UGO FOSCOLO (1778-1827)
La vita. Niccolò Foscolo (Ugo fu un nome assunto più tardi dal poeta) nacque nel 1778 a
Zante, una delle isole Ionie, possedimento della Repubblica veneta. L'essere nato in terra greca e
da madre greca rivestì molta importanza per lui, che si sentì per tali origini profondamente legato
alla civiltà classica e suo ideale erede. L'isola natia rimase sempre nella sua memoria come simbolo
di serenità luminosa, bellezza, gioia vitale, fecondità, e fu cantata da lui più volte nella poesia.
Alla morte del padre la famiglia conobbe gravi difficoltà economiche. La madre nel 1789 si
stabilì a Venezia e lì Niccolò la raggiunse nel 1793, a quindici anni. Si gettò negli studi, creandosi
rapidamente una notevole cultura, sia classica che contemporanea. Della sua povertà il giovane
Foscolo era fierissimo, al punto da ostentarla con orgoglio. Politicamente era entusiasta dei
principi della Rivoluzione francese ed assunse posizioni fortemente libertarie ed egualitarie. Ebbe
pertanto noie col governo oligarchico e conservatore della Repubblica di Venezia e nel 1796, per
sfuggire ai sospetti di governo, lasciò la città rifugiandosi per qualche tempo nei colli Euganei. Nel
frattempo le armate napoleoniche avanzavano nell'Italia del Nord. Foscolo fuggì a Bologna,
arruolandosi nelle truppe della Repubblica Cispadana e pubblicando un'ode in cui esaltava il
generale francese Bonaparte come portatore di libertà. Formatosi a Venezia un governo
democratico, vi fece ritorno, impegnandosi attivamente nella vita politica; ma dopo che Napoleone
cedette la Repubblica veneta all'Austria con il trattato di Campoformio (1797), lasciò di nuovo
Venezie e si rifugiò a Milano. Il "tradimento" di Napoleone fu un trauma che segnò profondamente
l'esperienza di Foscolo, cancellando tutte le sue speranze politiche. Tuttavia, egli continuò sempre
a operare all'interno del sistema napoleonico, considerandolo come punto di passaggio obbligato
nella creazione di un'Italia moderna.
A Milano, Foscolo conobbe Parini (che costituiva per lui un modello di figura di
intellettuale), col quale fondò un giornale, il <<Monitore italiano>>, dove ebbe modo di profondere
il suo impegno patriottico. In questo anni Foscolo cercò anche una collocazione sociale che gli
consentisse di svolgere il suo lavoro di intellettuale. Nel '98 a Bologna fu cancelliere del Tribunale
militare; con l'avanzata degli Austriaci l'anno successivo tornò ad arruolarsi e partecipò a vari
scontri. Dopo la vittoria di Maregno, con cui Napoleone riconquistò l'Italia, fu arruolato come
capitano aggiunto nell'esercito della Repubblica italiana. Questi furono anche anni di intense
passioni amorose, per Isabella Roncioni a Firenze, per Antonietta Fagnani a Milano.
Nel 1804, per ovviare alla continue difficoltà economiche, seguì la spedizione preparata da
Napoleone contro l'Inghilterra, soggiornando due anni in Francia. Ritornato in patria, si recò a
Venezia per rivedere la madre, e qui ebbe un incontro con Ippolito Pindemonte, che offrì lo spunto
per i Sepolcri. Nel 1808 ottenne la cattedra di eloquenza all'Università di Pavia. Sembrava la
sistemazione tanto sperata, ma la cattedra fu presto soppressa dal governo. Intanto le posizioni
poco ossequenti verso il regime napoleonico gli attirarono delle inimicizie nell'ambiente letterario
milanese, provocando acri polemiche. Nel 1811 fece rappresentare la tragedia Aiace, le cui repliche
furono soppresse e il poeta fu privato degli incarichi di cui godeva.
Si recò allora a Firenze, dove soggiornò per due anni. Fu un periodo sereno, allietato dall'ambiente
amichevole della città, da amori felici e da fervore creativo. Nella villa di Bellosguardo, sui colli
fiorentini, si dedicò intensamente alla composizione delle Grazie.
