questi
oligonucleotidi d’innesco a differenza dell’utilizzo di oligod(T) dipende dal fatto che,
essendo frammenti di soli sei nucleotidi con sequenza casuale, permettono l’innesco
della reazione anche su substrati di RNA non completamente integri e privi della
sequenza terminale stabilizzatrice di poli-(A). Questi oligonucleotidi hanno una
temperatura di melting piuttosto bassa, per cui in queste condizioni si legano all’RNA.
Le fasi successive prevedono 30 min a 48°C e 5 min a 100°C in tampone
contenente MgCl2 5,5 mM, dNTPs 500 µM, RT-Buffer 1x (TaqMan RT Buffer 10x,
Applera Italia, Applied Biosystems, Monza, Italy) e 1,25 U dell’enzima MultiScribe
Reserve Transcriptase. Terminata la reazione, l’amplificato viene velocemente
centrifugato in modo che non sia disperso lungo le pareti dell’eppendorf e conservato a
-80°C.
6. Real Time Quantitative PCR per quantificare l’espressione dei geni
globinici.
Quando le colture cellulari utilizzate come modello sperimentale vengono trattate
con potenziali agenti induttori del differenziamento eritroide con lo scopo di verificarne
l’efficacia, i meccanismi cellulari coinvolti nella normale regolazione dei geni globinici
subiscono dei cambiamenti. Per indagare queste variazioni sono stati ideati dei saggi
che permettono di quantificare gli mRNAs prodotti dalle cellule in esame e specifici per
121
ciascun gene globinico. In particolare è interessante indagare l’espressione dell’mRNA
γ-globinico, codificante per la subunità che costituisce l’emoglobina fetale.
Partendo dal cDNA ottenuto dalla retro-trascrizione dei campioni di mRNA totale,
si è voluto quantificare attraverso la tecnica della Real Time Quantitative PCR
l’espressione dei diversi geni globinici. Questa tecnica d’indagine si basa sull’emissione
di fluorescenza dovuta alla degradazione di sonde nucleotidiche fluorescenti, che si
legano a substrati di acido nucleico in modo sequenza-specifico. La sonda è in genere
costituita da un singolo filamento di DNA, che presenta all’estremità 5’ un gruppo
cromogeno
FAM
(6-carbossi-fluoresceina),
chiamato
anche
reporter,
legato
covalentemente e all’estremità 3’ un gruppo TAMRA (6-carbossi-N,N,N’,N’-tetrametilrodamina), detto quencher. Prima che la reazione di PCR inizi, la vicinanza del gruppo
reporter al gruppo quencher impedisce l’emissione di fluorescenza da parte del
cromogeno FAM; col procedere della reazione di polimerizzazione, la DNA polimerasi,
durante la fase di estensione dei primers, incontra la sonda, sulla quale esplica la sua
attività esonucleasica rimuovendo il reporter dalla sonda. A questo punto il gruppo
quencher, non trovandosi più in posizione adiacente al reporter, non è più in grado di
assorbirne l’emissione, fatto che ha come conseguenza la rilevazione della fluorescenza
emessa da parte del sistema. Questo processo è descritto in Fig. 32.
Ad ogni ciclo, aumentando il numero di sonde che ibridizzano il bersaglio e
vengono degradate dalla DNA polimerasi con l’amplificazione, si registra un
incremento della fluorescenza; i vantaggi principali offerti da questo sistema sono la
possibilità di monitorare l’amplificazione ad ogni ciclo in tempo reale e la garanzia di
rilevare solamente i prodotti amplificati in modo specifico, grazie alla selettività della
sonda, che ibridizza col DNA o cDNA bersaglio.
L’enzima impiegato è una particolare DNA polimerasi, prodotta dal batterio
Thermus aquaticus, resistente alle temperature elevate e dotata di attività esonucleasica
5’-3’, attraverso la quale rimuove e degrada la sonda appaiata al DNA target che
incontra durante la fase di estensione sul filamento di DNA.
122
Fig. 32. Emissione di fluorescenza dovuta alla degradazione di sonde
nucleotidiche fluorescenti legate in modo sequenza-specifico a substrati di
acido nucleico. La figura descrive la sonda sequenza specifica legata al DNA
con il reporter in 5’ e il quencher in 3’. La fluorescenza diviene evidente e
rilevabile dal sistema solo quando il reporter viene separato dal quencher
dall’azione esonucleasica della DNA polimerasi.
La Real Time Quantitative PCR è una tecnica sensibile e precisa per la
quantificazione degli acidi nucleici, in grado di rilevarne anche minime quantità
mediante la loro amplificazione. Per questo studio sono state utilizzati due primers
specifici per ogni gene bersaglio indagato, uno forward e uno reverse. Le sequenze
delle sonde ed i primers utilizzati per la quantificazione degli specifici mRNA sono
riportati nella tabella 1.
123
Tabella 1. Sequenze degli oligonucleotidi impiegati nelle reazioni di PCR
quantitativa.
primer forward α-globine
5’-CACGCGCACAAGCTTCG-3’
primer reverse α-globine
5’-AGGGTCACCAGCAGGCAGT-3’
sonda α-globine
5’-FAM-TGGACCCGGTCAACTTCAAGCTCCT-TAMRA-3’
primer forward β-globine
5’-CAAGAAAGTGCTCGGTGCCT-3’
primer reverse β-globine
5’-GCAAAGGTGCCCTTGAGGT -3’
sonda β-globine
5’-FAM-TAGTGATGGCCTGGCTCACCTGGA-TAMRA-3’
primer forward γ-globine
5’-TGGCAAGAAGGTGCTGACTTC-3’
primer reverse γ-globine
5’-TCACTCAGCTGGGCAAAGC-3’
sonda γ-globine
5’-FAM-TGGGAGATGCCATAAAGCACCTGC-TAMRA-3’
Nella miscela di reazione, avente un volume finale di reazione di 25 µl, sono
contenuti: TaqMan Universal PCR Master Mix 1x (Applera Italia, Applied Biosystems,
Monza, Italy); la coppia di primers forward e reverse, utilizzati ad una concentrazione
finale pari a 300 nM; la sonda TaqMan impiegata alla concentrazione finale di 200 nM.
La TaqMan Universal PCR Master Mix contiene anche: i desossinucleotidi trifosfato
(dNTPs), con il dUTP che sostituisce il dTTP; MgCl2 1 mM; il cromoforo “Rox”, che
serve come riferimento per la normalizzazione dei dati da parte dello strumento e che è
utile per annullare gli eventuali errori di volume effettuati durante le operazioni svolte
dall’operatore stesso; l’enzima AmpliTaq Gold DNA Polimerasi; l’enzima AmpErase
Uracil–N glicosilasi, che degrada sequenze contenenti uracile al posto di timina,
lasciando intatto il filamento originario di templato. Questo enzima agisce nel primo
step della reazione (quando la temperatura è di 50°C) eliminando tutte le molecole
contaminanti, che possono essere presenti nella piastra o nei puntali; alla temperatura di
95°C si inattiva irreversibilmente.
Sugli stessi campioni sono state effettuate in parallelo le reazioni di amplificazione
per il gene housekeeping 18S, usato come gene di riferimento; la sonda e i primers
specifici sono contenuti nel kit r18S (Applera Italia, Applied Biosystems, Monza, Italy),
dove la sonda è stata marcata in 5’ con la molecola cromogena VIC (un composto sotto
segreto brevettale) ed al 3’ col TAMRA.
124
Tutte le reazioni di PCR quantitativa sono state eseguite in doppia serie.
L’amplificazione è stata eseguita utilizzando il sistema ABI Prism 7700 Sequence
Detector costituito da: un Thermal Cycler, ABI Prism 7700, all’interno del quale sono
posizionati i reagenti in piastre di plastica ottica da 96 pozzetti MicroAmp Optical
(Applera Italia, Applied Biosystems, Monza, Italy); un computer ed un software
(Sequence Detector Application Program versione 1.7) che gestisce la strumentazione e
l’analisi dei dati. Inizialmente vengono effettuati due cicli (50°C per 2 min e 95°C per
10 min) necessari all’attivazione della funzione esonucleasica 5’-3’ della polimerasi; i
successivi 40 cicli sono costituiti da una fase di denaturazione a 95°C per 15 sec ed una
fase a 60°C per 1 min, nella quale avviene sia l’appaiamento dei primers e della sonda
che l’estensione del filamento di DNA. Il sistema ABI Prism 7700 è dotato di una
“camera a dispositivo di carica accoppiata”, che permette di misurare lo spettro di
emissione della fluorescenza in un intervallo da 500 a 650 nanometri. Ad ogni reazione
il segnale emesso viene controllato in modo sequenziale per 25 msec, con un
monitoraggio continuo durante l’amplificazione, al termine della quale, ogni campione
viene riesaminato per 8,5 sec. La variazione di fluorescenza emessa dal gruppo
quencher durante l’amplificazione è minima rispetto a quella del gruppo reporter; per
questo motivo essa viene utilizzata come riferimento interno, per ottenere in modo
automatico la normalizzazione dell’emissione del gruppo reporter.
