ISTITUTO RICERCHE DI GRUPPO SCIENZA PSICOTERAPEUTICA (SPT): UN APPROCCIO ALLA VITA UMANA Nicola Gianinazzi – Lugano 2014 1 2 3 Copertina: “Felci e frattali” © 2014 Edizioni IRG 4 Dedicato a Michela, Robin e Abigail I miei ringraziamenti vanno all’ASP, all’IRG e alla mia famiglia. 5 6 ISTITUTO RICERCHE DI GRUPPO SCIENZA PSICOTERAPEUTICA (SPT): UN APPROCCIO ALLA VITA UMANA Nicola Gianinazzi – Lugano 2014 7 8 Scienza 1 psicoterapeutica (SPT): un approccio alla vita umana 1. Introduzione La ricerca applicata si focalizza in psicoterapia sulla relazione e quindi la psicodinamica tra terapeuta e analista, ma ogni relazione è per definizione intersoggettivamente unica e irripetibile, e si conforma nella realtà fenomenologica di un terzo: la relazione umana appunto. Tecnica attiene invece al controllo, al dominio ed alla ripetibilità dell’esperienza secondo regole rigide che tendono ad escludere i soggetti in interazione e la novità del terzo simbolico (come cifra immanente-trascendente) che sola può trasformare e “guarire”. Grawe 2 stesso applica la tecnica prevalentemente al disturbo tecnico per antonomasia costituito dalla fobia – funzionale per antonomasia – ma ne parla solo per analogia rispetto ai disturbi e alle sindromi dell’essere umano in sé come possono essere le depressioni e le psicosi. Inoltre rimanda, senza approfondire altrimenti, la questione della declinazione della tecnica per il paziente specifico – quello depresso in particolare – alla sua Um- e Mit-Welt: ermeneutica e cultura, biografia e storia. Non dunque un problema di superficie, bensì sostanziale e capace di critica di tutto l’apparato fin qui esposto dal teorico della neuro-psicoterapia, quando la si volesse assumere invece in un senso eccessivamente riduttivo. Se dunque intendiamo spostare alcuni accenti dal quantitativo al qualitativo, dalla tecnica al relazionale e dalla ragione al simbolico, di cui il mito si nutre, occorre che riflettiamo attorno al tema della relazione del simbolo con il mito e le passioni che il mito racconta, e di questi con gli uomini e le donne che ci incontrano in psicoterapia. Non più solo applicazione di criteri di efficacia, efficienza ed economicità, ma anche criteri di umanità, unicità e ulteriorità. Ciò che rende l’uomo umano – incontrando il pensiero del filosofo Noë 3 – sono la sua storia sviluppatasi tra altri uomini e donne nel suo mondo: la sua coscienza della vita e la vita della sua coscienza dentro-fuori, dove il trattino ha il valore del cervello, ma non può esaurire nessuno dei due altri termini. 1 2 3 Intesa non solo ma anche come scienza ideografica (umana), non solo ma anche nomotetica (naturale), secondo una concezione della scienza dialettica e complessa. Scientifico è allora quanto può essere organizzato in quanto conoscenza e comunicato – nell’ambito di un sistema scientifico – in modo coerente e sistematico. Cfr. Grawe, 2004, per es. pp. 29-38 e 433-440 . Alva Noë (1964) – filosofo della mente, studente di Oxford, dottorando di Harvard – insegna all’Università della California. Colpisce il suo approccio cosiddetto “esternalista”: noi non siamo il nostro cervello, piuttosto quest’ultimo è parte del nostro mondo. La psicoanalisi dal canto suo intende il mondo come un dentro proiettato verso l’esterno ed un esterno introiettato continuativamente in un mondo interiore emotivo, affettivo, onirico e cognitivo. 9 2. 2.1. 1. La relazione soggetto-oggetto in filosofia e la sua applicazione in psicoterapia I classici greci: Platone ed Aristotele 4 Nel tracciare alcuni tratti del mondo della filosofia antica, desidero far prevalere una lettura psicoterapeutica. Una lettura attenta quindi all’incidenza degli affetti e delle passioni sul pensiero cognitivo, anche scientifico, che possa arricchire il nostro modello di funzionamento dell’apparato per pensare 5 e il suo corrispettivo filosofico di Menschenbild e Weltanschaung. E’ infatti solo da questa riflessione filosofica che l’umano può venir compreso nella sua umanità, non solo scientifica e razionale, ma pure rituale, mitica, artistica e religiosa. Non solo: l’umano sa ancora appassionarsi tra entusiasmi e innamoramenti ragionando a posteriori, ma mosso dall’emozione a priori. In questo i filosofi classici hanno ancora molto da insegnarci a contatto com’erano col mito, la religione antica e la tragedia. In questa loro concezione della ragione essa si staglia su uso sfondo affettivo-simbolico-passionale ancora ben presente a differenza del rapporto contemporaneo tra scienza e non razionalmente spiegabile. 6 In altre parole il principio di non-contraddizione conviveva in modo stretto con l’universo contraddittorio della tragedia (per es. tra ciclicità del mito e destino della libertà dell’eroe) che veniva rappresentata nei teatri: logica applicata alla teoria e pratica – passioni e vita – immersa nell’irrazionale. Nel mondo greco antico addirittura l’insieme degli oggetti del mondo – kosmos – supera e oltrepassa di gran lunga l’importanza ed il ruolo riconosciuto all’anthropos e al suo logos: siamo insomma molto lontani dall’antropocentrismo di origine giudaico-cristiana che tanto influenza la nostra era. Ciò che sembra caratterizzare, sul piano formale, il pensiero platonico è l’importanza data ai fondamenti metafisici dell’esistente nel mondo delle idee, a cui partecipano gli enti e attinge la memoria del filosofo, colpito nell’atto del ricordare da un’esperienza non solo cognitiva , ma anche affettiva. Sappiamo quanto l’affetto legato ad un ricordo possa mutare la nostra percezione spaziotemporale e colpirci somaticamente ed emotivamente. Platone esplora la dimensione metafisica ma introspettivamente e spiegandola miticamente con l’allegoria del rapporto tra la luce e le ombre di una caverna: memore appunto dell’esperienza travolgente dell’universo irrazionale delle passioni. D’altro canto il metodo aristotelico sembra avvicinarsi maggiormente al metodo sperimentale delle moderne scienze naturali, seppur sia per sua natura profondamente speculativo e avvicini comunque l’esperienza tramite una combinazione di osservazione e introspezione. Ma la metafisica, l’ontologia ed i ‘perché’ della realtà e delle esperienze occupano con prepotenza il proprio posto, in piena sintonia con la classicità. 4 5 6 Platone (Atene, 428 – Atene, 348 a.C.) allievo di Socrate (Atene, 469 – Atene, 399 a.C.) e maestro di Aristotele (Stagira, 384 – Calcide, 322 a.C.). Il Symposion di Platone influenzerà gran parte del Rinascimento umanista fiorentino, ma scrisse pure innumerevoli opere sistematiche. Aristotele per contro, considerato filosofo dell’immanenza, va letto comunque a partire dalla sua metafisica. Entrambi non sono dunque così facilmente etichettabili e contapponibili. Definizione di mente che ha le sue origini in Bion: se il termine “apparato” attiene ad un certo positivismo psicologico ottocentesco, quello di “per pensare” ad una dimensione fenomenologica, come vedremo più avanti. Va comunque osservato che, curiosamente, il concetto di mente è solo difficilmente traducibile in tedesco, la lingua di tanto positivismo psicologico. In tedesco incontriamo il concetto come “Geist”, il qual termine sembra avere più a che fare con la filosofia e la teologia che non con la psicologia, quasi a dimostrare quanto sia storicamente e quindi epistemologicamente scorretto tener separati gli ambiti. Cfr. Galimberti, Psiche e techne. 10 Questa introspezione speculativa e dialettica fonda la ‘maieutica’ quale metodo di ricerca della verità su se stessi, gli altri e le cose, quale precursore costitutivo del dialogo psicoanalitico, verbale e non. La relazione dialettica e terapeutica getta le sue radici nelle lezioni di Socrate, che considera quest’arte omologa al lavoro di un’ostetrica. La terapia e l’analisi trovano allora filosoficamente e logicamente il supporto incrociato al modello della ‘seconda gravidanza’ o della ‘gravidanza nel corpo sociale’ 7. La terapia guarisce, fa crescere e sviluppa la persona nel dialogo con un suo simile, all’interno di una relazione capace di consentirgli il ricordare, ripetere e rielaborare ciò che è rimasto ferito, fissato o bloccato nella prima e/o nella seconda gravidanza. Il terapeuta, come un’ostetrica, funge da accompagnatore e facilitatore, da specchio vivente e da oggetto-soggetto capace di una funzione alfa 8 e di una simbolica sufficientemente buone. Nella relazione psicoterapeutica la pazienza consente infatti alla simbiosi di trasformarsi da fantasia – prodotto ancora della sola immaginazione privata – a simbolo, come risultato dell’incontro tra ciò che resta del materno perduto con ciò che si ri-trova nel reale condiviso intersoggettivamente. Si tratta di aprire il dialogo tra una ricerca platonica prima ed aristotelica poi – prettamente speculative anche se supportate dall’osservazione – e la pratica clinica, cioè tra filosofia e psicoterapia. Quel dialogo che aldilà delle forme esplora anche i sensi trattati dai filosofi del passato e da quelli di oggi che sono sempre quelli che si presentano nella relazione terapeutica: dove appunto ancora osservazione e introspezione, transfert e controtransfert, rimangono strumenti di ricerca adeguati. Platone – senza voler forzare lo schematismo – sembra avvicinarsi più di Aristotele ad un tentativo di comprensione metafisica quasi spirituale, mentre Aristotele sembra prediligere la sistematizzazione a partire dalla realtà. Trasponendo, sarebbe come se, da psicoterapeuti, potessimo lavorare con metodi aristotelici per riflettervi a posteriori platonicamente. Ciò che più interessa il nostro lavoro è questo anelito – inteso come intenzione attinente più al campo emotivo che cognitivo – e la visione dell’Uomo 9 che ne scaturisce. Ci concentreremo proprio su questa volontà pre-storica e pre-concettuale – affermatasi agli albori del pensiero occidentale – di conoscere le cause prime e gli effetti ultimi delle cose sia ricercando ‘dall’alto’, sia sistematizzando ‘dal basso’. Solo dall’incontro tra ellenismo e teologia giudaico-cristiana si declinerà però una storia del mondo e dell’Uomo tesa tra una protologia ed una escatologia, e le questioni da esse derivate che vanno dalla teleologia in campo etico-giuridico al finalismo inteso anche come Weltanschaung. Nella pratica clinica di uno studio di psicoterapia, potremmo scoprire in ogni persona che incontriamo queste due tendenze, in tutte le loro combinazioni, e nutrire il nostro lavoro proprio riscoprendo la ricchezza dei due grandi pensatori. 7 8 9 Con queste espressioni la psicologia generativa – fondata all’Istituto Ricerche di Gruppo di Lugano attorno al 1987 da Ferruccio Marcoli – intende definire l’esperienza bio-psico-sociale del lattante nel primo anno di vita. Il neonato vive fuori dal corpo fisico della madre, tuttavia ancora dipendente in molti se non in quasi tutti gli ambiti. Solo la ‘seconda nascita’ – dal corpo fisico della madre a quello sociale appunto del gruppo – determina l’autonomia fisica e l’inizio di una maggiore indipendenza psicomentale nel mondo sociale. La funzione alfa è una convenzione con la quale W.R. Bion e la psicologia generativa nominano quella funzione in-cognita – in quanto inconscia – in grado di mentalizzare – sentendole e rappresentandosele – sia le sensazioni percepite dal mondo esterno che le emozioni e sensazioni corporee ed interiori che costituiscono dal canto loro gli elementi beta. La mente dispone in questo modo di elementi alfa per generare sogni, simboli, riti, miti e concetti, i quali sono le forme necessarie per contenere gli elementi beta (sensazioni ed emozioni protomentali di origine somatica) a livelli sempre più complessi. Sono infatti quelli a mettere in movimento l’oscillazione, secondo la psicanalisi kleiniana-bioniana. Cfr. anche il cap. 6 a p. … . Con il termine “Uomo” intendo l’essere umano nell’espressione piena della fenomenologia sua propria e va inteso in senso inclusivo per la dimensione femminile di “Donna”. 11 2.1.2. I classici giudaico-cristiani: Bibbia e Patristica Il libro della Genesi e la cultura biblica dei miti e dei racconti della Creazione – come creatio ex nihilo tra protologia ed escatologia – aprono la strada 10 alla concezione del tempo lineare – sconosciuto alla ciclicità del mondo greco – ed alla ricerca del divino nella natura, da cui prenderà origine il metodo scientifico modernamente inteso fino allo sviluppo della tecnologia che conosciamo. Essa esprime la potenza (il potere, direbbe Bacone) creatrice dell’Uomo, immagine capace di sostituirsi alla fonte del suo riflesso. Ma il mito non consegna all’Uomo solo questa somiglianza, questo senso della ricerca e della speranza in un tempo che si svolge linearmente da un peggio a un meglio – come un ottimismo esistenziale di fondo – bensì pure una responsabilità 11 insita nel compito assegnato di “coltivare e custodire” il Giardino prontamente re-interpretato dal mito redazionalmente successivo in quello di “dominare e soggiogare” 12: il non-tuo diventa solo-mio, ed in questo modo l’umanesimo prende la strada dell’antropocentrismo. Il medioevo e l’età moderna non potevano che recepire il testo biblico nella forma loro più conforme. Anche il semplice creare mitico-divino potrebbe miticamente esprimersi al meglio con un antropologico ri-prodursi, generare, inteso in senso naturale e culturale, quantunque sappiamo che le due dimensioni sono strettamente interconnesse. L’Uomo mitico immagine di Dio risulta un creatore sub-ordinato e co-ordinato con le altre creature che nomina unificando il molteplice, mettendo assieme le differenze (sym-ballein), riconoscendole infine come diverse da sé e perché diverse da sé. Mentre mettendo l’Uomo – o la sua potenza scientifico-tecnologica – al centro del Giardino, al posto dei due alberi, si consente all’umano di assumere il ruolo del Satan-Diabolon, Anti- o Alter-Dio (dall’ebraico Satan) capace di separare (dal greco dia-ballein: gettar attraverso, dividere) e distruggere, financo globalmente: un CreatoreGeneratore vs. un Creatore-Distruttore. Il rapporto soggetto-oggetti è improntato alla ricerca e riconoscimento delle “tracce” del divino nel Creato, onde seguirle ed imitarle: in un gioco di specchi dove il soggetto scopre negli oggetti briciole del grande e del piccolo specchio capace di riflettere quella teo-antropologica Imago Dei che ispira i fondamenti del Genesi. Come si vede il biblico è stato ed è continuativamente intrepretato e re-interpretato dall’antichità attraverso il medioevo cristiano – ma anche ebraico ed arabo – e per questo la Patristica 13 andrebbe molto più valorizzata come ponte tra i secoli, quale sorgente da cui nacquero molti fiumi di cui oggi conosciamo solo le differenze dei nomi geografici loro assegnati a posteriori. Ne proporrò un minuscolo tentativo al cap. 3 parlando dell’umano secondo il pensiero patristicamente fondato di Gregorio Palamas (1296-1359). 10 11 12 13 Cfr. Galimberti, 2002. Secondo il concetto forte del “principio responsabilità” (das Prinzip Verantwortung) sviluppato dal filosofo tedesco Hans Jonas (Mönchengladbach, 1903 – New York, 1993). Ricordo che in ebraico la differenza non appare in questa forma, mentre nelle versioni greche e latine la differenza attiene più a un errore di traduzione. L’insieme del pensiero filosofico, teologico, etico e politico dei Padri della Chiesa vissuti nei primi secoli d.C.. 12 2.2. I medievali: Guglielmo di Ockham vs. Tommaso d’Aquino 14 Per incontrare Ockham occorre compiere un salto temporale di parecchi secoli. Il mio scopo non è però quello di voler tracciare una storia della filosofia, bensì di evidenziarne alcune tracce “trasformabili” in psicoterapia e capaci di inquadrare più in particolare la psicoterapia psicodinamica. Ockham, quale Venerabilis inceptor, appare a molti, anche se certamente non a tutti, l’iniziatore della via moderna verso una scienza (naturale) sperimentale fondata sull’evidenza e la falsificabilità. In questa sede vorrei avventurarmi verso la definizione di un ‘rasoio psicoterapeutico’ di Ockham, seguendo i rabbini, le cui scuole più creative gettano le radici proprio nel Medioevo, ci insegnano a trarre il massimo proprio dagli ibridi, dagli incroci, dalla dialettica, o se vogliamo, dal dialogo intere trans-disciplinare. Occupandosi del rapporto tra fisica e metafisica o tra scienza e fede, Ockham ha il coraggio, agli inizi del Trecento, di svincolare la Fede dalle dimostrazioni secondo lui non più aristoteliche, bensì platoniche del suo avversario scolastico Tommaso D’Aquino. Quantunque va precisato che l’Aquinate, aldilà delle diatribe, esercitava sistematicamente l’osservazione e l’introspezione qualitative, non disdegnando dunque l’empiria nel senso proprio del metodo aristotelico-occamista. Proprio il modello metafisico tomasiano dell’anima forma-sostanza del corpo (materia) consente ancora oggi una comprensione coerente dell’unitarietà-integralità psicosomatica (senza trattino) che ci costituisce 15. Solo quanto non contradditorio ed evidente può essere postulato come scientifico dalla mente dell’uomo che affronta la realtà con i filtri dei propri abiti mentali 16, come soggetto che si rappresenta la realtà nella propria mente tramite concetti, nomi, e perciò segni. Qui Ockham inizia la propria rivoluzione segnica – per nulla nominalista tanto quanto l’Aquinate non fu tomista – di notevole attualità. Da cui l’inconoscibilità per l’uomo di Dio e degli oggetti della metafisica ‘in sé’, ma solo tramite rappresentazioni soggettive e mentali convenzionali che suppongono, ma non sono l’oggetto 17. Il grande rigore del pensiero di Ockham mi porta a formulare la tesi seguente: quanto valse per la gnoseologia e per la politica nella Christianitas può valere come criterio nella ricerca scientifica in psicoterapia. 14 15 16 17 Guglielmo di Ockham, filosofo francescano – nato ad Ockham nel 1280 e morto attorno al 1350 a Monaco di Baviera – promosse criticamente nella sua opera didattica e politicamente impegnata l’autonomia reciproca della Scienza dalla Fede, così come dello Stato dalla Chiesa. Ockham scrisse invece la Summa Logicae (prima del 1327) e testi politici tra cui il Compendium errorum Johannis XXII (1338). A lui viene pure attribuito il trattato politico Breviloquium de principatu tyrannico, scoperto solo attorno al 1950. Tommaso d’Aquino, Doctor Angelicus, (Roccasecca, 1225 – Fossanova, 1274) fu allievo di Alberto Magno, Doctor Universalis, (Lauingen, 1206 – Köln, 1280). Tommaso, in particolare con la sua Summa Theologiae (1265-1274, incompiuta), rappresenta l’apice della filosofia scolastica. Cfr. Stagnitta. Mentre da approfondire resta ancora il tema etico dell’atto umano come fondante l’immanenza trascendente, l’unicità e l’irripetibilità – quindi anche l’incommensurabilità nel senso scientifico-sperimentale – dell’animo umano. Solo nell’attualità spazio-temporale ed in una relazione intersoggettiva, la coscienza (animo, anima, spirito, mente) si percepisce in quanto coscienza di sé e si comunica ad altre coscienze. Per questo si confronti anche il pensiero di Perrella e De Perrot. Habitus per l’Aquinate sono le qualità permanenti e stabili di una persona. Cfr. Ghisalberti nei capitoli dedicati alla gnoseologia. Tengo a precisare che pur sintetizzando e parafrasando le fonti occamiste, i termini da me usati sono quelli degli scritti medievali. In questa sede vanno senz’altro ricordati i tre criteri di contingenza – immediatezza – individualità che tanto si addicono anche al campo di ricerca della psicoterapia. Necessitiamo infatti di una soggettività oggettiva più che di una pseudo-oggettività che non è in grado di riconoscere le proprie oggettività soggettive. 13 Ockham colloca dunque la conoscenza metafisica – delle cose in sé – oltre i confini della conoscenza umana in quanto assiomaticamente definita come meta-umana e meta-scientifica. Essa è conoscibile solo per negationem et eminentiam intese però come rappresentazioni mentali del soggetto, e quindi non dell’oggetto di conoscenza. Soggetto il quale, soprattutto nel caso di Dio, non può per definizione essere ridotto ad oggetto. Le realtà psicoterapiche-psicoanalitiche sono da considerarsi, in quanto realtà in atto – attuali – uniche ed irripetibili, quindi altrettanto inconoscibili e indimostrabili, quanto l’esistenza di Dio, che costituiva la quaestio principale nel medioevo. L’ hic et nunc psicoanalitico rappresenta il baluardo filosofico-psicologico con cui occorre confrontarci. Come nella fisica quantistica il ricercatore determinerà i fenomeni che osserva a seconda di quali strumenti adotterà nel misurare una particella: essa si manifesterà come un corpuscolo-materia piuttosto che un’onda-energia sottraendosi alla misura simultanea di quantità e velocità. La verificabilità e la falsificabilità lasciano il posto alla probabilità secondo il ben noto principio di indeterminazione di Heisenberg. 18 Né le scienze neurologiche né la psicologia sperimentale sembrano essere ancora riuscite a spiegare come il cervello riesca a cogliere il tempo presente (immediatezza, cfr. nota 14) nello spazio-tempo immanente (contingenza) dando al contempo un senso di identità alla nostra coscienza di veglia (individualità). Molti neurologi si fermano di fronte a questa frontiera epistemologica, mentre altrettanti psicologi ne negano semplicemente l’esistenza o la riducono a mera illusione cerebrale. 19 Ockham con il suo “rasoio psicoanalitico” inciderebbe di netto: la mente non è conoscibile “in sé” ma solo rappresentabile con dei “segni naturali”. Essi stessi per definizione non sono bio-fisicochimicamente reali quanto l’oggetto che rappresentano seppur supponendolo. Un cervello – corpo mentalizzato 20 e anima incarnata 21 – operante attraverso i suoi processi non può esser studiato nella propria attualità da altri cervelli, in quanto lo studio stesso già non sarebbe più attuale: l’hic et nunc diventerebbe un ibi et antea, processo che implicherebbe costitutivamente delle trasformazioni ermeneutiche. Così come un ricercatore non potrà mai essere tanto oggettivo da osservare la natura soggettiva di un altro soggetto, se non interagendo con esso e quindi influenzandolo costituendo un simultaneo e 18 19 20 21 Il concetto di campo analitico, per esempio, prende spunto da quello utilizzato in fisica quantistica all’interno del quale le varie energie o forze in gioco possono essere molteplici ed esercitano un’influenza massima al centro del campo e man mano più ridotta verso i suoi confini. In quest’ambito non vale più il postulato del “tutto o niente”, ma il paradigma interattivo che considera agente un’influenza reciproca e diffusa - in progressione o in estinzione - compresa quella esercitata da un eventuale osservatore solo apparentemente esterno al campo d’indagine. In ogni caso, non ci sono zone del campo neutre o prive di influenze. Cfr. M. e W. Baranger e A. Ferro. Cfr. il neuro-cognitivista Purves, pp. 655-75, e il suo affascinante e notevolissimo manuale delle scienze neurocognitive: pur affermando spesso di non conoscere e di non poter sapere se non entro un lasso di tempo che va dagli anni ai decenni Cfr. anche Kandel, neuro-biologo, per es. pp. 453-6, il quale appare più rigoroso nel definire i limiti dei rispettivi ambiti di ricerca: riduttivo per la neuro-biologia, olistico per la filosofia e la psicoanalisi. Ciononostante si promette la soluzione del problema e lo si fa addirittura nel senso di negare a priori che si potrà determinare una differenza tra fenomeni di autocoscienza animale, umana e artificiale. Sapendo che il modello di riferimento biochimico è quello dei primati, dei ratti, delle lumache, quello emodinamico o quello cibernetico, ecco evidente la tautologia o l’emergenza di un pre-giudizio insito nel metodo e nei modelli prescelti. Tale metodologia riduttiva è necessaria, ma non sufficiente per rispondere agli altri quesiti dell’esistenza umana – la coscienza e la vita umane in primis – costituendo oggetti di ricerca differenti e condizionabili da metodi inadeguati o soggetti irriducibili. Torneremo più avanti sul concetto di mentalizzazione, qui ne va rilevata l’accezione bioniana di contenitore in grado di contenere dei contenuti emotivi e concettuali, impliciti-inconsci ed espliciti-consci, somatici e psichici, dove la funzione alfa esercita la sua capacità trasformativa. Termini di una secolare tradizione greco-cristiana, ma ben fondati anche nella concettualizzazione del Siegel nel suo inglese “embodied”. 14 contingente campo ermeneutico intersoggettivo. In questo, attingendo da Okcham, consiste la complessità dell’essere umano, da cui deriva il limite della ricerca: l’uomo che vuole conoscere Dio-in-sé, così come l’uomo-in-sé, non può che farlo da uomo nel primo caso e da soggetto nel secondo. Ockham confutava la possibilità di dimostrare l’esistenza di Dio, così come la psicoanalisi oggi non deve più dimostrare – secondo parametri delle Natur-wissenschaften – l’esistenza fisicamente reale degli elementi su cui poggia le proprie interpretazioni del campo analitico, ma non per questo rinuncia a difendere l’impossibilità di negarli da parte di coloro che continuano ad utilizzare metodi inappropriati. Questa posizione costituisce una necessità ermeneutica ed epistemologica fondamentale. 15 2.3. 2.3.1. I moderni Descartes e Hume 22 Ciò che Cartesio sembrava aver risolto con il suo Cogito ergo sum verrà rimesso in discussione da David Hume già un secolo più tardi. Eppure una critica può esser portata a Cartesio per la sua assolutizzazione del pensiero razionale in quanto fondamento dell’esistenza del soggetto e degli oggetti a detrimento della sfera emotivo-simbolica, dov’è precipuamente il corpo-mente a pensare. Dal primato della ragione deriva – come ben sottolineato da Galimberti – la distinzione del mondo, tra res cogitans – la mente appunto, definita come priva di estensione spazio-temporale – e la res extensa, come materia descrivibile invece secondo categorie oggettive. Sarà questa divisione a comportare la nascita di tanti –ismi e tentativi contemporanei di integrazione degli stessi, con la psicosomatica in una posizione di massimo rilievo. Qui il concetto di “massa per pensare” che mutuo dalla biologia, ci permette di saltare il fosso dei dualismi corpo-mente in modo ancora più efficace del bioniano “apparato per pensare”: massa non definisce, né delimita eccessivamente, e soprattutto non si riferisce ad un modello strutturale superato, bensì ad un modello organizzazionale 23. E un elogio può considerarsi altrimenti dovuto alla problematizzazione del rapporto tra soggetto e oggetto enucleato da Hume. Cartesio fonda la possibilità di conoscenza delle cose (res extensae) sul pensiero razionale (res cogitans) del soggetto. In questo senso il cogito ed il sum, in quanto idee, si riferiscono alla condizione di possibilità della conoscenza delle cose – come dirà Kant un secolo più tardi – e quindi alla relazione possibile tra soggetto e oggetto. Il soggetto-che-è è colui-che-conosce, pensandole, le cose per evidentiam e attraverso il dubbio, dunque non in sogno e non per influsso di un “genio maligno”, come le due alternative descritte da Cartesio. In questi termini siamo in grado di seguire, anche attraverso il pensiero cartesiano, le vicissitudini del soggetto che affronta e conosce la realtà. Esso viene fondato da Descartes sulle basi del pensiero che pensa anche il dubbio, il sogno, l’inganno o il falso. Il pensiero, per mezzo dell’evidenza, è dunque in grado di pensare le cose attraverso i sensi del corpo. Ma il pensiero in sé, unico fondamento, rimane costruzione del soggetto in relazione anche soggettiva con le cose. Oggi sappiamo bene infatti come viene messo in discussione proprio il fondamento universalisticounitario dell’episteme e del soggetto-che-conosce come soggetto trascendentale. In questo senso vorrei a questo punto agganciare l’intuizione di Hume quale pre-cursore della filosofia contemporanea 24: non esiste conoscenza oggettiva delle cose, o della cosa come ‘cosa in sé’, mentre viene fondata una conoscenza soggettiva dell’oggetto e quindi intersoggettiva tra soggetti. Hume affermerà con rigore che ogni conoscenza non è altro che credenza basata sull’abitudine: il sole sorge da oriente ogni mattina, motivo per cui ci aspettiamo, per abitudine, che anche domani avverrà. Eppure oggi forse più che nel Settecento - dopo la teoria della relatività e i progressi compiuti nel campo della fisica quantistica - questo pensatore coglie un aspetto di notevole importanza. La sua 22 23 24 René Descartes (La Haye en Touraine, 1596 – Stockholm, 1650) e David Hume (Ninewells, 1711 – Edimburgo 1776). Hume farà da stimolo alla “reazione” di Kant sulla scientificità delle scienze naturali. Il concetto di “massa per pensare” mi è stato suggerito dal Dr. Emil Stutz, fitopatologo e ricercatore in biologia. Cfr. Severino, 2011. 16 critica epistemologica radicale ci permette di recuperare una riflessione centrale: siamo noi in quanto esseri umani a conoscere, quali pensatori o soggetti trascendentali che dir si voglia, il mondo, le cose e noi stessi. Questo elemento permea ogni nostro atto conoscitivo e costituisce dunque un assioma epistemologico sempre valido, a maggior ragione quando si tratta per un soggetto di conoscere un altro soggetto. 17 2.3.2. Kant 25 Con Kant si consolida definitivamente il nostro modelllo epistemologico-gnoseologico, che potremmo anche definire cognitivo, specificatamente per il campo intersoggettivo che interessa in modo determinante la psicoanalisi e la psicoterapia. Osserviamo lo schema seguente: soggetto trascendentale unità trascendentale categorie: quantità/qualità/relazione/modo spazio e tempo oggetto Ribadendo che qui si tratta di cogliere spunti rilevanti per la pratica clinica psicoterapeutica e non di approfondire di volta in volta elementi filosofici presentano aspetti degni di ben più intensa ricerca e riflessione. Basti pensare al concetto di “unità trascendentale” oggi relegato spesso alla sola storia delle filosofia, ma ritengo altresì interessanti tematiche che toccano la differenza come costitutiva di una possibile unità dei modi di essere, di esistere e di vivere, comprendenti la cultura ed i valori che ne influenzano anche la conoscenza, l’episteme. Se Descartes pensava le idee, Kant pensa la cosa ma pure l’impensabilità della ‘Cosa in sé’ che molto si avvicina al concetto cartesiano di idea. D’altra parte il soggetto di Kant ri-conosce le cose (dal tedesco er-kennen) conservando almeno sul piano linguistico quella connotazione di memoria che conosciamo dalla teoria delle idee propria di Platone. Ma noi vogliamo scorgervi anche una dimensione affettiva: una scienza psicoterapeutica deve fondarsi su un’ermeneutica affettiva che sappia vedere gli affetti e le loro interazioni anche all’interno della ricerca filosofica. L’emozione è infatti una rappresentazione di senso interiore e in quanto tale corpo-che-comunica, corpo che “parlando” il linguaggio proprio genera pensiero e coscienza di sé. Come un arco affettivo sotteso tra nascita-vita-morte appunto universale – somatopsichico e psicosomatico – se non più universale dei concetti e della ragione stessa: l’affetto come mentalizzazione 26 del corpo e incarnazione della ragione e dell’anima. Vale la pena forse qui ricordarsi che “anima” è etimologicamente legata all’idea di “vento” (anemos), “soffio”, “aleggiamento”,… ed in questa forma meglio sa integrare la dimensione umanistico indeterminata ed indeterminabile, ben nota alle scienze naturali cosiddette “dure” come la fisica quantistica. Kant ci indica le condizioni di possibilità della conoscenza 27 sia con le categorie 28 sia con l’imperativo categorico “Fare il bene ed evitare il male” 29 per un tentativo di rispondere alle tre domande: Cosa sono in grado di sapere (können) Cosa sono tenuto a fare (sollen) Cosa mi è consentito sperare (dürfen) Nell’area delle scienze naturali In campo etico ed ecologico In ambito simbolico, mitologico e mistico Accanto al rigoroso lavoro filosofico compiuto da Kant nel fondare le scienze naturali su basi epistemologiche solide, non va dimenticata la Critica della ragion pratica 30 di altrettanta 25 26 27 28 29 30 Immanuel Kant (Königsberg, 1724 – 1804). A differenza di Fonagy intendiamo mentalizzazione come processo che differenzia nell’unitàdinamica il mentale dal fisico, la mente dal corpo, lo spirito dalla materia. Bedingungen der Möglichkeit der Naturwissenschaften überhaupt. Le categorie, in quanto a priori sono da ripensarsi alla luce della psicologia genetica piagetiana, della psicanalisi infantile e delle recenti scoperte in ambito neuroscientifico. “Das Gute zu tun und das Böse zu vermeiden.” Kritik der praktischen Vernunft (1788). 18 fondamentale importanza per la psicoterapia. Anche in questo caso desidero descriverne il contenuto in modo didattico: soggetto empirico imperativo categorico norme: etiche / estetiche spazio e tempo azione Quindi il soggetto, sempre inteso come io trascendentale-cognitivo e non empirico, giudica, decide ed agisce secondo criteri etico-estetici universali, accettando il rispetto delle regole e la fruizione del bello – dis-interessato ma non arbitrario in quanto non condizionato dal mero gusto “personale” – come ambito entro cui muoversi. Proprio per la difficoltà incontrata da Kant nel fondare la Ragion pratica ed il Giudizio – come fece con la Ragion pura in quanto condizione di possibilità delle scienze naturali – il soggetto sfugge all’osservazione ed alla sperimentazione delle scienze naturali in quanto eticamente ed esteticamente altrettanto trascendentale, seppur non dimostrabile. L’umano esula – come un viandante direbbe Galimberti – dunque dall’ambito della sola Natura per vivere anche in una propria Cultura – un mondo sempre più umanizzato-tecnologizzato – ed è per questo che non può essere ridotto dalle scienze, dall’etica e dalla politica a mero oggetto, ma solo venir com-preso come soggetto. La libertà, così come la democrazia, si muovono dunque dall’universale verso il singolare, dal collettivo verso l’individuale, dal culturale verso il naturale fondando la realtà dell’ ‘io’ e, costruendo su di essa, quella di una solida ‘intersoggettività’. Quantunque proprio questa universalità oggi va riscoperta e rifondata su basi pratiche altre di quelle finora teorizzate in modo speculativo o accademico. La ragione, i valori culturali, etici ed estetici possono essere “usati” e interpretati in chiavi manipolatorie o monopolizzanti, dove i consensi raggiunti si rilevano poi fragili. Mentre essi possono essere letti come espressione di quell’esperienza umana – emotivo-sentimentale – ragionevole, ma non solo razionale, non frammentaria e conflittuale come altre conquiste dalle democrazie e delle scienze dei nostri tempi. Basti pensare che proprio l’apparente conflitto tra civiltà, tra Occidente e Mondo arabo, si gioca su una supposta differenza tra religioni o tra teocrazie e democrazie: tra una ragione che si credeva empiricamente universale e universalizzabile, ed il religioso irrazionale e “non dimostrabile”. Eppure è l’ignoranza sui fondamenti teologici e scritturistici e non tanto la diversità tra Cristianesimo e Islam ad alimentare l’abisso tra civiltà che si considerano a-storiche e puramente identiche-a-sé-stesse. Il dialogo inter-soggettivo sulle credenze e sul religioso – come forme simboliche e mitologiche antropologicamente imprescindibili – ed il dialogo intra-soggettivo tra forma religiosa – storicamente e culturalmente determinata – e sensi religiosi maggiormente universali. Proprio dalla psicoterapia – dalle intuizioni freudiane e bioniane sui gruppi – possiamo avvalorare il modello di un soggetto umano costituitosi e che si mantiene in vita mediante un’interazione tra “dentro” e “fuori” e tra soggetti nel mondo. Tutto ciò avviene attraverso il corpo proprio, anch’esso tenuto in vita da un’interazione costante (aria – cibo – percezioni – affetti). Il gruppo di parti che ci compongono – come esperienze pre- e post-natali, modelli educativi, ruoli sociali, “maschere”, memorie, complessi e traumi – non ci costituisce se non in un’identità complessa, non monolitica, bensì in dialogo verso l’interno e verso l’esterno, meglio se radicato nell’affettivo e nel simbolico – non solo segnico – capace di evocarne tutta l’ampiezza e l’importanza. 