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2. Guida alla composizione
Il saggio breve nell’ambito artistico-letterario
A conclusione di un ciclo di lezioni dedicato a Leopardi, il tuo professore potrebbe chiederti di svolgere un saggio breve sul
seguente argomento: L’evoluzione del rapporto tra poesia e filosofia nei Canti leopardiani.
Leggere il titolo
Il titolo propone esplicitamente due categorie sulle quali riflettere: quella di ‘poesia’ e quella di ‘filosofia’. Le domande
da porsi e i problemi da affrontare saranno dunque:
– che cosa intende Leopardi per poesia?
– che cosa intende Leopardi per filosofia?
– in che rapporto sono nel corso della sua produzione?
– come e perché questo rapporto cambia?
Leggere e schedare i documenti proposti
Il titolo chiede di soffermarsi sui Canti; ma poiché l’attività propriamente filosofica di Leopardi è espressa dallo Zibaldone
e dalle Operette morali, vi saranno sicuramente riferimenti anche a questi testi. Ecco una lista di materiali e testi che potrebbero essere selezionati dal tuo professore e che sono tratti dal capitolo su Leopardi (Parte Decima, cap. VIII) e dal
Primo Piano sui Canti (Parte Decima, cap. IX).
PARTE DECIMA
CAP. VIII
§ 1 Leopardi moderno
S1 • Fasi e nuclei dell’opera leopardiana: una periodizzazione schematica
§ 4 Il «sistema» filosofico: le varie fasi del pessimismo leopardiano
§ 5 La poetica. Dalla poesia sentimentale alla poesia-pensiero
§ 6 Lo Zibaldone di pensieri. Un diario del pensiero
§ 7 Le Operette morali. Elaborazione e contenuto
CAP. IX
A2 La prima fase della poesia leopardiana (1818-1822)
A5 Gli «idilli»
T2 • L’infinito
CD238
A6 Un periodo di passaggio (1823-1827)
A7 La seconda fase della poesia leopardiana (1828-1830): i canti pisano-recanatesi
T3 • A Silvia
T4 • Canto notturno di un pastore errante dell’Asia
T5 • La quiete dopo la tempesta
A8 La terza fase della poesia leopardiana (1831-1837)
A9 Il “ciclo di Aspasia” e le canzoni sepolcrali
T7 • A se stesso
A11 Il messaggio conclusivo della Ginestra
T8 • La ginestra, o il fiore del deserto
B1 I Canti e la lirica moderna
B2 Il paesaggio dei Canti: dall’ambiguità della bellezza alla desolazione
Trarre dal materiale i dati e i concetti utili
In questo caso i testi dovrebbero essere già noti, perciò si può subito procedere a ordinare le idee in base alle domande
scaturite dall’analisi del titolo (vedi punto 1: Leggere il titolo). Riuniamo qui anzitutto alcuni concetti-guida generali;
poi elenchiamo i testi che intendiamo analizzare, enucleando subito quale rapporto fra poesia e filosofia c’è in essi (questo, infatti, ci è chiesto):
Luperini, Cataldi, Marchiani, Marchese Manuale di letteratura
[G. B. PALUMBO EDITORE]
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• La riflessione filosofica di Leopardi è costante; la troviamo nello Zibaldone e nelle Operette morali (cap. VIII,
§§ 4, 6, 7)
• Anche la poesia è oggetto di riflessione filosofica (cap. VIII, § 5)
• Leopardi attribuisce a poesia e filosofia oggetti e modi di conoscenza diversi: da una parte stanno la fantasia, l’immaginazione, il sentimento, le illusioni, tipici della giovinezza e degli antichi, dall’altra la ragione e il vero, tipici dell’età adulta e dell’età moderna (cap. VIII, §§ 4 e 5)
• Bisogna distinguere in Leopardi diverse fasi sia nell’elaborazione del pensiero, sia nella sua poesia (cap. IX,
A 2, A 6, A 7, A 8)
• L’infinito non è una poesia filosofica, ma una poesia della fantasia e del sentimento (cap. IX, T2)
• La sera del dì di festa presenta già qualche spunto di riflessione filosofica (CD238)
• A Silvia si interroga sul problema filosofico della natura, ma nel rimpianto e nel ricordo (cap. IX, T3)
• Il Canto notturno è una poesia di diretta meditazione (cap. IX, T4)
• Nella Quiete dopo la tempesta il momento filosofico è separato da quello ‘idillico’ e ne rappresenta il rovesciamento (cap. IX, T5)
• A se stesso è una poesia puramente filosofica (cap. IX, T7)
• La ginestra argomenta verità filosofiche universali e risponde a una nuova idea di poesia (cap. IX, T8).
