Sebastian P. Brock
La spiritualità
nella tradizione siriaca
“È il tempo quando fiorisce il tiglio”
Lipa
INDICE
© 2006 Lipa Srl, Roma
© St Ephrem Ecumenical Research Institute (SEERI), Baker
Hill, Kottayam-Kerala
prima edizione: settembre 2006
I. L’importanza e l’influsso
della spiritualità siriaca ................................................
9
1. Una tradizione cristiana
con una sua specifica fisionomia .........................
2. Le Chiese di tradizione siriaca ...........................
9
13
II. Uno sguardo generale
alla storia della spiritualità siriaca.........................
16
1. Il primo periodo, fino al 400 ca. ......................
2. Il V e il VI secolo................................................
3. Il VII e l’VIII secolo...........................................
4. Autori successivi.................................................
16
21
26
31
III. Gli autori principali e le loro opere .................
33
1. Il primo periodo (fino alla fine del IV secolo)...
33
Edizione italiana accresciuta
Lipa Edizioni
via Paolina, 25
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Autore: Sebastian P. Brock
Titolo: La spiritualità nella tradizione siriaca
(titolo originale: Spirituality in the Syriac Tradition)
Traduzione: Maria Campatelli e Sara Staffuzza
Collana: Pubblicazioni del Centro Aletti
Formato: 130x210 mm
Pagine: 228
In copertina: Barlaam battezza Giosafat, Storia di Barlaam e Giosafat, XIII sec.,
Monastero di Notre-Dame di Balamand, Libano
Stampato nel settembre 2006
Impianti e stampa: Studio Lodoli Sud, Aprilia
Proprietà letteraria riservata Printed in Italy
codice ISBN 88-89667-03-6
Le Odi di Salomone, 33; Gli Atti di Tommaso, 34; Afraate,
35; Efrem, 36; Il Liber graduum, 38
2. Autori siriaci del V e del VI secolo ....................
39
Giovanni il Solitario, 39; Filosseno, 41; Giacomo di Sarug,
42; Stefano bar Sudhaili, 42; Isacco di Antiochia, 44; Narsai,
44; Babai, 45; Abramo di Nethpar, Shubhalmaran, 46
3. Opere greche del V e del VI secolo ...................
46
Le Omelie di Macario, 47; Scritti monastici provenienti
dall’Egitto, 47; Evagrio, 48; Marco l’Eremita, 49; Nilo, 49;
Gli scritti dello Pseudo-Dionigi, 49; Isaia, 50
5
4. Gli autori siro-orientali del VII
e dell’VIII secolo....................................................
51
Babai il Grande, 51; Gregorio di Cipro, 51; Martyrios
(Sahdona), 52; Isacco di Ninive, 53; Dadisho‘, 55; Simone
di Taibuteh, 56; Giuseppe Hazzaya, 56; Giovanni di
Dalyatha, 57
5. Autori siriaci successivi ......................................
57
Giovanni bar Kaldun, 57; Barhebraeus, 58
6. Autori europei occidentali
le cui opere sono state tradotte in siriaco ..............
58
IV. Il primo periodo: alcuni temi importanti .........
59
1. La discesa di Cristo nello Sheol .........................
2. La riapertura del paradiso..................................
3. Cristo, lo Sposo celeste ......................................
4. La salvezza come guarigione ..............................
5. Il Fuoco divino...................................................
6. L’occhio luminoso ..............................................
7. La triplice chiesa ................................................
59
60
63
64
66
69
71
V. La tradizione proto-monastica ...........................
74
VI. La vita cristiana: battesimo ed eucaristia ........
88
1. Il battesimo.........................................................
88
La prospettiva giovannea: il battesimo come rinascita, 90;
La prospettiva paolina: il battesimo come morte e risurrezione, 96
2. Eucaristia/qurbana .............................................
111
VII. Alcuni temi rilevanti........................................
119
1. L’amore divino....................................................
2. Spoliazione e umiltà ...........................................
119
121
6
3. La verginità interiore..........................................
4. Il costato trafitto di Cristo..................................
5. L’offerta interiore della preghiera ......................
125
131
135
VIII. Per ulteriori letture ........................................
138
IX. Piccola antologia di testi ..................................
147
1. Odi di Salomone .................................................
2. Afraate ................................................................
3. Efrem..................................................................
4. Liber graduum ....................................................
5. Giovanni il Solitario ...........................................
6. Isacco di Antiochia.............................................
7. Giacomo di Sarug ..............................................
8. Filosseno.............................................................
9. Sergio di Resh‘aina .............................................
10. Babai di Nisibi..................................................
11. Abramo di Nethpar..........................................
12. Gregorio di Cipro ............................................
13. Martyrios (Sahdona) ........................................
14. Isacco di Ninive................................................
15. Dadisho‘ ...........................................................
16. Simone di Taibuteh ..........................................
17. Giovanni l’Anziano ..........................................
18. Giuseppe il Visionario......................................
19. Abramo di Dashandad.....................................
20. Barhebraeus......................................................
147
151
155
163
164
170
171
195
200
200
201
201
202
204
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211
215
218
220
221
7
I. L’IMPORTANZA E L’INFLUSSO
DELLA SPIRITUALITÀ SIRIACA
1. Una tradizione cristiana con una sua
specifica fisionomia
La spiritualità siriaca costituisce una tradizione cristiana orientale distinta dalle altre; esiste accanto alla spiritualità greca e latina, che sono alla base della tradizione
cristiana occidentale moderna. La sua importanza, all’interno della tradizione cristiana considerata nella sua globalità, sta nel fatto che essa soltanto è un’autentica rappresentante del mondo semitico da cui è uscita la Bibbia:
anche se, naturalmente, la spiritualità greca e quella latina sono anch’esse profondamente radicate nella Bibbia,
tuttavia trovano espressione in lingue non semitiche e in
forme di pensiero occidentalizzate dell’uno o dell’altro
tipo. La piú antica spiritualità siriaca, soprattutto in scritti anteriori al 400 ca., è espressa in forme di pensiero semitiche che ancora non hanno subito un forte influsso da
parte dei modelli della cultura e del pensiero greci.