Il sistema si basa sulla seguente relazione matematica:
∆Rn= (Rn+)-(Rn-)
dove (Rn+) rappresenta il rapporto tra l’emissione del quencher e quella del reporter
calcolato a ciascun ciclo di amplificazione, ed (Rn-) rappresenta il rapporto tra le due
emissioni prima dell’inizio della reazione di PCR [Gison UEM, California 940804990]. Considerando i diversi valori di ∆Rn ad ogni ciclo, è possibile ricavare uno
spettrogramma, che riporta il numero di cicli sull’asse delle ascisse e il valore calcolato
∆Rn (Normalized Reporter) su quello delle ordinate. Dallo spettrogramma si può
ricavare il valore del ciclo Threshold, detto CT o ciclo “soglia”, che rappresenta il ciclo
al quale è possibile registrare il primo apprezzabile aumento di intensità nella
fluorescenza emessa, non coperta dal segnale di background. La linea di Threshold
viene considerata nella fase esponenziale della reazione di PCR il più lontano possibile
dal plateau, che rappresenta la fase di saturazione della reazione di amplificazione. Il
valore della Threshold viene scelto dall’operatore e corrisponde ad un determinato
125
valore di ∆Rn al quale vengono confrontati tutti i campioni e sulla base del quale
vengono ricavati i loro rispettivi valori di CT (riportati in ascissa).
Per minimizzare l’errore sperimentale, la quantificazione di cDNA provenienti da
campioni diversi è più attendibile se viene considerato anche un gene di riferimento
interno al sistema. Attraverso questa strategia si ottiene una quantificazione “relativa”,
basata cioè sulla differenza tra i livelli di espressione di un gene bersaglio in campioni
differenti valutata rispetto ad un gene di riferimento, che deve essere ugualmente
espresso in tutti i campioni analizzati. Solitamente i geni utilizzati come riferimento
sono: il gene per la β-actina, la gliceraldeide 3-fosfato-deidrogenasi (GAPDH), la
β2-microglobulina, oppure l’rRNA 18S. E’ possibile eseguire un’analisi quantitativa
eseguendo una serie di reazioni con quantità differenti di cDNA dello stesso e
calcolando la differenza tra il CT del gene bersaglio ed il CT del gene di riferimento,
cioè ∆CT, che deve rimanere costante o al massimo variare di valori inferiori all’unità
per tutti i punti della scalare di diluizione. Essendo il valore di CT inversamente
proporzionale alla concentrazione del templato in analisi, il valore del “ciclo soglia”
diminuisce all’aumentare della concentrazione di cDNA bersaglio. Allo scopo di
quantificare un trascritto in campioni che lo esprimono a diversi livelli, si calcola la
differenza tra i valori di ∆CT di ciascun campione in analisi ed il ∆CT del campione
usato come standard di riferimento, ottenendo il ∆∆CT; considerando il ∆∆CT come
esponente negativo di 2 (2-∆∆CT) è possibile valutare quante volte un determinato DNA o
cDNA templato è espresso in un campione rispetto ad uno di controllo [157].
L’RT-PCR quantitativa presenta numerosi aspetti vantaggiosi, come la capacità di
poter analizzare un elevato numero di campioni (96 per ogni analisi), nel momento in
cui sia necessario eseguire una reazione di retro-trascrizione prima della PCR, per la
produzione di cDNA a partire da RNA come templato, sia la reversione che
l’amplificazione vera e propria possono venir eseguite anche in unico passaggio e,
infine,
consente di ottenere una visione in tempo reale, durante ciascun ciclo di
amplificazione, ovvero un grafico da cui si può ricavare l’incremento di fluorescenza
sviluppato da ciascun campione ad ogni singolo ciclo.
126
RISULTATI
1. Dati relativi ai pazienti appartenenti al gruppo di volontari
considerato
nello
studio
riguardante
la
risposta
cellulare
all’Everolimus, mediante lo screening su precursori eritroidi coltivati
in vitro.
La talassemia è una patologia ereditaria, autosomica recessiva, causata da
alterazioni a livello della sintesi dei componenti proteici che costituiscono
l’emoglobina. Le sindromi talassemiche sono classificate, sulla base delle catene
globiniche coinvolte, in α-, β-, δ-talassemia; ognuna di queste forme patologiche
presenta caratteristiche eterogenee.
Il fenotipo talassemico, determinato da mutazioni a carico dei geni per le β-globine,
raramente è rappresentato dalle stessa alterazione su entrambi i geni, mentre più spesso
la patologia è la risultante della combinazione di genotipi differenti. Le alterazioni a
carico dei geni globinici, sono solitamente rappresentate da delezioni più o meno estese
o da mutazioni puntiformi di diversa natura. Gli effetti di queste alterazioni si possono
manifestare nei processi di trascrizione e traduzione, portando di conseguenza alla totale
assenza della sintesi proteica, ad uno squilibrio nella velocità di sintesi oppure alla
produzione di catene proteiche altamente instabili.
Si deve considerare, inoltre, che la gravità del quadro ematologico di un soggetto
affetto da β-talassemia può essere influenzata anche da altri fattori, che possono
interferire sull’espressione dei geni per le α- e le γ-globine.
Solo in seguito alle evidenze sperimentali secondo cui l’Everolimus si è dimostrato
un composto di notevole interesse come induttore del differenziamento eritroide nella
linea cellulare K562 e in colture di precursori eritroidi di soggetti sani, l’analisi
dell’espressione dei geni globinici è stata effettuata anche su cellule di pazienti affetti da
β-talassemia [103]. Tuttavia questo studio riguardava un gruppo di soli 4 soggetti di
origine israeliana affetti da questa patologia.
127
Il nostro interesse, invece, è stato rivolto a testare l’efficacia dell’Everolimus,
impiegato su colture in vitro di cellule staminali umane, su un numero maggiore di
pazienti di nazionalità italiana, che potesse apportare dati significativi aventi una
valenza territoriale.
I campioni di sangue periferico dai quali allestire le colture di precursori eritroidi e
sulle quali testare gli effetti dell’Everolimus, sono stati donati da un gruppo totale di 14
pazienti affetti da β-talassemia volontari; 10 campioni provengono dalla Clinica
Pediatrica I, Centro Sindrome Down, Ospedale “Santa Chiara” di Pisa e 4 dal servizio
di Immunoematologia e Trasfusione dell’Ospedale di Rovigo. Ciascuno di questi
soggetti ha dato la propria disponibilità alla ricerca, tramite la compilazione di un
consenso informato, per il prelievo di 20 ml sangue necessari per allestire una coltura
cellulare in vitro contenete circa 108 cellule.
Per alcuni di questi pazienti è stato possibile ottenere anche alcune informazioni
relative al sesso e all’età ed alcuni dati clinici come la quantità di Hb valutata prima
della trasfusione, l’eventuale splenectomia, intervento necessario per evitare ulteriore
danno da emolisi splenica, e l’attuazione di terapia trasfusionale; tutte queste
informazioni sono riportate nella tabella 2. Tuttavia i dati relativi ai soggetti provenienti
dall’Ospedale di Rovigo non sono ancora stati resi disponibili.
Tabella 2. Dati clinici di alcuni dei soggetti impiegati nello studio degli
effetti differenzianti dell’Everolimus.
Paziente
età
sesso
splenectomia
trasfusioni
Hb
Pre-trasfusione
Talassemia
1
31 a
M
+
Ogni 4 sett
9,5 g/dl
major
2
35 a
F
+
regolari
nd
major
3
7a
M
+
Non regolari
8,5-9 g/dl
intermedia
4
17 a
F
-
regolari
nd
major
5
20 a
F
-
regolari
nd
major
6
12 a
F
+
no
9,2 g/dl
7
23 a
F
+
regolari
nd
8
35 a
M
+
regolari
nd
intermedia
Beta-thal/
Hb Lepore
major
9
29 a
M
-
no
7,5 g/dl
Talasso-drepano
10
31 a
M
+
regolari
nd
major
128
2. Caratterizzazione genotipica: mutazioni responsabili della patologia
talassemica nei soggetti presi in esame.
Con la tecnica del sequenziamento del DNA, la cui utilità non è limitata solo al
campo della diagnostica prenatale, è stato possibile effettuare la caratterizzazione della
mutazione responsabile della patologia nei pazienti considerati per questo studio. Di
questo aspetto si sono occupate alcune collaboratrici del Prof. Gambari, utilizzando un
metodi di sequenziamento enzimatico automatizzato. L’analisi e l’identificazione della
mutazione, responsabile di β-talassemia nei soggetti considerati in questo studio,
rivestono una notevole importanza per la ricerca di un’eventuale correlazione con la
risposta individuale al trattamento farmacologico. I dati genetici ottenuti potrebbero
aiutare a definire o meno l’idoneità di ciascun soggetto considerato anche per
l’inserimento in un eventuale trial clinico o futura applicazione terapeutica.
Le mutazioni più frequenti nelle diverse regioni d’Italia, in particolare nella
regione del Delta del Po, sono riportate nella tabella 3.
Tabella 3. Distribuzione regionale delle mutazioni che più frequentemente sono
responsabili della β-talassemia in Italia. I valori sono espressi in percentuale riferiti a
ciascuna regione; la riga indicata come “percentuale” si riferisce alla percentuale nazionale.