Organizzare i dati e i concetti utili in una scaletta
Poiché il titolo ci chiede di seguire un’evoluzione nel tempo, nel nostro discorso seguiremo l’ordine cronologico dei testi di Leopardi. Li organizzeremo secondo fasi che segnano diversi momenti del rapporto fra poesia e filosofia.
Introduzione
• In Leopardi poesia e filosofia sono intrecciate.
• Definizione iniziale di entrambe.
Argomentazione
A. PRIMA FASE
• Nell’Infinito la poesia presuppone un pensiero filosofico: ma mentre la filosofia ha per strumento la ragione e per og-
getto il vero, la poesia è fantasia e illusione
• Nella Sera del dì di festa è esposta anche una verità filosofica, ma come esperienza soggettiva e sentimentale anzi-
ché come verità universale
B. SECONDA FASE
• Le Operette morali segnano la separazione fra filosofia e poesia: se si occupa di una, Leopardi non può dedicarsi al-
l’altra
C. TERZA FASE
• Nei canti pisano-recanatesi filosofia e poesia si incontrano, come inevitabile dopo l’esperienza delle Operette
• In A Silvia e nella Quiete dopo la tempesta la filosofia giunge a distruggere l’incanto poetico
D. QUARTA FASE
• Nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia la poesia si intreccia ancora più strettamente alla filosofia: è una
lirica tutta meditativa
E. QUINTA FASE
• Nel ciclo di Aspasia la poesia diviene indagine filosofica
• In A se stesso la poesia si trasforma in una diretta e amara esposizione di verità filosofiche distruttive
F. SESTA FASE
• Con La ginestra poesia e filosofia si uniscono, ma questa volta in senso costruttivo e utopico.
Conclusioni
Il percorso di Leopardi rivela un capovolgimento: poesia e filosofia, prima separate, finiscono per unirsi.
Individuare il destinatario
Una rivista di dibattito politico-culturale rivolta a un pubblico giovanile.
Luperini, Cataldi, Marchiani, Marchese Manuale di letteratura
[G. B. PALUMBO EDITORE]
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Stendere il testo e trovare un titolo
Ecco dunque lo svolgimento (sono sottolineati gli snodi principali del discorso):
«Questo è quel mondo?». Poesia e ricerca della verità nei Canti leopardiani.
Nell’attività letteraria di Leopardi poesia e filosofia si sono sempre intrecciate strettamente. A entrambe, del resto, egli
attribuisce un compito simile: riflettere sui grandi temi della vita umana. Tuttavia, poesia e filosofia sono due forme di
conoscenza diverse. Inizialmente, egli riferisce alla prima il campo dell’immaginazione, del sentimento, della fantasia;
alla seconda, il campo della ragione, dell’indagine intellettuale, dell’accertamento della realtà.
Se partiamo da uno dei primi e più innovativi testi leopardiani, come L’infinito, osserviamo come questa duplicità di
campi si risolve in una specie di implicito antagonismo. La filosofia è conoscenza della verità, a partire dalla realtà materiale, secondo un’impostazione debitrice del sensismo illuministico. Ora, L’infinito presuppone sicuramente una concezione del genere, ma il testo poetico compie uno sforzo contrario: cerca infatti di andare al di là di quello che la ragione e i sensi ci rivelano. L’occasione dell’idillio è circoscritta e limitata: si parte da «quest’ermo colle» e da «questa
siepe», cioè dal colle e dalla siepe concretamente presenti di fronte al poeta. Tuttavia, questi oggetti sono già subito caricati di un valore affettivo, che va al di là della loro semplice realtà oggettiva: essi, infatti, sono «sempre cari» ed esistono non di per sé, ma per il poeta («Sempre caro mi fu quest’ermo colle…»). Soprattutto, la poesia nasce da un’immaginazione che scavalca i limiti spaziali e temporali. Per questo ha un valore forte l’avversativa che apre il v. 3: «ma
sedendo e mirando…». Tutto quello che accade nel seguito non appartiene più all’ambito della realtà immediatamente
materiale, che è il dominio della ragione e dei sensi. Appartiene piuttosto alla fantasia e, come dice Leopardi stesso, al
«cor» (v. 8): si parte sì dalla realtà, ma per oltrepassarla. Così, il suono del vento che stormisce fra le piante (cioè una
sensazione diretta) richiama fantasie puramente mentali e frutto del «pensier» (v. 7): «l’eterno,/ e le morte stagioni, e
la presente/ e viva, e il suon di lei».