19 Risulta a maggior ragione affascinante il fatto che proprio la psicoanalisi, spesso criticata di egocentrismo o individualismo, pratichi e teorizzi invece da decenni la dimensione intersoggettiva sviluppando tra gli altri i concetti di “co-transfert”, di “terzo analitico” e di “campo analitico” supportati da quelli di “hic et nunc”, “né memoria, né desiderio”, “dream-like memory” e “nowmoment”. Come se processo e risultato in analisi ed in terapia dipendano dall’inter-dipendenza intersoggettiva, dal bisogno inconscio dell’analizzando di usare la mente somatizzata dell’analista non solo per contenere i propri pensieri affettivi, ma pure per trasformarli quali prodotti dell’intersoggettività conscia-inconscia 31. Essi dipendono dal bisogno di condividere tali contenuti a livello inconscio (co-transfert) per giungere in un secondo momento alla capacità di cogliere quelle “verità intersoggettive attuali” (now-moment) trasformative in analisi ed efficaci in terapia. Sarà compito dei secoli successivi di pratica e ricerca in psicoterapia arricchire questo modello della dimensione emotivo-affettiva. 31 Illuminante a questo proposito l’ammonizione di Bion contenuta (cfr. Il cambiamento catastrofico – Caesura, p. 99): “Indagate la cesura; non l'analista, non l'analizzando; non l'inconscio, non il conscio, non la sanità, non l'insanìtà. Ma la cesura, il legame, la sinapsi, il (contro-trans)-fert, l'umore transitivo-intransitivo.” 20 2.3.3. Fichte e Hegel 32 In una prospettiva psicoterapeutica ritengo imprescindibile il passaggio da Kant attraverso il pensiero fichtiano ed hegeliano. Platone vedeva l’Ideale oltre l’ombra della realtà, mentre Aristotele esplorava, tramite strumenti speculativi e l’osservazione, un Reale comunque pervaso di idealità. Kant disillude sia l’uno che l’altro fondando le condizioni epistemologiche delle scienze naturali. Non potrà comunque esimersi dal ritenere inconoscibile la “Cosa in sé” immutabile rispetto al suo divenire del suo fenomeno. Anche qui non si tratta di approfondire le diatribe filosofiche e le diverse interpretazioni successive del kantismo stesso, bensì come proposto da Severino, concentrarci – ma da psicoterapeuti – sul confronto fondamentale tra l’Essere della Cosa-in-sé – noumeno appunto – ed il niente delle Cose-che-diventano – fenomeni – passando dal nulla a qualchecosa e da un qualchecosa al nulla nuovamente. La questione è clinicamente rilevante per il comprendere della depressione, delle crisi evolutivoesistenziali dall’adolescenza al lutto e delle fragilità di personalità borderline in particolare, ma pure quale sfondo integratore per la psicopatologia tutta. La psicoterapia sa di doversi muovere tra Reale e Ideale, come l’oggetto transizionale winnicottiano, la posizione maniaco-depressiva bioniana e l’area del fraintendimento marcoliana. Proprio da quest’area, la quale è immersa nella simbiosi materna prima e pervasa di fantasie immaginarie dopo, possono differenziarsi, svilupparsi ed agire le funzioni simboliche in grado di avvicinare il soggetto alle realtà condivisibili con altri soggetti: passando dai riti al mito, e dai linguaggi verbali e non verbali alla lingua. Questo processo psicologico – inteso in senso umanistico più ampio possibile – è capace di dar forma ai propri sensi altrimenti in-formati e alienati da altre istanze in grado di re-ificare l’uomo, riducendo il soggetto a oggetto e l’Oltre- o Super-uomo a cosa. Fichte a questo punto ci viene in aiuto sviluppando un modello particolarmente efficace nel descrivere filosoficamente una realtà multidimensionale. Egli introduce l’affetto nelle speculazioni prima solo metafisiche e poi prevalentemente epistemologiche. L’erede di Kant enuncia quanto segue: “Nell’Io si pone all’Io indivisibile un non-Io divisibile accanto” 33. Considero questo enunciato assiomatico per una filosofia capace di integrare con forza la dimensione psicoaffettiva nella propria riflessione. Non solo, ma Fichte sa andare oltre inserendo in questo processo cognitivo l’affetto Schmerz: ossia il dolore della divisibilità, della parzialità e della limitatezza, che si dimentica di essere una totalità inconscia. Ogni finitezza che si confronta con la possibilità dell’infinitezza. Vorrei ora contrapporre rapidamente questa dimensione fichtiana, connotata di elementi depressivi – da un punto di vista psicoterapeutico – agli antidoti proiettivi dominanti nella filosofia idealista di Hegel e nei suoi sviluppi, pur correndo il rischio di risultare riduttivi: si tratta di un modello determinato da un ben determinato e dichiarato vertice di osservazione. Entrambe le posizioni hanno diritto di cittadinanza e appartengono alla polis gruppale umana sia interiore che esteriore. Anche in questo caso partiamo da un piccolo schema didattico: 32 33 Johann Gottlieb Fichte (Rammenau, 1762 – Berlino, 1814), continuatore di Kant e iniziatore dell’idealismo tedesco. Georg Wilhelm Hegel (Stuttgart, 1770 – Berlin, 1831), autore della Phänomenologie des Geistes (1807), influenzò gran parte della filosofia continentale tra ammiratori (Feuerbach, Marx, Sartre, Küng,…) e critici (Schelling, Kierkegaard, Schopenhauer, Marx, Nietzsche, Peirce, Popper, Russell, Heidegger,…). “Einem unteilbaren Ich kommt ein teilbares Nicht-Ich entgegen.” 21 das Einzelne das Besondere das Allgemeine Für-sich-sein Bestimmen (positio) Für-das-Andere-sein Entgegensetzen (negatio) Aufheben (eminentia) La dialettica tesi-antitesi-sintesi va intesa in modo differenziato. Il suo risultato – la sintesi – non consiste nella semplice com-presenza egualitaria dei due opposti, bensì in una loro trasformazione in un terzo altro. L’equivoco frequente sta nel considerare il grigio la sintesi tra bianco e nero, quando si tratterebbe invece di intuire qualcosa che va oltre la semplice composizione dei due, per esempio un grigio colorato contenente sì entrambi, ma anche costituendosi come terzo – nuovo rispetto al primo ed al secondo – da una semplice somma. La realtà reale – la cosa in sé kantiana – essendo stata definita come non conoscibile viene dunque ora fondata dialetticamente dallo spirito, mente, cervello: secondo Hegel questa è la realtà, l’unica possibile: un costrutto del nostro cervello, di cui ne fa parte e da cui è a sua volta emerso. Una conoscenza intenzionale, “bottom up” e “top down”, secondo le scoperte neuroscientifiche più recenti che commenteremo anche più avanti. Il mondo insomma non può esistere senza uno spiritomente che lo pensi e perlomeno non ne esiste un altro conoscibile o meglio conoscibile di questo nostro mondo mentalizzato, mentale, ideale. Il finito triste – fichtiano e superato hegelianamente – si apre in questo modo all’ infinito che lo definisce e come parte dell’infinito non patisce la più la contrapposizione finito-infinito, il confronto con il limite doloroso. Seguendo questa logica anche a ritroso il singolo partecipa di questa nuova concezione del reale in quanto in relazione dialettica con il particolare-parziale, ergo mediatamente con l’infinito. Il finito è determinato dall’infinito tanto quanto quest’ultimo dal finito – come il padrone dal servo e il padre dal figlio – e proprio in ciò consiste la dialettica che rende qualitativamente partecipe dell’infinito il finito e del finito l’infinito. Questa riflessione o meditazione introspettiva è motivo di felicità per il triste finito e gli consente di superare la pura contrapposizione per comprendere lo Spirito assoluto del divenire che non si annienta, ma rivela l’essere-nella-storia. Dal nostro punto di vista pratico e psicoterapeutico possiamo rilevare che in Hegel troviamo molti spunti per l’analisi dell’esperienza soggiacente alle pratiche orientali come lo yoga 34 o a quelle occidentali come gli esercizi 35 e la mindfullness, quest’ultima attualmente in grande espansione. L’unica sostanza era per Fichte l’io di ciascuno, inteso come un “folle miscuglio di solipsismo e panteismo”, dove il termine “folle” è per noi di sicuro interesse, specialmente quando definito in modo antitetico quindi inconciliabile: potremmo descriverlo dunque come fissato ad una posizione psicologica schizo-paranoide o definitoria e “decisionista” secondo Marcoli. Hegel sembrerebbe invece invitarci a cogliere il solipsismo nel panteismo e il panteismo nel solipsismo: affermazione forse inesatta dal punto di vista logico-filosofico, ma di ispirazione per la 34 35 Per esempio attraverso la pratica meditativa denominata satipatthana – dove sati è termine che deriva da una radice che significa "ricordare" (samsarati) e patthana si riferisce allo “stabilirsi assumendo una postura rigorosa e ferma, applicarsi e fissarsi". “Ricordare” va quindi qui inteso nel senso di presenza della mente, significa dunque attenzione al presente, consapevolezza, vigilanza, attenzione o “potere di osservazione”. Mi riferisco agli “esercizi spirituali” inventati dal fondatore della Compagnia di Gesù, Ignazio di Loyola, nel 1548. 22 pratica clinica e l’approccio alla contemporaneità cultural-socio-politica dominata da polarizzazioni quasi esistesse solo il principio aristotelico della non contraddizione e non – come vedremo più avanti – ben altri e adeguati principi aristotelici e non. Sul piano psicologico si tratta di sempre e nuovamente di cogliere quanto degli altri porto in me stesso, quanto di me negli altri, quanto del mondo mi costituisce, quante memorie mi connettono col presente e preparano il mio futuro, quanto inconscio possa giungere alla mia attenzione vigile e quanto possa entrarvi senza che me ne accorga. 23 2.3.4. Nietzsche 36 Nietzsche pensa l'avvento di un nuovo tipo di uomo, capace di liberarsi dai pregiudizi e di smascherare l'origine umana troppo umana dei valori, nonché di farsi consapevole creatore di valori nuovi. Definire un uomo del genere Super-uomo – come qualcuno che sta “sopra” altri uomini – sembra costituire un fraintendimento oltre che un errore di traduzione. Secondo Vattimo 37 e Galimberti il termine “Oltre-uomo” rispecchia meglio il concetto di Über-Mensch, oltre ad esserne appunto la traduzione letterale. L'Oltreuomo non schiaccia gli altri ma procede al di là delle convenzioni che attanagliano l'uomo, convenzioni che vanno smascherate in quanto celano – dietro la certezza del rimedio – la verità del divenire dal nulla verso il nulla, dalla nascita verso la morte. L'Oltreuomo è colui che ha compreso che è lui stesso a dare significato alla vita e che dice "sì" alla vita e al mondo entro il quale essa si manifesta, ed in questo esprime la propria dimensione dionisiaca. In questo senso Nietzsche può essere inteso come un filosofo capace – forse anche e proprio perché sofferente nel corpo e nell’anima – di smascherare i meccanismi di difesa dei singoli individui e delle istituzioni socio-politiche. La sua ammirazione per la tragedia greca – anche quale mezzo educativo all'eroica tragicità della vita – e per l’uomo universale rinascimentale con la sua magnificenza creatrice culturale e politica, ci svelano l’opzione nietzschiana per il somatopsichico – l’elemento beta o l’emozione-sensazione tra cui le più arcaiche di amore e odio. L'impulso vitale nasce si esprime e muore, "al di là del bene e del male", non addomesticandosi alle ragioni razionalizzanti della persona o dell’istituzione, né tantomeno del pensiero che non pensi affettivamente. Per questo Oltreuomo psicosomatico-affettivo ogni istante – hic et nunc, mindfullness, ecc. – è il suo tempo e il suo spazio vitale, nel quale è sempre l’eroe protagonista. L'eterno ritorno, cioè l'eterna ripetizione, è la dottrina che Nietzsche mette a capo della nuova concezione del mondo e dell'agire umano, e non possiamo cogliervi la radice per il concetto di coazione a ripetere che permetterà a Freud di comprendere ciò che si muove oltre la sola ragione e la libido, che aveva lui stesso scoperto. Per Nietzsche ogni momento del tempo, cioè l'attimo presente, va vissuto senza continuità con passato e futuro, perché passato e futuro sono illusori o, diremmo noi, difensivi riguardo alla verità su noi stessi, sugli altri e sul mondo. La spontaneità sembrerebbe poter sottostare dunque anche al principio freudiano della “dream-like memory” – pertanto non ricordo ma memoria istantanea – o a quello bioniano del “né memoria, né desiderio”. Il vero Oltreuomo è, in conclusione, colui che danza liberamente in catene consapevole dell’imprevedibilità del futuro e del peso del passato, ma pure del fatto che il rimedio sin qui escogitato dall’Umanità – il concetto di Dio – ha saputo trasformarsi in un male peggiore del primo. E quando si ha sofferto abbastanza – secondo una magistrale lezione di Bion – si è pronti e motivati per un cambiamento, per un pensiero cognitivo-affettivo capace di andare sull’orlo dell’abisso e di affrontarne l’angoscia, il terrore senza nome connessi. Come un eroe che affronta la vita spontaneamente – come danzando – fra gioie e pericoli gode di questo rischio e degli ostacoli che è capace a superare, prova piacere per questa sua temerarietà che dona all’Oltreuomo il senso dell’Avventura, dell’Impresa. Breve, quasi nulla ma pur sempre 36 37 Friedrich Wilhelm Nietzsche (Röcken, 15 ottobre 1844 – Weimar, 25 agosto 1900) è stato un filosofo, poeta, saggista, compositore e filologo tedesco, autore di opere fondamentali per la filosofia continentale quali: “Così parlò Zarathustra”, “Aldilà del bene e del male”, “La nascita della tragedia” e “La gaia scienza”. Gianni Vattimo (Torino 1936), filosofo e politico. 24 qualcosa, intensa proprio in quanto limitata, la vita dell’Oltreuomo scopre il giusto – non troppo, né troppo poco – umano. Togliendo la maschera è come se si rendesse necessaria una vita in pienezza fatta non solo di parole e concetti, ma anche di movimenti, gesti, emozioni, sensazioni e corpi che parlano senza mediazioni. Severino lo riassume nel migliore dei modi: “Oltrepassando il proprio essere uomo, gode ogni aspetto della vita, gode la totalità della vita, e quindi anche gli aspetti dolorosi e terribili di essa; e nel quale, dunque, la "volontà di vivere si rallegra della propria insaziabilità" e "l'eterno piacere del divenire" comprende in sé anche il piacere dell'annientamento.” 38 Si prova piacere nel vivere la vita in quanto vita – protesi tra l’insaziabile e l’eterno o l’infinito che ha come orizzonte l’annientamento del divenire – ma come in un viaggio lo si gode appieno pur – anzi proprio – sapendo della meta che ne decreta la fine In questo scorgiamo come nel filosofo Nietzsche – abbondantemente riscoperto da Galimberti che lo mette in dialogo con la psicoanalisi – la parola e la ragione non bastino a com-prendere, seppur spiegano molto, la totalità dell’umano che attraverso il simbolico esprime il tragico ed il sacro. L’arte, il gesto, il rito e la danza e la poesia, il canto e il teatro (pensiamo anche al cinema) sanno da sempre esprimere l’indicibile, toccare l’innominabile, sanctum et tremendum 39 ma anche per questo bellezza. Il poeta Leopardi sembra infatti confermarci in questo: avendo riconosciuto da filosofo il nulla disperante del divenire delle cose, sarà nella poesia che riuscirà a “cantare” l’infinito. E per quanto possa sembrare paradossale proprio le religioni tradizionali, avendo percorso la via dell’ “aggiornamento” e della “modernizzazione”, hanno perso queste capacità di intuire il tragico ma celebrandolo in un rito sacrale anche nella forma, sola capace di contenere. Aver intrapreso questo processo apre la strada alle forme della nuova spiritualità spesso però difensiva verso il tragico ed il tremendum, anche perché il rituale se meramente estetico e poco radicato nella collettività e nella storia intesa come filo- e ontogenesi, difficilmente potrebbe supportarlo. Basti pensare allo sciamano o al sacerdote cattolico pre-conciliare che incarnava in tutto il rito che celebrava. Il rito sacro, la poesia, l’arte oltrepassano l’individuo sia attivo che passivo nell’atto di celebrare risp. produrre, con-celebrare risp. con-sumare. Ispirandoci al pensiero di Nietzsche potremmo dire che alla psicoterapia-psicoanalisi dell’Oltreuomo è assegnato il compito di ergersi sopra il nulla attraversando e superando la noia da esso originato, per vivere nell’Arte e nel Bello, con quella volontà di vivere composta di eterno e dionisiaco piacere del divenire e coraggioso pessimismo. Nietzsche arriva a pensare anche ad un piacere dell’annientamento, inteso forse per noi proprio come consapevolezza della mortalità altrui e nostra, della limitatezza della crescita anche economica e del divenire. Il piacere forse lo si può ritrovare proprio nel vivere una vita sostenibile perché in contatto col tragico, e non in costante e sistematica fuga da esso: quindi una vita più vera. L’alternativa è il permanere nel rimedio o nella follia, come definita da Severino, che fa coincidere il vero con il certo, la verità con la certezza che dona sicurezza a tutto e a tutti. Ma in questo modo, proprio in questo modo si aprono le porte del folle nichilismo negato e rimosso riprende il sopravvento imponendosi affettivamente nelle menti e nei corpi specialmente degli adolescenti e dei bambini figli di questa “crisi della crescita”. 38 39 Severino, La filosofia contemporanea, pp. 51-52. Cfr. Galimberti, Orme del sacro. 25 Caduto il velo, l’illusione si svela e mostra la fragilità del farmaco: la scienza e la tecnica possono molto, ma non tutto qui e ora, e non per tutti intesi come singoli individui. Allora l’imprevedibile e l’incontrollabile – seppur statisticamente improbabile o finora non ancora falsificabile – mina alla base la certezza, e la Vita incontra nuovamente la sua dimensione tragica. Il fraintendimento tra la Scienza-Tecnica e il Cittadino-Cliente è questo: aver spiegato un fenomeno non significa averne ancora compresa la portata umana. 26 2.4. 2.4.1. I fenomenologi I filosofi teorici: Husserl e Heidegger 40 La linea che desidero affinare in quest’ultimo capitolo dedicato a quest’antologia filosofica, consiste nel non voler proporre una spiegazione del pensiero filosofico, in questo caso fenomenologico. Ma consiste piuttosto nel coglierne alcuni punti rilevanti per il nostro discorso sulla psicoterapia, intesa come scienza della relazione psicoterapeutica. Da Platone fino a Nietzsche abbiamo costruito un modello in cui risulta fondamentale chiedersi e cercare di rispondere alla domanda: “Chi conosce cosa e come si conosce, se conoscere è posssible?”. Questo ha comportato l’analisi del rapporto tra oggetto e soggetto e la constatazione della sintesi costituita da ciò che si realizza e si rappresenta in una e in ogni relazione. Nel pensiero fenomenologico la relazione oggetto-soggetto e la dialettica intersoggettiva vengono fondate quali condizioni preliminari. L’esser-ci in quanto essere, l’ente, va ridefinito nella sua relazione con il corpo, oggetto soggettivo, che si muove nel suo mondo. Il pensiero fenomenologico husserliano approfondisce la questione dunque in un senso valido anche per la nostra contemporaneità, considerando ingenue le teorie scientifiche non supportate da una conoscenza filosofica, in grado di chiedersi in che misura esista a priori la realtà esterna ed in che cosa consista questo a priori. Esso, potremmo semplificare, ha componenti filogeneticheneurologiche e ontogenetiche-culturali, ed in quanto composto non è solo reale bensì parte del nostro mondo o, in altre parole, a posteriori. In campo analitico la problematizzazione della relazione tra presentazione, percezione e rappresentazione 41 sono di grande aiuto: ogni scienziato, ogni psicologo sperimentale, così come ogni paziente – come noi stessi – hanno introiettato un mondo-in-relazione e proiettano verso gli oggetti del mondo esterno le proprie rappresentazioni intenzionali per ri-conoscerli e conoscerli. 42 Vedremo più avanti le conseguenze di queste premesse sul confine soggetto-mondo e mente-corpo intesi come superamento del dualismo a favore di una dualità processuale 43. 40 41 42 43 Edmund Gustav Husserl (Prostĕjov, 1859 – Friburgo in Brisgovia, 1938), fondatore della fenomenologia, allievo di Franz Clemens Brentano (Boppard, 1838 – Zurigo, 1917; teorico dell’intenzionalità di ispirazione medievale) e maestro di Martin Heidegger (Messkirch, 1889 – Friburgo in Brisgovia, 1976). Heidegger è l’autore di Sein und Zeit (1927), opera con la quale si distanzia sia dalla fenomenologia che dall’esistenzialismo di Jean-Paul Charles Sartre (Paris, 1905 – Paris, 1980) e del suo L’Être et le Néant (1943). Imprescindibili qui i riferimenti al pensiero di Ricoeur (Valence, 1913 - Châtenay-Malabry, 2005) – dove il simbolo viene considerato non solo nella sua valenza comunicativa, ma pure in quella figurativo-metaforica affettivamente eccedente il significante – e a quello di Merleau-Ponty (Rochefort-sur-Mer, 1908 – Parigi, 1961): “Riflettere autenticamente significa darsi a se stesso, non come una soggettività oziosa e recondita, ma come ciò che si identifica con la mia presenza al mondo e agli altri come io la realizzo adesso. Io sono come mi vedo, un campo intersoggettivo, non malgrado il mio corpo e la mia storia, ma perché io sono questo corpo e questa situazione storica per mezzo di essi.” Phénomenologie de la perception, p.515. A questo riguardo si consulti lo Hinshelwood per approfondire i concetti di introiezione e proiezione in ambito kleiniano-bioniano. Vorrei sottolineare però l’utilità – nella tecnica psicoterapeutica – dell’utilizzo di termini come genitori interiori, madre dentro, ecc. per comunicare al paziente le introiezioni attive nel suo mondo interno e la loro relazione dinamica e dialettica con il mondo fuori. Cfr. Pragier, Mancuso, Alfred North Whitehead (Ramsgate, 1861 – Cambridge 1947: filosofo e matematico teorico del processo e dell’organicità della conoscenza) e Raimon Panikkar (Barcellona, 1918 – Tavertet 2010: filosofo e teologo tra oriente ed occidente): dove la dualità si esprime nell’apoptosi (morte-vita), nella fisica quantica (materia-energia / fermioni-bosoni), nella filosofia (soggetto-oggetto) e nell’antropologia (corpomente). Addirittura la comprensione del dentro-fuori dell’organismo umano fatto di simbiosi più che di differenziazione: nel nostro corpo vivono infatti ben più batteri che cellule umane. 27 L’assioma della conoscenza-non-assoluta – verità dell’esperienza vs. certezza metafisica – come quello dell’appercezione-intersoggettiva possono costituire le fondamenta per una metodologia psicoterapeutica attenta alla persona e rigorosa nel suo metodo. Ergo non è possibile supporre l’altro come identico alla rappresentazione che ci si è fatti di lui in sede statistica, ma solo appercepirlo come un altro ‘io’ trascendentale quanto me, cioè capace di intenzionare e interpretare un mondo, un suo mondo – Lebenswelt - e di comunicarlo secondo le proprie modalità apprese e sviluppate nella sua biografia. Questa époché fenomenologica si avvicina dunque molto al contenimento bioniano e all’asimmetria marcoliana – intesa nell’ambito di una neutralità benevola – marcoliana, quale capacità di osservare ed accogliere i fenomeni somatomentali (elementi beta e alfa) così come si presentano nel ‘qui ed ora’ in un transfert-controtransfert di influenze reciproche. Queste interazioni mettono in campo due personalità, due storie e sono cariche di pregiudizi e preconcetti, ma potenzialmente aperte a nuove simbolizzazioni, a nuovi apprendimenti, alla generazione di nuove mitologie personali più adeguate e sintoniche, infine al cambiamento ed alla conoscenza. Con l’insieme di questi elementi l’interpretazione psicoanalitica cerca di lavorare, tra ego e alter ego. D’altro canto la Idealkonstruktion 44 husserliana, contrapposta all’ingenuità filosofica di certa scienza nomotetica, ci riporta proprio al tema centrale dell’ermeneutica in psicoterapia. Interpretati e interpretanti si incontrano nel tentativo di de-costruire e ri-costruire dal reale-soggettivo verso il reale-intersoggettivo, dall’immaginario verso il simbolico, dal falso certo verso il vero incerto. In questo senso occorre approfondire le basi filosofiche della psicoterapia chiarendo sempre meglio la natura del suo oggetto di teorizzazione e di ricerca. Esso consiste di “una comunicazione nonverbale e verbale, che avviene all’interno di una relazione terapeutica”. Esso attiene dunque più all’intersoggettivo e al somatomentale che non alle cose e quindi ai meccanismi. Già Kant infatti si opponeva, a livello di ragion pratica, alla riduzione del soggetto-persona-fine a mero oggetto-cosamezzo. Con Husserl la ricchezza del campo analitico, fatto dell’incontro di due o più persone, si completa ulteriormente con gli spunti che ci provengono dal concetto di Da-sein (Esser-ci) affiancato a quello di Lebenswelt, traducibile con mondo-in-cui-si-vive. Esso descrive dunque un essere-nel-mondo-incui-si-vie inteso come fondamento aprioristico – aldilà di ogni certezza e metafisica – dell’esperienza e della conoscenza umana, quindi un assunto assiomatico e pre-scientifico ma condizione di possibilità della comprensibilità e dell’esperibilità del mondo umano. Come vedremo più avanti si tratta di una rivoluzione copernicana: l’uomo non viene più posto o contrapposto al suo contesto di vita, al suo ambiente e quindi al mondo. L’essere umano, in quanto soggetto, non può essere ridotto ad una cosa-oggetto collocata in uno spazio, oppure equiparato in toto ad un animale nel suo ambiente-territorio. La soggettività irriducibile ad oggetto – in quanto coscienza di qualchecosa, dell’esser-ci – emerge dall’interazione tra l’Esser- (uomo-persona-corpomente) e il -ci (luogo-spazio-mondo), o se vogliamo dalla relazione tra i due simbolizzabile con il trattino. L’Essserci costituisce dunque lo spazio-tempo dove si compie il complesso percorso che porta il soggetto ad elaborare la propria Ge-worfenheit (Esser gettato dentro il mondo) in una Entworfenheit (Esser pro-gettato nel mondo), secondo la concettualità heideggeriana. Viviamo nel mondo in cui ci troviamo dove ci siamo sperimentati e ci sperimentiamo come “gettati dentro”, ma vi siamo anche in relazione costante e traformativa che ci permette di apprendere a “gettarci avanti”. Ora il punto cruciale consiste nel fatto che il dualismo uomo-mondo si sfalda di fronte alla constatazione che proprio questo mondo dentro il quale siamo stati gettati, è a sua volta stato gettato 44 Cfr. Psychotherapie Forum, 4/2009. 28 dentro di noi: è entrato nel nostro corpo attraverso i nostri cinque sensi (ognuno con due interfacce: come per esempio il tatto che mi permette di sentire la cosa ruvida dal di fuori, ma anche di esperire la sensazione di ruvidezza dal di dentro) e nelle nostre menti attraverso le persone che ci hanno accudito ed educato e così via. Siamo gettati nel mondo – enti fra gli enti – ma lo gettiamo anche fuori di noi (secondo i fenomeni della proiezione e della identificazione proiettiva kleiniano-bioniane) in una continua dialettica capace di mantenere costanti il nostro senso di identità e di mondanità. Ma un fenomeno emerge dall’altro – l’uomo dal mondo ed il mondo dall’uomo – generandosi e ri-generandosi nel loro divenire inter-dipendente e non contrapposto. L’essere umano vive ed esiste allora nel proprio mondo, che egli interpreta e re-interpreta continuativamente e inter-soggettivamente: il mondo è pensato dal soggetto ed esiste dal e per il soggetto in quanto progetto. La scelta e possibilità, nel divenire e nel poter divenire se stesso, di fronte alla quale l’ente viene sempre e continuamente posto: fuori di se per trovarsi e ri-trovarsi come progetto in atto e realizzato qui e ora. In questa esperienza il soggetto-ente-esistente e essere-gettato-fuori può cogliere l’Essere come condizione di possibilità, Trascendenza degli enti, Altro dagli enti, quindi un Non-ente, un “Nulla” in quanto differente: un Essere non metafisico, bensì sfondo-sorgente dell’esser gettati e del progettarsi degli enti nel loro Esser-ci. Parendo da queste basi diventa ben accessibile la dimensione antropologica dell’Essere-per-lamorte intesa non solo come mortalità e negazione di essa – come dalla lezione freudiana – ma anche come finitezza dell’esperienza del continuo divenire di un qualchecosa che sorge dal nulla e può tramontare nel nulla – secondo la lettura severiniana. La psicoterapia ha indubbiamente – ormai sempre più – a che fare con quanto descritto sopra che non con il “cane legato” di Pavlov 45, su cui – pur integrandone i modelli compatibili – non possiamo costruire un modello della psicoterapia coerente e rispettoso dell’assioma dell’irriducibilità del soggetto ad oggetto: il soggetto è il contenitore della dinamica di cui sopra (contenuto) e non viceversa, né un soggetto-contenitore può contenere una soggettività di pari valore e dignità (dimensioni) della propria. Questo consente di relativizzare – riconoscendone l’affascinante valore euristico – anche i risultati dell’ “uomo inscatolato” nello scanner per una risonanza magnetica funzionale (fMRI). E’ in questo senso che vieppiù si dimostra come maggiormente adeguata una ricerca in psicoterapia secondo un design qualitativo o combinato qualitativo-quantitativo – cosiddetto naturalistico 46 – piuttosto che una ricerca secondo profili strettamente quantitativo-statistici. L’oggetto-psicoterapia si addice infatti più a ricerche attente alla relazione, alla qualità della stessa ed ai risultati di un processo che non a randomizzazioni e alle verifiche a doppio cieco. Infatti in una realtà relazionale duale – fondamentale in termini di efficacia, come dimostrato da tutta la ricerca in campo psicoterapico – cosa potrebbe funzionare come un placebo? Non certo le liste di attesa, dove un contatto, un’aspettativa ed una motivazione vengono già costruite a priori e accolte a posteriori. Addirittura si può assistere a proiezioni massicce sul terapeuta e sul suo lavoro alimentatesi in occasione di una prima telefonata per fissare l’appuntamento. 45 46 Un cane immobilizzato è impossibilitato a dar mostra del suo istinto a muoversi esplorando il suo ambiente, istinto che è una componente essenziale dell’intelligenza e del processo di apprendimento canini. Il termine può risultare ambiguo nelle lingue latine: “naturalistico” in questo caso rileva dalla biologia soggettiva, e quindi attiene alla contestualizzazione – all’interazione con territorio ed alla realtà professionale specifica di uno studio ambulatoriale di psicoterapia. 29 Placebo potrebbe essere in psicoterapia l’inganno, la manipolazione o la finzione: ma di nuovo ci scontreremmo con problemi di ordine etico e si avrebbe interagito personalmente-relazionalmente e psicodinamicamente con il paziente. In conclusione – seguendo le vicissitudini della Lebenswelt husserliana e della sua ricezione da parte di Habermas – possiamo affermare come definitivamente psicodinamico-terapeutico compatibile e necessario aprire la propria Weltsicht, il proprio vertice di osservazione naturalscientifico oggettivante, inteso come costitutivamente pregiudiziale: esso stesso è un concetto concepito a partire da una pre-concezione (direbbe Bion). In quanto tale può solo essere contenuto dall’esperienza – e non contenerla – e può solo esser contenuto dal mondo vissuto soggettivamente dalla persona che incontro nel mio studio. Un contenitore non può contenere infatti un altro contenitore di pari dimensioni (intese kantianamente come valore e dignità della persona-soggetto solo e sempre fine della conoscenza e mai mezzo, come legge universale e mai solo massima particolare). Le scienze umane consentono di capire, incontrare e confrontare i propri pre-giudizi con quelli altrui, fosse anche di un’altra disciplina empirica o scienza della natura, su un piano epistemologico coerente. Questa scienza delle scienze – epistemologia, ermeneutica e psicoanalisi come critica della coscienza individuale e collettiva – è costituita dalla Comunità scientifica interdisciplinare e coerente nel suo dialogo paritetico: la filosofia, come abbiamo visto, interroga e risponde alle neuroscienze e viceversa, e la disciplina empirica della psicoterapia porta materiale abbondante alla psicologia, alla pedagogia, alla sociologia e alla medicina e da esse prende spunti e aggiornamenti utili e necessari. Un esempio eclatante fra diversi altri è il costante riferirsi di Peter Fonagy proprio ad alcuni filosofi americani ed il suo considerare l’atto psicoterapeutico un atto pedagogico 47. 47 Cfr. Allen e Fonagy et al., pp. 123-4: “La psicoterapia infatti è una relazione pedagogica (…).” 