Allele
Regione
Codon39
CÆT
IVS-I110
GÆA
IVS-I- IVS-I6
1
TÆC GÆA
Sardegna
95,7
0,5
0,1
0,03
Sicilia
35,5
23,6
16,0
Calabria
30,9
22,4
Basilicata
64,5
Puglia
Codon
6
-A
IVS-II- -101
1
CÆT
GÆA
0,4
2,2
0,03
8,2
6,1
1,1
1,6
0,08
16,6
7,7
4,4
3,3
3,9
0,3
16,1
3,2
16,1
34,9
26,4
11,3
13,8
5,0
0,3
4,1
0,3
Campania
48,8
14,8
8,6
8,6
8,0
4,9
0,6
Lazio
48,1
11,5
3,8
5,8
11,5
Po Delta
61,5
25,6
2,6
2,6
Genova
33,3
15,0
18,3
10,0
5,0
3,3
Altri
38,4
19,9
19,2
4,7
3,6
%
66,84
11,21
7,54
3,99
2,78
129
IVS-II745
CÆG
7,7
5,8
Hb
Lepore
0,4
1,8
1,9
2,6
1,3
2,2
4,5
1,7
0,5
1,90
1,48
0,25
0,20
Mentre in tabella 4 sono riportati i dati relativi alla caratterizzazione genica dei
campioni oggetto di studio. I campioni 1-3-8-9-10, relativi ai soggetti provenienti
dall’Ospedale di Pisa, non sono ancora stati caratterizzati.
Valutando i dati della caratterizzazione genotipica, si può osservare che i pazienti
7-11-12-14, sono tutti omozigoti per la mutazione non senso β0-39, la più diffusa in
Italia; questa mutazione è caratterizzata dalla conversione, in corrispondenza del codone
39, del codone CAG codificante per una glutammina, in un codone TAG, che
rappresenta un segnale di stop nell’mRNA e causa pertanto l’arresto della sintesi
proteica, conducendo alla produzione di una catena proteica troncata prematuramente
[158].
Un quadro clinico di talassemia major è stato visto essere associato alla coereditarietà della mutazione non senso β0-39 e di (β+) IVSI-110 GÆA, come nel caso
del paziente 5 [159]. La mutazione (β+) IVSI-110 GÆA, causata dalla sostituzione di
una guanina con un’adenina nella sequenza consenso, collocata nel primo introne del
gene β-globinico a 19 nucleotidi di distanza dal sito di splicing AG, conduce
all’attivazione di un sito criptico di splicing che causa, a sua volta, un difetto nel
riconoscimento della regione di giunzione esone/introne [160, 161].
Una situazione analoga è stata riscontrata per il paziente 2, che presenta le
mutazioni (β+) IVSI-110 e (β0) IVSII-1 GÆA; la seconda è una mutazione puntiforme
in posizione 1 del secondo introne nel gene β-globinico, che annulla il normale sito di
splicing distruggendo il suo GT o il suo AG [2].
La mutazione del gene β-globinico individuata nel soggetto 4 è la (β+) IVSI-6, cioè
la sostituzione TÆC nel sito di splicing del 1° introne che comporta la riduzione
dell’efficienza del processo di processamento dell’mRNA [71]; il paziente presenta
inoltre un polimorfismo CÆT nel codon 2 in eterozigosi, un polimorfismo CÆG
IVSII-16, probabilmente in omozigosi e un polimorfismo GÆT IVSII-74 in eterozigosi.
L’altra mutazione patologica non è ancora stata individuata.
Analogamente, nel paziente 13 è stata riportata l’eterozigosi per la mutazione
β+IVSI-110, ma non è ancora nota l’altra mutazione.
Il paziente 6 presenta l’inserzione di una A nel codone 17, che produrrebbe uno
sfasamento del frame di lettura e porterebbe ad ottenere una catena peptidica
completamente alterata o abortiva.
130
Tabella 4. Mutazioni riscontrate in alcuni dei pazienti considerati nel
nostro studio.
Paziente
Alterazione genetica
2
Eterozigote β+IVSI110/β0IVSII-1
Eterozigote β+IVSI-6
Polimorfismo CÆT in codon 2
4
Polimorfismo TÆG IVSII-74
Non individuata l’altra
mutazione
5
Eterozigote β+IVSI-110/β039
Eterozigote +A in codon 17
6
Polimorfismo TÆC in codon 2
Delezione dell’altro allele β
7
Omozigote β039
11
Omozigote β039
12
Omozigote β039
Eterozigote β+IVSI-110
13
Non individuata l’altra
mutazione
14
Omozigote β039
La mutazione del paziente 6 è in condizione di eterozigosi, mentre l’altro allele del gene
per le β-globine è completamente deleto. Inoltre, questo soggetto presenta una
sostituzione TÆC nel codone 2, che tuttavia non altera l’amminoacido inserito nella
catena proteica in fase di sintesi. Quest’ultimo polimorfismo è presente anche nel
paziente 4.
Nel gruppo di volontari selezionati le mutazioni riportate rispecchiano la
frequenza attesa sulla base della distribuzione nazionale.
131
3. Considerazione del contenuto di HbF iniziale nei soggetti indagati,
per la loro suddivisione in fenotipo HPFH e non-HPFH.
Un altro fattore importante da considerare, prima di un ipotetico trattamento con
un agente eritro-differenziante, è la quantità di HbF prodotta costitutivamente dal
paziente. Normalmente la sintesi dell’emoglobina fetale in un adulto è ridotta all’1-2%
dell’emoglobina totale ed è ristretta ad una sottopopolazione eritrocitaria, detta F-cell
(eritrociti contenenti HbF). Tuttavia, alcuni individui esprimono in età adulta i geni per
le γ-globine agli stessi livelli riscontrati durante la vita fetale, manifestando il fenotipo
denominato HPFH (High Persistence of Fetal Haemoglobin). I soggetti che manifestano
il fenotipo HPFH presentano un miglioramento del quadro clinico, dovuto alla
riattivazione dei geni per le γ-globine, in cui gli aumentati livelli di HbF compensano,
almeno in parte, la carenza di HbA caratteristica delle sindromi talassemiche [2].
La determinazione della quota di emoglobina fetale nel sangue dei soggetti
β-talassemici in esame permette di distinguere i pazienti in due gruppi: quelli con
fenotipo HPFH, il cui quadro clinico talassemico è fortemente alleviato dalla
persistenza di HbF nel soggetto e i soggetti non-HPFH, la cui percentuale di
emoglobina fetale, seppur presente, è insufficiente a garantire loro un miglioramento
evidente dei sintomi talassemici; come limite che suddivide le due categorie è stato
considerato il valore di HbF pari a 15-20%.
Tramite la tecnica dell’HPLC (High Performance Liquid Cromatography), una
metodica molto rapida, ripetibile ed accurata, i vari tipi di emoglobina presenti nei
campioni di sangue provenienti da ciascun paziente sono separati in bande distinte,
definite frazioni di eluizione. Mediante un’analisi HPLC condotta precedentemente su
un campione di sangue di un soggetto adulto sano, è stato possibile caratterizzare i
picchi corrispondenti nel cromatogramma alle diverse emoglobine, che vengono eluite
dalla colonna cromatografica in tempi diversi, in base alla loro affinità per la fase fissa
di cui è costituita la colonna e la fase mobile rappresentata dalla miscela di eluenti, alla
loro carica ed al loro peso molecolare. Dalla valutazione dei singoli picchi
cromatografici è possibile determinare la quantità relativa di ciascuna emoglobina
presente nello stesso campione, espressa come percentuale rispetto alla quantità totale.
132
La tabella 5 riporta i valori di HbF e delle altre componenti emoglobiniche
ottenute dal sangue dei pazienti analizzati.
Considerando i dati riportati in tabella si può concludere che solo i pazienti 2-3-6,
esprimono il fenotipo HPFH, mentre i soggetti 1-4-5-10-11-12-13 non presentano
questa favorevole condizione clinica. L’analisi dei campioni 7-8-9-14 non è ancora stata
eseguita. La valutazione dell’HbF nel sangue dei pazienti talassemici prima della
trasfusione è importante per una corretta e adeguata valutazione dell’effettivo accumulo
di trascritti per globine fetali nelle colture cellulari di precursori eritroidi, in seguito a
induzione farmacologica in vitro con agenti differenzianti.
133
Tabella 5. Valutazione dei dati relativi alla percentuale dei differenti
tipi di Hb nel sangue.
Paziente
Emoglobine Composizione %Hb
3.39%
HbF
91.76%
Donatore sano HbA1
1
2
3
4
5
6
10
11
12
13
HbA2
2.5%
HbF
2.54%
HbA1
84.89%
HbA2
4.31%
HbF
15.52%
HbA1
46.21%
HbA2
3.82%
HbF
35.69 %
HbA1
37.13%
HbA2
5.31%
HbF
8.74%
HbA1
74.56%
HbA2
3.65%
HbF
6.27%
HbA1
67.76%
HbA2
4.20%
HbF
88.09%
HbA2
0.57%
HbF
11.01%
HbA1
73.24%
HbA2
3.5%
HbF
4.89%
HbA1
75.51%
HbA2
5.27%
HbF
4.63%
HbA1
71.96%
HbA2
1.86%
HbF
3.06%
HbA1
80.16%
HbA2
6.54%
134
4. Colture di precursori eritroidi isolati dal sangue periferico di
pazienti affetti da β-talassemia.
Le cellule staminali derivate dal sangue prelevato dai donatori affetti da
β-talassemia sono state messe in coltura secondo la metodica di coltura di precursori
eritroidi in due fasi liquide, come schematizzato in Fig. 30 (capitolo “Materiali e
Metodi”). Durante la prima fase, detta EPO-indipendente, i progenitori eritroidi precoci
committed, cioè le cellule BFU-E, proliferano e si differenziano in CFU-E. Dopo sei
giorni di coltura nel terreno di fase I, quest’ultima tipologia cellulare viene messa nel
terreno fresco di fase II, addizionato con EPO e con fattori stimolanti e selettivi per la
proliferazione cellulare verso la linea eritroide; in questa fase, infatti, le cellule CFU-E
proliferano e maturano divenendo normoblasti ortocromatici e in seguito eritrociti
enucleati [93].