Nell’idillio, dunque, la filosofia è il presupposto implicito, ma il terreno specifico della poesia è un altro. In un certo senso, potremmo dire che la poesia ci restituisce quelle illusioni che la ragione adulta e l’età moderna ci hanno tolto, e che
sono prerogativa dell’infanzia e degli antichi. Queste riflessioni, del resto, sono al centro dello Zibaldone.
Nella Sera del dì di festa (successiva di un anno all’Infinito), lo schema dell’idillio è ripreso e complicato. Anche qui la
libera associazione fantastica ha uno spazio importantissimo, e sugli stessi temi dell’Infinito: il «suono» dei «popoli antichi», la «pace» e il «silenzio» che superano persino la gloria di Roma. Anche qui a suscitare poesia sono sensazioni che
non rivelano la realtà nella sua immediata concretezza, ma che alludono a qualcosa di più vasto e indefinito: per questo l’ambientazione è notturna, e per questo la lirica si conclude con un canto lontano, che richiama ricordi del passato. Eppure questa volta c’è l’esposizione di una verità filosofica, anzi della principale verità filosofica del sistema leopardiano: la «natura onnipossente» ha creato il poeta «all’affanno», negandogli ogni gioia. È interessante però che questa verità assuma un valore immediatamente individuale e un colorito fortemente emotivo. Nella poesia, dunque, la verità prende le forme proprie della lirica: non è argomentazione razionale, di carattere universale, ma esperienza esistenziale di un individuo (il soggetto lirico), dettata dal suo dolore. In poesia, insomma, la verità continua a non essere
frutto della ragione, ma esperienza sentimentale che mette in moto delle fantasie.
Poesia e filosofia restano tendenzialmente separate. Le Operette morali, stese a partire dal 1824, sanciscono ancor più
chiaramente questa separazione. Nel momento in cui Leopardi si dà all’indagine filosofica, non riesce a scrivere poesia. La satira contro le illusioni dell’umanità e la dichiarazione di una verità terribile come quella dell’insensatezza dell’esistenza universale non lasciano spazio a illusioni o a fantasie.
Perciò il ritorno alla poesia, segnato da A Silvia, nel 1829, dovrà avvenire su basi diverse. Il testo può essere diviso in
due parti. Le prime tre strofe sono quelle dell’incanto poetico. La fantasia si esprime qui come ricordo: se il presente in
sé è realtà terribile, lo spazio della poesia è in quello che lo supera, o nello spazio o nel tempo. Siamo perciò vicini alla poetica degli idilli: il paesaggio e il passato suscitano piacevolezza e persino la realtà domestica e quotidiana si illumina di un valore sentimentale nuovo. Ma la quarta strofa segna una svolta importante. Le immagini poetiche suscitate dalla fantasia vengono dichiarate illusorie. La bellezza di Silvia e del borgo, con «il ciel sereno,/ le vie dorate e gli orti», i «pensieri soavi» e le «speranze» della giovinezza sono solo inganni di una natura crudele. La verità filosofica è espressa non con un’affermazione o un ragionamento, ma da una domanda. Può essere una domanda accorata «o natura, o
natura,/ perché non rendi poi/ quel che prometti allor? perché di tanto/ inganni i figli tuoi?»); ma può anche essere
una domanda più amara, che suona quasi come una denuncia: «Questo è quel mondo? questi/ i diletti, l’amor, l’opre,
gli eventi/ onde cotanto ragionammo insieme?». In entrambi i casi, la ragione si unisce ancora al sentimento e l’acquisizione del pensiero intellettuale si colora emotivamente, come già avevamo visto nella Sera del dì di festa.