30 2.4.2. Gli psichiatri: Jaspers e Binswanger 48 Per lo psichiatra Jaspers va subito ricordata l’importanza e l’intensità che egli riconosce alla dimensione spirituale, al punto da poterla definire una vera e propria necessità. L’impulso a “salvarsi spiritualmente” lo avvicinerà dunque più a Kierkegaard e Nietzsche allontanandolo da Husserl. Con Jaspers si approfondisce quella “filosofia della vita” che tanto può interessare e nutrire la psicoterapia, non a caso è con la pratica psichiatrica e con la psicopatologia che essa viene ad incontrarsi in Jaspers. Una filosofia della vita vissuta e concreta, come la si può incontrare in un colloquio psicoterapeutico, passeggiando per strada o muovendosi all’interno di una clinica psichiatrica, quella da cui tanto direttamente presero le mosse i filosofi dell’antichità. Platone scrive dell’amore nel Symposion e pensa la “polis”, Socrate muore a causa di essa, Aristotele filosofa esplorando le cose e i fatti attorno a lui e, secondo la leggenda, passeggiando a sua volta… Per Jaspers si tratta allora di approfondire il legame forte tra filosofia e la vita “vera e propria”, ed è nella psicopatologia che l’esercizio diviene per noi più significativo ancora. La vita si rende “concreta” nello sforzo dello psicopatologo che cerca di comprendere l’altro diverso da sé, prevalentemente malato o sano che sia. La comprensione comporta un incontro – come diceva Hegel da un punto di vista pratico – dove l’altro in me viene liberato da me e io mi liberi di lui ritrovandomi in rapporto con il mio finito meno triste, perché parte dell’infinito di cui l’altro ora fa parte con me. Il soggetto del pensiero – sano e patologico – pensa esistendo ed esiste pensando e vedremo più avanti come il pensiero coinvolga la mentecorpo o il corpomente, e ancor più con una prospettiva fenomenologica la mentecorpomondo dell’Esser-ci. L'esistenza è ciò che viene chiamata in causa nell'interrogarsi dell'uomo. Jaspers definisce l'esistenza come "ciò che non diventa mai oggetto, l'origine partendo dalla quale penso e agisco, ciò che si rapporta a se stessa e, in ciò, alla sua trascendenza". Le parole chiave della sua speculazione possono essere così riassunte in modo del tutto didattico: - Esserci (Dasein): l'Esser-qui-e-ora proprio di tutti gli oggetti e di tutti i soggetti che sono al mondo; - Esistenza (Ex-sistenz): definisce solo la condizione dell'uomo come ente, che non può essere definita completamente, ma solo chiarita o analizzata, in analogia con il concetto di Vita, come uno star-fuori e non uno star-dentro – In-sistenz – come nell’Essere; - Trascendenza (Transzendenz): ciò che è al di là della situazione attuale dell'esistenza, condizione di possibilità dell’Esserci di essa in quanto coscienza, riflessione e pensiero a partire dall’Esserci; essa definisce la stessa pratica del filosofare come scoperta continua di altri punti di vista e di nuovi pensieri. 48 Karl Theodor Jaspers (Oldenburg, 23 febbraio 1883 – Basilea, 26 febbraio 1969) è stato un filosofo e psichiatra tedesco. Ha dato un notevole impulso alle riflessioni nel campo della psichiatria, della filosofia, ma anche della teologia e della politica. Ha scritto opere quali: “Allgemeine Psychopathologie” e “Der philosophische Glaube”. Ludwig Binswanger (Kreuzlingen, 13 aprile 1881 – Kreuzlingen, 5 febbraio 1966) è stato uno psichiatra e psicoanalista svizzero. È l’autore di “Per un’antropologia fenomenologica”, “Essere nel mondo” e “La psichiatria come scienza dell’uomo”. 31 A queste parole chiave ben si accomunano pratiche come il filosofare appunto, ma anche il meditare, il contemplare o il praticare la contemporanea mindfullness. Per Binswanger – contemporaneo e omologo di Jaspers – la malattia mentale è uno dei modi di porsi dell'essere umano – quindi del suo Esser-ci, declinato nella sua Esistenza e nella propria composizione unica ed irripetibile di Immanenza-Trascendenza – una modalità del suo Essere-nelmondo, una peculiare disposizione soggettiva nei confronti della realtà-mondo, della realtà-corpo e della vita interpersonale. Rispetto a Freud, Binswanger non condivide la visione meccanicistica del funzionamento psichico dove l’Es con le sue pulsioni svolge un ruolo dominante. L'uomo freudiano – secondo una lettura comunque riduttiva di Binswanger – viene interpretato come "uomo natura" che si muove tra pulsione ed illusione, riducibile dunque a oggetto di ricerca natural-scientifico. Per Binswanger deve esserci qualcosa che vada oltre questa “meccanica”, una dinamica diversa capace anche di provocare piacere. Per questo intraprenderà un percorso di ricerca epistemologico che terrà in considerazione concetti come quello del Sé. In questa prospettiva va compreso l'Uomo nel suo significato di Esser-ci, Essere-al-mondo e solo sulla base di questa esperienza – quindi psichiatria e psicoterapia da intendersi come discipline empiriche teorizzabili nell’ambito della multi- e trans-disciplinarità – risulta possibile analizzare la persona umana nella sua propria, unica ed irripetibile declinazione corporale nel mondo. Come l’individuo vive nel mondo in quanto corpo e come esprima la sua dimensione corporeamondana costituisce il campo di interesse prioritario: la mentecorpo al mondo o – come oggi andrebbe neuroscientificamente aggiornato 49 – una mentecervello immersa in un corpomondo. A questo riguardo mi piace ricordare che il mondo è già presente al nostro corpomente dal suo interno viscerale rappresentato dal tubo digerente, dal-di-dentro dunque, così come l’altro-da-noi ci si presenta nella complessa simbiosi tra cellule umane e batteri. Dentro e fuori, corpo e mondo sembrano dunque strutturalmente, organizzativamente dialetticamente e dinamicamente compresenti – nel senso dell’esserci – l’uno all’altro. Secondo Binswanger non può esistere una storia di vita – scienza idiografica e umana – senza un organismo umano né quest’ultimo senza una storia, una biografia appunto. Interessa "il corpo che sono" (Leib), non solo il "corpo che ho" (Körper): la psicologia ha da studiare il Leib soggettivo, perciò diventa antropoanalisi (Daseinsanalyse), un’antropo-logia e, paradossalmente, non solo una psico-logia. Il percorso tracciato da Binswanger si rivolge anche alla persona umana nel suo esser-ci per e con l'altro, in quanto possibilità di realizzazione di Sé attraverso la propria possibilità di declinarsi attraverso l'amore. Un altro importante campo di applicazione dell’antropoanalisi è costituito dalla riflessione attorno ai temi dell’esistenza autentica vs. inautentica. Binswanger considera autentica un'esistenza legata ad un progetto di trascendenza (Entworfenheit: progettarsi dentro), mentre si esprimerebbe in chiave inautentica un’esistenza confinata entro le limitazioni dell'autonomia in quanto un mero essere-costretto-ad-essere. La sola immanenza del progetto (Geworfenheit: essere gettato) comporta infatti una libertà esistenziale che sa di condanna 49 Cfr. Ceroni et al., La coscienza, dove riferendosi al neurofisiologo Luigi Agnati si presenta la concezione orizzontale (informazione-computazione) e verticale (emozione-corporalità) dell’sopravvenienza coscienziale cerebrale. 32 – come direbbe Sartre – proprio perché incapace di indipendenza nei confronti del mondo, di questo suo mondo esistente e nel quale esistere o dover esistere. Questo confinamento-limitazione dipende infatti a sua volta dall’ “esistenziale a priori” denominato “fondamento”, il quale trascende l’immanente e rimane nella trascendenza. Il fondamento è del tutto individuale, sorgente di potenzialità, talenti, risorse e resilienze, condizione stessa di possibilità per una esistenza autentica la meno frustrante e colpevolizzante realisticamente possibile. Una esistenza autentica, una vita esistenzialmente autentica viene a costituirsi allora come una forma capace di esprimere – perché contenuti e trasformati dall’apparato per pensare – sensi provenienti da quelle emo-sensa-zioni veicolate dai simboli e quindi dai miti. Come ben ulteriormente sviluppato da Gaetano Benedetti in rapporto alla psicoterapia degli schizofrenici ed al fenomeno religioso, i simboli si fanno portatori di sensi, vettori di emozioni profonde che prendono origine dall’area – barriera di contatto – dove l’inconscio mentale si fa somatico. Questi elementi beta – come li definisce Bion – presuppongono le pulsioni avviando nel contempo il processo di trasformazione degli elementi β in α . I simboli comprendono dunque le pulsioni – con le loro emozioni e sensazioni (β) orientate alla scarica o alla trasformazione – ma non vi si riducono, consentendo in questo modo l’incontroscambio con la realtà privata-mitica per cominciare fino alla realtà del mitologico-collettivo, che include la langue, la storia, la cultura eccetera. Il piacere può venir allora declinato nell’esistenza qui ed ora, sufficientemente buona, che tenga conto anche delle dinamiche profonde dell’eterno ritorno teorizzato da Nietzsche ed a quelle inconsce della pulsione di morte elaborata invece dall’ultimo Freud. Laddove proprio Freud concede spazi ampi alla sublimazione, allo spostamento o alla condensazione che molto hanno a che vedere con le possibilità del provar piacere nella vita – economica, sociale, politica e culturale attuale – e con il ruolo che devono svolgere queste trasformazioni “metaforiche” nell’atto di costruire un Sé sufficientemente forte. Filosofia, etica, arte e religione conservano allora un loro posto nel consentire all’individuo, al gruppo ed al grande gruppo di vivere non solo in autonomia ma anche in comunità – in relazione – con quella giusta misura antropologica di ellenica memoria. 33 2.4.3. l filosofi pratici: Wittgenstein50 e Galimberti Secondo Wittgenstein "La risoluzione del problema della vita si scorge quando svanisce (il problema)".51 Questa affermazione – ricca di implicazione e che necessita di un continuo ripensamento – non sembra voler essere né socio-politica, né tantomeno metafisica, ma voler descrivere il fatto che il problema dipende dalla forma di vita 52 che un individuo sta effettivamente, praticamente vivendo, in quanto dato o sfondo articolato e complesso, oggettivo-soggettivo. Per quanto Wittgenstein – quale filosofo analitico contemporaneo che ritiene ogni proposizione doversi ricondurre ad un dato esperito immediatamente dal soggetto, al quale l’esperienza si offre 53 – consideri problematico il passaggio dall’esperienza diretta dell’individuo-soggetto alla sua comunicazione “in parole” all’interno della cosiddetta Comunità scientifica. Uno psicoanalista ermeneutico conosce bene quanto sia ermeneuticamente rilevante una descrizione verbale fatta per esempio nell’ambito di un “racconto di sogno” in analisi: oggetto si con-fonde e ri-fonda tra soggetto e soggetti. Forse è proprio in questo ambito mitologico – proprio anche dell’arte, della religione e della cultura in genere – che si cela la condizione di possibilità che un problema svanisca: svanisce perché nel narrare in modo auto-riflettente e auto-biografico la mia vita, di capitolo in capitolo, posso mantenere memoria e coscienza di ciò che pre-cedeva il problema, vi co-esisteva e gli sus-seguiva. Svanisce in quanto problema, non in quanto vita appunto. Per Wittgenstein va infine sottolineato – secondo la lezione di Severino – che tacere delle cose dell’arte e della religione non significa disprezzarle o negarle, ma semplicemente di non considerarle contenuto possibile di una comunicazione significativa-oggettiva, bensì sensatasoggettiva. Ma non era questo proprio il problema anche della comunicazione naturalscientifica, e non è questo il campo precipuo di applicazione della psicoterapia: il soggetto e la comunicazione intersoggettiva alla ricerca della costruzione di un con-senso attorno a miti personali condivisi e condivisibili. Un rafforzamento della capacità di superamento del problema inteso come parte di una vita e del suo fluire, piuttosto che di uno stato pervasivo della coscienza, della memoria o dell’inconscio. Nel Libro blu Wittgenstein infatti lotta contro il desiderio di generalità che ci induce a cercare definizioni univoche del significato d'una parola. Il desiderio di generalità è all'opera anche nel 50 51 52 53 Ludwig Josef Johann Wittgenstein (Vienna, 26 aprile 1889 – Cambridge, 29 aprile 1951) è stato un filosofo e logico austriaco, autore in particolare di contributi di capitale importanza alla fondazione della logica e alla filosofia del linguaggio. L'unico libro pubblicato in vita da Wittgenstein è il Tractatus logico-philosophicus, la cui prefazione è del filosofo e matematico Bertrand Russell, suo maestro; esso è considerato una delle opere filosofiche più importanti del Novecento. Ci interessa in questa sede per il suo “disarmante” modo di pensare la vita, particolarmente illuminante per la psicoterapia. Sul problema della vita cfr. anche Perissinotto nel “Ritorno ad Atene”, pp. 453-466, nel capitolo dedicato alle pratiche filosofiche. È interessante osservare a questo proposito come nel Medioevo si definissero “forma di vita” le nuove Regole degli Ordini mendicanti, i quali intendevano mutatis mutandis risolvere il problema della vita del singolo e della Christianitas. Cfr. Anima e psiche, § 4.3.4., dove si parla appunto della metodologia di ricerca sviluppata a Köln da Fischer e collaboratori denominata: convergenza logico-empirica. Dove gli attributi “logico” ed “empirico” sembrano comunque potersi accomunare con il processo conoscitivo analitico del secondo Wittgenstein, di Carnap (Ronsdorf ,1891 – Santa Monica, 1970) e di Popper (Vienna, 1902 – Londra, 1994) e altri. Se infatti la verificazione-falsificazione - con la sua problematica legata all’asimmetria di una sola esperienza in grado di confutare le molte comprovanti - lascia il posto alla convenzione intersoggettiva e coerente, allora anche i termini di logico ed empirico si “umanizzano” e da prettamente fisico-naturalistici quali erano si ac-culturano. 34 filosofo quando questo cerca di definire le parole quasi fossero oggetti o si riferissero all’oggetto reale senza alcuna mediazione soggettiva o culturale. Le parole sono "indefinibili" invece proprio perché ogni volta assumono un aspetto diverso a seconda, per esempio, dell'accordo o non accordo con altre parole. Fidandoci dell'apparente identità grafica delle parole il linguaggio costruisce analogie fuorvianti. Per esempio le espressioni "A ha un dente d'oro" e "A ha un mal di denti" sembrano analoghe ma sono invece differenti perché si può dire io sento il dente d'oro di A ma non si può dire che io sento il mal di denti di A. È questa la teoria dei giochi linguistici (Sprachspiele), poi tema centrale di molte sue successive riflessioni. Wittgenstein ha assunto volutamente la parola "gioco" perché di esso non esiste una definizione univoca – si va dalla connotazione più meccanicistico-oggettiva a quella più immaginario-soggettiva – e soprattutto perché esso ha a che fare con l'universo primitivo e pratico del bambino. Potremmo dire che nel termine “gioco” – esemplificato dalla disambiguazione di quello di “dente” – è contenuto il problema del suo significato, linguisticamente più facilmente risolvibile, e quello del suo senso – inteso come contenuto di una forma-contenitore che va dall’elemento beta al simbolo, dal sogno al mito, dal corpo alla mente – esistenzialmente di molto più complessa risoluzione. Il gioco del bambino attiene appunto alla vita stessa – mutuata dalla fantasia-immaginazione – potremmo dire con gli esistenzialisti che ha a che fare con l’esistenza come essere-al-mondo. Winnicott ci insegna però che proprio il gioco sta transizionalmente tra due mondi, tra due realtà: quella esterna e quella interna. Non può dunque sussistere in un gioco – nemmeno linguistico – uno svincolo dalla realtà, dagli altri che mi parlano e che ascoltano la lingua che parlo. Questo dato di realtà, questa esperienza della Vita non è altrimenti e meglio univocamente determinabile che altre realtà naturali, ma soprattutto non lo è affatto solo nell’ambito ristretto delle categorie oggettive o intersoggettive, in quanto la vita-propria è assolutamente vissuta solo da un soggetto individuale e non può essere scambiata o comparata con nessun fenomeno altrui. E’ fatta altresì di narrazione, ascolto e interpretazione: non si tace sulla propria vita a meno di gravi o gravissimi disturbi dove è il silenzio solo a parlare… Questo non poter tacere e parlare nonostante – o proprio in quanto – ambigue sono le parole costituisce la sorgente della relazione terapeutica e il campo entro il quale essa si svolge cercando di avvicinare, comprendere e condividere delle Vite, ognuna dal suo versante o vertice di osservazione. In questo senso, parafrasando specialmente il secondo Wittgenstein, potremmo affermare appunto che la psicoterapia ha a che fare con l’arte e la teoria e la ricerca psicoterapiche con la storia o la critica dell’arte, dei suoi prodotti, delle sue opere. In ultima istanza perché riferisce ad attività (come sono di fatto i giochi), allontanando l'idea che un gioco linguistico sia del tutto svincolato dall'attività reale. È vero infatti che Wittgenstein non ritiene la sua ricerca nell’ambito della vita vissuta simile alla ricerca scientifica, si tratta di “assestare” diversamente ciò che ci sta sempre davanti e non di scoprire qualcosa di nuovo. L’assestamento in questione riguarda prioritariamente il linguaggio, ma con esso anche l'uso di esso. La ricerca di Wittgenstein, anche del primo Wittgenstein, rimane però un a ricerca aperta anche verso sempre nuove logiche con possibilità di nuovi giochi linguistici che andranno di volta in volta nuovamente codificati e quest’ultimo punto pre-suppone la dimensione sociale della codificabilità. L’individuo che privatamente-internamente segue o crede di seguire una regola per una o più volte necessita insomma di una testimonianza esterna, la quale sarà data dal comportamento e dal linguaggio. La dimensione psicologica non è affermabile dunque se non tramite comunicazioni – scambi e conferme – non verbali e verbali. La logica del linguaggio ed il metodo ad essa sotteso e ripreso dalla filosofia analitica non può e non deve – secondo oscillazioni critiche ricorrenti nella storia della filosofia – ricadere a sua volta 35 nella trappola dell’ “assolutizzazione” o “dogmatizzazione” di se stessa come avveniva appunto, in parte, nella metafisica e nella teologia di antica concezione. Tutte possono invece mantenere la propria autonomia – nella coerenza e nella comunicabilità intersoggettiva quindi sociale – nei metodi e nelle complementarietà dei propri campi di applicazione. Da qui la validità della ricerca sul processo psicoterapico con criteri qualitativi o designs misti tra cui il modello della convergenza logico-empirica. Concludendo va assolutamente ricordato che per il secondo Wittgenstein rimane “fuori campo” in quanto indicibile, in quanto priva di oggetto oggettivabile, la sfera mistica che tanto poco ha a che fare con i quesiti delle scienze esatte, quanto tanto influenza il nostro modo di vivere i problemi vitali. Mistico allora, quantunque non naturalscientifico, non è dunque sinonimo di irrilevante o inesistente. Emanuele Severino – con la sua attenzione rivolta al nulla che diviene nulla – ed Umberto Galimberti – che ne applica le conseguenze anche ai campi della psicoterapia – costituiscono il filo sotteso al mio ragionar di scienza psicoterapeutica intesa qui soprattutto come dialogo tra filosofia e psicoanalisi. Entrambi – da un punto di vista più teorico il primo e pratico – pensano una dimensione umana che non può ridursi alla superficie del quotidiano e del tecnologico, quindi ad una scienza umana aperta anche al profondo e al non dimostrabile - definito entro i limiti della categoria falsificabileverificabile – ma ragionevole. In questo senso non dedicherò altri paragrafi al loro pensiero in questa parte del libro, ma esso è ben rintracciabile nelle righe della mia scrittura tra una citazione e l’altra, in questa seconda parte e in quelle che seguono. 36 3. 3.1. L’umano come vivente Vita come dinamica complessa e movimento continuo Fin qui abbiamo cercato di ripercorrere la teoria seguendo il filo conduttore che lega i pensatori del passato al nucleo di quell’esperienza intersoggettiva-comunicativa particolare costituita dalla relazione terapeutica. Il percorso, ne sono consapevole, risulta poco agevole e disseminato di aporie. Ora si tratta di avvicinare – sulla base di quella critica e riflessione teorica – la pratica psicoterapeutica e psicoanalitica. Per farlo si tratta di dedicarsi ora a quei temi descritti come soggettivi, unici e difficilmente ripetibili, se non comparabili con criteri di ordine qualitativo-narrativo, più che meramente statistici. La psicoterapia in questo senso va vista più come una “parte della vita” che osserva e descrive il vivente, l’individuo come essere vivente e l’uomo come essere vivente umano. La soggettività deve diventare il criterio, la misura dell’esperienza e l’intersoggettività la meta più che il punto di partenza. Le domande e le risposte attorno al senso – con le proprie espressioni in ambiti come l’arte, la religione o la politica – diventano – seppur non basate su evidenze empiricamente verificabili o su significati univoci e non contradditori – l’oggetto di esperienza soggettiva e di quella intersoggettiva, di forme di vita, di pensiero e di affetto. Seppur ancora grezze a livello di significato risultano capaci di alimentare riflessioni e costruzioni teoriche e pratiche individuali e sociali. Su questo applichiamo le nostre menti e cerchiamo di comprendere ciò che le muove con dentro i nostri corpi. Per farlo partiamo nuovamente da Platone, il quale identifica o potrebbe aver voluto identificare la vita con l’anima stessa, intesa quest’ultima non tanto in senso mistico bensì cognitivo: come memoria dell’unità nel molteplice. Ciò che vive con sensi umani fa memoria, ri-corda, l’unità celata o manifestantesi nel molteplice, ed in questa operazione di ri-conoscimento trova i sensi che alimentano le sue forme. Questo dato storico-analitico etimologico fonda la nostra comprensione della vita psichica come vita dell’anima che comprende se stessa, il mondo che la circonda e nel quale con il proprio corpo è immersa sulla base di una memoria etero- e auto-cosciente. Quest’anima-psiche è corpo che esperisce e rammenta esperienze passate. Quest’anima è vita soggettiva e diventa comunicabile grazie alle sintesi (unità intersoggettiva nel molteplice soggettivo) risultanti dalle analisi (molteplice nell’unità). La psicoterapia come terapia della psiche intesa platonicamente come anima-principio-di-vita e dunque la scienza psicoterapeutica non possono che muoversi controcorrente partendo dall’analisi – anche etimologica appunto – per muoversi verso nuove e continue sintesi tra soggetti così come tra scienze per passare dai significati – troppo stretti e ciechi in terapia – ai sensi e da questi alle forme capaci di contenere entrambi, come la psiche nella sua psico-logica cerca di contenere la propria vita somatopsichicomentale. Questa vita, in quanto forma della psiche, risulterebbe kantianamente vuota se non contenesse appunto i sensi dei vissuti-Erlebnisse surriferiti. La nostra vuole dunque essere una ricerca originale e sintetica costruita su questa constatazione evidente secondo la quale una forma non può contenerne un’altra di “pari o minori dimensioni”, ma solo paragonarcisi e confrontarcisi con strumenti diversi e da angolature diverse. Aristotele ci raggiunge proprio in questo punto permettendoci di esplicitare ancora meglio il concetto platonico di anima – secondo la lezione tomista tramandataci da Stagnitta – considerandola come sostanza (forma) del corpo (materia). 37 L’anima percepisce, sente, pensa ed agisce nel e col corpo in una simultanea e contingente cooperatio. La vita sarebbe allora l’espressione, il fenomeno emergente, di questa cooperazione somatopsichica che è mente che pensa e sente il corpo e corpo che porta l’anima-mente a pensare attraverso il sentire, secondo uno splendido passaggio aristotelico che riporto integralmente: « Se dunque il vivere (zen) è di per sé un bene e piacevole e ciò si manifesta nel fatto che tutti desiderano vivere e soprattutto lo desiderano gli uomini accorti e beati; per loro infatti la vita (bios) è desiderabilissima e la loro vita (zoe) è beatissima, e vedendo si sente di vedere e sentendo di sentire, camminando di camminare e in tutti gli altri casi simili sentiamo che esercitiamo la consapevolezza (energomumen da energheia come “presenza dell’esistenza a se stessa e dunque condizione di felicità”) e che sentiamo di sentire, e pensiamo di pensare, e sentiamo di pensare, e che esistiamo (e infatti esistere è sentire e pensare), e sentire che viviamo. » 54 Questo testo aristotelico pregnante mi piace leggerlo in combinazione con un interprete del pensiero aristotelico cronologicamente ma soprattutto culturalmente molto più vicino all’autore che a noi, dunque intersoggettivamente piuttosto affidabile. Gregorio Palamas 55 – che Perrella ci fa scoprire – intende l’umano pienamente espresso nell’azione (atto come potenza in atto, in attuazione, attualizzata): l’umano è atto umano, anima e corpo, che diviene nel mondo, nello spazio-tempo. Il passaggio “sentiamo di sentire, e pensiamo di pensare, e sentiamo di pensare, e che esistiamo, e sentire che viviamo” va pure esso inteso nel senso della vita in actu, dell’esistenza, quindi pensata e sentita con consapevolezza e presenza a se stessa. Questo senso della vita intuito ed inteso partendo da Aristotele e passando per il Medioevo filosofico-tomista ci accompagna alle porte del pensiero cartesiano, il quale da più parti ormai 56 viene riconosciuto come un punto di origine del dualismo soma-psiche. La separazione netta tra res cogitans, l’io-che-pensa in quanto anima e mente, e la res extensa, gli oggetti che compongono il mondo fisico, comportavano la soluzione del problema a sapere di poter sapere: il soggetto conosce un oggetto. Questo realismo poteva reggere all’interno di una metafisica nel sostenere il progredire delle scienze e della tecnica, ma avulso da detta filosofia si approda ad un’affermazione contraddittoria in quanto, da un lato, non si indicano le condizioni attraverso le quali il processo conoscitivo si realizza ed il soggetto avvicina e si “appropria” dell’oggetto, dall’altro, il soggetto senza anima risulta annullato ontologicamente. La scienza ha potuto dimenticarsi forse delle domande cartesiane riguardanti la realtà degli oggetti, ma come può la psicologia procedere nel medesimo modo parlando di una psiche che le neuroscienze – adeguatamente ai loro metodi di ricerca – smantellano di ogni sostrato che non sia neuronale. Cartesio viene dunque superato dalle conoscenze sul cervello – che intendiamo come il tutto di un corpo-nel-mondo – che obbligano a ri-postulare un soggetto oggettivamente-soggettivo ed un 54 55 56 Aristotele, Etica nicomachea, 1170a 7-9. Arcivescovo ortodosso-bizantino (1296 – Tessalonica, 1359), formatosi al Monte Athos fu esponente della teologia esicasta (una forma di meditazione “mantrica”), sospettato di eresia fu arrestato e imprigionato più volte per poi essere infine definitivamente riabilitato. E’ interessante notare come queste tesi legate superamento del dualismo mente-corpo vengano portate avanti da circa un trentennio al Sud delle Alpi da Galimberti così come al Nord dallo psicoanalista Küchenhoff, i quali non si conoscono né si leggono, ma subirono le stesse critiche da parte del mondo accademico dominante. 38 oggetto soggettivamente-oggettivo: il corpo sono io nel mio mondo dal quale emergo – grazie al mio cervello in interscambio continuo – come un cogito-che-pensa-il-mondo. Da qui si tratta ora di compiere ancora un ulteriore passo di conferma delle basi filosofiche in gradi di fondare una unità dinamica somatopsichica. Seguendo le tracce marcate da Galimberti – il quale integra con originalità il pensiero dell’antropologo novecentesco Gehlen con il filosofo settecentesco Herder 57 – orientiamo il nostro percorso a partire dalla seguente tesi: « L’uomo è un feto venuto precocemente al mondo, dotato di una mente che pensa (scienza-tecnica) in, da e per un corpo in pericolo determinato prevalentemente dall’assenza, dalla mancanza, e dal bisogno. » Dalle neuroscienze sappiamo che la mente che pensa è il fenomeno emergente dell’attività neuralecerebrale, ma il cervello va inteso come realtà a sua volta interconnesso sia verso l’interno che verso l’esterno del corpo. Questo cervello-mente si trova quindi a dover operare in condizione permanente di stress, di rischio, di inadeguatezza e di astinenza. Dobbiamo proprio a Schopenhauer la concezione stessa di un non-conscio – Unterbewusstsein – e dunque inconscio, quale topos abitato dalla pulsioni testimone quotidiano della natura animale (corporale) dell’uomo. Questa “volontà inconscia” costituisce l’uomo essenzialmente – senza dualismi – e ne plasma l’esperienza del mondo che viene ora a collocarsi tra la volontà – come ermeneutica pre-conscia – e la rappresentazione stessa che ci facciamo del mondo. Dalle neuroscienze apprendiamo nuovamente quanto sia determinante la rappresentazione interna che un soggetto si fa dell’oggetto, e quanto questo oggetto sia intriso di soggettività interpretante. 58 In Nietzsche troviamo lo stesso concetto espresso nei termini dell’ “essere pensato” oltre l’Io, oltre la coscienza del soggetto, per riconoscere questa dimensione ulteriore della vita umana vissuta: una ulteriorità di cui l’Oltre-uomo accetta di farsi carico in piena responsabilità e con una coscienza – qui il paradosso forse con la critica alla metafisica – ampliata al senso del nulla che ci precede e ci segue. In tutti questi pensatori possiamo ravvisare lo sforzo di abbandonare determinati vertici di osservazione acquisiti e di aprirsi alla relatività dell’Io rispetto al corpo ed al mondo che lo precede, che ha appreso ed interiorizzato. In questo sia la psicoanalisi più recente, come le neuroscienze sembrano confermare la stessa domanda e porla in termini sempre più precisi. La risposta non sta né nel riduzionismo metodologico, né in un olismo indifferenziato. Ma – ed è il tema di questo capitolo – la vita, oggi più che ieri, non sembra lasciarsi definire in termini dualistici. Prendendo infine spunto dal filosofo francese Bergson 59 la vita va intesa come movimento, come dinamica: non statica, non immobile, non immutabile quindi, ma in divenire continuo, in fieri. In questo senso la vita costituisce un oggetto di difficile definizione e impossibile misurazione, ma non per questo la domanda circa la sua essenza può venir elusa o ricevere risposte del tipo “domanda malposta, risposta impossibile, il problema in realtà non sussiste”. 57 58 59 Arnold Gehlen (Lipsia, 1904 – Amburgo, 1976), autore delle seguenti opera: Der Mensch. Seine Natur und seine Stellung in der Welt. (1940), Urmensch und Spätkultur. Philosophische Ergebnisse und Aussagen (1956), Die Seele im technischen Zeitalter (1957). Johann Gottfried Herder (Morąg, 1744 – Weimar, 1803). Opere: Abhandlung über den Ursprung der Sprache (1772), Ideen zur Philosophie der Geschichte der Menscheit (1784-1791). Cfr. Purves, Grawe e Kandel. Henri-Louis Bergson (Paris, 1859 – Paris, 1941), autore de L’èvolution créatrice (1907) e de La pensée et le mouvant (1934) si è mosso tra spiritualismo e positivismo influenzando fortemente la psicologia del suo tempo. 39 In questo ci aiuta piuttosto invece la riflessione attorno paradosso di Zenone: “Per misurare la velocità di una freccia devo fissarne la posizione in due istanti ad una certa distanza. La freccia risulta dunque ferma in ognuno di questi istanti, altrimenti si muoverebbe all’interno del dato istante osservato, essendo ferma in ogni istante il movimento è da negarsi.” Ma da negare è la realtà di quello che osservo su un piano meramente analitico con un cervello eminentemente sintetico ed associativo: il movimento non è solo la somma di una serie di istanti, ed ad ogni istante la freccia genera, crea, auto-crea movimento accumulato dal passato e proteso verso il futuro. Come il cane legato di Pavlov – per effetto di una riduzione metodologica anche legata ad una ben determinata epoca storica – pur avendo consentito notevolissime scoperte, non è un cane pienamente vivo – in natura, movimento ed azione – quale essere vivente nel proprio corpo in relazione con il proprio mondo – così l’uomo passato allo scanner PET o fMRI costituisce un oggetto di ricerca fortemente ridotto e dunque in tal senso pre-determinato. Vivo non è dunque riducibile a vivo in vitro, e quando lo fosse per motivi metodologici il metodo deve sapersi criticare in rapporto alla complessità ed alla sintesi in modo da riuscire a render giustizia alla sfera umana-culturale-spirituale, ma anche a quella animale nel proprio ambiente naturale-ecologico. Su questa scia possiamo procedere nel nostro tentativo – difficile quanto innovativo e stimolato proprio dalla fisica quantistica come dalle neuroscienze cognitive – a mettere insieme sinteticamente e non solo a contrapporre anti-teticamente le scienze culturali dell’uomo con quelle naturali. La psicoterapia, e con essa la psichiatria e la psicoanalisi nel dialogo promosso nell’ambito della scienza psicoterapeutica – possono fungere da ponte per la natura stessa della loro esperienza e ricerca inter-soggettiva. Per fare questo considero illuminante – accanto al paradosso di Zenone – la domanda attorno a Socrate, così come può venir posta in chiave meramente riduttiva o eminentemente olistica: Perché Socrate scelse di lasciarsi morire? - Solo grazie ad un coordinamento senso-motorio necessario per la deambulazione? (neuropsicologia-ortopedia) - Solo spinto da motivazioni implicite ed esplicite di origine neurologica? (neurologia-neuroscienze) - Oppure anche perché figlio del suo tempo, nel quale ha tessuto fitte e significative relazioni sociopolitiche? (cultura-politica-filosofia) Il principio meramente biologico della sopravvivenza o autoconservazione non basta a spiegare e tantomeno a motivare l’atto culturale di Socrate, filosofo che muore per una “specie meta-fisica”. Se il meccanismo può risultare analogo, per nulla il suo campo di applicazione irriducibile al biochimico, ma ad esso integrabile e necessariamente sovrapponibile. In questo senso non è consentita un’alternativa valida al chiedersi quale “libero arbitrio” e quale “responsabilità civile e penale” siano computabili alla specie umana: per i greci erano la mano ed il braccio responsabili di un’azione come uccidere un nemico, per i medioevali il peccato era iscritto nel dalle origini o ispirato da un demone. Il modello secondo il quale l’essere umano sia intrinsecamente o estrinsecamente determinato – se non predestinato – non può risorgere delegando ad un nuovo organo – fosse anche quello cerebrale – una responsabilità che è dell’uomo-come-tutto da intendersi come essere naturalculturale o culturalnaturale. Solo mano o cervello, solo demone o spirito comportano sempre una perdita nel modello integrativo-olistico-interdisciplinare dell’umanità vissuta in tutta la sua interezza e complessità. 