di fatto un postulato, o meglio è fondato su un postulato inespresso

Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi.
Carlo Marchini
di fatto un postulato, o meglio è fondato su un postulato inespresso di movimento. Qui sembra
solo una costruzione, ma il testo dell’Art. I.27. non chiarisce come sia possibile ripetere (in modo
accettabilmente esatto) un’inclinazione data in un’altra situazione. A questo pongono rimedio, in
due modi i due successivi Articoli.
Prima di illustrarli, si noti come la nozione di angolo si basi su quella di inclinazione, per altro
non specificata, se non in modo allusivo e ‘negativo’ nell’ Art. I.3, in cui si dice che la
perpendicolare non ‘pende’ da nessuna parte. Quindi ‘inclinazione’ o è implicita nel verbo
‘pendere’, oppure viene definita assieme all’angolo. Di fatto Clairaut sembra propendere per una
banale interpretazione tratta dal senso comune. Torniamo ai due articoli sul trasporto di angoli.
«Art. I.28. Maniera di fare un angolo uguale ad un altro. – Essendo dati due lati e l’angolo compreso, il
triangolo è determinato.
Per fare questa operazione si prende uno strumento come quello abc (fig. 27), composto di due righelli che
possano ruotare attorno a b, e si pongono questi righelli sui lati AB e BC. Pertanto essi formano tra loro lo
stesso angolo dei lati AB e BC. Piazzando quindi il righello b sulla base DE, in modo che il centro b
corrisponda al punto D, e che l’apertura dello strumento resti sempre la stessa, il righello ab darà la posizione
della linea DF, che formerà, con la linea DE l’angolo FDE, uguale all’angolo ABC. Ora la linea DF sarà stata
presa della stessa lunghezza di BA. Dunque non rimarrà che tracciare per F e per E la retta FE, per avere il
triangolo FED interamente uguale e simile al triangolo ABC. Pratica semplice, che suppone questo principio
evidente, che un triangolo è determinato dalle lunghezze di due dei suoi lati e dalla loro apertura; o, ciò che è
lo stesso, che un triangolo è uguale ad un altro, allorché due dei loro lati sono rispettivamente uguali, e che
l’angolo compreso tra loro è ugualmente aperto.»
«Articolo I.29. Seconda maniera di fare un angolo uguale ad un altro – la corda di un arco di cerchio è la
retta che viene delimitata dalle due estremità dell’arco.»
L’Art. I.28, mostra dove viene richiesto il movimento, che sembrava ‘scomparso’, nell’Art. I.27.
Invece di muovere tutto il triangolo, su muove ‘solo’ l’angolo. Di fatto dalla combinazione degli
Artt. I.27 e I.28, si ha una conferma che alla base del primo Criterio di congruenza dei triangoli
c’è proprio il movimento: prima quello dei lati che, come in altri passi precedenti, si realizza con
corde o compassi (non euclidei), ora quello degli angoli. Si è quindi di fronte a due possibilità:
quella euclidea del trasporto dell’intero triangolo o quella di Clairaut di richiedere il trasporto a
‘pezzi’. Ma senza il movimento non si riesce a trasportare triangoli o lati o angoli, anche se questo
trasporto viene ‘nascosto’ dalla scelta degli strumenti.
Il secondo Criterio di congruenza dei triangoli è presentato come
«Articolo I.30. Due angoli ed un lato determinano il triangolo.»
Come in Euclide, di conseguenza a questi Criteri si ha
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«Articolo I.31. Il triangolo isoscele è quello che ha due lati uguali. – Gli angoli che questi lati fanno con la
base sono uguali tra loro.
A
Se dei tre lati del triangolo ABC (fig. 31) non si può misurare che
la base BC e se si sapesse, d’altra parte, che questo triangolo fosse
isoscele, vale a dire, che i due lati AB e AC fossero uguali, è
D
B
Fig.31
C
E
evidente che basterebbe misurare uno dei due angoli; poiché allora
l’altro gli sarebbe uguale.
Se ne vede facilmente la ragione, se si rappresenta ciò che poi si ottiene, supponendo che i due lati AB, AC del
triangolo ABC, fossero dapprima coricati su BD, e su CE, prolungamenti della base BC e che, in seguito si
alzano per riunire le loro estremità nel punto A; perché allora l’uguaglianza di questi due lati impedirebbe loro
di fare più strada uno dell’altro. Dunque essendo congiunti essi penderanno ugualmente sulla base BC. Dunque
l’angolo ABC sarà uguale all’angolo ACB. »
Interessante che l’articolo è contemporaneamente una Definizione ed una Proposizione, anche se
non si determina quale sia la definizione e quale sia la proprietà, perché dal testo non è
chiarissimo se isoscele viene usato nel senso linguistico, con gambe uguali, o fissando l’attenzione
sugli angoli. L’argomentazione è assai lontana da una qualsiasi corretta gestione: si prendono i
lati, che non si possono misurare e li si fanno ruotare come aste incernierate, prima però si afferma
che gli angoli devono essere uguali e poi, a supporto di ciò si usa quello che Leibniz ha chiamato,
il Principio di ragione sufficiente: essendo uguali non hanno motivo di pendere diversamente.
Clairaut non si pone minimamente il problema che, non essendo possibile determinare i lati del
triangolo diversi dalla ‘base’, le due aste incernierate potrebbero essere troppo corte per formare
un triangolo. Ma riguardando il suo testo dice anche che presa la base e gli angoli si costruisce il
triangolo isoscele.
VI.2.4.6. La similitudine. Oltre la strana relazione di uguaglianza simile, si introduce anche la
similitudine più classica, sempre avvalendosi di un problema ‘concreto’:
«Articolo I.32. Per tornare alla misura dei Terreni, si vedrà che qualunque siano gli ostacoli che si potranno
incontrare nel loro interno, sarà facile, con il metodo precedente,
trasportare, su un terreno libero, tutti i triangoli che suddividono
lo spazio che si vorrà misurare.
Supponiamo, per esempio, che voi vogliate misurare un bosco, di
cui fosse figura ABCDEFG (fig. 32)
Dapprima pretendiate un triangolo
uguale a ABC, ciò che potrete fare
senza entrare all’interno di tale
triangolo, misurando i due lati AB, BC e l’angolo compreso CBA.
Questo triangolo descritto fornirà l’angolo BCA, e la lunghezza AC, e siccome voi
potrete misurare il lato esterno DC, voi avrete nel triangolo CAD, i lati DC e CA.
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Quanto all’angolo DCA (fig. 32) voi lo troverete prendendo dapprima l’angolo IKL (fig. 33), uguale all’angolo
DCB, e in seguito l’angolo LKO, uguale all’angolo BCA, che vi darà l’angolo rimanente IKO, uguale
all’angolo cercato DCA.
Avendo così determinato il triangolo ADC, dai due lati DC e CA, e dall’angolo compreso DCA, conoscerete
nello stesso modo il triangolo DAG, e il resto della figura.»
Sulla reale praticità di questa tecnica ci sarebbe molto da dire, visto che
queste pratiche non sono in uso in nessuno ufficio del catasto. Ed
infatti, dopo avere dedicato spazio sul testo, solo per avere
l’opportunità di presentare alla sua maniera i Criteri di congruenza dei
triangoli, Clairaut raddrizza il tiro:
«Articolo I.33. Il metodo che si è appena dato per misurare i terreni, nei quali non
si saprebbero condurre delle linee, fa nascere spesso grandi difficoltà nella pratica. Si trova raramente uno
spazio unito e libero abbastanza ampio per fare dei triangoli uguali a quelli del terreno
di cui si cerca la misura. E anche quando lo si troverebbe, la grande lunghezza dei lati
dei triangoli potrebbe rendere le operazioni molto difficili: abbassare una
perpendicolare su una linea da un punto che dista solamente 500 tese sarebbe un
compito assai ingrato, e forse impraticabile. E’ importante dunque avere un mezzo che
supplisce a queste operazioni ‘grandi’.