Considerata da un’altra prospettiva, si può vedere la spiritualità siriaca come il prodotto di una forma di cristianesimo autenticamente asiatico; si contrappone cosí alla spiritualità greca e latina, che sono essenzialmente i prodotti di forme europee di cristianesimo. Dal momento che la
spiritualità siriaca ha autentiche radici asiatiche, è pertanto libera dal bagaglio culturale europeo a cui le forme oc9
La spiritualità nella tradizione siriaca/ S.P. Brock
cidentali del cristianesimo sono solitamente associate. Cosí,
quasi opportunamente, la piú antica forma del cristianesimo in India – risalente agli inizi stessi del cristianesimo –
è questa tradizione cristiana genuinamente asiatica offerta dal cristianesimo siriaco. Di conseguenza, è chiaro che
la spiritualità siriaca ha un ruolo molto importante da giocare attualmente, quando le Chiese dell’Asia, dell’Africa e
dell’America Latina cercano legittimamente di liberarsi
dal bagaglio culturale europeo che hanno ricevuto insieme
al cristianesimo tramite i missionari europei o nordamericani. Qui, nella tradizione siriaca piú antica, incontriamo
una forma di cristianesimo la cui espressione teologica
non è ancora influenzata dalla tradizione filosofica greca,
ma usa forme di pensiero che ancora oggi si accordano molto meglio con il retroterra culturale di queste Chiese.
Dobbiamo perciò riconoscere alla spiritualità siriaca
una sua specifica fisionomia all’interno della spiritualità cristiana. E, in quanto realtà distinta, è chiaro che ha anche
un suo particolare contributo da offrire all’interezza della spiritualità cristiana. Sarebbe sbagliato vedere le tradizioni spirituali siriaca, greca e latina come delle rivali,
ciascuna in gara per primeggiare; ogni tradizione va vista
piuttosto come un complemento alle altre: ciascuna ha il
suo speciale contributo da dare al cristianesimo come un
tutto. Troppo spesso nel passato (e, purtroppo, talvolta anche nel presente) una tradizione ha cercato di dominare
le altre, provocando cosí un serio squilibrio: il risultato è
sempre stato un impoverimento della tradizione cristiana.
Piuttosto, ogni tradizione ha bisogno di riconoscere il valore delle altre tradizioni, e cosí può esserne arricchita.
La spiritualità siriaca ha di fatto sperimentato questo arricchimento nel corso della sua storia. Durante il periodo
10
I. L’importanza e l’influsso
dal V al VII secolo, i cristiani di lingua siriaca subirono un
forte influsso da parte del cristianesimo greco. In questo modo, gli autori siriaci del tempo poterono beneficiare dell’incontro delle due tradizioni spirituali. Tale processo di incontro della tradizione greca con quella siriaca portò ad un
arricchimento, piuttosto che ad un impoverimento; è quanto si può facilmente vedere dalla straordinaria fioritura
della tradizione mistica siro-orientale del VII e dell’VIII secolo. I suoi rappresentanti, come sant’Isacco di Ninive, attingono alle tradizioni spirituali sia siriaca che greca in un
modo straordinariamente creativo e con grande profitto.
Ma l’influsso non ci fu solo da una parte, il greco sul siriaco. Anche la spiritualità siriaca influenzò le tradizioni
greca e latina. Nel V secolo, sant’Efrem godette di un immenso prestigio come poeta e scrittore, e molte delle sue
opere furono tradotte in greco e poi in latino; Efrem divenne cosí una figura ben nota nell’occidente medievale
(sebbene molte delle opere attribuitegli in greco e in latino non siano in realtà sue). Opere siriache sotto il suo nome (autentiche e non) furono fatte conoscere in occidente nelle edizioni e nelle traduzioni latine pubblicate a
Roma da studiosi maroniti all’inizio del XVIII secolo.
Un’ulteriore serie di volumi, editi da T. Lamy alla fine del
XIX secolo, rese disponibili ancora altre opere; il XIX secolo vide anche le prime traduzioni inglesi, rendendo le sue
opere accessibili ad un pubblico molto piú ampio. Nonostante nel 1920 papa Benedetto XV abbia proclamato
sant’Efrem dottore della chiesa, l’interesse per lui è stato
relativamente scarso fino alla seconda metà del XX secolo. Grazie all’eccellente edizione delle sue opere autentiche curata da Dom Edmund Beck per il Corpus Scriptorum
11
La spiritualità nella tradizione siriaca/ S.P. Brock
Christianorum Orientalium (CSCO), negli ultimi decenni
in occidente c’è stato un grande risveglio di interesse per
sant’Efrem e per la sua spiritualità. Per i lettori occidentali, il mondo di sant’Efrem e l’antica spiritualità siriaca sono stati dischiusi in un modo straordinario da Symbols of
Church and Kingdom: A Study in Early Syriac Tradition di
p. Robert Murray. Piú recentemente, si sono resi disponibili un certo numero di traduzioni di inni scelti e alcuni studi sulla spiritualità di Efrem, rendendo cosí accessibile ai
cristiani occidentali questo eminente rappresentante del
cristianesimo siriaco (per le traduzioni in italiano di ogni
singolo autore, ved. cap. 8).
Efrem non fu l’unico autore siriaco di cui alcune opere furono tradotte in greco. Nell’VIII secolo, probabilmente meno di un centinaio di anni dopo la sua morte, una
gran parte degli scritti di sant’Isacco di Ninive venne tradotta in greco nel monastero di San Saba in Palestina. Successivamente, questi lavori furono a loro volta tradotti in
georgiano, latino, portoghese, francese, spagnolo, italiano,
antico slavo, romeno, russo e persino (all’inizio di questo
secolo) in giapponese. Attraverso un’antica traduzione
araba, le opere di sant’Isacco raggiunsero anche l’Etiopia.