40 L’Uomo–vivente, l’Uomo-in-vita – quindi agente (Gehlen, Husserl, Jaspers, Binswanger) – consente una revisione ed un allontanamento dal modello epistemologico-antropologico dualista, il quale impedisce – seppur giustificatissimo e gratificante sul piano del metodo e dei mezzi – un’adeguata comprensione del fenomeno Uomo nella sua pienezza e dei fini della ricerca, della scienza e della tecnica. Non a caso dunque certa scienza considera irrilevanti o mal poste domande quali “Cos’è la vita” e “Cos’è la coscienza di essa”. Mentre noi scriviamo in coscienza della basalità della coscienza di essere consapevolmente in vita: inconsciamente consci e coscientemente inconsci 60. Dal nostro punto di vista invece consideriamo la coscienza un fenomeno emergente nuovo e irriducibile, confermati dalla più recente ricerca in campo neurologico, dove – forse appunto proprio per questo – il correlato neurofisiologico dei processi di coscienza come auto-coscienza (flusso dell’identità nel tempo) non sono ancora stati inequivocabilmente trovati. Le ipotesi di un “brusio” o rumore (disordine) di sottofondo costituito da sincronie, sintonizzazioni bioelettriche sembra promettente e di sicuro stimolo: in quanto non riduttivamente localizzabile, ma pervasivo del cervello-corpo ed in quanto fenomeno emergente tra emergenze. Dal disordine del brusio, l’armonia sinfonica! 60 Cfr. l’ampiezza delle considerazioni a riguardo rintracciabili e consultabili in: Ceroni, ”La coscienza”, che ritengo integrabile con “La teoria del pensiero” bioniana e con “La méthode” moriniana. 41 3.2. Vita come fenomeno tra analisi e sintesi Come spesso è capitato nel corso di questa scrittura partiamo da un’intuizione greca che considero un efficace antidoto a certo pensiero dualistico o monistico – nel senso di solo neuroscientifico – nostro contemporaneo. Il concetto aristotelico (vicino a quello omerico, epico e tragico, fortemente a contatto con l’universo delle passioni) fonda e apre orizzonti anche per la riflessione futura, se ben recepito. Non si tratta di giustificarne la metafisica, bensì di validarne l’antropologia trascendenteimmanente, e questo nella formula: l’anima forma del corpo materia dell’anima. 61 Pure nella tradizione giudaico-cristiana è possibile una miglior comprensione antropologica a partire dalla semantica dei testi spesso interpretati alla luce di una filosofia platonizzante, più facilmente interpretabile a sua volta in chiave dualistica, sebbene anche per Platone le passioni fossero “dietro l’angolo”. Lo Spirito che aleggia sulle acque (dall’ebraico Ruach, Gen 1,1 e 2,7) è più un soffio di vita – in relazione com-presente e im-manente col creato come lo è l’aria – che viene insufflato in una materia altrimenti morta – semplicemente non-viva – piuttosto che un “collocatore di spiritiabitanti» di corpi altrimenti “vuoti condomini”. Ruach rende vivo e in-relazione, consente l’esser-ci del corpo e dell’anima in quanto essere-vivente-nel-mondo. La differenza non consiste allora tanto tra corpo con/senza anima, ma tra corpo-terra-Körper-morto e corpo-umano-Leib-vivo. Dove terra – in ebraico adam – sta per composizione bio-chimico-fisica, ergo per corpo “terroso” in quanto oggetto organico. 62 Facciamo un passo indietro seguendo le peripezie della fisica quantistica, la quale superando l’episteme metafisico nei propri sviluppi sperimentali-tecnologici ed epistemologici è giunta alla confusione potenziale tra oggetto e soggetto, così le neuroscienze potrebbero giungere alla meta di un’integrazione più dinamica, più dialettica, più sintetica appunto tra corpo e psiche, tra cervello e anima. Già ora la relazione cervello corpo spinge verso questa unione dinamicamente alimentata. La meccanica quantistica congiunge il fenomeno “corpuscolo” con quello dell’ “onda” nelle definizione di una “particella che possiede entrambi gli attributi: ondulatorio e corpuscolare” e che risulta posizionabile all’interno di un certo “campo” probabilistico. 63 La misurazione dei fenomeni “velocità”, rispettivamente “posizione” implica, un po’ come in Zenone, l’esclusione di una o l’altra natura dell’oggetto stesso: se moto allora lo strumento ne determina la natura di corpuscolo, rispettivamente la misurazione del posizionamento determina che se ne osservi la natura ondulatoria. Non solo, ma il possibile corollario va ben oltre arricchendo la prospettiva dello psicoterapeuta: “ Le nuove ipotesi quantistiche implicano che le condizioni locali non bastano a formulare le leggi di moto, come non basta a comprendere il significato di una pittura l'esame microscopico di tutte le sue parti, ed è il sistema fisico nel suo complesso che occorre osservare. Ogni singolo punto materiale del sistema si trova infatti in ogni momento, in un certo senso, in tutti i luoghi dello spazio complessivo che sta a disposizione del sistema, e non soltanto col campo di forza che espande intorno a sé, ma con la propria massa, e con la propria carica. Il movimento di un punto materiale non viene più descritto con una curva determinata, ma con una onda materiale (prodotto della frequenza di vibrazione e della lunghezza d'onda) e la rappresentazione dell'atomo passa dal ben noto modello del sistema planetario a quello di una carica nubiforme, mentre il fenomeno quantistico elementare, il fotone, diventa un "dragone di fumo" di cui possiamo 61 62 63 Si confronti Stagnitta e Aristotele, De Anima, Primo Libro. Si confronti sempre il Libro del Genesi e la sua esegesi più aggiornata. Questo mio sunto è un libero riadattamento di alcune voci di Wikipedia. 42 individuare solo la testa e la coda. Nella nuova teoria quantistica è quindi il campo stesso, oggetto fisico a cui è associato un numero infinito di gradi di libertà, che viene sottoposto ad un processo di quantizzazione, in cui i quanti sono le particelle ad esso associate. Le particelle materiali vengono così concepite come quanti di campi energetici, e l'universo stesso può essere concepito come un insieme di campi in cui le particelle sono puri epifenomeni. Lo stesso dualismo tra energia e materia e tra campi e oggetti, viene così superato dall'ipotesi che la materia è solo ciò che si produce nelle trasformazioni quantistiche del campo. Ciò che ad un livello di osservazione appaiono infatti particelle dotate di una realtà indipendente, altro non sono che diverse intensità dei punti del campo e diverse configurazioni delle sue linee di forza.” 64 A questo livello ripensare la realtà non più solo come oggettività esistente, ma piuttosto come effettività (Wircklichkeit vs. Realität) in relazione risulta a mio avviso di grande aiuto, soprattutto perché integrabile con la definizione di mondo come “costrutto neurofisiologico” 65. Il mondo si crea in relazione col soggetto che ne percepisce le relazioni effettive, ad esempio, di causa-effetto. D’altro canto il cervello stesso esprime la propria dotazione genetica (espressione genica) – con operazioni determinanti per la soggettività, individualità e libertà umane – rispondendo effettivamente agli stimoli che gli provengono già nella vita intrauterina e che esperisce come concatenazioni più o meno casuali, ma affettivamente effettive. Stiamo dunque tornando all’indeterminazione tra soma e psiche sempre più evidente, quanto più la scienza si immerge all’interno del cervello, tra i neuroni e le loro sinapsi, mentre la ricerca scopre il loro funzionamento elettrico e chimico. Da questo substrato neurale emerge 66 la coscienza, forse proprio sulla base di onde elettriche di “sottofondo” che “scannerizzano” continuamente l’intera corteccia cerebrale: un lavoro dunque di continua “interconnessione”, relazione, associazione e sintesi. Proprio l’emergenza – con la componente degli attrattori 67 – infatti risulta un ottimo modello fisico applicabile alla descrizione della relazione tra coscienza e cervello, ri-duttivo al punto giusto, ma aperto (ab-duttivo, comprensivo, olistico, ecologico) all’interdisciplinarità dell’umano. Voler ricondurre – secondo il riduzionismo sfrenato – il tutto alle sue parti arrischia dunque di risultare tautologico: tutto è evidente nasce nelle cellule e dipende da atomi e molecole, ma ciò che interessa e ha rilevanza sul piano pratico non è solo il “cosa”, ma il “che sia” ed esso attiene al fenomeno emergente più che alla sua costituzione chimico-fisica-biologica causale. In questo le neuroscienze arricchiscono il dialogo e la riflessione critica in psicoterapia, ma non esauriscono il campo delle altre scienze umane, salvo ancora quello che Wittgenstein definiva come ambito del mistico-indicibile – indimostrabile forse ma ragionevole perché non non pensabile – l’ambito del “perché la cosa sia”. 64 65 66 67 Cfr. Goriano Rugi, Riflessioni sul modello psicoanalitico di campo, in: www.psychomedia.it, Roma 1999. Cfr. il pensiero ad es. di Francisco Varela nella sua intervista da parte di Sergio Benvenuto, in: www.psychomedia.it, Roma 2001. Un fenomeno emergente (cfr. Morin) implica le seguenti caratteristiche, attinenti anche alla teoria dei giochi e dei sistemi: - appartiene a sistemi complessi; - non è spiegabile sulla base delle leggi che governano le componenti del sistema; - l’insieme esprime dunque più della somma delle sue parti; - queste proprietà aggiuntive si esibiscono in maniera non-lineare; - può risultare disagevole e financo irrilevante applicare al sistema una metodologia atomista. Cfr. Pragier, dove il concetto teorico-fisico degli attrattori – determinanti per la comprensione del modello dei frattali – viene esportato metaforicamente nel nostro ambito per sostenere il modello psicoanalitico della “coazione a ripetere” e della “pulsione di morte”. 43 L’uomo-che-è-al-mondo non può dunque essere pensato se non come un’organizzazione complessa non lineare e dinamica, quindi in relazione dialettica con se stessa, la propria corporalità, il mondo e le altre organizzazioni, capace – quando sufficientemente sana, normale o in equilibrio – di espansività pluridimensionale esprimente lo specifico umano nel mondo in quanto Selbstsein.68 Proprio il modello scientifico interdisciplinare denominato Psychotherapiewissenschaft (PTW) – Scienza psicoterapeutica (SPT) – a cui mi riferisco costantemente in questo libro fonda – a partire dall’esperienza relazionale psicoterapeutica – questo tentativo di dialogo dialettico-sintetico, riduzionistico-olistico inteso come sforzo ermeneutico-integrativo tra scienze umane e naturali (dalla filosofia-teologia alle neuroscienze cognitive). Esso deve avvenire nel pieno riconoscimento della diversità-varietà dei modelli e dei metodi, degli oggetti di ricerca – analitici e sintetici – come dei campi di applicazione ed infine nel pieno rispetto della complessità intersoggettiva della vita umana in atto. Nella ricerca infatti il metodo retrodetermina l’oggetto 69: vedo ciò che voglio vedere, a priori, intenziono un ambito di ricerca e interpreto-da-quel-vertice-di-osservazione-ermeneutico-in-sé la sua effettività operando scelte su «cosa» e «come» ricercare o non ricercare. Il vertice di osservazione determina la forma ed il senso di ciò che osservo: il confronto multidisciplinare risulta dunque ineludibile in special modo in psicoterapia.70 La ricerca sviluppa in questo senso dei “natural designs” (un profilo naturalistico, come già visto parlando di fenomenologia al cap. 2.4.1.), che presentano dei profili misti quantitativo-qualitativi applicati al campo della prassi psicoterapeutica: per esempio ricerche sulla psicoterapia ambulatoriale disolocata sul territorio (come il PAP-D e il PAP-S 71). A questo riguardo è particolarmente rilevante la differenziazione che Fonagy porta – proprio fondandosi su risultati della ricerca sia in campo neurobiologico che psicologico – tra sistematizzazione – prettamente “oggettivo-natural-scientifico” – e mentalizzazione 72, la quale risulta invece essere prettamente intersoggettiva e dunque culturale, altresì fondata – come vedremo più avanti – su esperienze come la meditazione, l’empatia e la compassione 68 69 70 71 72 Cfr. Spengler ed il suo filosofo-psicologo di riferimento Wilhelm Keller (Zürich, 1909 – Zürich, 1987). La cosiddetta “tirannia del metodo” più volte enunciata anche in: Ceroni et al., La coscienza. Dove il concetto di tirannia sembra non a caso declinarsi con quello di potere (scientifico, tecnologico, economico e politico) tanto caro e criticato da Ockham già nel medioevo, sorgente del metodo scientifico moderno. Cfr. Fischer, per la Charta svizzera per la psicoterapia cfr. Schulthess e Spengler e la nota 58. PAP-D e PAP-S: Praxisstudie Ambulante Psychotherapie D-eutschland bzw. S-chweiz PAP-S. Ein Forschungsprojekt der Schweizer Charta für Psychotherapie in Kooperation mit dem Klinikum der Universität zu Köln und der HAP Hochschule für Angewandte Psychologie Zürich. Die Studie bezweckt die wissenschaftlich korrekte Erfassung der Wirksamkeit verschiedener psychotherapeutischer Methoden, wie sie in der ambulanten Praxis tatsächlich stattfinden. In der Schweiz besteht, im Gegensatz zu anderen Ländern, noch eine breite Vielfalt an Verfahren. Aus diesem Grund bietet sich mit dieser Studie die einmalige Chance, alle Therapieverfahren anhand derselben theorieübergreifenden Wirksamkeitskriterien zu evaluieren und die Wirksamkeit mit dem schulenspezifischen Vorgehen in Beziehung zu setzen. Eine solche Studie ist besonders wertvoll, weil sie Aussagen im Rahmen der gesundheitspolitischen Debatte über die Bedeutung der Vielfalt der Psychotherapiemethoden machen kann. Die Vielfältigkeit der Menschen und ihrer Persönlichkeitsunterschiede erfordert auch unterschiedliche psychotherapeutische Zugänge. Cfr. www.psychotherapieforschung.ch e www.psychotherapiecharta.ch. Cfr. Allen, Fonagy, et al., pp. 166-8. 44 3.3. Vita come continuum biografico-storico Va dunque ulteriormente approfondito il tema di una scienza e di una tecnica capaci di interagire con gli strumenti della ragione ragionevole – umana e sostenibile – accanto a quelli della ragione razionale: come dire che il reale non è riducibile 73 al misurabile e sperimentabile in vitro, ma anche all’unico ed irripetibile, quale l’essere umano in atto, ossia la persona ad esempio che lavora in psicoterapia con il proprio analista-terapeuta: in relazione entro un contesto spazio-temporale e socio-culturale 74, intenzionando ed espandendosi nel mondo effettivo, ossia vivendo. Di fronte alla domanda della Vita possiamo negare o ridurre, oppure meravigliarci come l’astrofisica atea Margherita Hack di fronte all’Universo. Ella scrive in un suo recentissimo libro che il suo stupore non nasce dall’esistenza più o meno infinita, più o meno increata dell’Universo, ma per la co-esistenza in esso di coscienze in grado di interrogarlo e, in fondo, di studiarlo. Così come Einstein sapeva aprirsi al mistero passando attraverso l’esperienza della possibilità della matematicizzazione della fisica e in particolare del rapporto nell’atomo tra massa e energia. L’infinitamente grande accanto all’infinitamente piccolo lasciava “senza parole” anche Wittgenstein, per il quale il Mistico – il Mistero, a cui si deve rispetto perché determina gran parte della nostra vita vissuta, pratica ed etica – tace – come Tommaso d’Aquino nella tradizione aristotelica – di fronte al fatto che qualcosa sia piuttosto che molto più non sia 75. La posizione di Wittgenstein – che richiama la necessità del “tacere” nella sua famosa settima proposizione – è comunque un “dire qualchecosa” e un segnalare che il “Mistico” fa pensare e vien pensato, anche se non logico “a priori” teoricamente, rilevante e importante “a posteriori” nella pratica e nell’esperienza. Una filosofia della vita – quale concetto che ha più di quel Mistico che non della biologia organicista o della pura filosofia analitica appunto che non sanno e non possono definire o comprendere inequivocabilmente il fenomeno-vita – deve fondare la propria descrizione intersoggettiva, il proprio pensiero su una ragionevolezza-intelligenza, anziché sulla sola ragioneintelletto. Una siffatta filosofia descriverebbe e limiterebbe il campo di applicazione della psicoterapia: non solo cura, non solo mente, bensì mente-incarnata in una natura che plasma e costituisce il mondo di un cosiddetto paziente. Schematizzando avremmo la Vita come contenitore dei seguenti processi dialettici: - gruppo (famiglia) → corpo ↔ cervello ↔ mente - corpo ↔ cervello ↔ mente → gruppo (famiglia) - corpo ↔ cervello ↔ mente → gruppo (società) 73 74 75 Cfr. Wittgenstein e De Perrot. A questo proposito è interessante osservare come un ente internazionale come la Society for Psychotherapy Research (SPR) abbia costituito una sezione (la SPRISCAP) che si interessa alla dimensione culturale nel processo terapeutico e nella concezione che la psicoterapia ha di se stessa. In questo ambito si muovono anche correnti di pensiero (cfr. ad es. Fischer) che cercano di integrare alla dimensione psico-corporea quella ecologica. Wittgenstein, Trattato logico filosofico, Proposizione 6.44: “Non come il mondo sia, è ciò che è mistico, ma che esso è.” 45 Dilthey, in questo senso, opera una distinzione tra una definizione della vita secondo le scienze dello spirito e le scienze della natura. Solo nell'ambito delle prime la vita può essere intesa in modo tale da scoprire, ri-vivendola, la vita che ha operato in un determinato mondo natural-culturale potendo così cogliere la singolarità, unicità e irripetibilità di un evento storico o biografico. 76 Diversamente dalle scienze naturali, le quali tendono a rivelare l’uniformità dell’universale tramite l’oggetto, che viene compreso attraverso la spiegazione di un fenomeno, le scienze umane – o dello spirito – tendono a vedere l'universale nel particolare ed indagando dall'interno la vita dell'uomo, esse danno una comprensione del fenomeno. La vita dunque non è un concetto meramente biologico né metafisico ma l'espressione di tutto ciò che caratterizza un'epoca storica che la "critica della ragione storica" riesce ad indagare attraverso le scienze dello spirito. Per Husserl il "mondo della vita" (Lebenswelt) è quello a cui necessariamente si deve fare riferimento da ultimo per dare senso reale alle categorie intellettuali e a tutte le astrazioni, in particolare a quelle scientifiche, destinate a rimanere tali se non rapportate alle attività vitali che precedono, nella loro evidenza immediata, qualsiasi operazione intellettuale: si tratta di quella insormontabile, irriducibile e “mistica” differenza tra ragion pura e ragion pratica per dirla con Kant o tra logica e forma della vita per dirla con Wittgenstein. Georg Simmel approfondisce i temi di carattere storico di Dilthey evidenziando come la vita, che pure si manifesta nella storia, alla fine trascende le stesse forme storiche in cui si è sviluppata poiché essa è più "ampia" della stessa storia che nelle sua manifestazioni finite non può certo esaurire l’incessante forza vitale che le attraversa: questa conoscenza pratica immediata è l’oggetto soggettivo di interesse della psicoterapia. Come vivere per vivere sufficientemente bene, come comprendere e comprendersi aldilà di mere misurazioni statistiche e meccanismi organicistici. 77 L’intuizione della vita vs. l’analisi riduttiva (non riduttivistica), metodologicamente necessaria e immensamente utile, quanto affascinante, ma non assolutizzabile. L’intuizione bergsoniana implica un procedimento per sintesi (associativo-abduttivo) per cogliere la vita: quest’intuizione sembra molto più vicina al funzionamento del nostro cervello, di quanto sembrasse qualche anno addietro.78 Proprio la ricerca “sintetica” sembra tornare in auge di questi tempi dove la molte di informazione creata dalla ricerca analitica non è più gestibile sul piano della prassi, della pratica, della vita appunto. La psicoterapia così come la medicina di famiglia, il counseling inteso anche come accompagnamento spirituale non direttivo e altre discipline declinate empiricamente devono rispondere sempre maggiormente a bisogni di contenimento (attraverso sintesi, applicazione pratica interdisciplinare e interpretazione operativa) piuttosto che di ricerca di ulteriori contenuti. La forma più che il senso manca ad un mondo straripante di informazioni e saperi disgiunti. Finora si assiste o a un’elusione della domanda o ad una ricerca di risposta percorrendo la via maestra (ma non unica) della scomposizione in parti sempre più piccole e semplici delle questioni (per es. tramite modelli animali o misurazioni di laboratorio con esseri umani a cui vengono date consegne estremamente limitate). Ricomporre le parti in una somma (attualmente così vasta e ricca di informazioni da poter risultare addirittura impossibile) non dà il tutto, non dà la vita nel suo insieme e non costituisce (per via né 76 77 78 Cfr. Gadamer , dove descrive lo scarto in medicina (e psicoterapia) tra teoria generale scientifica e applicazione clinica empirica: scienza vs. arte e disciplina empirica. Per questi ultimi tre paragrafi mi riferisco sempre a wikipedia, adattando le voci relative ai rispettivi autori o temi e sintetizzandone i contenuti attorno al mio centro di interesse. Cfr. sempre Kandel e Purves. 46 induttiva, né ormai più nemmeno falsificabile79) lo strumento della coscienza che “pensa vivendo la vita”. Basti pensare al gap tra conoscenze neuroscientifiche e produzioni simbolico-culturali, entro le quali viviamo non come macchine ma come uomini e donne. Basta pensare al fatto che se anche riducessimo – nel senso alto del termine – l’uomo ad un computer di ultimissima generazione grazie alla nostra conoscenza dei meccanismi ed alle loro interconnessioni elevate a potenze inimmaginabili, sarebbe stato sempre l’uomo e non la macchina a creare un umano-cibernetico. Basterebbe alla Cultura umana per nutrire se stessa e generarsi ulteriormente nel suo mondo e nelle sue società. La miglior sintesi possibile potrebbe avvenire tra psicologia naturale e culturale a tutto vantaggio della psicoterapia - ossia di quella disciplina empirica, che nasce dall’applicazione della teoria alla pratica - per via interdisciplinare secondo il modello PTW/SPT. Nella scienza psicoterapeutica – che sulla ricerca e sul dialogo interdisciplinare costruisce le basi teoriche e vi riflette la pratica clinica (l’apprendimento dall’esperienza di bioniana intuizione) avviene appunto che neuroscienze, scienze cognitive, psicologia, psicoanalisi, psichiatria, filosofia e teologia possano dialogare attorno alla coscienza ed alla vita da essa appercepita. Basti pensare al concetto di vita esteso alla biografia di una persona ed alla storia di un gruppo: un computer per diventare umano – ma per questo anche un cervello – dovrebbe anche essere rimasto immerso per almeno venti anni nelle esperienze infantili e adolescenziali adeguate – con genitori ed educatori, e perché no terapeuti, sufficientemente buoni – e aver consentito la sedimentazione di queste informazioni per un’altra decina di anni nella propria memoria attraversando un preciso contesto epocale politico-culturale. Un tale computer non potrebbe più esser trattato solo da informatici, ma – in quanto essere culturale – necessiterebbe di venir studiato anche da esperti del tempo, dell’evoluzione e della cultura, ad esempio. Infine comunque una simile ipotesi – filosofi e teologi più attenti lo rileverebbero – andrebbe mantenuta entro un limite etico e esistenziale fondamentale: l’uno è stato creato dall’altro e non viceversa. E’ in questo senso che un’unica e monopolistica interpretazione biochimica o computazionale della realtà umana risulta sempre più inadeguata alla miglior comprensione possibile specialmente della sofferenza psichica ed esistenziale in genere. Non possiamo vivere pensando alle miriadi di processi che ci consentono di farlo, in quanto proprio il vivere in salute comporta la possibilità senza doverne avere consapevolezza di farlo – come direbbe Gadamer – e proprio l’eccessiva consapevolezza di questi processi porterebbe ad una vita per così dire “autistica” o perlomeno fortemente disturbata. La nostra vita e l’autocomprensione della stessa è il risultato di un processo storico, educativo, sociale e culturale dunque: la stessa differenza che intercorre tra una cronologia ed una biografia e tra questa e una mia autobiografia. 79 Cfr. modello scientifico di Karl Popper, mentre per Thomas Kuhn (Cincinnati, 1922 – Cambridge, 1996) la scienza è sviluppo fasico fondato su paradigmi, basati a loro volta su interpretazioni condivise della realtà oggetto di ricerca. Sono queste ultime secondo – Fischer ed altri – a retrodeterminare metodologicamente l’oggetto stesso della ricerca. 47 Proprio una biografia – storia di vita – umana attraversa e supera, dalla nascita in poi, traumi ed eventi problematici nel continuo heideggeriano confronto con il nostro “essere per la morte”. Traumi e resilienze compongono la dimensione tragica del vivere e motivano il nostro credere e sempre più consapevole illuderci. Ricordo proprio che il grande ricercatore svizzero nel campo della psicoterapia, Grawe, misurò e constatò la necessità per la sanità mentale di un certo grado di ottimismo (tra illusione e bugia) superiore al nudo e crudo esame di realtà. Metaforicamente possiamo affermare che la sola scienza (razionale – logico – digitale) tende ad ammalarsi e a fare ammalare di depressione nevrotica, mentre la sola credenza (pensiero simbolico – mitologico – analogico80 ) cura la depressione, ma può ammalarsi di psicosi. Morin distingue anche tra prosa (oggettiva) e poesia (intersoggettiva). Il credere alla e nella nostra storia – come linea temporale proiettata verso il futuro, di giudaicocristiana eredità come insegnato ci da Galimberti – ci permette di vivere sopra e oltre il Niente, nella speranza di un eterno immanente-trascendente. La dimensione del divenire si risolve allora nella cifra dell’incertezza esistenziale e dell’opzione per il principio “responsabilità” – secondo la lezione di Jonas – vs. quello della sola speranza o del disperante Nulla: conoscere allora per eticamente riconoscere, in quanto Stato di diritto, Società e Comunità. Un po’ come l’ultimo Severino che parla di un “Nulla” come di un certo sfondo necessario al Divenire dal nulla verso il nulla, in un certo senso di un “Nulla essente”. Vedremo più avanti come questo “nulla” e questa “materia” possano anche non essere più conoscibili come “solo nulla” e “sola materia”, e come da questa nuova e possibile pensabilità interdisciplinare la vita e la coscienza di essa – l’autocoscienza umana culturale ed etica – emergano appunto come concetti globali 81, intenzionali 82 e “identitariamente” presenti a se stessi nel flusso del tempo che scorre in uno spazio in cui ci muoviamo, caotici ma soggettivamente determinabili e prevedibili. 80 81 82 Senza voler e poter approfondire va accennato anche alla dimensione magica del pensiero simbolicomitologico. Cfr. Ceroni, La coscienza. Cfr. Ceroni e Nagel. 48 4. 4.1. Corpo – mente – mondo Corpo come relazione tra mente e mondo In questo mio lavoro cerco di portare avanti un dialogo aperto e profondo tra saperi con l’intento di unire ciò che massimamente si è cercato di mantenere separato. Il sapere della psicologia e della filosofia prima sembravano dover parlare dell’Umano sempre come di un composto di almeno due parti: la mente ed il corpo. La mente, la psiche, lo spirito e l’anima siamo oggi in grado – grazie alle neuroscienze – di correlarle al cervello che è corpo, ma che è relazione con tutto il corpo ed attraverso ad esso con gli altri “corpi” e con il mondo. Per i greci il mondo costituiva un cosmo, un tutto ordinato abitato da Uomini e Dei in costante interazione a volte cooperativa a volte competitiva. Questo tutto era retto da regole immutabili con un senso ciclico ed il rito dava forma a questa circolarità. Il tempo ciclico ripeteva e riproponeva se stesso, senza possibilità di salvezza da se stesso, proprio perché senza proto-logia non poteva aprirsi in un’escato-logia: altrettanto venivano escluse dunque le categorie dell’aldiqua e dell’aldilà. I luoghi degli dei erano condivisi con i “mortali dall’anima immortale”, i luoghi di questo cosmo geografico e mitico insieme. Con l’avvento del cristianesimo – e delle conseguenti vicissitudini dovute all’incontro tra la cultura giudaico-cristiana con la cultura greca prima e romana dopo – si propaga dall’Asia l’idea ebraica di un Dio creatore di tutte le creature, uomo compreso. In questo modo – implicito nell’idea protologica ebraica – si ac-cultura e in-cultura anche in Europa il concetto di “creatio ex nihilo” e di creazione come tecnica prima, così come quello di “homo imago Dei”, quindi creatore a sua volta in quanto “custode della natura e cultore della tecnica seconda”. Come abbiamo già visto con la protologia si pone la condizione stessa dell’escatologia, con la prima la seconda tecnica, con l’inizio la fine o il fine ultimo, l’alfa e l’omega. Dall’ebraismo, attraverso il cristianesimo, si impone dunque in Occidente l’idea di un tempo lineare “progettuale-tecnico” in grado di passare dal medioevo alla cultura scientifica moderna e contemporanea. Con esso viene rimossa l’idea invece di un tempo circolare-mitico, che più che al progresso attiene alla forma di un passato che pervade dei suoi sensi il presente ed il futuro. In questo passaggio – approfonditamente descritto da Galimberti – si instaura una scienza creatrice come promessa di salvezza, ergo una “scienza come potenza” 83 che soppianta il divinoonnipotente. La concezione del tempo che è venuta a modificarsi ha comportato la trasformazione del “Giardino da custodire” – di biblica memoria – in una “Terra di conquista”, l’uno ben circoscritto con riti, ritmi e limiti, l’altro aperto e progressivo. Questi due mutamenti – temporale e spaziale – costituiscono e determinano l’evoluzione del nostro mondo, della nostra mente nel mondo e del mondo da noi mentalizzato. L’uscita dal “vecchio” o precedente mondo per entrare in quello “nuovo” o semplicemente attuale ha posto le condizioni per quei processi di pensiero che vorrei sintetizzare con il concetto di “smascheramento” inaugurato da Nietzsche. Lo smascheramento di quel mondo pensato miticamente tra cicli e limiti – non tanto etici quanto conoscitivi – considerati invalicabili ha comportato a sua volta l’emergere della domanda conseguente circa il perché universale della condition humaine, oggetto di ricerca della psicologia, della sociologia, della filosofia e della teologia, che in quanto tali, sono anche prodotti della psiche e quindi del cervello. 83 Cfr. Francesco Bacone (Londra, 1561 – Londra, 1626), autore tra l’altro del De dignitate et augmentis scientiarum. 49 Il cervello che produce la scienza che si interroga sull’uomo e sul mondo è corpo fisico e biochimico e come tale oggetto di studio delle scienze naturali, ma i suoi processi e i suoi prodotti sono mentali, culturali, antropo-sociali, religioso-spirituali e politico-economici. Questi ultimi non possono che venir studiati che dalle scienze umane con metodi adatti all’oggetto: in questo caso non riducibile al mondo fisico, ma in profondo e scientifico dialogo con le metodiche di ricerca naturalscientifiche. In questo nostro modello il corpo umano (Leib) consiste della relazione-incontro tra il mondo (Lebenswelt) e la mente gruppale ed individuale: un trattino di congiunzione, un trait d’union. Il corpo biologico, in quanto organismo, appartiene alla sfera materiale, ma le menti ed i prodotti che da esse scaturiscono attengono alla sfera umana-culturale-spirituale. Il corpo digerisce neurofisiologicamente (elementi beta) quanto l’ambiente esterno ed interno, intersoggettivo e soggettivo si offre ai sensi come percetto o viene sentito come emozione. Da questo punto basale esperienziale, somatico-neurologico, emergono le proprietà mentali del pensiero, del sentimento e della coscienza del mondo e di sé. Come nessun movimento può essere ridotto ad ortopedia (ancor meno ad angiologia), così le neuroscienze non possono “spiegare” 84 appunto tutto lo psicologico e tantomeno l’esistenziale ed il culturale. Il metodo riduttivo (che riduce l’umano all’oggettuale, al parziale, all’animale, al meccanicistico o al computazionale) deve restare ben consapevole che la sua intrinseca riduzione influenza – retrodetermina – l’interpretazione dei dati, secondo l’assioma che trovo ciò che cerco (fino a certe evidenze autodimostrantesi di certa ricerca psicologico-sperimentale) o credo di aver trovato ciò che non ho nemmeno compreso o cominciato a cercare, per esempio nel caso del libero arbitrio umano. Il movimento infatti permea tutta la nostra propriocezione immersa nello spazio e ritmata dal tempo, ma può essere anche fruito esteticamente per esempio nelle arti della danza e del teatro. Può curare o uccidere, generare isolamento o massa, custodire l’ambiente circostante o contribuire al suo dominio distruttivo. Eppure è proprio dalle neuroscienze cognitive più rigorose che si evidenziano le differenze qualitative e sempre più complesse e dinamiche, tanto da non poterne determinare a priori la logicità. Basti pensare al nuovo modello delle reti neurali funzionanti per “prova ed errore”, non più riducibili a semplici meccanismi, né più umanamente comprensibili, data la complessità computazionale in gioco. Il fascino per l’enorme interconnettività e sinteticità neuronale parla da solo per un ridimensionamento di certo riduttivismo e per la relativizzazione dell’assolutismo del metodo analitico. Ad esempio pensiamo al fenomeno del cosiddetto primo corpo (fondamento del secondo) 85 come “irreale” ma soggettivamente determinante, effettivo per l’uomo che fa esperienza del mondo con un cervello immerso nel proprio organismo, mai da esso isolabile. I sensi, i percetti, le emozioni, i simboli, i sogni, le rappresentazioni ed i ricordi vanno a costituire sinteticamente uno “schema corporeo” prima ancora che il cervello del bambino abbia sviluppato la capacità di una matura propriocezione. Questo è dunque un corpo “mentale”, nato nella relazione con la madre ed il proprio entourage, e che costituirà un a priori rispetto all’a posteriori della propriocezione: il 84 85 Cfr. le ultime 10 pp. del manuale di Purves, dove la coscienza come consapevolezza di sé rinuncia alla possibilità di definire il “sé”, ma qui inizia il nostro di pensiero e di lavoro. Come direbbe Wittgenstein aver dimostrato tutto quanto era formalmente logico dimostra a sua volta quanto tutto questo abbia poca importanza per la vita, per la nostra vita, campo di applicazione della psicoterapia. Una macchina potrebbe aver coscienza “macchinale” appunto, ma il problema kantiano – del soggetto non oggettivabile e non misurabile in quanto soggettività da altro soggetto se non da sé stesso – permane in tutta la sua attualità. Mente non può contenere mente. Cfr. nelle grandi linee Küchenhoff in Körper und Sprache. 50 corpo-mondano si fonderà simbolicamente-sinteticamente con quello intersoggettivo e mentale. Si tratta dunque di quella congiunzione da noi premessa tra mondo e mente. 