Questo metodo si offre, in un certo senso, da solo. Viene subito l’idea di rappresentare
la figura ABCDE da misurare (fig. 34), mediante una figura simile abcde (fig. 35), ma
più piccola, nella quale, per esempio il lato ab sia di 100 pollici, se il lato AB è di 100 tese, il lato bc di 45
pollici, se BC è di 45 tese, e di concludere in seguito che se l’estensione della figura ridotta abcde, è di 60000
pollici quadrati, quella della figura ABCDE deve essere di 60000 tese quadrate.
Ma, prima di tutto, bisogna sapere in che cosa consiste la similitudine delle due figure.
Articolo I.34. In cosa consiste la similitudine di due figure.
Ora, per poco che ci si possa riflettere, si riconoscerà subito che le figure ABCDE, abcde, per essere simili
devono essere tali che gli angoli A, B, C, D, E della [figura] grande siano uguali agli angoli a, b, c, d, e della
piccola, e che, in più, i lati ab, ac, cd, ecc. della piccola, contengano tante parti p quanto i lati AB, BC, CD, ecc.
contengono parti P.
Articolo I.35. Per esprimere questa seconda condizione, i Geometri dicono che bisogna che i lati AB, BC, CD,
ecc, siano proporzionali ai lati ab, bc, cd, ecc.; o che il lato AB contiene ab nello stesso modo che BC contiene
bc, ecc. o che il lato AB è così grande, in rapporto ad ab, quanto BC lo è in rapporto a bc, ecc.; o ancora che ci
sia la stessa ragione [rapporto] tra AB e ab, che c’è tra BC e bc, ecc.; o infine che AB sta ad ab, come BC sta a
bc, ecc. Tutti modi d’esprimere la stessa cosa, ma che bisogna rendersi familiari per intendere il linguaggio dei
Geometri.»
Si sono riportati di seguito i tre Articoli che introducono la similitudine, per mostrare un tipico
segmento di come Clairaut svolge la sua presentazione – argomentazione. Dapprima un problema
‘concreto’ per mostrare come la Matematica possa offrire una soluzione agevole, molto più pratica
di quella forse più intuitiva utilizzata in precedenza. Segue poi una descrizione che, analizzata da
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vicino, potrebbe vedersi come la ‘banalità’: due figure simili sono tali se sono simili. Poi c’è la
presentazione che si avvicina di più al linguaggio geometrico ‘accademico’.
Da notare che in questa presentazione del linguaggio tecnico evita di utilizzare quella che è più
frequente in Euclide: AB:BC = ab:bc, in cui si confrontano rapporti tra lati della stessa figure.
Può sorprendere inoltre l’uso delle ‘parti’ che si fa nell’Art. I.34, ma che è giustificato dal testo
dell’Art. I.33 e dalle figure 34 e 35. Se si osservano bene tali figure sotto i pentagoni presenti in
esse c’è una specie di regolo graduato e un quadrato. Nella fig. 34 in nome del quadrato è X, nella
35 è x. Il regolo graduato della fig. 34 viene detto P ed è lungo come il lato del quadrato X; nella
figura 35 il regolo p è lungo come il lato del quadrato x. Dunque P è la tesa e X la tesa quadrata,
con un’evidente uso della similitudine nella rappresentazione, dato che non credo che la tesa sia
rappresentabile sulla superficie del testo. Nella fig. 35 ci sono invece il pollice e un pollice
quadrato, quindi quando il testo parla di parti, intende la misura secondo l’unità di misura
prescelta. Fornisce inoltre quello che sarà per Euclide un teorema, che «se l’estensione della figura
ridotta abcde, è di 60000 pollici quadrati, quella della figura ABCDE deve essere di 60000 tese quadrate »,
introducendo la legge quadratica legata alla similitudine.
VI.2.4.6. Altri risultati della prima parte. Il breve saggio dato in questo capitolo mostra
sufficientemente il modo di procedere di Clairaut nei riguardi della Geometria e del suo
insegnamento. Questi aspetti si possono riassumere in
- La preminenza data ai problemi come sorgente di ispirazione e ragione di sviluppo.
- La scelta di un linguaggio piano d’uso comune. Quando se ne deve discostare, e comunque
lo fa introducendo termini tecnici, dà la colpa ai Geometri.
- La scarsa connessione dei vari temi che vengono presentati con un filo conduttore, quello
delle necessità pratiche, non con una stretta coerenza teorica interna. Tipica l’analisi del
triangolo equilatero che compare solo nell’Art. I.70, mentre in Euclide è la Prop. I.1.
- La non chiara distinzione tra definizioni e teoremi.
- Il costante e ripetuto riferimento alla ‘ovvietà’.
Quest’ultimo è però è un punto che merita una riflessione generale. Aristotele ed Euclide hanno
mostrato che il riferimento esterno all’esperienza (condivisa) è indispensabile in una teoria che
pretenda di descrivere una realtà. Quali siano però le scelte che vengano fatte nella presentazione
di una teoria potrebbero essere diverse, pur se si vuole descrivere la stessa fenomenologia, in
quanto è possibile una molteplicità di approcci. Ciò però pone allora il problema di che cosa sia la
‘sostanza’ o la ‘essenza’ di una Scienza deduttiva, se non si mettono delle condizioni di natura
metateorica. Perché prendere solo pochi punti di partenza ovvi, quando ci possono essere una
molteplicità di ‘ovvietà’, talune comunemente accettate, che semplificherebbero il compito del
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teorico, ridurrebbero il compito del dialettico e renderebbero al disciplina più vicina a molte
persone? Clairaut sembra dire che moltiplicando liberamente gli assunti ovvi, anche se non
indipendenti tra loro, è possibile ripresentare tanti (se non tutti) i risultati della Geometria senza
seccare il lettore, favorendo il principiante, sacrificando poco de l’esprit de Géométrie a scapito de
l’esprit de finesse.
Quello che viene mostrato nel resto della prima parte sono risultati ben noti, e ben chiarito
dall’indice posto al termine del primo volume (che non è completo, non essendo stati indicati gli
Articoli descrittivi) lo specifica:
«36. Modo di fare una figura simile ad un’altra.
38. Se due angoli d’un triangolo sono uguali a due angoli di un altro triangolo, il terzo angolo dell’uno
uguaglierà il terzo angolo dell’altro.
39. Due triangoli i cui angoli sono rispettivamente uguali, hanno il loro lati in proporzione.
40. Dividere una linea in tante parti uguali quante si voglia.
41. Cosa è una linea quarta proporzionale dopo tre linee date
42. Le altezze dei triangoli simili sono proporzionali ai loro lati.
44. Le aree dei triangoli simili stanno tra loro come i quadrati dei lati omologhi.
45. Proprietà delle figure simili ricavate da quelle dei triangoli.
47. Le aree delle figure simili stanno tra loro come i quadrati dei lati omologhi.
48. Le figure simili si differenziano solo per le scale sulle quali sono costruite.
50. Come misurare la distanza di un luogo inaccessibile.
52. Un angolo ha per misura l’arco di cerchio che viene intercettato dai suoi lati.
53. Il cerchio è diviso in 360 gradi, ogni grado in 60 minuti, ecc.
54. L’angolo retto ha 90 gradi, e i suoi lati sono mutuamente perpendicolari.
55. Un angolo acuto è più piccolo di un angolo retto.
56. Un angolo ottuso è più grande di un angolo retto.
57. La somma degli angoli, fatta dalla stessa parte di una linea retta e che hanno lo stesso vertice, vale 180
gradi.