Nella fase II di coltura le cellule iniziano quindi a produrre emoglobina, anche se a
livelli bassi. Al 6° giorno di fase II viene eseguito, senza rinnovare il terreno di coltura,
il trattamento farmacologico con Everolimus addizionato alle concentrazioni 100 nM,
250 nM, 500 nM, 1000 nM, 1500 nM. Un’aliquota di cellule non trattate rappresenterà
il controllo di riferimento negativo. Per avere invece un parametro di riferimento
positivo, alcune cellule sono state sottoposte a trattamento con altri composti
eritrodifferenzianti, come Rapamicina (impiegata alle concentrazioni di 100 nM o
500 nM) e Mitramicina (impiegata alle concentrazioni di 25 nM o 50 nM). Dopo 4
giorni di trattamento, viene estratto l’RNA dalle cellule seguendo la metodica del
TRIzol descritta in “Materiali e metodi”.
Si è cercato di creare un duplice approccio analitico all’indagine sull’Everolimus,
basato da un lato su saggi condotti su colture cellulari, e dall’altro su un’indagine
genetica. In questo modo si è ritenuto di poter sia verificare l’azione eritrodifferenziante del composto in esame, sia la variabilità nella risposta individuale delle
cellule del paziente, correlata probabilmente alla tipologia di mutazione che lo
caratterizza. Questo studio combinato potrebbe aprire nuove strategie applicative nella
terapia della β-talassemia, creando una corsia preferenziale per ciascun paziente, che
potrebbe essere sottoposto ad una terapia su misura, in quanto più mirata e studiata sulla
base di una particolare alterazione genetica. Oltre ad avere sviluppi importanti per la
135
terapia futura della talassemia, la caratterizzazione genotipica dei pazienti in studio può
permettere di selezionare, all’interno di un ampio campione di soggetti, i pazienti che
rispondono positivamente all’azione di un determinato composto farmacologico.
L’analisi effettuata sulle colture cellulari dei precursori eritroidi permette di valutare la
risposta individuale, mentre la caratterizzazione genetica potrebbe rivelare una
corrispondenza diretta tra la risposta al trattamento e la mutazione responsabile della
patologia. Si riuscirebbe in questa maniera, nell’ambito di un futuro trial clinico, a
restringere fortemente il campo d’indagine attorno a soggetti con caratteristiche
predisponenti alla responsività al trattamento.
5. Effetti del trattamento con Everolimus sulla proliferazione dei
precursori eritroidi da ottenuti dai pazienti affetti da β-talassemia.
La proliferazione dei precursori eritroidi viene monitorata contando le cellule nelle
varie fasi di coltura utilizzando il Coulter Counter Z1 (Coulter Electronics Limited,
Luton, Beds, England). La determinazione del numero di cellule permette di verificare
la crescita ed eventualmente di osservare, dopo aver effettuato il trattamento con il
composto in analisi, gli effetti di inibizione della proliferazione che le differenti
concentrazioni di Everolimus possono provocare. Nel protocollo sperimentale eseguito,
l’Everolimus è stato addizionato al 6° giorno di fase II in concentrazioni scalari in modo
da coprire un range da 100 nM a 1500 nM. Ogni coltura allestita con i precursori
eritroidi derivati da ogni singolo donatore ha evidenziato una sensibilità soggettiva al
trattamento: gli effetti sulla proliferazione cellulare indotti dall’Everolimus si verificano
a concentrazioni differenti per le diverse colture. Questo evento è probabilmente
imputabile da un lato a fattori di sensibilità intrinseca delle cellule del paziente,
dall’altro a condizioni dipendenti dall’andamento della coltura.
La Fig. 33 descrive un esempio dell’andamento della proliferazione cellulare, in
questo caso relativo al paziente 6, considerando il 1° giorno di fase I, il 1° giorno di fase
II, il 6° giorno di fase II, prima del trattamento, e il 4° giorno di trattamento (10° giorno
di fase II). Nell’istogramma è riportato il numero di cellule/ml osservato dopo un
trattamento con Everolimus alla concentrazione 250 nM, ma anche i dati relativi alle
136
cellule trattate con due agenti noti essere induttori del differenziamento eritroide, cioè la
Rapamicina (500 nM) e Mitramicina (25 nM) [93, 100], che rappresentano i controlli
cellule/ml
positivi di induzione.
2500000
Controllo
2000000
Everolimus 250 nM
Rapamicina 500 nM
Mitramicina 25 nM
1500000
1000000
500000
0
1° giorno 1° giorno 6° giorno 10° giorno
fase I
fase II
fase II
fase II
tempo (giorni)
Fig. 33. Proliferazione cellulare colture eritroidi del paziente 6. I
precursori eritroidi derivati dal soggetto 6, sono stati incubati al 6° giorno di
fase II con Everolimus 250 nM, Rapamicina 500 nM e Mitramicina 25 nM.
Dopo quattro giorni di trattamento la proliferazione cellulare ha messo in
evidenza che nessuno dei tre trattamenti farmacologici ha ridotto sensibilmente
la crescita cellulare rispetto ad una coltura di controllo non trattata.
I risultati descritti in Fig. 33 evidenziano una riduzione della proliferazione
cellulare durante la fase II, dovuta al fatto che le cellule in coltura differenziano in senso
eritroide e non proliferano più, alcune di essere termineranno il loro ciclo vitale durante
il trascorrere del tempo e non saranno sostituite da nuove cellule nella coltura, pertanto
il numero totale tenderà a diminuire. Inoltre, dal confronto del campione non trattato
con quelli sottoposti ai trattamenti farmacologici è possibile ricavare il valore di IC50,
ovvero la concentrazione alla quale si ottiene un’inibizione della proliferazione del
50%, che è in parte associata a fenomeni di tossicità cellulare. Nello specifico, la
concentrazione di Everolimus 250 nM e quelle di Rapamicina 500 nM e Mitramicina
25 nM, concentrazioni attive per quanto riguarda l’induzione al differenziamento di
questa coltura cellulare, non inibiscono in modo significativo la crescita.
137
Analogamente, la Fig. 34 riporta gli effetti sulla proliferazione delle colture
provenienti da sei pazienti (1-6-8-9-10-11), prodotti dalle varie concentrazioni di
Everolimus considerate utili per ottenere in vitro un’induzione eritroide. Infatti, ogni
singola coltura cellulare risponde a concentrazioni differenti di Everolimus, all’interno
del range di trattamento applicato (che va da 100 nM a 1500 nM), confermando una
cellule/ml
variabilità individuale nella risposta all’azione dell’agente differenziante.
1200000
controllo
1000000
Everolimus
800000
600000
400000
200000
0
paziente paziente paziente paziente paziente paziente
1
6
8
9
10
11
pazienti
Fig. 34. Proliferazione cellulare al 10° giorno di fase II
(corrispondente al 4° giorno di trattamento). Le cellule dei pazienti sono
state incubate con concentrazioni differenti di Everolimus al 6° giorno di fase
II; dopo 4 giorni di trattamento le cellule sono state contate con Coulter
Counter per verificare l’azione dell’Everolimus sulla proliferazione cellulare,
facendo riferimento ad un controllo non trattato. Le concentrazioni di
Everolimus mostrate sono quelle che non davano, per quella determinata
coltura, un’inibizione della crescita cellulare superiore al 50% (IC50). Le
concentrazioni utilizzate nelle diverse colture cellulari sono rispettivamente:
Everolimus 500 nM (per quelle provenienti dal paziente1), Everolimus 250 nM
(6-9-11), Everolimus 100 nM (8-10).
Tutte le concentrazioni efficaci di Everolimus sono state comparate in Fig. 34 al
rispettivo controllo negativo, costituito dalle cellule non trattate; per nessuna
concentrazione rappresentata è stato evidenziata un’inibizione della crescita cellulare
superiore al 50%.
138
Quest’analisi sottolinea, sia una variabilità nella risposta individuale delle cellule
provenienti dal soggetto talassemico, sia che le concentrazioni di Everolimus utili per
ottenere un effetto differenziante, non inibiscono significativamente la proliferazione
cellulare, indicando una bassa tossicità del composto in queste condizioni sperimentali.
6. Selezione dei soggetti sensibili al trattamento in vitro con
l’Everolimus, mediante quantificazione dell’espressione dei geni
globinici, utilizzando la tecnica della Real Time Quantitative PCR.
Per studiare l’effetto sortito dal trattamento con Everolimus sull’espressione dei
geni globinici nelle colture cellulari oggetto del presente studio, è stato estratto da
queste cellule l’RNA totale, seguendo la metodica del TRIzol descritta in “Materiali e
metodi”, ed in seguito ne è stata valutata l’integrità mediante analisi su gel d’agarosio
all’1% e la quantità attraverso l’indagine con lo spettrofotometro. L’RNA messaggero
di ciascun campione è stato amplificato con una reazione di retro-trascrizione, che ha
condotto all’ottenimento dei cDNA corrispondenti agli mRNA di partenza. Ogni
campione è stato sottoposto ad una reazione, eseguita in duplice copia, di Real Time
Quantitative PCR, secondo quanto descritto nel capitolo “Materiali e metodi”.
Oltre ai trascritti relativi ai messaggeri per le globine umane α, β e γ, è stato
amplificato il trascritto dell’rRNA 18s, usato come controllo endogeno e rappresentante
il gene di riferimento, che deve avere la stessa entità di espressione sia nelle cellule
trattate che in quelle non trattate. Oltre al trattamento con opportune concentrazioni di
Everolimus, alle colture cellulari sono state somministrate la Rapamicina e la
Mitramicina, noti essere agenti differenzianti.