86 Lo psicoterapeuta cerca invece di comprenderne una parte data, inserita in un tutto complesso, evitando una riduzione sfrenata – che opta per metodi non commisurati all’oggetto di ricerca – così come un altrettanto semplicistico olismo “puro”. Riduzionismo ed olismo a se soli manifestano due facce della stessa medaglia: paradossalmente e finalisticamente ricerca di una certezza e di un episteme universale nascoste o nell’impostazione della ricerca o nella teorizzazione dei dati che ne conseguono. Queste chiusure risultano funzionali a dinamiche di potere: scienza è potere (Bacone), oppure la scienza diventa potere e nuova “religione per le masse”. Laddove l’oggettività o la soggettività sembrano regnare incontrastate, la dimensione rimossa o denegata finisce col prendere un inconscio-implicito-ermeneutico-culturale-epocale 87 il sopravvento. Partendo da Brentano, Husserl fonda il concetto di Lebens-welt, non più inteso come semplice Umwelt, ambiente, bensì come il mondo proprio di un soggetto, nella quale oggettività il soggetto è immerso e della cui soggettività l’oggetto è impregnato: l’interazione dialettica tra oggetto e soggetto retroagisce 88 sia sul soggetto che sull’oggetto. L’osservazione, la misurazione e la sperimentazione non sono dunque mai libere dal soggetto, bensì ne compongono il mondo comprensibile e interpretabile a partire da pre-condizioni individuali, sociali ed epocali. Il mondo in cui viviamo si organizza ed emerge dalla relazione soggetto-relazione-oggetto, menteesperienza-corpo. L’esperienza consente a sua volta ai fatti – come li intende Wittgenstein – di esser vissuti, metabolizzati e trasformati dalla mente-cervello in grado di trasformarli in mattoni viventi del mondo in cui esistiamo e che contribuiamo a plasmare in materia e spirito, in quanto dimensione mentale emergente da un sostrato bio-chimico-neurale. In questo senso – come il mondo, attraverso il corpo, nella mente e quest’ultima nel corpo, anche ma non solo cervello – immanenza e trascendenza vengono a fondersi dinamicamente, dialetticamente in un tutt’uno, consentendo l’una l’emergenza dell’altra: elementi costitutivi di ogni sistema-organizzazione antropologica, sociale o psicologica. 89 Il corpo determina l’immanenza della mente vitale incarnata in un cervello ramificato in tutto l’organismo umano (Körper), mentre da essa il soggetto (Leib) – emergendone – ne trascende l’organizzazione bio-chimico-fisica mentalizzando, socializzando e culturalizzando il corpo vivente organizzandosi a sua volta in una forma cosciente, consapevole e auto-consapevole. La vita e la coscienza di essa non sono allora né quantités négligeables, né domande mal poste, né tantomeno questioni eludibili o riducibili, se non al prezzo di negare quel livello di umanità umana da noi raggiunto, senza nulla togliere al possibile – ma differente anche se superiore – all’animalità animale e alla computazione computazionale. Non epifenomeno, ma emergenza di un fenomeno. 86 87 88 89 Cfr. il Purves. La differenza tra inconscio psicoanalitico e implicito neurocognitivo consiste nei contenuti suppostivi, ma se inconsci preferisco l’avvicinamento promettente tra inconscio bioniano e implicito cognitivista: un contenitore di elementi beta e di tracce mnestiche. Cfr. Morin (retroazione e ricorsione) e Fischer (Retrodeterminierung), i quali sembrano comunque esprimere fenomenologicamente quanto si descrive a livello di neuroscienze come funzionamenti neuronali “bottom up” e “top down”: il percetto viene elaborato dal cervello sia partendo dal basso (stimoli sensoriali a posteriori) verso l’alto, sia dall’alto verso il basso (memoria e sintesi a priori). A questo riguardo trovo ulteriormente affascinante – accanto alle riflessioni hegeliane che abbiamo già toccato – la concettualizzazione di un Niccolò Cusano (Kues, 1401 – Todi, 1464) che considera Dio una complicatio, in quanto implicazione ed esplicazione al contempo nelle e attraverso le cose. La contrazione (ripresa da Duns Scoto) di Dio nelle cose, e la compresenza degli opposti (coincidentia oppositorum) delle cose in Dio. 51 L’emergenza della vita e della coscienza di essere in vita – quindi immersi nella vita, dove questa immersione va intesa come immanenza – ci porta dunque a definire questa emersione come la condizione di possibilità della trascendenza stessa e delle funzioni meta-cognitive. In conclusione, proprio partendo dallo studio della percezione portato avanti da Merleau-Ponty possiamo condividere la conclusione che il corpo proprio non è solamente una cosa, un oggetto di studio della scienza, ma è anche la condizione di possibilità dell'esperienza: “il corpo costituisce l'apertura percettiva al mondo”. Percezione significa allora esperienza, nel momento in cui la percezione riveste un ruolo attivo e fondante, intenzionale dunque: la percezione nutre il cervello di esperienza, la coscienza è “in-carnata” nell’esperienza attraverso il cervello che percepisce ed intenziona. Il primo corpo nutre il secondo (oggetto soggettivo) e non viceversa – secondo Küchenhoff – quindi l’essere-per-sé e l’essere-per-gli-altri nel corpo si superano: la libertà viene determinata e la determinazione si libera in un corpo-per-gli-altri-e-sé. 52 4.2. 4.2.1. Corpo come eco-psico-soma Eco-soma Partendo dalle considerazioni fin qui proposte, potremmo sintetizzare il nostro pensiero – integrandovi spunti dalla filosofia greca e medievale – nel seguente modo: Anima in corporē Corpo animato ___________________ Homo potentia in actu Attualità umana ___________________ Homo in vitā Uomo vivente La separazione – come enti oggettivabili, distinguibili e contrapponibili – tra questo concetto di corpo e uno di mondo, inteso anche come habitat e oikos 90, è da intendersi come un’abitudine a posteriori del nostro rapportarci a noi stessi ed al mondo 91. Al contrario, o ulteriormente, il mondo mondeggia 92 e l’esser-ci umano ne viene mondeggiato a sua volta come un contenuto del suo mondo che contiene il suo contenitore in quanto pro-getto progettato. L’uomo intenziona il mondo come abbiamo già visto – in una dialettica tra volontà e rappresentazione secondo Schopenauer 93 - perché esperisce e conosce attraverso il proprio corpo nel mondo: l’uomo si rappresenta il mondo nel quale, per il quale e verso il quale si muove e vive. Le neuroscienze stesse, ed ancor prima pensatori come il Cusano, non sono ancora riuscite a sciogliere il nodo gnoseologico della conoscenza del mondo in quanto mondo reale ed autonomo o come ri-conoscimento (er-kennen) di quanto soggettivamente e intersoggettivamente esperito. Il modello bidirezionale denominato da Purves et al. propone un “bottom up” percettivo che si contrappone integrandosi ad un “top down” intuitivo, una sorta di a priori kantiano, ma anche di “luce che illumina la vista che vede” secondo il modello neo-platonico di Niccolò Cusano. Con un ultimo azzardo – che ritengo comunque rigoroso nell’ambito di un discorso inter-transdisciplinare sul e sugli a priori – desidero avvicinare la dimensione top down alla bioniana funzione alfa, capace a priori di elaborare e mentalizzare 94 l’esperienza in sé, la realtà, le sensa-emo-zioni, gli elementi beta. A questo punto il piccolo passo indietro verso il pensiero di Schopenauer va marcato con maggior interesse, proprio perché intendo – come Galimberti – tale posizione un crocevia nel pensiero attorno al tema della relazione tra il corpo ed il mondo, una volta chiarito nei capitoli precedenti il modello della “mente-anima-spirito in-carnati”. 90 91 92 93 94 Dal greco “casa”, da cui provengono i termini come eco-sistema ed eco-logia. Cfr. pure la letteratura (ad es. Fischer) attorno alla tematica pregnante di una psicoterapia non solo corporea, bensì sistemica, nel senso di ecologica, eco-psico-corporea. Con Morin ed i più recenti sviluppi in questo campo potremmo aggiungere: organizzazionale ed emergenziale. Cfr. Hume ed il suo modello del “teatro naturale”. “Es weltet” come invenzione linguistica di Heidegger tradotta da lui personalmente con questo neologismo italiano, cfr. il Ritorno ad Atene. Arthur Schopenhauer (Danzica, 1788 – Francoforte, 1860) è stato uno dei maggiori pensatori del XIX secolo. E’ l’autore di “Il mondo come volontà e rappresentazione”. Da questo punto via, specialmente nella relazione terapeutica, il mentalizzare può intendersi in un’accezione includente quella di Fonagy del "tenere a mente la mente propria e altrui", e non tanto in quella esclusiva ma abrangente di “mettere mente dove c’è corpo, gruppo e mondo”. 53 Il pensiero schopenaueriano va collocato infatti prima di quello riguardante l’inconscio postulato da Freud, in quanto suo precursore nello smascheramento dell’illusione di un mondo rappresentato e voluto dall’essere umano, ma non intendendo per questo la coscienza solo come malata da guarire secondo categorie prettamente mediche, dove la malattia (Es) verrebbe semplicemente conquistata alla salute (Io). D’altro canto proprio a questo pensiero si rifece pure Nietzsche dal quale si ritenne e-ducato procedendo a smascherarlo ulteriormente senza accettarne né i rimedi dell’etica, né la terapia dell’ascesi proposte invece da Schopenauer. Da Nietzsche e da Freud si lascerà ispirare Heidegger che abbiamo seguito in capitoli precedenti e continuiamo a considerare – con Husserl e Wittgenstein – pietre miliari per la critica della relazione soggetto-oggetto, mente-incarnata-nel-mondo, s-oggettivo-altri-s-oggetti. Una valenza determinante nel nostro contesto di intervento psicoterapeutico è data proprio da quel ritorno alla verità insita nella dimensione tragica da cui trassero spunto con il teatro anche la filosofia greca. Come sempre non si tratta di far rivaleggiare la conoscenza tecnico-scientifica del nostro secolo con quella degli ultimi secoli della scorsa era, bensì di cogliere le verità sull’esistenza, la condizione e la vita umane rilevanti per la psicoterapia. La teologia medievale considerava da un punto di vista metafisico-trascendente – Schopenauer da un punto di vista fisico-immanente – il rischio di accecare la conoscenza del tutto e dell’uno della Vita proprio applicando l’intelletto esclusivamente allo studio delle singole res sensibilia: per la parte si perde il tutto, la ragione diventa folle senza una saggia ragionevolezza, vera ma umanamente falsa. Non c’è forse assonanza con il discorso schopenaueriano di una ragione, una rappresentazione, un Io, una maschera (überhaupt) in grado di offuscare la realtà della morte, del nulla, del soggettoindividuo-persona affidati al caso, di ottundere la domanda circa l’origine e del “senso della vita”, da intendersi come “forma contenente della vita” 95 ? Infatti quantunque Schopenauer segnalasse tra la volontà e la rappresentazione le istanze determinanti per la realtà – quale costrutto del mondo del soggetto secondo il pensiero di Husserl e Heidegger – cionondimeno non ne affidava alla sola ragione lo scandagliamento. La ragione sola – con metodi analitici e riduttivi – non può cogliere ed esplorare le dimensioni, connotazioni ed evocazioni “naturali-sessuali-inconsce” per Schopenauer altrettanto determinanti, come lo saranno per Freud. Allo psicoterapeuta non dovrebbe fare meraviglia il fatto che la realtà come mondo non si configuri unicamente dall’assemblaggio sistematico e coerente di elementi semplici, o dalla successione analizzabile di singole, osservabili e determinabili operazioni mentali se non appunto neurologiche. Questa realtà attiene ad un mondo soggettivo che costruisce naturalmente e culturalmente a partire sì da elementi semplici, ma combinandoli e ricombinandoli secondo spinte e casualità multiple e retroagenti, fino a consentire l’emersione di una data esperienza, coscienza di essa e racconto della stessa. Contraddizioni, conflitti dinamici e sintesi ne sono altrettanto costitutive quanto balzi in avanti, regressioni o fissazioni quasi statiche. Per questo Schopenauer come Nietzsche parla di “smascheramento” necessario, ma vedendo nell’etica e nell’ascesi una soluzione che Nietzsche respingerà come possibile “maschera ulteriore”. Il corpo – come parte di questo mondo inter-soggettivo – può venir allora esperito sia come soggetto oggettivo tra altri oggetti o soggetti, sia im-mediatamente dal soggetto come espressione 95 In una traduzione bioniana del termine “senso della vita”, di cui ho già ampiamente trattato nei miei precedenti libri. 54 della propria volontà: il corpo è inconscia-cosciente o implicita-esplicita volontà in atto, ed in quanto parte di questo mondo esemplifica l’essenza come volontà del mondo stesso. La consapevolezza neuroscientifica e bioniana - “simulazione incarnata” attraverso i neuroni specchio e “identificazione proiettivo-introiettiva” attraverso elementi β proto-mentali attivi ai livelli della caesura mente-corpo 96 - trova a questo punto una sua importante collocazione: la simbiosi madre-bambino, il doppio (“gemello”), l’educazione, il co-transfert, la psicoanalisi e la psicoterapia. Non esiste soggetto, cervello umano, individuo, persona o cittadino se non in relazione continua e costante con stimoli provenienti da altri soggetti e oggetti del suo ambiente di vita pre-, peri- e post-natale. L’uovo non può nascere senza gallina, né viceversa: la causa non è l’effetto. L’essere per sé prende origine dall’essere degli altri per lui e ad essi ritorna in un ciclo auto-produttivo e ri-produttivo, generativo e ri-generativo. Ecco allora – nel filone Fischer, Galimberti e Morin – l’attualità di un modello psicoanaliticopsicoterapeutico aperto ed integrativo nei confronti di altre scuole, discipline e scienze: un inconscio definito in quanto psico-corporeo, ma soprattutto corpo-psichico, laddove lo psichico non si riduce al solo corpo ed il corpo spiega ma non comprende tutto lo psichico. Secondo le tesi della “mancanza” di Gehlen – riprese da Galimberti – e quelle di Bolk 97 sulla neotenia – riprese invece piuttosto da Morin – l’essere umano diviene sé stesso costituendosi tra simboli e linguaggi, cresce all’interno di una lingua materna che lo impregna di interpretazioni e significati. Nell’emergenza della cultura e lingua umana si sviluppano il pensiero e la coscienza del feto prima, del neonato e del bambino poi, per confrontarsi ulteriormente attraverso l’adolescenza. In questo consiste la dinamica tra Io ed Es, tra un Io e un me che sa di non essere mai stato solo né dentro e né fuori. Mi appartengo dunque solo in parte, ma questo altro da me in me che riscopro mio mi ha consentito di sopravvivere malgrado e grazie proprio alle mie mancanze, alla nostra neotenia, sicuramente oggi valida più come premessa ermeneutica e che come teoria naturalscientifica. Questa mancanza mi inserisce come corpo nel tessuto familiare e sociale che diventa mio inconscio e mia cultura, dalle quali emergeranno ulteriormente strumenti e tecnologie sempre più sofisticate e sempre più in grado di allontanarci, almeno in apparenza, da quella mancanza primordiale e specie specifica: in questo percorso il la simbiosi del Noi lascerà spazio all’individualità dell’Io. Ma è proprio il corpo mentale o la mente somatica a ricondurci costantemente a quel sistema iniziale della famiglia e dell’appartenenza ad un gruppo etnico, sociale e culturale. Dal punto di vista della psicoterapia e di quella del bambino in particolare risulta interessante proprio il fatto che nell’esperienza del corpo proprio – dunque di un soggetto che si esperisce come oggetto per esempio nella cosiddetta “fase dello specchio” – esso viene conosciuto come presentazione di cosa esteriore prima ancora che interiore. Seguendo le osservazioni di Küchenhoff 98 scopriamo appunto che le basi neurologiche per la propriocezione come soggetto oggettivo è più tardiva rispetto alla percezione e conseguente 96 97 98 Tra mente-spirito e cervello-anima e mente-spirito, tra implicito ed esplicito, tra inconscio e conscio, tra elementi biochimici semplici ed emergenza del pensiero umano complesso. Lodewijk Bolk (Overschie, 1866 – Amsterdam, 1930) è stato un anatomista olandese, assieme a Gehlen postula nel suo fondamento una differenza umana specie specifica: la precocità dell’evento della nascita per il feto umano, la quale comporta la mancanza dello sviluppo rigido di un istinto bi-univoco e quindi una pulsione ed una meta istintuali aperte verso lo spazio ed il tempo. Per fare un esempio banale: un cane se ha fame cerca e mangia della carne al cui pasto prenderà parte anche il branco, l’uomo invece può scegliere di digiunare per raccogliere delle bacche che mangerà in un secondo tempo con i suoi simili durante un banchetto rituale. Cfr. Küchenhoff, Körper und Sprache , pp. 60-65, 117-125 e 159-163. 55 rappresentazione del proprio corpo come immagine riflessa o esplorata attraverso il tatto delle mani o della bocca. A queste rappresentazioni dirette del bambino si sommano precocemente le carezze, gli sguardi e le parole degli adulti che lo accudiscono. Come per Merleau-Ponty e Galimberti è questa reversibilità dei sensi del tatto e della vista, ma anche del movimento, a consentire il costituirsi della percezione e della rappresentazione del corpo, degli oggetti, degli altri e del mondo. Ma proprio questa esperienza fondamentale del sé e dell’altro da sé, dell’essere per se stessi ed essere per gli altri sembra intrisa più di soggettività che di oggettività, di immaginario che di razionale, di mitico più che logico. Il cervello coglierà solo in un secondo momento l’identità – e le differenze evolutivamente e psicopatologicamente rilevanti – tra l’immagine corporea formatasi implicitamente e l’esperienza propriocettiva del corpo proprio come realtà soggettivo-oggettiva integrale. Attraverso il tatto e la vista sento l’altro e me stesso attraverso l’altro, me stesso come me e l’altro come agente sensazioni in me. Vedo l’altro che mi vede e attraverso il suo sguardo intravvedo me stesso, se vedo mi sento visto se mi sento osservato guardo. Il tocco e lo sguardo – che presuppongono movimento ed affettività – sono al contempo attivi e passivi, transitivi ed intransitivi: toccando mi percepisco e guardando mi riconosco. Oggetto e soggetto si compenetrano come nella fase dello specchio anche nelle successive fasi di apprendimento dei linguaggi non verbali e della lingua, della cultura, dei miti e del gruppo in un costante processo dialettico di espansività del proprio sé. Schema corporeo tridimensionale 99 : primo corpo: - corpo pulsionale rappresentato – schema corporeo – Leib - intersoggettivo e inconscio - l’altro come specchio di sguardo e contatto secondo corpo: - corpo affettivo rappresentato e auto-percepito – Leib - soggettivo e preconscio - relazione tra io e me anche esplorativa, contemplativa ed estetica terzo corpo: - corpo anatomico analizzato – Körper - oggettivo e conscio - io come altro da me che osserva, misura e conosce il proprio corpo come altrui Queste tre corporeità collocano in forte risalto l’essere umano vivente in quanto corpo ed in quanto umano: l’uomo in vita attualizza tutte le proprie potenzialità somatico-fisiche, bio-chimiche, emergendovi in quanto umano. Questo processo avviene dapprima in chiave intersoggettiva, poi soggettiva e solo in una terza fase o dimensione si recupera un’oggettivazione razionale del Körper, ma l’io che lo osserva è nato da quel dialogo intersoggettivo prima e quella esperienza soggettiva poi. 99 Cfr. anche Küchenhoff dal quale mi sono ampiamente ispirato. 56 Il corpo – anche quello anatomico – esiste in quanto umano cresciuto ed educato da umani ed esprime tutta la propria umanità anche nel momento della cura medica per esempio. Sappiamo bene quanto conti l’approccio umano-affettivo-empatico nell’accudimento ed in qualsiasi relazione di cura o di aiuto anche la più oggettivante: non può esistere un Körper pensato, studiato ed analizzato se non per l’incontro ed a partire dall’incontro – condizioni filologiche e ontologiche di possibilità – tra due e più Leib-er. Questo definisce la pienezza di valore e dignità epistemologiche risp. etiche alla dimensione corporea-sociale-pedagogica del corpo nel quale, con il quale e dal quale emergono l’umano, la cultura e la società. Questa umanità tanto corporea non può dunque in nessun modo esservici ridotta: ne otterremmo infatti solo un insieme di ossa o muscoli. La corporeità va riconosciuta in quanto fondamento, elemento e sostrato nel quale si incarna risp. si situano e si rendono possibili le co-emergenze di pensiero e coscienza umane, le quali come abbiamo visto hanno sempre almeno tre dimensioni: mente – corpo – mondo. L’essere umano emerge in quanto umano da un corpo biologicamente specie-specifico ed in esso a sua volta si incarna socio-culturalmente in quanto soggetto che emerge nella relazione con altri soggetti: accudenti prima, pari poi. Questo ci porta a poter affermare, come Galimberti, che siamo il nostro corpo: “Sono il mio corpo”, ma a questo non posso ridurre lo psichico-mentale, né tantomeno il socio-culturale. Il corpo mentalizzato e la mente incarnata nel soggetto tra soggetti vive all’interno appunto di un’organizzazione, un sistema, un ambiente, un contesto (Lebenswelt), i quali ne costituiscono la dimensione ecologica. Questa oikos (casa – ambiente – mondo – comunità) ci riporta alla bio-sfera intesa anche in senso psichico, e ci permette di ri-affermare – accanto al pensiero ed alla coscienza – la terza dimensione che definisce l’umano pur non lasciandosi mai ancora consensualmente definire 100: sono il mio corpo in-culturato in quanto vivo e vivo in quanto figlio di genitori, di una famiglia, membro di un gruppo e individuo in una società: il Cogito ergo sum diventa allora Vivo ergo sum, dove vivo si definisce a partire dalle sue tre dimensioni di corporalità, psichicità ed ecologia intese come esperienze inter-s-oggettive. In questo modo integro Descartes con Kant e li completo con Morin. La dimensione ecologica stessa ha due facce: l’una prettamente fisica (la Terra sulla e nella quale viviamo) ed una più politica (le persone tra le quali e con le quali condividiamo gli spazi ed i tempi). La vita diviene allora Er-lebnis – erlebtes Leben – e non più riducibile alla sola Er-fahrung: osservazione, sperimentazione, misurazione o comportamento oggettivi. La mente – come abbiamo visto – nasce dal corpo e nel corpo biologico, che è esso stesso a sua volta espressione, emergenza di una famiglia, di una società e di un mondo, consentendo l’emergenza ulteriore del soggetto tra soggetti inseriti in un mondo, originati da esso ed aperti ad esso. Questo contenitore permette il dispiegarsi della vita, della vita umana nel proprio ambiente ecosocio-politico, come contenuto: senso in una forma. Basti pensare che non solo a livello somatico generale, ma anche di quello neurologico particolare il cervello viene formato ed in-formato di sé, degli altri e del mondo stesso attraverso l’esperienza senso-motoria dispiegatasi all’interno del proprio determinato contenitore-ambiente-famiglia-mondo. 100 Secondo la lezione di Morin vita, pensiero e coscienza possono venir negati nella loro complessità o ridotti a loro componenti alfine epistemologicamente condizionante di eluderne la dimensione irriducibile (sintetica ergo non analizzabile), non ancora spiegabile, ignota se non addirittura (come ritenuto in Wittgenstein) misteriosa. 57 Vivo dunque perché sono un corpo terreno, un pezzo di natura animata ed acculturata, un adam-ha (fatto-di-terra), e dovremmo – praticamente, eticamente ed esistenzialmente – considerare questo dato della vita animale, umana, sociale e culturale quale nuovo a-priori kantiano. Dato di fatto non ulteriormente sondabile, definibile o dimostrabile. 58 4.2.2. Psico-soma In questo contesto definitorio voglio ripensare e collocare l’apparato per pensare bioniano, il quale sta ai modelli neuroscientifici che descrivono il substrato cerebrale della mente, come l’anima, lo spirito o la mente al corpo fisiologico-anatomico: pensare è l’esserci di un essere umano vivente. Non corpo e/o mente, ma pensiero incarnato immanente-trascendente, come abbiamo più volte formulato: Anima-mente incarnate in quanto soggetto incarnato. Si torna allora circolarmente – ma in modo sempre più approfondito – all’essere umano vivente come emergenza di un’organizzazione complessa ed irriducibile, quindi non deducibile dai propri elementi biochimici e neurologici costitutivi. Secondo una preziosa lezione di Bohr, a mio avviso tutt’ora valida, la vita in generale e quella umana in particolare va considerata come un a priori non altrimenti definibile o dimostrabile. Sembriamo oggi forzati – con Morin – a dover considerare anche la mente (inconscio, affetti, pensiero e coscienza) alla stessa stregua nella sfera antropologica. Già Wittgenstein formulava il limite della logica rispetto al mistero, il quale supera di gran lunga la prima in quanto ad importanza per la nostra vita pur non essendo enunciabile in “proposizioni” che si riconducano a “fatti”. La complessità non può essere dunque semplificata. Basti ricordare l’aneddoto del suo studente Redpath, di cui Wittgenstein ipotizza che se “(…) bollito a 200 gradi una volta sparito il vapor acqueo non ne rimarrebbe che un po’ di cenere, questo è tutto ciò che Redpath è in realtà. Dir questo, potrebbe avere un certo fascino, ma indurrebbe, a dir poco, in errore.” 101 Una cenere che ci riporta anche al biblico e liturgico “polvere sei e polvere ritornerai”, quasi a dire che anche nel mito e nel rito la riducibilità alla dimensione bio-chimico-fisica della vita umana era già ben presente, ma superabile dall’evocazione di un “soffio di vita”, un “venticello” (Ruach)102, che solo è in grado di animare, di rendere vivo, animale ed umano quel “po’ di cenere”. Non solo cervello, non solo corpo, non solo materia, non solo terra (cenere). Le affermazioni del tipo: “Questo, in realtà, è solo questo!” rimangono dunque la chiave per decodificare costrutti riduzionisti in ambiti complessi, dinamici, non lineari, insomma multidimensionali: l’emergenza, l’anima (soffio), l’efflorescenza non sono solo ciò da cui esse emergono, anche se non sappiamo definire e gestire la vita nella sua multiformità e interazion-alità. Con Galimberti e Böhme 103 approdiamo a quel “superamento di tutti i dualismi” tanto auspicato, quanto impegnativo, proprio perché necessita la messa in campo di un pensiero sintetico simultaneo e contingente: non causale e non deducibile con metodi sperimentali efficaci in altri ambiti della scienza. 101 102 103 Wittgenstein, Lezioni e conversazioni, p. 90. E’ interessante come non solo nel Genesi, bensì anche nell’Esodo (centinaia di anni dopo) si continui ad evocare, rappresentare, simbolizzare Dio con la metafora del vento e della lieve brezza: invisibile, incontrollabile e difficilmente spiegabile a quei tempi. Oggi forse concetti fisici come “quanto di azione”, neurologici come “potenziale di azione” combinati con quelli di emergenza ci porteranno a considerare l’energia e la vita come quel mistero o limite della nostra conoscenza capaci di renderci più attenti a non escludere quanto non capiamo o non siamo in grado, ancora, di spiegare. Colpisce infatti leggere della vita, della sopravvivenza della specie, del Big bang o dell’espansione accelerata dell’universo in termini comunque ancora e sempre finalistici, come a dimostrare l’importanza del linguaggio comune e del mito per la ricerca e la comunicazione scientifiche. Nessuno sembra in questo ambito potersi ergere a solo ed esclusivo specialista, ambito che necessita di sintesi più che di analisi ulteriore: tra scienza naturale e “culturale”, ma anche tra scienza, “mito e rito”. Cfr. dove affronta il rapporto tra Kulturwissenschaft e Gefühle. 59 Concludo con Gadamer 104: “Aristotele già lo sapeva. L’anima è la vita del corpo.” E così potremmo dire del pensiero e della coscienza che – con l’inconscio-implicito – vengono a costituire ciò che noi italofoni con gli anglofoni definiamo mente risp. mind. Empiricamente inalienabile in quanto condizione necessaria all’esperienza stessa, ma non ulteriormente fondabile se non come a priori, indefinibile ed inosservabile, rimane unicamente descrivibile e narrabile. Una coscienza vivente ed un corpo pensante, che si “pensa fino in fondo” secondo una bella lezione di Bion. La mentalizzazione è dunque origine e fine. viene prima e dopo ogni processo cognitivo o esperienza di consapevolezza che include e oltrepassa i confini del fisico, del somatico e del sociale. Questa circolarità retroagente mi sembra possa essere bene affiancata al pensiero di Fonagy, ponendo dunque bionianamente la mentalizzazione a livello di contenitore – somatico ed intersoggettivo – e non di contenuto della mente. 104 Gadamer, p. 181. 60 5. 5.1. L’incontro nella relazione psicoterapeutica La ricerca clinica L’epistemologia che sta alla base di questo lavoro è quella del modello PTW/SPT e che mi sono sforzato di far dialogare un poco alla maniera svizzera: tra Nord e Sud, tra Est e Ovest. Il modello della scienza 105 psicoterapeutica è quello sulle cui basi intendo costruire le mie riflessioni psicosocio-antropologiche e quindi anche mitico-culturali in relazione con la pratica e la ricerca cliniche. Come abbiamo enunciato finora gli elementi fondanti sono i seguenti: - Epistemologia della complementarità, complessità e convergenza (sintesi) 106; - Integrazione tra scienze naturali e umane (culturali); - Superamento del dualismo tra corpo e mente, tra cervello e mente; - Inter- e trans-disciplinarità, con conseguente inter-professionalità; - Approccio inter-curriculare e trans-metodologica in psicoterapia. Mentre la rosa europea dei pensatori e degli autori a cui mi riferisco e che mi permetto di far dialogare superando il polo culturale disgiuntivo tra area latina e tedesca, cis- e trans-alpino: - Italia: Severino e Galimberti; - Francia: Pascal e Morin; - Germania: Husserl, Jaspers e Fischer. La ricerca in psicoterapia ha dimostrato in modo inequivocabile che ciò che cura e che emancipa – quella emancipatoria 107 permanendo una dimensione imprescindibile in psicoterapia e psicoanalisi – la persona in psicoterapia è la “relazione terapeutica” (30%), oltre a ciò che la persona e il suo entourage stesso portano o sono in grado di portare avanti (40%), dunque otteniamo un 70% dovuto alle persone-in-relazione vs. un relativo 15% riconducibile al metodo o alle tecniche applicate. Resta sempre aperta la questione della validità o meno del concetto di placebo in psicoterapia: l’aspettativa di una guarigione o di un cambiamento non è forse strettamente legata con la motivazione e la risorsa personale? Queste ultime, in quanto espressioni della psichicità di una persona, non sono forse parte integrante di un approccio psicologico? Si potrebbe altrimenti guarire o cambiare senza volerlo né sul piano implicito, né su quello esplicito? Guarire-cambiare non comporta piuttosto l’ “orchestrazione” di tutti questi fattori che si giocano a tutti i livelli del conscio e del inconscio. Sintesi dei risultati della ricerca secondo Tschuschke in psicoterapia 108: Relazione terapeutica Fattori legati al paziente e a cambiamenti extra-terapeutici Effetti legati all’aspettativa (placebo) Fattori di metodo e concetto 105 106 107 108 30% 40% 15% 15% Intesa come riflessione scientifica a partire da quella disciplina empirica che si origina dalla pratica psicoterapeutica: pratica, tecnica, teoria e viceversa. Cfr. specialmente Bohr, Morin e Fischer. Cura e guarigione come dimensioni affiancate da quelle attinenti alla formazione, alla crescita personale, alla maturazione, al lavoro su di sé: all’emancipazione appunto. La Charta svizzera per la psicoterapia vi ha dedicato una Commissione ad hoc e la concettualità che stiamo sviluppando in questo libro attorno a concetti come “salute” e “vita” vuole contribuire a questo dialogo fondamentale. Per questi dati – riassunti da Tschuschke al Politecnico di Zurigo nel 2008 – mi riferisco ad un documento scaricabile online: www.psychotherapiewissenschaft.com/pdf/Psychotherapie-Wirkfaktoren-VT.pdf. 61 Se Tschuschke ci ha portati a conoscere i mezzi, gli strumenti della psicoterapia, Grawe – rigoroso ed autorevole, testimone da me scelto a riprova della dimensione trans-metodologica del modello SPT/PTW – ci aiuterà ad individuare i bisogni e dunque i fini della relazione psicoterapica. I quattro bisogni fondamentali fondabili relazionalmente, socialmente e culturalmente 109: - Bisogno di legame - Bisogno di controllo, coerenza, consistenza e congruenza - Bisogno di avvicinare (BAS112) il piacere e di evitare (BIS114) il dis-piacere/dolore - Bisogno di darsi valore e di vedersi riconosciuto valore (Bowlby110) (Epstein111) (Freud, Bion, Gray113) (Neuroscienze) (Adler115) Se dunque la psicoterapia è un mezzo relazionale per raggiungere “un appagamento di bisogni e desideri esistenziali”, e se la relazione consiste nell’incontro di due organizzazioni dinamiche, non lineari e complesse, la pratica clinica non può che definirsi come un’elevazione a potenza della complessità. All’interno di questo quadro che desidero esplicitamente “schulübergreifend” – ben consapevole che nel nostro campo pure la ricerca con i metodi più scientifici opera interpretazioni e vi retroagisce – la cui cornice delimita il fenomeno “cambiamento inter-soggettivo in psicoterapia” e ne indica già anche alcuni contenuti relativi ai bisogni fondamentali, si inserisce la realtà fenomenica di due persone che si incontrano in una seduta di psicoterapia. Non si tratta dunque né di noumeni 116, né di computer, bensí di due soggetti, ognuno con più persone di riferimento nella propria infanzia, più modalità di relazionamento a seconda delle situazioni (ritmi, luoghi, ecc.) e delle altre persone coinvolte. Tutto questo costituisce la complessità nella complessità della pratica clinica. Scorciatoie, riduzionismi e semplificazioni a questo riguardo hanno portato, ad esempio, ad una interpretazione di dati della ricerca confutata parimenti da due antagonisti (Shedler psicodinamico e Grawe cognitivista) appartenenti anche a due aree culturali ben distinte, a loro volta in contatto con quella latina. Si tratta della ricerca sull’efficacia di alcuni farmaci anti-depressivi che ben dimostra – come dicevo con una falsificazione e nuova verifica da parte di scuole addirittura antagoniste ma convergenti in questo frangente – quanto anche la ricerca più “oggettiva” si fondi su scelte metodologiche ed interpretazione dei dati che possono comportare differenze importanti nel nostro campo intersoggettivo: come nella fisica quantica sembra impossibile misurare contemporaneamente, se non complementarmente, stato e dinamica del cosiddetto oggetto di ricerca. 109 110 111 112 113 114 115 116 Seguendo la concettualizzazione proposta da Grawe nel 2004. John Bowlby (Londra, 1907 – Isola di Skye 1990). Mark Epstein (New York, 1953). Il Behavioural Inhibition System (BIS) e il Behavioural Activation System (BAS), avvicinamento ed allontanamento come sistemi neurologicamente ben descrivibili e facilmente assimilabili agli assunti di base Attacco-Fuga e Dipendenza-Accoppiamento di Bion: somaticamente e gruppalmente co-determinati. Jeffrey Alan Gray (London, 1934-2004). Cfr. nota sopra. Alfred Adler (Rudolfsheim, 1870 – Aberdeen 1937). Realtà, cose in quanto realtà, cose… cose in sé, verità ultime su sé stesse. 