58. Tutti gli angoli che si possono fare attorno ad uno stesso punto sono uguali, presi assieme, a quattro retti.
59. Uso dello strumento chiamato semi cerchio per prendere la grandezza d’un angolo.
60. Uso del goniometro per fare un angolo di un numero determinato di gradi.
63. Gli angoli alterni sono gli angoli rovesciati che forma, da una parte all’altra, una linea retta che cade su due
parallele. Questi angoli sono uguali
64. La somma dei tre angoli di un triangolo è uguale a due retti.
68. L’angolo esterno di un triangolo vale i due angoli interni opposti.
69. Un angolo di un triangolo isoscele dà gli altri due.
70. Gli angoli di un triangolo equilatero sono ciascuno di 60 gradi.
71. Descrizione dell’esagono.
72. La metà dell’angolo al centro di un esagono dà l’angolo al centro di un dodecagono.
73. Dividere ugualmente in due parti un angolo.
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74. Descrizione dei poligoni di 24, 48 lati, ecc.
75. Descrizione dell’ottagono, e dei poligoni di 16, 32, ecc. lati.»
Si noti che per Clairaut il parallelismo non è un problema, essendo di fatto presentato già negli
Art. I.9, però non usa l’evidenza per argomentare quanto stabilito nell’Art. I.64, che avrebbe
potuto essere ostenso mediante piegature della carta, ma utilizza la dimostrazione euclidea (con
poche varianti).
VI.2.5. La seconda parte. Si presentano in breve i contenuti delle altre tre parti degli Elementi di
Geometria, iniziando dalla seconda.
VI.2.5.1. L’introduzione alla seconda parte. Il titolo di questa parte è Sul metodo di confrontare
figure rettilinee, e si apre con una breve introduzione:
«Se si fa attenzione a ciò che abbiamo detto, per mostrare come si è giunti a misurare i Terreni, si è dovuto
riconoscere che le posizioni delle linee, le une rispetto alle altre, fornivano degli aspetti notevoli degni di
attenzione per loro stessi, indipendentemente dall’utilità che potevano avere nella pratica; e si deve presumere
che queste osservazioni abbiano coinvolto i primi Geometri tanto da spingerli a far progredire le loro scoperte,
poiché non sono solo i bisogni che influiscono in modo determinante sugli uomini, essendo spesso la curiosità
un motivo altrettanto grande per le loro ricerche.
Ciò che ha dovuto contribuire ancora al progresso della Geometria, è il gusto che si ha naturalmente per questa
precisione rigorosa senza la quale lo spirito non è mai soddisfatto.
Allorché, misurando le figure, ci si è accorti che in un’infinità di casi, le scale e i semicerchi non davano che
valori approssimati di linee o angoli, si sono cercati metodi che supplissero ai difetti di questi strumenti.
In questa parte si riprendono le figure rettilinee; ma nelle operazioni che faremo per scoprire i loro rapporti
corretti, non ci serviremo che della riga e del compasso.
Capita spesso che c’è bisogno di riunire in una stessa figura, più figure che le siano simili, o di scomporre una
figura in più figure della stessa specie: ciò che si può fare operando, dapprima, sui rettangoli, poiché tutte le
figure rettilinee non sono che degli assemblaggi di triangoli e che ciascun triangolo è la metà di un rettangolo
che ha la stessa altezza e la stessa base. »
VI.2.5.2. I contenuti della seconda parte. La seconda parte si compone di 23 pagine in cui sono
presentati 28 articoli dedicati per lo più ai rettangoli, come si desume dall’introduzione e
dall’indice:
«1. Due rettangoli che hanno la stessa altezza, stanno fra loro come le loro basi.
5. Modo di cambiare un rettangolo in un altro che abbia un’altezza data.
6. Secondo modo di cambiare un rettangolo in un altro che abbia un’altezza data.
7. Si dimostra rigorosamente che se due rettangoli sono uguali, la base del primo sta alla base del secondo
come l’altezza del secondo sta alla altezza del primo.
8. Se quattro linee sono tali che la prima stia alla seconda come la terza alla quarta, il rettangolo formato dalla
prima e dalla quarta è uguale al rettangolo formato dalla seconda e dalla terza.
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9. Quattro quantità, di cui la prima sta alla seconda come la terza sta alla quarta, sono dette formare una
proporzione.
10. Dei quattro termini di una proporzione, il primo e i quarto sono detti estremi, si chiamano medi il secondo
e il terzo.
11. In una proporzione il prodotto egli estremi è uguale al prodotto dei medi.
12. Se il prodotto degli estremi è uguale al prodotto dei medi, i quattro termini formano una proporzione.
13. Da ciò si ottiene la regola del tre, o il modo di trovare il quarto termine d’una proporzione di cui sono dati i
primi tre.
16. Fare un quadrato doppio d’un altro.
17. Fare un quadrato uguale a due altri presi assieme.
18. L’ipotenusa d’un triangolo rettangolo è il suo lato grande, e il quadrato di questo lato è uguale alla somma
dei quadrati fatti su gli altri due.
20. Se i lati d’un triangolo rettangolo servono da base a tre figure simili, la figura fatta sull’ipotenusa
uguaglierà le altre due prese insieme.
21. Ridurre più figure simili a una sola.
23. Il prodotto che risulta dalla moltiplicazione di un numero per se stesso è il quadrato di questo numero. La
radice di un quadrato è il numero che moltiplicato per se stesso dà il quadrato.
24. Un numero è multiplo d’un altro allorché lo contiene più volte esattamente. Il lato d’un quadrato e la sua
diagonale sono incommensurabili.
25. Altre linee incommensurabili.
27. I triangoli e le figure simili hanno i lati proporzionali, anche se i loro lati sono incommensurabili.
28. E queste figure stanno sempre tra loro come i quadrati dei loro lati omologhi. »
Una delle poche volte che Clairaut usa il verbo ‘dimostrare’ si ha nell’Articolo II.7. Per
comprendere il significato di cosa significhi dimostrare rigorosamente si riportano i due Articoli
precedenti
«Articolo II.5. Modo di cambiare un rettangolo in un altro che abbia un’altezza data.
Ora sia proposto di cambiare il rettangolo ABCD in un altro BFEG (fig. 58), che abbia la stessa superficie, e di
cui l’altezza sia BF, si osserverà che poiché il suo valore sarà il prodotto della sua altezza per la sua base, sarà
necessario che il rettangolo cercato BFEG, la cui altezza sarà più grande di BC, abbia la sua base più piccola di
AB: vale a dire, che se BF, per esempio, è doppio di BC, sarà necessario che BG sia la metà di AB.
Se BF era il triplo di BC, BG non sarà che un terzo di AB.
E
F
contenesse con frazione, come due volte un terzo, il rettangolo BFEG non potrà
D
A
Si vedrà ugualmente che se BF, invece di contenere BC un numero esatto di volte, lo
C
G
Fig. 58
B
essere uguale al rettangolo ABCD, se la sua base BG non fosse parimenti contenuta
due volte e un terzo nella base AB. E in generale, sarà facile vedere che affinché i due
rettangoli ABCD e BFEG siano uguali, bisognerà che la base BG dell’uno sia
contenuta nella base AB dell’altro, come l’altezza BC nell’altezza BF.
Non si tratterà dunque che di dividere la linea AB in modo che AB stia a GB come, come BF sta a BC; ciò che
si farà (Art. I.41.) mandando la linea FA e dal punto C la parallela CG.
Articolo II.6. Secondo modo di cambiare un rettangolo in un altro che abbia un’altezza data.
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Per cambiare il rettangolo ABCD in un altro rettangolo AFEG (fig. 59), che abbia un’altezza data BF, si può
utilizzare un metodo meno naturale che il precedente, ma più comodo. Avendo
I
F
E
O
C
D
B
G
A
Fig. 59
prolungato AD, finché incontri in I la retta FEI, condotta dal punto F,
parallelamente ad AB, si condurrà la diagonale BI, e dal punto O in cui essa
intersecherà il lato DC, si manderà la GOE, parallela a FB, ed il rettangolo BFEG
sarà uguale al rettangolo ABCD.
Per provarlo sarà sufficiente fare vedere che togliendo ai rettangoli ABCD e BFEG
la parte comune OCBG, il rettangolo ADOG uguaglierà il rettangolo EOFC.