In tabella 6 sono riportati i dati ottenuti in seguito all’analisi di Real Time
Quantitative PCR, relativi all’espressione genica di α-, β-, γ-globine conseguente al
trattamento con concentrazioni diverse di Everolimus, Rapamicina e Mitramicina. La
tabella mostra i dati raccolti da tutti i campioni considerati in questo studio e derivanti
dai donatori affetti da β-talassemia.
139
Tabella 6. Analisi di PCR quantitativa sulle colture di precursori
eritroidi indotte con Everolimus ed altri agenti differenzianti.
Paziente
1
2
3
Everolimus
Rapamicina
Mitramicina
β=6.82
β=3.89
β=9.13
γ=4.50
γ=2.75
γ=11.16
α=2.89
α=2.19
α=3.84
α=14.12
α =40.79
α=20.82
β=8.17
β=11.47
β=8.75
γ=4.35
γ=7.84
γ=3.78
β=1.84
β=6.87
β=0.99
γ=1.82
γ=5.10
γ=0.98
α=1.33
α=0.70
α=1.64
β=1.16
4
γ=1.12
7
9
10
γ=0.82
nd
β=4.99
β=9.92
β=5.24
γ=1.74
γ=3.99
γ=1.39
α=2.55
α=4.41
α=1.62
β=5.13
β=2.66
β=2.28
γ=0.40
γ=0.64
γ=0.35
α=1.13
α=1.25
α=0..96
β=2.95
β=0.70
β=0.14
γ=5.90
γ=0.89
γ=0.75
α=1.37
α=1.26
α=0.25
β=1.07
β=2.85
β=0.25
γ=0.42
γ=2.97
γ=0.17
α=1.75
α=2.46
α=0.78
13
14
γ=0.48
γ=7.57
nd
α=1.09
β=0.69
β=1.09
γ=1.64
nd
α=0.96
α=1.77
β=2.87
β=5.46
γ=3.25
ever
rapa
mitra
500 nM
100 nM
25 nM
100 nM
500 nM
25 nM
250 nM
250 nM
50 nM
100 nM
nd
25 nM
1500 nM
500 nM
25 nM
1500 nM
500 nM
25 nM
100 nM
250nM
50 nM
250 nM
1500 nM
25 nM
500 nM
nd
25 nM
1000 nM
nd
25 nM
500 nM
nd
25 nM
β=1.24
α=0.46
γ=1.79
Conc.
α=13.00
β=0.47
12
Conc.
β=0.97
α=13.27
6
Conc.
γ=7.52
nd
α=0.34
α=1.53
140
Da questi dati riassuntivi appare evidente che nelle colture provenienti da ogni singolo
paziente l’effetto eritro-differenziante è ottenuto a diverse concentrazioni per lo stessa
molecola impiegata nel trattamento, in dipendenza da fattori quali la sensibilità
individuale. Solo valutando accuratamente questa variabilità soggettiva sarà possibile
definire in modo più preciso, sia un trattamento specifico e quindi con maggiori
possibilità di successo terapeutico, sia un gruppo di soggetti adatti a rappresentare i
pazienti da inserire in un eventuale trial clinico.
Da queste due considerazioni deriva l’importanza che la nostra analisi riveste nello
screening di una popolazione di individui affetti da β-talassemia, ai fini di poter
individuare, in futuro, l’applicazione di trattamento terapeutico mirato all’induzione di
globine embrio-fetali.
Sono quindi descritti e considerati nel dettaglio i dati ottenuti dal trattamento di
ciascuna coltura di precursori eritroidi mediante i saggi di Real Time Quantitative PCR.
In una reazione di PCR quantitativa il prodotto generato raddoppia ad ogni ciclo di
amplificazione, ma affinché sia rilevabile, sulla base della fluorescenza emessa dalla
degradazione della sonda ibridizzata al templato (vedi la descrizione del principio in
“Materiali e Metodi”, Fig. 32), sono necessari parecchi cicli. Lo spettrogramma, che
rappresenta la fluorescenza registrata ad ogni determinato ciclo, ha un andamento
sigmoide; mentre nel tratto terminale la curva comincia ad appiattirsi, poiché i substrati
di reazione iniziano a scarseggiare ed i prodotti PCR non raddoppiano più, nel tratto
iniziale della sigmoide si è certi di trovarsi in condizioni quantitative di amplificazione,
in cui l’andamento della curva segue la funzione 2n. Qui la fluorescenza è direttamente
proporzionale alla quantità di acido nucleico utilizzato come stampo. Si calcola a questo
punto il numero di cicli (CT) necessari affinché il materiale in analisi abbia un
emissione di fluorescenza superiore al rumore di fondo o background. Una volta
calcolata l’intensità di fluorescenza significativa, il detector del sistema d’analisi traccia
una retta parallela all’asse delle ascisse (linea di threshold) che interseca tutte le curve
sigmoidi, relative ai differenti campioni analizzati, nel punto in cui ogni campione
emette la stessa fluorescenza, ovvero possiede la stessa quantità di amplificato, che può
corrispondere a cicli diversi nel processo di amplificazione in dipendenza dalla quantità
di materiale di partenza.
Nel nostro caso, i geni per le catene globiniche considerati per la quantificazione
sono espressi con la stessa efficienza rispetto al gene di riferimento endogeno, per cui è
141
possibile quantificare l’incremento dell’espressione genica usando un approccio
cosiddetto di quantificazione relativa. Per ciascun campione trattato e non trattato è
necessario calcolare il valore definito ∆CT, cioè la differenza tra il valore di CT del
gene globinici analizzato e il valore di CT del gene per la subunità ribosomale 18s.
Dalla differenza tra il ∆CT dei campioni di cellule trattate ed il ∆CT dei campioni delle
cellule di controllo, si ricava il ∆∆CT; tale valore rappresenta l’esponente negativo di 2
nel risultato finale di un’elaborata equazione matematica. Il calcolo del valore di 2-∆∆CT
permette quindi di ottenere il numero di volte in cui un mRNA bersaglio viene espresso
in più rispetto al riferimento non trattato.
Di seguito vengono riportati, come esempio, gli spettrogrammi più significativi
delle amplificazioni effettuate mediante Real Time Quantitative PCR sui geni per le
globine nei campioni riassunti in tabella 6. Ogni spettrogramma comprende quattro
curve, poiché ogni analisi è stata eseguita in duplicato, sia sul trattato che sul controllo;
per ogni soggetto considerato le figure A, B e C, rappresentano l’andamento relativo
all’amplificazione rispettivamente dei geni per le globinici α, β e γ. Le curve del
campione trattato sono sempre indicate in blu e giallo, mentre le curve relative al
controllo non trattato sono in rosso e verde. Le figure D di tutti gli spettrogrammi di
seguito riportati, rappresentano l’amplificazione del gene interno di riferimento 18s;
qui, le curve in verde e giallo descrivono l’andamento delle cellule trattate, mentre le
curve in rosa e blu sono riferite al controllo.
Per il paziente 1, sono riportate le curve di amplificazione relative ai tre differenti
trattamenti; la Fig. 35 riporta gli spettrogrammi riferiti all’amplificazione dei geni per
le globine umane (α, β, γ rispettivamente in figura A, B e C) e del gene di riferimento
interno 18s (fig. D), per il quale il valore di CT delle cellule trattate (curve in verde e
giallo) non si discosta in modo significativo dalle curve delle cellule di controllo non
trattato (in rosa e blu). Le cellule trattate con Everolimus 500 nM (curve in blu e giallo)
presentano, rispetto al controllo non trattato (curve in rosso e verde), un basso
incremento delle α-globine (2.89), trascurabile se confrontato con l’induzione più
elevata, esercitata sulle globine β e γ, rispettivamente 6.82 e 4.50, risultato che riveste
notevole interesse terapeutico. Gli spettrogrammi riportati nelle Fig. 36 e Fig. 37 sono
riferiti all’analisi parallelamente condotta sui campioni trattati, invece, con Rapamicina
100 nM e Mitramicina 25 nM rispettivamente. L’incremento di globine β e γ è pari a
3.89 e 2.75 per l’induzione con Rapamicina, che ha prodotto invece un basso
142
143
D
B
Fig. 35. PCR quantitativa sul campione 1. In A, lo spettrogramma relativo all’amplificazione del gene
α-globinico; in B, quello del gene β; in C, quello di γ. In giallo e blu sono indicati i risultati relativi alle cellule
trattate con Everolimus 500 nM, in verde e rosso le curve riguardanti le cellule non trattate. La figura D
rappresenta invece i dati relativi al 18s. In verde e giallo il trattato, in rosa e blu il controllo. Ogni reazione di
amplificazione è stata eseguita in duplicato.
C
A
incremento di α-globine pari a 2.19, mentre l’incremento di globine β e γ è pari a 9.13 e
11.16 per l’induzione con Mitramicina, che ha prodotto invece un basso incremento di
α-globine pari a 3.84. L’espressione delle α-globine non viene incrementata in maniera
significativa in nessuno degli esempi riportati, soprattutto se posta a confronto con
l’aumento registrato, invece, per l’espressione delle γ-globine e delle β-globine.