Gli scritti dell’eremita siro-orientale Isacco hanno viaggiato
cosí attraverso i confini ecclesiastici e linguistici in un modo veramente sorprendente, e il suo influsso nel XX secolo
è forse maggiore di quanto non lo sia mai stato prima: essi sono assai apprezzati nei monasteri greci ortodossi e la
recente rinascita della vita monastica nella Chiesa copta ortodossa è stata ispirata direttamente da questi testi.
Sant’Efrem e sant’Isacco rappresentano certamente i
personaggi di spicco della spiritualità di tradizione siriaca,
12
I. L’importanza e l’influsso
ed opportunamente le opere di questi due autori sono state rese accessibili in traduzione per le altre tradizioni cristiane. Ciascuno di loro rappresenta un aspetto diverso della spiritualità siriaca, dal momento che sant’Efrem fa parte dell’antica tradizione semitica del cristianesimo siriaco,
mentre sant’Isacco appartiene al periodo in cui questa
tradizione semitica e quella greca si sono incontrate in un
modo originale e fecondo.
2. Le Chiese di tradizione siriaca
La mancanza di attenzione alla tradizione cristiana
orientale in tante opere correnti sulla storia della chiesa dipende in parte dal fatto che molte di queste chiese si sono trovate separate dalle chiese del mondo greco-latino durante il V e il VI secolo, in seguito alle controversie teologiche dell’epoca. La formulazione dottrinale avanzata dal
Concilio di Calcedonia (451), in particolare, si dimostrerà
una pietra d’inciampo, perché l’affermazione che Cristo incarnato era una ipostasi “in due nature” pareva a molti non
solo una impossibilità logica (data la comprensione che
avevano di questi termini tecnici), ma anche pericolosamente eretica, dal momento che sembrava negare la piena realtà dell’incarnazione. Nell’ardore delle controversie
che ne derivarono, le diverse parti rifiutarono di fare un
passo indietro e di esaminare se le loro definizioni, in conflitto da un punto di vista verbale, non potessero essere dovute semplicemente all’uso di modelli concettuali differenti
e ad una comprensione diversa dei termini chiave in discussione. La conseguenza deplorevole di tutto questo fu
l’emergere, nel VI e nel VII secolo, di gerarchie calcedonesi e non-calcedonesi separate nel Medio Oriente.
13
La spiritualità nella tradizione siriaca/ S.P. Brock
Le Chiese non-calcedonesi, oggi abitualmente conosciute come Chiese orientali ortodosse,1 appartengono
tutte alla tradizione cristologica alessandrina di Cirillo
d’Alessandria. Una di esse è la Chiesa siro-ortodossa.2
All’altra estremità del ventaglio teologico si trova un altro
rappresentante importante della cristianità siriaca, la Chiesa
siriaca dell’Est. Per questa Chiesa, il cui centro di gravità
si situava fuori dell’impero romano, nell’impero persiano
(sasanide), era la tradizione teologica antiochena, rappresentata soprattutto da Teodoro di Mopsuestia, a costituire la norma dell’ortodossia.3 Nel corso del V e del VI secolo, la Chiesa dell’Est (che era organizzata già in un patriarcato separato al di là delle frontiere dell’impero romano) si sentí sempre piú estranea agli sviluppi teologici
che avevano luogo nell’impero romano. Per loro, i “concili ecumenici” erano solo degli affari interni all’oikoumene romana: il Concilio di Efeso (431), che essi guardarono con aperta disapprovazione, benché Calcedonia fosse considerata come un rimedio parziale (e, di conse1
Il termine “monofisita” che spesso è loro applicato si presta a
confusione e dovrebbe essere evitato; tutte queste chiese rigettano l’insegnamento di Eutiche, le cui vedute “monofisite” furono condannate dal
Concilio di Calcedonia.
2
Le altre chiese orientali ortodosse sono la Chiesa armena, quella copta e quella etiopica.
3
L’appellativo di “nestoriana” comunemente attribuito a questa Chiesa si presta ugualmente a confusione. Cf soprattutto Pro Oriente,
Syriac Dialogue, I-III (la Fondazione Pro Oriente a Vienna organizza dei
colloqui non ufficiali di teologi della Chiesa cattolica con le Chiese ortodosse e ortodosse orientali; nel 1994 e negli anni successivi hanno
avuto luogo tre colloqui sul tema Dialogue within the Syriac Tradition (tr.
fr.: “La tradition syriaque I-III”, in Istina 40 [1995] e 43 [1998]). Per una
bibliografia su Teodoro di Mopsuestia e la tradizione siriaca, cf Syriac
Studies, n. 244, 266ss.
14
I. L’importanza e l’influsso
guenza, insoddisfacente) ai mali sopraggiunti tra gli anni
431 e 451; il quinto Concilio, quello di Costantinopoli
(553) fu considerato perfettamente retrogrado.
Quasi tutta la letteratura siriaca esistente, a partire dalla metà del V secolo, appartiene all’una o all’altra di queste due chiese. Per completezza, bisogna tuttavia ancora far
menzione di due altri rappresentanti della cristianità siriaca.
Si tratta della Chiesa maronita e di quella melkita, appartenenti entrambe alla tradizione teologica calcedonese.4
Tutte e due hanno le loro radici nella cristianità siriaca e
nascono come chiese separate nel VII secolo, in seguito alle controversie tra monoteliti e diteliti. Mentre nel medioevo la Chiesa melchita ha cambiato la sua lingua liturgica siriaca per l’arabo e il suo rito antiocheno per il rito
bizantino, la Chiesa maronita ha conservato il siriaco come lingua liturgica fino al XX secolo, benché esso ora sia
sempre piú rimpiazzato dall’arabo nel Medio Oriente e
dall’inglese nella diaspora; nondimeno, la sua liturgia conserva molti dei tratti arcaici caratteristici del piú antico cristianesimo siriaco.