Ora se si fa attenzione all’uguaglianza dei due triangoli IBF, IBA, si vedrà che ritagliando da questi triangoli
quantità uguali, i resti saranno uguali. Ma il triangolo IAB diventerà il rettangolo ADOG, se se ne ritaglia i due
triangoli IDO, OGB; così pure il triangolo IBF diventerà il rettangolo EOFC, ritagliando i triangoli IEO, OBC,
uguali ai due precedenti. Dunque i due rettangoli ADOG, EOFC, resti dei due triangoli saranno uguali tra loro,
così come i rettangoli ABCD, BFEG.
Articolo II.7. Si dimostra rigorosamente che se due rettangoli sono uguali, la base del primo sta alla base del
secondo come l’altezza del secondo sta alla altezza del primo.
Questo secondo modo di cambiare un rettangolo in un altro conferma il principio che la prima suppone (Artt.
II.5 e II.6), e che avrebbe potuto sembrare non esser appoggiato che su una semplice induzione.
Dall’uguaglianza dei due rettangoli ABCD, BFEG, si era concluso che bisognava che AB stesse a BG come BF
a BC, ed è questo che si può ora provare mediante l’articolo precedente.
Poiché i triangoli IAB e OGB, essendo manifestamente simili, la base AB del grande starà alla base GB del
piccolo, come l’altezza IA sta all’altezza OG, come BF a BC, uguali a loro. Dunque AB starà a GB, come BF
sta a BC, conformemente al principio dell’articolo [II] 5.»
A parte il riferimento ai due articoli precedenti, il che è tipico delle dimostrazioni rigorose, c’è ben
poco di rigoroso in questa argomentazione e la parola chiave è «manifestamente» in cui si fa
riferimento alla figura più che ad una stretta deduzione sintattica. Sicuramente l’articolazione
sintattica è maggiore per i due Articoli precedenti. Dunque è difficile capire l’avverbio
«rigorosamente» apposto alla parola dimostrazione.
Dall’elenco degli Articoli si vede che in questa parte Clairaut considera i rapporti e le proporzioni
di cui però non si preoccupa di darne la definizione, ma solo di constatarne la presenza.
D
C
H
f
Inoltre si tratta anche il Teorema di Pitagora, ed in particolare basandosi
su disegni come la seguente figura 61 presentata in Art. II.17. Viene
E
d
A
F
sviluppata la generalizzazione del Teorema di Pitagora, utilizzando
figure simili in luogo dei quadrati.
E’ poi interessante la presentazione dei poligoni regolari.
Fig. 61
b
Scorrendo l’elenco degli Articoli si vede che i vari argomenti offrono un
panorama vario e localmente connesso, ma globalmente non
conseguente. Questa impressione è avvalorata dalle poche citazioni di Articoli precedenti nella
argomentazione di ciascun Articolo.
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VI.2.6. La terza parte. Il titolo della terza parte è Della misura delle figure circolari e le loro
proprietà. Come dice il titolo l’argomento principale è il cerchio e le sue parti.
VI.2.6.1. L’introduzione della terza parte. Clairaut continua la sua esposizione mantenendo lo
stile di premettere un’introduzione alla trattazione vera e propria:
«Dopo essere giunti a misurare ogni tipo di figure rettilinee si è voluto avere il modo di determinare quelle che
sono limitate da linee curve. I terreni, in generale, gli spazi di cui si tratta di cercare la misura, non sono
sempre delimitati da linee dritte.
Spesso le figure curvilinee, e le figure miste, vale a dire quelle che sono limitate da linee dritte e da linee
curve, possono ridursi a figure interamente rettilinee, come abbiamo già detto;
perché dovendo misurare una figura quale ABCDEFG (fig. 1), si potrebbe prendere
il lato AD come un’unione di due, di tre, ecc. linee rette; sostituendo poi la retta FD
alla curva FED, si avrà la figura rettilinea ABCDFG, che differirebbe così poco dalla
figura mista che l’una potrebbe essere presa per l’altra, senza errore sensibile.
Si opererà dunque su queste figure, seguendo i metodi precedenti. Ma i Geometri
non si accontentavano per nulla di questi tipi di operazioni, non volendone che di rigorosi; d’altra parte, vi
sono casi in cui la trasformazione d’una figura curvilinea o mista, in una figura
interamente rettilinea, chiederebbe che si divida il suo contorno in un numero così
grande di parti che, in tal caso, il metodo comune diventerebbe impraticabile; così
non si sarebbe più tentati di seguirlo, se si dovesse misurare uno spazio come Z
(fig. 2), o un cerchio intero, (fig. 3): sarebbe necessario prendere un’altra strada per
la misura di qualunque tipo di spazio. Qui non ci soffermeremo che su quelli
[spazi] che hanno per contorni archi di cerchi. »
VI.2.6.2. I contenuti della terza parte. La terza parte tratta contiene 35 Articoli presentati in 39
pagine. Anche in questo caso, per motivi di brevità espositiva, si fa un elenco degli enunciati per
esprimere i contenuti.
«1. La misura del cerchio è il prodotto di una circonferenza per la metà del suo raggio.
2. L’area del cerchio è uguale a un triangolo la cui altezza è il raggio, e la base una retta uguale alla
circonferenza.
4. Il diametro d’un cerchio avente 7 parti, la circonferenza ne è circa 22.
5. Le circonferenze dei cerchi stanno tra loro come i loro raggi.
6. Le aree dei cerchi sono proporzionali ai quadrati dei loro raggi.
7. Dei tre cerchi che hanno per raggi i tre lati di un triangolo rettangolo, quello prodotto dall’ipotenusa vale gli
altri due presi assieme.
8. Una corona è lo spazio delimitato da due cerchi concentrici. Per misurare una corona bisogna moltiplicare la
sua larghezza per la circonferenza media.
9. Il segmento di cerchio è uno spazio delimitato da un arco e una corda. La misura di tutte le figure circolari si
riduce a quelle del segmento.
10. Il settore è una porzione del cerchio delimitato da due raggi e dall’arco che essi comprendono. La sua
misura è quella del segmento.
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Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
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11. Trovare il centro d’un arco qualunque.
13. Se da un punto qualunque della circonferenza d’un semicerchio si tracciano due rette agli estremi del
diametro si avrà un angolo retto.
15. Tutti gli angoli il cui vertice sta alla circonferenza e che si appoggiano sullo stesso arco sono uguali e
hanno in comune la misura, la metà dell’arco su cui si appoggiano.
18. La tangente al cerchio è la linea che non lo tocca che in un punto. L’angolo al segmento è quello che è
formato dalla corda e dalla tangente. La sua misura è la metà dell’arco del segmento.
19. La tangente è perpendicolare al diametro che passa per il punto di tangenza.
21. Cosa è un segmento in cui sia possibile inscrivere un angolo dato. Modo di fare un segmento che contiene
un angolo dato.
22. Trovare le distanze di un luogo da altri tre di cui si conoscono le posizioni.
24. Il quadrato di una perpendicolare qualunque al diametro di un cerchio è uguale alle due parti del diametro.
25. Mutare un rettangolo in un quadrato.
26. Cos’è una media proporzionale tra linee dritte. Modo di trovarla.
27. Altro modo.
28. Mutare una figura rettilinea in un quadrato.
30. Fare un quadrato che stia ad un altro quadrato in rapporto dato.
31. Fare un poligono che sia in un rapporto dato con un poligono simile.
32. Fare un cerchio che stia ad un altro cerchio in rapporto dato.
33. Se da un punto preso fuori di un cerchio si tracciano due linee che lo attraversino, i rettangoli di queste due
rette con le loro parti esterne saranno uguali.
34. Il quadrato della tangente è uguale al rettangolo della secante e della sua parte esterna.
35. Da un punto dato al di fuori di un cerchio, condurre una tangente. »
Per evidenziare come Clairaut abbia rielaborato la Geometria classica, si mostrano i dettagli di tre
Articoli consecutivi sulla circonferenza.