144
145
L’aumento dell’espressione genica per le α-globine, è un evento da tenere sotto
controllo e possibilmente da limitare, poiché l’induzione della produzione di queste
globine aumenterebbe il danno dovuto alla formazione di tetrametri di catene α. Il
soggetto 1, risponde in modo positivo a tutti e tre i trattamenti farmacologici applicati,
dimostrando, in tutti i casi, un accumulo sia dei trascritti γ-, che β-globinici,
accompagnato tuttavia anche da un modesto aumento delle α-globine. La valutazione
dei risultati riguardanti l’accumulo di mRNA per le globine γ ottenuto con trattamento
con l’Everolimus è di notevole importanza dal momento che il paziente considerato non
presenta nel sangue elevati livelli di HbF, per cui l’induzione dell’espressione delle
catene γ ottenuta è da considerare soddisfacente e sufficientemente rilevante.
Anche le colture di precursori del paziente 2 si sono dimostrate sensibili
all’induzione con tutte e tre le molecole: Everolimus 100 nM, Rapamicina 500 nM e
Mitramicina 25 nM. Questi composti hanno indotto un accumulo di tutti gli mRNAs
globinici (α, β, γ) i cui valori sono riportati in tabella 6. Per quanto riguarda il paziente
2, la caratterizzazione genotipica ha sottolineato uno stato di eterozigosi per le
mutazioni β+IVSI-110/β0IVSII-1; questa evidenza rende molto interessante, ai fini della
nostra indagine, sia l’incremento di mRNA per le globine β, dal momento che una
piccola aliquota di catene β viene prodotta endogenamente, che quello, anche se meno
intenso, di γ-mRNA. L’aumento di mRNA per le γ-globine, nonostante risulti meno
spiccato rispetto a quello degli altri trascritti globinici, è tuttavia molto significativo se
si tiene conto del fatto che il paziente 2 presenta livelli iniziali di HbF (15.52%) già
sufficientemente elevati, essendo un soggetto HPFH. Si dimostra quindi che i
trattamenti applicati riescono ad indurre l’accumulo di mRNA per le γ-globine,
nonostante una quantità di HbF endogena già fisiologicamente elevata.
Tra i donatori che hanno risposto positivamente a tutti i trattamenti farmacologici
effettuati, un altro esempio è descritto in Fig. 38, che riporta i quattro spettrogrammi
relativi all’induzione, con Everolimus 1500 nM, delle globine α, β e γ (A, B e C) e del
gene di riferimento interno 18s (D) per il paziente 6. Egli è affetto da β0-talassemia, in
quanto presenta un gene per le globine β deleto e l’altro mutato per inserzione di una A
al codon 17, mutazione che causa la formazione di un codone di stop e la produzione di
una catena proteica non funzionale.
146
147
In questo caso gli aumenti di mRNA per le β-globine registrati in risposta ai trattamenti
non sono utili dal punto di vista terapeutico, poiché dovuti unicamente alla rilevazione
da parte della sonda di mRNA aberranti, che non produrranno catene globiniche
funzionali. Tuttavia, è particolarmente interessante notare che, nonostante la scarsa
induzione di γ-mRNA, il suo incremento seguito al trattamento, con tutti e tre gli agenti
induttori usati, è eccezionale se si considera che il soggetto in esame è un individuo
HPFH, che presentava già nel sangue una quota di HbF iniziale del 88,09%.
Un ulteriore caso nel quale viene evidenziata un’induzione al differenziamento
eritroide per tutti i trattamenti eseguiti con Everolimus, Rapamicina e Mitramicina,
riguarda le cellule ottenute dal paziente 7, dove si è rilevato solo l’aumento della
produzione di β-mRNA, che tuttavia è rappresentato da un trascritto aberrante. Dal
punto di vista della mutazione responsabile della patologia talassemica, questo soggetto
è infatti omozigote β0-39, quindi l’induzione di mRNA per le β-globine non è efficace
per migliorare il suo quadro clinico. Poiché non è stata osservata alcuna induzione di
mRNA per le γ-globine, il soggetto 7 non potrà trarre vantaggi da eventuali trattamenti
con le tre molecole prese in considerazione.
Nelle colture ottenute dai precursori eritroidi derivati dal sangue del paziente 3, gli
mRNAs per le β- e le γ-globine sono state indotti solo con i trattamenti di Everolimus
250 nM e Rapamicina 250 nM, mentre nessuna induzione è stata ottenuta con
l’addizione alla coltura di Mitramicina 25 nM. Questo dimostra che non tutti i soggetti
in esame rispondono ai trattamenti applicati allo stesso modo e con la stessa intensità, a
conferma dell’ipotesi sostenuta, secondo la quale la risposta è individuale in relazione
alle caratteristiche del paziente. Del soggetto 3 non è nota la mutazione del gene per le
globine β, tuttavia i valori di HbF del sangue (35.69%) evidenziano la presenza di un
fenotipo HPFH, per il quale l’induzione di mRNA per le γ-globine mediata dai tre
composti in analisi è sufficientemente elevata per poter produrre un beneficio clinico in
questo soggetto.
Per i campioni 13 e 14 l’induzione farmacologica è stata effettuata solo con
Everolimus e Mitramicina, che hanno indotto, nei precursori eritroidi isolati dal sangue
di questi due soggetti, l’accumulo di trascritti per le globine. Nel caso del campione 13,
l’accumulo di trascritti era limitato e selettivo per le γ-globine; questo risultato è
riportato in Fig. 39 e mette in evidenza, in C, come il trattamento con Everolimus
148
1000 nM agisce sulle cellule derivate dal paziente 13 inducendo esclusivamente
l’incremento della produzione di messaggeri γ-globinici. Visti i risultati positivi ottenuti
con l’Everolimus e la Mitramicina, che producono per ambedue i pazienti un accumulo
di γ-mRNA, si può concludere che entrambi i composti potrebbero apportare un
miglioramento effettivo del quadro clinico.
149
La Fig. 40 riporta gli spettrogrammi che mostrano gli effetti sortiti dal trattamento
delle colture cellulari relative al paziente 9 con Everolimus 100 nM. L’incremento
dell’espressione dei geni per le globine è stata ottenuto esclusivamente con
l’Everolimus, mentre sia la Rapamicina, che la Mitramicina si sono dimostrate inattive.
L’accumulo di mRNA per le γ-globine è quasi il doppio rispetto a quello per le β (Fig.
40 B), come osservato dalle curve di amplificazione relative al gene per le γ-globine
(Fig. 40 C); infatti, a parità di threshold e di valore di fluorescenza emessa dal sistema
(∆Rn), le due curve che rappresentano il campione trattato compaiono prima nei cicli di
reazione e presentano valori di CT inferiori rispetto a quanto si osserva per il controllo
non trattato. Nonostante il genotipo del soggetto 9 non sia stato definito, la spiccata
attività dimostrata dal trattamento con Everolimus sulla coltura cellulare da esso
derivata, rende questo composto un potenziale agente utile al trattamento terapeutico del
soggetto.
Un aspetto importante emerge dall’osservazione che alcuni campioni non sono
stimolati a differenziare in senso eritroide in seguito all’esposizione a certi induttori,
bensì rispondono selettivamente solo al trattamento con alcune delle molecole proposte,
confermando quando suggerito dai dati relativi ai campioni 3-9-10-12, cioè che
l’induzione genica dipende anche dalla sensibilità individuale ad una determinata
molecola.
Per quanto riguarda il soggetto 10, l’espressione dei genica per le globine è indotta
esclusivamente con l’addizione di Rapamicina 1500 nM, mentre l’Everolimus
incrementa prevalentemente i trascritti per le globine di tipo α; queste analisi
preliminari rivelano l’inutilità di sottoporre il soggetto 10 ad un trattamento con
Everolimus. Tale fenomeno è indesiderato, in quanto un aumento eccessivo di
α-globine è la causa principale che sostiene la fisiopatologia di per sé caratteristica della
patologia talassemica.
Per il paziente 12 la risposta un’induzione significativa delle γ-globine è ottenuta
solo con Mitramicina 25 nM, mentre l’Everolimus 500 nM non sortisce alcun effetto
rilevante.
150
151
Il campione 4, sottoposto al trattamento con Everolimus 100 nM e Mitramicina
25 nM, in nessuno dei due casi ha mostrato incrementi di trascritti per le
β- o γ-globine, che potessero essere significativi dal punto di vista terapeutico, bensì ha
evidenziato solo un aumento ingente di trascritti α; questo risultato conduce a
concludere che egli non sia sensibile a nessuno dei trattamenti testati, infatti, se la totale
mancanza di induzione γ- e β-globinica fosse dovuta ad un problema relativo alle
colture cellulari, non si avrebbe nemmeno il risultato riguardante l’incremento delle
catene α.
Tra tutti i 14 campioni analizzati, solo i soggetti 5, 8 e 11 (non riportati in tabella 6)
non hanno mostrato alcun dato positivo al trattamento eseguito con Everolimus,
Rapamicina o Mitramicina. Si è concluso che, con molta probabilità, questa totale
assenza di risultati sia da imputare a problemi riguardanti le condizioni di coltura in
vitro dei precursori dei pazienti stessi.
Riassumendo i dati ottenuti e riportati per esteso in tabella 6, sette campioni
(1-2-3-6-9-13-14) hanno risposto positivamente al trattamento con Everolimus che ha
portato in ogni caso ad un aumento sia di β-, che di γ-mRNA, mentre il campione 7 ha
evidenziato un accumulo di trascritti globinici solo a carico di β-mRNA, che non
rappresenta tuttavia un risultato effettivamente utili ai fini terapeutici, essendo un
soggetto β0-39. Per tre campioni (4-10-12), invece, le colture cellulari e l’induzione in
vitro con l’Everolimus non hanno dimostrato risultati apprezzabili. Il campione 10
tuttavia si è dimostrato sensibile all’attivazione del differenziamento operata dalla
Rapamicina, mentre il campione 12 è risultato sensibile alla Mitramicina.