La tradizione siriaca costituisce cosí l’eredità di piú
chiese orientali ed è rappresentata ai nostri giorni ovunque
queste chiese si trovino nel mondo; ciò significa non solo
nel Medio Oriente, ma anche nell’India del sud (Kerala),
dove i legami con la cristianità siriaca risalgono ai primi secoli dell’era cristiana, e nella diaspora (soprattutto nel
XX secolo) in Europa, nelle Americhe e in Australia.
4
Anche i cattolici di rito siro-orientale e i caldei (rami della
Chiesa siro-ortodossa e della Chiesa sira dell’Est che sono entrati in comunione con Roma) accettano evidentemente il Concilio di Calcedonia.
15
II. UNO SGUARDO GENERALE ALLA
STORIA DELLA SPIRITUALITÀ SIRIACA
Per il nostro scopo, è utile dividere la storia della spiritualità siriaca in quattro periodi:
1. il primo periodo, fino al 400 ca.;
2. il V e il VI secolo;
3. il VII e l’VIII secolo;
4. autori successivi.
1. Il primo periodo, fino al 400 ca.
Questo periodo di formazione è di particolare interesse per due motivi principali: anzitutto, il cristianesimo
siriaco è ancora essenzialmente semitico nella sua mentalità, e relativamente poco sotto l’influsso dei modelli di pensiero e del mondo culturale greco; il significato attuale di
questo, per la tradizione cristiana nella sua interezza, è stato evidenziato al cap. 1. In secondo luogo, la tradizione
ascetica siriaca autoctona non si era ancora fusa con la tradizione monastica egiziana: solo verso la fine del IV secolo l’influsso della tradizione egiziana si cominciò a sentire
effettivamente.
Le nostre piú importanti testimonianze per questo periodo antico sono le Odi di Salomone (tardo II secolo), gli
Atti di Tommaso (III secolo), Afraate, Efrem e il Liber graduum (il “libro dei gradini”, IV secolo), mentre alcuni
dei suoi temi piú rilevanti sono i seguenti:
16
II. Uno sguardo generale
1. la discesa di Cristo nello Sheol (il mondo dei morti)
2. la riapertura del paradiso
3. Cristo come Sposo celeste
4. la salvezza come guarigione
5. l’occhio della fede.
Questi ed altri temi saranno trattati al cap. 4.
Senza ombra di dubbio, il piú grande autore di questo
periodo è Efrem (m. nel 373). Sebbene Efrem abbia volontariamente evitato di dare una descrizione sistematica
della vita cristiana, l’ampiezza dei suoi scritti mostra che
aveva una spiritualità peculiare, sia profonda che coerente nella sua ampia visione. Il grande abisso ontologico tra
il Creatore (Dio) e la creazione (che include sia gli esseri spirituali che il mondo visibile) può essere attraversato solo da
Dio stesso, cosa che Egli fa per amore della sua creazione:
è soltanto per questo che l’umanità può avere una qualche
conoscenza di Dio. Tale auto-rivelazione dell’amore divino avviene in molti modi diversi, ma non si impone mai
all’umanità, dal momento che il dono del libero arbitrio fatto da Dio all’umanità dà a tale umanità la possibilità di rispondere o meno a questo kenotico amore divino. Cosí l’auto-rivelazione di Dio è visibile solo all’occhio della fede (per
l’“occhio luminoso” della fede, ved. il cap. 4). Questa auto-rivelazione culmina naturalmente nell’incarnazione,
quando Egli “indossò un corpo umano”, ma il processo era
iniziato già nella Scrittura, nell’Antico Testamento, dove
Dio si era degnato di “indossare nomi”, cioè aveva permesso che fossero usate per Lui varie metafore umane, anche se del tutto inappropriate per descrivere la sua vera natura divina. I “nomi” che Dio indossa servono a due scopi: in primo luogo, rivelano all’umanità qualche piccola idea
17
La spiritualità nella tradizione siriaca/ S.P. Brock
del suo vero essere; e, in secondo luogo, fanno da schermo
per proteggere l’umanità dallo splendore accecante e irresistibile della piena rivelazione divina:
Con il raggio che viene da Lui
Cristo ha addolcito il suo stupendo potere:
non è affatto che sia divenuto piú debole,
era per far piacere a noi che lo ha attenuato, per il nostro bene.
Noi lo abbiamo rappresentato come un “raggio”,
anche se questa non è la sua somiglianza,
perché non c’è niente che lo può con esattezza figurare.
Egli permette di essere raffigurato con molti paragoni,
cosí che possiamo conoscerlo secondo la nostra capacità.
(Efrem, Inni sulla fede 6, 3)
Prima dell’incarnazione nella carne, allora, Dio si era già
incarnato, per cosí dire, nel linguaggio umano, nel linguaggio della Scrittura. Per i cristiani, che vivono dopo l’incarnazione, Dio prosegue questa continua auto-rivelazione avendo come suoi “due testimoni” la Scrittura e il
mondo naturale: in entrambi sono nascosti innumerevoli
tipi e simboli che agiscono da indicatori di Dio, rivelando
l’uno o l’altro aspetto della pienezza inconoscibile del suo
vero Essere. Questi simboli e tipi sono visibili solo all’occhio della fede e, quanto è maggiore la fede, tanto piú questi tipi e simboli divengono visibili e tanto piú Dio si rivela alla persona che possiede tale occhio.
Per Efrem, il termine “simbolo” (in siriaco, raza, letteralmente “mistero, sacramento, segreto”) ha un senso molto forte, perché il simbolo partecipa realmente della realtà
18
II. Uno sguardo generale
che simboleggia: il simbolo possiede un “potere (o significato) nascosto”, che appartiene alla realtà che rappresenta.