«Articolo III.3. Non si tratta dunque che d’avere il raggio e la circonferenza. A proposito del raggio, è facile
misurarlo; non è la stessa cosa per la circonferenza: tuttavia, per avere la sua misura, si può avvolgere il
cerchio con un filo : ciò in più occasioni basta per la pratica.
Ma fino ad oggi non si è riusciti a misurare geometricamente la circonferenza del cerchio, vale a dire a
determinare esattamente il rapporto che essa ha con il raggio. Si trova questo rapporto fino a cento millesimi, a
meno di un milionesimo, ed anche se si approssima tanto quanto si vuole, senza per ciò che lo si possa
determinare rigorosamente.
Articolo III.4. Il diametro d’un cerchio avente 7 parti, la circonferenza ne è circa 22.
L’approssimazione la più semplice che si sia trovata è quella dovuta ad Archimede. Il diametro avendo 7 parti,
la circonferenza ne contiene di queste parti un numero compreso tra 21 e 22; e si sa che essa approssima di più
22 che 21.
Articolo III.5. Le circonferenze dei cerchi stanno tra loro come i loro raggi.
Del resto, è chiaro che se si sapesse esattamente il rapporto di una sola circonferenza rispetto al suo raggio, si
conoscerebbe quello di ciascuna altra circonferenza col proprio raggio; dovendo essere questo rapporto lo
stesso in tutti i cerchi. Questa affermazione sembrerebbe così semplice che non avrebbe bisogno d’essere
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Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
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dimostrata, poiché si avverte che quali che fossero le operazioni che si dovrebbe fare per misurare una
circonferenza, bisognerebbe fare le medesime operazioni per misurare ogni altra circonferenza; e così si
troverebbero in lei lo stesso numero di parti del suo raggio.»
Questo è lo ‘equivalente’ per Clairaut del metodo di esaustione!
Interessante il contrasto tra la misura pratica e quella geometrica della circonferenza.
VI.2.7. La quarta parte. Il trattato di Clairaut si completa con una quarta parte, dal titolo, Del
modo di misurare i solidi e le loro superficie.
VI.2.7.1. L’introduzione della quarta parte. L’ultima parte degli Eléments de Géométrie, si apre
con un’introduzione, come per le parti precedenti.
«I Principi che abbiamo stabilito nelle tre prime Parti di questa Opera, potrebbero essere sufficienti per
risolvere problemi ben più difficili di quelli che abbiamo proposto; ma è più nell’ordine che abbiamo seguito in
precedenza, di passare ora alla misura dei solidi, vale a dire delle estensioni
limitate che hanno contemporaneamente tre dimensioni, lunghezza, larghezza
e profondità.
Questa ricerca è stata, senza dubbio, uno dei primi oggetti che ha attratto
l’attenzione dei Geometri. Si avrebbe voluto sapere, per esempio, quante
pietre da taglio c’erano in un muro la cui altezza AD, la larghezza AB e la
profondità, o spessore BG erano conosciuti (fig. 34). Ci si sarà proposto di
determinare
la
quantità
d’acqua
che
conteneva una fossa o una peschiera
ABCD (fig. 35); si avrà voluto trovare la
solidità di una torre, di un obelisco, d’una casa, d’un campanile, ecc.
Per trattare le figure che hanno le tre dimensioni nello stesso modo in cui
abbiamo trattato quelle che non ne hanno che due, cominceremo con l’esaminare i solidi che sono delimitati da
piani.
Non avremo bisogno di parlare di come misurare le superficie dei corpi, esse non sono altro che l’unione di
figure rettilinee; e, di conseguenza, la loro misura dipende da ciò che è stato detto nella prima Parte. »
VI.2.7.2. I contenuti della quarta parte. La quarta parte presenta 84 articoli, in 57 pagine, è
dunque la più lunga in numero di Proposizioni, ma non come numero di pagine, essendo superata
in questo dalla prima parte. In essa, come dice anche il titolo stesso, si trattano i solidi, ma, più in
generale, la geometria solida.
«1. Il cubo è una figura solida delimitata da sei quadrati. E’ la misura comune dei solidi.
2. Il parallelepipedo è un solido delimitato da sei rettangoli. I piani paralleli sono quelli che conservano tra loro
la medesima distanza.
3. Misura del parallelepipedo.
4. I parallelepipedi sono prodotti da un rettangolo che si muove parallelamente a se stesso.
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5. La linea perpendicolare a un piano è quella che non pende da nessun lato sul piano. E’ lo stesso per il piano
perpendicolare a un altro piano.
6. La linea che è perpendicolare a un piano è perpendicolare a tutte le linee di tale piano che partono dal punti
in cui lei incide [il piano].
8. Pratica semplice per innalzare o abbassare linee perpendicolari a un piano dato.
9. Una linea sarà perpendicolare ad un piano se è perpendicolare a due linee di questo piano che partono dal
punto di incidenza.
10. Modo di elevare un piano perpendicolare ad un altro.
11. Mandare un piano parallelo ad un altro.
12. Misurare l’inclinazione d’un piano su un altro.
13. Misurare l’inclinazione di una linea su un piano.
14. Nuovo modo per abbassare una linea perpendicolare ad un piano dato.
15. Secondo modo per innalzare una linea perpendicolare ad un piano dato.
16. Il prisma retto è una figura solida le cui basi opposte sono due poligoni uguali e le altre facce sono dei
rettangoli.
17. Formazione dei prismi retti.
19. Due prismi retti che hanno basi uguali hanno lo stesso rapporto che le loro altezze.
20 Due prismi retti che hanno la stessa altezza hanno lo stesso rapporto che le loro basi.
21. La misura del prisma retto è il prodotto della sua base per la sua altezza.
22. I prismi obliqui differiscono dai prismi retti per il fatto che le facce che sono dei rettangoli in questo sono
parallelogrammi in quello.
23. Formazione dei prismi obliqui.
24. I prismi obliqui sono uguali ai prismi retti, quando hanno la stessa base e la stessa altezza.
25. Lo stesso accade per i parallelepipedi obliqui rispetto a quelli retti.
26. Le piramidi sono corpi delimitati da un certo numero di triangoli che partono tutti da uno stesso vertice, e
che terminano su una stessa base poligonale qualunque.
32. In cosa consiste la similitudine di due piramidi.
37. Le piramidi che hanno la stessa base e la stessa altezza sono uguali.
38. Due piramidi sono ancora uguali se, avendo la stessa altezza, le loro basi, senza essere poligoni simili, sono
uguali in superficie.
39. Le piramidi che hanno la stessa altezza stanno tra loro come le loro basi.
42. La solidità di una piramide qualunque è il prodotto della sua base per un terzo dell’altezza.
43. La piramide è un terzo del prisma che ha la stessa base e la stessa altezza.
45. Il cilindro è un solido delimitato da due basi opposte e parallele, che sono cerchi uguali, e da un piano
piegato intorno alle loro circonferenze. Lo si distingue in cilindro retto e cilindro obliquo.
46. Formazione di un cilindro.
47. La superficie curva d’un cilindro retto è uguale al rettangolo che ha la stessa altezza, e la cui base è uguale
alla sua circonferenza.
49. I cilindri che hanno la stessa base e la stessa altezza sono uguali per quanto riguarda la solidità.
50. La misura d’un qualunque cilindro è il prodotto della sua base per la sua altezza.
51. Il cono è una specie di piramide la cui base è un cerchio.
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Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi.
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52. Li si distinguono in coni retti e coni obliqui.
53. La superficie d’un cono retto si misura moltiplicando la metà del suo lato per la circonferenza di base.
54. Lo sviluppo di un cono è un settore di cerchio.
56. I coni che hanno la stessa base e la stessa altezza sono uguali.
57. La loro misura è il prodotto della base per un terzo dell’altezza.
59. Modo di misurare la superficie d’un cono tronco.
60. La sfera è il corpo la cui superficie ha tutti i suoi punti ugualmente distanti dal centro.
65. La superficie della sfera ha per misura il prodotto del suo diametro per la circonferenza del suo cerchio
massimo.