Dopo la sconfitta di Napoleone a Lipsia tornò a Milano, riprendendo il suo posto
nell'esercito. Rientrati a Milano gli Austriaci, dopo la sconfitta definitiva di Waterloo, gli fu offerta
la direzione di una rivista culturale (“La biblioteca italiana”) con cui il nuovo regime cercava di
conquistare il consenso degli intellettuali. Ma Foscolo, dopo alcune esitazioni, rifiutò per coerenza
col suo passato e le sue idee.
Fuggì da Milano, andò in esilio prima in Svizzera e poi a Londra, dove venne ben accolto come
modello politico e poetico. Le sue condizioni economiche si fecero sempre più gravi, anche a causa
della sua vita follemente dispendiosa. Per alleviare tali difficoltà, cercò collaborazioni con riviste
inglesi. Negli ultimi tempi, ammalato e in miseria, fu costretto a nascondersi dai creditori andando
a vivere nei sobborghi più poveri di Londra. Morì nel villaggio di Turnham Green nel 1827, a 49
anni. Nel 1871 i suoi resti furono portati in Italia e sepolti in Santa Croce, vicino alle tombe dei
grandi uomini da lui cantati nei Sepolcri.
Le Ultime lettere di Jacopo Ortis. La prima opera importante di Foscolo fu un romanzo,
Ultime lettere di Jacopo Ortis. Una prima redazione dell'Ortis fu parzialmente stampata dal giovane
Foscolo a Bologna, nel 1798, ma restò interrotta a causa delle vicende belliche. Lo stampatore, per
poter vendere il libro, lo fece concludere da un certo Angelo Sassoli, che tenne però presenti i
materiali di Foscolo. Il romanzo fu ripreso da Foscolo e pubblicato, con profondi mutamenti, nel
1802. Su di esso lo scrittore ritornò ancora durante l'esilio, ristampandolo nel 1816 a Zurigo e nel
1817 a Londra, con ritocchi e aggiunte.
Si tratta di un romanzo epistolare, una forma di narrativa che aveva goduto di larga
fortuna nel Settecento europeo: il racconto si costruisce attraverso una serie di lettere che il
protagonista scrive all'amico Lorenzo Alderani. Il modello a cui Foscolo guarda è I dolori del
giovane Werther di Goethe (1774): da esso trae il nodo fondamentale dell'intreccio , un giovane
suicida per amore di una donna già destinata in sposa ad un altro (nel caso di Goethe, è Charlotte
detta Lotte la donna amata). Ma vicino a Goethe è anche il nucleo tematico profondo: la figura di
un giovane intellettuale in conflitto con un contesto sociale in cui non può inserirsi.
Differenze fra Jacopo e Werther:
1) conflitto sociale in Werther, conflitto politico in Jacopo
Il conflitto sociale, che nel Werther si misura essenzialmente sul piano privato dei rapporti
personali, nell'Ortis si trasferisce su un piano politico: infatti Jacopo è un giovane patriota che,
dopo la cessione di Venezia all'Austria, si rifugia sui colli Euganei per sfuggire alle persecuzioni (e
qui si innamora di Teresa, la giovane promessa a Odardo, che è l'esatta antitesi di Jacopo, gretto,
freddo e razionale, tanto quanto l'eroe è impetuoso e appassionato); la sua disperazione politica lo
conduce a un pellegrinaggio per l'Italia, finché la notizia del matrimonio di Teresa lo riporta nel
Veneto: rivede ancora una volta la fanciulla amata, si reca a visitare la madre, poi si uccide.
Il dramma di Werther è quello di non potersi identificare con la sua classe di provenienza:
la sua passionalità è respinta dal mondo borghese, che si fonda sulla razionalità, sul calcolo, sul
culto dell'ordine; dall'altro lato è respinto anche dall'aristocrazia, chiusa e ottusa. Diverso è il
dramma di Jacopo: non tanto l'urto contro un assetto sociale che lo respinge, quanto il senso
angoscioso di una mancanza, del non avere una patria, un tessuto sociale e politico in cui inserirsi.
Il fatto essenziale è che il Werther fu scritto prima della Rivoluzione, l'Ortis dopo; dietro il giovane
Werther c'è la Germania dell'assolutismo principesco, caratterizzato dal dominio dell'aristocrazia e
da una borghesia pavida; dietro il giovane Ortis c'è invece l'Italia napoleonica, con i suoi tumulti e
il delinearsi di una nuova tirannide straniera.