La persona che ha l’occhio di fede veramente luminoso è capace di cogliere simboli dappertutto, sia nella
Scrittura che nel mondo naturale, tutti indicatori e rivelatori di aspetti diversi dell’azione dell’amore divino. Il
mondo creato assume cosí un carattere sacramentale e allo stesso tempo diventa evidente l’intrinseca interconnessione di ogni cosa. Grazie a questa “discesa” di Dio nel
mondo creato, l’umanità ha la possibilità di “salire” la
scala dei simboli verso Dio, come dice Efrem, rivolgendosi
a Cristo:
Signore, ti sei chinato e hai indossato i tipi dell’umanità
cosí che l’umanità potesse crescere attraverso il tuo auto-abbassamento. (Efrem, Inni sulla fede 32, 9)
La visione spirituale di Efrem percepisce l’intimo legame tra il mondo fisico e il mondo spirituale; mentre la
caduta – il cattivo uso del libero arbitrio – ha provocato
uno stato di separazione e di dissonanza tra questi due
mondi, Cristo ha offerto i mezzi per ristabilire l’armonia,
e tale armonia può essere colta come una realtà dalla persona che possiede questo interiore occhio luminoso della
fede. D’altra parte, il venir meno nella cura di questo occhio interiore condurrà al cattivo uso del libero arbitrio e
alla incapacità di cogliere la sacramentalità del mondo
naturale e l’interconnessione di tutto e di tutti. In questo,
sant’Efrem anticipa in un modo profondo molto del pensiero ecologico moderno.
19
La spiritualità nella tradizione siriaca/ S.P. Brock
L’antica tradizione ascetica siriaca (di cui Afraate è un
importante testimone) ha molti tratti caratteristici che la
distinguono dalle altre tradizioni, particolarmente le ricche
connotazioni del termine ihidaya (usato per coloro che seguivano Cristo l’Ihidaya [l’Unigenito] in un modo risoluto), e l’istituzione (se si può chiamare cosí) di bnay qyama
o “figli (membri) dell’alleanza”, cioè “vergini” (uomini e
donne) e qaddishe, o “consacrati”, che avevano tutti pubblicamente assunto alcune forme del voto ascetico di castità al momento del battesimo. Dal momento che tali caratteristiche appartengono tutte al periodo precedente a
quello in cui il monachesimo cenobitico, nato in Egitto,
prese piede in Siria e nel nord della Mesopotamia, questo
autoctono sviluppo ascetico siriaco può essere chiamato
“proto-monachesimo”; se ne parla al cap. 5.
Nel Liber graduum, della fine di questo primo periodo,
troviamo tracciata una distinzione tra i comandamenti
“maggiori” e quelli “minori” dei vangeli. I “comandamenti minori” sono sintetizzati nella regola d’oro: “non si
deve fare a nessuno ciò che è detestabile per se stessi; e ciò
che si desidera che gli altri facciano a noi stessi, si deve farlo a chi si incontra” (Discorso I, 4). Coloro che si limitano
a osservare i “comandamenti minori” sono i “giusti”. I “comandamenti maggiori”, d’altra parte, richiedono una completa rinuncia alla famiglia, al matrimonio e alla proprietà,
e coloro che li seguono sono i “perfetti”, gli “adulti”.
Usando l’analogia di Eb 5,13-14, i comandamenti minori
sono il “latte” per i bambini, mentre i comandamenti
maggiori sono il “nutrimento solido per gli uomini adulti, o perfetti”.
II. Uno sguardo generale
2. Il V e il VI secolo
Sebbene gli autori siriaci del IV secolo (soprattutto
Efrem) non fossero affatto ignari di ciò che stesse accadendo nella parte del mondo che costituiva il loro occidente e che parlava greco, l’influsso di questo ambiente
non è di solito considerevole nei loro scritti. Nel corso del
V e del VI secolo (proseguendo fino al VII secolo inoltrato), la cultura e la letteratura cristiane greche divennero sempre piú influenti tra gli autori siriaci ed un grande
numero di opere greche fu tradotto in siriaco, comprese
molte che avrebbero avuto un profondo influsso nella
successiva spiritualità siriaca.
Forse il piú importante degli autori siriaci di questo periodo è Giovanni l’Ihidaya (convenzionalmente tradotto come “il Solitario”, ma per la gamma completa dei sensi
della parola ved. il cap. 5). Nonostante la sua evidente importanza, è ancora un autore poco conosciuto, e molte delle sue opere non sono ancora state pubblicate. Molti autori siriaci successivi (tra di loro Isacco di Ninive) seguirono la sua triplice divisione della vita spirituale: del corpo, dell’anima e dello spirito (Giovanni naturalmente si basa anch’egli su Paolo: 1Ts 5,23). Molte delle sue lettere riguardano l’insegnamento della “vita nuova” della risurrezione, che chi è battezzato dovrebbe sforzarsi di anticipare già in questo mondo (il battesimo, esso stesso una
morte al peccato, è inteso come una risurrezione, un anticipo sulla risurrezione generale). Un insegnamento meno elaborato, e di natura molto pratica, si trova nella sua
Lettera ad Esichio.
Efrem aveva già fatto vedere nel IV secolo che la poe-
20
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La spiritualità nella tradizione siriaca/ S.P. Brock
sia poteva essere il mezzo per esprimere in modo eccellente
una profonda spiritualità. Anche se nessun poeta successivo ha mai raggiunto la stessa altezza, un poeta del V-VI
secolo si merita in questo contesto una particolare menzione: Giacomo di Sarug. Sebbene la maggior parte delle
sue omelie in versi siano esposizioni di passi della Scrittura,
non è solo un poeta didattico di qualità (come il suo omologo siro-orientale, Narsai). Talvolta il suo uso della tipologia assume dimensioni mistiche, come ad esempio nella sua Omelia sul velo di Mosè (ved. cap. 9).