66. Cosa è un segmento di sfera. Come se ne misura la sua superficie.
67. La superficie della sfera è uguale a quella del cilindro circoscritto.
68. Le ‘fette’ del cilindro e della sfera hanno la stessa superficie.
69. La superficie della sfera è uguale a quattro volte quella del suo cerchio massimo.
70. La solidità della sfera è il prodotto del terzo del raggio per quattro volte l’area del cerchio massimo.
71. La solidità della sfera è due terzi di quella del cilindro circoscritto.
72. Misura della solidità d’un segmento di sfera.
73. In cosa consiste la similitudine di due corpi delimitati da piani.
74. Condizioni che determinano la similitudine di due corpi delimitati da piani.
75. Quella dei cilindri obliqui.
76. Quella di due coni.
77. Quella di due coni tronchi.
78. Le sfere, i cubi, e tutte le figure che non dipendono che da un’unica linea sono simili.
79. In generale, i solidi simili non differiscono che per le scale sulle quali sono costruiti.
80. Le superficie dei solidi simili stanno tra loro come i quadrati dei lati omologhi.
81. Le superficie delle sfere stanno tra loro come i quadrati dei loro raggi.
83. I solidi simili stanno tra loro come i cubi dei loro lati omologhi.
84. Le sfere stanno tra loro come i cubi dei loro raggi. »
VI.2.8. Conclusione. Avendo dato un rapido sguardo al testo di Clairaut si può scorgere come la
linea conduttrice principale sia quella di stampo euclideo, seppure con variazioni, la più
importante delle quali è l’integrazione del testo euclideo coi risultati di Archimede sulla
circonferenza e sfera. Dobbiamo dunque a Clairaut l’indicazione dei contenuti della Geometria
secondo la tradizione scolastica di qualche anno fa (quando si trattavano gli argomenti geometrici
con una certa estensione).
Attraversa però tutta l’opera l’importanza data alle costruzioni mediante strumenti fisici il
righello, il compasso, il goniometro e in generale l’attenzione per la misura, che è estranea ad
Euclide.
Ad un esame critico la proposta di Clairaut non regge, sia per la mancanza (voluta) di un metodo
dimostrativo, sia per il ricorso all’intuizione. Forse nella situazione attuale, a parte gli esempi
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‘datati’ come la determinazione del volume di un obelisco, lo spirito con cui è trattata la
Geometria in questi Eléments, potrebbe avere un interesse didattico.
VI.3. L’opera geometrica di Legendre.
VI.3.1. Brevi cenni biografici su Legendre. Adrien-Marie Legendre (1752 – 1833) è stato un
personaggio chiave sviluppo della Matematica dai metodi euleriani a quelli di Cauchy.
Cronologicamente si situa tra Lagrange (1736-1813), da una parte Gauss (1777 – 1855) e Cauchy
(1789 – 1857), dall’altra e si può dire che la sua fama sia stata in parte oscurata dal più anziano e
dai due più giovani.
Si hanno pochi dettagli della sua vita, tanto che non è noto se sia nato a Parigi, oppure a Tolosa, di
cui era originaria la sua famiglia e poi sia stato portato a Parigi in giovane età. Sicuramente di
genitori benestanti, svolge i suoi studi al prestigioso Collegio Mazarino, dove presenta la sua tesi a
18 anni, ma in essa non appaiono risultati particolarmente interessanti. Nel
1775 diventa insegnante alla École Militare, dove incontra Laplace, e dove
resta fino al 1780. Presenta nel 1782 all’Accademia di Berlino, di cui in quel
momento era direttore Lagrange un saggio sul moto dei proiettili, che vince
un premio.
Pierre-Simon Laplace
(1749 – 1827)
Si occupa in seguito di problemi di meccanica celeste che gli valgono nel
1783 l’associazione alla Accademia delle Scienze, al posto di Laplace.
Proprio in questo filone di studi Legendre pubblica nel 1784 le Recherches sur
la figure des planètes, in cui compaiono i polinomi che costituiscono forse uno
dei suoi più importanti risultati. Si tratta di una successione di polinomi che
costituiscono una base ortonormale dello spazio delle funzioni C e quindi
possono essere utilizzati in alternativa al polinomi di Taylor per descrivere
(localmente) le funzioni.
Brook Taylor
(1685 – 1731)
Si interessò inoltre di analisi indeterminata precorrendo in campo aritmetico
alcuni dei risultati che poi furono riscoperti da Gauss ed altri da Dirichlet.
La posizione assunta nella Accademia delle Scienze lo portò ad interagire
con alcune iniziative dell’accademia stessa, come la misura della Terra,
mediante la triangolazione tra gli osservatori di Greenwich e di Parigi, lavoro
Johann Peter Gustav
Lejeune Dirichlet
(1805 – 1859)
che gli valse l’elezione alla Royal Society di Londra nel 1787 e che gli diede
modo di scoprire proprietà sui triangoli sferici.
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Poco dopo scoppia la Rivoluzione francese e Legendre riesce a conservare le sue cariche, tanto
che nel 1791 diviene membro della rinnovata Accademia delle Scienze che ha il compito di
fornire gli standard di pesi e misure. I risultati di questa commissione sono compresi nell’attuale
sistema metrico decimale, i cui campioni di riferimento, il kilogrammo e il metro campione sono
conservati a Parigi.
Nel 1793 però l’Accademia delle Scienze fu chiusa. Legendre non resta però inattivo e nel 1794
pubblica il testo Eléments de géométrie che fu apprezzato anche da
Condorcet.
La chiusura dell’Accademia e i problemi causatigli dalla rivoluzione
lo spinsero in ristrettezze e solo l’attività per stabilire il sistema
metrico (terminate nel 1801) gli diedero di che vivere.
Nel 1795 si riaprì l’Accademia delle Scienze come Istituto Nazionale
delle Scienze e delle Arti, ma solo nel 1803 Napoleone creò una
sezione di Geometria in tale Istituto e la carica fu
Marie Jean Antoine Nicolas
de Caritat Condorcet
(1743 – 1794)
affidata a Legendre.
Ci fu inoltre una polemica che fu molto seguita, in ambiente matematico, tra
Gauss e Legendre sulla priorità di alcune scoperte di teoria dei numeri.
Tra gli altri argomenti di cui si occupò Legendre vi furono gli studi sulle
Napoleone Bonaparte
(1769 – 1821)
funzioni ellittiche ed introdusse le funzioni ‘gamma’ e ‘beta’ che hanno così
importante ruolo nella teoria della probabilità.
Per tornare alla Geometria, Legendre tentò per circa 30 anni di provare il postulato delle parallele,
in questo modo mettendo anche in dubbio quanto Kant aveva proposto con la Critica della Ragion
pura (1781) sulla verità della Proposizione che la somma degli angoli di un triangolo è 180°, ma
la termine di questi tentativi 1832 scrisse
«E’, ciò non di meno, certo che il teorema della somma dei tre angoli del triangolo debba essere considerato
come una di quelle verità fondamentali che è impossibile contestare e che è una di quegli
esempi imperituri della certezza matematica,»
e i lavori di Bolyai sulle geometrie non-euclidee apparvero nel giugno del 1831.
Nel 1824 Legendre si rifiuta di votare il candidato del governo all’Istituto
Nazionale e per questo il governo gli toglie la pensione. Inizia per Legendre un
János Bolyai
(1802 – 1860)
periodo di povertà che lo porta a morire di stenti nel 1833.
VI.3.2. Gli Eléments de Géométrie. Nel 1794 apparve la prima edizione del testo
che, con le sue varie edizioni fu sicuramente uno dei libri di Geometria più diffusi per circa un
secolo, e non solo in Francia, ma, ad esempio, anche in Italia.