62 Le osservazioni di Grawe (cognitivista, Svizzera – 2004), Shedler (psicodinamico, USA – 2010) e Migone (psicodinamico, Italia – 2011) riguardano i seguenti aspetti ritenuti metodologicamente, eticamente e scientificamente fuorvianti: - Ricerche finanziate dall’industria farmaceutica; - Attenzione all’output rivolta esclusivamente ai sintomi «oggettivi»; - Intervallo di tempo studiato (10 settimane) spesso topos per la remissione spontanea proprio dei sintomi «oggettivi»; - Esclusione dalla statistica del 25% di interruzioni del trattamento farmacologico: sarebbero invece da considerare quali insuccessi; - Catamnesi assente: ricadute tra l’80-90% sull’arco dei due anni, alle quali a volte segue una psicoterapia di lunga durata. La più recente ricerca clinica in psicoterapia con una particolare attenzione rivolta alle neuroscienze, riassunte per noi da Grawe (neuropsicoterapeuta, Germania – 2004), Küchenhoff (psicodinamico, Svizzera – 2012) e Migone (psicodinamico, Italia – 2012) 117, mi permettono di selezionale alcuni elementi fondamentali e fondanti una psicoterapia interscuola antropologica: dunque con la dovuta e necessaria attenzione rivolta alla soggettività, socialità e culturalità del paziente. Queste dimensioni intersoggettive e socio-culturali esprimono anche ciò che Morin definisce più volte la “complessa relazione ricorsiva e retroagente” tra specie-individuo-società o tra cervellomente-cultura, ciò che altrove abbiamo anche definito come oikos o mondo (Lebenswelt). L’soggetto-individuale-umano-vivo, ancora una volta, non può essere ridotto alla sua dimensione di specie o cervello, ed è per questo motivo che seguenti risultati della ricerca mi paiono, più di altri, confermare la mia tesi: - Indicazioni per un lavoro mediato dai simboli (che riguardano la corteccia e la neocorteccia cerebrale), includenti la biografia ed il contesto psico-sociale del soggetto-paziente particolarmente attivati nella relazione terapeutica (che riguarda terapeuticamente l’ippocampo) sul lungo – ed inizialmente intensivo – periodo. Questo permette di apprendere inibendo la ricezione di altre regioni cerebrali iper-attivatesi (amigdala) nelle esperienze traumatiche o comunque patogenetiche; - Necessità imprescindibile, da parte del terapeuta, di possedere varietà di esperienza di vita, di registri comunicativi e di strumenti antropologici, culturali e filosofici; - Importanza di cogliere (incastro), sviluppare e consolidare il cambiamento graduale, anche se non lineare, e integrato nel contesto personale (“incontrare il paziente laddove si colloca esistenzialmente”), familiare e sociale. - Umorismo (Grawe) quale dimensione esistenziale e strumento terapeutico, già indicato da Freud quale una delle quattro “vie per l’inconscio” o perlomeno per quella parte di esso, di cui possiamo prendere coscienza. 117 Ribadisco nell’indicare “area di appartenenza intellettuale” e paese di origine dei diversi pensatori, l’importanza nel mio discorso dell’approccio inter-scuola: ciò che vale per più scuole e paesi di origine è molto più probabilmente vicino ad un punto di verità. Stessa motivazione mi porta a leggere e scegliere autori di differenti provenienze culturali – anche perché soprattutto in psicoterapia, guarda caso – sembrano vigere barriere abbastanza impenetrabili. La cultura conta e se i vertici di osservazione, appartenenza e interpretazione culturali convergono su un’affermazione ritengo anche qui che la validazione risulti più solida. Per le convergenze logico-empiriche (interdisciplinari dunque) rimando a Fischer ed al mio libro “Anima e psiche”. In questo libro il dialogo maggiore è fra psicologia, filosofia, antropologia e neuroscienze. 63 Se i soggetti e la relazione fra loro – a livello di contenuti ma ancor più di contenitore implicitoinconscio – è determinante per il buon esito di una terapia, si capisce perché per un approccio integrale ma aperto nel nostro caso psicodinamico (con integrazioni dal cognitivismo, dalla sistemica e dalla psicocorporeità su indicazioni specifiche) nella pratica. Ma prevalentemente approfondita e orientata alla psicodinamica (non strettamente psicoanalitica) la formazione personale e clinica degli psicoterapeuti (lavoro su di sé e supervisioni), mantenendo un’attenzione per la fenomenologia e la transdisciplinarità nella teoria. 64 5.2. La ricerca empirica Partendo dalle premesse cliniche di cui sopra ed integrandovi le riflessioni filosoficoepistemologiche complementari e transdisciplinari arriviamo ora ad una loro applicazione alla psicoterapia, intesa primariamente come relazione intersoggettiva (incontro – incastro): dalla prassi psicodinamica alla teoria psicoterapeutica e viceversa. Quale premessa e breve sintesi recupero il concetto – già sviluppato ampiamente sin qui – di “superamento dei dualismi” (Hegel): - tra le cartesiane res cogitans/res extensa (Morin, Galimberti); - tra soggetto/oggetto; - tra anima/corpo e tra mente/cervello; - tra soggetto/mondo e tra io/noi; - tra specie/individuo, tra individuo/società e tra genoma/ambiente; - tra natura/cultura; - tra neuroscienze cognitive e psicoanalisi; - tra personalità/professionalità; - tra formazione/terapia. Si tratta ora in effetti di applicare quanto teorizzato finora – definendo una cornice epistemologica ed un quadro concettuale implicanti le tecniche elencate a p. 59 – alla pratica psicoterapeutica. Questo comporta l’intendere il paziente come un esserci-della-mente-nel-mondo (s/t) nel, col e per (causale e finale) il proprio corpo, dune soggetto umano, individuale e sociale. Ergo anche un esserci-nella-coppia-analitica, trasformando la propria Um-Welt – intrisa delle Mit-Welten passate – nell’esperienza della Mit-Welt analitica La relazione di transfert-controtransfert (ampliabile senz’altro anche al concetto di co-transfert) diventa allora asse portante sia dal punto epistemologico-neuroscientifico (relazione intenzionata, intersoggettiva ed eco-socio-psico-somatica) che da quello tecnico fondato sui dati della ricerca clinica più recente. In questo senso quindi la persona del terapeuta diviene centrale fondante nella pratica della professione, con le sue emozioni, i suoi simboli e le sue mitologie, comprese quelle legate al suo rapporto con la scienza e la ragione. Senza voler polemizzare eccessivamente sul concetto di professione 118 va forse qui ampliato includendovi la personalità costituita a sua volta di individualità e di culturalità della soggettività del terapeuta, il quale in quanto umano crede o non crede, e ripone fiducia nel suo non credere o non crederci. Spesso si sente dire: “Non credo a nulla, solo alla scienza!”. Esistere implica dunque un affidarsi a credenze o alla fiducia riposta nella loro supposta falsificabilità. In questo senso pro-fessio non contraddice con-fessio e questo non vale nemmeno viceversa: piuttosto – etimologicamente – trattasi di fatèri (dichiarare) con prefissi, premesse diverse. Non uno contro l’altro, bensì uno con l’altro, uno compenetrante l’altro. Se la professionalità dichiara una formazione, una competenza ed una oggettività massima possibile, la confessionalità del terapeuta ne dichiara la biografia, lo sviluppo, la preparazione personale e le qualità umane, tra cui l’empatia e la compassione. Esercito la mia confessionalità 118 Mi riferisco qui al libro di Grawe del 1994: Psychotherapie im Wandel: Von der Konfession zur Profession, dove la pro-fessionalità viene contrapposta alla supposta “con-fessionalità” delle Scuole storiche di psicoterapia, in particolare di quelle psicodinamiche. 65 nell’incontro professionale, e professo la mia competenza intersoggettiva comprendendo e facendo comprendere la mia comprensione al paziente. Professo la mia confessionalità confessando la mia professione con com-passione, empatia, fiducia consensuale e condivisa, scambio di soggettività. In effetti – come abbiamo visto dal punto di vista della ricerca clinica – psicoterapia significa aspecifica terapeuticità della relazione, come incontro di qualcuno che soffre con qualcuno nel quale si sente di poter riporre fiducia, perché competente, saggio e anche capace di moderato ottimismo e di pointes umoristiche. Solo la dimensione confessionale – intesa come condivisione di fiducie esistenziali – consente di attivare nel terapeuta e nel paziente risorse come l’intuizione (insight) e la progettualità (Entworfenheit, ma anche prospettiva e visione) in quanto umanamente e terapeuticamente necessarie per raccontarsi, comprendersi e cambiarsi. E’ in questa complessa articolazione inter-s-oggettiva – perché inserita in una cornice di scambio e di comunicazione a più livelli, ma riferita anche ad oggetti ed al mondo – che risulta inevitabile la generazione dei pensieri e degli affetti anche a partire dal mondo interno, quello degli oggetti interni 119 (cfr. il modello kleiniano). Non esiste dunque una rappresentazione scevra di cosiddette contaminazioni interiori né dal punto di vista kantiano, né fenomenologico, né neuroscientifico e tantomeno kleiniano-bioniano. Ogni rappresentazione è il frutto di un “accoppiamento” tra oggetto e soggetto, tra proiezione ed introiezione, tra corpo e mente. Concludo questo paragrafo con la bellissima citazione di Hans Loewald (psicoanalista, 1906-1993) ripresa da Fonagy: “ Il distacco (asimmetrico) scientifico nella sua forma più genuina, lontano dall’escludere l’amore, si basa su di esso. (…) Nei nostri momenti più belli di serena e obbiettiva analisi amiamo il nostro oggetto, il paziente, più che in qualsiasi altro momento e siamo compassionevoli con tutto il suo essere.” 120 E aggiunge Loewald, questo vale per tutte le scienze , anche per quelle più dure: senza passione non vi è ricerca, né scoperta. 119 120 Cfr. il modello kleiniano e il dizionario di Hinshelwood. Allen, Fonagy et al., p. 171. 66 5.3. L’esperienza psicoterapeutica Arriviamo ora a toccare, finalmente, il campo applicativo di nostro maggiore interesse: nella relazione terapeutica l’esperienza stessa. La nostra libera professione scientificamente indipendente 121 offre ai nostri clienti, pazienti, persone una relazione formata (gestaltet) terapeuticamente 122, fondata sull’uso inclusivo della parola. Questa offerta si costruisce dinamicamente, emerge organizzazionalmente dall’incontro complesso di diversi piani relazionali simultaneamente e contingentemente presenti e rilevanti: - il piano dell’ “Alleanza di lavoro” (Bion) che si nutre dell’esame di realtà tra soggetti e tra soggetto ed oggetti esterni; - il piano della “Relazione transferale-controtransferale (Freud) o co-transferale” che nasce dalla compresenza di un terapeuta e di un paziente; - il piano della “Dialettica terapeutica” (Fischer) che si alimenta della relazione tra Alleanza e Transfert. Sul piano della filosofia, diritto e politica della psicoterapia – essendoci concentrati finora sull’affisso psiche – occorre ora chinarci sul suffisso terapia per forza di cose in modo alquanto sintetico. Il termine terapia attiene all’binomio malattia/salute presupponendo la cura in senso stretto come il trattamento di una malattia allo scopo di guarirla riportando un soggetto in uno stato di salute. Il punto è che il binomio non è riducibile ad un antinomia malattia/non-malattia dove non-malattia sarebbe allora sovrapponibile al concetto di salute. La salute è più che uno stato di assenza di malattia, anzi lo stato di salute stesso comporta un processo continuo di deterioramento, invecchiamento e gestione di attacchi virali e batteriologici. Potremmo piuttosto ipotizzare che la salute, più che ad uno stato, attenga ad una dinamica la quale comporti comunque anche un’ insorgenza gestibile, al di sotto della soglia perlomeno di consapevolezza conscia propria (dolore) o altrui (diagnosi). Parafrasando Eraclito che affermava “viviamo di morte e moriamo di vita” potremmo dire che “ci ammaliamo di salute e ci guariamo di malattia”. Non sono dunque sano perché non malato, ma perché non avverto e non vengono riscontrati in me sintomi qualitativamente e valori quantitativamente ritenuti eccessivi. Partendo da questa premessa generale accediamo ad una distinzione psicopatologica fondamentale tra eccessivo 123 vs. pre- e consciamente adeguato, funzionale vs. dis-funzionale, dove il criterio discriminante non può che venir applicato secondo una chiave interpretativa e quindi intersoggettiva. Questo vale anche nel caso frequente in cui si integrano degli strumenti psicodiagnostici: essi vengono somministrati da un soggetto ad un soggetto. A queste categorie mi piace aggiungere quella di ego-sintonico vs. ego-distonico quasi a voler sottolineare la soggettività dell’esperienza di salute vs. malattia “mentale” e la qualità della stessa avvertita come maggiormente o minormente dirompente, distruttiva o oppressiva nella misura in cui si esprima in modo più o meno ego-sintonico e, completerei, alter-sintonico. La malattia mentale è soggettiva, nasce dunque da un’intersoggettività biologicamente o psicologicamente mal interiorizzata e nell’intersoggettività proiettandosi nuovamente si esprime. Lì può essere conosciuta, riconosciuta e – se possibile – curata. 121 122 123 Secondo la definizione giuridica e accademica datane dall’Associazione svizzera degli psicoterapeuti (ASP). Secondo la bella definizione di Fischer. Secondo una terminologia spesso utilizzata da Bion rispetto all’identificazione proiettiva – dinamica psicosomatica peculiare sia in chiave difensiva che esplorativa – individuata come indice – quantitativo dunque - di patologia o di normalità. 67 La lezione di Gadamer si fa allora preziosa nel senso di una conferma della differenza quantitativa e non qualitativa tra stato di salute e stato di malattia: un’organizzazione in costante dinamica conflittuale, polemica tra agenti patogeni e sistema immunitario, tra generazione ed apoptosi 124 di cellule. Il medico, il terapeuta non produce dunque alcunché nell’ambito del processo di guarigione – a differenza di altri operatori nel campo delle arti o della tecnologia – bensí co-adiuva, aiuta, sostiene e accompagna un processo di per sé già dato, in atto e potenzialmente sempre ancora attivabile. Questo processo attiene alla vita, alla dinamica di un più di vita rispetto a un meno di morte, e in quanto tale consiste di una pluralità di processi organizzati in continuo confronto con il graduale imporsi del singolo processo osservabile in stato di morte, processo che denominiamo decomposizione 125. Questa lezione non permette più – in un modello di mente incarnata emergente da un cervello-corpo – di scindere la psiche dal soma o di distinguere la terapia del corpo dalla terapia dell’anima. E’ nella relazione come contenitore spazio-temporale, che viene a giocarsi il teatro, la tragedia, il conflitto di due vite che incontrano la vita in quanto dinamica tra salute e malattia, tra morte e vita stessa e dunque – secondo la definizione strettamente biologica che ne abbiamo dato nel paragrafo precedente – tra l’esclusività della sola e unica decomposizione e la molteplicità delle funzioni vitali espansive 126. La relazione – come condizione di possibilità a priori – s’instaura tra due persone che ricercano una forma capace di contenere i sensi di salute, di malattia-guarigione: per muoversi, giocare, creare e lavorare, per essere ed esprimersi diventando. Questo diventare e creando, producendo far diventare altro soggetti ed oggetti implica il funzionare-lavorare con le assunzioni di responsabilità 127 correlate a queste azioni-operazioni, così come porsi dentro la vita e riconoscere i limiti di una vita “secondo misura” 128. Ma l’essere-in-espansione non si attualizza solo facendo, ma bensì anche lasciandosi mobilitare da pulsioni e motivare da e-mozioni, capaci di emergere, di trasformarsi, di spingere e sostenere – tra forma passiva e attiva – sentimenti e progetti di vita. Specialmente gli adolescenti – immersi nella noia – si chiedono attraverso i loro sintomi, il perché – la motivazione – per lo studio, il lavoro e l’impegno: scelgono di evadere la domanda o di provocarne la risposta con le sostanze, i suicidi pensati e agiti, i rituali autoclastici legati al cibo e alle ferite autoinferte o l’assunzione onnipotente di rischi. L’ascolto della domanda e il contenimento della ricerca divengono dunque, specialmente l’adulto a cui si riferiscono, sempre più imprescindibili L’incontro nella relazione psicoterapeutica ci ha portato a focalizzare la nostra attenzione sulla dimensione dell’esperienza psicoterapeutica, come dimensione vissuta e condivisa, empirica ma comunicabile, terreno della pratica e della formazione professionale a questa pratica intersoggettiva del “hic et nunc”. Per gli approfondimenti legati alla definizione e descrizione di questa esperienza specifica anche come pedagogia e arte rinvio sempre a Fonagy. 124 125 126 127 128 Wikipedia: “In biologia, il termine apoptosi (coniato nel 1972 da John F. Kerr, Andrew H. Wyllie e A. R. Currie a partire dal termine greco che indica la caduta delle foglie e dei petali dei fiori) indica una forma di morte cellulare programmata, termine con il quale il processo è stato tradizionalmente chiamato. Si tratta di un processo ben distinto rispetto alla necrosi cellulare, e in condizioni normali contribuisce al mantenimento del numero di cellule di un sistema.” Anche queste riflessioni nascono dai colloqui con Stutz. Espansività – cfr. Spengler pp. 117-149, il quale riprende il filosofo Wilhelm Keller – come condizione vitale ed umana esprimentesi come sviluppo dell’ “essere-sé-stessi” (selbstsein) nelle quattro aree: movimento – gioco – creatività – lavoro. Cfr. il filosofo ed etico Jonas. Cfr. Galimberti insieme alla “filosofia del viandante”. 68 Mentre rimando a Ferro 129 per una teoria del campo analitico derivabile dal modello del corpuscolo quantico: esso – come le emozioni e le cognizioni - interferisce con l’energia dello strumento di misurazione – come lo è parzialmente anche uno psicoterapeuta – e si muove indeterminatamente, non lasciando determinare nemmeno la propria natura di particella-materia o di onda-energia. La mia domanda aperta riguarda ovviamente più che il campo fisico quello intersoggettivo: non potrebbe – per analogia – avvenire lo stesso? Una mente-incarnata che si “proietta” e “introietta” i “quanti mentali” prodotti da un altro corpo-animato, non potrebbe inferire-trasferire i contenuti ed essere a sua volta influenzata dai contenuti di un altro contenuto? E’ questo modo di intendere l’identificazione proiettivo-introiettiva che abbraccia i risultati delle neuroscienze che toccano la dimensione quantica delle trasmissioni bioelettriche e ispirano la psicoterapia psicodinamica e bioniana. Propongo in conclusione di questo capitolo gli schemi dell’oggetto di conoscenza proprio della psicoterapia come convergenza tra scienza naturale e umana nell’individuo presente nella relazione psicoterapeutica, sul cui vertice-angolo si centra la scienza psicoterapeutica (SPT-PTW), senza offuscare o accecare il triangolo 130: 129 130 Cfr. Ferro, Basile e i Baranger. Ispirato dalla lezione di Morin sulla complessità della vita, dell’umano e della conoscenza. Dove la medicina e la psicoterapia – come discipline empiriche – possono venir comprese come vertice integrativo tra scienze naturali e umane. 69 70 6. Dalla funzione alfa a quella simbolica Nella relazione psicoterapeutica – intesa come relazione a forma (Gestaltung) terapeutica 131 nella quale si comunica verbalmente e non verbalmente secondo modalità mentalizzanti – viene dunque corretta, riparata, sviluppata, attivata o ri-attivata nella resilienza ad un trauma la funzione alfa. Essa costituisce ciò che Bion definiva come la funzione capace di trasformare gli elementi beta in alfa appunto: elementi emotivi non ancora pensabili o pensati in elementi costitutivi di un emozionepensiero-contenuto da una apparato-mente-contenitore, dopo un processo di mentalizzazione. In questo processo si passa da dagli elementi β a quelli α, dall’istinto (somatico non intenzionale) alla pulsione (somato-psichico intenzionale) segnando il passaggio dalle cose all’umano somatomentale, dall’inanimato all’animato, dal non vivente non intenzionale al vivente intenzionale 132. Un contenitore (mente) che trasforma i contenuti (emozioni133-concetti) emergenti nell’ hic et nunc della coppia analitica rimanda inequivocabilmente – passando attraverso la concettualità dell’apparato per pensare propria della teoria del pensiero di Bion e quello di “massa di pensiero” – all’esperienza del “porre mente alla mente” come descritta e definita da Fonagy: quale esperienza affettiva e cognitiva applicata a sé ed agli altri. “Il pensare i pensieri fino in fondo” bioniano può dunque assimilarsi al mentalizzare i contenuti che la mente ci propone, in quanto realtà affettiva e cognitiva complessa in continua trasformazione. In questa realtà si attiva, disattiva o attiva in modo parziale quella funzione alfa generatasi nella prima relazione di attaccamento con il caregiver capace di rêverie: la mentalizzazione si attiva in una relazione intersoggettiva, nella quale è sufficientemente possibile apprenderla. Il genitore sufficientemente buono insegna dunque ad “alfizzare” ed a mentalizzare, così come in seguito l’altro genitore, altri adulti di riferimento, i fratelli, le sorelle ed i pari insegneranno a giocare ed a parlare. È a questo livello che attaccamenti insicuri, evitanti, ambivalenti o disorganizzati, sviluppi parziali o disarmonici possono intervenire favorendo disturbi nella capacità di trasformare digerendole sia le emozioni e sensazioni suscitate da esperienze appaganti che da quelle frustranti. L’oggetto presente rispettivamente assente porta all’emersione di strategie di pensiero rilevanti che possono andare dall’algebra al delirio, dal concetto al sogno, dal pensiero condivisibile all’amnesia, all’allucinazione inenarrabile, alla psicosi. Lo spartiacque potrebbe venir dinamicamente posto tra l’attivazione prevalente del fattore-alfa quale rappresentante allucinatorio-onirico vs. la connessione dell’apparato per pensare al fattoreRealtà quale rappresentante della realtà oggettivo-intersoggettiva. Entrambi i fattori vanno intesi come rappresentanti che rappresentano i rispettivi rappresentati, forme dei sensi, costitutive dell’elemento alfa stesso ed a questo livello in grado di evolvere regressivamente (sogno) o progressivamente (concetto), di motivare azione-scarica o pensiero-trasformazione in una continua oscillazione dinamica e dialettica, dove la dimensione regressiva non implica un giudizio di valore bensì la fase di un processo in sé evolutivo ed espansivo. La funzione alfa, insomma, mentalizza il somatico, pensa i sensi, prepara il materiale per il successivo lavoro onirico in rapporto dialettico con la realtà. E’ a questo punto che l’apparato o la massa per pensare può funzionare non solo pro- o re-gressivamente – trasformando o evitando – bensí anche su di un piano parallelo: sostituendo al fattore Realtà (R) quello alfa (α). In questo 131 132 133 Secondo le definizioni di Fischer e Fonagy: relazione che consente quindi la correzione di esperienze di attaccamento insicuro, ambivalente, evitante e disorganizzato (cfr. Bowlby, Mary Main e Judith Solomon). Intenzionalità nell’accezione di Brentano e Husserl. Emozioni come contenuti proto-mentali trasformabili in pensiero concettuale attraverso le vicissitudini della funzione di rêverie genitoriale prima e funzione alfa poi. L’apparato per pensare viene considerato analogo a quello biologico digerente: i contenuti vengono metabolizzati. 71 modo si esprime – secondo Bion, Ferro, Green, Marcoli, Branca e altri autori “bioniani” – quella parte del “mentecorpo” anaclitico-psicotico-narcisistico-onnipotente che tende ad attaccare i legami, sfidare i limiti e negare la realtà con le frustrazioni ed i dolori connessivi. Se il fattore alfa risulta eccessivamente (nel senso dunque di una dimensione quantitativa) autonomo e preponderante oltre alla sua funzione onirica esso può pure sostituirsi alla realtà esterna consentendo in questo modo alla mente di allucinare sognando ad occhi aperti, visualizzando in stato di veglia elementi alfa (cfr. Ferro) o producendo deliri veri e propri. La realtà reale esiste appunto solo nella relazione intersoggettiva interiorizzata, ma essa deve “tararsi” nel continuo proiettarsi-introiettarsi e ri-proiettarsi per re-interiorizzarsi confrontandosi in questo modo nelle relazioni-legami con le realtà inter-s-oggettive attuali, indipendenti dalla propria immaginazione o simbolismo privato, non o solo parzialmente condiviso. In questo senso vale la pena ricordare la posizione specifica assunta da Marcoli e Branca nell’area di pensiero denominata “psicologia generativa” con la quale mi piace riconoscermi: “Rispetto agli autori neo-bioniani che enfatizzano principalmente le condizioni patologiche legate alla carenza di funzione alfa, la psicologia generativa da largo spazio – seguendo in questo senso la terza via indicata da Bion – alle conseguenze di un eccesso di funzione alfa e alla conseguente predominanza di quella che Fornari chiama simbolizzazione onirica e confusiva.” 134 Su questo terreno confusivo la costruzione del simbolo, l’accesso alla funzione simbolica ed alla successiva mitizzazione, viene ostacolato alla radice, motivo per cui la persona, il soggetto tenderà a riferire il suo pensare ad elementi simbolici individuali-immaginari, piuttosto che gruppalisegnici. Di fronte allora al tema del “corpo che parla” e delle patologie borderline o dello psicosoma in genere – particolarmente emergenti nelle società scientifico-tecniche post-cristiane e post-industriali – la funzione alfa si evidenzia come la condizione di possibilità, l’essenza costitutiva dell’essere umano che anima e incarna sé stesso nel mondo in relazione con gli altri da sé. È però da questi altri da sé, che ha “ap-preso” a sua volta a trasformare gli elementi beta in alfa, la natura in cultura, il gioco in arte, il silenzio in parola, il lutto in fiducia. La funzione alfa umanizza, in ultima analisi mentalizzandolo, l’altro da sé, ma il processo stesso di “alfaizzazione” (risp. mentalizzazione) avviene ed è avvenuta per introiezione dell’altro in sé che diventa parte di me: parte necessaria ed essenziale: penso parlando una lingua appresa producendo significati culturalmente pre-determinati e rilevanti. Essa funge da vero e proprio trait d’union – quale versione congiuntiva della disgiuntiva ma ben più bioniana caesura – da indagare e sulla quale risulta possibile il pensiero logico a partire dalle emozioni neuronali, il cervello come metonimia del rapporto tra corpo fisico e mentale: l’emergenza aleatoria ma complesso-determinata di un “corpo mentalizzato” e di una “mente somatizzata” individualmente e socialmente mondeggianti. 135 In quest’ottica transdisciplinare possiamo considerare la funzione alfa la condizione di possibilità della trasformazione dell’istinto – fisiologicamente determinato - in pulsione prima, in sogno e fantasma privati poi, per approdare infine all’universo del simbolo-mito collettivi. Non va infine assolutamente dimenticato quanto fondamentale sia il lavoro della funzione alfa proprio nel trasformare il “non raffigurabile” e il “non rappresentabile” contenuto – come nel caso dell’istinto – nel trauma stesso, rendendolo esperibile (ad es. in psicoterapia) avendolo trasformato in elemento alfa prima, in simbolo e segno poi, dunque comunicabile come sentimento e pensiero. Ma soprattutto attraverso simbolo e segno il trauma può essere ricordato e dimenticato, entrando 134 135 Cfr. Branca, 2012, p. 11. Per riferirci creativamente alla dialettica di Morin tra natura (bio-chimico-fisica, geni-corpo, specie), cultura (socio-politico-economico-psicologica, lingua-mente, società) e individuo (singolo, unico, irripetibile ed incommensurabile). 72 nella dinamica delle funzioni neuronali denominate “memoria”, le quali proprio in quanto dinamica si lasciano sedimentare, sciogliere e rimodellare nella rievocazione (catarsi e “racconto inaudito”) e nella narrazione, nella comunicazione e nella interpretazione, siano esse in coppia, in gruppo o appunto in psicoterapia. Proprio le neuroscienze 136 ci rendono attenti sulle possibilità plastico-dinamiche del cervello e sull’importanza del lavoro strutturato e regolato per ri-elaborare e superare un trauma che non è solo traccia indelebile o ricostruzione storico-cronologica di un evento: amnesia e evitamento sono piuttosto i due poli entro i quali sembra occorra muoversi per mezzo dell’interpretazione in senso psicodinamico. 136 Cfr. Oliverio, pp. 103-109. 73 7. 7.1.1. Dalla funzione simbolica al simbolo Simbolo e segno L’insieme dei passaggi filo- ed ontogenetici che hanno portato culturalmente i gruppi e individualmente gli esseri umani all’emergenza – partendo dagli istinti per arrivare ai bisogni – del simbolo lo definisco funzione simbolica intesa come funzione vivente, vivificante, o come funzione in vita. Dove la vita la comprendiamo nelle continue dinamiche vita-morte, presenza-assenza, gruppo-individuo, corpo-mente, mente-mondo. La funzione simbolica si aggancia a quella alfa – condizione stessa di possibilità – ma consente l’emersione ulteriore – evocando contenuti di senso somatici ed emotivi inconsci – di forme contenenti mentali e simboliche consce. Su questi simboli si costruisce il pensiero mitico, dal quale può svilupparsi anche quello logico, ma il simbolo non può ridursi a solo segno biunivocamente determinato, esso evoca mondi irrazionali e infiniti per definizione, traghettandoli nell’universo del segno ma trascendendolo. Il simbolo è figlio del sogno più che del segno, apre all’esserci emotivo completo – nel gioco proustiano tra tempo e memoria – dove la percezione ha aperto appunto alla rappresentazione. La rappresentazione – immagine, figura, simbolo, segno e parola – è sempre il passato prossimo di un presente appena vissuto (Bergson137), fonte di conoscenza che è al contempo astrazione (passato) ed intuizione (futuro): “Il presente è già un passato che rode il futuro…” (Proust). In questa tensione, dovuta all’inappagamento costitutivo del simbolo, emerge l’organizzazione mitica e culturale nuovamente collettivi, socialmente riconosciuti. Secondo lo schema: Segno significante e significato convenzionale socialmente condiviso Ragione Indica (logos) Simbolo forma e senso non convenzionale socialmente condivisibile Sé Evoca (mytos) La funzione simbolica risulta allora operante principalmente secondo due modalità, rileggendo Freud 138: A) Condensazione: metafora (similitudine) B) Spostamento: metonimia (sineddoche) Il simbolo – in quanto metafora e metonimia – va oltre il segno nel senso che lo complessifica, evoca in quanto non indica-denota solo questo o quell’aspetto, non significa biunivocamente un significato dato, bensì nasce dalla combinazione di più segni, dai quali emerge un significato aperto nuovo e più ampio. In quanto emergenza e nuova auto-organizzazione, il simbolo complesso non può essere ridotto ai suoi componenti segnici. Le tracce genetico-mnestiche che in-formano le pulsioni, gli stimoli percettivi, le anomalie o i perturbatori 139, portano il cervello-mente umano a sviluppare e ri-organizzare continuativamente la 137 138 Cfr. paragrafo 3.1.. Faccio tesoro, accanto alla lezione di Jung e Galimberti per la comprensione del simbolo da un punto di vista psicologico e filosofico, dei ricchi colloqui intrattenuti a suo tempo con il filologo ticinese Giovanni Pozzi (Locarno, 1923 – Lugano, 2002). 74 propria relazione con il mondo, gli altri e se stesso attraverso l’apprendimento e l’utilizzazione dei linguaggi per pensare e comunicare. Questa esperienza costitutiva dell’essere umano (specificasociale-individuale) lo porta ad organizzarsi e ri-organizzarsi come forma contenente sensi molteplici e complessi, rinvenuti attraverso l’esplorazione dell’ignoto. Il simbolo metaforico e metonimico supera le difese e la vita umana, sociale ed individuale che la producono superano il nulla come vuoto di potenzialità. La vita vivente e cogitante emergente consente a sua volta l’emersione di simboli a loro volta testimoni di fenomeni non riducibili alle loro componenti e dunque al nulla della loro natura. Ci si sottrae forse alla catena ininterrotta e nichilista – nel senso nietzschiano – per giungere con Severino all’intuizione di un nulla gravido di tutto, oltre una creatio ex nihilo et in nihilum. Né il termine deus, né quello di technica hominis vi potrebbero apportare altra soluzione. Il simbolo permane quale origine e radice, quantica e filosofica, antropologica e psicoanalitico-psicologica dell’Universo che nasce e procede dal nulla ignoto ma aperto alla Vita, all’Uomo ed al pensiero. Nel simbolo il senso contenuto dalla forma è aperto rispetto ad altri segni come possono essere l’icona o l’indice, ed è in forza di questa sua proprietà di apertura il senso in esso contenuto eccede la forma sovrabbondando di emotività rispetto ai segni puramente “segnici”. Il senso del simbolo può travalicare e travolgere libidinicamente o aggressivamente (L-ove vs. Hate, secondo Bion) il significante suo proprio ed il mero significato logico, razionale, scientifico o tecnico, che gli sia stato di volta in volta attribuito. Il sim-bolo, in poche parole, gode di una qualità, di una relazione unificante degli opposti e delle antitesi riferendosi alla verità ed alla complessità – realtà ultima indicibile non concettualizzabile, quindi incomprensibile, ignota e misteriosa, come l’unità del molteplice dei greci – della cosa in sé. Non contraddittorie sullo sfondo del noumeno, ma in opposizione sulla scena dei fenomeni. Mi piace qui mettere in dialogo la teoria dell’organizzazione e della complessità di Morin con il concetto di eminentia di Tommaso D’Aquino: aspetti apparentemente contraddittori o in opposizione ma su piani diversi dell’esperienza e della conoscenza, in campi diversi differenziabili di espansione del pensiero umano. Per esempio tra esperienza e quantica, tra scienza e fede, tra oggettività e soggettività e così via, si celano livelli irriducibili ma compresenti e contraddittori qualora l’uno venisse applicato al campo inadeguato. Quando il simbolo è socialmente condivisibile (come nella coppia psicoterapica), esso si compone di due significati: A) Comunicativo-letterale: in quanto parola-oggetto, denota il significato in modo trasparente, è portatore di un significato conscio e meramente semiotico, manifesto e convenzionale. B) Non solo comunicativo, ma anche metaforico-figurativo, ermeneutico e mistico ergo da interpretare: in quanto parola-soggetto e -intersoggetti, denota il senso in modo arbitrario ed opaco, 139 Secondo la teoria delle organizzazioni e della scienza, cfr. Morin, Pragier, Ceruti e Kuhn e le cinque fasi della scienza: pre-paradigma / paradigma / normalità / anomalie / crisi / rivoluzione. Il nuovo che emerge auto- ed etero-organizzandosi dall’interazione tra disordine e ordine, tra instabilità e stabilità. Dove anche la teoria del caos corobora la tesi che se un sistema è instabile (lontano dall’equilibrio) più facilmente minimi variazioni iniziali porteranno a notevoli cambiamenti, come quelli che cerchiamo di favorire ed accompagnare nella psicoterapia, sviluppando il cosiddetto “terzo analitico”. 