Nei suoi scritti ascetici, Filosseno prende dal Liber graduum la contrapposizione tra i comandamenti evangelici
minori e maggiori. Coloro che seguono semplicemente i comandamenti minori percorrono la via della giustizia, una
via che corrisponde al periodo della vita di Cristo precedente al suo battesimo. La via della perfezione, seguita da
coloro che cercano di adempiere i comandamenti maggiori,
corrisponde al periodo della vita di Cristo dopo il suo
battesimo. Filosseno paragona le due vie ai diversi stadi della crescita umana (ma tralascia l’analogia usata in Eb 5): la
via della giustizia corrisponde al periodo della crescita
dell’embrione nel grembo; solo con la nascita comincia la
via della perfezione. La nascita significa qui per Filosseno
“l’appercezione per realizzare la nostra prima [spirituale]
nascita”, cioè il battesimo.
Un’altra importante caratteristica della spiritualità di
Filosseno è il suo concetto della vita cristiana secondo un
duplice modo di esistenza dopo il battesimo: il modo del
corpo (pagranutha) e il modo dello spirito (ruhanutha).
Prima del battesimo, una persona esiste soltanto nel modo del corpo, ma dopo il battesimo esiste contempora22
II. Uno sguardo generale
neamente in entrambi i modi: il modo del corpo, per natura, e il modo dello spirito, per grazia. Si tratta esattamente
dell’opposto di quanto accade con la Parola divina: prima
dell’incarnazione, la Parola esiste per natura nel modo
dello spirito, ma dal momento dell’incarnazione esiste anche contemporaneamente, per grazia, nel modo del corpo.
Queste due caratteristiche mettono in evidenza la “complementarità” tra il ruolo di Cristo e quello del cristiano e,
allo stesso tempo, prestano una grande attenzione al ruolo del battesimo e alle implicanze che esso ha per ogni serio sforzo nell’imitazione di Cristo.
Nel corso del V secolo e della prima parte del VI, una
serie di importanti testi greci sulla spiritualità furono tradotti in siriaco, soprattutto le opere di Evagrio Pontico, le
omelie di Macario, Abba Isaia, varie opere monastiche di
provenienza egiziana, Marco l’Eremita, e il corpus di scritti attribuiti a Dionigi l’Areopagita. È chiaro che tutti questi testi erano ampiamente letti nei circoli monastici siriaci, e non di rado erano citati dagli autori di tale contesto.
In alcuni casi avevano persino dei commentari.
Di questi autori greci, il piú influente fu Evagrio Pontico
(m. nel 399). Sant’Isacco di Ninive, riconoscendo i suoi
grandi poteri di discernimento psicologico e spirituale, parla di lui come “il maestro di quelli dotati di conoscenza spirituale”. Evagrio aveva un triplice schema per descrivere
gli stadi dello sviluppo spirituale e, in considerazione del
suo influsso e della sua importanza, qui sarà necessario accennarvi:
1. la vita “attiva” (in greco, praktike), che significa non
tanto la vita attiva da un punto di vista esteriore (cioè di
atti di carità), quanto la lotta interiore per eliminare atti,
23
La spiritualità nella tradizione siriaca/ S.P. Brock
pensieri e passioni peccaminosi. Lo scopo di questo stadio
è raggiungere l’“impassibilità” (in greco, apatheia), uno stato di equilibrio e di libertà spirituale, che significa la capacità di amare.
2. e 3. la vita “contemplativa” (in greco, theoretike), divisa in due parti:
2. la “contemplazione naturale” (in greco, physike). In
questo stadio la persona è in grado di contemplare il mondo naturale e di vedere in ogni cosa degli indicatori che indirizzano la mente a Dio (cf la visione di Efrem dei simboli
nella natura come indicatori verso Dio). Questa contemplazione naturale è suddivisa in “prima” e “seconda contemplazione naturale”, dove la “prima” comporta la contemplazione della creazione invisibile, cioè degli angeli e
del mondo spirituale, e la “seconda” la contemplazione
della creazione visibile.
3. La seconda parte della “contemplazione” (theoria) è
chiamata “theologia”, o consapevolezza della Trinità. È lo
stadio della “preghiera pura”, che implica il mettere da parte tutti i pensieri (sia buoni che cattivi).
Evagrio rappresenta la tradizione intellettuale della spiritualità greca, e si contrappone alla tradizione piú esperienziale ed affettiva rappresentata dalle omelie di Macario,
dove si sottolinea la consapevolezza da parte del cristiano
dell’attività dello Spirito Santo. Mentre per Evagrio il punto centrale della persona spirituale è la mente, o intelletto
(in greco, nous), il punto centrale nelle omelie di Macario
è il cuore, secondo la visione biblica (bisognerebbe tuttavia ricordare che nella Bibbia il cuore non è solo la sede delle emozioni, come nell’uso moderno; è anche la sede delle facoltà intellettuali, e quindi il contrasto tra Evagrio e le
24
II. Uno sguardo generale
omelie di Macario non è necessariamente cosí grande come potrebbe sembrare a prima vista).
Degli altri testi greci tradotti in siriaco, solo quelli attribuiti a Dionigi l’Areopagita tentavano di offrire un quadro sistematico. L’anonimo autore, che deve essere vissuto in Siria nel 500 ca., fu fortemente influenzato dalla filosofia neoplatonica, e in particolare dal filosofo neoplatonico
Proclo (m. nel 485). Le opere di Dionigi descrivono il
processo con cui l’intera creazione diventa unita al suo
Creatore ed è essa stessa “divinizzata”. Il processo è visto
in tre stadi: purificazione, illuminazione e, infine, unione.
Questo triplice modello dette prova di essere molto popolare, soprattutto tra i mistici medievali occidentali (l’influsso di Dionigi fu molto maggiore nel cristianesimo occidentale che nella tradizione cristiana greca o siriaca).
Dionigi parla di una discesa divina, per mezzo della quale Dio rivela se stesso nei simboli e nel linguaggio (cf
Efrem per l’idea, ma i due autori usano un linguaggio assai diverso). Tale processo di rivelazione ha luogo attraverso
una serie di gerarchie discendenti (celesti, ecclesiastiche),
ciascuna raggruppata in triadi, cosí che la triade piú alta dei
nove ordini della gerarchia celeste è composta di Serafini,
Cherubini e Troni, mentre nella gerarchia ecclesiastica
troviamo Sacramenti, Iniziatori (cioè sacerdoti) e Iniziati.