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L’estensione del testo originale era assai più ampia di un ‘normale’ manuale di Geometria,
comprendendo la Geometria vera e propria, poi un testo di Note alla Geometria, un trattato di
trigonometria piana ed uno di trigonometria sferica. In un certo senso si tratterebbe di una silloge
delle opere di Euclide e di Tolomeo, integrate da risultati di Archimede su cerchio e sfera.
Il testo consultato in un volume unico, nella stesura conforme alla dodicesima edizione 1, contiene
solo gli elementi di Geometria e solo si compone di otto Libri, alcuni con appendici abbastanza
ampie e note. Il testo è corredato di dodici (splendide) tavole poste in fondo al volume che
presentano le 271 figure citate nel testo.
Questa opera, per la sua importanza di contenuti, per la complessità della sua genesi, testimoniata
dalle numerose edizioni, e per la sua influenza didattica su tutta la Matematica del XIX secolo (e
oltre), merita un’analisi approfondita e attenta, sia in sé, sia rintracciandone l’influenza che ebbe
su altri testi, specificamente didattici. Ciò non è possibile nel presente corso e pertanto ci si
accontenta di metterne in evidenza le parti ritenute più importanti.
VI.3.2.1. L’Avvertimento dell’Autore. Nel testo consultato sono premessi, nell’ordine, due brevi
scritti che meritano attenzione, se non altro per la forma linguistica in cui sono scritti (I Promessi
sposi appariranno nel 1840!).
Il primo scritto è l’Avvertimento dell’autore per la duodecima edizione parigina:
«La dimostrazione della teoria delle parallele tale, come era stata presentata nella terza edizione di
quest’Opera, e nell’edizioni seguenti fino all’ottava inclusivamente, non essendo al coperto da ogni obiezione,
ci aveva determinati nella nona edizione a ristabilire questa teoria presso a poco sulla medesima base di
Euclide. Alcune riflessioni ulteriori fatte sul medesimo oggetto, delle quali daremo gli sviluppi nella nota II., ci
hanno fatto discoprire due nuove maniere di dimostrare il teorema sui tre angoli del triangolo, senza il soccorso
di alcun postulato. Abbiamo in conseguenza inserita una di tali dimostrazioni nel testo di questa edizione,
scegliendo la meno lontana dall’idee ordinarie, e che d’altronde non sembra più difficile da comprendersi di
quella che era stata data nell’edizioni precedenti, dalla terza fino all’ottava.
Un altro cangiamento che si farà osservare in questa edizione, è relativo alla solidità della piramide
triangolare. Si è ristabilita tal dimostrazione presso a poco nel modo come era stata data nella prima edizione di
questi elementi, ma profittando d’una idea felice dovuta al signor Querret capo d’istruzione a San Malò; dessa
consiste nel rendere uguali le altezze dei prismi eccedenti e deficienti, che si costruiscono nelle due piramidi
paragonate. Con questo mezzo la dimostrazione della solidità della piramide sembra ridotta all’ultimo grado di
semplicità di cui è suscettibile.
Finalmente, siccome le tavole trigonometriche costrutte secondo la divisione decimale del quadrante non
sono così generalmente sparse come quelle che si rapportano all’antica divisione della circonferenza, si è
1 In queste lezioni si utilizza la traduzione di Gaetano Cellai, pubblicata in un unico volume dalla Tipografia della Speranza,
Firenze, 1834. Si tratta della quinta edizione di Firenze (così è indicato), probabilmente perché mancando all’epoca il copyright
potrebbero essere state fatte altre traduzioni ed edizioni.
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creduto che non sarebbe inutile di unire gli esempii di calcolo dati nella trigonometria, i risultati che
somministrerebbero l’uso delle antiche tavole.
____________________
Il Lettore, che vorrà limitarsi, almeno in una prima lettura, ai semplici elementi, può trascurare senza niuno
inconveniente, le Note o Appendici, e generalmente tutto ciò ch’è impresso in caratteri piccoli, perché meno
utile, o tale ch’esige uno studio più profondo. Ritornerà in seguito su questi oggetti, se lo crederà a proposito,
scegliendone quelli, che più saranno per essergli convenevoli, dietro al consiglio d’un abile Professore.
N.B. I numeri posti in margine indicano le proposizioni, alle quali dovrassi ricorrere per l’intelligenza delle
dimostrazioni. Un solo numero, come 4, accenna la proposizione IV. del Libro corrente; due numeri 20,3, denotano la XX.
Proposizione del Libro III. »
Già da queste prime parole si colgono alcuni punti di interesse di questo testo: il tentativo di
dimostrare il quinto postulato di Euclide, nella forma identificata come intrinseca della natura del
triangolo da Aristotele e, più vicino a Legendre nel tempo, da Kant, della somma degli angoli
interni del triangolo.
Si palesano in questo Avvertimento le oscillazioni di posizione di Legendre a proposito del
Teorema della somma degli angoli del triangolo.
Un altro punto interessante è relativo al volume della piramide, che in Euclide viene presentato
mediante il metodo di esaustione, e qui pare sia in versione più semplice.
Di fatto Legendre pone attenzione ai due punti critici degli Elementi euclidei, per l’uso
dell’infinito, ma nell’Avvertimento non cita il problema delle proporzioni.
Il ruolo didattico della sua opera è affermato dall’accenno ad «un abile Professore» che dovrebbe
accompagnare lo studio dell’opera.
Si citano anche delle tavole trigonometriche relative ad angoli espressi in gradi decimali (in uso
anche oggi in varie applicazioni tecniche) che fanno parte dell’opera, ma non del volume.
La duodecima edizione, così viene definita, dovrebbe essere almeno del 1823, dato che esiste un
testo pubblicato dallo stesso editore parigino delle precedenti edizioni che specifica trattarsi della
dodicesima.
Per quanto riguarda la numerazione proposta da Legendre in questi appunti si seguirà quella solita,
ad esempio III.20 per indicare la Prop. 20 del Libro III.
VI.3.2.2. L’Avviso dell’editore. Ulteriori informazioni provengono dall’Avviso dell’editore:
«La Geometria di Legendre, le Note alla medesima, e la Trigonometria piana e sferica dello stesso Autore
escono per la quinta volta in lingua Italiana dai torchi Fiorentini. Si è giudicato espediente divider l’Opera in
due Tomi riservando al secondo le note e le due Trigonometrie. La versione è stata accuratamente confrontata
e resa concorde alla duodecima ed ultima edizione Parigina dell’Opera originale: e vi si è unita la Memoria
di Lagrange concernente la soluzione di alcuni probelmi relativi ai triangoli sferici recata essa pure in
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Italiano. Nulla si è omesso di diligenza perché la traduzione riuscisse letterale e fedele, quanto poteva
permetterlo il genio diverso delle due lingue; le tavole delle figure sono state incise con la massima precisione
possibile; e nessuna premura è stata tralasciata per ottenere la più esatta correzione tipografica. »
Si è conservato il corsivo del testo. Questo avverrà anche per il seguito, dato il rilievo assegnato
alla presentazione grafica del testo, pregevole.
Da questo Avviso si desume che purtroppo le
Note di Legendre non sono presenti nel volume
disponibile. Invece è interessante poter attingere
ad un’opera di Lagrange inserita, senza esplicita
menzione, nel testo.
VI.3.3. I Principj del Libro Primo. Il Libro I ha
un titolo, Principj, ed in esso si pongono le basi
dell’opera. In esso si presentano Definizioni,
Spiegazioni dei termini e dei simboli usati, Assiomi e 31 Proposizioni, il tutto in 29 pagine.
In una nota alle definizioni si afferma che nei primi quattro libri si trattano esclusivamente le
figure piane ed in questo Libro I in particolare di figure rettilinee (poligoni), angoli, parallelismo e
perpendicolarità di rette.
VI.3.3.1. Le definizioni del Libro I. Nel riportare il testo di Legendre si conserveranno le
indentazioni del testo, i corsivi, ma come detto, non il tipo di numerazione utilizzata. Anche i
nomi di punti (o rette) vengono indicati in corsivo, ciò che non accade nel testo.