Nei canti pisano-recanatesi poesia e filosofia sono compresenti: ma perché la seconda distrugga la prima. Accade anche nella Quiete dopo la tempesta, che ripropone la struttura di A Silvia. La prima lunga strofa è il momento idillico del-
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la contemplazione della bellezza, e di una bellezza tanto più struggente perché trovata, ancora una volta, nella vita di
ogni giorno. La seconda strofa, dopo aver riflettuto sulla scena proposta, afferma la verità filosofica. E ora, a differenza
di A Silvia, si tratta proprio di un’affermazione, non più di una domanda. I termini sono infatti quelli della filosofia dello
Zibaldone: «Piacer figlio d’affanno;/ gioia vana, ch’è frutto/ del passato timore…». La verità filosofica distrugge l’incanto creato dalla poesia: la scena descritta prima, con i suoi personaggi e il ritornare del sereno, è qualcosa di «vano».
L’ultima strofe ha un tono amaro, ironico, quasi risentito. La natura, che dà come unico «dono» l’«uscir di pena» e come
sola beatitudine la morte, è definita con sarcasmo «cortese».
Un passo ulteriore nella compenetrazione di poesia e filosofia è rappresentato dal Canto notturno di un pastore errante dell’Asia. Anche se lo spunto è uno spunto tipico della poetica degli idilli (cioè la contemplazione della luna), idilli e
canti pisano-recanatesi appaiono superati. La lirica ha infatti tutta un andamento meditativo, a partire dalla domanda
iniziale: «Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai/ silenziosa luna?». Il paesaggio è subito interrogato alla luce della domanda filosofica per eccellenza: qual è il senso dell’esistenza? Tutta la lirica fonde pienamente fantasia e ricerca della
verità, indagine della ragione e percorso del sentimento. Perché la filosofia diventi poesia, è però necessario che subisca un’attenuazione. Quello che essa rivela è troppo terribile per essere detto nella sua nuda e semplice essenza. Perciò il pastore interroga senza avere risposte (come accadeva in A Silvia al poeta); perciò riconduce la verità universale
a un’esperienza soggettiva, non comune a tutti («Questo io conosco e sento,/ che degli eterni giri,/ che dell’esser mio
frale,/ qualche bene o contento/ avrà fors’altri; a me la vita è male»): e perciò, costantemente, attenua con un «forse»
una verità altrimenti insopportabile. La poesia sta in quel «forse»: nell’illusione che esista una vita felice, diversa da quella che ci rivela la filosofia.
Ma quel «forse» è destinato a cadere. Nel “ciclo di Aspasia” la poesia si fa sempre più esposizione filosofica e ragionamento, anche se sull’ultima illusione, quella dell’amore. Quando questa illusione viene meno, ecco che alla poesia non
resta che esprimere, senza più veli, l’orrore. È quello che accade in A se stesso, una poesia sconcertante per la carica
negativa che la anima e per l’assoluta mancanza di speranza, di alternative. La stessa bellezza scompare. Non c’è paesaggio: il mondo si riduce a «fango». Non ci sono più domande: solo affermazioni durissime, martellate, che non lasciano
respiro. A se stesso è poesia interamente filosofica, quindi poesia che rinuncia del tutto a quello che un tempo era la
poesia per Leopardi: incanto, contemplazione, ricordo, illusione, fantasia.
A se stesso è un momento estremo e distruttivo. In quegli stessi anni, Leopardi si dà al genere satirico: la critica del
mondo contemporaneo implica, almeno in negativo, una difesa dei veri valori. Con La ginestra arriviamo all’esposizione
di questi valori. La poesia si fa insomma strumento della verità filosofica non più in senso distruttivo (anche se la polemica e l’ironia hanno un ruolo fondamentale): propone e costruisce un modello di civiltà ideale. Perciò il testo può assumere un tono ragionativo in senso proprio (come accade nella strofa in cui si spiega quale sia la «nobil natura» e come è nata la società umana). Anche il paesaggio cambia. Non siamo più di fronte alle scene degli idilli o dei canti pisano-recanatesi, ma all’aridità desolata delle pendici del Vesuvio, allo spettacolo terribile delle sue eruzioni, alla vastità
degli spazi cosmici. Alla bellezza del ricordo, della quotidianità e della fantasia si è sostituito il sublime, con la sua carica di terribilità e di sgomento. La poesia si è ormai rinnovata, conquistando una dimensione civile. Si è fusa con la filosofia e può esprimere apertamente la verità. Non è più illusione, né suscita illusioni: all’illusione subentrano l’utopia
e la volontà di costruire una società migliore.
Luperini, Cataldi, Marchiani, Marchese Manuale di letteratura
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