La discesa divina rende pertanto possibile l’ascesa umana;
essa avviene a sua volta attraverso ciascuna delle gerarchie.
Cosí, ad esempio, nella triade dei Sacramenti, degli Iniziatori e degli Iniziati dentro la gerarchia ecclesiastica, l’ordine
inferiore (quello degli Iniziati) è elevato all’ordine maggiore
(i Sacramenti) dall’ordine intermedio, cioè gli Iniziatori. Il
processo di ascesa implica uno svuotamento dei pensieri e
25
La spiritualità nella tradizione siriaca/ S.P. Brock
delle immagini (la cosiddetta via apofatica) mentre ci si avvicina alla “luce inaccessibile” (cf 1Tm 6,16): questa luce
è cosí luminosa che abbaglia, e Dionigi perciò parla abitualmente di essa come di un’“oscurità” (seguendo Gregorio di Nissa, che si basa su Es 20,21).
Gli scritti di Dionigi furono senza dubbio conosciuti in
traduzione siriaca da molti autori siriaci successivi, ed il loro autore è citato per nome molte volte da Isacco di
Ninive. Nell’VIII secolo, Giuseppe il Visionario cercò di
indicare le corrispondenze tra gli stadi di Dionigi e quelli di altri autori, come Evagrio e Giovanni il Solitario (vedi infra).
3. Il VII e l’VIII secolo
Questo periodo coincide con un tempo di grandi cambiamenti politici nella patria della cultura siriaca, gli attuali
Siria ed Iraq, perché negli anni 630-640 gli arabi misero fine, con successo, al dominio bizantino in Siria e a quello
sasanide (persiano) in Iraq. Sebbene in conseguenza ci fossero conversioni all’islam, tuttavia esse non si verificarono
(tranne negli stati del Golfo) su larga scala, e la maggior
parte delle Chiese siriache continuò a godere di buona salute sotto i nuovi dominatori politici.
Durante questo periodo, la Chiesa d’oriente fu testimone di una fioritura veramente eccezionale di letteratura monastica sulla vita spirituale. Gli inizi di questa letteratura in realtà risalgono alla seconda metà del VI secolo
(un periodo in cui aveva avuto luogo un risveglio monastico), ed i grandi autori del VII secolo come Martyrios,
Dadisho‘, Simone di Taibuteh (o della Grazia), e soprat26
II. Uno sguardo generale
tutto Isacco di Ninive (Isacco il Siro), semplicemente proseguivano una tradizione di scritti sulla vita spirituale che
era già iniziata con Abramo di Nethpar e Shubhalmaran
nelle generazioni precedenti.
Molti autori di questo periodo furono visti con sospetto da qualche autorità ecclesiastica, e in alcuni casi le
loro opere furono in effetti condannate perché accusate di
insegnare la dottrina messaliana o altre dottrine eretiche –
un’accusa basata su un equivoco.
L’ampia opera di Martyrios, dal titolo Libro della perfezione si staglia in qualche modo isolata sulle altre opere
di questo periodo. In primo luogo è un’opera costruita con
accuratezza (anche se rimane essenzialmente un testo di
esortazione piuttosto che di istruzione sistematica sulla vita spirituale), il che è in antitesi con le opere della maggior
parte degli altri autori, i cui trattati mostrano pochi segni
di interesse nell’organizzazione letteraria, tranne l’uso occasionale della collezione di cento brevi detti (la “Centuria”), un genere reso popolare da Evagrio con le sue Centurie sulla conoscenza spirituale. In secondo luogo, Martyrios cita spesso la Bibbia direttamente, mentre gli altri autori sono molto piú allusivi nel loro uso della Scrittura (anche se tutti presuppongono chiaramente che i loro lettori siano assidui con il testo biblico). Una conseguenza del
forte orientamento biblico di Martyrios è la rilevanza che
egli dà al cuore come centro della persona interiore (autori piú influenzati da Evagrio e da altri greci sono piú inclini a parlare di “mente”).
Indubbiamente, l’autore piú conosciuto di questo periodo è sant’Isacco di Ninive. Isacco si staglia come uno dei
giganti tra gli autori sulla vita spirituale e, attraverso le tra27
La spiritualità nella tradizione siriaca/ S.P. Brock
duzioni in altre lingue, le sue profonde illuminazioni sono state ampiamente apprezzate dai cristiani di altre
Chiese. Isacco non ha nessun interesse ad offrire un manuale organizzato o una guida per la vita spirituale; piuttosto, attinge ad una varietà di differenti tradizioni piú antiche, sia siriache che greche, e le usa in un modo eclettico per accordarle al suo scopo immediato. Come Efrem e
Martyrios prima di lui, Isacco pone una grande enfasi
sull’amore divino; ad un certo punto Isacco scrive: “Una
è la causa dell’esistenza del mondo e della venuta di Cristo
nel mondo, la rivelazione della grande carità di Dio, che
ha mosso entrambi ad esistenza” (Centuria IV, 79),1 e poco prima afferma che “la morte di nostro Signore non fu
per salvarci dai peccati, nient’affatto, né per altro [motivo], se non [quello] solo che il mondo percepisse la carità
che Dio ha avuto per la creazione” (Centuria IV, 78).2
Questo amore divino si manifesta nella cura provvidenziale
sperimentata da coloro che “si sforzano di mettere su Dio
la loro cura, scambiando cosí la cura per sé con quella per
Dio”. Questa cura provvidenziale “circonda tutti in ogni
momento, ma non è vista, tranne da coloro che hanno purificato loro stessi dal peccato e pensano a Dio continuamente”. L’amore kenotico di Dio cerca di essere corrisposto dall’amore umano che ha bisogno anch’esso di essere kenotico e, per giungere ad un amore del genere, è richiesta una profonda umiltà. Con la vera umiltà una persona vedrà gli altri dalla prospettiva di Dio, e non da una
1
Tr. it. di P. Bettiolo, in Isacco di Ninive, Discorsi spirituali,
Qiqajon, Bose 19902, 185.