E’ importante notare che le concentrazioni efficaci di Everolimus usate nel
trattamento sono variabili da paziente a paziente: i campioni 2 e 9 rispondono a 100 nM
Everolimus, mentre il soggetto 3 a 250 nM, i pazienti 1 e 14 a 500 nM, il soggetto 13
alla concentrazione di Everolimus 1000 nM e il paziente 6 a 1500 nM. Anche da questi
risultati si evince che la componente individuale gioca, per ciascun soggetto, un ruolo
essenziale nel determinare la reazione positiva ad un trattamento.
Inoltre, solo in base alla contemporanea valutazione dei dati riportati in tabella 4 e
5, relativi alla percentuale di HbF nel sangue del soggetto e alla determinazione della
mutazione genica presente in ciascun paziente talassemico, sarà possibile effettuare uno
screening, all’interno del gruppo in esame, degli individui con le caratteristiche
152
genetiche e molecolari più idonee per definire trattamenti mirati e quindi
potenzialmente più efficaci .
Si può concludere che nei campioni indotti al differenziamento eritroide operato
con Everolimus, è stata osservata un’aumentata espressione a carico dei geni per le
γ-globine. Questo risultato è essenziale per tutti quei soggetti che, essendo affetti da β0talassemia,
possono
ottenere
un
effettivo
beneficio
terapeutico
unicamente
dall’innalzamento della quota di γ-globine e quindi di HbF, che potrebbe sostituire
funzionalmente, almeno in parte, l’HbA. L’induzione γ-globinica riveste uno spiccato
interesse anche se avviene a livelli molto bassi, quando essa si realizza nei soggetti
definiti HPFH; infatti, viene così dimostrato che è possibile indurre farmacologicamente
l’espressione genica γ-globinica anche se già presente e fortemente attivata. Per i
soggetti affetti da β+-talassemia (campione 2 in eterozigosi), invece, anche l’induzione
β-globinica da parte dell’Everolimus, diventa un fatto rilevante dal punto di vista
terapeutico.
L’allestimento di saggi di questo tipo permette di valutare la soggettività della
risposta all’induzione nelle cellule di pazienti talassemici con agenti eritrodifferenzianti. La selezione mediante lo screening su colture cellulari di precursori
eritroidi permette di discriminare, in una vasta popolazione di candidati, quelli più adatti
ad essere eventualmente sottoposti al trattamento con Everolimus. Questa molecola ha
finora evidenziato risultati interessanti e scarsi effetti avversi e potrebbe quindi
potenzialmente entrare nella rosa di composti utilizzabili nella terapia farmacologica
della β-talassemia, addirittura surclassando composti già impiegati in passato come
l’idrossiurea, ma presentanti una notevole tossicità [93].
153
DISCUSSIONE
Le sindromi talassemiche sono un gruppo di anomalie ereditarie, autosomiche
recessive, causate da alterazioni a livello della sintesi dei componenti dell’emoglobina e
caratterizzate da una quantitativa riduzione o abolizione delle catene globiniche α o β,
che provocano rispettivamente l’α-talassemia o la β-talassemia [162, 163]. Le
alterazioni a carico dei geni globinici riguardano mutazioni puntiformi o delezioni che
determinano anomalie relative alla trascrizione, allo splicing dell’RNA, alla stabilità dei
messaggeri e alla loro traduzione [2]. La condizione talassemica non è quindi
associabile ad un unico difetto genetico, ma è piuttosto la conseguenza della somma di
differenti alterazioni che producono effetti clinici simili.
In alcuni pazienti affetti da β-talassemia è stata osservata un’anomala espressione
dei geni per le γ-globine in età adulta, periodo nel quale normalmente la sintesi di catene
γ risulta repressa e quindi praticamente assente; in alcuni casi questa riattivazione porta
il livello di HbF di questi soggetti ad elevarsi dal 2.5% al 20%. Questo aumento di HbF
comporta una condizione clinica nota come HPFH (High Persistence of Fetal
Hemoglobin), che causa in questi individui un netto miglioramento del quadro clinico;
infatti, la relativa riattivazione dei geni γ-globinici causa un aumento di HbF tale da
poter in parte supplire alla carenza di HbA caratteristica delle sindromi talassemiche
[79].
Lo sviluppo di tecnologie innovative e strumentazioni sofisticate hanno permesso,
negli ultimi anni, la progettazione di nuove strategie terapeutiche, basate sulla
modulazione dell’espressione di geni bersaglio e sviluppate in seguito allo studio e alla
comprensione dei complessi meccanismi molecolari che regolano l’espressione genica.
Si è quindi approfondito fortemente l’interesse della ricerca verso la progettazione e la
sperimentazione di molecole in grado di avere un ruolo sulla modulazione
dell’espressione di geni coinvolti nel differenziamento eritroide.
La cura di patologie a carico del sistema emopoietico, come ad esempio la
β-talassemia o l’anemia falciforme, potrebbe derivare proprio dalla ricerca e dallo
sviluppo di molecole biologicamente attive capaci di provocare la riattivazione dei geni
per le γ-globine; durante l’ultimo decennio, molti composti sono stati testati e indagati
154
per la loro potenziale attività come induttori della sintesi di HbF nel trattamento di
disordini ematologici.
In seguito alla dimostrazione che i pazienti affetti da disordini genetici al gene per
le globine β traggono giovamento dall’induzione farmacologia di HbF, quando essa
raggiunge percentuali comprese tra il 9% e il 20%, questo approccio terapeutico
rappresenta un metodo alternativo per la cura delle β-emoglobinopatie e talassemie
[164]. Quindi, uno degli obiettivi nella terapia sperimentale della β-talassemia è quello
di aumentare la sintesi delle catene γ-globiniche, per compensare il deficit di quelle β,
attraverso manipolazioni farmacologiche dello switch feto-adulto delle globine [91].
Tra i composti in grado di riattivare l’espressione dei geni endogeni per le γglobine, un discreto interesse è stato rivolto in questi ultimi anni alla Rapamicina, una
molecola molto complessa sia dal punto di vista chimico-strutturale, che per quanto
riguarda il potenziale meccanismo d’azione. Successivamente, anche analoghi della
Rapamicina sono stati presi in considerazione, poichè hanno dimostrato di possedere
minori effetti tossici [103].
L’Everolimus (40-O-(2-OH-etil)-rapamicina; Certican®,Novartis Pharmaceuticals),
ad esempio, è un analogo strutturale della Rapamicina, disegnato in seguito alla
rivelazione del primo composto come promettente agente terapeutico in vari campi [99].
L’Everolimus è stato sviluppato nel tentativo di migliorare le caratteristiche
farmacocinetiche della Rapamicina, in particolare la sua biodisponibilità orale e la
velocità di raggiungimento dello steady state. Essendo l’Everolimus un derivato
strutturale della Rapamicina, esso condivide con questa molte caratteristiche e aspetti
funzionali, tra cui il complesso meccanismo d’azione, che vede coinvolte molte proteine
[101, 104, 105]. Il target biologico dell’Everolimus (e della Rapamicina) è la proteina
mTOR, una chinasi che risente della regolazione a monte di molteplici fattori, tra cui
fattori di crescita, infatti la proteina mTOR è una componente centrale della sequenza di
eventi che controlla la crescita cellulare [107, 108, 109, 110, 111]. Il meccanismo
d’azione che riguarda all’attività eritro-differenziante dell’Everolimus è attualmente
supportato da molte ipotesi e alcune evidenze sperimentali, tuttavia si tratta di un
processo non ancora pienamente conosciuto.
L’Everolimus è attualmente impiegato in terapia come agente antirigetto, per la sua
attività immunosoppressiva dovuta al blocco della crescita cellulare e della
proliferazione delle cellule T; come la Rapamicina, proprio grazie alla sua capacità di
155
arrestare il ciclo cellulare nella fase G1, esso è in uso anche nel trattamento profilattico
del rigetto d’organo in pazienti che hanno subito trapianto di reni o di cuore [136].
Inoltre, la bassa nefrotossicità dell’Everolimus, notata negli studi sui trapianti di reni,
potrebbe trovare una sua applicazione anche nella terapia antirigetto del trapianto di
fegato [99]. Inoltre, esperimenti condotti in vitro hanno dimostrato che gli inibitori di
mTOR riducono la proliferazione di cellule della muscolatura liscia, di fibroblasti e di
linee cellulari tumorali [99]. Un’applicazione nuova e interessante di questo
meccanismo di inibizione proliferativa delle cellule T, sembra rappresentato dalla
possibilità di utilizzare l’Everolimus nel trattamento della psoriasi, una malattia
autoimmune mediata, appunto, dai linfociti T [106]. Un ulteriore indagine ha riguardato
uno studio di fase I/II nel quale l’efficacia dell’Everolimus è stata testata in pazienti con
tumori ematologici maligni refrattari o recidivanti. Il disegno sperimentale prevedeva
due livelli differenti di dosaggio, 5 e 10 mg/die somministarti per os in continuo, per
definire la massima dose tollerabile da utilizzare nella fase II. Su 27 pazienti che hanno
ricevuto l’Everolimus, non è stata osservata tossicità dose-limitante; gli effetti
collaterali principali sono stati: iperglicemia (22%), ipofosfatemia (7%), stanchezza
(7%), anoressia (4%), diarrea (4%). In conclusione, l’Everolimus può avere un ruolo nel
trattamento di pazienti con patologie mielodisplastiche, nei quali è ben tollerato ad una
dose giornaliera di 10 mg [153].