2) assenza in Werther di volontà di cambiamento politico
in Werther c'è la disperazione che nasce dal bisogno di un mondo diverso, senza però intravedere
alcuna possibilità di trasformazione politica; in Jacopo c'è invece la disperazione che nasce dalla
delusione rivoluzionaria, dal vedere tradite le speranze democratiche e patriottiche, dal vedere
finire la libertà in tirannide. Non essendovi alternative possibili sul piano della storia, l'unica via
che si offre a Ortis è la morte, intesa in termini materialistici e nichilistici, come distruzione totale e
<<nulla eterno>>.
3) Albert e Odoardo
Albert è amico di Werther, è persona colta e sensibile. Odoardo, più schematicamente, è un
possidente ottuso e ignorante
4) l’amore
Teresa è innamorata di Jacopo. Lotte è innamorata di Albert, e prova una sorta di compassione
per Werther. Cerca di essergli amica, lo esorta a trovare una donna giusta per lui, prova dolore
pensando che a causa sua un’amicizia si sta rovinando…e si ribella cacciandolo di casa quando
Werther tenta di baciarla. Anche l’amore di Werther è piuttosto ossessione che amore, è più
accanimento per qualcosa che non può ottenere.
5) la morte
In emìntrambi suicidio. Ma Jacopo si pugnala, e la sua scelta è ampiamente meditata (ultima
passeggiata, addio all’amico e all’amata), è una sua scelta precisa e realizzata con propri mezzi.
Werther chiede in prestito delle pistole a Albert tramite il suo servitore (la scusa è andarci a caccia),
ed è Lotte stessa che simbolicamente consegna queste pistole al servitore stesso. Immaginava
quello che sarebbe successo? Non lo immaginava? Voleva che fosse così?
6) i riferimenti letterari
Il Werther è spoglio di riferimenti letterari, se si eccettuano accenni ad Omero e ad Ossian. L’Ortis
è densissimo di letteratura (Dante, la Bibbia, Plutarco, Petrarca, Sterne, moltissimo Alfieri
e moltissimo Plutarco nei momenti di solitudine), anzi, la letteratura è assolutamente sfogo
e consolazione per Jacopo (artista e letterato). Werther non è un artista, non è un letterato.
7) romanzo e non romanzo
Werther è parte di un sistema romanzesco, nel quale i personaggi agiscono secondo la spinta dei
sentimenti come delle frustrazioni. La psicologia è tutto.
Con l'Ortis Foscolo ha l'intuizione geniale di trasferire in Italia un modello di romanzo moderno,
largamente diffuso in Europa. Tuttavia l'Ortis non inaugura propriamente il genere del romanzo in
Italia: non vi è in esso un autentico interesse narrativo nel costruire un intreccio o nel dipingere
personaggi e psicologie; prevale decisamente in Foscolo la spinta lirica, o saggistica, o oratoria. Più
che un racconto l'opera appare come un monologo in cui l'eroe si confessa con pathos e al tempo
stesso si abbandona a una serie di lunghe meditazioni filosofiche. Ciò si riflette nello stile:
8) lo stile
Werther ha uno stile piano, romanzesco. L’Ortis è scritto in una prosa aulica, pervasa da una
continua tensione al sublime e la sintassi è modellata sullo stile classico, con enfasi retorica.
Insomma, tirando le somme Jacopo è un eroe romantico, che sfida titanicamente il mondo dalla
sua posizione di artista e di genio. Il suo è un percorso assolutamente individuale. Werther è uno
sconfitto, dalla storia, dalla società che non lo accetta, ma non può prescinderne, ne è permeato. È
un anticipatore degli inetti di Svevo, se vogliamo un anticipatore del romanzo novecentesco.
Parallelo all'Ortis è però un altro progetto narrativo di carattere molto diverso: il Sesto tomo
dell'io (rimasto allo stato di semplice abbozzo frammentario). Avrebbe dovuto essere anch'esso
un'opera autobiografica, in prima persona, ma a differenza dell'Ortis, l'atteggiamento di Foscolo è
umoristico, fatto di distacco ironico e di saggezza contemplativa.