2
28
Ibid., 183.
II. Uno sguardo generale
prospettiva umana. Come risultato, quella persona sarà colmata dalla stessa immensa compassione che Dio stesso rivela (sul tema dell’umiltà, ved. infra al cap. 7).
È chiaro dalle opere di sant’Isacco che egli ebbe numerose esperienze mistiche; cosí, ad esempio, scrive:
“Un calore ardente brucia nel cuore e sorge nell’anima una gioia ineffabile. Inoltre, dolci lacrime
inumidiscono le guance; esultanza spirituale rende ebbra la mente; consolazioni inspiegabili sono ricevute
dall’anima; la speranza sostiene il cuore e lo rafforza.
Allora per lui è come se dimorasse in cielo” (Parte I,
80).
Due altri autori del VII secolo, Dadisho‘ e Simone di
Taibuteh (o della Grazia), dovrebbero almeno essere menzionati, dal momento che i loro scritti contengono molti
passi di grande discernimento spirituale. Come il loro
contemporaneo sant’Isacco, attingono ecletticamente alla materia dagli autori precedenti.
Nell’VIII secolo la Chiesa d’oriente produsse altri due
grandi autori della tradizione mistica, Giuseppe Hazzaya,
o il Visionario (che scrisse anche sotto il nome di suo fratello, ‘Abdisho‘), e Giovanni l’Anziano (o Giovanni di
Dalyatha, come a volte è conosciuto). Giovanni è stato
chiamato il “teorico della tradizione siro-orientale”, dal
momento che in alcuni dei suoi scritti offre un’esposizione piú sistematica dei vari stadi o livelli della vita spirituale.
Qui offre una sintesi delle tradizioni precedenti, seguendo un modello tripartito:
1. Lo stadio del corpo (Giovanni il Solitario), che corrisponde alla praktike di Evagrio e alla purificazione di
Dionigi. Questo stadio riguarda anzitutto le pratiche este29
La spiritualità nella tradizione siriaca/ S.P. Brock
riori, il digiuno, le veglie, la recita dei salmi ecc.; nel contesto monastico, esso appartiene essenzialmente alla vita cenobitica.
2. Lo stadio dell’anima (Giovanni il Solitario), che corrisponde alla “contemplazione naturale” di Evagrio e all’“illuminazione” di Dionigi. Questo stadio riguarda anzitutto la pratica delle virtú interiori dell’umiltà, della perseveranza ecc.; nel contesto monastico, appartiene essenzialmente alla vita del solitario (l’eremita normalmente
trascorreva la settimana da solo e poi si univa alla comunità monastica a cui apparteneva per la liturgia il sabato sera e la domenica). Lo scopo di questo stadio è shafyuthas,
che nel contesto significa approssimativamente “serenità”
(su questo termine ved. il cap. 4).
3. Lo stadio dello spirito (Giovanni il Solitario), che corrisponde alla “teologia” di Evagrio e alla “unione” o “unificazione” di Dionigi. Questo stadio superiore non si occupa piú delle attività dei sensi e dell’anima, ma di quelle
dello spirito: lo spirito raggiunge uno stato di non-attività,
o di quiete, ed è solo la grazia che lo muove. Si tratta dello stadio elevato in cui si raggiunge la “preghiera pura”
(Isacco ha già da dire molto su questo), e dove può essere
concessa una visione della luce senza forma della Trinità.
Giovanni l’Anziano è un autore molto piú intuitivo, e
le sue Lettere spirituali sono degne di nota per il grande fervore della loro espressione e per l’intensità con cui egli descrive i sensi spirituali. Allo stesso modo di Giovanni il
Solitario (e di altri autori siriaci) prima di lui, egli vede la
vita battesimale come un’anticipazione della risurrezione,
a patto che sia vissuta nella sua piena potenzialità.
30
II. Uno sguardo generale
4. Autori successivi
Come i loro contemporanei che scrivevano in greco e
in arabo, gli autori siriaci del IX e dei secoli immediatamente successivi tendevano ad avere un carattere enciclopedico. L’esempio notevole di questo atteggiamento è dato dal grande erudito siro-ortodosso, Gregorio Abu’l Faraj,
piú noto come Barhebraeus (m. nel 1286). Nel suo Ethicon,
Barhebraeus si occupa di una compilazione di norme generali riguardanti la vita cristiana (sia laica, che monastica)
esposta in forma sistematica. Un’opera piú breve, il Libro
della Colomba, è concepito come una guida per i monaci
che non hanno un direttore spirituale. In entrambe queste
opere, Barhebraeus fa uso non solo dei piú antichi autori
siriaci e greci, ma anche degli scritti di certi autori musulmani che scrivevano sulla vita mistica, soprattutto AlGhazali (m. nel 1111). In particolare, segue Al-Ghazali nel
sottolineare che non è legittimo – e neanche possibile – descrivere con parole le esperienze mistiche.
Tranne questi due libri di Barhebraeus, quasi non sono state fatte edizioni di opere sulla vita spirituale che risalgano al periodo della “rinascita” della letteratura siriaca nel XII e nel XIII secolo. Per l’epoca successiva, fino ai
nostri giorni, la situazione è quasi la stessa, e questo periodo della letteratura siriaca resta ancora ampiamente
inesplorato.
Dalla seconda metà del XVI secolo in poi, le Chiese siriache sono venute sempre piú in contatto con il cristianesimo occidentale, prima attraverso l’opera dei missionari
cattolici (dal XVII secolo in avanti), e poi attraverso le missioni protestanti (dal XIX secolo). Questi contatti hanno
fatto sí che vari classici di spiritualità occidentale siano sta31