75 è portatore di un senso inconscio aperto all’Altro, latente, eccedente ed inesauribile. Seguendo ora il pensiero di Jung, Ricoeur, Galimberti ed altri desidero affinare la definizione di simbolo quale auto-organizzazione somatopsichica, quindi pre-linguistica in quanto figurativa: rappresentazione di un contenuto-senso. Esso è dunque antropologicamente fondante, legato arcaicamente ed intimamente all’esperienza inter-s-oggettiva e non è riducibile dunque a meri aspetti comunicativi o linguistici, piuttosto ne è la condizione di possibilità. Non solo segno (scienze naturali) non solo simbolo grezzo (follia), ma consente l’avvicinamento di parte dei sensi simbolici eccedenti (agenti) al segno – anche linguistico – attraverso il quale possono essere contenuti, regolati, pensati e condivisi. In quanto metaforico e non solo logico, irrazionale e non solo razionale ma pur sempre ragionevole, esso è un elemento ermeneuticamente imprescindibile da interpretare dunque e non semplicemente decodificare o tradurre. Il simbolo agisce dunque come una sintesi tra reale e immaginario, somatico-simbiotico-materno e mentale-gruppale-sociale. 76 7.1.2. Simbolo e “follia” Ermeneutica e psicoanalisi 140 si incontrano a metà strada in psicoterapia nella la follia e nel trauma, nella follia del trauma e nel trauma della follia: l’inconscio, l’ignoto, l’in-nominabile. Esse possono significare quella parte di senso inaccessibile in un dato momento rendendo anche se solo parzialmente segnico-semiotico il simbolo. La psicoterapia contenendo presta una forma dapprima precaria e dialettica poi attraverso il processo ermeneutico – la possibilità dunque di una relazione di attaccamento mentalizzante – capace di riparare, correggere, sostituire e costruire forme sufficientemente buone per contenere sensi sempre meno debordanti. Con questo la follia ritrova la via dell’intersoggettività e i soggetti quella di sensi nuovi che non erano ancora codificati, superando una barriera tra soggettività e intersoggettività, tra incommensurabile e commensurabile, tra privatezza e società. Il simbolo in questa accezione consente di agganciare – nei termini di una secondaria funzione simbolica in relazione con la primaria funzione alfa – la sfera del corporeo, dell’emotivo e del sentimentale, le dimensioni culturale, artistica e sacro-mistica. Si passa allora attraverso la pulsione (alfa), la quale non rappresenta più solo un istinto (beta), ad una prima “arcaica” simbolizzazione – come una prima organizzazione emergente dal corpo e dalle emozioni che da esso e dalle sue esperienze si sviluppano – per poi continuare verso organizzazioni simboliche vieppiù complesse che alimentano i riti, da cui si sviluppano i miti. I concetti stessi – come dimostrato dalle neuroscienze 141 – non sono separabili dalle emozioni, dai sensi o dalle passioni. Il simbolo se segno allora segno “a due facce”: non solo socialmente condiviso come il mito e non solo privato onirico o psicotico come un’allucinazione o un elemento alfa, ma – come già affermato – significante dai sensi eccedenti, significato aperto al “folle”, al “corpo” e al mondo dell’esperienza propria e altrui in continua ri-corsiva, retro-agente, ri-scoperta dialettica. Il simbolo apre la spirale conoscitiva ma non vi si lascia ridurre avvicinandosi in questo modo ai fenomeni dei quanta e dei “infinitamente piccoli” fenomeni bio-chimici-elettrici alla base della fotosintesi e del pensiero umano, regolate ma casualmente. Ecco il tentativo di due schematizzazioni del rapporto fra le discipline diverse che si occupano del simbolo e del segno: ________________________________________________________________________________ A) Dalla filosofia alla psicoanalisi rappresentazione fenomeno significante conscio significante inconscio simbolico immaginario barriera / caesura da indagare (Bion) realtà / verità Dio – Realtà primaria reale simbiosi madre-bambino ________________________________________________________________________________ 140 141 noumeno significato perduto cosa in sé Cfr. Galimberti, La casa di psiche. Cfr. Oliverio pp. 77-82 e sull’importanza dell’integrazione di queste scoperte nell’approccio cognitivista: in questo ambito il cognitivismo post-razionale – negando la negazione – dialoga con la psicoanalisi. 77 ________________________________________________________________________________ B) Dalla semiotica alla psicoanalisi lingua parola domanda desiderio trasformazione pulsione barriera / caesura da indagare (Bion) cosa bisogno istinto bio-chimico-fisica ________________________________________________________________________________ Riassumo in questo ulteriore schema il rapporto tra simbolo, tendenzialmente con-giuntivo, e concetto, tendenzialmente dis-giuntivo: ________________________________________________________________________________ istinto pulsione elemento beta > lavoro onirico elemento alfa > funzione alfa sogno regola > simbolo > concezione rito/mito > concetto funzione simbolica caesura integrativa soma-psiche caesura integrativa privato-collettivo ________________________________________________________________________________ 78 Propongo al termine di questo capitolo uno schema, che riprende a sua volta i modelli che ispirano le metafore di Morin, Pragier e Oliverio, dove ben si evidenziano le successive emergenze autoorganizzative, le quali a loro volta si pongono su piani differenti: 79 7.2. 7.2.1. Simbolo e sublime Antropologia Vi è sicuramente una certa consonanza tra i due termini, ma soprattutto un fondamento emotivo, una base implicito-inconscia che sostiene entrambi e forse in questo senso anche foneticamente. Come abbiamo visto il simbolo è un segno aperto a significati-sensi straripanti radicati nelle esperienze e memorie implicite fin dalle prime vissute nel mondo a contatto con la madre, e questa base umano-esistenziale ispira, radica e nutre il “sublime” etimologicamente inteso come sub-limus, sotto-obliquo, ovvero “fin sotto la soglia più alta (limen)”, con tutta la propria basale tensione. Potremmo interpretare questa etimologia come “l’emozionale che si spinge fin sotto il razionale” in quanto arcaico, mistero e sacralità, intesi a loro volta come commistione tra sanctum et tremendum (Galimberti): estasi ed erotismo. Esempi di sublime come sanctum et tremendum: - il serpente satanico che parla alla “Eva-Vita” del Genesi; - il serpente-bastone ed il serpente di bronzo (nehustan) di Mosé nell’Esodo; - il serpente salvifico-soterico di Ippocrate-Asclepio-Ermete nella Grecia antica. Le categorie del sacro/terribile si muovono anche quali cornici della kantiana “ragion pratica”, sono dunque da considerarsi quali condizioni a priori basali-emozionali-esistenziali 142 delle definizioni a posteriori di buono/cattivo, di giusto/sbagliato e di legale/illegale. Il sublime inoltre – attenendo anche alle categorie bello/brutto quindi estetiche – rientra nel campo della kantiana “capacità di giudizio” (Urteilskraft), ed in quanto giudizio è ricorsivamente intersoggettivo e soggettivo. Ma nel giudizio qualità naturali (per es. il fenomeno naturale-oggettivo di un’eruzione vulcanica) divengono culturali in quanto miti, narrazioni o cronache, quali esempi di trasformazioni collettive-sociali del fenomeno osservato. Questi racconti-comunicazioni intersoggettive cristallizzeranno vissuti emotivi nel campo simbolico-semantico santo/terribile, per poi esprimere il giudizio di “bellezza naturale” e di “catastrofe culturale”, da cui doversi eventualmente proteggere con misure implementabili dalla solidarietà umana e da uno stato di diritto. Anche in questo esempio – ispirato al testo di Kant – l’intrapsichico-implicito viene mediato e media 143 attraverso l’interpischico-esplicito con il fenomeno extra-psichico “vulcano”. In questo senso il giudizio applicato al sublime psichico va considerato come un momento emergenziale di coscienza umana originata dal naturale e interpretata dal culturale ricorsivamente, in quanto il naturale viene appercepito e rappresentato neuro-culturalmente e il cervello-mente intenziona il naturale. Il nostro semplice esempio presuppone e implica la seguente multi-dimensionalità: 1) La coscienza, il pensiero ed il linguaggio (filosofia, antropologia,…); 2) Comprendere sé, gli altri ed il mondo (psicologia, sociologia, neuroscienze, altre scienze naturali,…); 3) Fare memoria di esperienze vissute (mitologia, storia, diritto, arti,…); 4) Progettare il futuro (pedagogia, politica,…); 5) Interrogarsi sulla vita e la coscienza di essa (etica, teologia,…); 142 143 In sintonia con i risultati neuroscientifici, cfr. ad es. Oliverio. Attivamente e passivamente, transitivamente e intransitivamente (Bion), retro-attivamente (Fischer) o ricorsivamente (Morin). 80 6) La conoscenza della conoscenza (epistemologia). Con un altro esempio possiamo cercare di relazionare il simbolo umano con il sublime naturale, passando dall’eruzione vulcanica al fenomeno dell’alba e del tramonto. Il simbolo evoca e configura il mondo, il mio mondo e il nostro mondo, permettendoci di comprenderlo, di comunicarlo e condividerlo. Comprenderlo nel senso diltheyano del termine, quindi in antitesi dialettica con lo spiegare: spiego le cause degli effetti, mentre comprendo i fenomeni nel loro di-spiegarsi, i processi in atto come gli incontri in psicoterapia. E’ molto diverso affermare di conoscere la causa del sorgere e del tramontare del sole (spiegando il funzionamento della rotazione terrestre) rispetto al comprendere cosa significhi un tramonto per due innamorati o per un bambino che soffre di pavor nocturnus (simboli). Non solo: pur sapendo tutti noi molto bene dai tempi di Galileo Galilei – per molti di noi relativizzato a sua volta da Einstein – nessuno di noi si esprime quotidianamente o vive l’alba come un capovolgersi del pianeta terra su sé stesso (sublime), bensí come un sole che sale dal mare o dalle montagne. Hume sembra dunque avere ancora molto da insegnare alla psicologia ed alla psicoterapia in particolare. 81 7.2.2. Teologia Il concetto-archetipo-simbolo di Dio 144 (l’archetipo del “Senso” come “Forma della Vita vivente” 145 che ne indica dunque anche il senso-direzione, intesa come categoria eco-psico-somatica) segue le vicissitudini della visione del mondo, della filosofia (quindi imprescindibilmente anche dello stato della conoscenza natural- ed umanistico-scientifica), della psicopatologia dell’uomo e delle società che lo generano, così come della teologia che ne emerge come parte totalizzante di un tutto particolare. Non solo: le forme di organizzazione sociali e politiche influenzano in modo inter- e retro-attivo il pensiero teologico fondamentale. Così si passa da un Dio in cui il Male è consustanziale al Bene, senza polarità o dualismi ad un Dio affiancato da un Satan distinto come un solo Male distinto dal Bene. Fino ad un Dio circondato da gerarchie di angeli e mediatori e un Lucifero coadiuvato da demoni e responsabile dei mali, delle malattie e delle azioni malvage: da una “monarchia celeste”, ad una oligarchia fino alla democrazia più o meno democratica. Così – accanto alla politica – s’incontra l’economia 146 in grado di funzionare da meccanismo vero e proprio non solo per la scienza naturale, ma pure per la psicoanalisi o la teologia appunto. Dio come totaliter aliter da ogni significante-solo-segno-analitico o significato-solo-sensoantropomorfo sia secondo logica che ragione. Seguendo le intuizioni dei Pragier ritengo anche teologicamente e soprattutto teleologicamente (finalisticamente) rilevante parlare di una quarta rivoluzione scientifica, equivalente come le altre a profonde ferite narcisistiche: - dal geo-centrismo all’elio-centrismo (Copernico) e conseguente relativizzazione della Via Lattea e di questo stesso Universo; - dall’antropo-centrismo allo zoe-centrismo (Darwin) e conseguente relativizzazione dell’eurocentrismo e della Creazione; - dal primato della coscienza (esplicita) a quello dell’inconscio (implicito), (Freud); - dal primato della logica e della ragione a quello dell’emozione esperita singolarmente (fisica quantica, immunologia, neuroscienze, psicoanalisi). L’homo oeconomicus e technologicus si è sostituito al dio avendone decretata – forse un po’ precocemente – la morte, ma l’immagine del dio antropomorfo sembra essergli rimasta tuttavia impressa. Sembrerebbe che alla teologia antropomorfa si sia sostituita una antropologia teomorfa radicata nella concezione della scienza, nella speranza messianica del progresso e nella conquista “missionaria-soteriologica” della natura. L’Uomo-dio è allora a rischio di morte nichilista come lo è stato il suo Dio? Oppure la Storia, le Passioni (come sensi simbolici che vanno oltre la libertà condizionata socialmente ed epocalmente condivisa) e il Non-Niente (finalismo vs. nichilismo) si pensano e 144 145 146 Mi piace anche riflettere attorno al concetto di “Realtà primaria”, cfr. Mancuso, secondo il modello: - Realtà primaria = Dio, - Realtà secondaria = mondo. L’archetipo del senso lo mutuo da Jung e Galimberti, va inteso come archetipo del senso della vita. Ma per farlo dialogare con Wittgenstein (la soluzione del problema della vita), Bion (modello contenuto-contenitorecontenuto) e Barthes (concetti di forma e senso) traduco il termine senso con quello di forma. Interessante anche il concetto di “Io-dio” presente come realtà interiore nella psicologia generativa e relazionabile con questo mio concetto esteriore di Uomo-dio. Cfr. ad es. le analisi storico-economiche di Migone rispetto alla psicoanalisi contemporanea, o le vicissitudini tra Chiesa ed Impero ai tempi di Ockham (il nuovo in filosofia) o quelle della Riforma luterana (il nuovo nella scienza). Per il primo tema cfr. Migone su www.psychomedia, “Storia del processo degli psicologi americani contro gli psicoanalisti”, 1990. Per gli altri due temi cfr. ad es. Galimberti e i miei libri precedenti. 82 possono pensarsi solo a partire dalla Scienza e da questo mondo della Tecnica, come sua applicazione, rappresentazione e concettualizzazione? La scoperta del Big Bang, della fisica quantica, dell’apoptosi in immunologia e dell’evoluzione delle specie forse anche non solo casuale e cieca, ma caoticamente determinata, casualmente regolata, attraverso dissipazione e crisi ha portato una coscienza umano-divina tecnologicamente creatrice a ri-specchiarsi nella propria immagine mitologica (religione), filosofica (psicoanalisi) e teologica (mistica). Dio come l’Altro da e in Sé, l’Uomo aperto all’Altro da e in Sé: imago Dei. L’Oltre-uomo non ucciso dal Super-uomo apprendendo a non uccidere Dio… Nel metafisico campo della teologia se ci si muove senza un adeguato bagaglio simbolico-segnicoconcettuale la tendenza può essere quella di ricorrere in alternativa a strumenti esperienzialiconcettuali più arcaici – abbandonato il politeismo ed il monoteismo – quali l’animismo o le sue ulteriori riduzioni come il feticismo (riduzione della cosa) e le idealizzazioni (riduzione dell’idea). Le fenomenologie di questi processi possono ruotare attorno al corpo, i mezzi di trasporto e di comunicazione, gli immobili, il tempo libero o financo le persone stesse. I telefonini , ma anche i profili sui social networks e la propria presenza nei mass media o attori e politici si sostituiscono quali “garanti” della forma di appartenenza e di esistenza. Costituiscono altresì un baluardo alla liceità della propria sfera affettiva e – paradossalmente – alla possibilità stessa di un “dialogo interiore”: auto-coscienza, insight, introspezione, meditazione, mindfulness e mentalizzazione. Senza queste ultime condizioni di possibilità per un mondo esteriore-interiore verrebbe ad annullarsi il mondo interiore, l’interiorità, che dimostra di sapersi esprimere ancora e comunque, non lasciandosi ancora ridurre a mero meccanismo o tecnica. Ma queste forme di simbolismi arcaici sono meno concettualizzabile appunto, quindi meno comunicabili specialmente se in aperta contraddizione apparente con il “mondo secondario”, in cui si crede fermamente di vivere. Fisica e neurologia ci confermano – proprio come Platone, Gesù e Freud – che il mondo secondario è altro da come lo immaginiamo e non possiamo fare altro che rappresentarcelo ed indagarlo, ma esso si sottrae ancora e comunque alla nostra comprensione intuitiva ed ai nostri modelli (compreso il computer, le metafore e le parabole) della vita quotidiana: l’ ”iperuranio”, la basileia tou theou, l’inconscio sembrano sempre più poter attenere anche all’(ancora) ignoto quantico e neurale. L’ignoto va difeso dunque da precoci conquiste e risulta allora capace – secondo le riflessioni di Nagel – di dispiegare antiche novità come il finalismo aldilà del caso riduttivistico nel cosmo, nella vita e nell’uomo, lasciando libero quest’ultimo da dimostrazioni sulla necessità o meno di una causa prima, ma non potendone coerentemente escludere l’evenienza. 83 8.1. Dal sim-bolico al para-bolico La metafora è materia-sostanza costitutiva del simbolo – inteso dunque non solo in senso comunicativo ma anche figurativo-rappresentativo, dunque nel nostro modello non solo alfamentale ma anche beta-somatico – e si esprime attraverso segni puntuali, ma anche lineari: attraverso parole e discorsi: ad esempio le allegorie e le parabole appunto. La parabola può essere considerato un fenomeno emergente, irriducibile quindi, dal linguaggio emerso dalla coscienza, dalla mente e dal cervello e come il simbolo, la metafora e l’allegoria, forse a un livello inferiore rispetto a quest’ultima. Esso è intriso non solo di ragione, bensì di ragionevolezza: ragione + saggezza. Affonda le sue radici nel quotidiano vissuto, colorandosi dunque di emozione-sentimento, di esistenza come razionale-irrazionale nel senso anche di paradossale o contraddittorio, come può essere appunto la vita. In altre parole potremmo parlare delle parabole come di una parola, un linguaggio affettivo, non meramente cognitivo e razionale: pathos vs. logos. Considero le parabole gesuaniche (rabbiniche poi) quali esempi magistrali della relazione intersoggettiva-bipersonale del campo analitico, relazionale, comunicativo e sapienziale, alcuni esempi: - Il seme che muore; - Il figliol prodigo o il padre misericordioso; - Il buon samaritano. Esse toccano il profondo dell’ascoltatore perché il thema 147 su cui si costruisce il rhema (apprendimento sapienziale, contenuto di saggezza), muovono emozioni, dando loro una forma, le tras-formano comprendendole e interpretandole al contempo. Accanto alle parabole non andrebbero dimenticati il cosiddetto Weisheitsspruch – proverbio, battuta o pillola di saggezza – ampiamente presenti sia nel Primo che nel Secondo Testamento come forma di aforisma occidentale, il quale approfondisce ragionevolmente e ulteriormente la portata: - La pagliuzza altrui e la trave nel proprio occhio; - Il porgere l’altra guancia; - Il dare a Cesare quel che è di Cesare; - I sepolcri imbiancati; - Lo scagliare la prima pietra. Questa forma risulta efficace sia in ambito pedagogico che psicoterapico, in quanto coglie il nucleo emotivo-implicito-profondo e – mettendolo a nudo – ne dimostra im-mediatamente le dimensioni umoristiche e paradossali, così da motivare, accompagnare o consolidare un cambiamento in preparazione o in atto. Accanto ai racconti parabolici e alle parole proverbiali la letteratura giudaico-cristiana riporta però sempre anche gesti e “messe in scena” (teatralità, tragicità) altrettanto impressionanti, espressive ed efficaci, meno facilmente traducibili in psicoterapia con adulti, ma frequentemente presenti in quella con bambini ed adolescenti: - Il tacere scrivendo sul suolo; - L’impastare la terra con la saliva; - Lo spezzare il pane. A questo riguardo è interessante ricollegarsi con la lezione sul Witz di Freud – il quale sottolineava in analogia con il sogno trattarsi di una “porta aperta verso l’inconscio” – con la dimensione ironica-umoristica quale fattore di efficacia psicoterapeutica ri-messo in luce da Grawe. 147 In sintassi e linguistica pragmatica. 84 Proverbio e parabola si dimostrano essere veri e propri strumenti di parola (mezzo / analisi) psicodinamici e “cornici di riferimento” (fine / sintesi) di una psicoterapia sufficientemente buona: “dal quotidiano patogenetico, alla forma nuova salutogenica”. Sono infatti da considerarsi come dei trattati di psicologia del profondo, dei breviloqui, in grado di analizzare i meccanismi proiettivi individuali e sociali. L’interpretazione in psicoanalisi 148 potrebbe essere arricchita se vista anche come discorso parabolico – non solo biunivocamente allegorico – ma eccedente di senso, quindi in-saturo, aperto e trasformativo, preparatorio del nuovo emergente o potenzialmente presente nell’ancora vuoto da riempire. La metafora stessa come un proverbio-parabola concentrato mette in campo in psicoterapia le stesse dinamiche non lineari presenti in biologia (vita come inibizione dell’apoptosi) e in fisica (universo come “caos deterministico”). 148 Che intendiamo non tanto come una decodifica sistematica, ma piuttosto come un “dare parola al corpo e corpo alla parola” e “messa in scena delle emozioni” (cfr. Marcoli). 85 8.2. Dal sim-para-bolico alla raffigurabilità La funzione alfa, il simbolo, il sublime, la metafora, la parabola ed infine il proverbio ci conducono all’ultima tappa di questo lavoro di riflessione teorica tra pratica, scienza e saggezza occidentale. Quest’ultima tappa vuole aiutarmi a soffermarmi sulla relazione tra funzione alfa e “raffigurabilità” proprio attraverso i simboli (arcaici ed emotivi) presenti in terapia e considerarla come la trasformazione dell’irrapresentabile in quanto affatto mentalizzabile (trauma) e come la costruzione in analisi sostitutiva, riparativa curativa, evolutiva nella coppia e nel gruppo (cfr. Botella). “Questo concetto, che costituisce il sistema inconscio non rimosso, è dissociabile da quello di rimozione. Questo inconscio non rimosso si collega al concetto di irrappresentabile, concetto che "pone dei problemi considerevoli alla teoria psicoanalitica: quelli della conoscenza, della coscienza e della percezione. Dei concetti poco trattati nella letteratura psicoanalitica". È chiaro che il non rappresentabile deve contenere qualche cosa che non può essere pensato, né verbalizzato, né conosciuto come una cosa in sé. Di quest'ultima sappiamo che possiamo conoscere solo una sua eventuale trasformazione. I Botella si domandano se l'irrappresentabile possa essere superato ogniqualvolta le conoscenze progrediscono o se, al contrario, esso è irrevocabilmente l'ultima rappresentazione possibile della nostra realtà psichica. A me sembra chiaro che se noi restiamo ancorati alla rimozione di una pulsione proibita, dovremo necessariamente arrestarci ai limiti di ciò che è rappresentabile e considerare il non rappresentabile fuori della portata del nostro metodo di indagine e di cura. Se invece si ammette l'esistenza di un inconscio non rimosso, prodotto dalle esperienze (anche e soprattutto traumatiche) della primissima infanzia depositate nella memoria implicita e che non possono essere rimosse, allora dobbiamo ammettere che esse non possono essere rappresentate. Ma "l'assenza di contenuto rappresentabile non vuol dire assenza di avvenimento". E l'assenza di rappresentazione non significa che gli avvenimenti non possano essere recuperati attraverso una loro trasformazione simbolica ed emotiva. La psicoanalisi contemporanea deve fare i conti con lo sviluppo delle conoscenze che riguardano le relazioni infantili più precoci e più traumatiche e perfino con le esperienze prenatali che il feto può vivere, specie dopo la maturazione della corteccia cerebrale. È necessario domandarsi se il contenuto dell'inconscio non rimosso è rappresentabile oppure no. Se, come sembra logico, non lo è, allora bisogna domandarsi come il non rappresentabile possa essere conosciuto attraverso gli strumenti operativi della psicoanalisi: il transfert e il sogno. (…) Essi si limitano a parlare di "traccia originaria" paragonandola alla non rappresentazione e affermando che essa non può essere recuperata nel ricordo, ma "può tornare solo con il carattere di attualità sia allucinatoria che reale". Qui gli autori mantengono una certa prudenza e non entrano nel vivo della questione, perdendo l'occasione di indicare il transfert e il sogno come i momenti in cui il non rappresentato attraverso una sua trasformazione metaforica e simbolica può manifestarsi. Riferendosi alla "traccia originaria", si limitano a dire che "ogni notte, si produce la riattualizzazione di questa traccia e che siamo così esposti durante il sonno al rischio di non-rappresentazione traumatica che tenderebbe a risvegliare l'impotenza assoluta della mancanza, di cui la traccia originaria è portatrice". Un rischio concluderei - necessario per poter raggiungere il non rappresentabile e renderlo accessibile al pensiero e alla parola. 86 In sintesi: (…) questo può aprire prospettive stimolanti alla teoria e alla pratica della psicoanalisi con l'introduzione del concetto di "raffigurabilità psichica" che in analisi può colmare il vuoto della sua rappresentazione.” 149 La raffigurabilità psichica risulta essere allora quel fenomeno emergente – casuale e determinato al contempo – metaforico-parabolico capace di guarire ma soprattutto di emancipare, espandere consentendo e sostenendo la vita intersoggettiva e quindi anche quanticamente e neuronalmente fondata: casuale-regolata, implicito-esplicita. Altrettanto il caos 150 deterministico potenzialmente aggregativo-organizzabile – attraverso attrazioni e frattali – può spiegare un universo matematicamente definibile ad una ragione emersa da un apice evolutivo alla deriva nell’Universo in grado di comprenderlo e di averne coscienza intenzionale. 149 150 Cfr. recensione al libro dei Botella “La raffigurabilità psichica”, presente sul sito www.ibs.it. Interessante l’etimologia di caso che rinvia al “cadere” attinente semanticamente a quella di caos che indica invece un “burrone”: azione e meta. 87 9. 9.1. In psicoterapia Tra nevrosi e psicosi: Lucilla e la sua anoressia Ho incontrato Lucilla all’età di 16 anni, frequentava la seconda Liceo con risultati brillantissimi, bella ragazza, grande sportiva, di supporto per tutti i suoi familiari e i suoi amici. Il suo ragazzo aveva più a che fare con un caso sociale che con un fidanzato. Circa 6 mesi prima aveva cominciato a controllare a oltranza i pasti, le calorie ed il consumo delle stesse aumentando gli allenamenti e facendo di tutto per saltare qualche pasto o ridurlo ad un rituale quasi ormai solo formale. Non è mai arrivata a provocare o usare il vomito come strategia… ciononostante il suo peso scendeva e scende costantemente da 58 a 44 kg. Soggettivamente pensava di avere tutto sotto controllo pur sentendosi stanca e stufa del suo ruolo da “prima della classe” e “assistente sociale ambulante”, ma saranno i genitori a motivarla a venire in psicoterapia e solo in un secondo tempo accetterà e comprenderà la diagnosi. La storia del suo peso è diventata una parte integrante del nostro setting, arricchito da numerosi sogni dove l’acqua e pesci voraci la facevano da padrone, con personaggi come l’ “orca-squalo”, la quale da divoratrice di suo padre diventa pesce da accudire sotto la giacca per aiutarlo a respirare bagnandolo regolarmente, fino a che muore. Muore la parte che per vivere faceva morire Lucilla, che trasformava il mangiare in un divorare pericoloso per tutti da cui astenersi: l’orca divora il papà che adorava cucinare per i figli piatti nostrani ricchi di amidi e calorie. Noi non volevamo uccidere o distruggere lo squalo, è lui che si dimostra vivo, animale, quindi anche in grado di morire, di lasciare il posto, di nascondersi nell’inconscio, eventualmente anche di rivivere in un altro sogno, ma questa volta bio-log-izzato e non tanat-izzato. Ciò che mi permette ricorsivamente di verificare nell’esperienza della relazione terapeutica quanto sin qui riflettuto – riflessione a sua volta dialetticamente previamente ispirata dall’esperienza stessa – è l’elemento sintetico-globale 151 costituito dalla metafora dell’ “apoptosi”, attraverso la quale il campo psicoterapeutico ha attratto diversi piani ed elementi verso il “nuovo”, il “terzo” emergente nella dualità psicodinamica: - Tema scelto dalla paziente per la redazione scritta da portare agli esami di maturità liceale (piano cognitivo e motivazionale implicito); - Campo di approfondimento specifico in quel periodo del terapeuta stesso (piano co-controtransferale emotivo-affettivo implicito ed esplicito per il terapeuta); - Simbolo globale insaturo-aperto e progettuale, bozza di una nuova consapevolezza introspettiva inconscia-conscia (piano della mentalizzazione e della interpretazione terapeutica ed esistenziale): anoressia come “apoptosi esasperata, debordante e degenerante dalle cellule all’organismo vivente”. Il corpo che pensa ed agisce in luogo della mente. Un disturbo alimentare di tipo anoressico sembra dunque aver dato parola ad un corpo (dimensioni isterico-psicosomatiche dell’anoressia, spesso correlate a organizzazioni di personalità tipo borderline), a delle cellule addirittura, “disposte” a lasciarsi affamare dalla mente – in metafora – pur di riavviare il processo in stallo di integrazione-dualizzazione dei fatti corpo-mente, biologiapsicologia, neuro-fisio-logia oggettiva-analitica e fenomenologia soggettiva-sintetica. Dall’interazione dell’ordine col disordine apportato dal disturbo perturbatore, emerge una nuova organizzazione mentale: dalla crisi emerge la potenzialità stessa – come risorsa umana resiliente – di ri-organizzazione nel senso di una complessificazione ulteriore. 151 Cfr. Ceroni, “La coscienza”, p. 984. 88 Il concetto affettivo dell’apoptosi rappresenta uno di quei tentativi di costruzione di simboli, rituali e mitologie nel nostro Um- e Mit-Welt fatto di relazioni inter-s-oggettive di cui tanto ho parlato nelle pagine precedenti. Solo la piena e consapevole condivisione e compartecipazione cognitivo-affettiva ed emotivoconcettuale ha permesso di formare nella relazione psicoterapeutica – trasformandola – la vita della Lucilla vivente, vivente più che morente, tra esseri viventi pur morenti. La mancanza nella costruzione – in-formazione e tras-formazione – di simboli forti capaci di superare contraddizioni complessificandole altrimenti votate alla semplificazione ed al riduzionismo: sono mortale ergo muoio, vivo morendo anziché morente. L’alternativa al progetto simbolico complesso rimane solo quella del sintomo semplice, nel caso dell’anoressia del sintomo sociale e societario. La coscienza e l’io sono complessi, sintetici e simbolici – come quelli di Lucilla – ergo mitizzabili, narrabili e condivisibili per mezzo della lingua e dei linguaggi inter-s-oggettivi. 89 9.2. Tra psicosi e nevrosi: Annabella e la sua sindrome da stress post-traumatico Annabella è una donna sulla trentina, che da circa un anno ricorda le violenze subite in casa dall’infanzia fino all’adolescenza: - dal padre e dal fratello, - sessuali, corporali, alimentari, verbali e psicologiche. Nei primi colloqui emergono problemi ginecologici, disturbi alimentari ed esperienze di allucinazioni e predisposizioni accentuate di coazione a ripetere: tende a sottovalutare o comunque a ritrovarsi vittima di situazioni seduttive e potenzialmente violente nel suo entrourage privato e professionale, addirittura anche in ambiti terapeutici precedenti. Si tratta dunque di una sindrome da stress post-traumatico (traduzione dall’inglese che di lunga preferisco) con amnesia ventennale pregressa, forme anoressiche, allucinatorie e somatizzanti. Si nota subito una forte resilienza in una persona che ha sofferto violenze estreme al limite del dicibile sia sul piano degli agiti che su quello della costellazione familiare venutasi a creare attorno ad una bambina di pochi anni. In tutto questo l’introversione / il ritiro e l’amnesia hanno costituito i meccanismi di difesa elettivi. Importanti – a mio avviso – in chiave salutogenica e di esame di realtà sono stati due episodi particolarmente intensi ricostruiti in analisi a posteriori: - la telefonata con una esplicita richiesta di perdono, quando la paziente era ancora amnestica, compresa dunque solo “après coup”, ma probabilmente fu l’evento scatenante il ricordo; - la presenza della paziente al letto di morte del padre consapevole di non dispiacersi del morire di lui e capace di cogliere negli occhi di lui la “coscienza di quello che le aveva fatto”. Nel caso di Lucilla abbiamo una notevole trasformazione in analisi di elementi beta (sintomi somatopsichici) e alfa (visioni allucinazioni visive) in simboli allucinatori, onirici, mitici e narrativi (auto-biografici nella fattispecie) che li contengono e consentono loro di esser condivisi intra- e inter-personalmente, inter-s-oggettivamente. Un esempio per tutti lo troviamo nel chiasmo allucinatorio: - se stessa sdraiata morta e coperta di sangue, - se stessa in ginocchio viva ma a rischio imminente di suicidio, - se stessa in piedi solo con ideazioni suicidali, - se stessa in piedi triste. Il crescendo vitale dell’allucinazione portata nella coppia analitica (psicoterapeutica), così come la presenza implicita di un osservatrice della scena raffigurante se stessa hanno permesso ricorsivamente – come causa ed effetto simultanei o causa finale terapeutica – l’organizzazione del nuovo inteso come possibilità di sognare il contenuto allucinatorio e di metabolizzarlo psicodinamicamente previa una sua raffigurabilità a livello allucinatorio o di elemento alfa. La cura del paziente-che-ha-la-malattia per, con e nel soggetto-che-è-malato, che si sente ora portatore limitato nel suo psicosoma: la fenomenologia del sintomo somatico e psichico condivisa nell’incontro psicoterapico. Nel trauma insomma – come da più parti segnalato – il cognitivismo attento alle emozioni può incontrare la psicoanalisi attenta alle neuroscienze. Nella sindrome post-traumatica di una gravità quale quella appena accennata in questa vignetta clinica, la lezione di Küchenhoff risulta a mio avviso particolarmente illuminante, in quanto rende 90 giustizia sia alla dinamica psichica, sia alla plasticità neuronale implicata nell’elaborazione e nella memoria 152 del trauma stesso, quindi nel suo superamento resiliente. La psicosi secondo la lezione di Küchenhoff 153 – il quale compie una sintesi efficace tra varie teorie al riguardo – si muove non solo a livello di struttura e diagnosi, bensì anche a quello di dinamica, terapia e prognosi, e questo da un punto di vista ontologico, che meglio si adatta alle dimensioni psicotiche insite nel trauma e nelle sindromi conseguenti: - Simbolismo e linguaggio vengono attaccati distruttivamente (Lacan); Annabella: amnesia e allucinazioni. - Spazi intermedi-transizionali (Winnicott); Annabella: relazione terapeutica, sogno e interpretazione. - Parti-contenuti da contenere (Bion); Annabella: immagini, suoni, odori e allucinazioni, elementi beta ed alfa. - Positivazioni psicopatologiche (Benedetti); Annabella comunica, condivide, apprende emotivamente ed euristicamente con il terapeuta capace di mantenere l’ “asimmetria simmetrica” e la “benevola neutralità”, ma che molto apprende dalla sua paziente. - Mafia (organizzazione limite) al potere (organizzazione psicotica) (Rosenfeld); Annabella: la coazione a ripetere nella realtà privata, sociale, professionale e terapeutica. Psicosi e dimensioni psicotiche del trauma rappresentano allora una crisi, un disordine, il quale – in quanto distante dallo stato di equilibrio – può inter-agire in modo imprevedibile a minime differenze dello stato iniziale, organizzandosi in un senso piuttosto che un altro. Nevroticamente o psicoticamente per poi riorganizzarsi in un senso più o meno resiliente nel momento della successiva crisi – nel caso di Annabella coincidente con il dissolversi dell’amnesia – la quale comporta solitamente l’inizio di una psicoterapia che godrà delle stesse proprietà caoticodeterministiche della prima crisi-trauma, e dal nuovo disordine la mentecorpo si può ri-organizzare in modo salutogenico. Ciò resta possibile solo in una relazione psicoterapeutica affettiva, capace di lavorare partendo dalle emozioni per arrivare a concettualizzazioni affettive, secondo la griglia bioniana e il regolo marcoliano. 