Le Odi e i Sonetti. Le due odi, A Luigia Pallavicini caduta da cavallo e All'amica
risanata, risalgono alla scrittura dell'Ortis, ma rappresentano tendenze opposte: se l'Ortis, con la
sua passionalità ed il soggettivismo esasperati, con la figura dell'eroe sventurato ed esule, col
ricorre ossessivo del tema della morte e le tonalità cupe, rimanda a tematiche di tipo romantico, le
Odi rappresentano le tendenze più neoclassiche della poesia foscoliana. Al centro di entrambe vi
è il vagheggiamento della bellezza femminile, immagini di divinità greche; vi sono
rappresentazioni visive e plastiche, dalle linee armoniose, in cui il poeta sembra voler riprodurre i
canoni della contemporanea pittura e scultura neoclassica; ricorrono molti rimandi mitologici,
evocati con raffinata erudizione; il lessico è aulico e sublime e la struttura sintattica riproduce le
architetture del periodare classico. Ma mentre l'ode A Luigia Pallavicini conserva maggiormente un
carattere di omaggio galante alla bella donna, All'amica risanata ha più alte ambizioni e vuol essere
un discorso filosofico sulla bellezza ideale, sul suo effetto di purificare le passioni e di rasserenare
l'animo inquieto degli uomini, ed anche la funzione eternatrice della poesia che canta la bellezza.
I sonetti sono più vicini alla materia autobiografica e alla passionalità dell'Ortis. La
maggior parte di essi è infatti caratterizzata da un forte impulso soggettivo, che rivela la matrice
lirica alfieriana; fitte però sono le reminiscenze di altri poeti, Petrarca e poeti latini. Soprattutto in
Alla sera, A Zacinto e In morte del fratello Giovanni, la forma classica del sonetto è reinventata in modi
fortemente originali; ma vi sono anche ripresi i temi centrali dell'Ortis: la proiezione del poeta in
una figura eroica e sventurata, il conflitto col <<reo tempo>> presente, il <<nulla eterno>> come
unica alternativa, l'esilio, l'impossibilità di trovare un rifugio consolante nella famiglia, l'illusione
della sepoltura <<lacrimata>>, il rapporto con la terra <<materna>> e con il mito antico.
I Sepolcri.
Si tratta di un poemetto in endecasillabi sciolti, sotto forma di epistola poetica indirizzata
all'amico Ippolito Pindemonte. L'occasione fu appunto una discussione avvenuta con questi a
Venezia nell'aprile del 1806, originata all'editto napoleonico di Saint-Cloud (1804), con cui si
imponevano le sepolture fuori dei confini delle città e si regolamentavano le iscrizioni sulle lapidi.
L'editto aveva già suscitato in Francia un'ampia discussione sul significato delle tombe ed il loro
valore di civiltà. Pindemonte, da un punto di vita cristiano, sosteneva il valore della sepoltura
individuale, mentre Foscolo, da un punto di vista materialistico, aveva negato l'importanza delle
tombe. Nel carme Foscolo riprese appunto quella discussione, ribadendo inizialmente le tesi
materialistiche sulla morte, ma superandole poi con altre considerazioni che rivalutavano il
significato delle tombe.
Nei Sepolcri si può scorgere un superamento del nichilismo conclusivo dell'Ortis: anche il
carme ha al centro il motivo della morte ma è superata l'idea che essa sia semplicemente un
<<nulla eterno>>. Anche se Foscolo, sul piano filosofico, non vede alternative a quell'idea, le
contrappone l'illusione di una sopravvivenza dopo la morte; essa è garantita dalla tomba, che
conserva il ricordo del defunto presso i vivi. Le tomba assume quindi per Foscolo un valore
fondamentale nella civiltà umana: è il centro degli affetti familiari e la garanzia della loro durata
dopo la morte, è il centro dei valori civili, conservando le tradizioni del popoli, tramanda la
memoria dei grandi uomini e delle azioni eroiche spingendo alla loro imitazione. L'Ortis si
chiudeva col suicidio del protagonista, che escludeva ogni possibilità d'intervento in una
situazione bloccata. Ora, invece, attraverso l'illusione Foscolo arriva a riproporre la possibilità
dell'azione politica nella storia ed introduce la prospettiva di un riscatto dell'Italia.