«
Definizione I.1.
La Geometria è una scienza, che ha per oggetto la misura dell’estensione.
L’estensione ha tre dimensioni, lunghezza, larghezza ed altezza.
Definizione I.2. La Linea è una lunghezza senza larghezza.
Le estremità d’una linea si chiamano punti: il punto non ha dunque alcuna estensione.
Definizione I.3. La Linea retta è il più corto cammino da un punto ad un altro.
Definizione I.4. Ogni linea, che non è retta, né composta di linee rette, è una linea
curva.
Così AB è una linea retta, ACDB una linea spezzata (fig. 1), o composta di linee
rette, e AEB è una linea curva.
Definizione I.5. Superficie è ciò che ha lunghezza, e larghezza, senza altezza, o grossezza.
Definizione I.6. Il Piano è una superficie, nella quale prendendo due punti a piacere, e unendo questi due
punti con una linea retta, questa linea stia tutta intera nella superficie.
Definizione I.7. Ogni superficie, che non è piana, né composta di superficie piane, è una Superficie curva.
Definizione I.8. Solido, o Corpo è ciò che riunisce le tre dimensioni dell’estensione.
Definizione I.9. Allorché due linee rette AB, AC (fig. 2) s’incontrano, la quantità più o meno
grande, per cui esse sono distanti l’una dall’altra rispetto alla lor posizione, si chiama angolo; il
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punto d’incontro, o d’intersezione A è il vertice dell’angolo, le linee AB, AC, ne sono i lati.
L’angolo s’indica talora colla sola lettera del vertice A, talora con tre lettere BAC, o CAB, avendo cura di
porre in mezzo la lettera del detto vertice.
Gli angoli sono, come tutte le quantità, suscettibili d’addizione, di sottrazione, di moltiplicazione, e di
divisione; così l’angolo DCE (fig. 20) è la somma dei due angoli DCB, BCE, e l’angolo
DCB è la differenza dei due angoli DCE, BCE.
Definizione I.10. Quando la linea retta AB incontra (fig. 3) un’altra retta CD
talmente che gli angoli adiacenti BAC, BAD siano uguali fra loro, ognuno
di questi angoli si chiama un angolo retto, e la linea AB vien detta
perpendicolare sopra CD.
Definizione I.11. Ogni angolo BAC (fig. 4) minore d’un angolo retto è
un angolo acuto; ogni angolo DEF maggiore del retto è un angolo ottuso.
Definizione I.12. Due linee si dicono parallele (fig. 5) allorché
essendo situate nel medesimo piano non possono incontrarsi, benché si prolunghino
ambedue sino a qualunque distanza.
Definizione I.13. Figura piana (fig. 6) è un piano terminato per ogni parte
da linee.
Se le linee sono rette, lo spazio che esse racchiudono si chiama Figura rettilinea, o
Poligono, e le linee stesse prese insieme formano il contorno o perimetro del poligono.
Definizione I.14. Il poligono di tre lati è il più semplice di tutti, e si chiama triangolo; quello
di quattro lati si chiama quadrilatero; quello di cinque pentagono; quello di sei
esagono, ecc.
Definizione I.15. Si chiama triangolo equilatero (fig. 7) quello, che ha i suoi tre lati
uguali; triangolo isoscele (fig. 8) quello, di cui due soli lati sono uguali; triangolo scaleno (fig. 9)
quello, che ha i suoi tre lati disuguali.
Definizione I.16. Il triangolo rettangolo è quello, che ha un angolo retto. Il
lato opposto all’angolo retto si chiama ipotenusa. Così ABC (fig. 10) è un
triangolo rettangolo in A, e il lato BC è la di lui ipotenusa.
Definizione I.17. Fra i quadrilateri si distinguono:
Il quadrato, che ha i suoi lati uguali (fig.11), e i suoi angoli retti (Vedete la Prop.
I.30.).
Il rettangolo (fig.12), che ha gli angoli retti senza avere i lati uguali (Vedete la
medesima Proposizione).
Il parallelogrammo, o rombo, che ha i lati opposti paralleli (fig. 13).
La losanga, i cui lati sono uguali senza che gli angoli siano retti (fig. 14).
Finalmente il trapezio, di cui due soli lati son paralleli (fig. 15).
Definizione I.18. Si chiama diagonale la linea retta, che unisce i vertici di due
angoli non adiacenti: tale è AC (fig. 42).
Definizione I.19. Poligono equilatero è quello, di cui tutti i lati sono uguali;
poligono equiangolo quello, di cui tutti gli angoli sono uguali.
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Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006
Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi.
Carlo Marchini
Definizione I.20. Due Poligoni sono equilateri tra di loro quando hanno i lati rispettivamente uguali, e
situati nel medesimo ordine, vale a dire, allorché seguitando i loro contorni in un medesimo senso, il primo lato
dell’uno è uguale al primo dell’altro, il secondo dell’uno al secondo dell’altro, il terzo al terzo, e così di
seguito. Nella stessa maniera si concepisce cosa s’intende per due Poligoni equiangoli tra di loro.
In ambedue i casi i lati uguali o gli angoli uguali si chiamano lati o angoli omologhi.
N.B. Ne’ quattro primi Libri non si tratterà che delle Figure piane, o disegnate sopra una superficie piana.»
Dalla Def. I.1. compare subito il concetto di misura (e di estensione). Legendre ha ragione dal
punto di vista filologico, ma si discosta immediatamente dall’immagine di Geometria proposta da
Euclide.
La seguente definizione, in realtà sono due definizioni, che poi definizioni non sono, sono invece
in sintonia con la proposta euclidea.
La Def. I.3. è in sintonia con quanto proposto da Clairaut e da Archimede. Fa riferimento ad una
misura che non è ancora stata precisata. Ora questo era ‘perdonabile’ a Clairaut data
l’impostazione intuitiva del suo trattato, lo è meno a Legendre, che si muove in un contesto più
formalizzato e precisato.
Nella Def. I.4. viene dato per ovvio cosa significhi che una linea è composta da altre linee; lo
stesso avverrà per la composizione di superficie nella Def. I.7, poi introduce il termine ‘spezzata’
senza usare il corsivo, e suggerisce il significato tramite la figura.
La Def. I.6. ripete parzialmente la definizione euclidea, ma individua il piano tra le superficie, con
una proprietà di convessità. In questo caso c’è bisogno di specificare cosa si intenda retta, se la
‘retta’ di Euclide, oppure quello che si intende oggi. Infatti se la linea retta è il più corto cammino
che congiunge due punti, allora sembra essere un segmento. Alla stessa conclusione si giunge con
la Def. I.4 e col disegno che chiarisce cosa intenda l’autore, ed anche nella Def. I.13 in cui si parla
di perimetro di un poligono, cioè le linee prese assieme. Ma in questo caso ogni figura piana
convessa sarebbe un piano, dato che ad esempio un triangolo è tale che «prendendo due punti a piacere,
e unendo questi due punti con una linea retta, questa linea stia tutta intera nella superficie».
Oppure l’aggettivo
intera si riferisce a quello che oggi definiremmo una retta, come insieme illimitato (ed
eventualmente infinito). Ma questo vorrebbe dire che di una retta se ne potrebbe considerare una
parte, ed in tal caso servirebbe un termine per indicare questa diversa situazione. In conclusione
sembra che la mancata accettazione dell’infinito, giochi brutti scherzi a Legendre. E poi non
sembra del tutto corretto parlare di una Definizione, la convessità è una proprietà e qui si sta di
fatto dando un postulato che illustra i rapporti tra piano e retta.
La Def. I.9. è complessa. Non si può dire che sia chiaro cosa sia l’angolo, visto come una quantità,
una distanza. A parte l’attenzione sul come denotarlo, è importante che all’angolo si attribuisca il
ruolo di grandezza, anche se il testo parla di quantità. Ancora meno chiaro è cosa si intenda per
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