152 Cfr. Oliverio: ricordo, rievocazione (debriefing) e ripetizione di esperienze emotivamente significative ma differenziabili dal trauma comportano una ripresa della memoria anche a lungo termine e un suo “ri-modellamento” rendendo in questo modo plastica – adattabile al mondo interno ed esterno, passando dalla relazione transizionalesimbiotica-intersoggettiva rappresentata dalla psicoterapia – la memoria traumatica e traumatizzante. 153 Cfr. Küchenhoff, Psychose. 91 9.3. Tra norma e panico: Bruno e i suoi attacchi Bruno è un imprenditore di successo, sulla cinquantina, con alle spalle un divorzio conflittuale, l’educazione di due figli cosiddetti problematici, che si trova ad affrontare simultaneamente la malattia grave della madre anziana, le emicranie refrattarie della nuova compagna (in grande difficoltà con la di lei madre) e la scoperta della slealtà di un suo socio in affari. Si presenta in terapia dopo una serie di attacchi di panico piuttosto intensi e uno strascico di crisi d’ansia maggiori spesso combinate a vertigini e dissenteria. Fin dall’inizio della psicoterapia – affiancata da una leggera farmacoterapia d’elezione e dalla nota pillola a portata di mano al bisogno – i sintomi più gravi spariscono, ma lasciano il posto ad un panorama interiore fatto di stress e ansie depressive, in parte reattive alla costellazione psico-sociale. I sintomi minori – pur di media gravità – in special modo sensi di vertigine e attacchi diarreici risultano però particolarmente invalidanti e ad alto tasso auto-sabotatore: come se il modo migliore per mettere a terra l’uomo e imprenditore di un certo successo, ma soprattutto capace di far fronte a qualsivoglia situazione per sé e per gli altri, fosse quello di sparare ansia piuttosto che panico, ma in punti sensibili e dunque particolarmente inversamente strategici. Infatti la dissenteria si manifestava prevalentemente in auto e la vertigine sui cantieri, condizionando e sabotando spostamenti e attività in altezza determinanti per la sua professione indipendente, tutto un suo mondo. Su questo asse verticale tra testa e pancia, pancia e testa, tra ragioni irrazionali (“prendo la strada cantonale così posso andare in bagno all’occorrenza”) ed emozioni sovrabbondanti (“non riesco nemmeno più a salire sui montacarichi da cantiere per controllare i piani alti e i tetti”), trasformantesi sempre più in affetti ragionevoli e ragioni affettive lentamente è andata costellandosi o cristallizzandosi (nuova organizzazione) una idea ed una tecnica terapeutica creativa: efficace, efficiente ed economica. Ci è piaciuto definire questa libera tecnica di mindfulness pragmatica “terapia della cacca”: si trattava di concedersi ogni mattina almeno, tra le 05.00 e le 05.30, il tempo di chiudersi a chiave nel bagno, senza telefoni di sorta, solo con se stesso, la propria pancia ed i suoi bisogni. In poco tempo i sintomi secondari, ma importanti, sono andati diminuendo intensità e frequenza e la terapia della cacca è diventata uno stile di vita e un’organizzazione del tempo e della mentecorpo nuove. Si trattava di sapersi prendere del tempo per se stessi, di non voler e dover più occuparsi del mondo intero, ma soprattutto di essere corporal-mente presenti a se stessi sia quando ci si era riempiti o lasciati riempire di contenuti indigesti (stress, pressioni, aspettative eccessive, ecc.), sia quando si trattava di riconoscere il bisogno fisico-psichico di lasciar andare, di evacuare, di scaricare. Il sintomo aveva bloccato sì le trasferte e gli ascensori di cantiere, tutto il suo mondo e il suo lavoro, ma gli aveva permesso di prendere coscienza del “tutto” che opprimeva le parti e delle parti (fatte di singoli eventi egosintonici ed egodistonici) capaci di trasformarsi in parti dialetticamente relazionate con un “infinito meno triste”, nel senso hegeliano-fischeriano. Il tutto opprimente, l’infinito entra nella parte, trasformando i suoi singoli elementi, interpretandoli in altro modo e consentendo in questo modo l’espansione di una personalità maggiormente integrata e consistente, secondo la preziosa lezione di Grawe, di una soggettività intenzionalmente meglio presente a se stessa, agli altri ed al mondo. 92 9.4. Tra bambino e adolescente: Jonas e la sua anaclisi Jonas è un bambino di 6 anni, vivace, estroverso, ma irruente che si presenta al Locale delle storie accompagnato dalla mamma e dal suo educatore di riferimento. Sta per cominciare la Scuola elementare, vive collocato in un Istituto educativo e visite a casa dalla mamma, che esce da una storia di tossicodipendenza, non seguita da specialisti del ramo, che ha cresciuto sola il bambino e che sta vivendo con grande ambivalenza il collocamento messo in atto per aiutarla dai servizi preposti (tramite un assistente sociale dell’Ufficio famiglia e minorenni). Si trova tra l’altro in una situazione di forte ristrettezza economica e in estremo conflitto con i primi pediatri, psicologi e psichiatri pubblici e privati, che hanno cercato di seguire il bambino rispettivamente l’adulto. L’ipotesi, biograficamente plausibile, di traumi nella prima infanzia affiancata dall’osservazione di un bambino intelligente e aperto, ma con gravissime difficoltà emotive al momento della separazione e della gestione del distacco dalla madre, mi fanno propendere diagnosticamente verso un’organizzazione in età ancora assolutamente evolutiva di tipo borderline. Questa organizzazione limite – in parte reattiva nell’ambito di una sindrome post-traumatica, in parte evolutiva, ma sempre difensiva – è coerente con la psicodinamica dei traumi precoci, della fragilità dell’attaccamento e della strategia “del testare continuamente il setting” in terapia e nel contesto pedagogico-educativo. Il tutto è ulteriormente ben osservabile nel riconoscimento dell’altro adulto da me rappresentato e delle regole rappresentate dallo spazio-tempo del metodo del “fare storie” e dalla differenziazione dei ruoli, delle case e dei quaderni sempre attinenti al metodo psicoterapico denominato “Fare storie con i bambini”. Da un punto di vista psicoterapeutico Jonas ha compiuto dei progressi indubbi, d'altro canto la sua psicopatologia di natura post-traumatica – che a mio avviso sottende alla sua organizzazione di personalità tipo borderline ancora del tutto evolutiva – lo rende sempre ed ancora particolarmente sensibile ai cambiamenti ed alle separazioni. L'autoregolazione affettiva, la mentalizzazione, la capacità di distanziarsi e simbolizzare la madre (gestione delle ansie di separazione e abbandono fondamentali in queste patologie) ci hanno consentito di vedere in diversi ambiti per periodi più o meno lunghi anche un Joël nuovo, tranquillo e collaborativo. D'altro canto il cambiamento di docente titolare di Scuola elementare e la situazione di collocamento vissuta in modo ambivalente, proprio dopo questa fase di miglioramento, motivano una nuova crisi che poteva rientrare e organizzarsi nuovamente in chiave evolutiva. La sfida onnipotente in Jonas si è lasciata normalmente leggere nel suo contesto e ha dimostrato anche in passato di poter rientrare. Il che nulla toglie alla gravità e difficoltà di gestione-contenimento da parte degli operatori. Mai si è comunque verificata una crisi con attacchi generalizzati, anzi anche nelle ultime fasi risultavano strategicamente preservati l’ambito casa-mamma e locale-delle-storiepsicoterapia. Il quadro clinico parla di una latente predisposizione a crisi relazionali intense e repentine, soprattutto al "ripetersi" di situazioni anche solo analogamente traumatizzanti. Si è trattato da un lato di proteggere da stress scolastici o di altra natura eccessivi e da ulteriori cambiamenti relazionali primari e secondari, dall'altro - se è pensabile una ben contrattata modifica del collocamento - a questo è dovuto corrispondere un sostegno forte alla famiglia. Questo per evitare che, ad un seppur ben verificato miglioramento anche delle risorse della mamma, facesse seguito un ri-avvitamento patogenetico del nucleo familiare su se stesso, a causa del cambiamento che sarebbe venuto a crearsi con un graduale e accompagnato rientro a casa. 93 In questo senso è stato anche risolutivo l’intervento del medico psichiatra configuratosi in una mentalizzazione 154 madre-bambino a ritmo settimanale e la intensificazione, in parallelo, della psicoterapia con Jonas quando necessario. Il trauma e le competenze emotivo-relazionali fragilizzate e fragili devono e si sono contrapposti alla rete contenente e alla figura dello psicoterapeuta, che cerca – come attraversando un campo minato – di non prendere posizioni eccessivamente marcate a favore dell’una o dell’altra parte, ma rilevando la necessità di doverlo sempre e comunque fare (addirittura attraverso un ricorso di natura giuridica) per proteggere il minore superando i test, a cui l’intera rete viene sottoposta. Queste sollecitazioni richiedono a maggior ragione una buona coesione fra i vari elementi componenti. Proprio questo oscillare tra neutralità terapeutica e necessità di prendere posizione – affettivamente e cognitivamente – passando da stati di vigilanza ad altri di imminente catastrofe con agiti e pressioni sul terapeuta perché agisca o ometta di agire, fanno pensare proprio – almeno per analogia – ad un funzionamento limite. Da qui l’efficacia e la trasformazione di sfiducia e sfida – cariche di emozioni beta – in relazioni di attaccamento correttive, integrative e quindi riparative, con il conseguente migliore possibile superamento del trauma tramite scarica dei sensi eccessivi e “mentalizzazione implicita” degli elementi beta in alfa. La mentalizzazione esplicita dovrebbe essere possibile solo in un secondo momento, che sembra appena iniziato. Dopo due anni la mamma stessa risulta cambiata, portatrice di un’alleanza di campo forte anche nei confronti delle istituzioni e seguita da un collega psichiatra con evidente buon profitto. Ma nuovi test già si affacciano all’orizzonte, che andranno affrontati con una rete sufficientemente coesa, coerente ed in revisione. La rete psico-sociale di Jonas in ordine cronologico di apparizione: - l’assistente sociale, - gli educatori dell’Istituto di collocamento: di riferimento e l’équipe, - lo psicoterapeuta, - i curatori del bambino e della madre, - i docenti della Scuola elementare: titolare e di sostegno, - la psichiatra della madre. - l’ergoterapista, - la psichiatra del bambino. 154 Cfr. autori come Fonagy e Bion in questa accezione. 94 10. Etica nella relazione Assunto di base Paradigma organizzatore del pensiero Dimensione etica ________________________________________________________________________________ Attacco-Fuga pre-genitale Valori-Norme Deontologia Dipendenza genitoriale Asimmetria Teleologia Accoppiamento genitale Astinenza ____________________________________________________________________ Mistico / Estetico / Etico genesico Verità / Valori Se la coscienza cognitiva (C) elabora l’informazione oggettiva (le cose), è compito precipuo della coscienza fenomenica (F) di organizzare tale informazione in un’esperienza soggettiva emergente ( i qualia) – auto-cosciente dunque – emotivo-affettiva, in grado di trasformare gli elementi beta tramite funzioni alfa-simboliche nei concetti anche più astratti. Queste esperienze (Erlebnisse) fondano e costituiscono l’intenzionalità umana verso se stessa, gli altri ed il mondo, la percezione ed il giudizio sul bello e il brutto, sul buono e il cattivo, sul giusto e lo sbagliato: due vertici di osservazione, due epistemologie distinte, ma dello stesso fenomeno, direbbe Kant 155. In un modello antropologico-neuro-scientifico-psicoanalitico che stiamo cercando di abbozzare, l’unità materia-spirito fino al cervello-mente implica incontrovertibilmente la partecipazione del singolo all’infinito, delle singole parti al tutto, secondo la dialettica hegeliana ripresa elegantemente da Nagel. In questa visione del tutto logica e “teologicamente neutra” causa-fine, cognizioneinformazione, intenzionalità, estetica-bellezza e etica-bene appartengono dunque a questa materia non più tanto solo e unicamente materia: la materia informa nella vita, conosce nella computazione, prende coscienza nell’essere umano e attraverso il suo corpo sente il piacere ed il dolore, esperisce il bello, cerca il bene ed evita il male, da cui il cervello mentalizza, pensa affettivamente presente a se stesso, comunica, si racconta e produce il suo proprio mondo culturale, artistico e religioso. Se questa performance unica e meravigliosa che è quella umana emerge dalla materia, possiamo concludere – nel nostro modello sintetico – che la materia, l’universo fisico, la vita zoé e bios 156, il corpo ed il cervello sono a loro volta intrisi di questa potenzialità estetica ed etica, che sfocia nella coscienza umana 157. 155 156 157 Punto di tensione tra la reine e la praktische Vernunft con la Urteilskraft. In greco zoé attiene più alla vita biologica in senso stretto e bios a quella diremmo noi ecologica. Così come le materie sfociano dal Big bang, la vita sfocia dalle molecole, le leggi fisiche sopravvengono dall’universo stesso. Il punto cruciale è che la loro intelligibilità si rispecchia nell’intelletto umano, in quanto intrinsecamente logico e matematico come l’universo in sé. 95 In questo senso vorrei ora continuare a riflettere partendo dall’affermazione di Nagel secondo la quale l’ (auto-)coscienza, la cognizione, l’intenzionalità e i valori etici restano dunque degli a priori non dimostrabili, ma nemmeno deducibili da leggi regolate dal mero caso se non utilizzando esse stesse per rappresentarsi e comprendere o meno l’Universo attraverso il caso: l’autore coniuga addirittura le categorie teleologiche (causa finalis scolastica e Zweckursache kantiana) a quelle della meraviglia (mervelous). In questo senso è primariamente un’esperienza soggettiva estetica di meraviglia, che dischiude la possibilità di una comprensione logico-matematica di un universo logico-matematico, fisico e fenomenico, nel quale il caso diventa caos deterministico, la vita si svela come dinamica apoptotica e la comprensibilità scientifica dell’universo trasforma la materia in cervello-soggettivo, menteintenzionale, giudizio-estetico e valutazione-etica. Il mondo, la società, le relazioni umane, la cultura-arte-religione, l’etica ed il diritto – le scienze umane o dello spirito – si presentano alle scienze della natura in generale e alla psicoterapia in particolare come dimensioni del nous: la “noosfera” (vita fenomenico-soggettivo-spirituale), oltre la vita-zoé (biologica), vita-bios (eco-culturale), vita-psyche (umana) e –logos (razionale). È considerabile infine come un sintetico complemento integrabile anche nel cosiddetto “modello della mente estesa” (MME), che a me piace definire anche come “modello della mente espansa” 158: non in senso più o meno esoterico, bensì appunto come interazione dialettica socio-culturale-etica precipuamente umana, ergo fisica e materiale. Mi piacciono le domande in quanto stimolo, in quanto aperte appunto alla ricerca e non a risposte pre-confezionate che escludano l’una o l’altra opzione, specialmente se in modo non rigoroso, come quello che finora spesso ha escluso la realtà primaria – filosofica e teologica – come “spiegazione” legittima, al di fuori della scienza naturale della realtà secondaria – fisica e neurologica. / 158 Cfr. Spengler e Keller. 96 11. CONCLUSIONI Questa scrittura sta per terminarsi, ma resta soprattutto un cantiere aperto, da intendersi orizzontalmente più che verticalmente: trasversalmente. Non si è trattato di analizzare in profondità, ma di sintetizzare – mettere insieme – partendo dalla superficie della psicoterapia, della relazione umana con sé stessa, gli altri ed il mondo, della vita sempre in fieri e non per questo solo un nulla, bensì spesso esperita e condivisa come una parte del tutto, di un mondo, gravido di potenzialità, di nuovo, di capacità auto-organizzative. Su questa superficie incontriamo le profondità dell’essere umano con la sua coscienza-inconscia o il suo essere-al-mondo inconscio-cosciente. Duali perché l’uno necessario all’altro. Abbiamo attraversato pensieri che cercavano di portarci oltre il riduttivismo, ma anche oltre l’olismo, consapevoli che la scienza tra fisica e neurologia ci sta aprendo la porta per una nuova comprensione dell’essere umano: non più materia e spirito o corpo e mente, bensì materia anche spirituale e corpo anche mentale, come dimensioni ineliminabili. Una materia forse non più così tanto e solo materiale, quasi spirituale, che ci riconduce alla profondità e bellezza della sua etimologia: materia, dal latino mater e dal sanscrito mâtram, un po’ madre generativa e un po’ ellenica misura di tutte le cose. L’infinitamente grande dal Big bang all’espansione accelerata di questo nostro universo ci mostra forze “gravide di potenzialità” originatesi nel nulla più che dal nulla con differenziazioni tali da consentire entropia e neghentropia: organizzazioni sempre più complesse casuali ma determinate. D’altro canto il tutto nel nulla (t = 0 e s = 0, espresso con il punto O da Bion, dove 0 = 0 + 0 + 0 …) scoppia, ma dovrebbe rallentare o collassare in sé, da sé e per sé, ma non accelerare nella sua espansione come sembra essere il caso: in O si è dovuto ipotizzare un’energia oscura, altra da quella conosciuta o cosiddetta materiale, per rendere coerente il nulla ed il tutto da esso dilatatosi. 159 L’infinitamente piccolo ci ha permesso di scoprire ad esempio le vescicole sinaptiche – dal diametro di 50 nm, contenenti ciascuna migliaia di neurotrasmettitori – capaci di generare in frazioni di secondo un numero impressionante di operazioni a questo punto di proporzioni quantiche. La materia – come parte di un infinito comprendente la coscienza ed il pensiero – sembra allora portatrice di quelle caratteristiche di organizzazione, di intelligibilità, di determinazione, financo di teleologia che hanno permesso l’emergenza della vita e la sopravvenienza della mente. Quel tassello mancante a cui accenna Nagel, ma già ben descritto nel concetto di “finito triste” di Hegel: il singolo e la parte triste perché contrapposte all’infinito in quanto altro-da-sé, rispetto invece al “finito non triste” risultato di una sintesi della parte e del singolo in relazione dialettica con l’infinito. In conclusione – come ad aprire il tema per un prossimo libro – desidero recuperare il valore del modello del vortice di Morin 160 per la sua potenzialità interdisciplinare nell’aiutarci a comprendere il fenomeno delle emergenze in fisica, biologia, neuroscienze e psicoterapia. Per questo motivo, nonostante le più recenti critiche al concetto di emergenza, continuo a preferirlo a quello di sopravvenienza: proprio perché l’emergenza – a detta di critiche riportate da Ceroni et al. – è nata 159 160 Interessantissimo a questo riguardo è il fatto fisico ipotizzato secondo il quale in questo universo in espansione accelerata corrispondono una energia materiale costante – quindi per un volume dato in diluizione – e una energia oscura in aumento assoluto – mentre relativamente al volume dato rimane costante. Cfr. le affermazioni del fisico teorico dell’Università di Trieste Claudio Verzegnassi, in: Mancuso, pp. 410-11. Mancuso giunge a metaforizzare un Dio-energia-oscura, quale principio-passione dell’universo. Basti pensare alle fertili ricadute – attraverso l’uso questa volta metaforico dell’attrattore frattalico (cfr. i Pragier) – che questo modello potrebbe avere nell’ispirare ciò che accade caotico-deterministicamente in psicoterapia: dalla ricerca potrebbero nascere veri e propri nuovi modelli. 97 da ambiti non neuroscientifici essa porta in sé il seme generativo dell’interdisciplinarità. Se vale per le particelle subatomiche fino alle cellule, deve poter valere dai neuroni 161 ai fenomeni della coscienza, se la mente, il corpo e la materia devono poter costituire una nuova sintesi: ergo una sopravvenienza emergente. La freudiana “pulsione di morte” – poco riconosciuta a volte anche da psicoanalisti ortodossi – può costituire quel ponte tra mente e cervello, tra la vita e gli atomi che la compongono: l’erompere dell’organizzazione – probabilmente pure finalistica secondo Nagel – della materia inorganica (fisico-chimica) in quella organica (biologico-psicologica). Ma anche il trauma-crisi (la nascita-parto per Jonas, la morte-lutto per Bruno, le violenze-catastrofi per Annabella, adolescenza-cambiamento per Lucilla ecc.) riducono e tendono a “voler” ridurre la vita a dinamiche non lineari ma caotico-deterministiche non biologiche. D’altro canto apportare un cambiamento anche minimo – secondo la teoria del caos e la condizione della distanza dal punto di equilibrio – ad un’organizzazione data all’inizio di una psicoterapia fenomenologica ed etica, può far ripartire le dinamiche organizzative più vitali, fertili e generative: la resilienza post-traumatica potrebbe allora esser ridefinita come auto-organizzazione autocosciente emergente (finalizzata?). La differenza che intercorre tra la forma organizzativa biologica e quella fisica è quella ravvisabile tra quella di un germoglio che spunta da un seme espandendosi e la formazione di un cristallo di quarzo. Le emozioni – psicodinamicamente inconsce 162 e neurocognitivamente implicite dal canto loro si rivelano analoghe se non omologhe al caos come disordine organizzantesi in nuovo ordine, come lo si può incontrare anche nella mitologia biblica 163, nella fisica, tra i “geni spazzatura” che costituiscono buona parte del genoma umano e le mutazioni. Da qui l’esigenza di comprendere la mente come “organizzazione neuronale con proprietà emergenti nuove 164 complessa, non lineare e non prevedibile (libero arbitrio)”, “un’organizzazione caotico-deterministica intenzionale” 165, ergo intersoggettivamente e fenomenologicamente conoscibile e non riducibile alle sole scienze naturali. Kant aveva visto bene affermando che io soggetto non può essere ridotto ad oggetto da parte di un altro soggetto: la mente usa la mente per conoscere un’altra mente. In un approccio meramente oggettivante è come voler far entrare due contenitori identici uno nell’altro. Supporre uno contenente l’altro contraddice l’etica e non è epistemologicamente difendibile. La comunicazione orizzontale e verticale 166 tra neuroni e altre cellule si svolge in profondità e modularmente, in parallelo ed integrativamente, ma caoticamente. Le informazioni circolanti tra gruppi di neuroni e iperneuroni, i global networks space (GNTS), le sincronie bioelettriche, ecc. parlano in favore di una computazione umana sintetica e globale, caoticamente determinata. L’autocoscienza fondamentalmente emotiva in stato di sonno e di veglia va intesa allora come l’a priori 161 162 163 164 165 166 Un’organizzazione costituita da cento miliardi di elementi connessi da diecimila sinapsi ciascuno, che danno un milione di miliardi di fenomeni neurofisiologici possibili nell’ambito di ulteriori complesse e non ancora comprese comunicazioni globali: quindi assolutamente geneticamente non determinabili. La teoria del caos colloca appunto l’inspiegabile tra parentesi: la relazione tra questo disordine apparente e l’ordine appunto sopravveniente della coscienza ed emergente nell’autocoscienza e nell’intersoggettività, tra cui il fenomeno straordinario della lingua. Da Schopenauer a Freud, fino a Bion e ai nuovi approcci schulübergreifend (integrativi: oltre le divisioni tra scuole, orientamenti e metodi psicoterapeutici). Cfr. Mancuso su Genesi 1,2: “la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso”. “Nuove” in quanto irriducibili agli elementi, che compongono l’organizzazione. Cfr. il biochimico Giovanni Felice Azzone (Napoli, 1927), in: Ceroni et al., La coscienza, pp. 261-326. Cfr. le ipotesi di Agnati riportate in Ceroni, La coscienza, pp. 207-235. 98 conoscitivo, esistenziale e psicologico: la condizione di possibilità dell’umano con se stesso ed il suo cervello, tra gli altri umani e nel mondo fisico ed umano. I computer apprendono dal funzionamento del cervello – lavorando in parallelo e non serialmente e non è più quest’ultimo a dover essere ridotto al funzionamento di un computer costruito dall’uomo. Ecco allora raggiungerci la bella metafora-modello della “casa degli specchi” di Agnati e del “teatro interiore” di Ceroni et al., nella quale ci muoviamo di notte nei sogni, i cui elementi modulari verticali e caotici orizzontali riflettono l’esperienza soggettiva del mondo oggettivo, pronti ad aggiustarsi quando registriamo una realtà “mal riflessa” – un dolore dunque – oppure in modo molto più complesso intuiamo una decisione come egodistonica attraverso un processo autocosciente a volte supportato anche da una relazione psicoterapeutica. I neuroni connessi globalmente lavorerebbero in parallelo come un sistema di specchi che si rispecchiano uno nell’altro: da qui l’idea di casa e di teatro interiori. Sarà la dialettica piacere-dolore ad aggiustare dalla notte dei tempi il nostro cervello, la nostra mente e la nostra coscienza, ma su queste fondamenta imprevedibile e sempre generativa si ergerà l’edificio dell’autocoscienza soggettiva, personale, individuale, biografica, intersoggettiva e mondeggiante. In questo modo sarebbe possibile superare il dualismo e con Azzone per esempio abbracciare un monismo non riduttivistico: duale sul piano delle proprietà, non più delle sostanze. Anima e cervello possono essere viste come due emergenze irriducibili e ineliminabili (McGinn 167 vs. i coniugi eliminativisti Churchland 168) come dimensioni di uno stesso fenomeno, e forse il dualismo è servito nei secoli – da Aristotele ad Husserl, passando per Freud – proprio a non perdere lungo la “storia delle idee e dei concetti” né l’uno, né l’altro aspetto della coscienza umana. Proprio la fisica, la biologia e le neuroscienze, come parte della psicoanalisi e le riflessioni a partire dalla pratica psicoterapeutica, sembrano segnalarci l’orizzonte di una materia-energie, di una morte-vita, di un corpo-geist e di un cervello-mente-intenzionale-etica… forse proprio perché appunto la materia non è solo ed esclusivamente massa, la vita vivente, il corpo fisiologico ed il cervello neurologico. La sfida sta in questo – come nella lezione scientifica e semantica di Morin – conoscere e parlare dei fenomeni tenendo conto della complessità degli elementi e delle dimensioni che li compongono parlandone dualmente, sinteticamente, globalmente. Sono conscio di aver lasciato sul terreno anche aporie dovute proprio alla trasversalità del discorso e delle intuizioni, a partire per arrivare al campo di applicazione della psicoterapia: campo di comunicazione in una relazione duale anch’essa. Sarebbe bello e buono che da questo libro, dalle critiche e discussioni che ne scaturiranno, ne possa nascere un altro, nel solco della ricerca, dello sviluppo, del dialogo, ma soprattutto della meraviglia. Credo sempre più inoltre, che a questa ricerca di forme nuove ci muovano anche le persone che incontriamo nella psicoterapia. 167 168 Colin McGinn (Londra, 1950) è un filosofo della mente inglese, è stato docente alle Università di Londra, Oxford, e Miami. Filosofi della mente: Patricia S. lei e Paul lui, entrambi sono rispettivamente sono stati docenti all’Università della California a San Diego. 99 12. Appendice 1 – Cronologia essenziale Platone Aristotele Tommaso d’Aquino Guglielmo di Ockham Cartesio Kant Hegel Schopenhauer Brentano Gehlen Nietzsche Freud Husserl Binswanger Jaspers Wittgenstein Heidegger (428-348) (384-322) (1225-1274) (1288-1350) (1596-1650) (1724-1804) (1770-1831) (1788-1860) (1838-1917) (1904-1976) (1844-1900) (1856-1939) (1859-1938) (1881-1966) (1883-1969) (1889-1951) (1889-1976) 100 13. Appendice 2 – Il modello del “Master in SPT/PTW” Formazione in psicoterapia ECTS=MSc+60 MAS (o equivalenza), Psicoterapia – Formazione post-accademica 400 h Teoria / 250 h Supervisione 300 h Esperienza sulla propria persona 1850 h Pratica clinica sotto controllo Etica Epistemologia Conoscenze di Diritto Conoscenze di Filosofia Conoscenze della Scienza delle religioni Conoscenze di Antropologia Psicopatologia Psicologia dello sviluppo Psichiatria Psicologia sociale Conoscenze di Medicina Teorie della malattia Orientamenti psicoterapeutici Conoscenze di Neuroscienze Psicofarmacologia Psicodiagnostica ECTS=180 Bachelor Metodologia scientifica Scienze umane Scienze sociali Psicologia Medicina Materie rilevanti per la psicoterapia nella formazione di base o integrate a livello universitario MAS = Master of Advanced Studies / MSc = Master of Science / ECTS = European Credit Transfer System 101 Studio delle Scienze psicoterapeutiche ECTS=B+120 MSc (o altrri Master), Master 14. 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Zeitschrift für Psychotraumatologie, Psychotherapie-wissenschaft und Psychologische Medizin (ZPPM) - 1/2009, Kröning 2009. 109 INDICE pag. 1. L’incontro nella relazione psicoterapeutica 9 2. 2.1.1. 2.1.2. 2.2. 2.3. 2.3.1. 2.3.2. 2.3.3. 2.3.4. 2.4. 2.4.1. 2.4.2. 2.4.3. La relazione soggetto-oggetto in filosofia e sua applicazione in psicoterapia I classici greci: Platone ed Aristotele I classici giudaico-cristiani: Bibbia e Patristica I medievali: Guglielmo di Ockham vs. Tommaso d’Aquino I moderni Descartes e Hume Kant Fichte e Hegel Nietzsche I fenomenologi I filosofi teorici: Husserl e Heidegger Gli psichiatri: Jaspers e Binswanger I filosofi pratici: Wittgenstein e Galimberti 10 10 12 13 16 16 18 21 24 27 27 31 34 3. 3.1. 3.2. 3.3. L’umano come vivente Vita come dinamica complessa e movimento continuo Vita come fenomeno tra analisi e sintesi Vita come continuum biografico-storico 37 37 42 45 4. 4.1. 4.2. 4.2.1. 4.2.2. Corpo-mente-mondo Corpo come relazione tra mente e mondo Corpo come eco-psico-soma Eco-soma Psico-soma 49 49 53 53 59 5. 5.1. 5.2. 5.3. L’incontro nella relazione psicoterapeutica La ricerca clinica La ricerca empirica L’esperienza psicoterapeutica 61 61 65 67 6. Dalla funzione alfa a quella simbolica 71 7. 7.1.1. 7.1.2. 7.2. 7.2.1. 7.2.2. Dalla funzione simbolica al simbolo Simbolo e segno Simbolo e “follia” Simbolo e sublime Antropologia Teologia 74 74 77 80 80 82 8.1. 8.2. Dal sim-bolico al para-bolico Dal sim-para-bolico alla raffigurabilità 84 86 9. 9.1. 9.2. 9.3. In psicoterapia Tra nevrosi e psicosi: Lucilla e la sua anoressia Tra psicosi e nevrosi: Annabella e la sua sindrome da stress post-traumatico Tra norma e panico: Bruno e i suoi attacchi 88 88 90 92 110 9.4. Tra bambino e adolescente: Jonas e la sua anaclisi 93 10. Etica nella relazione 95 11. Conclusioni 97 12. Appendice 1 – Cronologia essenziale 100 13. Appendice 2 – Il modello di “Master in SPT/PTW” 101 14. Bibliografia 102 111 Nicola Gianinazzi Teologo e filosofo, l‟autore è psicoterapeuta psicoanalitico, formatore nei settori del counseling e della psicoterapia presso l’Istituto Ricerche di Gruppo e di psicologia generativa di Lugano (IRG) e supervisore per diversi enti privati e pubblici. Lavora come psicoterapeuta indipendente nei suoi Studi di Lugano e Bellinzona (TI). Ha pubblicato Fare counseling – Un apprendimento dall’esperienza e Anima e psiche – Riflessioni per una scienza psicoterapeutica, Ed. IRG. E’ membro di comitato dell’Associazione svizzera psicoterapeuti (ASP), membro ordinario dell’European federation for psychoanalitic psychotherapy (EFPP) e dell’International federation for psychotherapy (IFP). Istituto Ricerche di Gruppo Fondato nel 1987, l’Istituto Ricerche di Gruppo si configura come un luogo di formazione, di ricerca e di scambio per coloro che portano attenzione all’interazione costante tra pensieri e sentimenti e che studiano l‟influenza dell‟affettività sullo sviluppo della capacità di pensare. L’Istituto favorisce incontri formativi, di riflessione e di approfondimento aperti a tutti coloro che, indipendentemente dal curricolo scolastico, hanno a cuore i processi educativi, di cura e di sviluppo dei sentimenti e del pensare. Contando sul contributo di docenti riconosciuti con ampia esperienza professionale e d’insegnamento, promuove l’organizzazione di una formazione continua con lo scopo di favorire l’aggiornamento e il mantenimento delle competenze di coloro che operano nel campo della psicologia, della psicoterapia, della psicopedagogia e delle discipline affini. Parallelamente, propone una formazione di base per chi è impegnato in una relazione di cura e intende specializzarsi al di là delle competenze già acquisite. La sua Scuola di psicoterapia è accreditata a livello federale e riconosciuta dall’ASP, dalla FMH e dalla FSP. O Istituto ricerche O di O gruppo 112