Gli effetti esercitati dall’Everolimus sul differenziamento eritroide sono stati
analizzati inizialmente su cellule eritroleucemiche umane K562, sulle quali
l’Everolimus ha manifestato un’attività eritro-differenziante; in seguito a questa
evidenza sperimentale, l’analisi è stata condotta anche su colture di precursori eritroidi
provenienti da soggetti sani, ed infine su precursori isolati da pazienti β-talassemici.
Tuttavia questo studio preliminare riguardava un gruppo di soli 4 soggetti talassemici di
origine israeliana [103].
Il nostro interesse, invece, è stato rivolto a testare l’efficacia dell’Everolimus su un
numero maggiore di pazienti italiani, che possa apportare dati significativi con una
valenza territoriale. I campioni di sangue periferico dai quali allestire le colture di
precursori eritroidi e sulle quali testare gli effetti dell’Everolimus, sono stati donati da
un gruppo totale di 14 pazienti volontari affetti da β-talassemia; 10 campioni
provengono dalla Clinica Pediatrica I, Centro Sindrome Down, Ospedale “Santa
Chiara” di Pisa e 4 dal servizio di Immunoematologia e Trasfusione dell’Ospedale di
156
Rovigo. Per le colture in vitro dei precursori eritroidi sono stati impiegati terreni liquidi
di coltura in due fasi successive; tali cellule rappresentano un sistema fisiologicamente
migliore rispetto alle K562 [140, 141]. Dopo il trattamento con Everolimus dei
precursori eritroidi coltivati in vitro, è stato estratto l’mRNA totale e retro-trascritto in
cDNA; in seguito la quantificazione dell’mRNA dei geni globinici è stata effettuata
mediante la tecnica dell’RT-PCR quantitativa. Inoltre, per alcuni pazienti in esame, è
stato possibile ottenere anche informazioni relative alla caratterizzazione genotipica,
effettuata mediante la tecnica del sequenziamento del DNA, che ha permesso la
determinazione della mutazione responsabile della patologia talassemica in ciascun
soggetto, e alla quantità di HbF
nel sangue, valutata mediante HPLC, che ha
evidenziato quali individui presentassero un fenotipo HPFH.
La valutazione dei dati raccolti e l’intreccio delle caratteristiche riguardanti ciascun
paziente, hanno permesso di effettuare un primo screening all’interno del gruppo di 14
soggetti, per selezionare tra questi gli individui che presentano le caratteristiche più
idonee ad un eventuale trattamento terapeutico con l’Everolimus, impiegato come
agente eritro-differenziante.
Nel protocollo sperimentale eseguito, l’Everolimus è stato addizionato alle colture
al 6° giorno di fase II, in concentrazioni scalari in modo da coprire un range da 100 nM
a 1500 nM. Ogni coltura, allestita con i precursori eritroidi derivati da ogni singolo
donatore, ha evidenziato una sensibilità soggettiva al trattamento: gli effetti sulla
proliferazione cellulare indotti dall’Everolimus si verificano a concentrazioni differenti
nei diversi campioni. Il monitoraggio della proliferazione cellulare ha permesso di
verificare la crescita e di osservare gli effetti di inibizione della proliferazione che le
differenti concentrazioni di Everolimus possono provocare. Dal confronto del campione
non trattato con quelli sottoposti ai trattamenti con Everolimus, è stato possibile ricavare
il valore di IC50, ovvero la concentrazione alla quale si ottiene un’inibizione della
proliferazione del 50%, in parte associata a fenomeni di tossicità cellulare.
L’analisi di Real Time Quantitative PCR ha riguardato l’eventuale espressione di
α-, β-, γ-globine in seguito al trattamento con concentrazioni scalari di Everolimus e di
altre due molecole, la Rapamicina e la Mitramicina, impiegate in quanto agenti
differenzianti noti [93, 100]. I dati ottenuti dallo studio condotto sui 14 campioni
disponibili, hanno evidenziato un aumento sia di β-, che di γ-mRNA in sette dei
campioni (1-2-3-6-9-13-14) trattati con Everolimus. Un accumulo di trascritti globinici
157
è stato osservato anche per il campione 7, tuttavia limitato solo all’mRNA per le catene
β; in tal caso, essendo questo un soggetto omozigote per la mutazione β0-39, il
trattamento con Everolimus non avrebbe alcuna utilità terapeutica. Per tre campioni (58-11) l’assenza di risultati è da imputare a problemi riguardanti le condizioni di coltura
in vitro, mentre i campioni 4-10-12 non sono stati indotti in modo specifico
dall’Everolimus, pur presentando una risposta positiva ad altri agenti differenzianti.
E’ importante notare che le concentrazioni efficaci di Everolimus usate nel
trattamento sono variabili da paziente a paziente: i campioni cellulari 2 e 9 rispondono a
100 nM Everolimus, mentre il soggetto 3 a 250 nM, 1 e 14 a 500 nM, il campione 13
alla concentrazione di Everolimus 1000 nM e il campione 6 a 1500 nM. Questi risultati
suggeriscono che la componente individuale giochi un ruolo essenziale nel determinare
una reazione positiva di ciascun paziente al trattamento farmacologico.
Inoltre, anche la contemporanea valutazione dei dati relativi alla percentuale di
HbF nel sangue e la determinazione della mutazione presente nel gene per le globine β
di ciascun paziente, aiuteranno la selezione degli individui appartenenti al gruppo in
esame, presentanti le caratteristiche genetiche e molecolari più idonee ad un eventuale
stimolazione con l’Everolimus, quale agente induttore di trascritti per globine embriofetali.
Si può concludere che, nei campioni che rispondono in modo positivo al
differenziamento indotto da Everolimus è evidente un accumulo di mRNA per le
γ-globine, una condizione importante per tutti quei soggetti affetti da β0-talassemia, che
possono in questo modo ottenere un effettivo beneficio terapeutico dall’innalzamento di
γ-globine e quindi probabilmente anche di HbF. L’induzione γ-globinica riveste uno
spiccato interesse anche se avviene a livelli molto bassi, quando essa si realizza nei
soggetti definiti HPFH, come nel caso dell’incremento osservato per i campioni 2-3-6.
Per i soggetti affetti da β+-talassemia (campione 2 in eterozigosi), invece, anche
l’induzione β-globinica da parte dell’Everolimus, diventa un fatto rilevante dal punto di
vista terapeutico.
L’allestimento di saggi di questo tipo permette di valutare la soggettività della
risposta all’induzione nelle cellule di pazienti talassemici con agenti eritrodifferenzianti. La selezione di campioni che si dimostrano sensibili al trattamento,
permette di discriminare, in una vasta popolazione di candidati, quelli più adatti ad
158
essere inseriti nel futuro trial clinico per l’Everolimus o selezionati per essere sottoposti
ad un eventuale futuro trattamento terapeutico.
Per l’allestimento di un eventuale trial clinico saranno da considerare anche gli
effetti
collaterali
dell’Everolimus,
rappresentati
da
ipercolesterolemia,
ipertrigliceridemia, leucopenia e trombocitopenia, quando impiegato nei trapianti renali
come agente immunosoppressore post-trapianto; in questo caso la concentrazione
efficace determinava una concentrazione ematica di 3-15 µg/l [101]. Mentre per i
trapianti cardiaci l’effetto desiderato è riportato ad una dose di 3 mg/die [136]. Infine,
quando l’Everolimus è stato impiegato in pazienti con patologie mielodisplastiche, una
dose di 10 mg/die era ben tollerata, producendo come effetti indesiderati per lo più
iperglicemia, ipofosfatemia, stanchezza, anoressia, diarrea [153].
Pertanto essendo già riportati per l’Everolimus alcuni impieghi terapeutici e
presentando questo composto notevoli vantaggi dal momento che la sua farmacocinetica
è già stata indagata, il suo utilizzo come agente eritro-differenziante presenta
innumerevoli aspetti positivi. Dal momento che il nostro scopo non è quello di inibire la
proliferazione cellulare, bensì quello di indurre il differenziamento eritroide
incrementando l’espressione dei geni per le β- e γ-globine, il dosaggio eventualmente
utilizzabile non dovrà superare la concentrazione equivalente al valore di IC50.
Sulla base di queste considerazioni, la tipologia di coltura cellulare dei precursori
eritroidi da sangue di pazienti talassemici, si rivela particolarmente utile ai fini di pretestare l’efficacia reale di un potenziale agente terapeutico, prima di sottoporre il
paziente stesso al trattamento farmacologico. Oltre ad essere un nuovo approccio per
creare terapie mirate e più adatte alle caratteristiche patologiche del singolo, lo scopo di
questa indagine, associata alla valutazione delle variabili riguardanti il paziente, è
proprio quello di effettuare una selezione dei soggetti più idonei al trattamento in
esame, di modo da evitare la somministrazione di terapie non efficaci o di causare
effetti non desiderati, anziché terapeutici. La realizzazione di strategie terapeutiche
future
basate
sull’induzione
farmacologica
dei
geni
globinici
endogeni,
rappresenterebbe un’interessante alternativa alla terapia convenzionale, oggigiorno
ancora basata prevelentemente sulle trasfusioni di sangue e potrebbe portare al
miglioramento delle condizioni di vita dei soggetti affetti da emoglobinopatie.
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