Data la presenza di queste tematiche, i Sepolcri pur avendo alle spalle un genere della
poesia cimiteriale, non possono essere ridotti a tale ambito: come Foscolo stesso si preoccupa di
precisare, il suo carme è essenzialmente poesia civile e vuole <<animare l'emulazione politica degli
Italiani>>.
Il carme si presenta dunque come una densa meditazione filosofica e politica: essa però non è
esposta in forma argomentativa, bensì attraverso una serie di figurazioni e di miti: ad esempio
l'immagine del corpo accolto nel <<grembo materno>> della terra; la visione della tomba come
indizio di civiltà richiama alla memoria diversi tipi di civiltà, ad esempio il mito della fondazione
di Troia, della sua fine, del poeta Omero che si ispira alle tombe dei padri della città per cantare gli
eroi greci vincitori e l'eroe sconfitto, Ettore.
Il discorso del carme ha una struttura rigorosa ed armonica, ha un grande afflato lirico.
Estremamente mossa è la prospettiva spazio-temporale: si passa dallo spazio ristretto della tomba
alla prospettiva immensa della terra e del mare in cui la morte semina le ossa degli uomini; si
passa dal mondo terrestre all'aldilà, dall'età contemporanea al Medioevo, al mondo classico, alle
età primitive.
Il linguaggio è estremamente elevato e aulico; il lessico rimanda alla poesia classicheggiante ed in
particolare al modello di Parini e Alfieri (i cui toni tragici e il pathos lo avvicinano molto a
Foscolo); la sintassi può variare dalla sentenza concisa e lapidaria al periodo ampio e complesso.
Le Grazie. Sin dal 1803 Foscolo aveva inserito in un dotto commento filologico alla
traduzione catulliana della Chioma di Berenice di Callimaco alcuni frammenti del poema, che
fingeva di aver tradotto da un inno alle Grazie di un antico poeta greco. Nel 1809 in una lettera a
un amico annunciava il progetto di un inno alle Grazie in cui dovevano essere idoleggiate <<tutte
le idee metafisiche sul bello>>.
Il progetto originario venne ad articolarsi in tre inni, dedicati rispettivamente a Venere, dea
della <<bella natura>>, Vesta, <<custode del fuoco eterno che anima i cuori gentili>>, Pallade,
<<dea delle arti consolatrici della vita e maestra degli ingegni>>. Le Grazie sono dee intermedie tra
cielo e terra, che hanno avuto il compito di suscitare negli uomini i sentimenti più puri ed elevati
attraverso il senso della bellezza, inducendoli a superare la feroce bestialità che è nella loro natura
originaria e portandoli alla civiltà.
Questa idea che la bellezza e le arti abbiano la funzione di purificare e ingentilire le passioni e di
promuovere l'incivilimento è un tema caro alla cultura neoclassica.
L'opera riprende la linea delle odi, sviluppandola alle estreme conseguenze. Anche dal
punto di vista stilistico le Grazie si collegano ai presupposti delle odi. Nel verso, come indica
Foscolo nel proemio, vi è la ricerca dell'<<arcana armoniosa melodia pittrice>> della bellezza: la
ricerca cioè di un'estrema armoniosità musicale. Al tempo stesso, con la musicalità del verso,
Foscolo vuole unire una grande forza di suggestione visiva (<<melodia pittrice>>): la poesia tende
ad evocare immagini vivide.
Foscolo è convinto della funzione civilizzatrice della poesia e delle arti, della loro
possibilità di agire sul mondo sociale e di renderlo veramente più umano.
Si può affrontare a questo punto il problema del rapporto che sussiste tra le tendenze
romantiche e le tendenze neoclassiche che a prima vista sembrano contrapporsi così nettamente
all'intero dell'opera foscoliana. In realtà le due tendenze non si contraddicono ma scaturiscono da
una stessa radice e si pongono in posizione complementare. Questa radice comune è il rapporto
traumatico con il <<reo tempo>>, la situazione storica convulsa e conflittuale dell'Italia
napoleonica: le tendenze romantiche sono l'espressione diretta della delusione storica, le tendenze
neoclassiche sono il tentativo di opporre ad essi un mondo alternativo e di equilibrio, armonia e
bellezza.